Da Pietro al Papato
di Fausto Salvoni

CAPITOLO TREDICESIMO

ILPOTERE TEMPORALE DEI PAPI (parte prima)


INDICE PAGINA

Introduzione
La donazione di Costantino
Stefano II e lo stato pontificio
Superiorità papale sui governi civili
Gregorio VII
Alessandro III
Innocenzo III
Bonifacio VIII
I canonisti
Il Vicario di Cristo
La coronazione
Il governo civile alla rivincita
Le tesi odierne
Caduta del potere temporale


Introduzione

All'inizio della potenza politica del Pontificato Romano stanno i «patrimonia» che le più illustri casate del Patriziato Romano donarono ai vescovi di Roma, trasmettendo, assieme ai possedimenti anche i diritti che secondo il diritto quiritario e patrizio vi si ricollegavano. I vescovi romani alla fine dell'Evo Antico erano già divenuti i più potenti patrizi romani che esistessero in Italia. Tale sistema fu continuato dall'imperatore Costantino il quale donò vastissimi latifondi alle Basiliche da lui fondate. Con il successivo disgregamento dell'impero i papi si sostituirono agli imperatori e i vescovi ai prefetti delle provincie divenendo in tal modo i difensori delle cittadinanze e delle plebi. La zona difesa dal papato contro le invasioni barbariche racchiudeva l'Italia centrale con la zona montagnosa di Napoli, alle foci del Po, a Ravenna ad Ancona e al Piceno, incluse la Romagna e l'Emilia fino a Bologna (1) .

Nel IV secolo Roma possedeva dei beni anche in Oriente, che dall'imperatore Teodosio furono cambiati con patrimoni della Sicilia e della Calabria (1bis) . Nell'epistola 52 di Gregorio Magno si legge che la S. Sede possedeva allora ben 23 patrimoni (patrimonium beati Petri) in alcuni dei quali esercitava anche il dominio temporale. Si trattava di una proprietà fondiaria davvero colossale la cui amministrazione stava accentrata nel corpo dei diaconi in numero di sette detti regionarii , coadiuvati da quattordici suddiaconi, dei quali sette portavano pur essi il titolo di regionari (2) Gregorio cercò di difendere il suo patrimonio nel 598 mediante trattative con Agilulfo che, movendo da Pavia, occupate Piacenza e Parma, scendeva dall'Appennino e conquistava Perugia. Con il corso dei secoli il patrimonio papale andò sempre più allargandosi, anche mediante opportuni falsi, che accrebbero maggiormente l'autorità papale.

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La donazione di Costantino

Il « Constitutum» o la « Donatio Costantini» comparve per la prima volta nel suo testo integro verso la metà del IX secolo e per tutto il Medio Evo fu ritenuta genuina fino ai dubbi al tempo degli Ottoni e alla confutazione fattane dall'umanista Lorenzo Valla (3) e dal cardinale Nicolò Cusano (4) .

« Luogo e scopo della falsificazione sono ancor oggi discussi. Probabilmente venne composta non molto dopo il 750, ancora sotto Stefano II (a. 753) e allora avrebbe influito negli accordi di Quiers(5) oppure sotto il pontificato di Paolo I (757-767) e in tal caso non in Francia (così Kirsch, Buchner), ma a Roma stessa, per dare un fondamento giuridico contro i Greci e i Longobardi alle pretese curiali dell'esarcato e su altri territori italiani; molto più improbabile è il suo spostamento al secolo nono (Buchner-Eichmann 816; Schnürer-Heuggeler verso l'850).
«La formulazione indefinita e il contenuto altisonante della donazione poterono anche in seguito dar argomento a ulteriori rivendicazioni del papato per l'aumento dei territori, per l'autonomia politica e per un predominio sull'Occidente, quest'ultimo concepito più idealmente che altro. In questo senso, dopo la metà dell'XI secolo, – con decisione ed insistenza però solo dalla fine del XII – essa venne usata dai papi nelle lotte con le potenze secolari, d'altro canto venne oppugnata come dannosa per la Chiesa da parte di eretici e di avversari di papi, qualche volta anche in ambienti ecclesiastici (Dante e altri) » (6) .

