Poesie
Non sono molti i poeti torinesi e piemontesi di
nascita o di adozione che raggiunsero fama nazionale esprimendosi in italiano: Vittorio
Alfieri da Asti, Guido Gozzano da Torino, Gianni Rodari da Omegna, Primo Levi da Torino,
Lalla Romano da Demonte ... e pochi altri. Ovviamente non consideriamo i contemporanei, la
cui fama e la cui maturità deve ancora rivelarsi e che per questo non citiamo. Molti
furono nei secoli i poeti che scelsero di esprimersi in lingua locale, noti e meno noti,
nessuno però riuscì a superare l'ambito regionale. Alcuni di essi, pochi per la verità,
ad esempio Nino Costa, sono stati oggetto di studi e lusinghiere valutazioni critiche in
ambito nazionale, ma proprio l'uso di una lingua [dialetto] tanto minoritaria, ha impedito
la diffusione delle loro opere oltre l'ambito strettamente locale. Tuttavia non mancano
voci di un certo spessore, d'autentica ispirazione letteraria, che si misurarono anche con
la ricerca filologica e con risultati non irrilevanti. Fra questi meritano una particolare
menzione Carlo Giambattista Tana, autore del 'L cont Piolet', primo ed unico lavoro in
piemontese destinato ad essere parzialmente musicato, come avveniva all'epoca e siamo in
pieno secolo XVII. Sempre nel '600 padre Ignazio Isler, parroco della Crocetta, poeta
vigoroso e latinista valente, fra l'indifferenza generale tentò di razionalizzare la
grammatica della lingua torinese-piemontese. Un'altra voce notevole fu quella di Angelo
Brofferio, avvocato, patriota, deputato e poi senatore del regno d'Italia, oltrechè poeta
e musicista. Con una poesia, mediocre per la verità, tentò di sfatare il mito dei
'bogianen', come erano definiti i torinesi:
I bogianen an dju, famosa novità.
Reputasion tan giosta,
s'al Po, s'al Var, s'al Ren.
A l'é 'na storia frusta
chi noi bogioma nen.
Lo san ca l'è nen vera
Palestro e San Quintin
Pastreng, Goito, Peschiera,
Guastala e San Martin,
lo san fina 'n Crimea
chi noi bogioma nen!
Nel novecento è stata notevole l'opera di Nino
Costa, forse il più 'universale' fra i poeti della 'piccola patria' piemontese, che
lavorò anche per rendere più vicino alla realtà ed alla quotidianità la lingua che
conosceva così bene. Fra i contemporanei, purtroppo, è in atto una sorta di soffocante
involuzione, caratterizzata soprattutto dall'uso di un linguaggio artificiale, che
privilegia il recupero di vocaboli e locuzioni desuete trascurando i contenuti. La
produzione artistica attuale offre quasi esclusivamente componimenti di maniera, senza
alcun sforzo di ricerca né estetica né linguistica. Forse ciò è dovuto al fatto che,
nonostante possa spiacere, il torinese-piemontese è una lingua sempre meno parlata e
compresa, quindi viva, perciò incapace di interpretare la realtà, i sentimenti, le
aspirazioni e i sogni dei torinesi-piemontesi contemporanei.
Ël Pò
Gnanca na barca a va
sël fil ëd londa
Jè pen-a n buf ëd vent
cha fà bogé le feuje
djerbo dla sponda.
E jonde a van
Rifless dargent,
lusent.
A van
così lontan
Ma lor lo san?
E nt laria seren-a dël tramont
ël Monvis a lè là,
sfumà
a lorisont.
E jonde a passo sota tuti ij pont.
(Carlottina Rocco)
Ave Maria
Ave Maria
da le ciaborne veje
ch a saro le Ca neire e l Borgh d jë strass,
dai bei palass ch a guardo anvers le leje,
da n Valdoch, dal Seralio e dai Molass;
dal Borgh ëd Po fin-a a le Basse d Dòra,
da la Crosëtta al parch del Valentin,
jè tut Turin ch at prega e ch at adòra
jè tut Turin ch at conta j sò sagrin
O Protetris dla nòstra antica rassa
cudisme Ti, fin che la mòrt an pija:
come lacqua dun fium la vita a passa,
ma ti, Madonna, it reste
Ave Maria.
(Nino Costa)
Le Golose
"Io sono innamorato di tutte le signore
che mangiano le paste nelle confetterie.
Signore e signorine -
le dita senza guanto -
scelgon la pasta. Quanto
ritornano bambine!
Perché nïun le veda,
volgon le spalle, in fretta,
sollevan la veletta,
divoran la preda.
C'è quella che s'informa
pensosa della scelta;
quella che toglie svelta,
né cura tinta o forma.
L'una, pur mentre inghiotte,
già pensa al dopo, al poi;
e domina i vassoi
con le pupille ghiotte.
Un'altra - il dolce crebbe -
muove le disperate
bianchissime al giulebbe
dita confetturate!
Un'altra, con bell'arte,
sugge la punta estrema:
invano! chè la crema
esce dall'altra parte!
