Le notizie di oggi sono dominate da Israele e Palestina, purtuttavia ecco un articolo che ci interessa, pubblicato su Il Manifesto di oggi, 3 aprile 2002, sull'inizio del dibattito parlamentare sull'art. 18:
Nel giorno di avvio delle votazioni in senato sull'articolo 18 e sul resto
della delega sul lavoro, il segretario generale della Cgil, Sergio Cofferati
lancia le sue controproposte al governo con una lunga intervista (due pagine)
al quotidiano La Repubblica. Dopo aver ribadito la posizione del sindacato
su un terrorismo invisibile ancora più pericoloso di quello degli anni
Settanta e dopo aver ribadito lo sbalordimento personale rispetto al «cumulo
di ingiurie riversato su di noi da membri dell'esecutivo», Cofferati
sostiene che l'unico modo per far ripartire una qualche forma di dialogo sta
nello stralcio dell'articolo 18 e delle norme sull'arbitrato.
C'è solo una possibile via d'uscita: «Resto convinto - dice Cofferati
- che se ne esca solo stralciando il tema dell'articolo 18 dalla delega sul
lavoro». Ma proprio per evitare la paralisi è necessario ribaltare
completamente l'impostazione. Secondo Cofferati, i temi da discutere sono
altri, a cominciare dalla delega sul fisco. Le due aliquote ipotizzate dal
governo «cancellano la progressività del prelievo» e il
minor gettito manderà in crisi tutto il sistema delle protezioni sociali.
Cofferati non dimentica poi le altre due deleghe che non sono certo meno pericolose.
Si tratta dei provvedimenti del ministro Moratti che «indeboliscono
l'istruzione pubblica» e della delega sulla previdenza che, prefigurando
il taglio dei contributi, mette a rischio «l'equilibrio generale del
sistema».
Fin qui le posizioni già note. Dopodiché Cofferati affronta
le proposte che il sindacato potrebbe avanzare. Le priorità non sono
certo quelle del governo e neppure quelle della Confindustria. Ecco dunque
la sua scaletta: la prima priorità riguarda il lavoro atipico, «un
mercato di diritti ineguali». C'è tutta un'area del lavoro che
non è protetta,
quella dei «collaboratori coordinati e continuativi». Bisogna
assicurare a tutti loro «diritti identici e tutele equivalenti».
Ci vuole perciò un contratto collettivo nazionale anche per i «lavoratori
atipici». La seconda priorità riguarda gli ammortizzatori sociali.
Secondo Cofferati non possono più essere concepiti come integra/ione
del reddito di chi ha perso il lavoro, ma strumenti «funzionali alla
riorganizzazione d'impresa». Si do-rebbero abolire per sempre i «prepensionamenti»
e sostituirli con contratti e strumenti solidaristici che anche in presenza
di crisi aziendali «preservino le quantità di lavoro date e il
valore delle professionalità acquisite». In questo quadro è
fondamentale la «formazione permanente», che implica naturalmente
risorse. Come servono risorse per tutte le altre riforme. E dovranno per forza
di cose essere reperite attraverso la fiscalità generale, tutto l'opposto
di quel che chiede la Confindustria che pensa a nuovi tagli alle pensioni
e ai prepensionamenti.
Cofferati si sbilancia anche sulla questione scivolosa dell'arbitrato. Ridadendo
che la delega del governo è completamente sbagliata perché propone.un
«arbitrato secondo equità» come categoria dello spirito,
il segretario della Cgil pensa a una possibile riforma dei percorsi giudiziali
da integrare con strumenti quali la «conciliazione obbligatoria e l'arbitrato
volontario». Ma entrare nel merito di tutto ciò sarebbe come
dire che il dialogo si è riaperto alla vigilia di un grande sciopero
generale unitario. La realtà invece è tutt'altra. Il dialogo
con il governo praticamente non esiste e ieri il sottosegretario al lavoro,
Maurizio Sacconi (parlando forse a nome anche di altri) ha stroncato le proposte
di Cofferati come un nulla di nuovo, «sono posizioni note, già
espresse dalla Cgil».