Ecco il contenuto della Donatio: nel 314 un prete di nome Silvestro fu consacrato «vescovo di Roma», proprio negli anni in cui la città era terrorizzata da un dragone puzzolente che con il fetore del suo alito ne sterminava gli abitanti. Il mostro abitava in una caverna ai piedi della rupe Tarpea, alla quale si accedeva attraverso una scala di trecentosessantasei scalini. Nessuno osava affrontare il dragone, finché un giorno il papa si calò disarmato nella tana del mostro e lo catturò. Dopo alcuni giorni l'Urbe fu colpita da una calamità ben più grave: l'imperatore Costantino aveva bandito la persecuzione contro i cristiani; lo stesso Silvestro fu costretto a fuggire ed a cercare rifugio in una grotta nei pressi del monte Soratto. Qui lo raggiunse la notizia che l'imperatore era stato colpito dalla lebbra. I medici di corte erano disperati perché nulla riusciva a lenire le sofferenze di Costantino, al cui capezzale furono convocati i più grandi maghi dell'impero; costoro gli ordinarono di immergersi in una vasca piena di sangue spremuto dal ventre di bimbi appena nati. Costantino rifiutò di sottomettersi a tale rimedio atroce e la notte stessa gli apparvero in sogno i santi Pietro e Paolo che gli diedero l'indirizzo di Silvestro. L'imperatore credendo che si trattasse di un medico, lo mandò a cercare, ma il pontefice accorso al suo capezzale gli somministrò i primi rudimenti della fede cristiana. Dopo una breve penitenza in cilicio Costantino fu battezzato nel palazzo lateranense: l'imperatore, indossata la veste bianca del catecumeno, fu calato in una vasca dalla quale riemerse completamente guarito. Le piaghe che gli dilaniavano il corpo erano scomparse, le ulcere si erano cicatrizzate. La persecuzione fu immediatamente revocata e il Cristianesimo diventò religione ufficiale dell'impero. Nuove chiese cominciarono ad essere costruite a spese dello stato, e di alcune l'imperatore gettò personalmente le fondamenta.

Un giorno Costantino ricevette dalla Bitinia una lettera della moglie Elena, nella quale l'imperatrice gli suggeriva di adottare il giudaismo, l'unica vera religione. Costantino convocò il Papa e il Rabbino: i tre disputarono a lungo, ma non riuscendo a mettersi d'accordo, decisero di ricorrere al giudizio di Dio. L'imperatore allora ordinò che fosse condotto un toro: si avvicinò per primo al rabbino, che sussurrò all'orecchio dell'animale un versetto della Bibbia. Il toro, come fulminato, piombò a terra, e tutti gridarono al miracolo. Quando fu il suo turno, Silvestro si accostò alla vittima e pronunciò il nome di Cristo. Immediatamente il toro morto alzò la coda e fuggì. L'imperatore, sconvolto del prodigio abbandonò l'Urbe e partì per l'Oriente, dove fondò la città che da lui prese il nome. Ma prima di imbarcarsi donò la giurisdizione civile dell'Occidente a Silvestro e successivamente riconobbe la supremazia del vescovo di Roma sui patriarcati di Alessandria e Antiochia, Gerusalemme e Costantinopoli. Il pontefice ottenne pure le insegne di «basileus» vale a dire il manto purpureo, lo scettro e la scorta a cavallo. Ciò gli conferiva automaticamente la potestà temporale sull'impero d'Occidente e lo rendeva indipendente da quello d'Oriente. Il clero fu equiparato al Senato e autorizzato a bardare le cavalcature con gualdrappe bianche; l'imperatore depose personalmente l'atto di donazione sulla tomba di s. Pietro.

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Stefano II e lo stato pontificio

Con l'invasione dei Longobardi ad opera di Astolfo e la successiva caduta del territorio dell'esarcato, tenuto in Italia dai Bizantini, Stefano II (752-757), che aveva molti beni ecclesiastici, per impedire di cadere sotto il dominio longobardo e di essere degradato al ruolo di un semplice vescovo, si recò nel 753 alla corte del re franco Pipino per ottenere, tramite il suo appoggio, la restituzione del territorio occupato.

« La scena fu drammatizzata dai cronisti: Stefano II si inginocchiò davanti a Pipino e con le lacrime agli occhi lo supplicò di «difendere la causa di Pietro e della repubblica romana». Anzi secondo il cronista di Moissac, la scena avrebbe raggiunto il patetico: vestiti di cilicio, la testa cosparsa di cenere, il papa e i suoi ecclesiastici si sarebbero prostrati davanti a Pipino affermando che non si sarebbero rialzati finché Pipino non si fosse impegnato di restituire, o meglio far ridare da Astolfo ai bizantini l'esarcato » (7) .

