Autonomie locali

Espressione con la quale la costituzione italiana designa l’insieme dei comuni e delle province. In altri paesi, le autonomie locali sono rappresentate da varie forme di amministrazione (o governo), dette "locali" perché di unità minori entro gli stati, in genere a livello di contea, città, regione, provincia o distretto, create dal governo centrale con delega di poteri determinati. Il personale delle amministrazioni locali è generalmente eletto direttamente e ha competenza amministrativa, fiscale, anagrafica, sanitaria e di leva locale.

In Italia, l’importanza di questi enti è richiamata sin dai Principi fondamentali della Costituzione, dove si afferma che "la Repubblica (...) riconosce e promuove le autonomie locali" (art. 5). Alla luce di questo solenne riconoscimento comuni e province appaiono non solo strutture amministrative decentrate a composizione elettiva, ma enti dotati di una propria rappresentatività democratica e, per il cittadino, nuove dimensioni di appartenenza.

L’impegno a promuovere le autonomie locali è un modo non ambiguo di indicare nel loro rafforzamento un criterio guida per lo sviluppo dell’ordinamento. In questa direzione si è mossa la riforma degli enti locali attuata con una legge del 1990, poi modificata nel 1993, che ha riconosciuto sia ai comuni sia alle province l’autonomia statutaria, ossia la potestà di adottare con deliberazione dei rispettivi consigli un proprio statuto che determini le attribuzioni degli organi, il funzionamento degli uffici e dei servizi pubblici, le forme di decentramento, l’accesso dei cittadini alle informazioni. La legge del 1990 ha definito inoltre gli organi di governo, identificati in un’assemblea elettiva (consiglio), in un collegio esecutivo (giunta) e in un organo monocratico (sindaco o presidente della provincia); quella del 1993 ha invece accentuato i poteri del sindaco e del presidente della provincia, dei quali prevede l’elezione a suffragio universale diretto.

Nelle aree metropolitane, in luogo della provincia, la legge del 1990 ha introdotto una nuova forma di governo locale, la città metropolitana. La stessa legge contiene una nuova disciplina delle Comunità montane, un particolare tipo di ente locale con popolazione non inferiore ai 5000 abitanti.

In tema di finanza locale, la riforma ha riconosciuto agli enti locali autonomia finanziaria e impositiva. Il rilievo che la costituzione attribuisce alle autonomie locali esclude che un eventuale ampliamento dei poteri delle regioni (ad esempio, nel quadro di una riforma in senso federalista) possa andare a scapito delle autonomie locali.