L'una, senz'abbadare
a giovine che adocchi,
divora in pace. Gli occhi
altra solleva, e pare
sugga, in supremo annunzio,
non crema e cioccolatte,
ma superliquefatte
parole del D'Annunzio.
Fra quegli aromi acuti,
strani, commisti troppo
di cedro, di sciroppo,
di creme, di velluti
di essenze parigine,
di mammole, di chiome:
oh! le signore come
ritornano bambine!
Perché non m'è concesso -
o legge inopportuna! -
il farmivi da presso,
baciarvi ad una ad una,
o belle bocche intatte
di giovani signore,
baciarvi nel sapore
di crema e cioccolatte?
Io sono innamorato di tutte le signore
che mangiano le paste nelle confetterie".
(Guido
Gozzano)
Torino
Sotto i portici di Torino
ho incontrato
uno scolaretto.
Garrone?
Nobis? Il muratorino
che
della lepre rifà il musetto?
Come le
pagine vecchie e care
del vecchio Cuore, sempre belle,
le vecchie strade diritte e chiare
si somigliano come sorelle.
Torino, Torino
il Po e il Valentino
le colline incantate
per farci le passeggiate
di fine settimana,
e la Mole Antonelliana
in mezzo alle cartoline
illustrate.
(G. Rodari)
Via Cigna
In questa città non cè via più frusta.
E nebbia e notte; le ombre sui marciapiedi
che il chiaro dei fanali attraversa
come se fossero intrise di nulla, grumi
di nulla, sono pure i nostri simili.
Forse non esiste più il sole.
Forse sarà buio sempre: eppure
in altre notti ridevano le Pleiadi.
Forse è questa leternità che ci attende:
non il grembo del Padre, ma frizione,
freno, frizione, ingranare la prima.
Forse leternità sono i semafori.
Forse era meglio spendere la vita
in una sola notte, come il fuco.
(Primo Levi)
Torino
I
Quante volte tra i fiori, in terre gaie,
sul mare, tra il cordame dei velieri,
sognavo le tue nevi, i tigli neri,
le dritte vie corrusche di rotaie,
larguta grazia delle tue crestaie,
o città favorevole ai piaceri!
E quante volte già, nelle mie notti
desilio, resupino a cielo aperto,
sognavo sere torinesi, certo
ambiente caro a me, certi salotti
beoti assai, pettegoli, bigotti
come ai tempi del buon Re Carlo Alberto
.
"
se l Cônt ai ciapa ai rangia për le
rime
"
"Cha staga ciutô
" "L caso a
lè stupendô!
"
"E la Duse ci piace?" "Oh! Mi mantendô
pà mi a teatrô i vad për divertime
"
"Cha staga ciutô!
A jntra l
Reverendô!
"
Savanza un Barnabita, lentamente
stringe la mano alla Contessa amica
siede col gesto di chi benedica
Ed il poeta, tacito ed assente,
si gode quellaccolita di gente
cha la tristezza duna stampa antica
Non soffre. Ama quel mondo senza raggio
di bellezza, ove cosa di trastullo
è larte. Ama quei modi e quel linguaggio
e quellambiente sconsolato e brullo.
Non soffre. Pensa Giacomo fanciullo
E la "siepe" e il "natìo borgo selvaggio".
II
Come una stampa antica bavarese
vedo al tramonto il cielo subalpino
Da Palazzo Madama al Valentino
ardono lAlpi fra le nubi accese
E questa lora antica torinese,
è questa lora vera di Torino
Lora chio dissi del Risorgimento,
lora in cui penso a Massimo dAzeglio
adolescente, a I miei ricordi, e sento
dessere nato troppo tardi
Meglio
vivere al tempo sacro del risveglio,
che al tempo nostro mite e sonnolento!
III
Un po vecchiotta, provinciale, fresca
tuttavia dun bel garbo parigino,
in te ritrovo me stesso bambino,
ritrovo la mia grazia fanciullesca
e mi sei cara come la fantesca
che mha veduto nascere, o Torino!
Tu mhai veduto nascere, indulgesti
ai sogni del fanciullo trasognato:
tutto me stesso, tutto il mio passato,
i miei ricordi più teneri e mesti
dormono in te, sepolti come vesti
sepolte in un armadio canforato.
Linfanzia remotissima
la scuola
la pubertà
la giovinezza accesa
i pochi amori pallidi
lattesa
delusa
il tedio che non ha parola
la Morte e la mia Musa con sé sola,
sdegnosa, taciturna ed incompresa.
IV
Chio perseguendo mie chimere vane
pur tabbandoni e cerchi altro soggiorno,
chio pellegrini verso il Mezzogiorno
a belle terre tepide lontane,
la metà di me stesso in te rimane
e mi ritrovo ad ogni mio ritorno.
A te ritorno quando mi rabbuia
Il cuor deluso da mondani fasti.
Tu mi consoli, tu che mi foggiasti
Questanima borghese e chiara e buia
dove ride e singhiozza il tuo Gianduia
che teme gli orizzonti troppo vasti
Eviva i bôgianen
Sì, dici bene,
o mio savio Gianduia ridarello!
Buona è la vita senza foga, bello
goder di cose piccole e serene
A lè questiôn d nen piessla
Dici bene,
o mio savio Gianduia ridarello!
