Il Libro dei salmi è essenzialmente
una raccolta di preghiere e di lodi usate dal popolo
ebraico durante il culto, specialmente dopo il ritorno
dalla prigionia babilonese. Oltre alle preghiere e alle lodi
in questa raccolta si trovano, sia pure in maniera limitata,
l’imprecazione e la richiesta di vendetta. L’autore di ogni
Salmo si rivolge a Dio, che viene invocato fin dall’inizio o,
quanto meno, nel procedere del discorso. I Salmi sintetizzano
la storia della salvezza rievocando le vicende del passato come
stimolo per la condotta del presente e come motivo di fede per
il futuro. Perciò i Salmi vengono molto spesso citati
nel Nuovo Testamento. Essi, infatti, fanno parte a pieno titolo
del canone ebraico e furono perciò accolti dai primi cristiani
come un prezioso patrimonio ereditario per accrescere la loro
spiritualità durante il culto e nell’edificazione privata
.
Nella Bibbia ebraica i Salmi sono al primo
posto tra i Ketubim (o Scritti), che costituiscono il terzo
gruppo del canone, dopo la Torah (o Legge) e i Nebim (o Profe-ti).
Il terzo gruppo di Scritti o Ketubim viene anche identificato
semplicemente con il termine “I Salmi” (Lc 24, 44),
quasi a rilevare l’importanza che essi rappresentano in
questo gruppo di libri sacri dell’Antico Testamento. Il termine
Salmo deriva dal sostantivo greco “psalmòs” e dal
relativo verbo “psàllein” con i quali i LXX hanno tradotto
il sostantivo ebraico
mizmôr e tutte
le altre voci verbali derivanti dalla radice
zmr .
Questa parola molto probabilmente significava un cantico
che doveva essere accompagnato da qualche strumento a corda.
Effettivamente sia il termine greco che quello ebraico, che
originariamente indicavano l’atto di suonare uno strumento
musicale a corda, più tardi vennero applicati a qualsiasi
cantico o canzone che fosse cantata con accompagnamento musicale.
Uno di questi strumenti musicali ricordati nei libri sacri
è il nèbel
(in greco lo
psaltèrion
, da cui deriva il termine italiano salterio).
Salterio infatti è l’altro nome con il quale viene
anche chiamata la raccolta dei Salmi. Il titolo dato dai LXX
al libro dei Salmi è “
psalmoì
” nel codice B (detto Vaticano), mentre il codice A (detto
Alessandrino) porta quello di “
psaltérion ”.
C’è un perfetto accordo circa il
numero 150 dei Salmi, ma non sulla loro numerazione
tra il
TM
(1)
e la versione
dei LXX. Tale disaccordo è però dovuto
al fatto che un dato Salmo viene diviso in due o, al contrario,
due sono uniti, ma alla fine con tali raddoppi e tali unioni
il conto torna perché dal 148 al 150 le due numerazioni
coincidono. Si nota per lo più tale disaccordo
se prendiamo in mano una Bibbia cattolica, dove troviamo il
numero del Salmo e un altro numero tra parentesi.
Oltre alla tradizionale divisione in cinque
libri o parti, che vengono indicate in forme abbastanza evidenti,
se ne riscontrano anche altre che testimoniano l’esistenza
di raccolte minori. La divisione in cinque parti
del Libro dei Salmi o Salterio, forse per analogia con
il Pentateuco, è segnata dalle cosiddette
dossologie
(2)
che troviamo
in Salmi 41, 13; 72, 19; 89, 52; 106, 48.
Il 150 sarebbe stato considerato, oltre che come dossologia
della V parte, anche come dossologia conclusiva del
Libro dei Salmi (o Salterio). Dal complesso di queste indicazioni
risultano cinque parti o, meglio, cinque libri delimitati
come segue:
I
1-41
II 42-72
III 73-89
IV 90-105
V 106-150
Quanto al V
libro si può notare che la dossologia di 135,
21 è assai vicina alle quattro conclusive dei libri
precedenti, sia pure con innegabili differenze (allelujah
al posto di Amen): 135 inizia e termina con allelujah come 146-150).
Per il contenuto, poi, se il 150 – martellante appello a lodare
Dio, per i suoi attributi e le sue opere, con tutti gli strumenti
musicali noti in Israele – chiude degnamente il Libro dei Salmi
(o Salterio), non lo chiuderebbe meno bene il 135: un invito a
lodare Jahvé per le sue grandi opere di creatore, salvatore
e condottiero di Israele che dimostrano la sua superiorità
sulle divinità pagane, onde devono lodarlo tutte le
categorie del popolo eletto. Per questi motivi alcuni studiosi
avanzano l’ipotesi che il V libro e l’intero Salterio terminassero
un tempo con il Salmo 135 e che il contenuto successivo sia
dovuto ad edizioni posteriori.
