6 January, 2002

 

Un articolo importante di ieri sul Manifesto a proposito del mancato avvio del decentramento regionale della scuola e della "illegalità" di una serie di provvedimenti che il governo continua a prendere


Scuola, un golpe sottobanco
Un misterioso decreto del ministero smantella l'autonomia scolastica e ripristina il centralismo
IAIA VANTAGGIATO


Centralismo gerarchico e limitazione dell'autonomia scolastica. Rema in questa direzione il decreto ministeriale firmato a sorpresa, il 21 dicembre scorso, da Letizia Moratti. Un decreto fantasma, come lo definisce il segretario generale della Cgil scuola Enrico Panini che ne ha avuto notizia - "in maniera rocambolesca", come tiene a precisare - solo il 3 gennaio scorso. Del decreto non c'è traccia, infatti, su nessuna Gazzetta ufficiale né alcuna notizia ne è stata data sul sito Internet del ministero dell'istruzione.
Eppure le disposizioni che il provvedimento contempla non sono certo di poco conto: viene sospesa l'entrata in vigore dei Centri Servizi per le istituzioni scolastiche (Cis) e decretato il potenziamento dei Centri scolastici amministrativi (Csa). Entrambi - Cis e Csa - erano stati pensati come reti decentrate di supporto per le scuole: i primi sul versante didattico, dell'aggiornamento e della formazione; i secondi, su quello amministrativo. Questi ultimi, addirittura, avrebbero dovuto sostituire gli ormai obsoleti e pachidermici provveditorati.
Il decreto con cui Cis e Csa erano stati istituiti mirava, insomma, a spostare la gestione della pubblica istruzione dal centro alla periferia e, non a caso, era stato approvato con l'assenso della conferenza unificata stato-regioni e con l'approvazione delle confederazioni sindacali. Ma il nuovo assetto - che doveva entrare in vigore dall'1 gennaio di quest'anno - non decolla. La spiegazione è in un provvediemnto che viene inviato ai soli direttori regionali: nessuna consultazione con la conferenza stato-regioni né con i sindacati di categoria. Al governo Berlusconi basta, insomma, una semplice informativa per liquidare il confronto con i sindacati.
"Ci sono tutti gli elementi - commenta Panini - per aumentare il livello di contenzioso tra la gestione centralizzata del ministero che nega l'esistenza delle regioni e il ruolo affidato alle regioni stesse dalle leggi della Repubblica". Giova ricordare che la stessa autonomia scolastica - dal 7 ottobre scorso - è entrata nel nuovo testo della nostra Costituzione.
Così che il decreto-Moratti apre due ordini di questioni: di merito e di metodo.
Nel merito: la sospensione dei Cis determina il fallimento di qualsiasi progetto di sperimentazione didattica legato al territorio mentre i centri amministrativi appaiono come una riedizione dei vecchi provveditorati, con un dirigente a capo di ciascuno. "Oltre a una lievitazione della spesa - commenta Panini - ciò comporta un maggiore centralismo nell'amministrazione e va contro l'autonomia e il ruolo delle regioni".
Quanto al metodo: come è possibile che un decreto ministeriale possa modificare senza consultazione del consiglio dei ministri o pubblicazione ufficiale una legge dello stato? La risposta - naturalmente - è in punta di diritto. Se la norma che ha istituito Cis e Csa è una legge, beh, ci vuole un'altra legge per modificarla. A meno che l'inghippo non sia nascosto nelle pieghe di una qualche delega che consente - fino a oggi - interventi correttivi. Ma anziché di una legge potrebbe trattarsi di un regolamento e non di conti: in tal caso ci vorrebbe comunque un nuovo regolamento del consiglio dei ministri previo parere del consiglio di stato. Nell'un caso e nell'altro - trattandosi di materie di competenza regionale - sarebbe gradito il parere della conferenza unificata di stato-regioni. Che è ben lungi dall'essere stata consultata. La battaglia sulla devolution potrebbe cominciare da qui. Vittime, intanto, di un altro fantasma - "il contratto che non c'è" - sciopereranno i presidi l'11 febbraio. Confermata per il 15 febbraio la grande mobilitazione unitaria del pubblico impiego.

