DIARIO DI VIAGGIO IN BIRMANIA

Dal 14 al 27 Gennaio 1996

Il viaggio in Birmania inizia il 14 gennaio 1996: purtroppo dobbiamo scontrarci subito con i problemi dei voli. A Pisa il volo parte con notevole ritardo : preannunciato all’inizio di circa 30 minuti, finisce con partire con oltre tre ore di ritardo tanto da farci temere per la coincidenza a Roma per Amman. Comunque anche il successivo volo per Amman da Roma parte con un’ora e mezzo di ritardo. Non bisogna preoccuparsi e così, dopo un volo tranquillo atterriamo ad Amman (Giordania) dove, con 20’ minuti di ritardo, ripartiamo per Bangkok, dove atterriamo alle ore 11 locali (ora italiana le 5 del mattino); ultimo aereo da Bangkok per Yangon con un’ora di ritardo.

Nel grande aeroporto di Bangkok aspettiamo circa tre ore la coincidenza: siamo tutti e quattro un po’ stralunati: in pratica da Roma a qui abbiamo mangiato due cene, una colazione e subito la riduzione del fuso orario di 6 ore. Arriviamo a Yangon alle 16.30 locali, dove vediamo subito Soe e i suoi amici che stanno aspettando Chiara. Sbrighiamo le pratiche di frontiera, ognuno di noi deve convertire 300 dollari in FEC (il FEC è una specie di moneta locale dal valore equivalente al dollaro americano e potrà essere speso ovunque: lo scopo è quello di obbligare ogni turista che arriva a spendere almeno 300 dollari!).

Con il pulmino di Soe attraversiamo tutta Yangon e possiamo cominciare a renderci conto dei mezzi di trasporto comunemente usati dai birmani. Arriviamo così al l’albergo New Kan Taw Yeik che presumiamo si trovi all’incirca nel centro della città: è un albergo veramente modesto, e soprattutto la camera assegnataci lascia un po’ a desiderare; non ci sono servizi privati e la camera è con quattro letti e, salvo errore, nessun altro mobile se non un grande armadio che nessuno di noi utilizza. Ci facciamo una doccia (fredda) e usciamo quasi subito con Soe e un altro amico per andare a cena in un ristorante cinese, dove mangiamo ad un tavolo rotondo in una saletta solo per noi (questa è una tipica usanza dei ristoranti cinesi).Il menù è vario e piacevole e cominciamo ad apprezzare l’uso cinese di servire molte varietà di piatti comuni dai quali ognuno può attingere. Io comincio a gustare gli ottimi gamberoni fritti; altre specialità sono spezzatino di maiale fritto, pollo con anacardi, spaghetti di soia, spaghettini di riso, in tutto, in sei persone, spendiamo 1790 kiat.

Al tavolo cominciamo a conoscere le nostre guide e soprattutto Soe. Concordiamo il piano del viaggio e in pratica noi lasciamo fare tutto a loro. Dopo cena torniamo in albergo, fermandoci prima a visitare la Shwedagon Pagoda e poi a girellare in un mercato di piante all’aperto.

Purtroppo la visita della Pagoda, considerata uno delle maggiori attrattive del paese, viene effettuata quando siamo ancora stanchi e confusi e per di più di notte e quindi nessuno di noi è in grado di apprezzarla: ci limitiamo a fare un giretto in una realtà completamente strana per noi, riservandoci di tornarci prima di ripartire (cosa che non succederà).

La prima nottata trascorre abbastanza bene, nonostante un fastidioso rumore di un generatore, che poi si è fermato, lasciandoci però senza luce; Valentina ha avuto qualche problema con certe formiche nel letto….ma per il resto possiamo contentarci.

Al mattino successivo, e siamo al 16 gennaio, ci svegliamo alle 6 per poter essere pronti per la partenza per il lago Inle, prevista per le 7. Simpatica la colazione che ci viene servita nel giardino. L’albergo è costato 8 dollari a persona. Soe e l’altra guida di nome Thon (birmano che si rivelerà poi molto simpatico anche se per niente affidabile come orario e puntualità) arrivano, carichiamo tutto sul pulmino e comincia il tour per la Birmania.

Prima di lasciare la capitale ci fermiamo in una strada dove possiamo cambiare al mercato semi-ufficiale i dollari in moneta locale:

in pratica cambiamo altri 2/300 dollari per ognuno e ci vengono consegnati pacchi di kiat, nei tagli più strani (45, 75,90 e così via) che ci vediamo costretti a conservare ripartiti in tutte le nostre tasche: ci sembra di aver svaligiato una banca! Per ogni dollaro ci vengono dati 125 kiat così che ogni kiat viene a costare circa 13 lire italiane.