Oltre alla
divisione in 5 parti, ci sono degli indizi che si fanno
presumere la presenza di raccolte minori. Si trovano
anzitutto dei doppioni o salmi che ricorrono due volte.
Ė il caso, ad esempio del Salmo 14 = al 53; del Salmo 40,
13-17 = al 70.
Secondo le
attribuzioni del titolo, notiamo che
la I parte (Salmi 1-41) è quasi interamente
davidica, in quanto il nome di Davide ricorre nel titolo
di ogni salmo ad eccezione di 1 e 2, che sono senza titolo,
forse perché destinati a fare da prefazione all’intera
raccolta; di 10, che molto probabilmente è da
unire col 9.
Nella II parte (42-72) troviamo una raccolta intitolata
ai figli di Kore (42-49); un’altra (51-72, ma 66 e 67 non
hanno indicazione di autore); si tratterebbe di preghiere
di Davide, secondo quanto viene detto alla in Salmi 72,
20. Quest’ultimo però è assegnato a Salomone,
come il 50 ad Asaf.
La III
parte (73 – 89) si apre con una raccolta di Asaf
(73 – 83), a cui fa seguito un gruppo, così ripartito:
84-85-87, figli di Kore; 86, Davide; 89, Ethon, l’Ezrahita.
La IV (90 – 105) e V (106 – 150) parte scarseggiano
di titoli e mancano di unità. A parte il 90 che è
presentato come una preghiera di Mosè ed altri attribuiti
a Davide, si ha l’impressione che vi siano stati collocati
i salmi più vari che non non hanno trovato posto
nelle raccolte precedenti.
Dei 150 salmi trentatre o trentaquattro
mancano del titolo nel TM: tali sono i Salmi 1; 2; 10; 33;
43; 71; 91; 93-97; 104-107; 111-119 135-137; 139; 140; 146-150.
Nei LXX e nella Vulgata i salmi senza titolo si riducono
a 19 e 20 rispettivamente. La Peshitta ha titolature assai
differenti per influsso, a quanto pare, dell’esegesi
di Teodoro di Mopsuestia. La loro presenza nei LXX è segno
che tali titoli erano conosciuti almeno dal II sec. a.C.
.
Per quanto non risalgano agli autori
dei salmi, non si può negare che essi riflettano
tradizioni non del tutto trascurabili: I LXX e altre
versioni tendono ad arricchire il patrimonio dei titoli,
non senza suscitare in noi una certa diffidenza sulla loro
attendibilità. Non è detto però che
il TM, che ne ha meno, sia sempre il miglior testimonio sulla
tradizione dei titoli. La loro arcaicità è confermata
dalle difficoltà degli antichi traduttori. Non
essendo comunque possibile farli risalire agli autori, siamo
liberi di pensare che non siano ispirati come lo è invece
il testo dei salmi stessi
Contro ca. 48 (TM) salmi anonimi, nel
senso che i loro titoli non presentano alcun autore, gli altri
ca. 102 sono così attribuiti: 73 a Davide, 12 ad Asaf,
11 ai figli di Kore, 2 a Salomone, 1 a Mosè, 1 a
Jeduthun
(3)
, 1 a Heman, 1 a
Ethon. Nei LXX e nelle altre versioni le attribuzioni
aumentano continuando ad assegnare a Davide la parte del
leone.
Nella letteratura veterotestamentaria
ed in special modo in quella biblica sapienziale emerge
la tendenza ad attribuire ad un autore, che si era distinto
in un particolare campo, degli scritti che testimoniavano
la sua fama acquisita in questo campo., Così, ad esempio,
gran parte della letteratura sapienziale è passata
sotto il nome di Salomone, anche se tale letteratura era chiaramente
posteriore all’epoca in cui Salomone era vissuto. Ed è
proprio in questa assenza di preoccupazione per l’anacronismo
che meglio si spiega il senso di questa attribuzione e nello stesso
tempo la comune coscienza della liceità del procedimento.
La fama acquisita costituiva una specie di diritto ad accreditare
con il proprio nome scritti analoghi di successive generazioni. Questo
avveniva comunemente, fin dall’origine dello scritto, nel mondo
semitico ed in particolare in quello biblico senza che nessuno
avesse qualcosa da obiettare, ma per deliberata volontà dell’autore
vero e con il consenso dei suoi contemporanei.
