28 May, 2002

Su Il Giornale di Brescia incontro grande rislato a un incontro con la sottosegretaria Valentina Aprea, il succo è sempre lo stesso...

Prove di dialogo sulla riforma. Tentativi di dipanare matasse intricate in cui si intrecciano problemi, storie, professionalità, competenze, destini diversi. Che l’itinerario della riforma della scuola non fosse facile e che avesse bisogno bisogno di tempi lunghi per maturare e radicarsi, si sapeva. Lo sapevano in primis proprio i protagonisti della grande rivoluzione educativa che porta il nome del ministro Moratti e che è stata pensata e progettata proprio a Brescia da Giuseppe Bertagna. In questi «tempi lunghi» trovano posto processi di confronto, di maturazione, di raccolta delle possibili obiezioni e di assimilazione delle novità. Un’occasione di confronto c’è stata ieri sera. Nell’auditorium di via Ozanam, su invito del «Circolo di Brescia» si sono trovati il neo provveditore Giuseppe Colosio, l’assessore Carla Bisleri e il Sottosegretario alla Pubblica Istruzione Valentina Aprea, coordinati dal giornalista senatore Paolo Guzzanti. Intorno un pubblico folto e attento di docenti e di studenti. Capire la riforma. Capire soprattutto i principi ispiratori della riforma, prima ancora che i passaggi tecnici o le scelte operative. Questo il taglio dell’incontro. Giuseppe Colosio ha innanzitutto collocato la riforma in un lungo processo che sta dando frutti proprio in questo tempo: autonomia, decentramento, parità sono le parole chiave. Quindi ha colto gli aspetti importanti, le occasioni da non perdere: la continuità della formazione e la centralità del soggetto e dell’educazione, il passaggio dall’obbligo scolastico al diritto, il richiamo forte all’identità nazionale e regionale, i processi di valutazione sia degli alunni che del sistema scuola, il doppio - e comunicante - canale di istruzione e formazione. All’assessore Bisleri il compito di esprimere le obiezioni e le domande pungenti. Alla radice una convinzione di fondo: la scuola non si può cambiare al cambiare della maggioranza. Perché non affidare simili riforme almeno ai due terzo del Parlamento? Quindi le domande: sull’anticipo d’ingresso nella scuola materna a due anni e mezzo e conseguente uscita a cinque e mezzo, che rischia di snaturare l’identità della scuola stessa, tra le più importanti ed «eccellenti» del sistema; sul nuovo ruolo delle Regioni e sul rischio di nuovi centralismi; sul rapporto tutto da costruire tra istruzione e formazione. E proprio ai principi ispiratori della riforma ha fatto riferimento il sottosegretario Valentina Aprea. In campo alcuni avvenimenti irreversibili, che hanno stravolto definitivamente l’assetto nazionale: l’integrazione europea e la modifica dell’art. 5 della Costituzione, con il superamento del primato dello Stato in materia d’istruzione e il conferimento di potere legislativo alle Regioni in materia scolastica, fatta salva l’autonomia. L’orizzonte diviene quello della creazione di una cittadinanza europea, della risposta concreta alle sfide della modernizzazione, della globalizzazione, del cambiamento radicale dei modelli di lavoro e dei tempi di durata dei lavori stessi. Essere capaci di rispondere alla complessità, possedere l’alfabeto dei nuovi mondi, i metodi per poter dilatare i processi d’istruzione nell’arco dell’intera esistenza: questa la sfida della nuova scuola. Valentina Aprea ha ripercorso i tratti essenziali della Riforma Moratti, insistendo soprattutto sulla grande scommessa affidata ai due canali dell’istruzione e della formazione. Il mondo è cambiato - ha detto - e più non reggono gli schemi di una volta e l’antica convinzione che esistono un’istruzione di serie A liceale, e una di serie B professionale. Occorre dare corpo alla personalizzazione dei percorsi formativi, sperimentare la flessibilità in vista degli sbocchi futuri. Questo non significa - ha affermato - liquidare il patrimonio di cultura che sta alla base della nostra civiltà. Per questo - ha detto non verrà cancellato il liceo classico, fondamento del nostro mondo. Sugli anticipi, Valentina Aprea ha sottolineato il carattere sperimentale dell’iniziativa, riconoscendo il rischio forte di ricadute soprattutto sulla scuola materna. «Su questo dovremo confrontarci, valuteremo. Siamo aperti al dialogo. La legge indicherà gli obiettivi, poi discuteremo con tutte le componenti interessate». Rendere i ragazzi più forti, abituarli alla vita: ecco un altro passaggio che si lega ai processi di valutazione: l’annullamento di prove e di sfide da vincere, ha reso in nostri ragazzi deboli e incapaci di reggere qualsiasi frustrazione. Essere in Europa significa anche questo: portare i nostri ragazzi ai livelli culturali dei loro coetanei targati Ue, e renderli altrettanto forti e capaci di costruire, nel tempo, destini personali robusti. Una sfida - ha detto Valentina Aprea, che costerà, alla partenza, oltre 15mila miliardi di vecchie lire. Alle comunità, ai singoli, la passione e la responsabilità di costruire percorsi nuovi, di esercitare fino in fondo la libertà. (g. sc.)
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Su Il Resto del Carlino il resoconto di un convegno a Rovigo...

