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Controcorrente

Gioia del Colle

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Impianto di compostaggio a Gioia: qualche chiarimento

 02/12/2008

Un po’ per il solito timore che nasce al solo udire la parola impianto, un po’ il costante ripetersi della famosa sindrome NIMBY (Not In My Back Yard), non nel mio giardino, e la localizzazione sul territorio gioiese del centro per il recupero del compost ha sollevato critiche, fomentato ingiustificate paure, scosso i pensieri di molti gioiesi.

Secondo quanto previsto dal nuovo Piano provinciale per la gestione dei rifiuti, presentato a Conversano nella sede dell’ATO (Autorità Territoriale Organizzata) BA/5, il consesso dei Sindaci dei Comuni di bacino che prende decisioni uniche sulla gestione dei rifiuti nel proprio ambito territoriale, l’impianto per il trattamento della frazione umida derivante dalla raccolta differenziata, dovrebbe sorgere a Gioia del Colle.

Finalmente si inizia a parlare di compostaggio e, nonostante le numerose pecche del piano (soglie ed obiettivi poco ambiziosi, sistema di raccolta non specificato, etc.), questo rappresenta una novità nei piani di raccolta dei rifiuti solidi urbani nel sud barese. Sino ad oggi esperienza nefasta era stata realizzata a Molfetta, con lo scandalo dell’impianto privato Tersan, dal quale tutto fuoriusciva tranne che composto organico. Ma, quello fu un caso di cattiva gestione dell’impianto da parte di un privato il cui solo interesse era quello del lucro. Gestire pubblicamente, invece, un tale processo genera solo vantaggi. Il compost è il risultato della raccolta di tutti gli scarti alimentari (cibo, gusci d’uovo, fondi di caffè, etc.) e dei rifiuti biodegradabili (fazzolettini, lettiere, escrementi di animali domestici, etc.) che, raccolti separatamente dai vari Comuni, vengono indirizzati verso il sito di stoccaggio e trattamento, che è l’impianto di compostaggio. Qui gli scarti subiscono un processo di decomposizione batterica aerobica (in cui si utilizza ossigeno), che li trasforma dopo qualche settimana in terriccio ricco di sostanze minerali, utilizzabile come ammendante (concime capace di riportare al terreno sostanze presenti in minime quantità) in agricoltura. Considerando che la frazione umida dei rifiuti domestici è circa il 70-80% del totale degli RSU (Rifiuti Solidi Urbani) e che il compostaggio rappresenta il miglior modo per riciclarli e renderli disponibili per altri usi, ne deriva un grande vantaggio in termini economici ed ambientali.

I rifiuti organici che, altrimenti, finirebbero (come attualmente accade a Gioia, per chi non pratica il compostaggio domestico) in discarica, generano molteplici inconvenienti. Primo tra tutti la necessità di smaltimento oneroso ed infruttuoso; secondo, la produzione durante la decomposizione (che in discarica avviene in maniera anaerobica, cioè senza ossigeno) di metano, un potente gas serra che aumenta il Global Warming; terzo, materia riciclabile prodotta con notevole dispendio energetico finisce inutilizzata e conclude così il suo ciclo di vita; quarto, dato il notevole volume di questa tipologia di rifiuto, l’ingombro nei cassonetti è notevole ed anche le conseguenti modalità di smaltimento comportano costi aggiuntivi.

Un impianto di compostaggio, invece, non produce emissioni gassose di alcun tipo, non emette diossina, come qualche cittadino preoccupato ha affermato, e produce una minima quantità di scarti non organici, dovuti all’inevitabile presenza nel rifiuto domestico di frammenti di plastica ed altri materiali, che viene raccolta separatamente e smaltita adeguatamente. Non vi sono pericoli di inquinamento dei bacini acquiferi, tanto meno problemi di inquinamento acustico. Se la gestione è pubblica e l’impianto funziona bene, non vi è alcun pericolo di inquinamento del suolo ed il compost prodotto è di ottima qualità. Da rifiuti, quindi, si genera un’inestimabile risorsa per l’agricoltura.

Nessun timore dunque, dovrebbe sorgere, in merito al funzionamento dell’impianto. Semmai, qualche riserva dovrebbe esser posta, come recentemente sollevato dal signor Vito Falcone del PDL, riguardo la localizzazione dello stesso, poiché trattandosi di un capannone industriale il suo posizionamento non deve essere d’impatto sul territorio.