Salomone(4)
era ritenuto dalla
tradizione il pioniere della letteratura sapienziale,
così come Mosè e Davide sono ritenuti promotori,
rispettivamente, della letteratura giuridica e di quella
salmica.
Il fenomeno della pseudonimia va
tenuto presente anche in considerazione dell’amplissimo
arco di tempo segnato dalla composizione dei salmi. La critica
più recente, infatti, ha ridimensionato sia l’affermazione
di un passato ormai remoto circa l’origine davidica di buona
parte dei salmi, sia il radicalismo negativo che ritardava
la composizione degli stessi salmi fino all’età maccabaica
o asmonea. La possibilità che i salmi vengano scaglionati
nel corso di sei o più secoli spiega più facilmente
l’abbondanza e la varietà della produzione salmica,
della quale il nostro Libro dei Salmi (o Salterio) rappresenta
soltanto un’antologia, e la deliberata collocazione di molti
salmi sotto il nome prestigioso di Davide.
Prescindendo dal discutibile valore
dei titoli, fondamento per l’attribuzione dei salmi
a Davide sono i seguenti passi: 1 Sm 16, 18-23; 1 Cr 23, 5;
Ne 12, 36 e Am 6, 5 (doti musicali di Davide); 2 Sm 1, 17-27;
3, 33s e 7, 18-29 (saggi delle sue composi-zioni poetiche); infine
i testi tardivi di 1 Cr 23-26 2 Cr 29, 30; Ne 12, 23-45. Si tratta
sempre di informazioni generiche. Il N.T. pone espressamente
dei salmi sotto il nome di Davide: Sl 2, in At 4, 25; Sl 16,
in At 2, 25s e At 13, 35; Sl 32, in Rm 4, 6ss; Sl 69, in At
1, 16.20; Sl 109 in At 1, 20; Sl 110, in At 2, 34, ecc. Ma non si
potrebbero prendere queste attribuzioni correnti come riflesse
attestazioni di autenticità: si tratta piuttosto di un
accomodarsi all’opinione o tradizione corrente, secondo la quale
pote-va attribuirsi a Davide, cantore ispirato e organizzatore
del culto, la più gran parte dei salmi o anche l’intero libro
(cf Eb 4, 7).
Non c’è
dubbio che la tradizione giudaica e almeno una parte
notevole di quella cristiana ha finito per assegnare
a Davide tutti i salmi, compresi quelli anonimi o posti
sotto altri nomi, magari di personaggi di molto posteriori
a lui. Basti ricordare Tommaso d’Aquino, il Caietano
e lo stesso Bellarmino, impressionato dal peso di questa tradizione.
Non sono mancate però voci contrarie già tra
gli scrittori cristiani greci più antichi, come
Origene, Atanasio, Eusebio di Cesarea, seguiti dai latini Ilario
di Poitiers, Girolamo, Isidoro di Siviglia. A questa corrente
patristica si riallacciarono Nicola di Lira e J. Bonfrère.
Comunque, data l’incertezza è bene in questo caso astenersi
da dichiarazioni dogmatiche, dando la preferenza ad una linea
di prudente cautela, e preferire alla denominazione tradizionale
“di Davide”, quella più elastica di “Salmi davidici”.
Tempo di composizione dei
Salmi
Anche sul tempo di composizione
dei salmi non abbiamo criteri sufficienti per stabilire
dei dati abbastanza certi. L’evoluzione della lingua non
è abbastanza conosciuta per poter ricevere un
valido aiuto. Anche altri libri dell’A.T., come ad esempio
Rut, sono stati assegnati ora prima ora dopo l’esilio. Gli
indizi interni allo stesso Libro dei Salmi sono pochi e discutibili.
Gli accenni a momenti particolari della vita di Davide sembrano,
almeno in alcuni casi, fondati più su un’esegesi contestabile
che su tradizioni indipendenti dal testo. I dati della storia
di Israele che potrebbero far luce sul tempo di composizione
del salmi scarseggiano e sono talmente generici da potersi
difficilmente individuare. Problematici sono pure i rapporti
di forma e di contenuto con altri scritti dell’A.T., a loro
volta cronologicamente incerti. Ci si può chiedere,
ad esempio, fino a che punto hanno influito sui salmisti le cosiddette
«confessioni» di Geremia, che presentano
innegabili affinità con i salmi di lamentazione individuale.
Si può certo supporre che gli autori di questi ultimi
abbiano letto e imitato il profeta; ma non è neppure escluso
che sia avvenuto il contrario. Analogo problema sollevano le
affinità, soprattutto di contenuto, tra alcuni salmi
e il Deuteroisaia; ma qui sembra più probabile la dipendenza
del profeta dai salmi.