Pipino si interessò perché Astolfo «restituisse il territorio ai Romani», forse perché circolava di già presso la corte francese e la curia romana la « Donatio Constantini ». Nella dieta di Quercy-sur-Oise (a. 754) il re si impegnò formalmente ad accontentare il papa. Ma Astolfo, anziché mantenere le sue promesse, assediò Roma. Stefano II invocò allora con gran veemenza l'aiuto dei Franchi, anzi in una lettera immaginò che lo stesso S. Pietro scrivesse a Pino e ai suoi:

« Io Pietro, apostolo di Dio, che vi tengo per miei figli adottivi per difendere dalle mani dei nemici questa città di Roma e il popolo affidatomi da Dio e il tempio in cui riposa il mio corpo, vi scongiuro a strappare dalla contaminazione delle genti e a liberare la Chiesa di Dio a me affidata dalla divina potenza soprattutto per le gravi afflizioni che soffriamo da parte della pessima razza dei Longobardi »

e continua dicendo di non permettere al popolo romano di cadere in mano dei Longobardi affinché i Franchi non siano separati dal regno di Dio e dalla vita eterna (8) .

Pipino accorse immediatamente, liberò Roma, fece occupare l'esarcato e l'abate di S. Dionigi fu incaricato di curare la trasmissione della sovranità di quel territorio a favore del papa. All'ambasciata di Bisanzio che lo reclamava per sè, rispose:

« Non avere lui, per amore d'uomo del mondo, condotto quella guerra, ma per amore di Pietro, per conseguire in tal modo la remissione dei suoi peccati, nè che mai per tutto l'oro del mondo sarebbe venuto meno alla fede data alla Chiesa di Roma » (9) .

Così si costituiva uno stato pontificio, che era insieme spirituale e temprale, che da quel momento avrebbe assunto un ruolo importante nella storia italiana e mondiale. penso che oggi quasi tutti – anche i cattolici – riconoscano la giustezza del giudizio dato dal Gregorovius:

« Con la fondazione di tale stato, cessò il periodo della storia puramente vescovile e sacerdotale e si chiuse l'epoca più bella e gloriosa della Chiesa romana e i pontefici che, contro la legge del Vangelo e delle dottrine di Cristo, associarono il sacerdozio al principato, non poterono dappoi serbarsi alla pura missione dei vescovi apostolici. La loro duplice natura, contraddizione in se medesima, li trascinò ognor più al basso, in mezzo all'agitazione delle ambiziose arti politiche, laonde eglino, per necessità, furono tratti a lotte depravatrici, affine di mantenersi nel possesso dei loro titoli temporali; furono costretti a discendere a guerre civili interne contro la città di Roma e a lotte continue contro le potestà politiche » (10)

E' appunto ciò che vedremo nelle pagine seguenti, dove si mostrerà la gara verso la supremazia non più solo nel campo religioso, bensì anche nel campo civile.

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Superiorità papale sui governi civili

Il papato andò imponendosi sui principi terreni assai lentamente (11) dapprima gli stessi papi stavano sottoposti all'imperatore al quale sino al tempo di papa Agatone (681 d.C.) pagavano un tributo al momento della loro elezione e dal quale chiesero sino a papa Benedetto II (a. 685) la approvazione. Ancora Leone III eletto nel 795 si affrettò a rendere nota la sua elezione al re franco Carlo promettendogli fedeltà e ubbidienza e offrendogli, tramite i suoi legati, , le chiavi della Confessione di S. Pietro e il Vexillum di Roma, segno rispettivamente del suo dovere di custode del sepolcro dell'apostolo e della sua autorità sulle milizie romane. I primi imperatori presiedevano i concili ecumenici e ne imponevano le decisioni come leggi imperiali. Fu Ambrogio, vescovo di Milano, che cominciò ad affermare in una sua lettera a Valentiniano come anche l'imperatore fosse dentro e non sopra la chiesa(12) All'imperatore Graziano oppose la precedenza delle leggi ecclesiastiche su quelle statali(13) Dopo la strage di ottomila persone nel circo di Tessalonica nel 390, esigette una penitenza pubblica da Teodosio, nonostante ch'egli fosse imperatore. Il trasferimento della capitale a Bisanzio e l'inizio del potere temporale pontificio assicurarono maggior libertà alla chiesa romana e facilitarono l'imporsi dell'autorità papale anche sopra i re dell'Occidente (14) I rapporti del vescovo di Roma con gli imperatori e le varie corti si coltivarono mediante gli «apocrisari»; così Leone I (+ 461) accreditò stabilmente Giuliano di Coos presso la corte imperiale di Costantinopoli. Essi erano simili ai moderni ambasciatori, ma in più erano giudici degli affari ecclesiastici e con una delega speciale potevano persino presiedere i concili a nome del papa.

