Torino: storia, arte, cultura

 

Poesie

Non sono molti i poeti torinesi e piemontesi di nascita o di adozione che raggiunsero fama nazionale esprimendosi in italiano: Vittorio Alfieri da Asti, Guido Gozzano da Torino, Gianni Rodari da Omegna, Primo Levi da Torino, Lalla Romano da Demonte ... e pochi altri. Ovviamente non consideriamo i contemporanei, la cui fama e la cui maturità deve ancora rivelarsi e che per questo non citiamo. Molti furono nei secoli i poeti che scelsero di esprimersi in lingua locale, noti e meno noti, nessuno però riuscì a superare l'ambito regionale. Alcuni di essi, pochi per la verità, ad esempio Nino Costa, sono stati oggetto di studi e lusinghiere valutazioni critiche in ambito nazionale, ma proprio l'uso di una lingua [dialetto] tanto minoritaria, ha impedito la diffusione delle loro opere oltre l'ambito strettamente locale. Tuttavia non mancano voci di un certo spessore, d'autentica ispirazione letteraria, che si misurarono anche con la ricerca filologica e con risultati non irrilevanti. Fra questi meritano una particolare menzione Carlo Giambattista Tana, autore del 'L cont Piolet', primo ed unico lavoro in piemontese destinato ad essere parzialmente musicato, come avveniva all'epoca e siamo in pieno secolo XVII. Sempre nel '600 padre Ignazio Isler, parroco della Crocetta, poeta vigoroso e latinista valente, fra l'indifferenza generale tentò di razionalizzare la grammatica della lingua torinese-piemontese. Un'altra voce notevole fu quella di Angelo Brofferio, avvocato, patriota, deputato e poi senatore del regno d'Italia, oltrechè poeta e musicista. Con una poesia, mediocre per la verità, tentò di sfatare il mito dei 'bogianen', come erano definiti i torinesi:

I bogianen an dju, famosa novità.

Reputasion tan giosta,

s'al Po, s'al Var, s'al Ren.

A l'é 'na storia frusta

chi noi bogioma nen.

Lo san ca l'è nen vera

Palestro e San Quintin

Pastreng, Goito, Peschiera,

Guastala e San Martin,

lo san fina 'n Crimea

chi noi bogioma nen!

Nel novecento è stata notevole l'opera di Nino Costa, forse il più 'universale' fra i poeti della 'piccola patria' piemontese, che lavorò anche per rendere più vicino alla realtà ed alla quotidianità la lingua che conosceva così bene. Fra i contemporanei, purtroppo, è in atto una sorta di soffocante involuzione, caratterizzata soprattutto dall'uso di un linguaggio artificiale, che privilegia il recupero di vocaboli e locuzioni desuete trascurando i contenuti. La produzione artistica attuale offre quasi esclusivamente componimenti di maniera, senza alcun sforzo di ricerca né estetica né linguistica. Forse ciò è dovuto al fatto che, nonostante possa spiacere, il torinese-piemontese è una lingua sempre meno parlata e compresa, quindi viva, perciò incapace di interpretare la realtà, i sentimenti, le aspirazioni e i sogni dei torinesi-piemontesi contemporanei.

 

                Ël Pò

                    Gnanca na barca a va

                    sël fil ëd l’onda…

                    J’è pen-a ‘n buf ëd vent

                    ch’a fà bogé le feuje

                    dj’erbo dla sponda.

                    E j’onde a van…

                    Rifless d’argent,

                    lusent.

                    A van

                    così lontan…

                    Ma lor lo san?

                    E ‘nt l’aria seren-a dël tramont

                    ël Monvis a l’è là,

                    sfumà

                    a l’orisont.

                    E j’onde a passo sota tuti ij pont.

                                (Carlottina Rocco)

 

                                                                                                            Ave Maria

                                                                                                Ave Maria… da le ciaborne veje

                                                                                                ch’ a saro le Ca neire e ‘l Borgh d’ jë strass,

                                                                                                dai bei palass ch’ a guardo anvers le leje,

                                                                                                da ‘n Valdoch, dal Seralio e dai Molass;

                                                                                                dal Borgh ëd Po fin-a a le Basse ‘d Dòra,

                                                                                                da la Crosëtta al parch del Valentin,

                                                                                                j’è tut Turin ch’ at prega e ch’ at’ adòra

                                                                                                j’è tut Turin ch’ at conta ‘j sò sagrin…

                                                                                                O Protetris dla nòstra antica rassa

                                                                                                cudisme Ti, fin che la mòrt an pija:

                                                                                                come l’acqua d’un fium la vita a passa,

                                                                                                ma ti, Madonna, it reste… Ave Maria.

                                                                                                                    (Nino Costa)

 

 

    Le Golose

"Io sono innamorato di tutte le signore

che mangiano le paste nelle confetterie.

Signore e signorine -

le dita senza guanto -

scelgon la pasta. Quanto

ritornano bambine!

Perché nïun le veda,

volgon le spalle, in fretta,

sollevan la veletta,

divoran la preda.

C'è quella che s'informa

pensosa della scelta;

quella che toglie svelta,

né cura tinta o forma.

L'una, pur mentre inghiotte,

già pensa al dopo, al poi;

e domina i vassoi

con le pupille ghiotte.

Un'altra - il dolce crebbe -

muove le disperate

bianchissime al giulebbe

dita confetturate!

Un'altra, con bell'arte,

sugge la punta estrema:

invano! chè la crema

esce dall'altra parte!

L'una, senz'abbadare

a giovine che adocchi,

divora in pace. Gli occhi

altra solleva, e pare

sugga, in supremo annunzio,

non crema e cioccolatte,

ma superliquefatte

parole del D'Annunzio.