Concludendo
possiamo dire che gli indizi per stabilire la composizione
dei salmi, come anche gli autori, sono scarsi e talora
ambivalenti e vanno perciò applicati con molto equilibrio,
rassegnandosi anche a risultati deludenti. I dati meglio
riscontrabili sono l' esistenza o meno della monarchia, il
prima o dopo l’esilio, il tutto naturalmente com ampie oscillazioni.
Migliori sono senz’altro
i risultati ottenuti nelle ricerche sull’ambiente
d’origine e sulla destinazione che sono due aspetti legati
fra loro e quasi interdipendenti. Ci limiteremo ad accennarli
genericamente, rimettendo gli aspetti particolari alla
trattazione dei generi letterari.
L’atmosfera
dei salmi è profondamente religiosa: sia che
si invochi perdono oppure giustizia. I rapporti con il
culto pubblico sono evidenti. Risulta, infatti, abbastanza
facile inquadrare determinati salmi in certe feste e rituali.
Sulla destinazione dei salmi al culto e alla preghiera veniamo
informati da 1 Cr 23, 4s.30; 2 Cr 7, 6; 29, 30; Ed 3, 10; Ne
12, 24.45.
Il tempio con
i suoi riti, comunitari o di gruppo, i momenti della
sua preghiera quotidiana, le sue celebrazioni festive,
le sue stesse vicende dolorose hanno ispirato i salmisti
che potevano anche appartenere alla classe sacerdotale
o levitica.
Anche le vicende
e la preghiera individuale hanno un’eco nei salmi.
Si tratta di preghiere sgorgate dalle esperienze personali
di individui dotati di una forte carica di spiritualità
che sono poi divenute preghiere di tutto Israele.
Il Libro dei Salmi aveva
la forma attuale quando è stato tradotto
dai LXX ed è stato il primo libro dei Ketubim (o
Scritti) a venir tradotto in greco. Non dobbiamo però
pensare che il libro dei Salmi sia sempre esistito
nella sua forma attuale. C’erano infatti dei salmi o delle
raccolte di salmi che furono composte antecedentemente in
un arco di tempo che può sfiorare i sei o sette secoli
e che furono poi riuniti in un unico libro.
Tracce di una
raccolta di salmi non ancora formatasi come libro,
la possiamo trovare in 1 Cr 16, che riporta estratti dei
Salmi 96 e 105, e nello stesso capitolo al v. 36 troviamo la
dossologia dal Salmo 106, 48, che chiude la IV parte
del Libro dei Salmi. In 2 Cr 29, 30 il re Ezechia ordina
ai Leviti di lodare Dio con le parole di Davide e del veggente
Asaf .
I salmi, pur avendo in comune
il carattere fondamentale di preghiera, presentano
forme e contenuti assai diversi gli uni dagli altri. Questa
diversità di forme e contenuti è già
in parte espressa dagli stessi titoli dei salmi che a volte
ne caratterizzano l’indole letteraria ed alludono a fatti
storici per noi più o meno determinabili. Uno studio
più approfondito dei generi letterari presenti nei
salmi è stato compiuto soltanto recentemente agli inizi
dello scorso secolo da un certo Gunkel e perfezionato poi da
altri studiosi.
Fra le varie
proposte di suddivisione dei salmi secondo i loro
generi letterari, prendiamo in considerazione la seguente:
1) Inni,
2)
Teofanie, Canti della regalità o intronizzazione
di Jahvè,
3)
Lamentazioni o suppliche individuali,
4)
Salmi di supplica collettiva o nella nazione,
5)
Salmi di fiducia,
6)
Salmi di ringraziamento individuale,
7)
Salmi di ringraziamento per Israele o nazionali,
8)
Salmi regali,
9)
Salmi o canti di Sion,
10)
Liturgie di ingresso,
11)
Salmi di pellegrinaggio e di processione,
12)
Requisitorie sulla rottura dell’alleanza,
13)
Salmi di congratulazione o macarismatici,
14)
Salmi od orali di protezione divina,
15)
Salmi del giudizio di Dio,
16)
Salmi Sapienziali,
17)
Salmi profetici,
18)
Salmi alfabetici
Inni
L’inno è la più
diffusa delle forme liriche della Bibbia. Sono
degli inni per esempio i Salmi 8; 19; 29; 33; 67; 100; 104
111; 136; 146-150, ecc. L’inno, che nella poesia orientale
extrabiblica può celebrare sia gli dèi che
gli eroi, nella Bibbia celebra unicamente Dio per i suoi attributi,
per le sue opere di creatore e come salvatore di Israele. Essenzialmente
teocentrico, non contiene, nella sua forma pura, né
lamenti né suppliche, la stessa nota di ringraziamento
è in funzione subordinata. Tra i generi letterari l’inno
è quello che meglio si distingue nei suoi elementi.