Inizialmente il Piano provinciale, prevedeva di costruirlo in località Murgia S. Francesco, zona Montursi, ed effettivamente tale sistemazione appariva, vista la bellezza di quelle zone e la presenza di dolmen ed ambienti naturali tipici, del tutto inappropriata. Successivamente, si paventò l’ipotesi di localizzare l’impianto nei pressi del centro Ansaldo Termosud ma, anche allora, sorsero problemi di destinazione d’uso dei suoli, e qualcuno sollevò il dilemma se quelle aree fossero o meno destinate ad accogliere impianti industriali. C’è da evidenziare, allo stesso tempo, che data la presenza dell’Ansaldo e la sperimentazione addirittura di un dissociatore molecolare di rifiuti al suo interno, la localizzazione in quell’area di una struttura per il compostaggio sarebbe il minore tra i problemi. In ogni caso, a fare chiarezza sul possibile sito di costruzione dell’impianto è Giacomo Colapinto, Direttore Generale dell’ATO BA/5, che interpellato sulla questione dice: “Il sito individuato per l’impianto è sulla Gioia-Sammichele, verso Turi, vicino ai campi di spandimento. Ma non è ancora definitivo perché il sindaco di Gioia non si è ancora espresso ufficialmente”. In un area, quindi, già vocata alla realizzazione di impianti per il trattamento delle acque reflue. Sarebbe da constatare su quale particella effettivamente ricadrà l’impianto ma, non sarà possibile sapere di più prima del parere dell’amministrazione gioiese. Di certo, il pericolo per l’area di Murgia S. Francesco è scongiurato. Inoltre, il nuovo probabile sito è facilmente raggiungibile dai mezzi che trasporteranno il rifiuto organico dai 21 comuni dell’ATO, mediante la Statale 100 e l’accesso prima dell’ingresso nel paese.

Poche riserve, quindi, per un impianto che ora come non mai necessita di tutta l’accoglienza possibile e la fiducia della gente, poiché una volta tanto si tratta di uno strumento industriale pubblico, per il beneficio di tutti. Ovviamente, sarà necessario vigilare sulla corretta localizzazione e sui processi di produzione del compost ma, poi, sarà solo merito o colpa dei cittadini se frutta e verdura saranno concimati con ottimo fertilizzante derivante da un’attenta raccolta differenziata o con scarti inquinanti frutto dell’indifferenza rispetto ad un problema che se non affrontato adeguatamente travolge tutti…di rifiuti.

 

Roberto Cazzolla

da Gioia News


Emergenza idrica, scarichi abusivi e depuratori in tilt

Il problema acqua è un emergenza planetaria che parte dalla gestione locale

03/11/2008

I promotori del Contratto Mondiale per l’Acqua ritengono la carenza idrica globale la prima causa di morte infantile, il primo fattore di inefficienza igienico-sanitaria e la prima motivazione delle future guerre.

In Darfur a scatenare le rivolte civili e le migrazioni di massa c’è prima di tutto l’emergenza idrica. L’Italia è il secondo, dopo il Messico, consumatore di acqua in bottiglia al mondo. Più degli Stati Uniti e della Cina. E’ partita da qualche anno la moda della bottiglietta che porti con te. Altissima, purissima, con la particella di sodio, quella che fa fare “plim-plim” ed il lavaggio del cervello pubblicitario ha completato l’opera. Ogni dieci persone per strada almeno cinque hanno con se una bottiglietta d’acqua. Non c’è distributore automatico che non ne annoveri almeno tre differenti marche. “Qualcuno vuol darcela a bere”, il libro di Giuseppe Altamore, che dà un quadro completo della situazione dell’acqua in bottiglia in Italia, ci spiega che per ogni mezzo litro acquistato si sprecano altri dieci litri nella produzione della plastica della bottiglia, nel trasporto e nella consegna. Per non parlare poi dell’inquinamento delle migliaia di bottigliette, del consumo di petrolio per produrne la plastica, dello spreco di energie per far viaggiare l’acqua da una parte all’altra dell’Italia e dei disastri ambientali per deviare il corso dei fiumi da imbottigliare.

Il teso evidenzia con dati microbiologici quanto, in realtà, l’acqua del rubinetto sia più controllata e sicura di quella in bottiglia. E quanto ci faccia risparmiare.

Eppure, anche a Gioia il consumo di acqua in bottiglia è elevato. In questi giorni sono comparsi per le strade manifesti che comunicano che dal 27 ottobre saranno possibili riduzioni del flusso d’acqua a causa del deficit dei bacini e della siccità di quest’anno.