Se questo e il clima delle relazioni sindacali italiane, non tira aria migliore
al senato dove ieri è ripartito l'iter della delega sul la voro che
contiene appunto la sospensione («sperimentale») dell'articolo
18. In commissione c'è stato uno scontro tra maggioranza e opposizione.
Governo e maggioranza (per il governo era presente proprio il sottosegretario
Sacconi) hanno respinto la proposta di «sospensiva» avanzata dall'Ulivo
e da Rifondazione comunista. La proposta era molto semplice: siccome il premier
Berlu-sconi ha parlato della volontà di riaprire il dialogo, allora
sarebbe opportuno sospendere l'iter parlamentare della delega. Ma la maggioranza
ha risposto picche: niente so-spensiva, casomai votiamo solo alla fine le
parti più controverse, ovvero quelle sull'articolo 18 e l'arbitrato.
Ma le opposizioni hanno respinto a loro volta questa proposta di «mediazione»
avanzata da Sacconi e tutto è stato azzerato. O meglio tutto è
ripartito dato che si riparte dal voto dell'articolo 1 della delega, quello
che riforma il collocamento. Complessivamente gli emendamenti sono più
di mille e c'è chi parla (il Pdci per esempio) della necessità
di una battaglia di ostruzionismo. Per ora si va avanti, come dice il relatore
Oreste Tofani di An. E si va avanti spediti verso lo sciopero generale del
16.
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E un altro articolo, sempre sul Manifesto di oggi, rileva una piccola vittoria degli insegnanti, non è più obbligatoria la domanda per presidente delle commissioni d'esame per coloro che non sono commissari interni. Piccolo commento nostro: non trovate esasperante il fatto che venga detta una cosa poi il contrario di quella ecc? Non potrebbero pensarci prima dire?
Bella notizia per gli insegnanti: il ministero della istruzione ha fetta
marcia indietro sulla circolare di febbraio che imponeva per la prima volta
ai professori con dieci anni di servizio di essere «a disposizione»
per fare i presidenti nelle commissioni degli esami di maturità Con
una nuova circolare, firmata il 26 marzo, il ministero corregge il tiro: torna
la «volontarietà». Chi avesse già inviato la domanda,
convinto di essere costretto, può «dare indicazioni della propria
indisponibilità al dirigente scolastico». Morale della favola-
nuovo clamoroso scivolone del dicastero di viale Trastevere. Perdipiù
il tono perentorio con cui si istituiva tout court la nuova regola («si
rammenta che la partecipazione ai lavori della commissione rientra tra gli
obblighi inerenti lo svolgimento delle funzioni proprie del personale della
scuola salvo le deroghe consentite dalle norme vigenti Non è, pertanto,
consentito rifiutare l'incarico o lasciarlo») aveva scatenato pesanti
polemiche tra il corpo docente, in cui - dai tempi della famosa "bozza
Bertagna" -cresce l'insofferenza nei confronti del dirigismo del mi-
nistro Morattì. E questa volta non si tratta di semplici "umori"
(se mai lo sono stati), perché la circolare diramata dal ministero
è fuori da ogni normativa vigente. Infetti né lo Stato giuridico
del personale docente, né i contratti nazionali di lavoro (di cui si
attende con ansia il rinnovo) prevedono che gli insegnanti debbano assumere
ruoli di leadership rispetto ad altri colleghi, tanto più quando "leadership"
significa fare il presidente di una commissione d'esame, funzione per cui
vengono sborsate buone retribuzioni, ma che comporta numerosi rischi (per
esempio i ricorsi).
«Si sa che questo ministro appartiene a un governo che non ama il confronto
con i sindacati, ma il pensare di muoversi in un ambito statale, regolato
da leggi, come il padrone delle ferriere è sintomo non solo di arroganza
ma anche di incompetenza», ha commentato tagliente Pino Patroncini,
della Cgil scuola Che sottolinea come il problema dei presidenti di commissione
è legato a doppio filo alla riforma degli esami di maturità,
per niente gradita dalle scuole statali. Com'è noto, il ministro Moratti
ha totalmente stravolto la procedura degli esami di stato attraverso la legge
finanziaria stabilendo che le commissioni d'esame devono essere composte da
membri interni con il solo presidente estemo. Un modo per risparmiare, certo,
ma secondo molti anche un bel regalo alle scuole private. Per non parlare
del rischio che in questo modo si acceleri la perdita del valore legale del
titolo di studio. Per questo il 12 aprile la Cgìl scuola sta organizzando
volantinaggi di fronte alle scuole superiori, inizio di una "campagna
d'opinione" contro i nuovi esami di stato. Ma come mai il ministero ha
azzardato la diffusione di questa circolare, creando un ennesimo strappo con
il corpo docente? il fatto è che potrebbe effettivamente crearsi una
carenza di "presidi di commissione" perché nella legge finanziaria
si stabilisce che le commissioni debbano essere composte solo da docenti e
dirigenti scolastici delle scuole superiori. Storicamente, invece, anche i
dirigenti scolastici delle scuole medie potevano svolgere il ruolo di presidente.
