Alcune osservazioni di Alberto Arbasino tratte dal reportage in Birmania del 1996 per conto di Repubblica, poi pubblicato nel volume "Passeggiando tra i draghi addormentati"
….Invece, è una sorpresa e una novità. Affascinante, anche perché non somiglia a nessun’altra. E poco o niente raccontata, illustrata, riprodotta, esposta. Mai dunque un’agnizione iconografica, come quando nei musei qua o là ormai si riconoscono subito i tratti squisiti di……Così ci si butta in un fai-da-te critico, improvvisato, da studenti, divertendoci moltissimo.
……I grandi santuari si presentano come immense macchine mangiasoldi. Vastissime Las Vegas devozionali con centinaia di teche e bacheche e vetrinette e tabernacoli strapieni di simboli e simulacri di spiriti e fantasmi e fessure per introdurre ovunque banconote e monete, sempre lì in vista per incoraggiare il donatismo.
……Sui fianchi robusti di queste cattedraline dall’impostazione maestosa, le formelle di terracotta malamente invetriate di verde bottiglia parrebbero decisamente romaniche, con le loro scenine di capanne e pastori e animali ed alberi così sommari e attoniti. Antelami rustici senza culatello né lambrusco….
…..Giù nei meandri monastici, con le lampadine. Le pitture murali non sono ad affresco: si ha l’impressione che basti un dito con saliva per farle svanire. Tutto acquarello, tutto a secco: ahi, ahi, attenti anche al fiato.
….Le file di donne e ragazze selciatrici, al lavoro come in Cina per la costruzione manuale delle autostrade statali camminano avanti e indietro come indossatrici sotto il sole, ma portando grosse ceste di pietre pesanti sulla testa. Senza l’uso della carriola: non se ne vedono. E senza l’accorgimento di mettersi in riga come i muratori e i pompieri d’una volta: passandosi i mattoni o i secchi sur place col principio della catena umana. Mai neanche un rullo compressore.
……..( I Buddha) Seduti nel gesto che tocca la terra, o anche sdraiati in posse vezzose, leziose, smorfiose, da colazione sull’erba senza formiche. Mai un martirio, mai un supplizio, mai una lamentela o un rinfaccio, mai un tratto spiacevole o un "guardate, per colpa vostra, in che stato", o "di questo passo, dove si andrà a finire, colonnello".
Da Tiziano Terzani in Asia – Pagan -febbraio 1991
….Ci sono viste al mondo dinanzi alle quali uno si sente fiero di appartenere alla razza umana. Pagan all’alba è una di queste. Nell’immensa pianura, segnata soltanto dal baluginare argenteo del grande fiume Irrawadi, le sagome chiare di centinaia di pagode affiorano lentamente dal buio e dalla nebbia: eleganti, leggere; ognuna come un delicato inno a Buddha. Dall’alto del tempio di Ananda si sentono i galli cantare, i cavalli scalpicciare sulle strade ancora sterrate. E’ come se una qualche magia avesse fermato questa valle nell’attimo passato della sua grandezza.
Da Kipling Rudyard - Da mare a mare - reportage di viaggio da Calcutta al Giappone passando per la Rangoon nel 1889.
“Improvvisamente un mistero dorato emerse all’orizzonte, una
meraviglia abbacinante che sfolgorava nel sole, un profilo che non era né
la cupola musulmana, ne la guglia del tempio indù. Troneggiava sopra
una collina rotonda e verde, in basso si stendevano file di magazzini, capannoni
e opifici. Sotto quale nuovo Dio, pensavo, siamo capitati noi inarrestabili
inglesi?”
