2 February, 2002

 

Era ovvio che la riforma tenesse banco sulle pagine dei giornali, oggi. Apriamo con un articolo inneggiante alla riforma in cui non si riporta affatto la posizione della cgil am di tutti gli altri sindacati. E i malumori secondo l'articolo sarebbero centrati sull'uso della delega, non sui contenuti. E il governo poverino ha fatto ricorso persino ai consigli delle mogli, al buon senso. Chissà cosa vorranno quelli del 15 febbraio...

(Del 2/2/2002 Sezione: Cronache italiane Pag. 4)



Al via la riforma
Le mogli, come tutte le donne, hanno maggiore intuizione»

ROMA

Il governo ha ascoltato gli insegnanti e i sindacati, le famiglie e gli studenti, ha sondato l´opinione pubblica attraverso l´Istat, ha tenuto gli Stati generali della scuola, e - alla fine - ha tirato fuori tutto l´impeto decisionista e, sulla riforma della scuola, ha chiesto una delega al Parlamento. Dunque si va avanti, secondo la linea Moratti e secondo gli intendimenti di Berlusconi. Ieri i due protagonisti - il ministro dell´Istruzione e il presidente del Consiglio - sono scesi in sala stampa a Palazzo Chigi per illustrare direttamente i contenuti della delega che durerà 24 mesi. Berlusconi era raggiante e stanco: «Non ho mai lavorato così tanto in vita mia». E´ tornato sulle tre contestate «I» che finalmente hanno cittadinanza nella «sua scuola»: informatica, impresa, inglese, e ha quindi raccontato del grande coinvolgimento emotivo dei ministri in questo processo di riforma: «Tutti hanno portato un po´ a casa la discussione sulla riforma e sono tornati con i consigli delle mogli che, come tutte le donne, hanno maggiore capacità di intuizione». Secondo le parole del premier, questa «è una riforma di buon senso. Peraltro una riforma organica della scuola così, non ricordo che sia mai stata fatta in Italia da 70 anni a questa parte, dopo quella Gentile». Riferimento che gli si è subito ritorto contro, dato che Enzo Carra (Margherita) ha bollato come «megalomania» il richiamo al filosofo fascista. «La riforma - ha detto il ministro Moratti - prevede che i piani di studio contengano un nucleo fondamentale, omogeneo su base nazionale, che rispecchi la cultura, le tradizioni e l'identità nazionale, e prevedano una quota riservata alle Regioni relativa agli aspetti di interesse specifico delle stesse, anche collegata con le realtà locali». Il ministro ha illustrato quindi tutti i dettagli della riforma: l´anticipo delle materne e delle elementari, i bienni, il duplice canale istruzione-formazione, l´alternanza scuola lavoro. La riforma prevede che gli alunni seguano i corsi almeno per dodici anni. Premier e ministro hanno appena finito di parlare che già le redazioni dei giornali sono tempestate delle reazioni alla spettacolare conferenza stampa di Palazzo Chigi, animata da luci, tabelloni didascalici e flash. C´è una linea trasversale di proteste che riguarda soprattutto la delega: «Il ricorso alla delega dice tutto sull´impronta autoritaria di questo governo» lamenta Franco Giordano capogruppo di Rifondazione, e la sua doléance è condivisa largamente, perfino dal ccd Luca Volonté che tutto apprezza di questa riforma «ma non la delega». «Il parlamento è svuotato delle sue prerogative» è il commento dello Snals, «e l´opzione della delega contraddice la stessa scelta del governo per il dialogo» fa eco la Cisl: il risentimento per il metodo dunque è forte tra i docenti, considerando che questi due sindacati sono rispettivamente il più grande degli autonomi e il più grande in assoluto. Quanto agli altri sindacati la musica non cambia: la Uil-scuola ritiene che il coinvolgimento delle Regioni nei programmi scolastici genererà «un pasticcio» e la Gilda respinge l´ipotesi che la carriera degli insegnanti si misuri non sul loro lavoro ma sulle frequentazioni universitarie post-laurea. Le tanto evocate regioni, poi, hanno avuto reazioni differenti a seconda degli orientamenti ideali dei loro presidenti: il Veneto Galan non vede l´ora di far studiare storia e cultura veneta ai suoi amministrati, mentre il diessino Errani (Emilia Romagna) parla di «una controriforma che ripropone sperequazioni sociali e mette in pericolo la centralità della scuola pubblica». Quanto ai politici, molto critico l´ex ministro Berlinguer: «Bastava scrivere: sono cancellate le riforme dell´Ulivo e si torna a prima del 1962» commenta sconsolato, mentre qualcuno (soprattutto i Verdi) già pensa ad una manifestazione nazionale di protesta con gli studenti, ma solo quelli di sinistra.
Raffaello Masci