L’invito alla lode è formulato all’imperativo plurale,
alla prima persona plurale o singolare o anche al futuro. L’inno
loda Dio in terza persona o, più direttamente, in seconda,
con descrizioni talvolta assai diffuse (Sl 104, 6-9 o 105 s) delle
sue gesta. L’inno si chiude talvolta con una formula analoga a quella
con cui è cominciata (Sl 8), oppure con una breve formula
di benedizione, di voto, di preghiera o di acclamazione. Inni
si trovano anche nel N.T. come, ad esempio, il Magnificat ed il
Benedictus.
Teofanie e canti della regalità o intronizzazione di
Jahvè
Pur rilevando l’esistenza
di un tema innico dell’apparizione di Jahvè nella
tempesta, alcuni studiosi hanno configurato le teofanie
come genere letterario a se stante. Nessun salmo è
dedicato di proposito e interamente ad una manifestazione
di Dio con fenomeni atmosferici, sismici, ecc. Non mancano
tuttavia brani di tal genere nel corpo di alcuni salmi, che possono
sembrare unità un tempo indipendenti e poi inserite.
Brani di tal genere possiamo trovarli un po’ dappertutto nella
Bibbia e quindi anche nei Salmi. Un esempio lo possiamo trovare
nel Sl 18, 8-16, che, guarda caso, è uguale ad un altro
brano riportato in 2 Sm 22, 8-16.
Un altro genere
letterario presente nei salmi è quello dei
canti della regalità o i-tronizzazione di Jahvé
che possiamo riscontrare, ad esempio nei Sl 47; 93; 96-99.
Di questi salmi soltanto il 93; 97; 99 iniziano con l’acclamazione
“L’Eterno regna” (Jahvé malak), ma tutti sono chiari
nell’affermazione della regalità o del regno di Jahvè.
Secondo alcuni studiosi questi salmi avevano un preciso
posto nel culto delle feste di Autunno (Nuovo Anno, Tabernacoli
o Tende), che comportavano un rito di intronizzazione di
Jahvè in Sion. Non si tratta quindi, secondo costoro, di
salmi escatologici, ma di salmi cultuali.
Lamentazioni o suppliche individuali
Il termine supplica sembra
rispondere meglio al contenuto rispetto a quello di lamentazione,
pur largamente utilizzato. Supplica infatti suggerisce
meglio l’atto di implorare la liberazione, che è
caratteristico di questo genere di salmi. Una differenza
sostanziale vi è tra suppliche individuali e supplica
collettiva o comunitaria o nazionale o d’Israele, non tanto perché
la prima suppone un singolo come soggetto e la seconda una collettività,
ma perché è difficile stabilire quale tipo
di individuo sta dietro all’io.
In base allo
schema caratteristico di questo genere letterario
le lamentazioni o suppliche individuali cominciano generalmente
con una preghiera di domanda, che può essere
l’invocazione del nome divino o un grido d’aiuto e di pietà,
spesso all’imperativo. Il testo presenta una divisione tripartita:
atteggiamento di Dio, condizione del supplicante, intrighi
dei nemici. Ecco alcuni esempi: Sl 6; 13; 22; 35; 38; 42; 43;
88; 102; 109; Gr 20, 7-10; Gb 30, 2-25. I singoli elementi possono
variare nell’ordine e ripetersi nello stesso ordine. Tipico dell’ordine
normale è il Salmo 13, 1-2, che sottolinea i singoli
elementi con un «fino a quando» che viene ripetuto
due volte in rapporto a Dio e una volta in rapporto all’orante
e ai nemici. Di solito questi salmi venivano recitati dai supplicanti
nel Tempio; ad essi ricorrevano per lo più i malati, i perseguitati,
coloro che erano falsamente accusati o minacciati nella vita
e nei beni, coloro che erano avanzati in età. I Salmi a
disposizione rispondevano più o meno alle loro necessità
in quanto avevano formule polivalenti e diversamente applicabili
alle varie situazioni.
Suppliche collettive o della nazione
Si distinguono dalle suppliche
individuali un gruppo di salmi che presentano
gli stessi tempi della supplica individuale, però
viene rivolta in forma collettiva da tutto il popolo
e per questo motivo sono detti: suppliche collettive o
della nazione. In genere venivano recitati nel rituale dei giorni
di digiuno. Ecco alcuni esempi: 44; 60; 83; ecc.