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In un articolo sull'Avvenire di oggi invece viene posto l'accento sulla flessibilità dei programmi, che a nostro avviso risulta sempre pericolosissima, permettendo rapidamente la costituzione di scuole di serie A e di serie B, bisognerà discuterne, non è semplice smontare la paparente ragionevolezza di quello che viene detto.


POST STATI GENERALI
SCUOLA, L'ORA DEI PERCORSI FLESSIBILI

Giorgio Chiosso


I documenti elaborati dal gruppo degli esperti del ministro Moratti e presentati in occasione dei recenti Stati Generali hanno avviato un'ampia discussione sulla riforma scolastica. Dopo i cortei, le proteste e gli slogan rituali sarebbe importante ora aiutare il mondo politico a indirizzarsi sulle scelte migliori.

Gli opinionisti e gli esperti di scuola hanno per lo più rivolto la loro attenzione alle cosiddette "proposte di sistema": se sia opportuno o meno pensare all'acquisizione di un credito formativo già nella scuola dell'infanzia, se sia compatibile la riduzione del percorso secondario di un anno con l'esigenza di qualità della preparazione, a quali condizioni si possa dar vita ad un nuovo canale di formazione secondaria finalizzato alle professioni, ecc. Minore interesse hanno, invece, suscitato altre "raccomandazioni" degli esperti, come ad esempio quella - che si può considerare il vero "cuore" del progetto - dei percorsi scolastici "personalizzati" predisposti, cioè, non più sulla base dei tradizionali programmi, ma sul "profilo in uscita" (educativo, culturale, professionale) dell'alunno ovvero ciò che dovrebbe "sapere ed essere" uno studente al termine di ogni ciclo scolastico.

La fine dei tradizionali programmi d'insegnamento è già stata sancita dalla legge sull'autonomia delle scuole, approvata nel 1997 ed entrata in vigore l'anno scorso. Le varie forme di autonomia attribuite alle scuole (organizzativa, didattica, finanziaria, ecc.) risultano finalizzate infatti non solo al decentramento di competenze burocratiche. Esse in realtà sono funzionali alla costruzione di un modello scolastico, d'un lato più aderente di quanto non accada oggi alle specifiche esigenze educative e, dall'altro, meglio bilanciato tra centro e periferia. Al centro (Stato e Regioni, per quanto compete a queste) spetta l'indicazione dei "profili in uscita" con i relativi obiettivi di apprendimento degli alunni, mentre alla periferia (le singole unità scolastiche) è assegnata la responsabilità della messa a punto dei percorsi culturali ed educativi.

Da questa nuova impostazione scaturiscono alcune conseguenze attraverso cui dovrà inevitabilmente confrontarsi il riordino del sistema educativo.

La prima è legata alla possibilità di rendere, come si dice con termine tecnico, "flessibili" i processi educativi e quelli scolastici, con l'opzione di predisporre diversi itinerari di studio distinti per classe, gruppi, livelli di apprendimento dei singoli allievi, ecc. fino al punto da certificare, a determinate condizioni, anche conoscenze ed abilità conseguite esternamente alla scuola. Finora abbiamo pensato a gruppi di allievi raccolti in classi che compiono insieme il medesimo percorso. Molte ricerche ci dicono che, specie a livello secondario, questa soluzione non è l'unica e talvolta non è sempre la più efficace.

Ciascun soggetto va posto nelle condizioni di sviluppare al meglio le proprie capacità e di trovare l'adeguata valorizzazione delle proprie attitudini alternando l'attività di classe con altre esperienze. Chi fa più fatica ha diritto che gli siano messi a disposizione strutture e servizi che lo aiutino a superare le proprie difficoltà.

La giustizia educativa può essere garantita in modo anche più efficace rispetto a quanto accade oggi proprio mediante la differenziazione "personalizzata" degli interventi e dei servizi.