Lasciamo Yangon e lungo una bella strada larga cominciamo ad attraversare risaie, paesetti costituiti da povere case in legno e bambù; c’è moltissimo movimento di camion, biciclette, bici-sider e pedoni. Tanti lavorano per riparare le strade. Ci colpiscono i bambini che escono e vanno a scuola, tutti vestiti con lunghe gonne verdi.

Prima di raggiungere il primo centro di una certa importanza, Bago, facciamo una sosta per visitare la Kyaikpun Pagoda dove vediamo la Kyaikpun, quattro gigantesche figure che rappresentano Gautama e i tre Budda precedenti, appoggiate di schiena contro una colonna di mattoni che guardano i quattro punti cardinali.

Dopo un po’ ci fermiamo a fare uno spuntino in un tipico localino, un tea-shop, situato in un centro abbastanza movimentato, Bago: ci portano te e caffè e tante piccole paste, dolci e salate; di queste ricordo quelle ripiene di cipolla. Il locale è affollato e noi ci sediamo tutti intorno ad un piccolo tavolo all’interno.

A Bago visitiamo una pagoda dove si trova una delle più venerate figure di Buddha, la Shwethalyaung Image. Per arrivarci attraversiamo un bel villaggio di tradizionali case in legno su palafitte, circondate da giardini fioriti e negozi di artigianato. La figura del Buddha reclinato è lunga 55 metri e alta 16 e risale, restauri a parte, al 994 d.C.

Il biglietto d’ingresso, per i turisti, costa ben 2 dollari. Rifocillati, riprendiamo il viaggio. La strada in certi punti è veramente mal messa e ci sono bambini, bambine e donne e uomini che la stanno riparando, praticamente tutto con le mani, tranne qualche raro schiacciasassi. Si vedono mucche o bufali che lavorano nei campi: neppure l’ombra di mezzi agricoli meccanici.

Il pulmino di Soe è veramente confortevole: c’è anche l’aria condizionata, ma per il momento stiamo bene, il caldo non è eccessivo.

Ci fermiamo a pranzare in un locale lungo la strada nei pressi di Tangoo. Ci sistemiamo intorno ad un tavolo rotondo che immediatamente viene riempito di tanti vasi e vasetti pieni di cibo: uno in particolare ci colpisce, puzza tremendamente ed è accompagnato da minuscole formiche, si tratta di pesce essiccato ed il suo odore, si fa per dire, comparirà spesso durante tutto il viaggio soprattutto quando attraversiamo i paesi. Si mangia riso con papera, pollo, maiale e montone. Costo totale per sette persone 1070 kiat. Interessante la cucina del ristorante dove due donne cuociono il cibo in due grosse padelle concave poste sulla fiamma di legna.

Si riprende il viaggio. Vediamo centinaia di uomini e donne in bicicletta. Ci sono i bici-taxi con sidecar nel quale montano fino a tre persone oltre il guidatore che pedala con estrema fatica. E’ un continuo via vai di persone per tutto il tempo: non si capisce dove stiano andando.

La strada è sempre più sconnessa e stretta. Soe guida come un matto e supera tutti. Innumerevoli i bus, piccoli e grandi, con "obbligatoriamente" almeno quattro, cinque persone aggrappate all’esterno. Ci fermiamo per uno spuntino in un localino lungo la strada; tutti ci guardano, non sono abituati ai turisti. Pastine e black-tea (molto amaro, ma buono e lascia un buon sapore in bocca). Riprendiamo la strada e viaggiamo sino alle 19 quando ci fermiamo da un gommista perché una gomma si sta forando. E’ buio. Ci troviamo in un piccolo centro con piccole casette in legno e negozietti familiari. Siamo vicini ad un banchetto, sollevato su quattro paletti, tipo palafitta, dove sono esposte le povere merci in vendita, per lo più dolciumi altri cose da mangiare, mentre sul fondo del "negozio" il padrone, con i suoi due figli, sta mangiando seduto sul pavimento alla debole luce di qualche candela. Nessuno ci importuna o ci infastidisce: ci osservano, ma con molta discrezione e dignità.

Dopo una mezz’oretta ripartiamo e iniziamo una nuova strada – scorciatoia, dicono – in mezzo alla jungla, strada che si rivelerà infinita: oltre 100 miglia, nel buio, tutta curve, piena di buche e dossi. Soe supera continuamente camion carichi sino all’inverosimile di persone e merci. La strada è stretta e ogni volta che incrociamo un altro mezzo che sta venendo in senso contrario, uno dei due deve scostarsi e soffermarsi un attimo sulla banchina.