Il dott. Palmisano, responsabile dell’Area di gestione dell’AQP, conferma che: “l’emergenza è già scattata da due settimane e non si vede un miglioramento, anzi c’è un netto peggioramento. Il problema è che non piove”.

Quando, però, cercando un attimo di ragionare sull’intero ciclo dell’acqua dal consumo allo smaltimento, chiediamo al responsabile AQP, se è al corrente del fatto che le acque piovane di lavaggio stradale finiscano nel Comune di Gioia abusivamente nella falda (vedi pozzetti realizzati nei pressi dell’orto vicino alla ex statale 100 ed al Palestrone Comunale), contaminando quella che è, per il nostro territorio, una delle maggiori fonti di approvvigionamento idrico, ci risponde dicendo che la competenza sulle acque bianche è del Comune e non dell’Acquedotto. Eppure dopo segnalazioni alla Guardia di Finanza ed alla Procura, i pozzetti con perforazione di oltre 40 metri nel suolo, che convogliano acqua contaminata da metalli pesanti, scarichi di auto e rifiuti stradali direttamente nella falda acquifera dalla quale molti gioiesi attingono acqua potabile o per irrigazione, ancora sono in funzione. Ed all’Ufficio Tecnico ne sono ben consapevoli. Qualche mese fa, infatti, chiedemmo loro di chiarirci il perché il Comune contravvenisse alla legge (n°152/99) in maniera così palese e la risposta fu che “tale misura è necessaria visto che Gioia si trova in posizione più bassa rispetto agli altri comuni limitrofi e tende, quindi ad allagarsi ogni volta che piove”. Vero, il problema c’è. Però, non si può contaminare acqua potabile per risolverlo. Le strade si allagano, ma c’è da chiedersi come mai lungo i bordi stradali non vi sono le griglie che permettono il deflusso nelle tubazioni fognarie! Forse sarebbe una soluzione migliore rispetto a quella di buttare tutto in falda e mettere a rischio la salute della gente. Forse è quella più esosa. Ma l’emergenza idrica c’è anche perché spesso, come in questo caso, si fa un cattivo uso dell’acqua. Se poi si evitasse di cementificare tutto, di tagliare boschi e di costruire nuove strade completamente prive di alberi, forse Gioia si allagherebbe di meno ed avrebbe più acqua potabile.

Se poi tutti noi chiudessimo il rubinetto mentre ci laviamo i denti, consumassimo cibi di stagione preferendo frutta e verdura alla carne, bevessimo acqua dal rubinetto e facessimo docce brevi invece che lunghi bagni in vasca, le nostre riserve idriche non sarebbero così al collasso.

C’è da dire che il maggior spreco avviene in agricoltura a causa di sistemi d’irrigazione poco efficienti. Inoltre, dopo il recente scandalo dello smaltimento illegale del siero caseario, ci sarebbe un po’ da domandarsi quale sia la reale efficienza del depuratore presente sulla provinciale per Turi.

Per ora, un passo alla volta. Iniziamo, ad esempio, chiedendo in pizzeria o al ristorante dell’acqua in brocca riempita dal rubinetto invece della bottiglietta tanto inquinante. Con un pensiero al Darfur ed al resto del mondo, perché i problemi umanitari passano sempre per quelli ambientali.

Perché i problemi globali passano sempre per quelli locali.

 


Piano randagismo: un lavoro da cani

Appalti poco trasparenti, cani infettati dopo le sterilizzazioni e canile senza cibo

03/11/2008 

Va su tutte le furie il dott. Paradiso quando gli vien chiesto da alcuni volontari, che durante la presentazione del Piano comunale per la prevenzione del randagismo avevano dato la loro disponibilità ad affiancarsi nelle operazioni di trasporto dei cani, come mai non fossero stati avvisati della contemporanea presenza dell’accalappiacani, ditta Giotta di Putignano, sul territorio.

Raffredda i bollori quando, invece, gli vien ricordato che, visto l’appalto da 10000 euro per le sterilizzazioni affidato in maniera ancora poco chiara ad uno studio veterinario nel quale casualmente lavora la sua compagna, non è il caso di agitarsi molto, considerato che in questa situazione chi potrebbe avere qualche “problemino” è proprio lui.