(Guido Gozzano)
A
lè d ti che i parlo
.
A mia Fomna
It ses për mi com la pasra
d muraja
Che a la matin ven canté a la
mia pòrta:
drinta mè cheur soa gòi a
më sparpaja,
nunsiand che l sol
lé pront a feme scòrta
(
.)
(Camillo Brero)
A mè pais
Quasi spërdù nt ël mes ëd la campagna,
sota ël frèid ëd le stèile e lòr dël sol,
a jé mè cheur che an seugn a tacompagna,
mè cheur chat serca, quand chas treuva sol.
(
..)
(Renzo Brero)
Chimera
Là ndova a ciancio al sol foà le siale
e d sèira, as sento ij grij pì cantarin,
lamor a lha slargà, për noi, soe ale
vers un pais lontan
. sensa confin!
(
.)
(Giovanna Giuglard Richetto)
Ël Cotolengo
Quand che 'n maleur a l'è talment profond
ch'a fa quasi pì sgiai che compassion,
quand che 'l destin l'è senssa remission
e a j'è pì gnente da sperè 'nt ël mond,
quand che pi gnun an veul, pi gnun an goarda,
pi gnun an dà 'n fià d'acqua e 'n tòch ëd pan,
che tuti an paro via parei dij can
quasi i l'aveisso n'anima bastarda,
quand che n'òm l'è finì, frust ò ramengo
e a sa pì nen da chi ciamè pietà,
j'è sempre 'ncor për chiel na carità:
l'ultima carità dël Cotolengo.
Chila a cheuj tuti e tut; fin-a joror
cha lhan pì gnun-e facie e pì gnun nòm;
lè pi duverta che l porton dël Dòm,
lè quasi granda come l cheur dNossgnor,
e ndoa che l mal a rusia le radis
dël penssè, dla rason, dlinteligenssa,
pròpe da lì l Miracol a ncomenssa
e da lInfern jë sponta l Paradis.
Lera un canònich, vnù a Turin da Bra,
nòm come naotr, pà gnente d fòravía:
forsse na frisa d pì d malinconìa
quand che Nossgnor lha die: "Dësviite
va
"Va, cha-iè tanti dësgrassià da cheuje,
"tante creature mie da conssolè.
"Lòn che gnun daotri lè stait bon a fè
"ti tpeule felo: basta chit lo veuje".
E chiel lè ndait, lha daje landi al cheur,
lha fait sonè a baodëtta le campan-e
e a lha crià: "Dëspersse anime uman-e,
"cantoma l Glòria: i lhai trovà l boneur.
"Lhai conossù la strà dël mè destin,
"tut ël mè avnì nt ël seugn duna minuta:
"Giutè l fratel quand che pì gnun lo giuta,
"quand che tut a-j veul mal, voreije bin".
Lha prinssipià da chiel: sol e spërdù,
senssa apògg, senssa ajut, e senssa cà.
Tuti ij maleur cha lha trovà sla strà
lha daje man coma fasìa Gesù.
Lè stait dë dsà e dë dlà, lha fait ëd fam,
lè piasse dlimpostor, e dlambrojon
Pi gnun cha lo vorìa nt ël sò canton,
maltratà dai malign, sbefià dai gram.
Ma chiel, pòr Cotolengo, a lha tnù dur:
- bon cheur da Sant, ma testa piemonteisa -.
Lavia mach pì la Cros për soa difeisa
e ij sò malavi da butè al sicur;
lha pregà, suplicà pòver e sgnor,
lha travondù sangiut e umiliassion,
lè ndait ananss a fòrssa dë strincon,
lha limosnà ij vanssroi da jartajor,
fintant che a furia d crussi e d San Martin
lè rivà l dì cha lha fità n ciabòt;
nafè da gnente, un gram ospidalòt,
distant dal centro, sij confin d Turin
e a lè parei, dòp tanta penitenssa,
che n mes ai prà d Valdòch, sperssa e lontan-a,
- ultima sosta dla miseria uman-a -
lè vnuje al mond la "Cà dla Providenssa".
San Pè dij Còi, con le toe strà deserte,
con le toe lòse fruste e l tò canal,
con ël tò odor dë mnestra dospidal
e le toe fnestre quasi mai duverte,
bele chit labie gnente dë special,
chit sie sever e trist come n convent,
të smie pì bel che tuti ij monument,
pì maestos dla granda Catedral.
Trames a tanta gent chas fa dël mal,
davanti a tanta gent cha perd la testa,
ti tses come na ciòca nt la tempesta,
come na steila dsora a n temporal;
e noi chi ndoma për le strà dël mond,
possà da n seugn, brusà da na passion,
chi sambrancoma a nultima ilusion
për nen robatè giù fin-a nt ël fond,
quand che la fede e la speranssa an chita,
chi loma ël sangh arverss, e l cheur sarà,
basta chi-j pensso a tanta carità
për torna chërde e benedì la vita.
(Nino Costa)
Ël Pò e la Dòira
Ël
Pò e la Dòira; opura: Adamo ed Eva.
Chiel
patanù, ma chila dësvestìa.