Non si arriva mai. Ci fermiamo per fare pipì: c’è un cielo meraviglioso, pieno di stelle. Fa freddo.

Finalmente alle 23.30 arriviamo a Nyaungshwe, un paesetto a 850 metri di altitudine situato sulle rive del lago Inle, dove ci sistemiamo in un simpatico alberghetto, con discrete camere a piano terra.

Tutti a letto senza cena., domani ci promettono che non toccheremo l’auto: oggi abbiamo percorso più di 400 miglia.

La camera con due letti e colazione al mattino costa 25 dollari. Noi non siamo ancora riusciti né a telefonare, né a telegrafare in Italia.

Il giorno successivo, mercoledì, dopo una buona dormita in un letto comodo e pulito e una buona colazione a base di uova, banane e caffè, ci avviamo a piedi al punto di imbarco per una escursione sul lago Inle. Il lago è lungo una ventina di chilometri e largo 10, poco profondo (massimo tre metri), con fondali pescosi. Gli abitanti del luogo pescano utilizzando una tipica imbarcazione, simile ad una canoa schiacciata, e remano in piedi muovendo una lunga pertica con un braccio e una gamba.

Noi attraversiamo il lago con una barca simile a quelle dei pescatori, ma più grande e con il motore; il lago è circondato da montagne e si trova sull’altopiano Shan: non fa per niente caldo.

Altra caratteristica di questo lago sono gli orti galleggianti, fertili ammassi di terreno paludoso ancorato con canne di bambù, sul quale gli abitanti coltivano frutta e ortaggi, aggirandosi tra questi orti con le loro lunghe canoe.

Prima di entrare nel lago vero e proprio attraversiamo un lungo canale dal quale vediamo tipiche palafitte ove gli abitanti vivono; le donne stanno lavando i panni nel lago.

Dopo circa 12 miglia, tra canale e lago, arriviamo a Ywama, un piccolo centro interamente costruito in legno sull’acqua, ove proprio oggi si svolge il settimanale mercato galleggiante. Ci arriviamo dopo aver percorso piccolissimi canali costeggiati di vegetazione e quello che ci colpisce è l’irreale silenzio che c’è nonostante le decine di imbarcazioni sulle quali sono esposte le merci in vendita: si trova merce turistica ma soprattutto generi alimentari di normale consumo; sia i venditori che gli acquirenti sono esclusivamente sulle canoe.

E’ uno spettacolo bellissimo: noi entriamo in perfetto silenzio tra le altre canoe e ognuna di queste si accosta alla nostra per offrici la loro merce. Non sappiamo dove guardare. Compriamo qualche oggetto di artigianato cercando di spendere il meno possibile. Compriamo anche delle banane; purtroppo non sempre riusciamo a capire di quale merce si tratta e allora dobbiamo contentarci di guardare.

Poi attracchiamo la canoa e scendiamo per visitare il paesetto camminando in pratica sulle stradine in legno sopraelevate. Visitiamo una tessitura dove utilizzano ancora vecchissimi telai manuali. Acquistiamo le tipiche borse shan e alcuni longyi. Da un ragazzo acquisto una vecchia scatolina in argento per 20 dollari, dopo una richiesta di 50.

Visitiamo una pagoda attraversando un simpatico mercatino alimentare. Grazia offre alcune caramelle ad alcuni bambini e.. improvvisamente è circondata e sommersa da richieste. La pagoda è preceduta da un piazzale assolato che dobbiamo attraversare scalzi come al solito.

Si mangia in un altro paesetto vicino, Twa Lay, in una trattoria sul canale piena di avventori. Siamo in cinque e spendiamo appena 635 kiat.

Dopo mangiato, sempre in canoa, andiamo a visitare un monastero situato sulle rive del lago. Ci arriviamo percorrendo decine di canali e costeggiando palafitte e orti galleggianti. Il vero nome del monastero è Nga Phe Kyaung, ma è comunemente conosciuto come il Monastero dei gatti saltanti. Si tratta di una splendida costruzione interamente in teak che poggia su 654 palafitte e risale alla seconda metà del XVIII secolo. All’interno ci sono le solite immagini di Buddha, ma la cosa che più colpisce è la rilassante atmosfera che immediatamente ci avvolge. Ci sono altri cinque o sei turisti, sdraiati o seduti sul pavimento in teak, vicino a due monaci che stanno facendo saltare un gattino. Ci sediamo anche noi e beviamo un po’ di te e mangiamo fagioli secchi tostati.