Intanto, però, i problemi ad averceli sono i destinatari di questo piano per la “prevenzione del randagismo”. Delle quattro o cinque sterilizzazioni già effettuate, almeno tre non sono andate alla grande visto che le cagne, immesse sul territorio meno di 24 ore dopo l’intervento, hanno già le ferite riaperte, i punti saltati ed alcune infezioni in corso. E’ il caso, ad esempio, delle cagne del depuratore sterilizzate ed infettate dopo qualche ora, tanto da richiedere un nuovo accalappiamento per ricucire i punti. E’ il caso del maschio grosso e ciondolone che scorrazza dalle parti di P.zza Plebiscito crudelmente castrato, invece di effettuare una più rispettosa vasectomia che non influisce sulla psiche dell’animale eliminando comunque la fertilità, e rilasciato dopo qualche ora, che per una decina di giorni barcollava e si trascinava mezzo morto.

Un lavoro più che per cani, da cani si direbbe. “Certo, – affermano alcuni veterinari gioiesi che per esigenze d’Ordine han preferito restare anonimi - se non si tiene sotto osservazione l’animale e lo si rispedisce per strada è ovvio che questo accada. Evidentemente tutto viene fatto col massimo risparmio di materiale e di tempo”. Alcuni di loro si dicono certi del fatto che “la terapia analgesica non venga fatta. Altrimenti non si spiegherebbero così prolungate sofferenze per gli animali operati”.

“C’è da dire – prosegue una giovane veterinaria gioiese – che il tutto è partito in maniera molto strana. La gara d’appalto per l’affidamento del lavoro ad una clinica doveva innanzitutto essere comunicata all’Ordine dei Veterinari, e ciò non è avvenuto. Il bando, poi non è stato esposto secondo i termini di legge e molti di noi non ne erano a conoscenza. E poi come si può lanciare una gara a ferragosto?”.

Eppure durante un incontro tenutosi al Municipio per presentare le strategie d’azione della nuova amministrazione, nonostante qualche perplessità, in molti erano speranzosi che finalmente si stesse cercando di risolvere il problema.

Visti, però, i risultati le speranze hanno subito lasciato il passo allo sconforto. Si vocifera che più che risolvere il problema, in qualche modo si sia avviata una campagna di sterminio dei cani e che proprio qualcuno tra quelli che dovrebbero gestire il progetto, consiglino ai tutori di qualche randagio le migliori forme per l’eliminazione dei futuri nati. C’è chi dice, senza molti dubbi, che qualche cane sia già sparito dopo essere stato avvelenato.

“Inoltre - continuano i veterinari – durante la riunione si era detto che il cane sarebbe stato sotto osservazione per due giorni prima di essere liberato”. Ciò però, sino ad ora non è avvenuto. “Carenza di spazio”, si giustifica il titolare della clinica. “Questo, però, è un problema suo”, ribattono i volontari infuriati dopo aver soccorso l’ennesimo cane con la sutura aperta e piena di pus. Volano parole poco carine nei confronti dei volontari rei soltanto di aver chiesto trasparenza e correttezza, da parte del dott. Vito Paradiso, che per conto del Comune o forse della ASL, dovrebbe coordinare il tutto.

Ma i dubbi sono tanti. “Sterilizzare i maschi – proseguono stupefatti i veterinari – che senso ha? Si sprecano soldi e non si risolve nulla. Vanno sterilizzate le femmine e coi massimi accorgimenti sanitari”.

Intanto al canile sono rimasti senza croccantini. Il fornitore ha sospeso le consegne dopo gli ingenti debiti accumulati nel pagamento. Debiti che il Commissario Palomba, dopo aver assegnato i 200000 euro per il risanamento del canile sanitario (risanamento che ancora non parte), aveva cercato di estinguere aumentando di mille euro (da 5200 a 6200 euro circa) il finanziamento mensile ai gestori del canile. Aumento sospeso dalla nuova amministrazione, sentite un po’, per 10 mesi. In pratica mille euro in meno per dieci mesi. Che fanno? Questa cifra non ricorda una somma citata poco fa? Sarà!?! C’è chi sottovoce dice che il cerchio si chiude se si considerano i nuovi interessi nel commercio di mangimi da parte di qualcuno dei grandi burattinai del progetto. Sarà… anche stavolta.

Comunque, qui chi sembra rimetterci sono sempre loro. I migliori amici dell’uomo.

C’è da chiedersi se, però, l’uomo è in grado davvero di ricambiare quest’amicizia.

Visti i risultati è proprio il caso di dire…che vita da cani.

