6 January, 2002
Un articolo importante di ieri sul Manifesto a proposito del mancato avvio del decentramento regionale della scuola e della "illegalità" di una serie di provvedimenti che il governo continua a prendere
Scuola, un golpe sottobanco
Un misterioso decreto del ministero smantella l'autonomia scolastica e ripristina
il centralismo
IAIA VANTAGGIATO
Centralismo gerarchico e limitazione dell'autonomia scolastica. Rema in questa
direzione il decreto ministeriale firmato a sorpresa, il 21 dicembre scorso,
da Letizia Moratti. Un decreto fantasma, come lo definisce il segretario generale
della Cgil scuola Enrico Panini che ne ha avuto notizia - "in maniera
rocambolesca", come tiene a precisare - solo il 3 gennaio scorso. Del
decreto non c'è traccia, infatti, su nessuna Gazzetta ufficiale né
alcuna notizia ne è stata data sul sito Internet del ministero dell'istruzione.
Eppure le disposizioni che il provvedimento contempla non sono certo di poco
conto: viene sospesa l'entrata in vigore dei Centri Servizi per le istituzioni
scolastiche (Cis) e decretato il potenziamento dei Centri scolastici amministrativi
(Csa). Entrambi - Cis e Csa - erano stati pensati come reti decentrate di
supporto per le scuole: i primi sul versante didattico, dell'aggiornamento
e della formazione; i secondi, su quello amministrativo. Questi ultimi, addirittura,
avrebbero dovuto sostituire gli ormai obsoleti e pachidermici provveditorati.
Il decreto con cui Cis e Csa erano stati istituiti mirava, insomma, a spostare
la gestione della pubblica istruzione dal centro alla periferia e, non a caso,
era stato approvato con l'assenso della conferenza unificata stato-regioni
e con l'approvazione delle confederazioni sindacali. Ma il nuovo assetto -
che doveva entrare in vigore dall'1 gennaio di quest'anno - non decolla. La
spiegazione è in un provvediemnto che viene inviato ai soli direttori
regionali: nessuna consultazione con la conferenza stato-regioni né
con i sindacati di categoria. Al governo Berlusconi basta, insomma, una semplice
informativa per liquidare il confronto con i sindacati.
"Ci sono tutti gli elementi - commenta Panini - per aumentare il livello
di contenzioso tra la gestione centralizzata del ministero che nega l'esistenza
delle regioni e il ruolo affidato alle regioni stesse dalle leggi della Repubblica".
Giova ricordare che la stessa autonomia scolastica - dal 7 ottobre scorso
- è entrata nel nuovo testo della nostra Costituzione.
Così che il decreto-Moratti apre due ordini di questioni: di merito
e di metodo.
Nel merito: la sospensione dei Cis determina il fallimento di qualsiasi progetto
di sperimentazione didattica legato al territorio mentre i centri amministrativi
appaiono come una riedizione dei vecchi provveditorati, con un dirigente a
capo di ciascuno. "Oltre a una lievitazione della spesa - commenta Panini
- ciò comporta un maggiore centralismo nell'amministrazione e va contro
l'autonomia e il ruolo delle regioni".
Quanto al metodo: come è possibile che un decreto ministeriale possa
modificare senza consultazione del consiglio dei ministri o pubblicazione
ufficiale una legge dello stato? La risposta - naturalmente - è in
punta di diritto. Se la norma che ha istituito Cis e Csa è una legge,
beh, ci vuole un'altra legge per modificarla. A meno che l'inghippo non sia
nascosto nelle pieghe di una qualche delega che consente - fino a oggi - interventi
correttivi. Ma anziché di una legge potrebbe trattarsi di un regolamento
e non di conti: in tal caso ci vorrebbe comunque un nuovo regolamento del
consiglio dei ministri previo parere del consiglio di stato. Nell'un caso
e nell'altro - trattandosi di materie di competenza regionale - sarebbe gradito
il parere della conferenza unificata di stato-regioni. Che è ben lungi
dall'essere stata consultata. La battaglia sulla devolution potrebbe cominciare
da qui. Vittime, intanto, di un altro fantasma - "il contratto che non
c'è" - sciopereranno i presidi l'11 febbraio. Confermata per il
15 febbraio la grande mobilitazione unitaria del pubblico impiego.