Di nuovo in canoa e ritorno all’albergo seguiti dai gabbiani ai quali Soe getta un po’ di cibo: noi ci appisoliamo al sole e arriviamo tutti abbronzati.

Dopo un breve riposo noleggiamo una bicicletta per uno e pedaliamo per 3 Km lungo una stradina fiancheggiata da canali. Arriviamo così ad un piccolo monastero tutto in teak con eleganti finestre ovali sulla facciata. Lo visitiamo e possiamo così apprezzare di nuovo l’atmosfera rilassante che circola in quei posti. Il monastero è abitato da monaci adulti e bambini.

Al ritorno ci fermiamo nel centro della cittadina dal nome difficilissimo (si tratta sempre di Nyaungshwe chiamata anche Yaunghwe) per girellare tra i negozi. Mi ricordo di una negozio di scarpe dove compriamo ciabattine infradito per tutti: in effetti vendono solo quel tipo di calzatura!

Torniamo in albergo e mi faccio la barba al lume di candela, perché la luce della lampadina è troppo bassa!!!!

Per la cena torniamo nel centro del paese e mangiamo in un ristorante insieme agli autisti dell’altro pulmino di italiani che avevamo incontrati in aereo. C’è un tipo buffissimo che ride sempre con una enorme bocca: insieme a Thon si diverte a ripetere, storpiate, le parole in varie lingue. Tutti a letto presto. Domani sveglia alle 6 per partire alle 7.

E cos’ siamo arrivati a giovedì 18 gennaio. Si parte presto come previsto e in poco tempo arriviamo a Taunggyi, 100.000 abitanti e capitale dello stato Shan. La città è molto estesa intorno alla lunga via principale.

C’è molto movimento e dà proprio l’impressione di essere in un centro commerciale: qui trafficano uomini d’affari cinesi e contrabbandieri . Finalmente riusciamo ad inviare un telegramma in Italia da un ufficio postale di altri tempi.

Parcheggiamo il pulmino in una piazza presso il mercato coperto, ma noi preferiamo visitare il mercato all'’aperto che si trova dall’altra parte della strada. Prima percorriamo una lunga strada fiancheggiata da una miriade di venditori di ogni genere di merci alimentari. Riso, verdure, legumi, frutta, carne e pesce. E’ uno spettacolo meraviglioso. I venditori, soprattutto donne, stanno accovacciate in attesa dell’acquirente, magari con un bambino in collo. Nessuno ci dà noia o ci chiede qualcosa: ci guardano e basta. Ci sono prodotti conosciuti e sconosciuti. Pesce secco. Al ritorno entriamo nella zona coperta sempre del mercato alimentare dove ci sono banchi che vendono una infinità di qualità di peperoncino (chilli), di riso, di spaghetti di soia. Naturalmente non riusciamo a non andare anche al mercato coperto dove ci sono decine di negozi di tessuti, scarpe, utensili e altro.

Prima di lasciare Taunggyi facciamo una visita al mercato dei rubini: si tratta di un recinto all’aperto con centinaia di tavoli sui quali sono esposti rubini e altre pietre grezze. E’ un mercato illegale, ma tutto avviene alla luce del sole senza l’ombra di un poliziotto. Tra un tavolo e l’altro si incontrano le caratteristiche tea-house e diversi venditori di betel.

Questo è un frutto di una palma indiana che avvolto in una foglia di betel insieme a latte di calce, tabacco e peperoncino, viene masticato da molti birmani dando un vago effetto di stupefacente: tali masticatori hanno poi la brutta abitudine di sputare per terra una saliva rosso sangue.

Lasciamo Taunggyi e ci dirigiamo, per una strada stretta e tortuosa, verso Pindaya, dove c’è una pagoda e soprattutto le grotte. Per raggiungere le grotte bisogna percorrere, a piedi nudi, una lunga scalinata di ben 555 gradini spesso fiancheggiata da piccoli negozietti di souvenir e articoli religiosi. Alcuni venditori ci offrono spontaneamente te e patatine; ci sono anche alcune scimmiette che ci seguono.

La grotta avanza all’interno della montagna per circa 160 metri e contiene ben 8094 statue di Buddha, di ogni dimensione e materiale, illuminate debolmente: si tratta di ex-voto.