In un primo tempo si ammise una distinzione tra i due poteri religiosi e civili, pur asserendo una certa superiorità del potere sacro su quello civile. Già il vescovo romano Gelasio I (492-496) così scriveva all'imperatore Anastasio:

« Vi sono, Augusto Imperatore, due poteri che principalmente si dividono l'impero del mondo la sacra autorità dei pontefici e la potenza regale; l'ufficio dei sacerdoti è tanto più grave in quanto essi devono rendere conto, al giudizio divino, anche per gli stessi re preposti agli uomini... La pietà vostra comprende certamente che nessuno può, per qualsiasi motivo umano, ergersi contro il privilegio della confessione (ossia del primato) di colui (= Pietro) che il Cristo ha preposto ad ogni cosa e la venerabile Chiesa ha sempre riconosciuto e devotamente considerato come suo capo » (15) Tuttavia nell'ordine civile egli asseriva che « anche gli ecclesiastici devono sottostare alle leggi imperiali »

La stessa posizione fu presa da Nicolò I (858-867) che così ammoniva l'imperatore Michele:

« Il re non è pontefice e il pontefice non è re... perciò il re ha bisogno dei sacerdoti per la sua vita eterna e il pontefice deve adottare le leggi imperiali per le questioni secolari »(16) .

Carlo Magno, re di forte personalità, non ebbe ritegno a mandare i suoi ammonimenti a papa Leone III quando nel 795 fu eletto papa. Al suo rappresentante romano così scrive:

« Avvertirai diligentemente il papa di praticare un'assoluta onestà nella sua vita, d'osservare particolarmente i sacri canoni, di governare con pietà la santa Chiesa di Dio, secondo l'opportunità e la convenienza. Gli ricorderai spesso che gli onori di cui gode presentemente non dureranno che un tempo» (17)

Dinanzi alle accuse formulate contro il novello papa, Carlo Magno si recò di persona a Roma per giudicare nell'800 Leone III.

« Per esaminare questa causa il clementissimo e serenissimo Signore, il re Carlo, qui presente, è venuto in questa città con il suo clero e i suoi notabili» (18) .

Il giudizio terminò con l'assoluzione dell'accusato, il quale con giuramento si protestò innocente delle accuse formulate contro di lui.

In questi secoli accaddero due fatti importanti destinati a creare dei precedenti a favore della supremazia papale sui re e sugli imperatori. Il primo fu l'incontro di Stefano II con il re Pipino nel 754, durante il quale il re, per fare atto di omaggio al papa, tenne le briglie  del cavallo papale in segno di stima. Questo atto divenne più tardi un diritto papale e fu inteso come sottomissione del re al papa (19) .

Il secondo fu l'incoronazione di Carlo Magno ad imperatore da parte di Leone III nel Natale dell'800. Siccome fu il papa a donare al re franco un'autorità che prima non aveva e che da solo non avrebbe potuto conquistarsi, se ne dedusse che il papa è superiore allo stesso imperatore. Per cui dimenticando « l'adorazione » del nei eletto da parte di Leone « inginocchiato dinanzi a lui », si amò presentare il papa nell'atto di porre la corona sul capo di Carlo Magno (20) .

Nicolò II (1058-1061) per meglio attuare la sua indipendenza dall'imperatore e dalle famiglie patrizie romane emise una legge per cui il papa avrebbe dovuto essere eletto solo dai cardinali, che costituirono così il senato della Chiesa (Sinodo Lateranense del 1059).

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Gregorio VII

Nel secolo X il papato con i suoi molti scandali perse ogni potere e rimase praticamente in balia ai Patrizi di Roma(21) . Ma nel secolo XI il papato si riprese con Gregorio VII (22) austero monaco che, eletto nel 1073, fu ordinato prete, poi consacrato vescovo ed infine coronato papa (1073-1085). La sua concezione del papato si trova nel famosa Dictatus papae , vale a dire in ventisette proposizioni sintetizzanti il suo pensiero, mentre i rapporti con l'impero furono risolti nella lotta per le investiture culminante nel suo scontro con Enrico IV.

a) Il Dictatus Papae, nel sinodo romano del 1075, definì i diritti e le prerogative del papa con termini fino ad allora mai usati:

1. La Chiesa romana è stata fondata unicamente da nostro Signore.
2. Solo il pontefice romano ha il diritto di essere chiamato universale (23) .
3. Lui soltanto può deporre o assolvere i vescovi.
4. Neo Concili il suo legato presiede a tutti i vescovi, anche se è di grado inferiore a lui soltanto può pronunciare contro di loro sentenza di deposizione.
5. Solo il papa può deporre gli assenti.
6. Non è permesso avere rapporti con gli scomunicati dal papa, non si deve nemmeno abitare nella loro stessa casa.
7. Solo il papa può emanare, quando occorra, nuove leggi, stabilire nuove diocesi, trasformare un capitolo in abbazia e viceversa, dividere un vescovado ricco e unire quelli che sono poveri.
8. Solo il papa può usare le insegne imperiali.
9. Il papa è l'unica persona a cui i principi devono baciare il piede.
10. Egli è il solo il cui nome dev'essere pronunciato in tutte le chiese (durante il canone della messa).
11. Il suo nome è l'unico al mondo.
12. A lui solo è lecito deporre gli imperatori.
13. Per ragione di necessità, gli è consentito trasferire un vescovo da una sede all'altra.
14. Può, se crede, ordinare un ecclesiastico per qualsiasi chiesa.
15. Chi è stato ordinato da lui può governare un'altra chiesa ma non servire, nè ricevere da un altro vescovo un ordine sacro superiore.
16. Nessun sinodo può essere chiamato generale senza un suo ordine.
18. La sua sentenza non può essere annullata da alcuno, ma egli può annullare quelle di tutti gli altri.
19. Egli non può essere giudicato da alcuno.
20. Nessuno può condannare una decisione della sede apostolica.
21. Le cause maggiori di qualsiasi chiesa devono essere deferite al suo tribunale.
22. La chiesa romana non ha mai errato e, come attesta la S. Scrittura, non potrà mai errare
23. Il pontefice romano, se è stato ordinato canonicamente, diventa indubbiamente santo per i meriti di Pietro, secondo la testimonianza si S. Ennodio, vescovo di Pavia, d'accordo in ciò con numerosi padri, come si può vedere nel decreto del beato papa Simmaco.
24. Con il suo consenso e autorizzazione, è lecito ai sudditi accusare i loro superiori.
25. Egli solo può deporre e assolvere i vescovi, anche senza un concilio.
26. Chi non concorda con la Chiesa romana non può considerarsi cattolico.
27. Il papa può sciogliere i sudditi dal giuramento di fedeltà fatto ai sovrani indegni(24) .

b) Rapporto tra Chiesa e Stato. – La Chiesa che guida le anime è superiore al governo civile, che cura i corpi.

« Come l'anima domina il corpo e gli comanda, così la dignità sacerdotale è superiore a quella regia come il cielo e la terra. Perché tutto ciò sia in ordine, il sacerdote deve, come l'anima, stabilire ciò che bisogna fare; il regno poi, come la testa comanderà a tutte le membra e le dirigerà dove occorre. perciò i re devono seguire gli ecclesiastici e adoperarsi a vantaggio della Chiesa e della patria. Un potere ammaestrerà il popolo e l'altro lo dirigerà » (25) .

La lotta tra Chiesa e Stato si scatenò a motivo delle investiture, vale a dire il conferimento dei benefici ecclesiastici. Gli alti dignitari, vescovi e abati, erano allora anche dignitari dell'impero e venivano perciò investiti dal sovrano mediante la consegna (traditio) del bastone e dell'anello, simbolo di autorità civile e religiosa. I sovrani finirono con l'avocare a sè anche l'elezione dei prelati, che spesso se la comperavano con denaro mediante simonia e, per il fatto di essere sposati (concubinato), rendevano ereditario il feudo o il vescovado così comperato. Di qui la condanna di questi due fatti da parte di Gregorio VII che nel sinodo del 1074 ordinò ai preti concubini di dimettere le loro mogli e ai fedeli di disertare le chiese dove ufficiassero dei preti incontinenti (sposati) o simoniaci. Nel sinodo romano del 1075, per eliminare il male alla radice, il papa vietò ai laici di conferire investiture ecclesiastiche e ai chierici di riceverle, pena la nullità, l'interdetto e la scomunica.

Enrico IV si ribellò e nel sinodo di Piacenza fece deporre il papa; Gregorio rispose con la scomunica contro il re e sciolse i sudditi dal giuramento di fedeltà (26) . Il re non era allora tanto forte e molti principi ambivano ad ottenere il suo posto, per cui il sovrano pensò bene di sottomettersi a Roma e chiedere al papa la penitenza e l'assoluzione della sua colpa, il che avvenne nel 1077 presso Canossa, dove il papa si trovava ospite della contessa Matilde. Ecco come il papa stesso descrive la penitenza del re:

« Prima di penetrare in Italia mandò avanti dei messaggeri supplici: offrì di dare piena soddisfazione a Dio, a S. Pietro e a noi; ha promesso di conservare una ubbidienza assoluta per migliorare la sua vita, purché potesse ottenere da parte nostra la grazia dell'assoluzione e della benedizione apostolica. E siccome noi gli rimproveravamo aspramente tutti i suoi eccessi per mezzo dei messaggeri che arrivavano, egli infine, senza manifestare alcunché di inutile o di temerario, venne con poca gente alla città di Canossa, dove noi eravamo fermi, e vi restò per tre giorni dinanzi alla porta privo dei suoi ornamenti regali, miserabilmente scalzo e con abiti di lana. Non cessò di implorare con molte lacrime l'aiuto e la consolazione della pietà apostolica.. Tutti quelli che vi si trovavano furono commossi a tanta pietà e compassione misericordiosa, che intercedevano per lui con lacrime e preghiere molte. Si meravigliavano anzi della durezza insolita del nostro spirito e qualcuno diceva che non davano prova di gravità e di severità apostolica, bensì di crudeltà e ferocia tirannica. Alfine, vinti dalla sua compunzione e dalle suppliche di tutti gli assistenti, finimmo per sciogliere i lacci dell'anatema che pesava su di lui e con il riceverlo nella grazia della comunione e nel grembo della s. Madre Chiesa » (27) .

Affermatasi pertanto la potenza di Enrico con l'eliminazione dei suoi avversari, la lotta riprese più violenta che mai. Enrico, entrato in Roma, mentre Gregorio si rifugiava in Castel Sant'Angelo, si fece incoronare imperatore dall'antipapa Guiberto (1084), ma dovette poi ritirarsi per l'intervento di Roberto il Guiscardo che, liberato il papa, lo condusse seco prima a Montecassino e poi a Salerno dove Gregorio moriva affermando dolorosamente: « Ho amato la giustizia e odiato l'iniquità, per questo muoio in esilio » (28) .

La lotta fu acquietata con il concordato del 1122 tra Callisto II e Enrico V.

Alessandro III

Alessandro III (1159-1181) umiliò il re inglese Enrico II colpevole di aver ucciso l'arcivescovo di Canterbury e suo cancelliere, con la canonizzazione del martire. Il re fu obbligato a farsi flagellare sulla tomba dell'arcivescovo e restituire la immunità agli ecclesiastici. Lo stesso papa lottò contro Federico Barbarossa, lo vinse e dopo la pace di Venezia nel 1177, l'imperatore prostratosi, percorse a piedi la città tenendo la mano sulla staffa del papa.
(continua)

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NOTE A MARGINE

1. Ancor buona nonostante la sua antichità l'opera di Baudi di Vesme e Fossati, Le vicende della proprietà in Italia dalla caduta dell'Impero Romano fino allo stabilimento dei Feudi, Totino 1836. Cfr pure N. Moresco, Il Patrimonio di S. Pietro. Studio storico-giuridico sulle istituzioni finanziarie della S. Sede, Torino 1916. torna al testo

1bis. Più tardi Nicolò I e Leone IX fecero rimostranze agli imperatori greci per riavere i patrimoni orientali occupati, ma senza alcun risultato. torna al testo

2. Vi era per questo l'ufficio della amministrazione finanziaria con a capo il tesoriere (arcarius ), il pagatore (sacellarius ) che aveva alle sue dipendenze dei funzionari ( defensores), tutti sacerdoti, diaconi e suddiaconi, perché Gregorio non volle affidare a laici l'amministrazione di questi organismi assai delicati. Gli impiegati dell'amministrazione centrale (diaconi e suddiaconi) erano mandati in missione speciali temporanee se ispettori (ordinatores); permanenti erano invece i defensores , alle cui dipendenze stavano gli actores (actionarii) e i tonsurati . torna al testo

3. La «Donatio» costituisce una parte delle Decretali su cui vedi sopra. Per il falso cfr L. Valla , De falso credita et mentita Constantini donatione declamatio , 1440; ediz. di Schwahn 1928. torna al testo

4. Concordatio Catholica III, 2. torna al testo

5. Località nei pressi di Leon, dove nel 754 si stipularono accordi tra papa Stefano II e Pipino, che promise di difendere la Chiesa e di restituirle i territori imperiali italiano, occupati dai Longobardi. torna al testo