 

Roberto Cazzolla

da Gioia News


Masseria del Porto: distruzioni per l’uso

Ambiente, storia e paesaggio distrutti nel silenzio generale

03/11/2008 

Siamo a pochi chilometri dal confine tra Gioia e Castellaneta. Scendendo lungo la provinciale che porta verso Montursi si imbocca il raccordo per Castellaneta, la SP 104.

Dopo poca strada si intravedono sulla destra delle traversine ferroviarie a fungere da staccionata. Le stesse incriminate sino a qualche tempo fa di essere cancerogene perché imbevute di creosoto, una sostanza altamente tossica. La recinzione separa un terreno con rocce affioranti di murgia dalla strada. Pini piantati un po’ casualmente sollevano la strada per qualche decina di metri. Al termine della curva si apre la vista su una delle più antiche e belle masserie del territorio: Masseria del Porto. Questa, con le sue volte alte, la chiesa rurale ed il frontone maestoso, chiude la straordinaria gravina che da essa prende il nome. Gravina del Porto è certamente un angolo di paradiso per gli amanti della natura. Una pineta ne apre le porte, una magnifica insenatura naturale dove volano falchi e poiane, con pareti alte più di 40 metri, ne segnano il cammino. Intorno i segni di un passato di sfaceli. Affacciato su di una parete, un terreno agricolo a pochi metri dallo strapiombo. Senza più massi, senza più vegetazione. Solo terra rossa volatile. Solo l’ombra di una murgia che fù. In passato di simili scempi se ne son compiuti molti. L’ignoranza dell’importanza del paesaggio, l’assenza di leggi che lo tutelassero ed i favorini dei controllori ai controllati ci lasciano i segni di epoche in cui il bene privato vinceva di gran lunga sul bene comune.

Ma oggi che le leggi ci sono, che l’importanza della salvaguardia della natura è internazionalmente riconosciuta e che gli organi di controllo dovrebbero essere incorruttibili, azioni come quelle che si stanno compiendo nei pressi di Masseria del Porto, a due passi dai due centri urbani pugliesi, sotto gli occhi di tutti, appaiono davvero incredibili.

In un area individuata da sempre come paesaggisticamente rilevante, inclusa nel SIC (Sito di Interesse Comunitario) e nella ZPS (Zona di Protezione Speciale) denominati Murgia Alta, Alta Murgia, insomma il famoso parco, in una zona inserita nei fogli territoriali, nei catasti archeologici, nelle mappe floristiche, in un luogo di magia e storia dove nell’antico abitato della Castelluccia si svolgeva la vita dei nostri avi, dove vi sono raccolti in poche decine di metri dolmen, monumenti funerari della civiltà preistorica appenninica, jazzi, ovili e numerosissime grotte, in un paesaggio che farebbe invidia ai più grandi parchi naturali dove la natura incontra la bellezza della murgia a fare da cornice ad una profonda gola che taglia il respiro, si sta consumando l’ennesimo atto vandalico nei confronti della nostra terra.

Quanti gioiesi in quelle zone son andati a funghi, quanti ne hanno fatto passeggiate. Ci sono anche in corso studi del WWF proprio in quella zona fantastica. Ma qualche settimana fa nel silenzio generale, anche di chi da lì ci passa quotidianamente, alcuni tra i proprietari terrieri della zona han pensato bene di arare, spietrare e distruggere completamente tutta la zona circostante alla masseria. Non c’è più la murgia. Addio al paesaggio. Via la storia, ben servito alle grotte. Così d’un colpo. In due tre giorni. E pensare che per tempo una segnalazione rivolta alla sezione locale del WWF aveva allertato dello disastro in corso. E pensare che con solerzia gli attivisti del WWF sono piombati sul posto ed hanno contattato il comando del CFS di Noci, che è giunto rapidamente sul posto, ha rilevato il reato, ha scattato foto, ha convocato i responsabili, constatato la totale assenza di autorizzazioni e passato tutta la documentazione al CFS di Castellaneta, territorialmente competente, al quale sono stati consegnati dal WWF anche i rilievi satellitari che mostrano come di colpo il territorio sia stato modificato e completamente distrutto.

Gli uomini della Forestale di Castellaneta, però, son sembrati da subito titubanti. Un po’ scettici. Che sarà mai, un po’ di murgia in meno per far posto ad un campo di grano…

L’antifona la si era ben capita. Così, nei giorni scorsi è stata inviata la segnalazione con richiesta urgente di intervento anche al NOE (Nucleo Operativo Ecologico) dei Carabinieri di Bari.