La forma classica
della supplica nazionale, che è in genere
anteriore al ritorno dall’esilio, si presenta costantemente
con questa struttura: appello all’aiuto di Dio; lamento
in tre motivi: Dio, noi, i nemici; quindi professione di
fiducia in Dio; preghiera di domanda, seguita talora dalla
promessa di ringraziamento. L’appello a Dio è breve,
vivace e vario: (Sl 60, 1; 79, 1; 83, 1) «
O Dio… ». Oppure (Sl 80, 1) «
O pastore d’Israele »; (Sl 85, 4)
« Ristoraci,
o Dio della nostra salvezza »; (Sl 123, 3)
« Abbi pietà di noi,
o Eterno, abbi pietà di noi ». L’ordine
dello schema non è sempre lo stesso, anzi a volte non
è neppure chiaramente distinguibile.
Salmi di fiducia
Nel gruppo delle suppliche,
sia individuali che collettive, alcuni hanno voluto vedervi
anche i salmi di confidenza o fiducia. Altri invece sono
alquanto perplessi di fronte a questa distinzione in
quanto affermano che nelle suppliche non può mancare
il motivo della fiducia. Comunque i salmi di fiducia
sembrano ispirati da un preciso stato d’animo in cui il supplicante
si rivolge a Dio senza richieste, ma con semplici espressioni
di confidenza e di totale abbandono in lui. Esempi di
questo genere letterario li abbiamo nei Salmi 4; 11; 16;
23; 27; 62; ecc.
Salmi di ringraziamento individuale
Questo genere letterario
presenta alcuni tratti che si avvicinano alla supplica
e ai salmi di fiducia. L’ambiente in cui sono nati i salmi
di ringraziamento fu abitualmente il sacrificio votivo con
il banchetto sacro. Il contesto cultuale è molto
evidente, ad esempio, nel Salmo 118. In seguito questo tipo
di salmi si è staccato dal suo contesto originario per
traformarsi in canto spirituale che veniva elevato per lo più
nelle sinagoghe il giorno di sabato.
Salmi regali
Sotto questo titolo vengono
raccolti i salmi messi in bocca al re; i salmi per il
re; i salmi indirizzati al re. In questo gruppo rientrano
anche alcuni salmi chiaramente messianici. Il comune denominatore
di questi salmi è il re a cui si fa riferimento in
modo particolare circa la sua intronizzazione (2, 72, 110),
la sua partenza per la guerra (20), le sue vittorie (18, 32),
la scelta divina della dinastia (Sl 89, 2-5.20-38; 132, 2-7.11-15).
Salmi o canti di Sion
Nel capitolo dedicato agli
inni gli studiosi hanno individuato un gruppo di salmi,
detti Canti di Sion. Tali sono ad esempio il Salmo 46,
il 48, il 76, l’ 84, l’ 87, il 122. Composizioni di questo genere
esistevano anche in Egitto e in Mesopotamia in quan-to nel
Medio Oriente antico era diffusa l’idea del rapporto esistente
tra il dio e la sua città e il suo tempio. Questi salmi
sviluppano il tema dell’azione protettrice di Dio in Sion.
Liturgie d’ingresso
Fra tutti
i salmi soltanto due testi possono rientrare a pieno titolo
in questo gruppo e sono il Salmo 15 e il Sl 24. 3-6. Ele elementi
essenziali sono la domanda dei fedeli di poter accedere
al santuario e la risposta del sacerdote che dichiara
le condizioni.
Salmi di pellegrinaggio o di processione
Il Salmo che meglio evidenzia
le caratteristiche di questo gruppo è il
95, 1-7
Requisitorie sulla rottura dell’alleanza
Sono riuniti sotto questo
gruppo i Salmi 78, 81 ed altri che sono detti anche di liturgia
della fedeltà jahvistica o di liturgia deuteronomista.
Di solito questi salmi iniziano con la formula: «
Ascolta Israele
» (50, 7; 78, 1; 81, 9) ispirata a Dt 5,
1; 6, 4; 9, 1. Il discorso che segue è messo normalmente
in bocca a Dio.
Salmi di congratulazione o macarismatici
Alcuni studiosi hanno interpretato
alcuni salmi come canti di benvenuto e di felicitazione
per la nascita di un figlio. Tale sono ad esempio: Sl
128; 133 a cui si possono aggiungere anche il 41, il 65 e il
112.