Fra quegli aromi acuti,

strani, commisti troppo

di cedro, di sciroppo,

di creme, di velluti

di essenze parigine,

di mammole, di chiome:

oh! le signore come

ritornano bambine!

Perché non m'è concesso -

o legge inopportuna! -

il farmivi da presso,

baciarvi ad una ad una,

o belle bocche intatte

di giovani signore,

baciarvi nel sapore

di crema e cioccolatte?

Io sono innamorato di tutte le signore

che mangiano le paste nelle confetterie".

            (Guido Gozzano)

 

Torino

Sotto i portici di Torino

        ho incontrato uno scolaretto.

         Garrone? Nobis? Il muratorino

         che della lepre rifà il musetto?

         Come le pagine vecchie e care

            del vecchio Cuore, sempre belle,

           le vecchie strade diritte e chiare

    si somigliano come sorelle.

                                                                             Torino, Torino

                                                                             il Po e il Valentino

                                                                             le colline incantate

                                                                             per farci le passeggiate

                                                                             di fine settimana,

                                                                             e la Mole Antonelliana

                                                                             in mezzo alle cartoline

                                                                             illustrate.

(G. Rodari)

 

      Via Cigna

In questa città non c’è via più frusta.

E’ nebbia e notte; le ombre sui marciapiedi

che il chiaro dei fanali attraversa

come se fossero intrise di nulla, grumi

di nulla, sono pure i nostri simili.

Forse non esiste più il sole.

Forse sarà buio sempre: eppure

in altre notti ridevano le Pleiadi.

Forse è questa l’eternità che ci attende:

non il grembo del Padre, ma frizione,

freno, frizione, ingranare la prima.

Forse l’eternità sono i semafori.

Forse era meglio spendere la vita

in una sola notte, come il fuco.

        (Primo Levi)

     

                                Torino

                                    I

Quante volte tra i fiori, in terre gaie,

sul mare, tra il cordame dei velieri,

sognavo le tue nevi, i tigli neri,

le dritte vie corrusche di rotaie,

l’arguta grazia delle tue crestaie,

o città favorevole ai piaceri!

E quante volte già, nelle mie notti

d’esilio, resupino a cielo aperto,

sognavo sere torinesi, certo

ambiente caro a me, certi salotti

beoti assai, pettegoli, bigotti

come ai tempi del buon Re Carlo Alberto….

 

"… se ‘l Cônt ai ciapa ai rangia për le rime…"

"Ch’a staga ciutô…" – "’L caso a l’è stupendô!…"

"E la Duse ci piace?" – "Oh! Mi m’antendô

pà mi a teatrô i vad për divertime…"

"Ch’a staga ciutô!… A jntra ‘l Reverendô!…"

S’avanza un Barnabita, lentamente…

stringe la mano alla Contessa amica

siede col gesto di chi benedica…

Ed il poeta, tacito ed assente,

si gode quell’accolita di gente

ch’a la tristezza d’una stampa antica…

Non soffre. Ama quel mondo senza raggio

di bellezza, ove cosa di trastullo

è l’arte. Ama quei modi e quel linguaggio

e quell’ambiente sconsolato e brullo.

Non soffre. Pensa Giacomo fanciullo

E la "siepe" e il "natìo borgo selvaggio".

                        II

Come una stampa antica bavarese

vedo al tramonto il cielo subalpino…

Da Palazzo Madama al Valentino

ardono l’Alpi fra le nubi accese…

E’ questa l’ora antica torinese,

è questa l’ora vera di Torino…

L’ora ch’io dissi del Risorgimento,

l’ora in cui penso a Massimo d’Azeglio

adolescente, a I miei ricordi, e sento

d’essere nato troppo tardi… Meglio

vivere al tempo sacro del risveglio,

che al tempo nostro mite e sonnolento!

                        III

Un po’ vecchiotta, provinciale, fresca

tuttavia d’un bel garbo parigino,

in te ritrovo me stesso bambino,

ritrovo la mia grazia fanciullesca

e mi sei cara come la fantesca

che m’ha veduto nascere, o Torino!

Tu m’hai veduto nascere, indulgesti

ai sogni del fanciullo trasognato:

tutto me stesso, tutto il mio passato,

i miei ricordi più teneri e mesti

dormono in te, sepolti come vesti

sepolte in un armadio canforato.

L’infanzia remotissima… la scuola…

la pubertà… la giovinezza accesa…

i pochi amori pallidi… l’attesa

delusa… il tedio che non ha parola…

la Morte e la mia Musa con sé sola,

sdegnosa, taciturna ed incompresa.

                        IV

Ch’io perseguendo mie chimere vane

pur t’abbandoni e cerchi altro soggiorno,

ch’io pellegrini verso il Mezzogiorno

a belle terre tepide lontane,

la metà di me stesso in te rimane

e mi ritrovo ad ogni mio ritorno.

A te ritorno quando mi rabbuia

Il cuor deluso da mondani fasti.

Tu mi consoli, tu che mi foggiasti

Quest’anima borghese e chiara e buia

dove ride e singhiozza il tuo Gianduia

che teme gli orizzonti troppo vasti…

 

Eviva i bôgianen…Sì, dici bene,

o mio savio Gianduia ridarello!

Buona è la vita senza foga, bello

goder di cose piccole e serene…

 

A l’è questiôn d’ nen piessla…Dici bene,

o mio savio Gianduia ridarello!…

                    (Guido Gozzano)

                                                                              

       A l’è ‘d ti che i parlo…. Sonoro

       A mia Fomna

       It ses për mi com la pasra ‘d muraja

       Che a la matin ven canté a la mia pòrta:

       drinta mè cheur soa gòi a më sparpaja,

       nunsiand che ‘l sol l’é pront a feme scòrta…

       (….)