La seconda conseguenza è che scuola dell'autonomia e della "personalizzazione", non più regolata in ogni dettaglio dallo Stato (con l'uso, per esempio, delle "circolari"), è affidata soprattutto alla negoziazione tra i vari soggetti interessati: dirigenti, docenti, famiglie, studenti, varie espressioni della società civile. E tuttavia non si vede qui un rischio "aziendalistico" in tale scelta. Il modello dell'autonomia e della "personalizzazione" si ispira piuttosto al principio della scuola come "centro comunitario". La comunità scolastica non vive di "prodotti" e non è governata dagli standard dell'ottimizzazione delle prestazioni. Essa ha per scopo il bene delle persone e l'interesse collettivo. Di qui la cura che ciascun allievo riceva ciò di cui ha bisogno. Ma la sensibilità solidaristica non può condannare la vita di tutta la scuola alla grigia uniformità.

Il cuore della riforma si gioca proprio sul rafforzamento della natura "personalizzante" della scuola. L'alternativa culturale e pedagogica cui il sistema educativo e formativo italiano si trova di fronte è dunque molto semplice: continuare a ragionare in termini di "scuola uguale per tutti" oppure cominciare a pensare in termini di strategie flessibili rispetto a differenti bisogni d'istruzione e di formazione. La sfida è quella di dar vita ad una scuola di "ciascuno e per tutti" secondo una felice espressione coniata 40 anni orsono da uno dei padri della scuola media, Gesualdo Nosengo e sempre valida.

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Una iniziativa degli studenti romani viene riportata dal Corriere della sera: sacchi di carbone per la Befana Moratti:


Sacchi di carbone dagli studenti al ministro Letizia Moratti

Sacchi di carbone «amaro» davanti al ministero dell’Istruzione per protestare contro la riforma della scuola del ministro Letizia Moratti. L’iniziativa notturna è stata annunciata dagli studenti di cinque istituti: Kennedy, Cavour, Morgagni, Manara e Ferrante.
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Presa di posizione invece degli insegnanti ds di Brescia, riportata dal giornale di Brescia. Osservazione: alcuni di noi rimangono però convinti che la strada sia stata aperta a suo tempo, non intenzionalmente, da Berlinguer...


