La caratteristica
principale del brano della lettera di Giacomo, che troviamo al cap. 1 dai
vv. 19 al 27, è la concretezza dell'esposizione.
Come giustamente fa il Diodati
nella sua traduzione si potrebbe dare un titolo a questo brano: METTERE
IN PRATICA LA PAROLA DI DIO. Si tratta, come si può vedere, di
un gruppo omogeneo di esortazioni che Giacomo ha scelto appositamente
per mettere in evidenza il motivo dominante che viene sviluppato in particolar
modo dal v. 22 al v. 25 e che riguarda l'attuazione pratica della Parola
di Dio.
Anche se vengono puntualizzati
sin dall'inizio determinati aspetti che devono caratterizzare il comportamento
di coloro che non si limitano ad ascoltare, ma mettono in pratica la
Parola di Dio, il discorso di Giacomo si snoda sostanzialmente su tre
linee:
– Ascoltare
la Parola di Dio
– Ricevere la Parola di Dio
– Mettere in pratica la Parola di Dio
Queste sono
le tre tappe fondamentali che portano alla salvezza e che caratterizzano
ogni vera conversione in tutto il Nuovo Testamento.
Ascoltare la Parola di Dio
La prima indicazione
ci viene data da Giacomo subito al v. 19: «
Sia ogni uomo pronto ad ascoltare, lento a parlare, lento all'ira
». Qui abbiamo una regola generale di vita suddivisa in tre parti,
di cui troviamo delle analogie anche nella letteratura sapienziale:
per quanto riguarda
l'ascolto della parola di Dio, in Eccl 5, 1
per quanto riguarda
l'eccessiva loquacità, in Prov. 10, 19
Gli uomini
devono essere pronti ad ascoltare e lenti a parlare, non solo nei confronti
della Parola di Dio, ma anche nei rapporti reciproci tra loro, specialmente
quando un eccessivo parlare può indurre a scatti d'ira. In primo
luogo quindi è messa in evidenza la disponibilità all'ascolto,
ma nello stesso tempo si vuol mettere in guardia anche contro la loquacità
e gli scatti d'ira. Risulta, infatti, vana la religione di coloro che
non sanno tenere a freno la propria lingua (v. 26), mentre l'ira non
promuove la giustizia di Dio, vale a dire non porta alla giustificazione
da parte di Dio (v. 20).
Considerato il tema dominante
di tutto il brano, che è in modo particolare incentrato sull'attuazione
pratica della Parola di Dio, siamo autorizzati a pensare che almeno
la prima parte di queste tre esortazioni, quella relativa alla disponibilità
all'ascolto, riguardi essenzialmente l'ascolto della Parola di Dio,
perché Giacomo qui vuole rendere evidente che un ascolto premuroso
di questa Parola implica anche l'attuazione pratica di determinati comportamenti,
quali un parlare moderato e un non farsi dominare dall'ira.
La disponibilità
all'ascolto della Parola di Dio è quindi un atteggiamento molto
importante per ogni essere umano. Mancando tale disponibilità,
viene a mancare ogni possibilità di salvezza. Se una persona
non è disponibile ad ascoltare la Parola di Dio, non potrà
mai credere, né ravvedersi, né tanto meno essere battezzata.
La disponibilità all'ascolto rappresenta quindi il primo ed il
più essenziale passo che l'uomo deve fare verso Dio che gli tende
la mano.
In Rm 10,
17 troviamo scritto che «la fede viene dall'udire
e l'udire si ha per mezzo della parola del Signore».
Il termine udire tuttavia, almeno nella lingua italiana, ha un significato
diverso dall'ascoltare. In genere, infatti, prima viene l'udire e poi
l'ascolto vero e proprio. Si può udire un suono indistinto, si può
udire un vocio confuso senza prestarvi attenzione. Posso, ad esempio, udire
qualcuno parlare in inglese, ma non posso ascoltarlo, se non capisco questa
lingua. Posso addirittura udire e capire anche le parole di una persona
che mi sta parlando, ma non lo ascolto, perché ciò che dice
non rientra nei miei interessi e quindi non sono disposto a seguire i suoi
consigli o le sue indicazioni. Un figlio può udire suo padre che
gli dice di non fare determinate cose, ma può anche non ascoltarlo
e fare tutto il contrario di quello che il padre gli dice.
Ascoltare quindi è
qualcosa di più del semplice udire. L'ascolto implica quella
particolare disposizione d'animo favorevole che induce chi sta udendo
a mettere in pratica e seguire le indicazioni o i consigli che vengono
da lui uditi.
Un esempio del valore del
termine "ascoltare" lo abbiamo
in Dt 15, 18 in cui Mosè preannunzia la venuta di Cristo, al
quale gli Ebrei avrebbero dovuto dare ascolto, come ora stavano dando
ascolto a lui. Tale ascolto naturalmente non poteva essere limitato al
semplice udire, ma implicava anche l'attuazione pratica delle parole che
sarebbero state loro rivolte da Cristo.