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In un articolo sull'Avvenire di oggi invece viene posto l'accento sulla
flessibilità dei programmi, che a nostro avviso risulta sempre pericolosissima,
permettendo rapidamente la costituzione di scuole di serie A e di serie B,
bisognerà discuterne, non è semplice smontare la paparente ragionevolezza
di quello che viene detto.
POST STATI GENERALI
SCUOLA, L'ORA DEI PERCORSI FLESSIBILI
Giorgio Chiosso
I documenti elaborati dal gruppo degli esperti del ministro Moratti e presentati
in occasione dei recenti Stati Generali hanno avviato un'ampia discussione
sulla riforma scolastica. Dopo i cortei, le proteste e gli slogan rituali
sarebbe importante ora aiutare il mondo politico a indirizzarsi sulle scelte
migliori.
Gli opinionisti e gli esperti di scuola hanno per lo più rivolto la loro attenzione alle cosiddette "proposte di sistema": se sia opportuno o meno pensare all'acquisizione di un credito formativo già nella scuola dell'infanzia, se sia compatibile la riduzione del percorso secondario di un anno con l'esigenza di qualità della preparazione, a quali condizioni si possa dar vita ad un nuovo canale di formazione secondaria finalizzato alle professioni, ecc. Minore interesse hanno, invece, suscitato altre "raccomandazioni" degli esperti, come ad esempio quella - che si può considerare il vero "cuore" del progetto - dei percorsi scolastici "personalizzati" predisposti, cioè, non più sulla base dei tradizionali programmi, ma sul "profilo in uscita" (educativo, culturale, professionale) dell'alunno ovvero ciò che dovrebbe "sapere ed essere" uno studente al termine di ogni ciclo scolastico.
La fine dei tradizionali programmi d'insegnamento è già stata sancita dalla legge sull'autonomia delle scuole, approvata nel 1997 ed entrata in vigore l'anno scorso. Le varie forme di autonomia attribuite alle scuole (organizzativa, didattica, finanziaria, ecc.) risultano finalizzate infatti non solo al decentramento di competenze burocratiche. Esse in realtà sono funzionali alla costruzione di un modello scolastico, d'un lato più aderente di quanto non accada oggi alle specifiche esigenze educative e, dall'altro, meglio bilanciato tra centro e periferia. Al centro (Stato e Regioni, per quanto compete a queste) spetta l'indicazione dei "profili in uscita" con i relativi obiettivi di apprendimento degli alunni, mentre alla periferia (le singole unità scolastiche) è assegnata la responsabilità della messa a punto dei percorsi culturali ed educativi.
Da questa nuova impostazione scaturiscono alcune conseguenze attraverso cui dovrà inevitabilmente confrontarsi il riordino del sistema educativo.
La prima è legata alla possibilità di rendere, come si dice con termine tecnico, "flessibili" i processi educativi e quelli scolastici, con l'opzione di predisporre diversi itinerari di studio distinti per classe, gruppi, livelli di apprendimento dei singoli allievi, ecc. fino al punto da certificare, a determinate condizioni, anche conoscenze ed abilità conseguite esternamente alla scuola. Finora abbiamo pensato a gruppi di allievi raccolti in classi che compiono insieme il medesimo percorso. Molte ricerche ci dicono che, specie a livello secondario, questa soluzione non è l'unica e talvolta non è sempre la più efficace.
Ciascun soggetto va posto nelle condizioni di sviluppare al meglio le proprie capacità e di trovare l'adeguata valorizzazione delle proprie attitudini alternando l'attività di classe con altre esperienze. Chi fa più fatica ha diritto che gli siano messi a disposizione strutture e servizi che lo aiutino a superare le proprie difficoltà.
La giustizia educativa può essere garantita in modo anche più efficace rispetto a quanto accade oggi proprio mediante la differenziazione "personalizzata" degli interventi e dei servizi.