                              (Camillo Brero)

 

A mè pais Sonoro

Quasi spërdù ‘nt ël mes ëd la campagna,

sota ël frèid ëd le stèile e l’òr dël sol,

a j’é mè cheur che an seugn a t’acompagna,

mè cheur ch’at serca, quand ch’as treuva sol.

(…..)

            (Renzo Brero)

Chimera

Là ‘ndova a ciancio al sol foà le siale

e ‘d sèira, as sento ij grij pì cantarin,

l’amor a l’ha slargà, për noi, soe ale

vers un pais lontan…. sensa confin!

(….)

    (Giovanna Giuglard Richetto)

                     

                                                    Ël Cotolengo

                                                                Quand che 'n maleur a l'è talment profond

                                                                ch'a fa quasi pì sgiai che compassion,

                                                                quand che 'l destin l'è senssa remission

                                                                e a j'è pì gnente da sperè 'nt ël mond,

                                                                quand che pi gnun an veul, pi gnun an goarda,

                                                                pi gnun an dà 'n fià d'acqua e 'n tòch ëd pan,

                                                                che tuti an paro via parei dij can

                                                                quasi i l'aveisso n'anima bastarda,

                                                                quand che n'òm l'è finì, frust ò ramengo

                                                                e a sa pì nen da chi ciamè pietà,

                                                                j'è sempre 'ncor për chiel na carità:

                                                                l'ultima carità dël Cotolengo.

                                                                Chila a cheuj tuti e tut; fin-a j’oror

                                                                ch’a l’han pì gnun-e facie e pì gnun nòm;

                                                                l’è pi duverta che ‘l porton dël Dòm,

                                                                l’è quasi granda come ‘l cheur d’Nossgnor,

                                                                e ‘ndoa che ‘l mal a rusia le radis

                                                                dël penssè, dla rason, dl’inteligenssa,

                                                                pròpe da lì ‘l Miracol a ‘ncomenssa

                                                                e da l’Infern jë sponta ‘l Paradis.

                                                                L’era un canònich, vnù a Turin da Bra,

                                                                n’òm come n’aotr, pà gnente ‘d fòravía:

                                                                forsse na frisa ‘d pì ‘d malinconìa…

                                                                quand che Nossgnor l’ha die: "Dësviite… va…

                                                                "Va, ch’a-i’è tanti dësgrassià da cheuje,

                                                                "tante creature mie da conssolè.

                                                                "Lòn che gnun d’aotri l’è stait bon a fè

                                                                "ti t’peule felo: basta ch’it lo veuje".

                                                                E chiel l’è ‘ndait, l’ha daje l’andi al cheur,

                                                                l’ha fait sonè a baodëtta le campan-e

                                                                e a l’ha crià: "Dëspersse anime uman-e,

                                                                "cantoma ‘l Glòria: i l’hai trovà ‘l boneur.

                                                                "L’hai conossù la strà dël mè destin,

                                                                "tut ël mè avnì ‘nt ël seugn d’una minuta:

                                                                "Giutè ‘l fratel quand che pì gnun lo giuta,

                                                                "quand che tut a-j veul mal, voreije bin".

                                                                L’ha prinssipià da chiel: sol e spërdù,

                                                                senssa apògg, senssa ajut, e senssa cà.

                                                                Tuti ij maleur ch’a l’ha trovà sla strà

                                                                l’ha daje man com’a fasìa Gesù.            

                                                                L’è stait dë dsà e dë dlà, l’ha fait ëd fam,

                                                                l’è piasse dl’impostor, e dl’ambrojon…

                                                                Pi gnun ch’a lo vorìa ‘nt ël sò canton,

                                                                maltratà dai malign, sbefià dai gram.

                                                                Ma chiel, pòr Cotolengo, a l’ha tnù dur:

                                                      - bon cheur da Sant, ma testa piemonteisa -.

                                                                L’avia mach pì la Cros për soa difeisa

                                                                e ij sò malavi da butè al sicur;

                                                                l’ha pregà, suplicà pòver e sgnor,

                                                                l’ha travondù sangiut e umiliassion,

                                                                l’è ‘ndait ananss a fòrssa dë strincon,

                                                                l’ha limosnà ij vanssroi da j’artajor,

                                                                fintant che a furia ‘d crussi e ‘d San Martin

                                                                l’è rivà ‘l dì ch’a l’ha fità ‘n ciabòt;

                                                                n’afè da gnente, un gram ospidalòt,

                                                                distant dal centro, sij confin ‘d Turin

                                                                e a l’è parei, dòp tanta penitenssa,

                                                                che ‘n mes ai prà ‘d Valdòch, sperssa e lontan-a,

                                                      - ultima sosta dla miseria uman-a -

                                                                l’è vnuje al mond la "Cà dla Providenssa".

                                                                San Pè dij Còi, con le toe strà deserte,

                                                                con le toe lòse fruste e ‘l tò canal,

                                                                con ël tò odor dë mnestra d’ospidal

                                                                e le toe fnestre quasi mai duverte,

                                                                bele ch’it l’abie gnente dë special,

                                                                ch’it sie sever e trist come ‘n convent,

                                                                të smie pì bel che tuti ij monument,

                                                                pì maestos dla granda Catedral.