Facciamo sosta per mangiare in una trattoria lungo la strada per Mandalay, ove arriviamo verso le 20. Ci sistemiamo in un discreto albergo con servizi privati e aria condizionata. Finalmente riusciamo a telefonare a Livorno, dopo una lunga attesa per avere la linea: sono le 22.30 e andiamo nel centro di Mandalay alla ricerca di un ristorante, ricerca che si rivelerà difficile perché a quell’ora risultano quasi tutti chiusi. Ne troviamo uno aperto sulla terrazza di un grande palazzo, l’Ambassador: è un grande locale e di lusso, ma noi siamo gli unici clienti. Ci sistemiamo ad un tavolo su questa grande terrazza all’aperto e veniamo subito circondati da numerosi camerieri. Siamo un po’ imbarazzati ma riusciamo ad ordinare gamberoni e aragostine mentre sul palco in fondo alla terrazza alcune ragazze cantano a tutto volume. Da lassù possiamo ammirare il panorama su Mandalay ormai addormentata o quasi. Mangiamo bene, e paghiamo un po’ più del solito: 4000 kiat, quasi 50.000 lire italiane.

Siamo tutti un po’ stanchi e in modo particolare Soe che ha guidato. Andiamo a letto.

Al mattino di giovedì 19 ci facciamo una discreta colazione in albergo a base di uova fritte e banane. Soe e Thon stanno lavando l’auto nel cortile dell’albergo e io passo un po’ di tempo ad osservare il passaggio delle persone, a piedi, in bici, in motorino e sui simpaticissimi pick-up stracarichi di persone.

Verso le 10.30 partiamo alla volta di Sagaing, a 20 km da Mandalay oltre il fiume Ayeyarwady che attraversiamo grazie all’Ava Bridge, l’unico ponte sul fiume, lungo un chilometro. Visitiamo una pagoda sulla collina dalla quale si ammira un bellissimo panorama punteggiato da centinaia di pagode e stupa che spuntano da ogni parte in mezzo agli alberi.

Lasciamo Sagaing e lungo la strada ci fermiamo presso alcuni laboratori di argento. Dopo una sosta per mangiare ottimi gamberi fritti , arriviamo a Mingun.

Ci fermiamo all’inizio del famoso ponte interamente costruito in teak lungo più di un chilometro, ponte che attraversa un lago e conduce ad un piccolo villaggio. E’ il ponte in teak più lungo del mondo, lo percorriamo a piedi incrociando moltissimi birmani e monaci e arriviamo ad un villaggio in mezzo al bosco dove si trova anche l’immancabile pagoda. Sua caratteristica sono alcune pitture murali.

Percorso il ponte nei due sensi, ci riposiamo ad un bar per sorseggiare una Pepsi. Atmosfera rilassante nonostante il caldo.

Poi di nuovo in auto diretti alla collina di Mandalay :Mandalay Hill dalla quale, seduti su caratteristici seggioloni, ci godiamo un bellissimo panorama sulla città e uno stupendo tramonto (dollari 4 a persona!).

La collina è alta 236 metri ed è considerata luogo sacro. La salita l’abbiamo fatta in ascensore, ma al ritorno scendiamo per una lunga scala di 975 gradini ricca di negozi, banchetti di souvenir e articoli religiosi, venditori ambulanti ed altre cose. Innumerevoli le pagode, i tempietti, le immagini di Buddha o altri soggetti sacri: sarebbe necessaria una maggiore conoscenza della religione e della storia per poter apprezzare più profondamente tutto quello che vediamo. La discesa la facciamo quasi al buio e infatti molti venditori stanno dormendo vicino alla loro mercanzia.

Torniamo in centro e ci immergiamo in un fantastico mercato notturno all’aperto dove c’è molta gente e una infinità di venditori: abbigliamento, utensili, alimentari e tante, tantissime bancarelle di cibo cotto dalle forme più strane ai soliti spaghetti di riso.

Ci fermiamo a mangiare in una tea-house con le caratteristiche mini-seggioline. Siamo sfiniti, andiamo a letto presto.

Oggi è sabato e ci facciamo una buona colazione all’occidentale, nonostante un caffè lunghissimo.

Andiamo a visitare la Mahamuni Pagoda, la pagoda più venerata dell’intero paese, che contiene la sacra immagine di Mahamuni, alta quasi 4 metri, in bronzo e coperta da uno spesso strato di foglie d’oro che ogni giorno viene costantemente incrementato dai fedeli: però è consentito solo agli uomini di avvicinarsi alla statua per applicarvi la foglia d’oro. Rispetto alle altre pagode viste sino ad oggi, notiamo una grande folla di fedeli, a dimostrazione dell’importanza del luogo. Anche qui ci sono innumerevoli venditori di immagini. Qui compriamo i famosi piedi di Buddha.