La seconda conseguenza è che scuola dell'autonomia e della "personalizzazione", non più regolata in ogni dettaglio dallo Stato (con l'uso, per esempio, delle "circolari"), è affidata soprattutto alla negoziazione tra i vari soggetti interessati: dirigenti, docenti, famiglie, studenti, varie espressioni della società civile. E tuttavia non si vede qui un rischio "aziendalistico" in tale scelta. Il modello dell'autonomia e della "personalizzazione" si ispira piuttosto al principio della scuola come "centro comunitario". La comunità scolastica non vive di "prodotti" e non è governata dagli standard dell'ottimizzazione delle prestazioni. Essa ha per scopo il bene delle persone e l'interesse collettivo. Di qui la cura che ciascun allievo riceva ciò di cui ha bisogno. Ma la sensibilità solidaristica non può condannare la vita di tutta la scuola alla grigia uniformità.
Il cuore della riforma si gioca proprio sul rafforzamento della natura "personalizzante" della scuola. L'alternativa culturale e pedagogica cui il sistema educativo e formativo italiano si trova di fronte è dunque molto semplice: continuare a ragionare in termini di "scuola uguale per tutti" oppure cominciare a pensare in termini di strategie flessibili rispetto a differenti bisogni d'istruzione e di formazione. La sfida è quella di dar vita ad una scuola di "ciascuno e per tutti" secondo una felice espressione coniata 40 anni orsono da uno dei padri della scuola media, Gesualdo Nosengo e sempre valida.
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Una iniziativa degli studenti romani viene riportata dal Corriere della
sera: sacchi di carbone per la Befana Moratti:
Sacchi di carbone dagli studenti al ministro Letizia Moratti
Sacchi di carbone «amaro» davanti al ministero dellIstruzione
per protestare contro la riforma della scuola del ministro Letizia Moratti.
Liniziativa notturna è stata annunciata dagli studenti di cinque
istituti: Kennedy, Cavour, Morgagni, Manara e Ferrante.
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Presa di posizione invece degli insegnanti ds di Brescia, riportata dal
giornale di Brescia. Osservazione: alcuni di noi rimangono però convinti
che la strada sia stata aperta a suo tempo, non intenzionalmente, da Berlinguer...
No alla scuola-azienda, sì alla scuola pubblica
Gli insegnanti iscritti ai Democratici di Sinistra di Brescia si sono incontrati
nei giorni scorsi per valutare la fase in cui si trova la scuola italiana,
segnata dalle iniziative assunte, nei suoi primi mesi di vita, dal governo
di centro-destra. Tali iniziative si sono tradotte: - nel cambio del nome
del Ministero dellIstruzione, con la cancellazione dellaggettivo
«Pubblica»; - nel riconoscimento dellidentico punteggio
per il servizio prestato nelle scuole pubbliche come in quelle private; -
nel blocco della legge n. 30/2000 (la riforma dei cicli scolastici, che avrebbe
dovuto entrare in vigore dallo scorso settembre); - in una legge finanziaria
che toglie consistenti risorse alla scuola pubblica e non prevede, in pratica,
alcuna disponibilità economica per il prossimo rinnovo del contratto
di lavoro di docenti e Ata; - nella vanificazione degli esami di maturità
(e quindi, in prospettiva, del titolo di studio), con laffidamento degli
stessi a commissioni formate dagli insegnanti interni; - nella presentazione
del disegno di legge per il passaggio in ruolo degli insegnanti di religione
cattolica; - in una proposta di riforma degli organi collegiali di istituto
che ridimensiona pesantemente il ruolo delle componenti scolastiche; - nella
presentazione di unipotesi di riforma generale della scuola che riporta
listituzione indietro di decenni (documento Bertagna) e che è
solo ridicolo cercar di presentare come conseguente sviluppo della «cultura
di sinistra» (confrontare, in proposito, le dichiarazioni pre-natalizie
del parlamentare bresciano di Forza Italia sen. Guglielmo Castagnetti). Il
quadro che ne consegue delinea un evidente ed esplicito attacco alla scuola
pubblica ed alla sua funzione di luogo deputato alla formazione di cittadini
istruiti, democratici e consapevoli e lintenzione, del resto dichiarata,
di trasformare la scuola in un servizio affidato al «mercato»
e, quindi, alle disponibilità economiche dei singoli cittadini. Preoccupa,
in particolare, la povertà culturale manifestata dal «documento
Bertagna» che, nella sua ansia di contrapporsi comunque alla riforma
dei cicli realizzata dal centro-sinistra, avanza proposte organizzative inaccettabili
(riduzione del tempo scuola e dellobbligo scolastico, reintroduzione
nella scuola elementare dellinsegnante unico, riduzione a 4 anni della
secondaria superiore, facoltatività di molte discipline di rilevante
valore formativo...) e non sa far di meglio che riproporre un modello di scuola
classista, con percorsi separati tra istruzione e formazione professionale.