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Sempre sulla Stampa:


(Del 2/2/2002 Sezione: Cronache italiane Pag. 4)



Previsti due percorsi dopo le medie Studio oppure formazione lavoro

Berlusconi è tornato sul suo antico obiettivo delle tre «I»: informatica, inglese, impresa. La riforma quindi - secondo le parole del ministro Moratti - «punta a costruire una scuola più moderna attraverso il potenziamento dell'alfabetizzazione nelle tecnologie informatiche e anche una scuola più europea con lo studio obbligatorio di una lingua comunitaria fin dai sei anni e di una seconda lingua comunitaria dall'età di 11 anni (scuola secondaria di primo grado)». A questo si deve aggiungere - secondo Berlusconi - una formazione relativa al lavoro e all´impresa.
Nella legge non si parla di obbligo scolastico o formativo, ma di un diritto-dovere all´istruzione e alla formazione per almeno 12 anni e comunque fino al raggiungimento di una qualifica professionale o al 18 anno di età. La scuola materna inizierà sempre a tre anni ma, se le famiglie lo desiderano, possono iscrivere i figli anche prima a patto che compiano i tre anni entro il 30 aprile successivo. Quindi le iscrizioni sono aperte anche ai bambini di due anni e mezzo. La scuola elementare inizia a sei anni ma, anche qui, vale il criterio già esposto per le materne: si possono iscrivere i bambini che compiano i sei anni entro il 30 aprile. La durata del ciclo didattico è di cinque anni divisi in un primo anno più due bienni. Ogni anno gli insegnanti valuteranno gli alunni, ma solo alla fine dei due bienni si deciderà se un bambino deve ripetere o no. Chi non ha avuto un buon risultato nel biennio deve comunque ripetere solo un anno e non il biennio. La valutazione dello scolaro, ma poi dello studente, riguarderà anche la «condotta». Lo studio di una lingua straniera comunitaria inizierà con la prima elementare. La scuola media sarà di tre anni, articolati in un primo anno più un biennio. Anche qui vale lo stesso criterio di valutazione, con la variante che alla fine dei tre anni lo studente dovrà sostenere un esame di Stato che avrà avere anche un valore di orientamento al percorso scolastico successivo. In prima media si inizierà lo studio di una seconda lingua straniera. Gli scolari, quindi, tra elementari e medie, studieranno due lingue comunitarie.
Finite le medie, lo studente si trova di fronte due percorsi: l´istruzione e la formazione professionale, entrambi di cinque anni e entrambi in grado di garantire l´accesso all´università. Il liceo avrà gli assi culturali tradizionali - classico, scientifico, artistico - più altri innovativi: economico, tecnologico, musicale, linguistico, delle scienze umane. Il quinto anno sarà di raccordo con l´università o la formazione tecnica superiore. La formazione professionale sarà una materia da definire con le Regioni: resta però fissato che consterà di tre anni (al termine dei quali si avrà una qualifica professionale) più un quarto di specializzazione che consentirà di accedere poi all´università. Chi però vorrà proseguire gli studi universitari, dovrà frequentare un ulteriore quinto anno, definito d´accordo con gli atenei, nel corso del quale verranno sanate eventuali lacune formative pregresse.
Nella scuola media superiore si potrà passare dai licei alla formazione professionale o viceversa, attraverso dei moduli di raccordo che la commissione Bertagna chiamò «laboratori»: si tratta di corsi integrativi che consentono di rimettersi in carreggiata rispetto al corso di studi che si intraprende. La scuola superiore prevede anche la possibilità di svolgere dei periodi di formazione presso aziende, attività sociali o professionali, a patto che questo percorso sia inserito in un piano di studi e sia quindi seguito dalla scuola. Analogo discorso vale per stage, corsi, esperienze in Italia o all´estero, che possono essere valutate «con specifiche certificazioni di competenza».
Dopo le superiori si può accedere all´università (costituita da tre anni più due) o alla formazione tecnica superiore, previo esame di Stato. Quanto ai docenti, tutti, indipendentemente dal tipo di scuola, dovranno avere una laurea triennale, più una specialistica più un tirocinio alle spalle. Inoltre si farà in modo di assicurare una formazione continua dei professori facendoli tornare periodicamente all´università: in questo modo i docenti otterranno dei «crediti» che saranno valutati ai fini dalla carriera. L´applicazione della riforma, infine, richiederà una serie di applicazioni che il ministro dell´Istruzione definirà attraverso dei decreti. Il merito e i costi di questi decreti applicativi, saranno definiti dal ministro entro 90 giorni dall´approvazione della delega. Il pacchetto sarà poi presentato al Consiglio dei ministri.
Letizia Moratti conta di iniziare ad applicare la riforma già da settembre (con l´anticipo delle iscrizioni a materne e elementari), ma il complesso della riforma sarà a regime nel 2008.