Chiel
a l'ha 'n pèss an man, la facia afrìa
e
as ved che l'aria dla piassëtta a-j greva.
Chila,
spetand quaidun ch'a la soleva,
jë
'n po gonfia 'nt un fianch për maladìa
e
as coata mesa con na coerta greva.
Tuti
doi mal piassà sle tombe 'd pera
son
lì ch'a scoto con malinconia
l'acqua
ch'a sboca drinta ij lavatòri
e
a smia ch'a pensso, trist come 'd mortòri;
"Bele
sì, j'è tut pront per la lessìa
e
as ved gnanca rivé na lavandera!"
(Nino Costa)
Ël Valentin
Totin-e svicie: rondole 'd Turin,
- modiste, camisòire e sartoirëtte -
ch'i veule sempre a fin dle canssonëtte
gionteje 'l ritornel dël Valentin,
l'è për vojaotre, per vòstr sangh ch'a beui,
për vòstra boca ch'a l'è 'n nì 'd basin,
ch'a dës-ciòdo le reuse an t'ij giardin.
Nòstr Valentin l'è fait për le morfele,
nòstr Valentin l'è fait per jë sfojor:
da sì l'eterna poesia dl'amor
a l'ha cantà le soe cansson pì bele.
J'è pà 'n canton spërdù, j'è pà 'n sentè
ch'a sapia nen lòn ch'a veul dì 'n cobiett:
Tute le bussonà, tuti ij boschett
e l'han sentù ij basin a s-ciopatè
e 'l Pò con j'onde soe mineuje e dosse,
che blamblinand tra le doe sponde a va,
s'a l'aveissa da dì tut lòn ch'a sa
quante gognin-e ch'a dovrìo vnì rosse.
Ma l'è për lòn che 'l Valentin l'è bel,
për col'aria balòssa e malissiosa
ch'an fa seugnè 'l gigett d'una morosa
sota le steile ch'a traponto 'l cel.
Postà sle rive dël nòstr fium real
- tra 'l borgh ëd San Salvari e la colin-a -
tuta quanta la rassa bicerin-a
lo sa che al mond a n'j'è pà n'aotr ugual.
Lè chiel ch'ai dà la grassia a la sità
ch'a la rinfrësca e ch'a la rend pì bela;
a l'è 'l ricòrd che mai a së scancela
dal cheur d'ij turineis lontan da cà
e pì tant as conòss, pì tant as treuva
che a cambia cera a tute le stagion,
fà pa dëbsògn ch'ai sia l'esposission
për vëddìe tuti ij dì na blëssa neuva.
D'invern ai ven jë sgnori a patinè
sla giassa dël laghett cuvert ëd brin-a,
d'istà, traverss al Pò ch'a l'ancamina,
së slanssa la cansson d'ij canotiè.
E vers ij Sant, quand che l'otonn a pòrta
le prime bise, la nëbiëtta fin-a
jë stend adòss un vel ëd mussolin-a
come 'n coefin su na facin-a smòrta.
..
Ma certe neuit dla "prima" al ciair dla lun-a,
quand che le feuje a s'agito e a bësbìo,
mila figure magiche ass dësvìo,
tut un pòpol fantastich ass radun-a
e Madama Real - bela e superba -
a seurt, con la soa cort, dal vej Castel:
Ai luso 'n facia j'euj color dl'assel
E ij dentin ch'a mordìo 'ntla fruta serba.
D'antorn a chila, an t'un mossè leger,
sede, pisser e vlù, piume e bindei:
la richëssa sfacià 'd mila Castei,
l'amor d'ij prinssi e 'l seugn d'ij cavajer.
Prinssi Amedeo con tuta la soa gent
a vëddla comparì superba e bela,
për ël piasì d goardela e d compagnela
a cala giù d cò chiel dal monument.
E la duchëssa e l prinssi as dan la man
e a marcio n testa d cola gran parada:
dapress a lor ai va la cavalcada:
cont e marcheis, abati e ciamberlan
fin che l bel seugn dla veja capital
- anvertojà da në splendor dargent
a së sprofonda tut an tun moment
sota jombre dël borgh mediòeval.
.
As vëdd pì gnente, ma da rama an rama
ai passa ncora come n longh frisson.
As sent për laria un tërmolè d passion,
quaicòs ëd viv e d caod parei d na fiama.
Lagiù
. da una parte d' j'erbo
an col boschett
jë smijlo pà ch'ai sia quaidun ch'a crija?
Saralo un crij d'amor ò 'd gelosìa,
ò 'n crij
ch'a l'è surtì da 'n trabochett?
Ciuto
Sël Pò j'è un moviment ëd cun-a
- j'erbo 'n tra 'd lor sota 'l vent a bësbìo -
- dai camp, dai prà j'è i primi grij ch'a crìo -
e 'l Valentin a seugna al ciair dla lun-a
(Nino Costa)
La Consolà
A randa d'ij rastei d'la Tor roman-a
- ultim avanss d'un'epoca dëstissa -
con n'aria 'd serietà tuta nostran-a
la Conssolà l'è lì: bassa e massissa:
senssa spatuss: come na brava mare
ch'a l'ha 'd fastidi gròss për la famija
e a ten da cont le soe memòrie care,
ma veul nen esse 'd pì che lòn ch'a sia.