Un'idea
aziendalistica
della scuola Confronto sulla Legge-delega di riforma della scuola.Una legge già in discussione al Senato, che il Governo ha ripetutamente dichiarato di voler approvare prima dell'estate e che, certamente, darà il risultato di cambiare profondamente i percorsi dell'istruzione nel nostro Paese. Da qui l'interesse per il dibattito promosso dal Circolo di Adria de "La Margherita", presenti l'on. Franco Grotto e l'assessore provinciale alla Pi, Gioia Beltrame. Ha coordinato Gastone Nordio.
«Chiedendo al Parlamento la delega – ha detto l'on. Grotto – di fatto lo si esautora delle sue prerogative, tra l'altro in una materia così importante e delicata come la scuola. L'impressione è poi – ha aggiunto Grotto – che la Legge di riforma sottenda un'idea aziendalistica, fondata su costi-profitti, che male si addice alla scuola. In questo senso va anche l'ipotesi di riforma degli Organi collegiali».
Alla Camera la Legge Moratti dovrebbe giungere nei prossimi giorni e ci si attende un dibattito acceso. Anche perché nel secondo dopoguerra sono stati ben 34 i tentativi di riformare, nel suo complesso, il sistema dell'istruzione; tutti abortiti: ora si tenta di arrivarci chiedendo in tempi rapidi la delega al Parlamento.
«Ma i dubbi sono tanti», sottolineava l'assessore provinciale, Gioia Beltrame. «Dubbi alimentati – sono ancora parole sue – dalla disinformazione. Abbiamo solo notizie sparse sulle reali intenzioni del Governo, notizie che comunque allarmano».
Su tutto preoccupa l'assessore Beltrame la netta distinzione tra binari dell'istruzione binari della formazione fin dai 14 anni: «Una scelta precocissima – è il giudizio dell'assessore provinciale – che rischia di ghettizzare le scuole professionali e soprattutto di non formare cittadini, ma manovalanza».
Valutata negativamente anche la rinuncia all'«obbligo scolastico»: si parla solo di diritto-dovere, che viene giudicato come un potenziale abbassamento della guardia nell'iter formativo dei ragazzi.
Positiva, invece, la scelta, soprattutto con riferimento alla scuola elementare e media, di rendere biennale la valutazione, mentre lascia perplessi la scelta di anticipare di sei mesi la possibilità di iscrivere i figli alla scuola dell'infanzia.
«Nel complesso – chiude la Beltrame – un'ipotesi di riforma con molte contraddizioni e poco coraggiosa».
Osvaldo Pasello

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E su Il Manifesto un articolo sulle espulsioni di bambini nella scuola inglese...