Con la conseguenza immediata, tra laltro, di determinare nella scuola
italiana una situazione di assoluta incertezza circa la direzione di marcia
sulla quale i docenti possono impostare il loro lavoro didattico e di ricerca
e di privare di significato le numerose esperienze realizzate, anche nella
nostra provincia, negli ultimi anni (si pensi, ad esempio, alle innovazioni
introdotte in tema di collegamento tra istruzione e formazione professionale
in seguito allinnalzamento a 15 anni dellobbligo scolastico).
In questo contesto stanno, inoltre, trovando terreno propizio iniziative mirate
a creare nella scuola un clima di tipo «maccartistico», come la
messa in funzione del telefono-spia dove è possibile denunciare gli
insegnanti «che parlano male del governo» o come la campagna contro
i libri di testo e la libertà di scelta dei docenti. Di grande significato
ed importanza è stata, quindi, la ribellione degli studenti contro
il disegno del ministro Moratti e del governo Berlusconi di dequalificare
la scuola pubblica e di farne il luogo di codifica delle discriminazioni sociali.
La loro lotta è pure servita ad evidenziare la reale natura di parata
mediatica dei cosiddetti «Stati generali dellIstruzione»,
voluti dal ministro per dare sanzione ad un consenso verso le sue proposte
rivelatosi, invece, clamorosamente assente. Ora tocca alle scuole ed ai loro
operatori continuare la battaglia avviata dai ragazzi. La posta in gioco è
altissima poiché si tratta di difendere, assieme alla scuola pubblica
costruita dallimpegno e dalle lotte degli insegnanti a partire dagli
anni sessanta, anche il modello di società democratica e pluralistica
cui la stessa scuola è funzionale. Lobiettivo del centro-destra
è, infatti, del tutto palese: depotenziare il sistema dei servizi pubblici
e spingere, in particolare, i contribuenti a reddito medio-alto a fuoriuscirne,
offrendo loro maggiore potere dacquisto (si veda, ad esempio, la proposta
di riforma fiscale varata dal governo poco prima di Natale) e interventi di
sostegno specifici (per listruzione, il «buono-scuola»).
Ciò che colpirebbe al cuore il modello economico-sociale basato sulla
coesione, sulla solidarietà, sulluguaglianza. Per questo il progetto
Berlusconi-Moratti va combattuto senza esitazioni e incertezze. Il nostro
invito è che le scuole facciano sentire la propria voce attraverso
prese di posizione e documenti da inviare al ministro ed agli organi di comunicazione,
perché sia a tutti chiaro ed evidente il rifiuto degli insegnanti verso
la scuola-azienda e la loro richiesta di una scuola pubblica rinnovata e qualificata,
aperta a tutti ed impegnata a costruire una società più giusta
e libera. ERCOLE MELGARI
Responsabile scuola Ds
Brescia
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Ed ecco la posizione del segretario provinciale di Pisa dello SNALS. Fate
attenzione alle ultime righe, dove si parla della qualificazione del personale
docente. Si sta avviando a livello nazionale un percorso sul problema della
valutazione della funzione docente. Ne risentiremo parlare presto.
PISA Molti sono ancora i
PISA Molti sono ancora i problemi da risolvere relativamente
al mondo della scuola. Problemi che, alla luce di un quadro nazionale in cui
si profila una riforma scolastica destinata a suscitare profonde e continue
polemiche, non possono non essere, allo stato attuale delle cose, prevalentemente
e fortemente legati alla stessa riforma del ministro Letizia Moratti.
E' quanto sostiene Fabrizio Acconci, già professore di lettere all'istituto
tecnico commerciale cittadino Antonio Pacinotti, e da poche settimane
nuovo segretario provinciale dello Snals-Sindacato Nazionale Autonomo dei
Lavoratori della Scuola.
Se, infatti spiega il neo-responsabile della struttura di via
Turati , a livello locale e territoriale si può dire non sussistano
questioni impellenti, e se dunque la linea di condotta che seguiremo non potrà
che essere quella di avviare, in concordia con le altre organizzazioni di
categoria, un discorso sempre più costruttivo sul tema della scuola
con istituzioni ed enti locali, a livello nazionale la situazione è
ben diversa''.
