Su Il Giornale di Brescia incontro grande rislato a un incontro con la sottosegretaria Valentina Aprea, il succo è sempre lo stesso...
Prove di dialogo sulla riforma. Tentativi di dipanare matasse intricate in
cui si intrecciano problemi, storie, professionalità, competenze, destini
diversi. Che litinerario della riforma della scuola non fosse facile
e che avesse bisogno bisogno di tempi lunghi per maturare e radicarsi, si
sapeva. Lo sapevano in primis proprio i protagonisti della grande rivoluzione
educativa che porta il nome del ministro Moratti e che è stata pensata
e progettata proprio a Brescia da Giuseppe Bertagna. In questi «tempi
lunghi» trovano posto processi di confronto, di maturazione, di raccolta
delle possibili obiezioni e di assimilazione delle novità. Unoccasione
di confronto cè stata ieri sera. Nellauditorium di via
Ozanam, su invito del «Circolo di Brescia» si sono trovati il
neo provveditore Giuseppe Colosio, lassessore Carla Bisleri e il Sottosegretario
alla Pubblica Istruzione Valentina Aprea, coordinati dal giornalista senatore
Paolo Guzzanti. Intorno un pubblico folto e attento di docenti e di studenti.
Capire la riforma. Capire soprattutto i principi ispiratori della riforma,
prima ancora che i passaggi tecnici o le scelte operative. Questo il taglio
dellincontro. Giuseppe Colosio ha innanzitutto collocato la riforma
in un lungo processo che sta dando frutti proprio in questo tempo: autonomia,
decentramento, parità sono le parole chiave. Quindi ha colto gli aspetti
importanti, le occasioni da non perdere: la continuità della formazione
e la centralità del soggetto e delleducazione, il passaggio dallobbligo
scolastico al diritto, il richiamo forte allidentità nazionale
e regionale, i processi di valutazione sia degli alunni che del sistema scuola,
il doppio - e comunicante - canale di istruzione e formazione. Allassessore
Bisleri il compito di esprimere le obiezioni e le domande pungenti. Alla radice
una convinzione di fondo: la scuola non si può cambiare al cambiare
della maggioranza. Perché non affidare simili riforme almeno ai due
terzo del Parlamento? Quindi le domande: sullanticipo dingresso
nella scuola materna a due anni e mezzo e conseguente uscita a cinque e mezzo,
che rischia di snaturare lidentità della scuola stessa, tra le
più importanti ed «eccellenti» del sistema; sul nuovo ruolo
delle Regioni e sul rischio di nuovi centralismi; sul rapporto tutto da costruire
tra istruzione e formazione. E proprio ai principi ispiratori della riforma
ha fatto riferimento il sottosegretario Valentina Aprea. In campo alcuni avvenimenti
irreversibili, che hanno stravolto definitivamente lassetto nazionale:
lintegrazione europea e la modifica dellart. 5 della Costituzione,
con il superamento del primato dello Stato in materia distruzione e
il conferimento di potere legislativo alle Regioni in materia scolastica,
fatta salva lautonomia. Lorizzonte diviene quello della creazione
di una cittadinanza europea, della risposta concreta alle sfide della modernizzazione,
della globalizzazione, del cambiamento radicale dei modelli di lavoro e dei
tempi di durata dei lavori stessi. Essere capaci di rispondere alla complessità,
possedere lalfabeto dei nuovi mondi, i metodi per poter dilatare i processi
distruzione nellarco dellintera esistenza: questa la sfida
della nuova scuola. Valentina Aprea ha ripercorso i tratti essenziali della
Riforma Moratti, insistendo soprattutto sulla grande scommessa affidata ai
due canali dellistruzione e della formazione. Il mondo è cambiato
- ha detto - e più non reggono gli schemi di una volta e lantica
convinzione che esistono unistruzione di serie A liceale, e una di serie
B professionale. Occorre dare corpo alla personalizzazione dei percorsi formativi,
sperimentare la flessibilità in vista degli sbocchi futuri. Questo
non significa - ha affermato - liquidare il patrimonio di cultura che sta
alla base della nostra civiltà. Per questo - ha detto non verrà
cancellato il liceo classico, fondamento del nostro mondo. Sugli anticipi,
Valentina Aprea ha sottolineato il carattere sperimentale delliniziativa,
riconoscendo il rischio forte di ricadute soprattutto sulla scuola materna.