Ricevere la Parola di Dio
Un ulteriore passo in avanti
viene compiuto da coloro che, non solo sono disponibili all'ascolto della
parola di Dio, ma sono disponibili anche a ricevere questa Parola. L'indicazione
ci viene data al v. 21 « . . . ricevete con mansuetudine la parola
piantata in voi, la quale può salvare le anime vostre».
Ricevere la Parola di Dio è sinonimo di convertirsi. Tale espressione
la troviamo infatti anche in Atti 11, 1 dove ci viene detto che gli apostoli
ed i fratelli in Giudea vennero a sapere della conversione del centurione
Cornelio e della sua casa.
La frase «la parola
piantata in voi» richiama i versetti di 1 Cor 3, 6-8 dove l'allusione
ai cristiani convertiti di Corinto è molto evidente. Il fatto
stesso che si parli anche della salvezza, che può essere prodotta
da questa parola, ci induce a pensare ad un appello alla conversione e
più specificamente al battesimo in cui la parola di Dio esercita
un ruolo determinante, come ci viene detto anche da 1 Pt 1, 23. Lo stesso
Paolo in Efesini 5, 26 parla del «lavacro dell'acqua per mezzo della
parola» con cui ha santificato e purificato la Sua chiesa.
Mettere in pratica la Parola di Dio
Alla fine
con i versetti 22-25 Giacomo affronta il tema centrale del brano che gli
sta maggiormente a cuore: dopo aver ascoltato e ricevuto la Parola di Dio,
il cristiano deve ora metterla in pratica nella sua vita quotidiana, altrimenti
ogni sua precedente intenzione verrà vanificata. L'immagine
dello specchio, che viene qui usata, rende molto efficace la sua esortazione.
Colui che si limita ad udire la Parola senza poi metterla in pratica
viene paragonato al comportamento insensato di una persona che si guarda
allo specchio, ma non si preoccupa di correggere gli errori che vengono
in esso riflessi.
La parola di Dio è
uno specchio che riflette la nostra immagine spirituale. Quando noi udiamo
o leggiamo questa Parola, in un certo senso è come se ci specchiassimo
in essa. Nella maggior parte dei casi la nostra immagine spirituale riflessa
dalla Parola di Dio è un'immagine non bella che ci mostra implacabilmente
tutti i nostri difetti e le nostre imperfezioni. Del resto è
normale che sia così perché nessuno è senza peccato.
Se però noi, pur accorgendoci di questi difetti e di queste imperfezioni,
non facciamo nulla per correggerle, allora il nostro comportamento potrebbe
essere paragonato a quello di un folle che, dopo essersi guardato allo
specchio, esce come se niente fosse, senza curarsi minimamente di correggere
le imperfezioni del suo aspetto.
Gesù in pratica dice
le stesse cose, quando alla fine del sermone sul monte, paragona l'uditore
dimentichevole, che ode la Sua Parola ma non la mette in pratica, a colui
che costruisce la casa sulla sabbia. Noi sappiamo che fine farà
questa casa. Alla prima tempesta verrà inesorabilmente spazzata
via.
Non serve a nulla conoscere
la Bibbia dalla prima all'ultima parola, non serve a nulla venire ogni
Domenica al culto ed assumere un atteggiamento devoto nelle preghiere
o nel cantare gli inni, se poi all'atto pratico non sappiamo tradurre
in fatti concreti la nostra fede. Se noi pensiamo di essere religiosi,
ma non sappiamo tenere a freno la nostra lingua sparlando del prossimo
o facendoci dominare dall'ira e da altri sentimenti poco caritatevoli,
noi inganniamo noi stessi e la nostra religione è vana. La vera
religione non consiste tanto in un insieme di riti da praticare scrupolosamente
e di un pacchetto di dottrine in cui credere, ma piuttosto in azioni
concrete d'amore verso il prossimo. Giacomo conclude il brano affermando
che la religione pura e senza macchia davanti a Dio e Padre consiste
nel soccorrere gli orfani e le vedove, cioè nel prodigarsi verso
coloro che si trovano nel bisogno.
Quando alla fine ci presenteremo
di fronte al Signore per il Giudizio Finale, come ci viene detto da
Gesù stesso in Matteo cap. 23, v. 31-46, non dovremo fare un
esame scritto od orale sulle dottrine più o meno esatte in cui
abbiamo creduto o sulle pratiche religiose che abbiamo osservato, ma il
metro del giudizio in quel giorno sarà il nostro comportamento
verso il prossimo, in quanto ciò che noi avremo fatto o non fatto
ad ognuno di quei minimi fratelli di Gesù, sarà come se
l'avessimo fatto o non fatto a Gesù stesso.