Alle 10.30 andiamo al refettorio di un monastero per assistere all’unico pranzo giornaliero dei monaci. Tutti i monaci, giovani e vecchi lasciano le ciabatte all’esterno, e in fila si avvicinano a enormi contenitori di riso per vedersi riempire la loro ciotola, Poi, sempre in rigoroso silenzio, si siedono ai lunghi tavoli all’interno del monastero e mangiano. Al piano di sopra ci sono le camere dove i monaci dormono. Questa visita si è rivelata molto interessante.

Noi dopo, tanto per cambiare, ce ne andiamo a visitare il grande mercato coperto di Mandalay, due enormi costruzioni a più piani con centinaia e centinaia di negozi di ogni genere.

Poi mangiamo in un ristorante nel centro di Mandalay, da Minnim, un ristorante tipicamente birmano.

Nel pomeriggio torniamo ai piedi di Mandalay Hill per visitare la Kuthodaw Pagoda ove sono custodite, in altrettanti piccoli stupa bianchi, le 729 tavole in pietra sulle quali è inciso tutto il Tripitaka, l’insegnamento di Buddha. E’ stato calcolato che una persona, per leggere tutto quanto è scritto sulle tavole, impiegherebbe 450 giorni a otto ore giornaliere.

Torniamo in albergo presto e ci facciamo una salutare doccia calda, ci riposiamo, tentiamo invano di telefonare e poi andiamo a cena in un bellissimo locale alla periferia di Mandalay. E’ un ristorante cinese con decina di tavoli rotondi, fontane e un palco ove si esibiscono cantanti a ripetizione. Si mangia benissimo: anatra, gamberi, pollo fritto e un ottimo pesce arrosto guarnito. Ad un tavolo vicino a noi stanno festeggiando un compleanno. Chi vuole può esibirsi sul palco per cantare: Thon non si fa pregare e canta , ricevendo poi due corone di fiori, una da Valentina e una da un’altra turista. Bellissima serata. Naturalmente il prezzo è più alto del solito, ma non esagerato:4155 kiat.

E siamo arrivati a domenica 21 gennaio. Lasciamo Mandalay. Niente nella città fa capire che si tratta di giorno festivo.

Paghiamo l’albergo dove siamo stati veramente bene pagando solo 25 dollari a camera per notte.

Si parte per Bagan. Ci fermiamo in un paesino a fare uno spuntino e di nuovo in auto. Il paesaggio è tipo savana con tante palme, piantagioni di cotone, cipolle. Si mangia ai piedi del Monte Popa.

Questo monte è considerato l’Olimpo del Myanmar in quanto è la dimora dei Nat: si innalzò dalla pianura proprio al centro di un vulcano estinto nel 442 a.C. in seguito ad un terribile terremoto. Lungo 772 gradini saliamo sulla vetta del monte, altezza 1518 metri e quindi senza problemi di caldo eccessivo, dove si trova una pagoda. Lungo la scalinata ci sono scimmiette noiose. Bellissimo il panorama dall’alto.

Con una certa difficoltà lasciamo il Monte Popa perché la strada è in costruzione e Soe deve fare esercizi di equilibrismo per superare un percorso lastricato di pietre appuntite. Per il momento tutto bene e così arriviamo a Bagan verso le dieci di sera e ci sistemiamo in un simpatico albergo con camere tipo cottage: siamo al buio perché è andata via la luce, sembra per un’auto che ha buttato giù un pilone.

Ci riposiamo e, tornata la luce, andiamo a cenare in un tipico ristorante con vera cucina birmana. Si mangia quasi al buio

tra un sacco di piattini con salsine varie. Io e Grazia andiamo a letto presto, mentre Chiara e Valentina vanno in qualche locale con Soe e le altre guide.

Inizia la seconda settimana orientale. E’ lunedì e la giornata è interamente dedicata alla visita di Bagan, la località forse più famosa di tutto il Myanmar.

Si tratta di una zona archeologica pianeggiante di circa 40 Km.quadrati lungo un’ansa del fiume Ayeyarwady, fondata nel 1044 e capitale dell’impero birmano per oltre due secoli.

In tale periodo la zona era costellata da 4446 edifici religiosi : oggi ne sono rimasti circa 2200, tutti circondati dal verde della pianura.

Effettuiamo la visita di questa zona con due calessini con autista, che saranno a nostra disposizione fino alla sera ad un costo veramente irrisorio: 600 kiat!!!