E il professor Acconci provvede subito a spiegarci che cosa intende dire con
quest'affermazione.
''Molteplici aggiunge infatti il portavoce del sindacato autonomo
sono, da un punto di vista generale, i punti interrogativi ed i motivi di
preoccupazione che la riforma Moratti comporta nella vita della scuola. Primo
fra tutti, il nodo del rapporto tra scuola pubblica e scuola privata.
Altra e non certo ultima nota dolente è, inoltre, a parere sempre del
professore, la scansione dei cicli scolastici prevista dalla riforma, che
lascia la scelta della scuola secondaria superiore, quasi definitiva, all'età
di tredici anni. Una scelta, questa, che potrà peraltro essere fatta
sugli unici due rami qualificanti di scuola superiore rimasti (quello dei
licei e quello degli istituti professionali), essendo stato completamente
trascurato l'ampio ventaglio delle tipologie di istituti secondari superiori
esistente nel mezzo.
Seri interrogativi sono inoltre afferma ancora il neo-segretario
l'esame di Stato fatto dai privati e i quattro anni previsti per il
ciclo superiore di diploma, che non potranno che comportare un appiattimento
della didattica e un incremento del problema occupazionale. Resta infine
conclude Acconci il problema della qualificazione del personale docente
e soprattutto di quello non docente, nonché il nodo dei fondi che lo
Stato deve impiegare concretamente nella scuola, primo reale investimento
di un Paese civile.
Nella foto a destra, il professor Fabrizio Acconci, neo-segretario provinciale
del sindacato autonomo della scuola
di Silvia Bernardi
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Un articolo nel Gazzettino dell'Alto Adige esprime il parere dell'UIL locale.
Interessante l'esperienza, definita negativa, fatta a livello della regione
autonoma di ore di insegnamento in più e maggiore paga ecc
.
«Non si possono usare
i criteri di un'azienda»
IL SINDACATO La Uil: investire nel settore pubblico
BOLZANO. La riforma della scuola va fatta, ma sapendo che «se è
quindi giusto tagliare gli sprechi, combattere a ogni livello le eventuali
sperequazioni, migliorare il livello della scuola, ciò non può
né deve essere fatto sulle spalle e a spese delle due fondamentali
componenti della scuola stessa: gli studenti e i docenti». E' quanto
sostiene in una lunga nota Giovanni Scolaro, segretario provinciale della
Uil scuola.
«Quello che sta accadendo in Italia e a Bolzano - scrive Scolaro - è
significativo di quello che da anni la Uil Scuola va affermando: una riforma
può e deve essere messa in cantiere, si deve avere il coraggio di portarla
avanti, ma deve anche essere rispettata una condizione iniziale irrinunciabile,
vale a dire che una riforma può diventare efficace e sentita solo a
patto che tutte quante le componenti scolastiche vengano ascoltate, considerate
e rispettate. E' per questo che i ragazzi di Bolzano hanno sfilato e manifestato,
è per questo che in tutta Italia gli studenti manifestano il loro disagio
e la loro contrarietà a un modo di gestire la scuola come se essi non
esistessero, come se alla fine il loro ruolo fosse del tutto secondario: una
vera e seria ristrutturazione dell'ordinamento scolastico non può né
deve prescindere dai ragazzi che sono i veri fruitori di tale ordinamento.
Se è sacrosanto sentire tutte le voci di coloro che operano nella scuola,
è altrettanto vero che viene spesso trascurata quella degli insegnanti.
Scolaro attacca duramente la «delirante proposta iniziale» della
Ministra Moratti sull'aumento a 24 ore settimanali di insegnamento, ma si
concentra poi su due altri aspetti. La Uil sostiene che i finanziamenti e
le risorse economiche devono essere investite nella scuola pubblica, non in
quella privata, poiché la scuola deve rimanere pubblica, con programmi
che seguano alcune linee generali.
«E' proprio nella scuola pubblica - prosegue Scolaro - che si devono
investire soldi e risorse, migliorando il livello professionale e retributivo
degli insegnanti, non solo a chiacchiere, ma con fatti concreti. E' nella
scuola pubblica che si devono migliorare le infrastrutture, i locali, i sussidi
didattici, la qualità della vita e dell'insegnamento! Proprio a tale
proposito si innesta la seconda questione che sosteniamo ormai da anni: non
è possibile migliorare la scuola introducendo il concetto di azienda.