                                                                Trames a tanta gent ch’as fa dël mal,

                                                                davanti a tanta gent ch’a perd la testa,

                                                                ti t’ses come na ciòca ‘nt la tempesta,

                                                                come na steila dsora a ‘n temporal;

                                                                e noi ch’i ‘ndoma për le strà dël mond,

                                                                possà da ‘n seugn, brusà da na passion,

                                                                ch’i s’ambrancoma a n’ultima ilusion

                                                                për nen robatè giù fin-a ‘nt ël fond,

                                                                quand che la fede e la speranssa an chita,

                                                                ch’i l’oma ël sangh arverss, e ‘l cheur sarà,

                                                                basta ch’i-j pensso a tanta carità

                                                                për torna chërde e benedì la vita.

                                                                    (Nino Costa)                                           

                                                                                                                

 

                                         Ël Pò e la Dòira

                 Ël Pò e la Dòira; opura: Adamo ed Eva.

                 Chiel patanù, ma chila dësvestìa.

                 Chiel a l'ha 'n pèss an man, la facia afrìa

                 e as ved che l'aria dla piassëtta a-j greva.

                 Chila, spetand quaidun ch'a la soleva,

                  jë 'n po gonfia 'nt un fianch për maladìa

                  e as coata mesa con na coerta greva.

                  Tuti doi mal piassà sle tombe 'd pera

                  son lì ch'a scoto con malinconia

                  l'acqua ch'a sboca drinta ij lavatòri

                  e a smia ch'a pensso, trist come 'd mortòri;

                  "Bele sì, j'è tut pront per la lessìa

                  e as ved gnanca rivé na lavandera!"

                                               (Nino Costa)

                                                                         

 

Ël Valentin

Totin-e svicie: rondole 'd Turin,

- modiste, camisòire e sartoirëtte -

ch'i veule sempre a fin dle canssonëtte

gionteje 'l ritornel dël Valentin,

l'è për vojaotre, per vòstr sangh ch'a beui,

për vòstra boca ch'a l'è 'n nì 'd basin,

ch'a dës-ciòdo le reuse an t'ij giardin.

Nòstr Valentin l'è fait për le morfele,

nòstr Valentin l'è fait per jë sfojor:

da sì l'eterna poesia dl'amor

a l'ha cantà le soe cansson pì bele.

J'è pà 'n canton spërdù, j'è pà 'n sentè

ch'a sapia nen lòn ch'a veul dì 'n cobiett:

Tute le bussonà, tuti ij boschett

e l'han sentù ij basin a s-ciopatè

e 'l Pò con j'onde soe mineuje e dosse,

che blamblinand tra le doe sponde a va,

s'a l'aveissa da dì tut lòn ch'a sa

quante gognin-e ch'a dovrìo vnì rosse.

Ma l'è për lòn che 'l Valentin l'è bel,

për col'aria balòssa e malissiosa

ch'an fa seugnè 'l gigett d'una morosa

sota le steile ch'a traponto 'l cel.

Postà sle rive dël nòstr fium real

- tra 'l borgh ëd San Salvari e la colin-a -

tuta quanta la rassa bicerin-a

lo sa che al mond a n'j'è pà n'aotr ugual.

Lè chiel ch'ai dà la grassia a la sità

ch'a la rinfrësca e ch'a la rend pì bela;

a l'è 'l ricòrd che mai a së scancela

dal cheur d'ij turineis lontan da cà

e pì tant as conòss, pì tant as treuva

che a cambia cera a tute le stagion,

fà pa dëbsògn ch'ai sia l'esposission

për vëddìe tuti ij dì na blëssa neuva.

D'invern ai ven jë sgnori a patinè

sla giassa dël laghett cuvert ëd brin-a,

d'istà, traverss al Pò ch'a l'ancamina,

së slanssa la cansson d'ij canotiè.

E vers ij Sant, quand che l'otonn a pòrta

le prime bise, la nëbiëtta fin-a

jë stend adòss un vel ëd mussolin-a

come 'n coefin su na facin-a smòrta.

……………………………………..

Ma certe neuit dla "prima" al ciair dla lun-a,

quand che le feuje a s'agito e a bësbìo,

mila figure magiche ass dësvìo,

tut un pòpol fantastich ass radun-a

e Madama Real - bela e superba -

a seurt, con la soa cort, dal vej Castel:

Ai luso 'n facia j'euj color dl'assel

E ij dentin ch'a mordìo 'ntla fruta serba.

D'antorn a chila, an t'un mossè leger,

sede, pisser e vlù, piume e bindei:

la richëssa sfacià 'd mila Castei,

l'amor d'ij prinssi e 'l seugn d'ij cavajer.

Prinssi Amedeo con tuta la soa gent

a vëddla comparì superba e bela,

për ël piasì ‘d goardela e ‘d compagnela

a cala giù ‘d cò chiel dal monument.

E la duchëssa e ‘l prinssi as dan la man

e a marcio ‘n testa ‘d cola gran parada:

d’apress a lor ai va la cavalcada:

cont e marcheis, abati e ciamberlan

fin che ‘l bel seugn dla veja capital

- anvertojà da në splendor d’argent –

a së sprofonda tut an t’un moment

sota j’ombre dël borgh mediòeval.

………………………………….

As vëdd pì gnente, ma da rama an rama

ai passa ‘ncora come ‘n longh frisson.

As sent për l’aria un tërmolè ‘d passion,

quaicòs ëd viv e ‘d caod parei ‘d na fiama.

Lagiù…. da una parte d' j'erbo… an col boschett

jë smijlo pà ch'ai sia quaidun ch'a crija?

Saralo un crij d'amor ò 'd gelosìa,

ò 'n crij… ch'a l'è surtì da 'n trabochett?