«Su questo dovremo confrontarci, valuteremo. Siamo aperti al dialogo.
La legge indicherà gli obiettivi, poi discuteremo con tutte le componenti
interessate». Rendere i ragazzi più forti, abituarli alla vita:
ecco un altro passaggio che si lega ai processi di valutazione: lannullamento
di prove e di sfide da vincere, ha reso in nostri ragazzi deboli e incapaci
di reggere qualsiasi frustrazione. Essere in Europa significa anche questo:
portare i nostri ragazzi ai livelli culturali dei loro coetanei targati Ue,
e renderli altrettanto forti e capaci di costruire, nel tempo, destini personali
robusti. Una sfida - ha detto Valentina Aprea, che costerà, alla partenza,
oltre 15mila miliardi di vecchie lire. Alle comunità, ai singoli, la
passione e la responsabilità di costruire percorsi nuovi, di esercitare
fino in fondo la libertà. (g. sc.)
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Su Il Resto del Carlino il resoconto di un convegno a Rovigo...
Un'idea
aziendalistica
della scuola Confronto sulla Legge-delega di riforma della scuola.Una legge
già in discussione al Senato, che il Governo ha ripetutamente dichiarato
di voler approvare prima dell'estate e che, certamente, darà il risultato
di cambiare profondamente i percorsi dell'istruzione nel nostro Paese. Da
qui l'interesse per il dibattito promosso dal Circolo di Adria de "La
Margherita", presenti l'on. Franco Grotto e l'assessore provinciale alla
Pi, Gioia Beltrame. Ha coordinato Gastone Nordio.
«Chiedendo al Parlamento la delega ha detto l'on. Grotto
di fatto lo si esautora delle sue prerogative, tra l'altro in una materia
così importante e delicata come la scuola. L'impressione è poi
ha aggiunto Grotto che la Legge di riforma sottenda un'idea
aziendalistica, fondata su costi-profitti, che male si addice alla scuola.
In questo senso va anche l'ipotesi di riforma degli Organi collegiali».
Alla Camera la Legge Moratti dovrebbe giungere nei prossimi giorni e ci si
attende un dibattito acceso. Anche perché nel secondo dopoguerra sono
stati ben 34 i tentativi di riformare, nel suo complesso, il sistema dell'istruzione;
tutti abortiti: ora si tenta di arrivarci chiedendo in tempi rapidi la delega
al Parlamento.
«Ma i dubbi sono tanti», sottolineava l'assessore provinciale,
Gioia Beltrame. «Dubbi alimentati sono ancora parole sue
dalla disinformazione. Abbiamo solo notizie sparse sulle reali intenzioni
del Governo, notizie che comunque allarmano».
Su tutto preoccupa l'assessore Beltrame la netta distinzione tra binari dell'istruzione
binari della formazione fin dai 14 anni: «Una scelta precocissima
è il giudizio dell'assessore provinciale che rischia di ghettizzare
le scuole professionali e soprattutto di non formare cittadini, ma manovalanza».
Valutata negativamente anche la rinuncia all'«obbligo scolastico»:
si parla solo di diritto-dovere, che viene giudicato come un potenziale abbassamento
della guardia nell'iter formativo dei ragazzi.
Positiva, invece, la scelta, soprattutto con riferimento alla scuola elementare
e media, di rendere biennale la valutazione, mentre lascia perplessi la scelta
di anticipare di sei mesi la possibilità di iscrivere i figli alla
scuola dell'infanzia.
«Nel complesso chiude la Beltrame un'ipotesi di riforma
con molte contraddizioni e poco coraggiosa».
Osvaldo Pasello
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E su Il Manifesto un articolo sulle espulsioni di bambini nella scuola
inglese...