“….c’è una puzza a Calcutta, un’altra a Bombay e una terza più penetrante nel Punjab; tuttavia esse hanno una certa affinità, mentre gli odori della Birmania sono tutt’altra cosa: Non ancora come quelli che si sentono in Cina, ma non più come quelli indiani. “Cos’è!?” chiesi, e l’uomo rispose “Napi”, un pesce marinato che avrebbe dovuto essere sotterrato da lungo tempo. Questo cibo è considerato dalle guide turistiche un piatto nazionale…ma tutti quelli che si sono trovati sottovento , nei dintorni di Rangoon, sanno cosa significa Napi, e quelli che non ci sono stati non lo capiranno mai.”
“Era una terra sconosciuta. Un paese dove la gente amava i colori,
un paese deliziosamente pigro, pieno di belle ragazze e di pessimi sigari……….il
birmano si dà alla bella vita…….quando un birmano vuole lavorare
cerca un madrassi (indiano di Madras) che lo faccia per lui…….tutti
sono d’accordo nell’affermare che in nessun caso il birmano è
disposto a lavorare onestamente. Ora se la provvidenza generosa vi avesse donato
una veste color porpora, verde, ambra o marrone, se vi avesse avvolto il capo
con un turbante rosa, fatti nasce in una terra fertile dove il riso cresce da
solo e il pesce vi capita a portata di mano, macerato e marinato, lavorereste?
Non preferireste bighellonare per le strade fumandovi un sigaro? Se due terzi
delle ragazze fossero gaie e vivaci e le altre decisamente attraenti, non passereste
il tempo a corteggiarle? Ed è proprio questo che fa il birmano, mentre
l’inglese, che si ammazza di lavoro in Birmania, lo maledice. Per conto
mio amo i birmani con la cieca simpatia che nasce dalla prima impressione. Nella
mia prossima vita vorrei essere un birmano……”
Franco Marcoaldi - stralcio dal reportage pubblicato nel 1996 sul settimanale "D" di Repubblica.L'intero articolo può essere letto collegandosi al sito di DWEB
..... La visita a Shwedagon, un immenso complesso architettonico situato su un pianoro nel centro della capitale - Rangoon - è da questo punto di vista esemplare. Trasportati da due lunghissime scale mobili, che sembrano tolte di peso da un grande magazzino Liberty sovietico, via via che si sale si cominciano a intravvedere le sagome di innumerevoli templi, con tetti deliziosamente arabescati in legno, oppure adornati da scadenti motivi floreali in latta. Dopodiché, raggiunta la piattaforma vera e propria, ecco lo sconcerto, l'emozione, lo shock: come se qualcuno, sfregando la lampada di Aladino, avesse messo al lavoro nello stesso luogo dieci Gaudí, trenta Coppedé, e tutti gli altri mattocchi dell'architettura mondiale che vi vengono in mente. Materiali preziosi e paccottiglia si mescolano e si confondono, mentre una luce accecante si rifrange dall'oro della colossale pagoda centrale (uno stupa alto più di cento metri, con dentro le usuali reliquie del Buddha: in questo caso otto capelli), ai vetrini appiccicati sulle colonne dei templi più modesti. A questo aggiungete la presenza di giganteschi pupazzi (soldati, monaci, aruspici) sempre in coppia e con l'indice della mano rivolto verso il tempio ("venghino signori, venghino"), le piccole luminarie intermittenti che coronano una statua di Buddha su due, le statue squillanti di grifoni, leoni, serpenti ed elefanti che spuntano di colpo dai tetti rossi e grigi, i tempietti "astrologici" abbinati ai giorni della settimana. E poi ancora, ciliegina sulla torta, un gabbiotto dentro al quale c'è un piano girevole, e sopra quattro conche di rame (saggezza, fortuna, successo e amore) messe apposta per buttarci dentro le monetine, come si fa alla fiera con le palline bianche per i pesci rossi... Beh, se mettete tutto quanto insieme, sembra davvero di aver varcato il portone del più straordinario tra i luna park della religione. E non lo dico affatto pensando a un baraccone. Al contrario, a qualcosa di fiabesco: a una specie, appunto, di paese dei campanelli.......
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