Ciuto… Sël Pò j'è un moviment ëd cun-a

- j'erbo 'n tra 'd lor sota 'l vent a bësbìo -

- dai camp, dai prà j'è i primi grij ch'a crìo -

e 'l Valentin a seugna al ciair dla lun-a…

………………………………………

                (Nino Costa)

 

                                                                         

                                      La Consolà

                                                    A randa d'ij rastei d'la Tor roman-a

                                          - ultim avanss d'un'epoca dëstissa -

                                                    con n'aria 'd serietà tuta nostran-a

                                                    la Conssolà l'è lì: bassa e massissa:

                                                    senssa spatuss: come na brava mare

                                                    ch'a l'ha 'd fastidi gròss për la famija

                                                    e a ten da cont le soe memòrie care,

                                                    ma veul nen esse 'd pì che lòn ch'a sia.

                                                    Davanti a chila j'è 'd masnà ch'a coro,

                                                    d'ovriere ch'a passo e 'd sartoirëtte;

                                                    pòver ch'a ciamo; preive ch'a dëscoro,

                                                    e le veje ch'a vendo le candlëtte.

                                                    So ciochè, lì davsin, - ombra severa

                                                    dle glòrie dle passion d'un'aotra età -

                                                    ch'a l'ha goernà la Cros e la bandiera,

                                                    fedel come n' tropiè d'ij temp passà,

                                                    adess ch'a l'è vnù vei, tut-un a manda

                                                    dsora dël mond ël son dle soe campan-e

                                                    come na vos ch'a prega e as racomanda

                                                    për tute quante le miserie uman-e,

                                                    e sla piassëtta, con so cit an brass,

                                                    la Madonin-a bianca s'la colòna,

                                                    goardand an giù la gent ch'a fa 'd fracass,

                                                    e l'ha 'n soris da mama e da Madòna.

                                                            (Nino Costa)

                                      

                                                               La cros

                                                                                                                            Quand

                                                                                                                            Nosgnor a l’é mòrt an cros

                                                                                                                            a smiava n’aragn

                                                                                                                            rampignà a soa tèila

                                                                                                                            con ij brass duvert

                                                                                                                            për ciapene

                                                                                                                            drinta la soa

                                                                                                                            aragnà d’amor.

                                                                                                        (Carlo Dardaniello)

 

La Gran Madre

…Son tornà con la Cros an sle bandiere

da tuti ij Camposanto dle frontiere:

dal Cadore, dal Carso, dal Trentin

ij fieuj mòrt për l'Italia: ij fieuj d' Turin.

Sarà 'nt ël cheur da l'ultima passion,

le mare a jë spetavo a la stassion.

L'avìo spetaje tante vòlte a ca

ij sò bei fieuj ch'a j'ero nen tornà…

Ògnidun-a, 'dsadess, ciuto, a spetava

ch'a-i riveissa, 'd sò fieul… lòn ch'a-i restava.

Òh! come tute, quand ch'a son rivà,

l'avrio portasse ij sò fieuj mòrt a ca:

l'avrio portassie drinta ij brass sarà

come ai bei temp ch'a j'ero 'ncor masnà,

e con che religion l'avrio goernaje,

ij cheur dle mame ch'a l'avio 'nlevaje.

Ma se la mòrt a l'ha vorssù gropeje

pì gnun al mond, pì gnun, peul separeje.

Tuti 'nssema, lassù, j'ero cascà,

dovio sté 'nssema për l'Eternità.

Le mare antlora, tute an ginojon,

a l'han bësbià, sot-vos, cost'orassion:

"Ò Gran Mare del Ciel, ò Cheur pietos,

ch'it l'has vëdù tò Fieul meuire sla Cros,

ch'it l'has sufert lòn ch'i sufroma noi,

quand ch'it l'has tnulo, mòrt, an sij ginoi,

ch'it l'has sentù, gelà, contra 'l tò sen

sò cheur doleuri ch'a batìa pì nen.

Òh! mach Ti sola ch'it l'has piorà

it savras a cudì nòstre masnà.

Òh! Ti sola, òh mach Ti, mare 'd Nossgnor,

it peule piè nòstr pòst dacant a lor.

Òh! deurbie Ti, për l'ultima difeisa,

la toa Cesa roman-a e turineisa.

Sota Superga e a randa 'l Valentin

Daje n'ultima sosta a sò destin

e për na grassia 'd carità e d'amor

faje n'aotar sota l'aotar magior.

Dëdnanss a Lor su col aotar ëd glòria

ch'as piego le bandiere dla vitòria,

e 'n tuti ij temp, tuta la nòstra gent

ch'a-j ciama testimoni ai giurament

e ch'a ven-a, 'nt le grande ore dla stòria,

a pié 'd corage da la Soa memòria,

Noi, le mare, col dì ch'i saro j'euj

con l'ultima vision dij nòstri fieuj

noi lo savroma ch'a saran mai soi

fin che 'nt el mond t'i-j goerne Ti, per noi".

……………………………………………………

E dòp d'anlora la Gran Madre eterna,

drinta 'l Sacrari dla Soa Cesa…. a-j goerna.

                        (Nino Costa)

 

                                La Mòle

                                                        Dròla, për lòn l'è dròla, anssi i dirïa

                                                        che, 'n fatto 'd monument e 'd costrussion,

                                                        gnanca 'nt la Cina, gnanca 'nt ël Giapon,

                                                        dròle parei… dificil ch'a-i na sìa.

                                                        S'i l'hai da dive la vrità, më smìa

                                                        n'elmo d'assel con sò bel ciò 'd loton

                                                        ch'a 'nfilssa con la ponta lë Steilon

                                                        për nen che 'l vent a-j lo rabasta vïa.