Davanti a chila j'è 'd masnà ch'a coro,
d'ovriere ch'a passo e 'd sartoirëtte;
pòver ch'a ciamo; preive ch'a dëscoro,
e le veje ch'a vendo le candlëtte.
So ciochè, lì davsin, - ombra severa
dle glòrie dle passion d'un'aotra età -
ch'a l'ha goernà la Cros e la bandiera,
fedel come n' tropiè d'ij temp passà,
adess ch'a l'è vnù vei, tut-un a manda
dsora dël mond ël son dle soe campan-e
come na vos ch'a prega e as racomanda
për tute quante le miserie uman-e,
e sla piassëtta, con so cit an brass,
la Madonin-a bianca s'la colòna,
goardand an giù la gent ch'a fa 'd fracass,
e l'ha 'n soris da mama e da Madòna.
(Nino Costa)
La
cros
Quand
Nosgnor a lé mòrt an cros
a smiava naragn
rampignà a soa tèila
con ij brass duvert
për ciapene
drinta la soa
aragnà damor.
(Carlo Dardaniello)
La Gran Madre
Son tornà con la Cros an sle bandiere
da tuti ij Camposanto dle frontiere:
dal Cadore, dal Carso, dal Trentin
ij fieuj mòrt për l'Italia: ij fieuj d' Turin.
Sarà 'nt ël cheur da l'ultima passion,
le mare a jë spetavo a la stassion.
L'avìo spetaje tante vòlte a ca
ij sò bei fieuj ch'a j'ero nen tornà
Ògnidun-a, 'dsadess, ciuto, a spetava
ch'a-i riveissa, 'd sò fieul
lòn ch'a-i restava.
Òh! come tute, quand ch'a son rivà,
l'avrio portasse ij sò fieuj mòrt a ca:
l'avrio portassie drinta ij brass sarà
come ai bei temp ch'a j'ero 'ncor masnà,
e con che religion l'avrio goernaje,
ij cheur dle mame ch'a l'avio 'nlevaje.
Ma se la mòrt a l'ha vorssù gropeje
pì gnun al mond, pì gnun, peul separeje.
Tuti 'nssema, lassù, j'ero cascà,
dovio sté 'nssema për l'Eternità.
Le mare antlora, tute an ginojon,
a l'han bësbià, sot-vos, cost'orassion:
"Ò Gran Mare del Ciel, ò Cheur pietos,
ch'it l'has vëdù tò Fieul meuire sla Cros,
ch'it l'has sufert lòn ch'i sufroma noi,
quand ch'it l'has tnulo, mòrt, an sij ginoi,
ch'it l'has sentù, gelà, contra 'l tò sen
sò cheur doleuri ch'a batìa pì nen.
Òh! mach Ti sola ch'it l'has piorà
it savras a cudì nòstre masnà.
Òh! Ti sola, òh mach Ti, mare 'd Nossgnor,
it peule piè nòstr pòst dacant a lor.
Òh! deurbie Ti, për l'ultima difeisa,
la toa Cesa roman-a e turineisa.
Sota Superga e a randa 'l Valentin
Daje n'ultima sosta a sò destin
e për na grassia 'd carità e d'amor
faje n'aotar sota l'aotar magior.
Dëdnanss a Lor su col aotar ëd glòria
ch'as piego le bandiere dla vitòria,
e 'n tuti ij temp, tuta la nòstra gent
ch'a-j ciama testimoni ai giurament
e ch'a ven-a, 'nt le grande ore dla stòria,
a pié 'd corage da la Soa memòria,
Noi, le mare, col dì ch'i saro j'euj
con l'ultima vision dij nòstri fieuj
noi lo savroma ch'a saran mai soi
fin che 'nt el mond t'i-j goerne Ti, per noi".
E dòp d'anlora la Gran Madre eterna,
drinta 'l Sacrari dla Soa Cesa
. a-j goerna.
(Nino Costa)
La Mòle
Dròla, për lòn l'è dròla, anssi i dirïa
che, 'n fatto 'd monument e 'd costrussion,
gnanca 'nt la Cina, gnanca 'nt ël Giapon,
dròle parei
dificil ch'a-i na sìa.
S'i l'hai da dive la vrità, më smìa
n'elmo d'assel con sò bel ciò 'd loton
ch'a 'nfilssa con la ponta lë Steilon
për nen che 'l vent a-j lo rabasta vïa.
E pura quand ch'i rive da lontan
e i vëdde da la fnestra dël vagon
spontè la Mòle
- val a dì: Turin -
i sente 'n fond al cheur come 'n posson,
quaicòs ch'av fa chinè la front sla man
e i treuve, malgré tut, ch'i-j veule bin.
(Nino Costa)
L'acqua dël Pò
Na vòlta n'ingegné - servel pontù -
goardand l'acqua del Pò ch'andasia an giù,
l'è tacaje 'l balin 'd fela andé an su.
Sicome a l'era n'òm carià dë dné,
bon a persoade e fòrt a comandé,
l'ha radunà n'esercit d'ovrié.