r. mas.

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E sempre sulla stampa una intervista a Panini della CGIL scuola. E' riportata dunque la posizione critica della cgil, ma astutamente separata da quella della UIL e della CISL, in una precisa operazione di separazione. E l'intervistatore non appare favorevole a Panini, prende le distanze con scetticismo.

(Del 2/2/2002 Sezione: Cronache italiane Pag. 4)


Cgil contraria

ROMA

SI va verso un impoverimento complessivo dell´offerta formativa - commenta Enrico Panini, segretario generale della Cgil scuola - : standard minimi, scomparsa dell´obbligo - c´è forse scritto "obbligo scolastico" da qualche parte? - separazione di formazione e istruzione con forti ricadute discriminatorie e classiste, e alla fine perfino pesanti interferenze su quelle parti del lavoro docente che sono specifica materia contrattuale».


Quali sono, segretario, le sue critiche alla riforma?

«Iniziamo dalla delega. Questa non doveva essere la riforma che non pioveva dall´alto? Lo ha detto la Moratti e lo ha confermato Berlusconi: una riforma condivisa. Ed ecco il dialogo: passerà per delega, che vuol dire mano libera al governo su una cosa che non è di destra o di sinistra ma della società nel suo insieme».

Questo riguarda il metodo e non il merito. Che c´entra con l´abbassamento dell´offerta formativa?

«Questa è una scuola che ha bisogno di più cultura, di più preparazione e invece vada a guardare dove si parla di "nucleo fondamentale", di "standard minimi" garantiti. Si propone cioè, non una scuola nazionale che cresce e dà di più, ma dei livelli minimi di istruzione per moduli di 25 ore a settimana, su cui - certamente - chi vuole potrà inserire altri apprendimenti, altre materie, ma il garantito è poco, e comunque è meno di quello di oggi».

I realtà c´è una libertà tale nel proporre l´offerta formativa, che ogni scuola potrà dare molto di più, da sola o in associazione con altre, non crede?

«Lo ha detto lei stesso: può, non deve. La scuola si impegna a dare un minimo, poi ci saranno le regioni più ricche, le scuole più ricche e organizzate, le famiglie più evolute e benestanti, che integreranno certamente la formazione dei loro figli e alunni. Ma tutti gli altri? Io contesto che scompaia da questa riforma il progetto di far crescere di più i ragazzi, tutti, indipendentemente dalle condizioni sociali ed economiche in cui si vengono a trovare».

Fino ad ora le classi meno abbienti accedevano alla formazione professionale, ora la riforma valorizza la formazione e permette anche un passaggio tra formazione e istruzione, entrambe in alternanza scuola-lavoro: una importante novità, non crede?

«Il doppio canale istruzione-formazione è classista, riporta la scuola indietro agli anni Cinquanta, e il passaggio liceo-formazione è meramente illusorio.»

Perché parla di scomparsa dell´obbligo scolastico?

«Lei l´ha letto da qualche parte? Si dice che bisogna stare nel percorso formativo per 12 anni, ma dai 15 anni di età si può stare anche in fabbrica come apprendista. Quello che io contesto è che la scuola che esce da questa riforma non ha più un progetto sociale dietro, è una sorta di servizio individuale a richiesta: hai bisogno di formazione per andare a lavorare? Io te la dò. Vuoi invece cultura di base su cui innestare poi una cultura che ti farai dove ti pare a spese tue? Io te la dò. Ma questa non è la scuola democratica che consente anche ai meno abbienti e meritevoli di raggiungere i più alti gradi dell´istruzione».

Perché lamenta una invasione del campo contrattuale per i docenti?