                                                        E pura quand ch'i rive da lontan

                                                        e i vëdde da la fnestra dël vagon

                                                        spontè la Mòle… - val a dì: Turin -

                                                        i sente 'n fond al cheur come 'n posson,

                                                        quaicòs ch'av fa chinè la front sla man

                                                        e i treuve, malgré tut, ch'i-j veule bin.

                                                        (Nino Costa)

 

                                                                L'acqua dël Pò

                                                                                                    Na vòlta n'ingegné - servel pontù -

                                                                                                    goardand l'acqua del Pò ch'andasia an giù,

                                                                                                    l'è tacaje 'l balin 'd fela andé an su.

                                                                                                    Sicome a l'era n'òm carià dë dné,

                                                                                                    bon a persoade e fòrt a comandé,

                                                                                                    l'ha radunà n'esercit d'ovrié.

                                                                                                    L'ha faje aossé 'd muraje e 'd murajon

                                                                                                    deurve dle ciuse, tiré sù 'd bastion,

                                                                                                    saré dë sponde, e tramudé 'd giairon.

                                                                                                    L'ha combinà 'n bordel d'armamentari,

                                                                                                    anventà d'ogni sòrt ëd machinari,

                                                                                                    tut për fé core l'acqua a l'incontrari.

                                                                                                    Ma col bonòm, però, l'ha nen penssà

                                                                                                    che, gnanca a fé da bòja e d'ampicà,

                                                                                                    la natura dël mond së sfòrssa pà,   

                                                                                                    e malgré tuti ij sò milion spendù,

                                                                                                    tut ël travaj e tut ël temp perdù

                                                                                                    l'acqua del Pò… l'ha continuà a 'ndé 'n giù.

                                                                                            (Nino Costa 

L'Angelica

Sì, grassie al cel, j'è tuta na famija

ch'as gòd ël fresch, vestìa come 'n piscin-a;

j'è 'l pare e 'l fieul, la mama e la totin-a;

tuti 'd rassa sostnüa e dëgordïa.

La tòta a goarda (e a smìa che 'l cheur a-j rìa)

le meravìe dël nì d'na rondolin-a,

la mama a pronta për marenda ò sin-a

l'uva nostran-a frësca e polidija.

Ël pare e 'l fieul, robust come 'd brindor,

setà 'n sij ròch, da 'nt j'ojro a la paisan-a

versso giù l'acqua për bagnè le fior.

 

Angelica! a la ciamo sta fontan-a!…

Ma se j'Angei son fait tuti parìa,

an Paradis j'è nen la carestia.

            (Nino Costa)

 

Mirafior

Ale 'd farchett e d'aquile nostran-e

costumà contra ij vent e le tormente

ch'i ponte 'l vòl - superbe e resistente -

da 'n sle ròche pì fòrte e pì lontan-e,

ale franche 'd Piemont, ale 'd bataja,

padron-e dl'aria aota e dl'aria bassa,

dësteise për l'amor e për la cassa

d'sora dla tera libera e servaja,

saluteme le bianche ale sorele

ch'a s'aosso a storm dai camp ëd Mirafior:

l'anima dl'òm e l'andi d'ij motor

jë slansso 'nvers al cel lusente e bele,

e 'ndoa che prima j'erbo a s'andurmìo

quasi cunà da la cansson dle ssiale,

j'è 'ncheui na granda primavera d'ale;

d'ale uman-e ch'as pronto e ch'as dësvìo.

Ale d'aquile bianche sla pianura,

ale 'd farchett da corse ò da bataje,

se tante vòlte 'l sangh l'ha batesaje

chi ch'ai resta al timon l'ha nen paura.

Adess, lassù 'nt'ël sol, candie e legere

viste parej - l'han n'aria da dësmora;

doman - chissà - quand ch'ai soneissa l'ora

saran le prime a meuire sle frontiere.

Ò gioventù d'Italia, ala duverta

e cheur temprà sla mòrt për la conquista,

nojaotri, gent d'un'epoca pì trista

ch'i soma sempre stait brasa cuverta,

quand ch'i s-ciairoma sot la vòlta bleuva

passè lontan la bianca compania

con na ponta 'd rëgrett - quasi a në smia

ch'i sìe padron d'una richëssa neuva,

e quand ch'i torne e i pòrte 'ndrinta a j'euj

come 'n rifless dël cel ch'a v'annamora,

forsse le mame a së spavento 'ncora,

ma noi - papà - soma gelos dij fieui.

            (Nino Costa)

Le margarite Sonoro

        Ël pra l’é na dëstèisa ‘d margarite

        ti, masnà, ‘t lo guarde a euj slargà.

        Tante le fior che l’erba a n’é argentà

        e tute candie, dësbandìe, drite.

        (…..)

                    (Giovanni Bono)

 

    Na chitara e mi Sonoro

        (….)

        Veuj sonela për folìa,

        për amor e për dolor;

        për dé a j’àutri la gòj mia,

        për dé a j’àutri dcò ij mè pior.

        (….)

                   (Silvio Einaudi)

 

Stupinis

Sota j'arbre d'una leja

dël Castel dë Stupinis

l'hai sugnà na stòria veja

faita 'd lagrime e 'd soris:

Marchesin-a soridenta

tërsse bionde e grains d'amour -

con la facia impertinenta

e 'l fissù a la Pompadour,

lo spetava a na cert'ora,

pen-a fòra dël Castel,

quand che l'aria a së scolora,

quand che j'ombre a coato 'l cel.

Maraman ch'a s'ancontravo

tra le cioende d'ij giussmin,

con che deuit as salutavo:

"Marchesin-a…" "Marchesin…".

"Bon-e neuve dla soa cassa?"