In Gran Bretagna tolleranza zero per i bambini
Il Manifesto - 27-05-2002
Londra - Aumentano i bambini espulsi, temporaneamente o in maniera permanente, dalle scuole del Regno unito. E soprattutto aumentano gli espulsi nelle scuole elementari. In totale nell'anno scolastico 2000/2001 sono rimasti a casa 9.210 bambini, espulsi in maniera permanente. L'anno precedente erano stati espulsi in 8.323. Il dato è allarmante, anche se è la conferma di una tendenza piuttosto diffusa nelle scuole britanniche, quella a risolvere i problemi attraverso metodi repressivi. Non a caso, infatti, erano stati proprio gli insegnanti a chiedere di poter fare un uso più diffuso delle espulsioni anche nelle scuole elementari. Puntualmente la cosa si è verificata e nello scorso anno scolastico è stato espulso il 19% in più degli studenti tra i cinque e gli undici anni: 1.460 bambini costretti a casa soprattutto per problemi comportamentali. Le statistiche rivelano che i bambini neri hanno sette probabilità in più dei loro compagni bianchi di essere espulsi, mentre i bambini di origine indiana sono stati i meno colpiti dal provvedimento repressivo. L'aumento delle espulsioni è in parte da attribuire alla decisione del governo di rendere più semplice ricorrere al provvedimento di esclusione per quei bambini che non rispettano la disciplina o hanno comportamenti poco idonei all'ambiente scolastico o hanno atteggiamenti violenti nei confronti dei coetanei e degli insegnanti. Poiché dunque le espulsioni erano arrivate a un «livello accettabile», il governo ha di fatto dato il via libera agli insegnanti, che ora ricorrono in maniera sistematica a uno strumento che teoricamente avrebbero dovuto progressivamente eliminare. Quello delle espulsioni è soltanto un tassello nel complesso mosaico del rapporto scuola-bambini e più in generale adulti-minori in Gran Bretagna. E' di pochi mesi fa la sentenza dell'Alta corte che sancisce l'illegalità del ceffone (o della cintura) al bambino disobbediente. Una sentenza che ha scatenato un dibattito ben poco edificante sulla necessità di metodi violenti per impartire la disciplina ai figli. Le pagine dei giornali inglesi poi hanno dato ampio risalto, l'anno scorso, al caso finito in tribunale dell'insegnante che aveva «stretto un po' troppo» il collo dell'alunno «violento». I genitori degli alunni espulsi hanno cominciato a reagire alla punizione, impugnandola e portandola all'attenzione dei tribunali: il 90% dei ricorsi arriva all'udienza anche se c'è stato un calo nelle sentenze favorevoli agli alunni, passate dal 36.7% al 31.9%.
La ministra all'istruzione, Estelle Morris, cerca di smorzare i termini della questione ricordando che «l'espulsione è e deve rimanere l'ultima risorsa per gli insegnanti e i presidi». Sottolineando che «l'introduzione nelle scuole statali di insegnanti di sostegno sta cominciando a dare i suoi frutti», Morris ricorda anche che «il nostro compito è sostenere gli insegnanti vittime di abusi e violenze da parte degli studenti ma anche garantire che questi studenti continuino il loro percorso scolastico e non finiscano in strada». Ed è proprio su questo che i critici di quello che è ormai un facile ricorso alle espulsioni contestano: non è vero, dicono, che i ragazzi espulsi hanno l'opportunità di continuare la scuola. Molto spesso abbandonano e basta. Ma gli insegnanti e le associazioni che li rappresentano concordano nel dire che «l'aumento delle espulsioni riflette l'aumento di comportamenti violenti degli alunni». Affermazioni che contrastano con quelle di molti insegnanti di sostegno, per i quali non si pone abbastanza l'accento sui problemi legati a comportamenti violenti da parte di alcuni studenti. Quanto poi alla delicata questione di bambini di tre anni accusati di «comportamenti violenti» e nei confronti dei quali l'anno scorso l'associazione degli insegnanti e dei lettori ha chiesto di poter usare l'allontanamento, le critiche che vengono da chi ha il compito di aiutare l'insegnante di ruolo sono molte. Di fronte alle denunce degli insegnanti delle materne che dicono di essere stati vittime di «attacchi fisici, sputi, attacchi verbali» da parte di bambini di tre o quattro anni viene il sospetto che il problema sia più di capacità di gestione di alcune situazioni da parte degli insegnanti. Quando poi a suffragio di questa idea per cui bambini anche molto piccoli sono molto più violenti che in passato si porta la loro esposizione ai media che trasmettono violenza, oltre che a un sistema educativo familiare inadeguato, i dubbi sul sistema scolastico non possono che aumentare. Alle richieste di tolleranza zero anche nelle scuole fa eco la disponibilità di numerosi medici di prescrivere ai bambini «iperattivi» la controversa droga Ritalin. Che secondo molti medici riduce i bambini a piccoli robot dal carattere ritirato, depresso, letargico.
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