«Legga l´articolo 1, ai commi E, F, e G: iniziative di formazione del personale, rimborso delle spese di autoaggiornamento, valorizzazione del personale amministrativo ... e l´elenco potrebbe continuare: il governo avoca a sé, attraverso una legge delega peraltro, materie che sono del contratto. Una invasione di campo».

r. mas.
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E' un coro di applausi e commozione, sulle prime pagine dei giornali. Leggete attentamente questo articolo in prima pagina del Corriere della Sera, e capirete tutte le difficoltà che incontreremo nelle nostre future lotte. Per inciso Berlusconi e la Moratti vogliono difendere a spada tratta la scuola pubblica, non hanno forse fatto lo sgarbo alle private con l'anticipo dell'età scolare?... Capovolto il mondo cosa mai vorranno quelli del 15 febbraio?...

MODERNI, NON AZIENDALISTI

di GASPARE BARBIELLINI AMIDEI

Che sia una svolta, è innegabile. Cade una ostinazione ideologica almeno trentennale. Speriamo che non ne spunti un’altra. Il perdonismo pedagogico ha molto deluso e ha fatto danni, l’aziendalismo pedagogico sarebbe altrettanto negativo. Per ora stiamo al lato concreto delle innovazioni. Esse giustificano un cauto ottimismo. Meno enfasi e più precisione sulle singole cose da fare gioveranno a questa importante riforma che vuole mandare in archivio l’ipocrisia dei crediti e dei debiti e la finzione dei ricuperi fantasma, prendendo di petto non soltanto il tema arduo della valutazione degli apprendimenti, ma anche quello scottante della valutazione dei comportamenti. Ecco che si introducono, con l’eufemismo della parola «fermi», le bocciature previste ogni due anni, mentre il voto in condotta andrà a fare media nello scrutinio. Il passaggio è delicato. Se non vuole mettersi in testa l’elmetto di un autoritarismo anacronistico, questa nuova scuola deve onorare al più presto i grandi impegni che sottoscrive: centrale è una attenzione alla qualità degli studi che discenderà da un grande investimento nella qualità degli insegnamenti. La maggiore trasformazione in tale senso è nella pari dignità promessa alla formazione professionale, inserita in un sistema binario che vede scorrere in parallelo l’istruzione liceale.
I ragazzi che scelgono il percorso formativo non soltanto si vedranno garantita anno dopo anno una «passerella» per trasferirsi a volontà nell’esperienza liceale, cambiando così il progetto di futuro.
Avranno anche modo di proseguire dopo i quattro anni «normali», per un quinto, un sesto e un settimo anno, così da acquisire una qualifica professionale superiore, meglio spendibile sul mercato del lavoro come «quadri». Potranno pure avere un quinto anno ad hoc per affrontare l’esame di maturità e iscriversi in un ateneo.
Questi sono passaggi di modernità che la contrapposizione politica non impedisce di cogliere. Affidare al governo della scuola la possibile alternanza fra aula e lavoro dai 15 ai 18 anni sposta poi il baricentro delle esperienze e conferisce maggiore importanza al ruolo degli studenti e dei docenti.
Il progetto qua e là mostra i segni di compromessi interni alla maggioranza. È da verificare quanto arricchiscano e quanto piuttosto non impoveriscano in compattezza e in linearità gli studi le sconcertanti operazioni-spezzatino all’interno delle elementari (1 anno più 2 più 2 è il nuovo schema) e delle medie (2 anni più 1).
Centrale è la questione del primato della scuola pubblica, per la quale Berlusconi ha promesso grandi investimenti. Prendiamo in parola lui e il ministro Moratti. Alcuni interessi marginali delle scuole private sono stati qua e là toccati, anche se con qualche timido ripensamento. Quel po’ di anticipo nell’iscrizione alle materne e alle elementari dà fastidio al monopolio privato delle «primine». La coerenza nazionale dell’insegnamento pubblico è la garanzia della qualità e della libertà della scuola. La quota a parte dei piani di studio da lasciare alle diverse regioni nell’iniziale progetto governativo era limitata al 5 per cento. Lo schema approvato ieri affida invece la determinazione degli spazi di manovra ai decreti delegati. Tocca quindi al ministro difendere il valore nazionale del disegno, materie, metodi e valutazioni. Sarà bene lasciare fuori dalle aule stravaganze folcloristiche e velleitarie tentazioni localistiche.
L’Italia, che non è un’azienda e vuole una scuola pubblica che non sia un’azienda, gradisce però dalla maggioranza e dall’opposizione un segno di concretezza «manageriale»: cioè stare alle cose, meno slogan, meno cortei, meno fischi e meno applausi, e più realismo. Ora c’è un punto da cui partire.
Gaspare Barbiellini Amidei
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Prima Pagina