No alla scuola-azienda, sì alla scuola pubblica


Gli insegnanti iscritti ai Democratici di Sinistra di Brescia si sono incontrati nei giorni scorsi per valutare la fase in cui si trova la scuola italiana, segnata dalle iniziative assunte, nei suoi primi mesi di vita, dal governo di centro-destra. Tali iniziative si sono tradotte: - nel cambio del nome del Ministero dell’Istruzione, con la cancellazione dell’aggettivo «Pubblica»; - nel riconoscimento dell’identico punteggio per il servizio prestato nelle scuole pubbliche come in quelle private; - nel blocco della legge n. 30/2000 (la riforma dei cicli scolastici, che avrebbe dovuto entrare in vigore dallo scorso settembre); - in una legge finanziaria che toglie consistenti risorse alla scuola pubblica e non prevede, in pratica, alcuna disponibilità economica per il prossimo rinnovo del contratto di lavoro di docenti e Ata; - nella vanificazione degli esami di maturità (e quindi, in prospettiva, del titolo di studio), con l’affidamento degli stessi a commissioni formate dagli insegnanti interni; - nella presentazione del disegno di legge per il passaggio in ruolo degli insegnanti di religione cattolica; - in una proposta di riforma degli organi collegiali di istituto che ridimensiona pesantemente il ruolo delle componenti scolastiche; - nella presentazione di un’ipotesi di riforma generale della scuola che riporta l’istituzione indietro di decenni (documento Bertagna) e che è solo ridicolo cercar di presentare come conseguente sviluppo della «cultura di sinistra» (confrontare, in proposito, le dichiarazioni pre-natalizie del parlamentare bresciano di Forza Italia sen. Guglielmo Castagnetti). Il quadro che ne consegue delinea un evidente ed esplicito attacco alla scuola pubblica ed alla sua funzione di luogo deputato alla formazione di cittadini istruiti, democratici e consapevoli e l’intenzione, del resto dichiarata, di trasformare la scuola in un servizio affidato al «mercato» e, quindi, alle disponibilità economiche dei singoli cittadini. Preoccupa, in particolare, la povertà culturale manifestata dal «documento Bertagna» che, nella sua ansia di contrapporsi comunque alla riforma dei cicli realizzata dal centro-sinistra, avanza proposte organizzative inaccettabili (riduzione del tempo scuola e dell’obbligo scolastico, reintroduzione nella scuola elementare dell’insegnante unico, riduzione a 4 anni della secondaria superiore, facoltatività di molte discipline di rilevante valore formativo...) e non sa far di meglio che riproporre un modello di scuola classista, con percorsi separati tra istruzione e formazione professionale. Con la conseguenza immediata, tra l’altro, di determinare nella scuola italiana una situazione di assoluta incertezza circa la direzione di marcia sulla quale i docenti possono impostare il loro lavoro didattico e di ricerca e di privare di significato le numerose esperienze realizzate, anche nella nostra provincia, negli ultimi anni (si pensi, ad esempio, alle innovazioni introdotte in tema di collegamento tra istruzione e formazione professionale in seguito all’innalzamento a 15 anni dell’obbligo scolastico). In questo contesto stanno, inoltre, trovando terreno propizio iniziative mirate a creare nella scuola un clima di tipo «maccartistico», come la messa in funzione del telefono-spia dove è possibile denunciare gli insegnanti «che parlano male del governo» o come la campagna contro i libri di testo e la libertà di scelta dei docenti. Di grande significato ed importanza è stata, quindi, la ribellione degli studenti contro il disegno del ministro Moratti e del governo Berlusconi di dequalificare la scuola pubblica e di farne il luogo di codifica delle discriminazioni sociali. La loro lotta è pure servita ad evidenziare la reale natura di parata mediatica dei cosiddetti «Stati generali dell’Istruzione», voluti dal ministro per dare sanzione ad un consenso verso le sue proposte rivelatosi, invece, clamorosamente assente. Ora tocca alle scuole ed ai loro operatori continuare la battaglia avviata dai ragazzi. La posta in gioco è altissima poiché si tratta di difendere, assieme alla scuola pubblica costruita dall’impegno e dalle lotte degli insegnanti a partire dagli anni sessanta, anche il modello di società democratica e pluralistica cui la stessa scuola è funzionale. L’obiettivo del centro-destra è, infatti, del tutto palese: depotenziare il sistema dei servizi pubblici e spingere, in particolare, i contribuenti a reddito medio-alto a fuoriuscirne, offrendo loro maggiore potere d’acquisto (si veda, ad esempio, la proposta di riforma fiscale varata dal governo poco prima di Natale) e interventi di sostegno specifici (per l’istruzione, il «buono-scuola»). Ciò che colpirebbe al cuore il modello economico-sociale basato sulla coesione, sulla solidarietà, sull’uguaglianza. Per questo il progetto Berlusconi-Moratti va combattuto senza esitazioni e incertezze. Il nostro invito è che le scuole facciano sentire la propria voce attraverso prese di posizione e documenti da inviare al ministro ed agli organi di comunicazione, perché sia a tutti chiaro ed evidente il rifiuto degli insegnanti verso la scuola-azienda e la loro richiesta di una scuola pubblica rinnovata e qualificata, aperta a tutti ed impegnata a costruire una società più giusta e libera. ERCOLE MELGARI
Responsabile scuola Ds
Brescia
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Ed ecco la posizione del segretario provinciale di Pisa dello SNALS. Fate attenzione alle ultime righe, dove si parla della qualificazione del personale docente. Si sta avviando a livello nazionale un percorso sul problema della valutazione della funzione docente. Ne risentiremo parlare presto.