In Gran Bretagna tolleranza zero per i bambini

Il Manifesto - 27-05-2002

Londra - Aumentano i bambini espulsi, temporaneamente o in maniera permanente, dalle scuole del Regno unito. E soprattutto aumentano gli espulsi nelle scuole elementari. In totale nell'anno scolastico 2000/2001 sono rimasti a casa 9.210 bambini, espulsi in maniera permanente. L'anno precedente erano stati espulsi in 8.323. Il dato è allarmante, anche se è la conferma di una tendenza piuttosto diffusa nelle scuole britanniche, quella a risolvere i problemi attraverso metodi repressivi. Non a caso, infatti, erano stati proprio gli insegnanti a chiedere di poter fare un uso più diffuso delle espulsioni anche nelle scuole elementari. Puntualmente la cosa si è verificata e nello scorso anno scolastico è stato espulso il 19% in più degli studenti tra i cinque e gli undici anni: 1.460 bambini costretti a casa soprattutto per problemi comportamentali. Le statistiche rivelano che i bambini neri hanno sette probabilità in più dei loro compagni bianchi di essere espulsi, mentre i bambini di origine indiana sono stati i meno colpiti dal provvedimento repressivo. L'aumento delle espulsioni è in parte da attribuire alla decisione del governo di rendere più semplice ricorrere al provvedimento di esclusione per quei bambini che non rispettano la disciplina o hanno comportamenti poco idonei all'ambiente scolastico o hanno atteggiamenti violenti nei confronti dei coetanei e degli insegnanti. Poiché dunque le espulsioni erano arrivate a un «livello accettabile», il governo ha di fatto dato il via libera agli insegnanti, che ora ricorrono in maniera sistematica a uno strumento che teoricamente avrebbero dovuto progressivamente eliminare. Quello delle espulsioni è soltanto un tassello nel complesso mosaico del rapporto scuola-bambini e più in generale adulti-minori in Gran Bretagna. E' di pochi mesi fa la sentenza dell'Alta corte che sancisce l'illegalità del ceffone (o della cintura) al bambino disobbediente. Una sentenza che ha scatenato un dibattito ben poco edificante sulla necessità di metodi violenti per impartire la disciplina ai figli. Le pagine dei giornali inglesi poi hanno dato ampio risalto, l'anno scorso, al caso finito in tribunale dell'insegnante che aveva «stretto un po' troppo» il collo dell'alunno «violento». I genitori degli alunni espulsi hanno cominciato a reagire alla punizione, impugnandola e portandola all'attenzione dei tribunali: il 90% dei ricorsi arriva all'udienza anche se c'è stato un calo nelle sentenze favorevoli agli alunni, passate dal 36.7% al 31.9%.

La ministra all'istruzione, Estelle Morris, cerca di smorzare i termini della questione ricordando che «l'espulsione è e deve rimanere l'ultima risorsa per gli insegnanti e i presidi». Sottolineando che «l'introduzione nelle scuole statali di insegnanti di sostegno sta cominciando a dare i suoi frutti», Morris ricorda anche che «il nostro compito è sostenere gli insegnanti vittime di abusi e violenze da parte degli studenti ma anche garantire che questi studenti continuino il loro percorso scolastico e non finiscano in strada». Ed è proprio su questo che i critici di quello che è ormai un facile ricorso alle espulsioni contestano: non è vero, dicono, che i ragazzi espulsi hanno l'opportunità di continuare la scuola. Molto spesso abbandonano e basta. Ma gli insegnanti e le associazioni che li rappresentano concordano nel dire che «l'aumento delle espulsioni riflette l'aumento di comportamenti violenti degli alunni». Affermazioni che contrastano con quelle di molti insegnanti di sostegno, per i quali non si pone abbastanza l'accento sui problemi legati a comportamenti violenti da parte di alcuni studenti. Quanto poi alla delicata questione di bambini di tre anni accusati di «comportamenti violenti» e nei confronti dei quali l'anno scorso l'associazione degli insegnanti e dei lettori ha chiesto di poter usare l'allontanamento, le critiche che vengono da chi ha il compito di aiutare l'insegnante di ruolo sono molte. Di fronte alle denunce degli insegnanti delle materne che dicono di essere stati vittime di «attacchi fisici, sputi, attacchi verbali» da parte di bambini di tre o quattro anni viene il sospetto che il problema sia più di capacità di gestione di alcune situazioni da parte degli insegnanti. Quando poi a suffragio di questa idea per cui bambini anche molto piccoli sono molto più violenti che in passato si porta la loro esposizione ai media che trasmettono violenza, oltre che a un sistema educativo familiare inadeguato, i dubbi sul sistema scolastico non possono che aumentare. Alle richieste di tolleranza zero anche nelle scuole fa eco la disponibilità di numerosi medici di prescrivere ai bambini «iperattivi» la controversa droga Ritalin. Che secondo molti medici riduce i bambini a piccoli robot dal carattere ritirato, depresso, letargico.

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