Stupendo il paesaggio che ci circonda e simpaticissima

l’idea di attraversarlo con un calesse che ci consente di osservare con calma le varie pagode, la natura, le persone in un piacevole silenzio. Ogni tanto scendiamo per visitare qualche pagoda più importante: ma la cosa più bella è l’atmosfera che ci circonda. Le pagode di questa zona sono costruite in mattoni rossi a vista e solo alcune sono state intonacate. Purtroppo la mancanza di conoscenza specifica dell’arte e della storia di questo luogo non ci consente di apprezzare al meglio tutto quello che vediamo e che Soe si affanna a farci vedere. Per noi una pagoda finisce con l’essere simile all’altra e non riusciamo più a ricordare le diverse caratteristiche di ognuna di quelle visitate.

 

Si mangia benissimo in un ristorante cinese: gamberi al curry e pesce fritto e una ottima insalata di gamberetti con cipolle. Nel pomeriggio proseguiamo la visita ai templi.

All’ultimo, saliamo su una pagoda dall’alto della quale possiamo assistere ad uno spettacolare tramonto del sole su una pianura infinita piena di pagode e stupa. Qui ci sono moltissimi turisti.

Prima di tornare all’albergo ci fermiamo in un negozio specializzato nella produzione di lacche dove ammiriamo oggetti di ogni tipo.

Riposino in albergo e poi cena sotto un cielo di luna e stelle sulla riva dell’Ayeyarwedy. Si beve un po’ di rhum. Siamo allegri.

Purtroppo inizia il viaggio di ritorno, anche se lo faremo per una strada diversa da quella dell’andata. E’ martedì 23 gennaio e sarà interamente dedicato al viaggio in auto da Bagan a Pyi. La strada è tremenda, stretta, con curve e salite e molto sconnessa. Sono più di 200 miglia che percorriamo in 10 ore di cui una per mangiare e due per una sosta causata da una rottura del freno di una ruota.

La sosta forzata avviene poco dopo aver lasciato un paesetto dove abbiamo pranzato. Ci fermiamo sul ciglio della strada nei pressi di un piccolo villaggio e così possiamo sperimentare l’ospitalità birmana. Mentre Soe ha chiesto un passaggio per tornare al paese al fine di riparare il freno, noi restiamo in questo villaggio e gli abitanti ci fanno sedere sull’unica panchina e ci offrono te, che beviamo dalle loro tazzine, e noccioline mischiate con sesamo. Chiara e Valentina aiutano le altre ragazze del paese a raccogliere qualche spicciolo chiedendolo alle persone che transitano sui camion e sulle auto. Raccolgono fondi per costruire una scuola. E’ simpatico vedere la faccia delle persone che si meravigliano nel vedere due donne bianche raccogliere denaro: così le offerte saranno più sostanziose.

Arriviamo a Pyay quando è già buio. Ci sistemiamo in albergo, mangiamo e andiamo a letto presto.

Mercoledì 24 gennaio. Abbiamo deciso di rinunciare ad andare sul mare perché ormai il tempo stringe e una semplice toccata della spiaggia non ci comporterebbe meno di 2 giorni di viaggio.

Ci contentiamo, nonostante le lamentele di Valentina, di visitare una nuova pagoda a Pyay. E’ una delle più importanti del Myanmar ed è chiamata la Pagoda del Capello d’Oro. E’ costruita su una piccola altura alla quale si accede mediante un ascensore collegato da una passerella alla pagoda stessa. Da lassù si gode una bella vista sulla città e ammiriamo, tra gli alberi in basso, una grande figura del Buddha seduto.

Torniamo in albergo utilizzando una bici-taxi sulla quale saliamo in due più il pedalatore.

Riprendiamo il viaggio in auto diretti ormai verso Yangon. La strada ora è buona . Facciamo due sole soste, una per pranzare e una per ristorarci con un caffè, e così arriviamo a Yangon. Questa volta ci sistemiamo in un nuovo albergo, leggermente migliore di quello del primo giorno. Abbiamo una camera a tre letti, senza bagno né lavandino. Le finestre non si possono aprire perché all’esterno sono piene di sporco di uccellini e altro. Di fronte c’è una serie di bancherelle che fanno una confusione tremenda. C’è il frigorifero ed il condizionatore ma……non funzionano perché spesso manca la corrente: in compenso c’è una luce di emergenza. Ci facciamo una doccia e andiamo a mangiare in una trattoria birmana con saletta riservata

Abbiamo passato una nottata un po’ agitata: rumore, luce, animali sulla testa (gechi), lenzuola sporche ecct. Colazione in albergo e poi ci dirigiamo al Parco naturale a visitare lo zoo. Lungo la strada ci fermiamo in un giardino botanico dove vediamo altissime piante di bambù. Il parco naturale, nel quale entriamo con l’auto, ci dà una idea, anche se lontana, di come sarebbe stato un viaggio nella jungla tanto desiderato da Valentina.