La scuola non è un'azienda e non funziona come un'azienda! Se così
fosse la scuola sarebbe snaturata, verrebbe meno alla sua funzione, diventerebbe
un luogo nel quale il sapere, la cultura, la formazione sarebbero aziendalizzati,
concetto questo che respingiamo nel modo più categorico e assoluto.
Gli insegnanti non sono impiegati (con tutto il dovuto rispetto per questa
categoria) e gli studenti non sono pratiche da evadere: il rapporto insegnante-studente
è talmente complesso che non può essere gestito sotto un profilo
di natura aziendale. Se questo accadesse potremmo dire definitivamente addio
al concetto stesso di scuola. Su questo argomento vale la pena di soffermarsi
un momento per riflettere brevemente sulla situazione della scuola in provincia
di Bolzano.
Scolaro ricorda che gli insegnanti della scuola altoatesina guadagnano di
più rispetto ai colleghi del resto d'Italia, in quanto per il 98% di
loro ha aderito al contratto provinciale. Un vantaggio che però «ha
un prezzo in termini di ore di insegnamento in più, attività
funzionali alla didattica in più, insomma si guadagna di più
ma si lavora di più. La nostra esperienza ci permette di affermare
che l'aumento delle ore di permanenza a scuola dei docenti non migliora la
qualità dell'insegnamento, anzi al contrario, il dispendio di ore in
compiti burocratici e organizzativi comporta un abbassamento del livello didattico».
Infine, la Uil esprime «netto dissenso» in merito alla proposta
di legge della Giunta Provinciale che con l'articolo 19 della norma transitoria
ha inteso immettere in ruolo coloro che hanno maturato un servizio di anni
18 anche senza il titolo richiesto, ovvero la laurea: «Non è
ammissibile che il personale che ha frequentato i corsi nelle Università
conseguendo il titolo richiesto per legge, venga superato da insegnanti senza
titolo».
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Sempre un articolo sull'alto Adige, da notizia di un convegno e mostra
come di fatto La Moratti ci abbia unito (abbastanza...)
IL CONVEGNO
«La riforma svilisce i futuri geometri»
BOLZANO. Tutto ciò che l'incomprensione generazionale ha diviso, la
riforma Moratti ha contribuito ad unire. Occasione il convegno su «Scuola,
Università, Collegi, sinergie formative per la professione di geometra»
tenutosi recentemente al Parkhotel Laurin, presenti i presidi dei locali Istituti
per geometri di lingua italiana e tedesca, professori Runcio e Hofer, il professor
Cacciaguerra in rappresentanza dell'Università di Trento, il presidente
del Consiglio nazionale geometri Piero Panunzi, il presidente della Cassa
di previdenza geometri Fausto Savoldi e il presidente del Collegio dei geometri
di Bolzano Meinhard Kaufmann, organizzatore del convegno.
Di fronte ad una cinquantina di liberi professionisti e alle rappresentanze
delle quinte classi degli Istituti per geometri De Lai e P. Anich, in non
pochi casi padri e figli, i relatori hanno denunciato le manovre svalutative
dei nuovi programmi scolastici che riducendo ore e materie d'insegnamento
consegnano alla società un geometra culturalmente anonimo e tecnicamente
dimezzato. Disegno reso ancor più grave dal fatto che la categoria
dei geometri è l'unica fra tutte ad aver mantenuto, con la precedente
riforma, titolo e polivalenza: «Ora la si vuole annacquare per consegnarla
al mondo del lavoro, ai potentati industriali, vergine per essere plasmata
secondo il bisogno contingente». Le proposte che sono scaturite ricalcano
i programmi della precedente riforma con un potenziamento dei corsi post secondari
per neo diplomati, da tenersi presso gli Istituti per geometri con l'ausilio
delle Università.
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Un articolo sul Giorno poi conferma, se ce ne fosse stato bisogno, che
le agitazioni non sono termiante con le vacanze di Natale, i problemi sono
tutti rimasti e adesso scendono in campo gli insegnanti con le loro organizzazioni
sindacali...