L'ha faje aossé 'd muraje e 'd murajon
deurve dle ciuse, tiré sù 'd bastion,
saré dë sponde, e tramudé 'd giairon.
L'ha combinà 'n bordel d'armamentari,
anventà d'ogni sòrt ëd machinari,
tut për fé core l'acqua a l'incontrari.
Ma col bonòm, però, l'ha nen penssà
che, gnanca a fé da bòja e d'ampicà,
la natura dël mond së sfòrssa pà,
e malgré tuti ij sò milion spendù,
tut ël travaj e tut ël temp perdù
l'acqua del Pò
l'ha continuà a 'ndé 'n giù.
(Nino Costa
L'Angelica
Sì, grassie al cel, j'è tuta na famija
ch'as gòd ël fresch, vestìa come 'n piscin-a;
j'è 'l pare e 'l fieul, la mama e la totin-a;
tuti 'd rassa sostnüa e dëgordïa.
La tòta a goarda (e a smìa che 'l cheur a-j rìa)
le meravìe dël nì d'na rondolin-a,
la mama a pronta për marenda ò sin-a
l'uva nostran-a frësca e polidija.
Ël pare e 'l fieul, robust come 'd brindor,
setà 'n sij ròch, da 'nt j'ojro a la paisan-a
versso giù l'acqua për bagnè le fior.
Angelica! a la ciamo sta fontan-a!
Ma se j'Angei son fait tuti parìa,
an Paradis j'è nen la carestia.
(Nino Costa)
Mirafior
Ale 'd farchett e d'aquile nostran-e
costumà contra ij vent e le tormente
ch'i ponte 'l vòl - superbe e resistente -
da 'n sle ròche pì fòrte e pì lontan-e,
ale franche 'd Piemont, ale 'd bataja,
padron-e dl'aria aota e dl'aria bassa,
dësteise për l'amor e për la cassa
d'sora dla tera libera e servaja,
saluteme le bianche ale sorele
ch'a s'aosso a storm dai camp ëd Mirafior:
l'anima dl'òm e l'andi d'ij motor
jë slansso 'nvers al cel lusente e bele,
e 'ndoa che prima j'erbo a s'andurmìo
quasi cunà da la cansson dle ssiale,
j'è 'ncheui na granda primavera d'ale;
d'ale uman-e ch'as pronto e ch'as dësvìo.
Ale d'aquile bianche sla pianura,
ale 'd farchett da corse ò da bataje,
se tante vòlte 'l sangh l'ha batesaje
chi ch'ai resta al timon l'ha nen paura.
Adess, lassù 'nt'ël sol, candie e legere
viste parej - l'han n'aria da dësmora;
doman - chissà - quand ch'ai soneissa l'ora
saran le prime a meuire sle frontiere.
Ò gioventù d'Italia, ala duverta
e cheur temprà sla mòrt për la conquista,
nojaotri, gent d'un'epoca pì trista
ch'i soma sempre stait brasa cuverta,
quand ch'i s-ciairoma sot la vòlta bleuva
passè lontan la bianca compania
con na ponta 'd rëgrett - quasi a në smia
ch'i sìe padron d'una richëssa neuva,
e quand ch'i torne e i pòrte 'ndrinta a j'euj
come 'n rifless dël cel ch'a v'annamora,
forsse le mame a së spavento 'ncora,
ma noi - papà - soma gelos dij fieui.
(Nino Costa)
Le margarite
Ël pra lé na dëstèisa
d margarite
ti, masnà, t lo guarde
a euj slargà.
Tante le fior che lerba
a né argentà
e tute candie, dësbandìe,
drite.
(
..)
(Giovanni Bono)
Na chitara e mi
(
.)
Veuj sonela për folìa,
për amor e për dolor;
për dé a jàutri la gòj mia,
për dé a jàutri dcò ij mè
pior.
(
.)
(Silvio Einaudi)
Stupinis
Sota j'arbre d'una leja
dël Castel dë Stupinis
l'hai sugnà na stòria veja
faita 'd lagrime e 'd soris:
Marchesin-a soridenta
tërsse bionde e grains d'amour -
con la facia impertinenta
e 'l fissù a la Pompadour,
lo spetava a na cert'ora,
pen-a fòra dël Castel,
quand che l'aria a së scolora,
quand che j'ombre a coato 'l cel.
Maraman ch'a s'ancontravo
tra le cioende d'ij giussmin,
con che deuit as salutavo:
"Marchesin-a
" "Marchesin
".
"Bon-e neuve dla soa cassa?"
"Lì parej
nè mal, nè bin;
s'ij tirava a la becassa
më scapava 'l becassin".
Ma pì tard, quand che le feuje
Tërmolavo sota 'l vent,
quante gnògne, quante veuje,
che delissia e che torment!
Së storsïa come na bissa:
"Giòja mia, fa nen parej
Të më s-cianche la batissa,
të scarpente i mè cavej
".
J'arssigneui ch'a jë scotavo
da le cioende d'ij giussmin,
ciusionand a compagnavo
cola musica 'd basin.
.
Marchesin-a, a l'erta, a l'erta!
Pieve goarda, Marchesin!
Se quaidun av dëscuverta,
marca sangh ël vòstr destin.