"Lì parej… nè mal, nè bin;

s'ij tirava a la becassa

më scapava 'l becassin".

Ma pì tard, quand che le feuje

Tërmolavo sota 'l vent,

quante gnògne, quante veuje,

che delissia e che torment!…

…Së storsïa come na bissa:

"Giòja mia, fa nen parej…

Të më s-cianche la batissa,

të scarpente i mè cavej…".

J'arssigneui ch'a jë scotavo

da le cioende d'ij giussmin,

ciusionand a compagnavo

cola musica 'd basin.

………………………….

Marchesin-a, a l'erta, a l'erta!

Pieve goarda, Marchesin!…

Se quaidun av dëscuverta,

marca sangh ël vòstr destin.

Dai përtus d'na gelosia,

quand ch'i seurte a fè l'amor,

j'è doi euj ch'a fan la spia,

j'è 'l sospett d'un traditor.

Sor Marcheis l'è testa fin-a,

ma sa ten-e ij nerv an fren;

gnun a sa còsa a combin-a

lòn ch'a penssa a lo dis nen.

Ij salon parà da festa

dël Castel dë Stupinis

l'han coatà pì 'd na tempesta

con na maschera 'd soris.

"Sor Marcheis, che confidenssa!

cola cobia 'd balarin…"

"Maestà, con soa licenssa,

l'è mia Sgnora e sò cusin".

L'indoman për la batüa

j'è la Cort an gran rumor:

sla campagna patanüa

së spataro ij cassador.

Al segnal d'ij còrn da cassa

sor Marcheis mira nen bin:

l'ha tiraje a la becassa,

l'è cascaje 'l Marchesin.

Marchesin-a impassijenta

lo spetava dal rondò

con na facia soridenta

e 'l fissù a la rococò.

S'era fasse tuta bela:

boca rossa e cavei biond…-

…L'han portailo sna barela,

l'han renduilo… moribond.

………………………..

La Marchesa vnuva veja

facia spalia e cavei gris -

a spasëggia sot na leja

dël Castel dë Stupinis.

Son pasiasse le bataje,

dëstisasse le passion!…

Oh!… che d'acqua a l'è passaje

tra le sponde dël Sangon…

Ma quaich vòlta a seurt ancora

e a s'na va 'nvers al Castel;

quand che l'aria a së scolora,

quand che j'ombre a coato 'l cel.

Va stermè le soe tristësse

tra le cioende d'ij giussmin,

e as ricorda dle carësse

e a sospira ij sò basin.

        (Nino Costa)

 

Pòrta Neuva

Sola, 'n mes ai giardin ëd Pòrta Neuva,

l'acqua a va sù 'nt në spricc: drita, aota, franca,

e peui a casca 'nt una s-ciuma bianca

che 'n buff d'aria a smasiss parej 'd na pieuva.

Sota, la vasca, adess che 'l sol a-i manca,

së scuriss man a man d'na tinta bleuva;

j'anie pasie e domestie a fan la preuva

dë sbaciassé 'nt coi onde aote na branca.

Ma tut antorn le fior dij bei giardin

e j'erbo e ij monument son lì sospeis

për col gieugh d'acque fresch come 'n basin…

Fontan-a pien-a 'd grassia e senssa peis:

libera come l'anima 'd Turin,

drita come 'l carater piemonteis.

                (Nino Costa)                

                                                    Superga                     

Mentre la nebia spëssa a cheurv ancora

fra Dòira e Pò - la gran sità 'ndurmìa

e dal Lingòt vers la matin bonora

la prima vos d'una siren-a a crìa,

lassù, lassù sla ponta dla colin-a,

bela parei d'una memòria cara,

a seurt, polida, da 'nt la nebia fin-a

la basilica bianca dël Juvara.

Superga, sota 'l sol, aota e severa,

nòstr amor, nòstra fede e nòstra glòria,

ch'it l'has fërmà drinta ij tò blòch ëd pera

l'ala d'un seugn e na giornà 'd vitòria,

tut òm dij nòstri ch'a l'ha 'l cheur ardì,

ch'a tráfiga, ch'a studia e ch'a travaja,

se 'nt j'ore neire a drissa j'euj vers tì

l'ha pì 'd corage për la soa bataja.

E ij Turineis lontan da la sità

quand che 'l rigret dël sò pais a-j pija

at seugno ti, mentre ch'a pensso a cà,

të sciairo ti, seugnand la soa famija.

L'è staie un temp, n'epoca trista e dura,

che nòstr'Italia a tòch dòp la tempesta

tra lë sbeuj, la miseria e la paura

s'ancalava pì nen d'aossè la testa.

Carlo Alberto esilià, rota l'armada,

l'Euròpa 'ntegra ch'an mostrava ij dent;

lòn ch'a-i restava 'd cola gran fiamada?

Na pugnà 'd sënner spatarà dal vent.

J'era mach pì 'n cit fil ch'a feissa teila,

j'era mach pì 'n ciairin ch'a tneissa bon;

ma 'l ciairin a lusìa parei 'd na steila

ultima steila 'n mes ai nivolon -.

L'era la cita e timida fiamela

con la soa luce antica e tërmolanta

che sle tombe reai dla gran capela

a vijava ij tò mòrt - Superga santa.

D'antorn al reu 'd cola fiamela spalia

ch'a goernava 'l calor për l'indoman,

a pòch a pòch, dai quatr canton d'Italia,

ij nòstri vei son torna dasse man

e ti, Superga, istess parei 'd na mama,

tl'has tnuje tuti sota 'l tò ripar.

L'antich ciairin l'è diventà na fiama

ch'a l'ha piait feu da le montagne al mar.