6. K. Bihlmeyer - H. Tuechle, Storia della Chiesa, o. c., II, 58-59. Dante vi accenna con i celebri versi:
« Ahi, Costantin di quanto mal fu matre
non la tua conversion, ma quella dote
che da te prese il primo ricco patre» (Inferno 19, 115-117)
Il testo greco accanto a quello latino, fu pubblicato da A. Gaudenzi, Il Costituto di Costantino, in «Bollettino dell'Istituto Storico Italiano» 39 (1919), pp. 87-112, e da R. Cessi, Il Costituto di Costantino, in «Atti del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti», 68 (1928-29 II), pp. 972-1007; Idem , Il Costituto di Costantino, fonti ed età di composizione , in «Annali della R. Università di Trieste», I (1929); Idem, Il Costituto di Costantino, in «Rivista Storica Italiana», 48 (1931), pp. 155-176; G.P. Kirsch , La Donatio di Costantino , in «La Scuola Cattolica» 1913, II, pp. 198-213. Che la Donatio (pur riallacciandosi alla leggenda di S. Silvestro, battesimo e guarigione di Costantino del secolo V), sia di origine curiale e romana e in rapporto con Stefano II, appare da alcuni termini come cincinnatio luminarium (che si rinviene solo in lettere papali di questa epoca, nel Constitutum Pauli I e nella Donatio); anatemi (con formule esistenti nella Donatio, Constitutum, Epistula S. Pauli, altro documento dell'epoca); satrapae (che esiste solo nella Donatio e in altre lettere papali dell'epoca). Fu perciò composta verso la seconda metà del sec. VIII e presentata a Pipino. Cfr Doellinger , Infallibilità papale , trad. ital. pp. 67 s. Un primo accenno ad essa si legge in una lettera di Adriano I a Carlo (a. 777), che gli suggerisce di restituire ancora di più al papa essendo questi il successore di Pietro e di Costantino nell'Occidente; la prima citazione diretta si ha in Leone IX (verso la metà dell' XI secolo). Cfr pure Fliche e Martin , Storia della Chiesa , Torino 1948, vol. VI, pp. 374-378; H. Ullmann , The Growth of Papal Government in the Middle Age , London 1955, pp. 78 e 74 (Stefano II); L. Pacaut , La Théocratie , Paris 1957 (la Donatio fu composta verso il 750-760); Elie Griffe , Aux Origines de l'Etat Pontifique. Le couronnement imperial de l'an 800 et la Donatio Constantini , in «Bullet. de Littérature Ecclesiastique» 1958, pp. 193-211 (la donatio fu scritta verosimilmente nell'Abbazia di St. Denis dove vi è un codice della prima metà del IX secolo). torna al testo

7. F. Marcora, Storia dei Papi, vol. I Milano s. d., p. 391. torna al testo

8. E' la famosa lettera X del Codice Carolinus in MGH, Epistolarum III, ed. Gundlach, Berlino 1891, pp.  501-503. Al riguardo di questa lettera così si esprime il Gregorovius: « Non l'eresia di Ario, non quella di Nestorio, nè altre che avevano minacciato le fede cattolica nel suo fondamento più vitale, avevano mai indotto s. Pietro a scrivere lettere; e persino allora che Leone imperatore aveva minacciato di distruggere il suo simulacro che era a Roma, l'apostolo non aveva pur dato segno di sua collera. Ma ora che grave pericolo si addensava sulla sua città, e piuttosto sui suoi patrimoni, il santo si scuoteva e indirizzava una lettera di fuoco al re dei Franchi suoi figli adottivi » (Gregorovius, Storia della città di Roma nel M. E., vers. italiana di R. Manzato, Roma 1900, p. 541). Il Muratori afferma: « Certamente nulla è più capace di travolgere le nostre idee e di farci nascere in mente delle dolci e strane immaginazioni, che la sete e l'amore di beni temporali innata in noi tutti » (Annali d'Italia, p. IV, Milano 1844, p. 313). torna al testo

9. Cfr  Marcora, o. c. p. 396. Si cfr pure lo studio di Th. Zwolfer , S. Peter Apostelfurst und Himmelpfortner, Seine Verehrung bei den Angelsachen und Franken , Stuttgart 1929. torna al testo

10. Gregorovius , La Storia della città di Roma nel Medioevo , Roma 1900, vol I, p. 546. torna al testo

11. Oltre alla Bibliografia posta in calce confronta: F. Salvoni, The Catholic Church and the Civile Government , in «Restoration Quarterly» 3 (1959), pp. 38-42; S. Pilati , Chiesa e Stato nei primi quindici secoli. Profilo dello sviluppo della teoria attraverso le fonti e la bibliografia , Roma, Desclée 1964, p. 245. R.A. Markus , T wo Conceptios of Political Authoriy , in «Journal Theological Studies», 16 (1965), pp. 68-100. R.W. e A.J. Carlyle , Activity of Medieval Political Theory in the West , Edinburg-London 1927-1928 (opera fondamentale; traduz. italiana presso Laterza, Bari). torna al testo

12. Ambrogio, Epist. 2 ad Valentinianum . torna al testo

13. Idem, Epist. ad Gratianum. torna al testo

14. Cfr Duchesne, I primi tempi dello Stato Pontificio , traduzione di Salvatorelli, Torino 1947; cfr L. Pareti , Storia di Roma , vol. VI, Torino, UTET, 1962. torna al testo