C’è una tribù di scimmie alle quali offriamo un cesto di banane acquistate in loco. Poi cervi. Altalena sulle rive di un laghetto che attraversiamo con una barchetta. Vediamo sulla riva un maribù. Poi, dulcis in fundo, facciamo una cavalcata in groppa ad un elefante: la cosa si rivela più emozionante di quanto potesse sembrare; ad un certo momento io e Grazia abbiamo avuto l’impressione che l’elefante non rispondesse troppo docilmente ai comandi della guida.

Usciamo dal parco e ci ristoriamo ad alcune bancarelle all’aperto: gamberetti essiccati, foglie di te macerate, sesamo, aglio fritto, arachidi, il tutto bagnato da una specie di olio.

Torniamo in albergo sperando in una buona doccia calda……ma siamo ancora al buio! Tutta la città è senza luce e quindi dobbiamo scegliere un ristorante con un proprio generatore di corrente.

Ci andiamo a piedi: è un grande ristorante cinese e nella sala principale si sta svolgendo il banchetto di un matrimonio. Noi ci sistemiamo in una saletta tutta per noi e mangiamo abbastanza bene: spaghetti di riso e pesce fritto con salsa piccante.

iamo arrivati a venerdì 26 gennaio. La mattina è dedicata alla visita del mercato coperto Bogyoke Aung San Market: si tratta di quasi 2000 negozietti che vendono di tutto: tessuti, gioiellerie, alimentar, farmacia. Lasciamo il mercato e in taxi raggiungiamo il punto di imbarco per raggiungere Syriam, un piccolo centro nei dintorni di Yangon sul canale Twante. Con un enorme chiattone attraversiamo il canale al prezzo di 1 kiat a persona. Arriviamo dall’altra parte e ci troviamo in una landa desolata dove contrattiamo con un tassista per essere portati a Syriam con un pick-up scarcassato. A Syriam mangiamo in una simpatica trattoria birmana, gamberi al curry e omelette, e poi, con una barchetta stracarica di persone, andiamo alla pagoda situata nel mezzo del fiume. E’ meta di pellegrinaggio dei fedeli che sono soliti portare da mangiare a degli enormi pesci gatto che circondano l’isoletta.

Sulla strada del ritorno ci fermiamo in un’altra pagoda, ai piedi della quale si sta svolgendo una specie di festival con i soliti negozietti e banchetti di generi alimentari, cotti e crudi, caldi e freddi.

Torniamo a Yangon e passeggiamo per un paio di ore, fino alle 20, tra miriadi di mercatini all’aperto dove vendono di tutto. La cosa più interessante sono le bancarelle alimentari: spaghetti precotti, riso bollito, spiedini di uccellini, di interiora di animali, gambe di gallina, frittelle dolci e salate, verdure fritte, frittelle di gamberi e così via;

oppure frutta esotica, pesce fresco ed essiccato, acqua fresca (!). I Birmani si fermano a mangiare a queste bancarelle, seduti su minuscoli panchettini. Noi facciamo uno spuntino in una tea-house, poi in una gelateria e quindi a letto.

Siamo arrivati al giorno della partenza: è sabato 27 gennaio, ma non ancora soddisfatti Grazia, Vale ed io torniamo al mercato con un pick-up. Finalmente riusciamo a girellare per le strade di Yangon senza una meta precisa. Una delle cose più interessanti sono i negozi che a migliaia riempiono la città. Certe volte non riusciamo neppure a capire quale sia la

merce in vendita o l’attività prestata, e naturalmente le insegne, quando ci sono, non ci aiutano.

Ormai siamo giunti alle ultime ore di questo viaggio e vorremmo memorizzare tutto quello che vediamo per poterlo ricordare. Ci aiutiamo con la macchina fotografica, ma a volte non è sufficiente. Certo sarà difficile dimenticare lo sguardo dei birmani e soprattutto quello dei bambini.

Torniamo all’albergo dove troviamo Chiara e Soe che ci stanno aspettando e poi tutti insieme aspettiamo Thon che è andato a far riparare l’auto. L’attesa si rivelerà inutile e ci confermerà la poca attendibilità di Thon. Alla fine Soe decide di chiamare un taxi che ci porterà tutti all’aeroporto. Soe è molto triste. All’ultimo arriva anche Thon e tutti insieme ci facciamo una bevuta al ristorante dell’aeroporto.

Disbrigo delle pratiche e partenza.

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