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Inneggiante anche il Giorno, basta con i buonismi ecco veramente la Riforma, e Berlinguer ha fatto una riformina...

on una legge delega che ha immediatamente sollevato dure critiche da parte dell'opposizione, la scuola italiana entra in Europa. E c'entra con una serie di innovazioni che si basano, prima di tutto, sul rigore e su una recuperata severità di giudizio. Si attenua, insomma, con una svolta netta, quel buonismo accolto dalla maggioranza di professori e studenti con grande entusiasmo alla fine degli anni Sessanta, nel corso dei quali si era sancita la morte della meritocrazia e della preparazione.
Il progetto Moratti (nella foto) ripropone ora e questo e quella. Indica una serie di sbarramenti da superare esclusivamente in base allo studio. Un ritorno al passato, questo, secondo alcuni critici, ma probabilmente un ritorno a una scuola meno politica e più tecnica. Dove imparare e insegnare tornano punti fermi dell'istruzione.
Sarà dura battaglia in aula?
Fra le cose più criticate, lo si era avvertito da tempo, c'è stata la divisione fra gli studi classici e quelli tecnici: una divisione troppo netta che per alcuni impedirà, a decisione presa, ogni possibilità di ripensamento. Da questo l'accusa dei sindacati nella quale si parla di «selezione e divisione». Oltre ovviamente al fatto che tale scuola nasce da una delega del governo. E tutto questo protestare lascia immaginare che la riforma Moratti non avrà in Parlamento un iter facile. E certamente non lo avrà nelle scuole. Si parla già di mobilitazione, di scontro, di battaglia senza esclusione di colpi contro il progetto diventato legge.
Ancora una volta il dibattito si sposterà nelle piazze. E così, mentre da una parte si critica il governo, accusato di arrogarsi il diritto di approvare per delega una legge così importante, dall'altra si torna ai vecchi sistemi di contestazione, che scavalcano ugualmente il Parlamento ricorrendo alla mobilitazione dei docenti e degli studenti.
Le proteste di Berlinguer
La sinistra risponde così al governo, e Luigi Berlinguer, autore di una riformina, ha fatto notare che tutto questo cancella il suo lavoro e la scuola torna la '62. In pratica sembra che le opposizioni rifiutino di guardare alla riforma Moratti come a un tentativo di entrare in Europa, e di mandarci giovani molto più preparati di quanto non stiamo facendo adesso. Ad esempio, avremo l'insegnamento di una lingua alle elementari e di due alle medie. Si spera inoltre che le lingue scelte vengano anche insegnate, e imparate, rimettendo in moto i meccanismi che troppe volte si erano dimenticati: quelli dell'apprendimento tramite uno studio più rigoroso.
Contenta la Confindustria, per due motivi: l'insegnamento delle lingue straniere e la formazione professionale, riconosciuta finalmente 'di serie A'. Insomma, una scuola in grado di darci ottimi docenti e avvocati, ma anche tecnici di primo livello, pronti per il lavoro. Ci auguriamo che sia così: ci auguriamo che l'idea del legislatore venga tradotta in concreto dagli insegnanti. A tutto vantaggio degli studenti e dei professionisti di domani.
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Affettuoso il Giorno, chiama Silvio, invece che dire Berlusconi. Affettuoso e un po' sorpreso delle resistenze degli insegnanti, Silvio (per nome) vuole aumentare persino la paga ai docenti... e poi li chiama persino cari...