15. Gelasio, Epist. VIII, 2-3 PL 59, 42 A-B. torna al testo

16. Ep. 8 Proposueramus, ad Michelem Imperatorem , scritta nell'a. 865; Denzinger-Bannw, n. 333. torna al testo

17. Alcuino, Epist. 92.torna al testo

18. Testi di Ivo Chartres , Decretalia , pars V, c. 213 PL 161, 421. torna al testo

19. E' l'ufficio dello stratore (officium stratoris) descritto qui in modo assai simile a quello della Donatio Constantini. torna al testo

20. E. Griffe, Aux origines de l'état Pontifical, Le corounnement impérial de l'a. 800 et la Donatio Constantini , in «Bull. de Litt. Eccl.», 59 (1958), pp. 193-211. torna al testo

21. Così ad esempio la nobile Marozia, che fece eleggere papa suo figlio con il nome di Giovanni XI. Probabilmente a tale situazione, in cui una donna dominava Roma, tramite il papa, allude la leggenda della papessa Giovanni. torna al testo

22. Per Gregorio VII v'è una immensa bibliografia importantissima; la collezione Studi Gregoriani iniziatasi a Roma nel 1947 è indispensabile ed ora ha già raggiunto i sette volumi. Cfr pure H.X. Arquilliere , La signification Théologique du pontificat de Gregoire VII , in «Revue de l'Université d'Ottawa» 1950, p. 140-161; Idem . S. Gregoire VII , Paris 1934; C. Marcora , Storia dei Papi , vol. II, Milano 1962, pp. 286-322; W. Martens , Gregor VII, sein Leben uns Wirken , 2 voll.., Leipzig 1894; P.E. Santangelo , Gregorio VII e il suo secolo , Milano 1945; G. Soranzo , Aspetti del pensiero e dell'opera di Gregorio VII e lo spirito dei suoi tempi , in «Aevum» 22 (1948), pp. 309-332. torna al testo

23. Sul titolo si cfr quanto scritto a proposito di Gregorio Magno. torna al testo

24. Sono del papa e non del cardinale Deusdedit. Cfr E.M. Peltz, Das Originalregister Gregorius VII, Vienna 1911, pp. 265-286. La migliore edizione è quella di E. Gaspar, in «Monum. Germ. Hist.» Epist. Selectae II , 1920-1923. Gregorio VII aveva un alto concetto della Chiesa Romana che per lui era «madre e maestra» di tutte le chiese (mater nostra et totius Christinitatis magistra). torna al testo

25. Adversus Simoniacos III, 21 di Gregorio VII. torna al testo

26. nel Sinodo di Roma del 14-20 febbraio 1076 così decretò: « Per l'onore e la difesa della tua Chiesa, in nome di Dio onnipotente, Padre, Figlio e Spirito Santo con la tua potestà e autorità, io tolgo al re Enrico, figlio dell'imperatore Enrico, che si è levato contro la tua Chiesa con un orgoglio inaudito, il governo dei Teutoni e d'Italia; sciolgo tutti i cristiani dal giuramento di fedeltà che gli hanno fatto, ordino che nessuno sia tenuto verso di lui al servizio che si deve a un re » (Epist. ad Gallielmum regnum, Regest VII, 25). torna al testo

27. Gregorio VII, lett. 4, 2 ai tedeschi.
Al vescovo di Metz, che biasimava la scomunica scagliata sul re, così rispondeva: «Nell'affidare a Pietro il gregge, il Signore non aveva inteso di far eccezione per i re; d'altra parte chi afferma di non poter essere condannato dalla Chiesa, deve dichiarare di non poter neppure essere assolto da essa e ciò significa essere separato da Cristo. E se la Sede Apostolica deve giudicare le realtà spirituali, perché non giudicare anche le materiali? I re che preferiscono la loro gloria a quella di Dio devono essere trattati come membri dell'Anticristo e come tali separati dal corpo della Chiesa » E paragonando la dignità regale a quella episcopale, conclude: « La dignità regale deriva dall'orgoglio umano, la dignità episcopale dalla divina potestà. La prima tende verso una gloria vana, la seconda aspira alla vita celeste ». Ciò facendo il papa s'immaginava d'agire come vicario di Pietro, che in lui si esprimeva. Spesso egli afferma di « pregare, ammonire e invitare da parte del beato Pietro ». Das Register Gregorius VII a cura di E. Gaspar, in «Monumenta Germaniae Historica» Epistolae selectae t. II, vol. II 173, Berlino 1920-19123. torna al testo

28. Per la storicità di queste parole cfr G.B. Borino, Storicità delle ultime parole di Gregorio VII , in «Studi Gregoriani», V, Roma 1956, pp. 403-411. torna al testo