Dai përtus d'na gelosia,
quand ch'i seurte a fè l'amor,
j'è doi euj ch'a fan la spia,
j'è 'l sospett d'un traditor.
Sor Marcheis l'è testa fin-a,
ma sa ten-e ij nerv an fren;
gnun a sa còsa a combin-a
lòn ch'a penssa a lo dis nen.
Ij salon parà da festa
dël Castel dë Stupinis
l'han coatà pì 'd na tempesta
con na maschera 'd soris.
"Sor Marcheis, che confidenssa!
cola cobia 'd balarin
"
"Maestà, con soa licenssa,
l'è mia Sgnora e sò cusin".
L'indoman për la batüa
j'è la Cort an gran rumor:
sla campagna patanüa
së spataro ij cassador.
Al segnal d'ij còrn da cassa
sor Marcheis mira nen bin:
l'ha tiraje a la becassa,
l'è cascaje 'l Marchesin.
Marchesin-a impassijenta
lo spetava dal rondò
con na facia soridenta
e 'l fissù a la rococò.
S'era fasse tuta bela:
boca rossa e cavei biond
-
L'han portailo sna barela,
l'han renduilo
moribond.
..
La Marchesa vnuva veja
facia spalia e cavei gris -
a spasëggia sot na leja
dël Castel dë Stupinis.
Son pasiasse le bataje,
dëstisasse le passion!
Oh!
che d'acqua a l'è passaje
tra le sponde dël Sangon
Ma quaich vòlta a seurt ancora
e a s'na va 'nvers al Castel;
quand che l'aria a së scolora,
quand che j'ombre a coato 'l cel.
Va stermè le soe tristësse
tra le cioende d'ij giussmin,
e as ricorda dle carësse
e a sospira ij sò basin.
(Nino Costa)
Pòrta Neuva
Sola, 'n mes ai giardin ëd Pòrta Neuva,
l'acqua a va sù 'nt në spricc: drita, aota, franca,
e peui a casca 'nt una s-ciuma bianca
che 'n buff d'aria a smasiss parej 'd na pieuva.
Sota, la vasca, adess che 'l sol a-i manca,
së scuriss man a man d'na tinta bleuva;
j'anie pasie e domestie a fan la preuva
dë sbaciassé 'nt coi onde aote na branca.
Ma tut antorn le fior dij bei giardin
e j'erbo e ij monument son lì sospeis
për col gieugh d'acque fresch come 'n basin
Fontan-a pien-a 'd grassia e senssa peis:
libera come l'anima 'd Turin,
drita come 'l carater piemonteis.
(Nino Costa)
Superga
Mentre la nebia spëssa a cheurv ancora
fra Dòira e Pò - la gran sità 'ndurmìa
e dal Lingòt vers la matin bonora
la prima vos d'una siren-a a crìa,
lassù, lassù sla ponta dla colin-a,
bela parei d'una memòria cara,
a seurt, polida, da 'nt la nebia fin-a
la basilica bianca dël Juvara.
Superga, sota 'l sol, aota e severa,
nòstr amor, nòstra fede e nòstra glòria,
ch'it l'has fërmà drinta ij tò blòch ëd pera
l'ala d'un seugn e na giornà 'd vitòria,
tut òm dij nòstri ch'a l'ha 'l cheur ardì,
ch'a tráfiga, ch'a studia e ch'a travaja,
se 'nt j'ore neire a drissa j'euj vers tì
l'ha pì 'd corage për la soa bataja.
E ij Turineis lontan da la sità
quand che 'l rigret dël sò pais a-j pija
at seugno ti, mentre ch'a pensso a cà,
të sciairo ti, seugnand la soa famija.
L'è staie un temp, n'epoca trista e dura,
che nòstr'Italia a tòch dòp la tempesta
tra lë sbeuj, la miseria e la paura
s'ancalava pì nen d'aossè la testa.
Carlo Alberto esilià, rota l'armada,
l'Euròpa 'ntegra ch'an mostrava ij dent;
lòn ch'a-i restava 'd cola gran fiamada?
Na pugnà 'd sënner spatarà dal vent.
J'era mach pì 'n cit fil ch'a feissa teila,
j'era mach pì 'n ciairin ch'a tneissa bon;
ma 'l ciairin a lusìa parei 'd na steila
ultima steila 'n mes ai nivolon -.
L'era la cita e timida fiamela
con la soa luce antica e tërmolanta
che sle tombe reai dla gran capela
a vijava ij tò mòrt - Superga santa.
D'antorn al reu 'd cola fiamela spalia
ch'a goernava 'l calor për l'indoman,
a pòch a pòch, dai quatr canton d'Italia,
ij nòstri vei son torna dasse man
e ti, Superga, istess parei 'd na mama,
tl'has tnuje tuti sota 'l tò ripar.
L'antich ciairin l'è diventà na fiama
ch'a l'ha piait feu da le montagne al mar.
Ij nòstri mòrt, quand che 'l ciochè dël Dòm
l'ha sonà l'ora, son drissasse 'n pè:
Amedeo l'è dventà 'l Re Galantòm
e Pietro Micca 'l prim dij bërssagliè.