PISA — “Molti sono ancora i


PISA — “Molti sono ancora i problemi da risolvere relativamente al mondo della scuola. Problemi che, alla luce di un quadro nazionale in cui si profila una riforma scolastica destinata a suscitare profonde e continue polemiche, non possono non essere, allo stato attuale delle cose, prevalentemente e fortemente legati alla stessa riforma del ministro Letizia Moratti”.
E' quanto sostiene Fabrizio Acconci, già professore di lettere all'istituto tecnico commerciale cittadino “Antonio Pacinotti”, e da poche settimane nuovo segretario provinciale dello Snals-Sindacato Nazionale Autonomo dei Lavoratori della Scuola.
“Se, infatti — spiega il neo-responsabile della struttura di via Turati —, a livello locale e territoriale si può dire non sussistano questioni impellenti, e se dunque la linea di condotta che seguiremo non potrà che essere quella di avviare, in concordia con le altre organizzazioni di categoria, un discorso sempre più costruttivo sul tema della scuola con istituzioni ed enti locali, a livello nazionale la situazione è ben diversa''.
E il professor Acconci provvede subito a spiegarci che cosa intende dire con quest'affermazione.
''Molteplici — aggiunge infatti il portavoce del sindacato autonomo — sono, da un punto di vista generale, i punti interrogativi ed i motivi di preoccupazione che la riforma Moratti comporta nella vita della scuola. Primo fra tutti, il nodo del rapporto tra scuola pubblica e scuola privata”.
Altra e non certo ultima nota dolente è, inoltre, a parere sempre del professore, la scansione dei cicli scolastici prevista dalla riforma, che lascia la scelta della scuola secondaria superiore, quasi definitiva, all'età di tredici anni. Una scelta, questa, che potrà peraltro essere fatta sugli unici due rami qualificanti di scuola superiore rimasti (quello dei licei e quello degli istituti professionali), essendo stato completamente trascurato l'ampio ventaglio delle tipologie di istituti secondari superiori esistente nel mezzo.
“Seri interrogativi sono inoltre — afferma ancora il neo-segretario — l'esame di Stato fatto dai privati e i quattro anni previsti per il ciclo superiore di diploma, che non potranno che comportare un appiattimento della didattica e un incremento del problema occupazionale. Resta infine — conclude Acconci — il problema della qualificazione del personale docente e soprattutto di quello non docente, nonché il nodo dei fondi che lo Stato deve impiegare concretamente nella scuola, primo reale investimento di un Paese civile”.
Nella foto a destra, il professor Fabrizio Acconci, neo-segretario provinciale del sindacato autonomo della scuola
di Silvia Bernardi
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Un articolo nel Gazzettino dell'Alto Adige esprime il parere dell'UIL locale. Interessante l'esperienza, definita negativa, fatta a livello della regione autonoma di ore di insegnamento in più e maggiore paga ecc

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«Non si possono usare
i criteri di un'azienda»
IL SINDACATO La Uil: investire nel settore pubblico


BOLZANO. La riforma della scuola va fatta, ma sapendo che «se è quindi giusto tagliare gli sprechi, combattere a ogni livello le eventuali sperequazioni, migliorare il livello della scuola, ciò non può né deve essere fatto sulle spalle e a spese delle due fondamentali componenti della scuola stessa: gli studenti e i docenti». E' quanto sostiene in una lunga nota Giovanni Scolaro, segretario provinciale della Uil scuola.
«Quello che sta accadendo in Italia e a Bolzano - scrive Scolaro - è significativo di quello che da anni la Uil Scuola va affermando: una riforma può e deve essere messa in cantiere, si deve avere il coraggio di portarla avanti, ma deve anche essere rispettata una condizione iniziale irrinunciabile, vale a dire che una riforma può diventare efficace e sentita solo a patto che tutte quante le componenti scolastiche vengano ascoltate, considerate e rispettate. E' per questo che i ragazzi di Bolzano hanno sfilato e manifestato, è per questo che in tutta Italia gli studenti manifestano il loro disagio e la loro contrarietà a un modo di gestire la scuola come se essi non esistessero, come se alla fine il loro ruolo fosse del tutto secondario: una vera e seria ristrutturazione dell'ordinamento scolastico non può né deve prescindere dai ragazzi che sono i veri fruitori di tale ordinamento. Se è sacrosanto sentire tutte le voci di coloro che operano nella scuola, è altrettanto vero che viene spesso trascurata quella degli insegnanti.
Scolaro attacca duramente la «delirante proposta iniziale» della Ministra Moratti sull'aumento a 24 ore settimanali di insegnamento, ma si concentra poi su due altri aspetti. La Uil sostiene che i finanziamenti e le risorse economiche devono essere investite nella scuola pubblica, non in quella privata, poiché la scuola deve rimanere pubblica, con programmi che seguano alcune linee generali.
«E' proprio nella scuola pubblica - prosegue Scolaro - che si devono investire soldi e risorse, migliorando il livello professionale e retributivo degli insegnanti, non solo a chiacchiere, ma con fatti concreti. E' nella scuola pubblica che si devono migliorare le infrastrutture, i locali, i sussidi didattici, la qualità della vita e dell'insegnamento! Proprio a tale proposito si innesta la seconda questione che sosteniamo ormai da anni: non è possibile migliorare la scuola introducendo il concetto di azienda. La scuola non è un'azienda e non funziona come un'azienda! Se così fosse la scuola sarebbe snaturata, verrebbe meno alla sua funzione, diventerebbe un luogo nel quale il sapere, la cultura, la formazione sarebbero aziendalizzati, concetto questo che respingiamo nel modo più categorico e assoluto. Gli insegnanti non sono impiegati (con tutto il dovuto rispetto per questa categoria) e gli studenti non sono pratiche da evadere: il rapporto insegnante-studente è talmente complesso che non può essere gestito sotto un profilo di natura aziendale. Se questo accadesse potremmo dire definitivamente addio al concetto stesso di scuola. Su questo argomento vale la pena di soffermarsi un momento per riflettere brevemente sulla situazione della scuola in provincia di Bolzano.
Scolaro ricorda che gli insegnanti della scuola altoatesina guadagnano di più rispetto ai colleghi del resto d'Italia, in quanto per il 98% di loro ha aderito al contratto provinciale. Un vantaggio che però «ha un prezzo in termini di ore di insegnamento in più, attività funzionali alla didattica in più, insomma si guadagna di più ma si lavora di più. La nostra esperienza ci permette di affermare che l'aumento delle ore di permanenza a scuola dei docenti non migliora la qualità dell'insegnamento, anzi al contrario, il dispendio di ore in compiti burocratici e organizzativi comporta un abbassamento del livello didattico».
Infine, la Uil esprime «netto dissenso» in merito alla proposta di legge della Giunta Provinciale che con l'articolo 19 della norma transitoria ha inteso immettere in ruolo coloro che hanno maturato un servizio di anni 18 anche senza il titolo richiesto, ovvero la laurea: «Non è ammissibile che il personale che ha frequentato i corsi nelle Università conseguendo il titolo richiesto per legge, venga superato da insegnanti senza titolo».