A scuola, ma con agitazioni all'orizzonte
Tutti a scuola. Domani i quasi 500 mila studenti delle scuole, statali e
non statali, di Milano e provincia rientrano, con i loro insegnanti, nelle
aule lasciate il 23 dicembre.
E il 2002 scolastico non sembra destinato ad un avvio tranquillo. Tutti i
motivi di agitazione accantonati momentaneamente nelle due settimane delle
vacanze natalizie sono pronti a ripresentarsi.
Nessuno stupore quindi se la stagione delle occupazioni e delle agitazioni
studentesche, tradizionalmente chiusa dalle vacanze di Natale, quest'anno
riprenderà in gennaio con iniziative di protesta contro il progetto
Moratti di riforma. Senza dimenticare agitazioni e proteste puntate sulla
decisione della Regione di confermare anche per quest'anno il buono scuola.
E gli studenti non saranno soli: a muoversi prima di loro saranno i docenti,
con l'adesione allo sciopero del pubblico impiego indetto per il 15 febbraio.
Alle iniziative dei sindacati confederali e della Gilda si aggiungeranno poi
le agitazioni delle organizzazioni di base, come la Cub-scuola, che già
annuncia una giornata di sciopero entro il mese di gennaio.
I primi a scendere in campo saranno però i presidi, le cui organizzazioni
hanno indetto una giornata di sciopero per venerdì prossimo, 11 gennaio.
I capi di istituto si dicono delusi dal comportamento del governo e in particolare
attendono che il riconoscimento dello status giuridico di dirigenti venga
accompagnato da un «adeguato trattamento economico», in considerazione
del «carico di lavoro e di responsabilità, accresciuto dall'autonomia
delle scuole».
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Un articolo sul Messaggero, da Ascoli Piceno, da notizia dell'uscita doi
un giornalino scolastico del liceo classico locale. Forse è destinata
a cambiare anche la qualità dei giornalini scolastici...
EDITORIA TRA I BANCHI
«LAgorà», fresco di stampa il giornale del Classico
Dieci studenti dello «Stabili» hanno dato vita al primo numero
del periodico scolastico di attualità e cultura
«Bisogna che lessere sia dire e pensare». Questo è
il motto, tratto dal filosofo greco Parmenide, che ispira «LAgorà»,
giornale distituto del Classico «Stabili». Grazie allimpegno
redazionale di dieci liceali, il giornale affronta tematiche di grande attualità.
Riforma Moratti, guerra e problemi interni dellistituto sono gli argomenti
presenti nel primo numero. «Il titolo richiama la piazza -afferma Federico
Petrucci, rappresentante degli studenti- che rappresentail luogo dincontro
dove ognuno può esprimere liberamente la propria opinione. Questo giornale
è nato -continua- per dare la possibilità agli studenti di esprimere
liberamente le proprie idee, in momento di grande trasformazione per il mondo
della scuola». Allinterno de «LAgorà»
è stato riservato uno spazio anche per lattività del comitato
studentesco del liceo. In particolare viene presa in esame la protesta attuata
nelle scorse settimane dai ragazzi dello «Stabili» in merito ai
ritardi dei lavori promessi dallamministarzioine provinciale circa la
manutenzione delledificio scolastico. Importanti, anche, i riferiemnti
in merito alla libertà intellettuale dei ragazzi: «In un momento
così delicato -continua Petrucci- per gli studenti, scrivere è
uno dei mezzi per essere considerati liberi. Senza un pensiero libero, -sottolinea-
che solo la scuola pubblica può garantire efficacemente, noi che rappresentiamo
il futuro, siamo nulli: da qui il motto parmenideo che ispira la nostra opera».
Allinterno, anche, un confronto sul tema attuale della guerra: «Perchè
essere razzisti verso i musulmani?». E questo lincipit dellarticolo
di Luca Manni che ripercorre largomento scottante della convivenza tra
noi occidentali e i musulmani presenti in numero sempre maggiore nel nostro
paese. Significativo anche il pezzo, firmato da Federico Petrucci, riguardo
alla considerazione dell Islam dopo i fatti dell11 settembre.
La pubblicazione avrà cadenza bimestrale e i ragazzi nello svolgimento
dellopera hanno avuto il pieno appoggio del dirigente scolastico, Luigi
Di Emidio.
Re.Pie.