Ij nòstri mòrt, quand che 'l ciochè dël Dòm

l'ha sonà l'ora, son drissasse 'n pè:

Amedeo l'è dventà 'l Re Galantòm

e Pietro Micca 'l prim dij bërssagliè.

Lòn che l'ombra dla neuit, ciuto, a prepara

mach as peul vëdde al luse dla matin:

L'Angel d'Italia robatà a Novara

Tornava a slarghè j'ale a San Martin.

*****

"Prinssi 'd Piemont ch'it torne al vei Turin

con la toa bela gioventù fiorija,

e it sente tute j'aquile 'd famija

prontesse ij vòli 'ntorn al tò destin;

ti ch'it comensse adess toa vera vita

e it l'has an ti, parei d'un pòrt-boneur,

santificà dal sangh e dal maleur,

j'euj d'Umberto e 'l soris ëd Margherita,

penssa che la toa gent, rassa teston-a,

calà 'n s'ël pina dai brich ëd Chambery,

vorei o nò - l'ha comenssà da sì

a forgesse 'l metal dla soa coron-a;

e quand che 'l Prinssi ò 'l Duca a comandava

për ël bsògn, për l'onor o për la glòria,

d'apress a Chiel, për le contrà dla Stòria,

l'è sempre stait nòstr pòpol ch'a marciava.

L'antich Piemont l'ha nen cambià natura,

l'è sempre Chiel: rogneur, fier, e fedel;

l'ha gnun-e tëmme 'd risighé la pel

ma gnanca a piega nen soa testa dura.

Tant anlora che adess Piemont e Re

l'han sempre vorssù dì n'anima sola.

Sì j'è gnun ch'a tradissa ò ch'a trantola,

gnun ch'a daga 'ndarè: Piemont e Re.

Ma goai se an sofio 'n pò sota ij barbis!

Ël Tòr l'ha ij rognon dur e ij còrn pontù.

S'i veule nen ch'e l'erbo a daga giù

bsògna ten-e da cont le soe radis.

Prinssi Umberto 'd Piemont, ricòrdte ben.

Fa pà dë bsògn ch'an mostro tante plancie.

Noi soma 'd gent ch'i foma pòche ciancie

ma i soma 'd gent ch'i dësmentioma nen".

(Nino Costa)

 

                         Neuit sitadin-a Sonoro

                                      Neuit. Ël silensi a crasa la sità:

                                      smija la calma dël mar dòp l’orissi.

                                      Ij lampion anlùmino stra deserte.

                                      (….)

                                                   (Ezio Marinoni)

 

        Vicol Santa Maria

L'è stòrt e curt e streit come 'n buel,

l'ha n'aria trista, solitaria e dura;

s'it goarde 'n su, të s-ciaire un pòch ëd cel…

l'istess come travers a na filura.

Da 'n tòch ëd cort, darè d'un cit rastel,

da la cesiòta freida, umida, scura,

da tute cole cà mese a rabel

a-i seurt n'odor d'arciuff e 'd ramassura.

Ël sol d'mesdì, s'a paira a dé n'ociada,

pen-a rivà sij cornison, a sghija,

e a l'ha mai tas ëd torna 'ndessne vïa.

Ma 'l vicol l'ha dcò chiel sò moment bon:

quand che, la seira, dòp benedission,

le gòrbe dël canton fan la balada.

            (Nino Costa)

 

Umberto

Sij barbis gris e sla caviera bianca,

tajà "a l'Umberta", e sla gran facia fiera

së specia 'l cheur dël Prinssi 'd Vilafranca,

ël Re pietos ch'a l'ha sfidà 'l colera.

Tra ij crij dla piassa e le maneuvre 'd banca,

d'antorn a Chiel n'Italia matinera

ch'as forma 'nt ij maleur e ch'as rinfranca…

Na macia neira 'd sangh an sla bandiera.

E Chiel, da sol, an sla gineuria bassa,

për sò pais e për l'onor dla rassa

l'ha dait tut lòn ch'a peul dé 'n Re: la vita.

Në smïa 'd vëddlo, 'ncora adess, ch'a passa

setà 'nt ël sò landò: la testa drita…

compagnà dal soris ëd Margherita.

                (Nino Costa)

                               

Pra verd… Sonoro

Bej camp ëd mè pais, ricòrde ancora

Quand ch’im godìa ‘l gran pen-a tajà?

Pra verd ëd la campagna, d’ombre sgnora,

ricòrde ancora ij gieugh ëd mi, masnà?

(…..)

                (Renzo Brero)

 

                                   Simiteri campagnin

                                                                Pòch lontan, an mes al pra,

                                                                vzin le piante ‘d na boschin-a,

                                                                quat muraje dëscrostà

                                                                guerno ij mòrt ëd la cassin-a.

                                                                (….)

                                                            (Renzo Brero)

 

Turin

Turin a l'è parei 'd na bela sgnora

ch'a ten sò pòst e ch'a veul pà dé 'nt l'euj…

A prima vista av lassa freid, ma peuj

conossendla dabin - un s'annamora.

L'è seria, drita, ciaira e senssa ambreuj,

tuta dëscuerta al sol ch'a l'ancolora,

fiera dla glòria d'jer, ch'a splend ancora,

ma viva e fòrta dël travaj d'ancheuj.

L'è na sità 'd bon gust: moderna e pratica,

senssa rabel: gentila e riservà,

ch'a sa goerné soa grassia aristocratica,

e, 'n mes a tanti batibeuj, tranquila

a goarda 'n facia 'l mond e a fa soa strà

senssa ciameje gnente a gnun - … da chila.

(Nino Costa)