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Sempre un articolo sull'alto Adige, da notizia di un convegno e mostra come di fatto La Moratti ci abbia unito (abbastanza...)


IL CONVEGNO
«La riforma svilisce i futuri geometri»


BOLZANO. Tutto ciò che l'incomprensione generazionale ha diviso, la riforma Moratti ha contribuito ad unire. Occasione il convegno su «Scuola, Università, Collegi, sinergie formative per la professione di geometra» tenutosi recentemente al Parkhotel Laurin, presenti i presidi dei locali Istituti per geometri di lingua italiana e tedesca, professori Runcio e Hofer, il professor Cacciaguerra in rappresentanza dell'Università di Trento, il presidente del Consiglio nazionale geometri Piero Panunzi, il presidente della Cassa di previdenza geometri Fausto Savoldi e il presidente del Collegio dei geometri di Bolzano Meinhard Kaufmann, organizzatore del convegno.
Di fronte ad una cinquantina di liberi professionisti e alle rappresentanze delle quinte classi degli Istituti per geometri De Lai e P. Anich, in non pochi casi padri e figli, i relatori hanno denunciato le manovre svalutative dei nuovi programmi scolastici che riducendo ore e materie d'insegnamento consegnano alla società un geometra culturalmente anonimo e tecnicamente dimezzato. Disegno reso ancor più grave dal fatto che la categoria dei geometri è l'unica fra tutte ad aver mantenuto, con la precedente riforma, titolo e polivalenza: «Ora la si vuole annacquare per consegnarla al mondo del lavoro, ai potentati industriali, vergine per essere plasmata secondo il bisogno contingente». Le proposte che sono scaturite ricalcano i programmi della precedente riforma con un potenziamento dei corsi post secondari per neo diplomati, da tenersi presso gli Istituti per geometri con l'ausilio delle Università.

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Un articolo sul Giorno poi conferma, se ce ne fosse stato bisogno, che le agitazioni non sono termiante con le vacanze di Natale, i problemi sono tutti rimasti e adesso scendono in campo gli insegnanti con le loro organizzazioni sindacali...


