Il 12 maggio 1995 moriva in solitudine,
a soli 47 anni, Mia Martini,
grande talento della musica leggera. Una carriera iniziata giovanissima stroncata da un ambiente cinico e senza scrupoli |
Mimì,
quel giorno triste
in cui te ne sei andata |
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Dieci anni fa moriva in casa sola come una gatta Mimì, Domenica,
Berté, in arte Mia Martini.
In quella notte di maggio il suo cuore stanco si è fermato prima ancora
di compiere cinquant'anni. Gli anniversari sono un'occasione troppo ghiotta
perché il grande circo mediatico, sempre più a corto di idee, possa farsela
scappare. In questi giorni, quindi, si susseguono le commemorazioni, i ricordi
e le retrospettive non sempre rispettose della donna, tormentata e contraddittoria
quanto e più del personaggio. La sua stessa morte è descritta come l'epilogo
di un giallo da quattro soldi, con un infarto provocato da un'overdose di
cocaina o di qualche altro pasticcio chimico così comune nell'ambiente decadente
dello spettacolo. Pazienza se la magistratura non la pensa proprio così,
se la donna stava male da tempo, se l'ultima tournée era stata costellata
da ricoveri in ospedale per lo stress causato dalla prospettiva di un'operazione
chirurgica problematica, se proprio le sue condizioni fisiche e psichiche
richiedevano l'assunzione massiccia di sedativi e anticoagulanti. Tutto
ciò non alimenta miti, non fa vendere e, dunque, non interessa. Sembra una
maledizione. A dieci anni dalla morte Mia
Martini viene di nuovo trattata con l'indifferente indelicatezza
di chi l'aveva condannata al silenzio perché "menagramo". Anzi,
qualcuno di quelli che l'avevano ridotta al silenzio ora piange calde lacrime
in televisione chiedendo scusa all'amica scomparsa. Lei all'epoca della
grande emarginazione non aveva fatto poi tante storie. «E ora dico sul serio,
non vorrei cantare più...», il verso che concludeva l'ultimo brano dell'album
live I miei compagni di viaggio pubblicato nel 1983 era una sorta di dichiarazione
di estraneità nei confronti di un mondo, quello della musica leggera italiana,
prigioniero di pregiudizi e odi che le avevano reso la vita difficile. Sembrava
il triste e dignitoso finale di una carriera iniziata prestissimo. A soli
quindici anni, infatti, la ragazza pubblica con il nome di
Mimì Berté il singolo I miei
baci non puoi scordare, seguito, nel 1963 da Insieme
(televisione con mamma e papà) e, nel 1964, dal successo
de Il magone e del divertente
surf E adesso che abbiamo litigato.
Le cantanti adolescenti, però, avevano e hanno ancora un difetto: non possono
invecchiare. Per questo il personaggio Mimì
Berté finisce lì, almeno per i discografici, perché lei
non è il tipo da farsi schiacciare dal sistema. Sette anni dopo, infatti,
nel 1971, con il nome di Mia Martini,
sbanca il Festival d'Avanguardia e Nuove Tendenze di Viareggio con la dissacratoria
Padre davvero, accompagnata
da La Macchina, una band di cui fa parte anche l'inglese Gordon
Faggetter. L'immagine della ragazzina yè yè destinata al
mercato degli adolescenti viene sostituita dalla grintosa presenza scenica
di un'interprete in grado di ipnotizzare il pubblico lì convenuto per ascoltare
i migliori gruppi rock del periodo. Da quel momento il suo cammino sembra
inarrestabile. Il grande successo arriva l'anno dopo con Piccolo
uomo, un singolo che domina la classifica dei dischi più
venduti e con Nel mondo una cosa, premiato dalla critica come miglior album
del 1972. Tentata sempre da nuove esperienze collabora con musicisti come
Charles Aznavour,
Luis Enriquez, Tullio
De Piscopo, Ivano Fossati
e altri. Poi negli anni Ottanta arriva il nuovo, odioso, stop. Altri sette
anni di silenzio prima del ritorno al Festival di Sanremo del 1989 con Almeno
tu nell'universo, un brano scritto per lei diciotto
anni prima da Bruno Lauzi
e Maurizio Fabrizio che segna
l'inizio della terza fase della storia destinata a concludersi nel maggio
del 1995. Oggi quello stesso sistema che l'ha usata, gettata via, e poi
ripresa più volte torna a funzionare a pieno regime per sfruttarne il ricordo
sull'onda dell'emozione e della nostalgia. Chi era presente alla sua rinascita
in quel Festival di Viareggio del 1971, nella pineta del Lungomare di Torre
del Lago si ricorderà che nella giornata di chiusura era nata una manifestazione
spontanea contro i "padroni della musica" e contro gli inviati
delle televisioni, delle radio e dei giornali, accusati di essere "servi
dei padroni" e di occuparsi dei giovani solo "quando fanno colore".
Mimì c'era e c'eravamo anche noi.
Avevamo ragione. Ciao Mimì.
giannilucini@libero. it
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