Silvio: «Cari prof
vi aumento la paga»


ROMA — Protagonisti in cerca d'identità. I docenti tra la riforma della scuola e l'attesa dell'avvio delle trattative sul contratto che dovrebbero avviarsi a giorni. Tutto questo con uno sfondo: lo sciopero del 15 febbraio del pubblico impiego che ha avuto l'adesione anche dei sindacati della scuola.
Eppure il presidente del consiglio Silvio Berlusconi è fiducioso. «Per quanto riguarda un aumento delle retribuzioni dei docenti — ha detto ieri — sono ottimista. Spero ci sia questa possibilità». Possibilista, dunque, il capo del governo che poi torna su un tema a lui caro, la competizione, principio da estendersi anche al comparto dell'istruzione. «Competizione — ha detto Berlusconi — nel caso della scuola significherà anche più qualità e un premio maggiore ai docenti migliori che si applicheranno di più». E poi, ancora, competizione tra scuola pubblica e privata. Perchè la competizione «è morale, è giusta in tutti i settori, anche nella scuola».
La protesta dei sindacati
Immediata la risposta del sindacato e in particolare di Alessandro Ameli, coordinatore del Gilda. «Ciò che sfugge al presidente del consiglio — ha replicato Ameli — è che nella scuola si lavora in team ed è difficile, nell'interesse degli studenti, creare meccanismi di competizione differenti». Certo, per l'esponente sindacale, non è questo il sistema per costruire carriere. «Le funzioni obiettivo del passato — ha aggiunto Ameli — sono state un fallimento assoluto. E' storia già superata».
Carriera a parte e trattative sul contratto ancora da avviare, il corpo docente del futuro dovrà essere formato in maniera diversa, secondo la riforma. E su questo, va detto subito, i sindacati non sono poi così in disaccordo.
Il progetto Moratti prevede che non ci siano più concorsi per avere accesso all'insegnamento e che l'abilitazione sarà data dalle università. Per tutti sarà prevista poi una laurea triennale di base alla quale, per gli aspiranti docenti, si dovrà aggiungere un biennio specialistico.
Le iscrizioni degli aspiranti professori saranno a numero chiuso in rapporto ai posti realmente disponibili nella scuola. A decidere il «fabbisogno» sarà il ministero con una programmazione triennale che dovrà stabilire il numero dei docenti necessari per le diverse discipline. Infine, a coronamento di questo percorso, i candidati dovranno superare un esame che costituirà di fatto l'agognata abilitazione all'insegnamento con immediata immissione nelle graduatorie e possibilità di lavoro, prevede la riforma, entro un anno.
«Accorpamenti selvaggi»
Il piano per la formazione dei docenti, comunque, secondo la Cgil, dovrebbe ridurne drasticamente il numero, fin dal prossimo settembre. Per quella data, secondo Enrico Panini segretario del sindacato scuola, ci saranno 8.500 insegnanti in meno in virtù di quanto stabilito dalla Finanziaria e, tra due anni, saranno addirittura 36.000 le unità interessate. Su questo punto il giudizio fortemente negativo è condiviso anche dalla Cisl. Daniela Colturani parla di tagli che «non tengono conto nè dell'offerta formativa fin qui garantita nè della distribuzione della popolazione scolastica». Ancora più catastrofica l'Unicobas che prevede oltre 56.000 posti in meno in virtù dell'accorpamento delle classi con meno di 25 alunni e la riduzione del tempo pieno alle elementari e del tempo prolungato alle medie.
Silvia Mastrantonio

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E sul Mattino on line appare la protesta del 15 febbraio, rivolta più che altro al rinnovo contrattuale e non alla riforma. E il gioco mediatico è compiuto. Ci vorrà del bello e del buono per dire adesso cose contrarie ai media...

Contratto, docenti in piazza
I sindacati della scuola sul piede di guerra. Questa volta non è tanto la riforma ad agitarli quanto i primi effetti della Finanziaria contenuti nel decreto di determinazione degli organici del personale docente per l’anno scolastico 2002-2003. I tagli - guardando i dati percentuali regione per regione sembrano insignificanti - in realtà sono significati e portano ad una riduzione del corpo docente per il prossimo anno di circa 8.500 unità. Tagli e non solo. I sindacati hanno deciso di scendere in piazza il prossimo 15 febbraio. Ci saranno tutti: Cgil, Cisl e Uil, Snals, Gilda, Cobas e Unicobas. E questa paralisi è annunciata non solo per i tagli, ma anche per il mancato rinnovo del contratto di lavoro, scaduto il 31 dicembre scorso. E a giudicare dalla mancanza di risorse e, fino ad oggi, al mancato recupero del differenziale tra inflazione programmata e inflazione reale, la lotta è solo all’inizio. Anche perché le promesse fatte dal ministro Moratti sulla valorizzazione del corpo docente e sul progressivo allineamento degli stipendi italiani a quelli europei sono rimaste - per i sindacati - solo parole senza fatti concreti.
I tagli porteranno - per Enrico Panini, segretario della Cgil-scuola - in cinque anni ad una complessiva riduzione del 15% degli insegnanti, e questo colpisce la qualità della scuola pubblica. Durissima la Gilda, guidata da Alessandro Ameli, contro i tagli del personale e la mancata discussione del nuovo contratto di lavoro. E per questa ragione ed anche per la delega che il ministro Moratti si appresta a chiedere al Parlamento sulla riforma della scuola ha deciso di scendere in piazza il 15 febbraio.
Al malumore dei sindacati della scuola il cui sciopero, salvo tentativi fatti in extremis, paralizzerà tutto il sistema scolastico, si aggiungono i presidi. I dirigenti scolastici, che da poco hanno ottenuto il nuovo contrattato nazionale di lavoro, attendono con ansia la definizione del nuovo bando di concorso per i dirigenti. Bando che ancora non è stato presentato. Sarebbero 3.000 le scuole senza il dirigente scolastico e a dar man forte ai presidi ora ci penseranno i confederali.
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Invece una notizia sul Tirreno, ma di avantieri, parla di una iniziativa di insegnanti "autoconvocati", importante, in cui i riflettori sono puntati invece sulla dicotomia precoce formazione professionale formazione intellettuale.