A scuola, ma con agitazioni all'orizzonte

Tutti a scuola. Domani i quasi 500 mila studenti delle scuole, statali e non statali, di Milano e provincia rientrano, con i loro insegnanti, nelle aule lasciate il 23 dicembre.
E il 2002 scolastico non sembra destinato ad un avvio tranquillo. Tutti i motivi di agitazione accantonati momentaneamente nelle due settimane delle vacanze natalizie sono pronti a ripresentarsi.
Nessuno stupore quindi se la stagione delle occupazioni e delle agitazioni studentesche, tradizionalmente chiusa dalle vacanze di Natale, quest'anno riprenderà in gennaio con iniziative di protesta contro il progetto Moratti di riforma. Senza dimenticare agitazioni e proteste puntate sulla decisione della Regione di confermare anche per quest'anno il buono scuola.
E gli studenti non saranno soli: a muoversi prima di loro saranno i docenti, con l'adesione allo sciopero del pubblico impiego indetto per il 15 febbraio. Alle iniziative dei sindacati confederali e della Gilda si aggiungeranno poi le agitazioni delle organizzazioni di base, come la Cub-scuola, che già annuncia una giornata di sciopero entro il mese di gennaio.
I primi a scendere in campo saranno però i presidi, le cui organizzazioni hanno indetto una giornata di sciopero per venerdì prossimo, 11 gennaio.
I capi di istituto si dicono delusi dal comportamento del governo e in particolare attendono che il riconoscimento dello status giuridico di dirigenti venga accompagnato da un «adeguato trattamento economico», in considerazione del «carico di lavoro e di responsabilità, accresciuto dall'autonomia delle scuole».
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Un articolo sul Messaggero, da Ascoli Piceno, da notizia dell'uscita doi un giornalino scolastico del liceo classico locale. Forse è destinata a cambiare anche la qualità dei giornalini scolastici...


EDITORIA TRA I BANCHI

«L’Agorà», fresco di stampa il giornale del Classico
Dieci studenti dello «Stabili» hanno dato vita al primo numero del periodico scolastico di attualità e cultura
«Bisogna che l’essere sia dire e pensare». Questo è il motto, tratto dal filosofo greco Parmenide, che ispira «L’Agorà», giornale d’istituto del Classico «Stabili». Grazie all’impegno redazionale di dieci liceali, il giornale affronta tematiche di grande attualità. Riforma Moratti, guerra e problemi interni dell’istituto sono gli argomenti presenti nel primo numero. «Il titolo richiama la piazza -afferma Federico Petrucci, rappresentante degli studenti- che rappresentail luogo d’incontro dove ognuno può esprimere liberamente la propria opinione. Questo giornale è nato -continua- per dare la possibilità agli studenti di esprimere liberamente le proprie idee, in momento di grande trasformazione per il mondo della scuola». All’interno de «L’Agorà» è stato riservato uno spazio anche per l’attività del comitato studentesco del liceo. In particolare viene presa in esame la protesta attuata nelle scorse settimane dai ragazzi dello «Stabili» in merito ai ritardi dei lavori promessi dall’amministarzioine provinciale circa la manutenzione dell’edificio scolastico. Importanti, anche, i riferiemnti in merito alla libertà intellettuale dei ragazzi: «In un momento così delicato -continua Petrucci- per gli studenti, scrivere è uno dei mezzi per essere considerati liberi. Senza un pensiero libero, -sottolinea- che solo la scuola pubblica può garantire efficacemente, noi che rappresentiamo il futuro, siamo nulli: da qui il motto parmenideo che ispira la nostra opera». All’interno, anche, un confronto sul tema attuale della guerra: «Perchè essere razzisti verso i musulmani?». E’ questo l’incipit dell’articolo di Luca Manni che ripercorre l’argomento scottante della convivenza tra noi occidentali e i musulmani presenti in numero sempre maggiore nel nostro paese. Significativo anche il pezzo, firmato da Federico Petrucci, riguardo alla considerazione dell’ Islam dopo i fatti dell’11 settembre. La pubblicazione avrà cadenza bimestrale e i ragazzi nello svolgimento dell’opera hanno avuto il pieno appoggio del dirigente scolastico, Luigi Di Emidio.

Re.Pie.

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