Oracoli di protezione divina
Diversamente classificati
dagli esegeti, non senza motivo, il 73, il 91 e il 121 contengono
tutti e tre un oracolo che garantisce la protezione
divina, elemento che li accosta, anche in difetto di dati
precisamente letterari.
Salmi del giudizio di Dio
I
Salmi 58, 75 e 82 non hanno finora trovata una
classificazione adeguata e concorde da parte degli
studiosi. Essi però hanno una caratteristica dominante
comune alle tre composizione e sarebbe quella della requisitoria
divina contro gli empi. Ecco perché alcuni li hanno
chiamati i salmi del giudizio di Dio.
Salmi sapienziali
E’ tra i generi letterari
dei salmi il più discusso e c’è il più
grande disaccordo tra i critici nel fornire un elenco di
questi salmi. Lo stesso titolo infatti di sapienziali fa
più pensare al ceontenuto che alle forme letterarie,
che invece dovrebbero essere l’elemento dominante. Il Gunkel,
ad esempio riconosce come sapienziali i Salmi 1; 37; 49; 75,
91; 112. Altri, a parte qualche Salmo forniscono elenchi del
tutto diversi. I tipi di composizione richiamabili al genere
sapienziale potrebbero essere la satira (14 = 53; 36, 2-5.13),
la confutazione (49; 94, 7-11) e l’elogio (133).
Salmi alfabetici
Abbiamo infine i cosiddetti
salmi alfabetici che hanno all’inzio di ogni verso una
lettera dell’alfabeto ebraico. Non escludendo la possibilità
di una funzione mnemonica, la composizione alfabetica
sembra tendere ad evidenziare l’abilità del poeta,
quando gli riesca di combinare la robustezza e la varietà
del pensiero e le esigenze del suo sviluppo con il vincolo alfabetico.
Non sembra che la poesia ebraica abbia conosciuto
forme propriamente acrostiche, cioè con parole o
frasi formate dalle iniziali di una serie di versi, che
possono essere lette in senso verticale (criptogrammi). Un
esempio evidente di salmo alfabetico è senz’altro il
119, ma ve ne sono anche molti altri che non appaiono nella traduzione
come il 9+10, il 25, il 34, il 37, ecc.
Ci si è chiesti se
i salmi alfabetici vadano considerati come un genere letterario
a se stante o più semplicemente come una forma
poetica applicabile a diversi generi letterari. Si è
arrivati alla conclusione di considerare i salmi alfabetici
come genere letterario, in quanto la loro struttura
suggerirebbe l’idea della pienezza o dell’integrità,
quasi un dall’ A alla Z sulla conoscenza e l’osservanza della
legge.
Non possiamo parlare dei
salmi senza accennare ad una caratteristica fondamentale
della poesia ebraica, che è il parallelismo. Il parallelismo
pur non essendo una caratteristica esclusiva della poesia ebraica,
in quanto è presente anche nella poesia semitica in
generale, non è semplicemente un fenomeno letterario
o di forma, ma di contenuto e di pensiero. Il parallelismo
dà plasticità alle idee perché è
un ritmo bilanciato del pensiero prima che della parola.
IL parallelismo
può assumere diverse forme. Si può infatti
parlare di parallelismo sinonimo, di parallelismo
antiteco e di parallelismo sintetico.
Consiste nel ripetere nella
seconda parte del verso, con alcune variazioni di forma,
quanto è stato enunciato nella prima: Es. Sl 26: 4-5
in cui il parallelismo è dato dal passaggio dalla forma
negativa alla forma affermativa:
«
Non siedo con uomini bugiardi
e non vado con gli ipocriti.
Io odio l’adunanza
dei malvagi e non mi associo con gli empi
» .
Le variazioni possono limitarsi,
in certi casi, alla semplice sostituzione di
termini equivalenti, come avviene ad esempio in Sl 56,
10:
«
Con l’aiuto di Dio celebrerò
la sua parola;
con l’aiuto
dell’Eterno celebrerò la sua parola ».
Questo tipo di parallelismo
tende a mettere in evidenza una realtà o una qualità
mediante l’evocazione del suo contrario, specialmente
nell’ambito della condotta religiosa e morale. Caso tipico
è il Sl 1, 6 che contrappone la via dei giusti a quella
degli empi:
«
Poiché l’Eterno conosce
la via dei giusti,
ma la via degli
empi porta alla rovina
» .
Il Sl 119, 163 in cui la
menzogna detestata viene contrapposta alla legge
di Dio amata:
«
Odio e detesto la menzogna,
ma amo la tua
legge »
.
E’ soprattutto nelle massime
sapienziali dei Proverbi che viene largamente usato
il parallelismo antitetico.