venerdì 1 febbraio 2002 Martedì al liceo si costituisce il coordinamento
Insegnanti autoconvocati,
già cinquecento le adesioni
raccolte in dodici istituti

di Alessandro Bedini

LUCCA. Venerdì scorso al liceo scientifico Vallisneri erano in 150 gli insegnanti provenienti da ogni angolo della provincia riuniti in un'assemblea autoconvocata. Il prof. Fabio Greco, insegnante di italiano e latino al Vallisneri, si dice piacevolmente stupito da questa partecipazione «segno inequivocabile - afferma - che i grandi temi legati al futuro della scuola stanno a cuore a molti».
Greco tiene a sottolineare che egli non riveste alcun ruolo ufficiale; nel corso dell'assemblea si è limitato a sviluppare gli argomenti contenuti nel documento proposto dagli insegnanti autoconvocati.
Un documento che ha raccolto in pochi giorni circa 500 adesioni in appena una dozzina di scuole, 70 solo al liceo scientifico.
Professor Greco, come è nata l'idea di dar vita a questa assemblea?
«L'idea è nata nel novembre scorso in concomitanza col grande movimento che si è registrato intorno alla riforma scolastica da parte del governo e delle forze politiche.
«Ci è apparso chiaro che i grandi assenti da questo dibattito erano gli insegnanti divisi in decine di sigle sindacali e associazioni varie e dunque impotenti nel far sentire in modo chiaro la loro voce. Noi partiamo dalla necessità di riconoscere ai docenti un ruolo da protagonisti nel dibattito sul futuro della scuola nel nostro Paese».
Dunque voi non vi sentite rappresentati dai sindacati della scuola?
«Premesso che non intendiamo delegittimare nessuno, sono assolutamente convinto che al momento nessuno possa affermare di rappresentare la categoria insegnante nella sua interezza. L'esigenza è arrivare a posizioni il più possibile unitarie e con le attuali divisioni ciò appare del tutto improbabile.
«Il punto nodale è che occorre ascoltare gli insegnanti e non passare sopra la loro testa.
«Chiediamo anche ai sindacati di prendere posizione rispetto alle nostre elaborazioni e alle nostre proposte che sono modeste e ambiziose al tempo stesso e partono dalla base in modo spontaneo».
Che cosa ritenete più negativo nella riforma Moratti-Bertagna?
«Il fatto che la riforma preveda la possibilità di "buttare fuori" gli studenti dalla scuola a tredici anni inserendoli nella formazione professionale, dove non ci sarà un orientamento culturale e formativo che è invece indispensabile.
«Questo è un punto sul quale non intendiamo transigere.
«Per il resto, poiché non siamo conservatori, siamo aperti a qualsiasi seria discussione con chiunque avanzi proposte».
Quali sono i prossimi appuntamenti degli insegnanti autoconvocati?
«Martedì 5 alle ore 16.30 al liceo Vallisneri si terrà un incontro tra gli insegnanti che si sono dichiarati disponibili a formare un coordinamento del nostro gruppo. L'obiettivo è di riuscire a coinvolgere più da vicino anche le scuole della Versilia e della Garfagnana per estendere il movimento degli autoconvocati».

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