Ora, è noto che ogni anno servono 7 mila presidenti, e i dirigenti
scolastici delle scuole superiori (che non possono rifiutarsi di essere "a
disposizione", al contrario degli insegnanti) sono solo 3500. fl pericolo
di una voragine effettivamente c'è, anche se negli ambienti scolastici
nessuno si preoccupa, visto che le retribuzioni sono buone e, si dice, i "volontari"
non mancheranno.
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Riportiamo ora un articolo di Giorgio Cremaschi, che fa notare come sostituire
l'art 18 con una trattativa sul "libro bianco" di Maroni non è
che sia poi un gran passo avanti. L'articolo è apparso su Liberazione
del 2 aprile.
Il libro bianco
Il dolore per l'assassinio del pro-fessor Marco Biagi e la rabbia verso i
serial killer delle Brigate rosse con i loro puntuali interventi destabilizzanti
della democrazia italiana, non ci possono far dimenticare il significato del
"libro bianco" che ha ispirato e ispira l'azione del governo Berlusconi
In questi ultimi giorni da diverse parti, anche nello schieramento che si
contrappone alla scelta del governo di colpire l'art 18 dello Statuto dei
lavoratori, si sostiene che sarebbe opportuno ripartire dal "libro bianco"
perché lì si troverebbero le basi per una positiva mediazione
sociale. Non è così.
il libro bianco contiene, spiegati in dettaglio, tutti i punti fondamentali
che hanno mosso il governo a varare le ipotesi di leggi delega e che ispirano
l'azione della Confindustria. In quel testo si dice con chiarezza che la concertazione
degli anni Novanta è finita, con una critica ad essa "da destra",
perché avrebbe dato un potere di veto al sindacato. Inoltre si sostiene
che il contratto nazionale di lavoro va drasticamente ridimensionato, al fine
di ottenere un profondo cambiamento nei solari reali, con la fine della tutela
unica del potere d'acquisto in tutto il paese. Non solo al mezzogiorno si
riservano nuove forme di gabbie salariali, ma lo stesso avviene per i diritti
individuali e per la flessibilità. Tutta la filosofia che ispi-ra il
libro bianco è fondata sull'idea liberista della "occupabilità".
il che vuol dire che chi non trova posto di lavoro deve fare in modo di costare
il meno possibile per diventare conveniente perle imprese. La riduzio-ne dei
diritti e dei salali per ottenere l'occupazione accompagna l'altra grande
scelta di quel testo: quella della "rimodulazione" dei diritti tra
chi ha più tutele e chi ne ha meno. Nella sostanza si sostiene che
per dare qualche diritto in più, in realtà non si capisce quali,a
chi ne è sprov-visto, occorre ridurre le tutele e i diritti a chi ne
ha Così si giustifica l'attacco all'art 18, non nominato esplicitamente
nel libro bianco, ma spiegato nel dettaglio. Così si giusti-fica e
si sostiene la necessità di una maggiore flessibilità in uscita,
cioè una maggiore possibilità di licenziare, per aumentare le
entrate.
Se poi andiamo agli orari, alla tutela della salute, ai salari, alle politiche
contrattuali, scopriamo nel libro bianco le stesse identiche posizioni che
oggi rivendica la Confindustria e che sicuramente verranno riproposte nella
prossima assemblea di Parma dell'organizza-zione imprenditoriale. Bisogna
ridurre e abbassare le tutele e lascia-re tutto il resto al mercato e alla
contrattazione, fino al cosiddetto contratto individuale, nuova dimensio-ne
dello sfruttamento del lavoro.
Non ha senso proporre una sorta di scambio tra la rinuncia del governo all'attacco
sull'art. 18 e la disponibilità sindacale ad accettare il libro bianco.
Sarebbe come se a un inquilino minacciato di sfratto gli si proponesse di
accettare di abbandonare la casa, a condizioni che gli venisse detto con parole
più gentili. Invece dobbiamo lottare non solo contro l'arroganza e
gli insulti del governo Berlusconi ma anche contro ogni politica che voglia
sfrattare i lavoratori dalla tutela dei diritti conquistati negli ultimi cinquantanni
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