Meno facile da descrivere
e da individuare è quel tipo di parallelismo detto sintetico
in quanto unisce le parti di un discorso che si sviluppa
e si precisa. La difficoltà deriva dal fatto che
questo tipo di parallelismo, non di rado, presenta elementi
o sfumature che possono far pensare all’uno o all’altro
dei due tipi di parallelismo precedenti. Caso tipico di parallelismo
sintetico è il Sl 19, 7-10:
«
La legge dell’Eterno è perfetta,
essa ristora
l’anima;
la testimonianza
dell’Eterno è verace,
rende savio
il semplice.
I precetti
dell’Eterno sono giusti,
rallegrano
il cuore;
il comandamento
dell’Eterno è puro,
illumina gli
occhi.
Il timore dell’Eterno
è puro,
rimane in eterno;
i giudizi dell’Eterno
sono verità,
tutti quanti
sono giusti
»
1 Poiché
la Bibbia ebraica era stata scritta in ebraico
antico che aveva soltanto le consonanti e non le vocali,
la sua lettura era divenuta impossibile al comune ebreo,
che dopo alcuni secoli aveva perso l’uso di tale lingua.
Per consentire che il testo della Bibbia potesse essere letto
e inteso, fin dai tempi di Esdra un gruppo di studiosi ebraici
(scribi), detti “Masoreti” si dedicarono alla vocalizzazione
del testo consonantico. L’attività dei Masoreti consisteva
nella trascrizione del testo biblico, nel raffronto dei manoscritti
esistenti, nella raccolta di letture varianti fra le quali non
si poteva fare una scelta definitiva, in un minuzioso studio
del testo fino al punto di arrivare a determinare il numero delle
consonanti e delle parole contenute in ogni libro della Bibbia
e, per ultimo, nel seguire le indicazioni che avevano ricevuto
da secoli circa l’esatta pronuncia del gruppo consonantico di
ogni parola. Naturalmente sorsero diverse scuole di Masoreti: la scuola
babilonese, quella palestinese e, infine, la tiberiense, che si
impose come scuola dominante. Il sistema tiberiense si impose per
il potente influsso del giudaismo palestinese, ma anche perché,
risiedendo a Tiberiade, capitale della provincia occidentale della
Palestina sotto il dominio musulmano, fissarono di nuovo la vocalizzazione,
gli accenti e la masora della Bibbia, ispirandosi al modello che offrivano
i lettori «arabi» impegnati ad elaborare un testo
coranico perfetto. Il lavoro dei Masoreti tiberiensi fu di fatto
una nuova creazione, perché fissarono le vocali del testo
biblico, determinarono i suoi accenti e, soprattutto, stabilirono
un collegamento diretto tra gli accenti e l’accento tonico, usando
il primo per indicare il secondo. Perciò vediamo che ciò
che comunemente viene chiamato testo masoretico della Bibbia (generalmente
designato con l’abbreviazione TM), in realtà dovrebbe essere
correttamente chiamato testo tiberiense della Bibbia.
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3 Era un levita
discendente di Merari (il terzo figlio di Levi), designato
da Davide per lodare l’Eterno con strumenti musicali (1
Cr 16, 41-42), e uno dei capo famiglia di musici e suonatori
(2 Cr 5, 12). Il suo nome appare tre volte nei titoli dei Salmi
(Sl 39; 62; 77), ma è incerto il fatto che siano stati scritti
da lui in quanto l’autore indicato è in tutti e tre i Salmi lo
stesso Davide.
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4 La Scrittura ci dice chiaramente
che Salomone chiese a Dio il dono della sapienza
per governare Israele (1 Re 3, 9), e Dio gli concesse
un cuore saggio e perspicace (1 Re 3, 12). In occasione del
confronto fra le due prostitute ( 1 Re 3, 16-17), Israele comprese
che la sapienza di Dio era in lui (1 Re 3, 28). Ne fornì
una prova sia dotando Israele di un efficiente governo centrale
che realizzò un notevole grado di benessere ( 1 Re 40,
20-21), sia allacciando, sul piano internazionale, rapporti
e alleanze che svilupparono il commercio e aumentarono il prestigio
della dinastia. Si ha poi notizia di numerose ricerche e composizioni
(1 Re 4, 33) e del fatto che famosi personaggi ricorrevano a lui
perché dotato di una sapienza eccezionale( 1 Re 5, 12). La
fama della sapienza di Salomone si era talmente sparsa nel mondo antico
che persino la regina di Saba affrontò un lungo viaggio per
fargli visita e rendersi personalmente conto della sapienza di questo
re (1 Re 10, 7).
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