Lòn che l'ombra dla neuit, ciuto, a prepara
mach as peul vëdde al luse dla matin:
L'Angel d'Italia robatà a Novara
Tornava a slarghè j'ale a San Martin.
*****
"Prinssi 'd Piemont ch'it torne al vei Turin
con la toa bela gioventù fiorija,
e it sente tute j'aquile 'd famija
prontesse ij vòli 'ntorn al tò destin;
ti ch'it comensse adess toa vera vita
e it l'has an ti, parei d'un pòrt-boneur,
santificà dal sangh e dal maleur,
j'euj d'Umberto e 'l soris ëd Margherita,
penssa che la toa gent, rassa teston-a,
calà 'n s'ël pina dai brich ëd Chambery,
vorei o nò - l'ha comenssà da sì
a forgesse 'l metal dla soa coron-a;
e quand che 'l Prinssi ò 'l Duca a comandava
për ël bsògn, për l'onor o për la glòria,
d'apress a Chiel, për le contrà dla Stòria,
l'è sempre stait nòstr pòpol ch'a marciava.
L'antich Piemont l'ha nen cambià natura,
l'è sempre Chiel: rogneur, fier, e fedel;
l'ha gnun-e tëmme 'd risighé la pel
ma gnanca a piega nen soa testa dura.
Tant anlora che adess Piemont e Re
l'han sempre vorssù dì n'anima sola.
Sì j'è gnun ch'a tradissa ò ch'a trantola,
gnun ch'a daga 'ndarè: Piemont e Re.
Ma goai se an sofio 'n pò sota ij barbis!
Ël Tòr l'ha ij rognon dur e ij còrn pontù.
S'i veule nen ch'e l'erbo a daga giù
bsògna ten-e da cont le soe radis.
Prinssi Umberto 'd Piemont, ricòrdte ben.
Fa pà dë bsògn ch'an mostro tante plancie.
Noi soma 'd gent ch'i foma pòche ciancie
ma i soma 'd gent ch'i dësmentioma nen".
(Nino Costa)
Neuit
sitadin-a
Neuit. Ël silensi a crasa la sità:
smija
la calma dël mar dòp lorissi.
Ij
lampion anlùmino stra deserte.
(
.)
(Ezio Marinoni)
Vicol Santa Maria
L'è stòrt e curt e streit come 'n buel,
l'ha n'aria trista, solitaria e dura;
s'it goarde 'n su, të s-ciaire un pòch ëd cel
l'istess come travers a na filura.
Da 'n tòch ëd cort, darè d'un cit rastel,
da la cesiòta freida, umida, scura,
da tute cole cà mese a rabel
a-i seurt n'odor d'arciuff e 'd ramassura.
Ël sol d'mesdì, s'a paira a dé n'ociada,
pen-a rivà sij cornison, a sghija,
e a l'ha mai tas ëd torna 'ndessne vïa.
Ma 'l vicol l'ha dcò chiel sò moment bon:
quand che, la seira, dòp benedission,
le gòrbe dël canton fan la balada.
(Nino Costa)
Umberto
Sij barbis gris e sla caviera bianca,
tajà "a l'Umberta", e sla gran facia fiera
së specia 'l cheur dël Prinssi 'd Vilafranca,
ël Re pietos ch'a l'ha sfidà 'l colera.
Tra ij crij dla piassa e le maneuvre 'd banca,
d'antorn a Chiel n'Italia matinera
ch'as forma 'nt ij maleur e ch'as rinfranca
Na macia neira 'd sangh an sla bandiera.
E Chiel, da sol, an sla gineuria bassa,
për sò pais e për l'onor dla rassa
l'ha dait tut lòn ch'a peul dé 'n Re: la vita.
Në smïa 'd vëddlo, 'ncora adess, ch'a passa
setà 'nt ël sò landò: la testa drita
compagnà dal soris ëd Margherita.
(Nino Costa)
Pra verd
Bej camp ëd mè pais, ricòrde ancora
Quand chim godìa l gran pen-a tajà?
Pra verd ëd la campagna, dombre sgnora,
ricòrde ancora ij gieugh ëd mi, masnà?
(
..)
(Renzo Brero)
Simiteri campagnin
Pòch lontan, an mes al pra,
vzin le piante d na boschin-a,
quat muraje dëscrostà
guerno ij mòrt ëd la cassin-a.
(
.)
(Renzo Brero)
Turin
Turin a l'è parei 'd na bela sgnora
ch'a ten sò pòst e ch'a veul pà dé 'nt l'euj
A prima vista av lassa freid, ma peuj
conossendla dabin - un s'annamora.
L'è seria, drita, ciaira e senssa ambreuj,
tuta dëscuerta al sol ch'a l'ancolora,
fiera dla glòria d'jer, ch'a splend ancora,
ma viva e fòrta dël travaj d'ancheuj.
L'è na sità 'd bon gust: moderna e pratica,
senssa rabel: gentila e riservà,
ch'a sa goerné soa grassia aristocratica,
e, 'n mes a tanti batibeuj, tranquila
a goarda 'n facia 'l mond e a fa soa strà
senssa ciameje gnente a gnun -
da chila.
(Nino Costa)
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