Nell’attesa di un intervento, che stranamente continua a non arrivare. Lì dove, parafrasando Celentano, c’era la murgia ora c’è un bel campo di grano, lì dove regnava la storia di puglia ora c’è una distesa di pietre bianche sgretolate, lì dove dalle forze dell’ordine preposte ed allertate in tempo, ci si sarebbe aspettati un sequestro probatorio in attesa dell’ordine della Procura, al fine di fermare il reato in corso e salvare il salvabile, si è colpevolmente e con connivenza lasciato correre. Si è permesso nella solita vergognosa maniera di portare a compimento l’interesse del privato ai danni di un ben pubblico e di inestimabile valore. Ora non si può più tornare indietro. Di quel fantastico territorio ne è sparita buona parte. Sotto gli occhi di chi avrebbe dovuto ma non ha voluto agire. Perché se si vuole salvare il territorio dalla mano assassina ed incompetente di chi dal territorio vuole solo profitto personale, bisogna agire e soprattutto prevenire. I sequestri con concessione d’uso, che avvengono dopo che l’ambiente è stato sfregiato irrimediabilmente sono una presa in giro per l’intelligenza delle persone che hanno davvero capito il valore del nostro ambiente. Sono un ridicolo ed al giorno d’oggi, inaccettabile tentativo per accontentare l’uno e l’altro. Chi compie il reato che continua a compierlo sotto sequestro e chi segnala affinché pensi di aver ottenuto ragione.

Stavolta non v’è manco l’ombra di un sequestro, né probatorio n’è commissionato dalla Procura.

Stavolta, peggio che mai, sembra che un po’ a tutti vada bene così. In fondo nell’omertà siam tutti più felici. O forse, siam tutti un po’ più poveri.

Andateci gioiesi, andateci in quel luogo ricco, vedete cosa ne è rimasto. Un campo arato sulle grotte, un cumulo di polvere di pietre al posto di dolmen e monumenti funerari, uno stelo di paglia al posto del magnifico lentisco. Se ci andate sarete certamente almeno un po’ sviliti per come si possa lasciar compiere un simile disastro. Se ci andate fate un colpo di telefono al CFS di Castellaneta e chiedete come mai a loro, o a chi per loro, l’ambiente, la storia e la natura non interessi. Come mai dopo la segnalazione del WWF, si è lasciato proseguire quell’atto pur avendo constatato la totale assenza di autorizzazioni.

Che vergogna, gente. Che tristezza nel pensare che qui, giù al sud, la ricchezza la si butta via sotto lo sguardo indifferente di chi quella ricchezza dovrebbe tutelarla.

Poveri loro, poveri noi, poveri tutti.

 

Roberto Cazzolla

da Gioia News


Cambio di vertici al WWF, bonifica amianto e progetto carta

Un plauso all’amministrazione per le misure adottate sui rifiuti

30/09/2009

Cambio di vertice per il WWF che ora ingloba all’interno delle sue competenze territoriali anche il Comune di Santeramo in Colle. L’associazione sarà denominata “WWF Gioia del Colle, Acquaviva delle Fonti e Santeramo in Colle. Il nuovo presidente nominato dall’assemblea dell’associazione è Ivana Guagnano, da anni attivista della sezione locale che prende il posto del responsabile uscente Roberto Cazzolla. E’ stato nominato segretario Dino D’Ippolito, anch’egli da tempo volontario per il WWF. Il nuovo numero di telefono dell’associazione è il 3397729678 mentre gli indirizzi e-mail ai quali scrivere sono wwfgioiadelcolle@virgilio.it e wwfgioiacquaviva@netsons.org .

Intanto grande apprezzamento da parte della nostra associazione va alla celerità con la quale l’amministrazione comunale nella persona dell’Assessore all’Ambiente, Bernardino Lattarulo ha recepito la nostra segnalazione di discariche abusive d’amianto nell’agro gioiese presentata qualche settimana fa. L’Amministrazione ha, infatti, trovato un fondo per attivare la bonifica delle aree contaminate da amianto e si è impegnata a procedere celermente nella messa in sicurezza dei siti.

Un’ottima dimostrazione del fatto che quando c’è la volontà politica le cose si possono fare senza far trascorrere tempi geologici prima di agire.

Inoltre, un grande plauso va anche al progetto di raccolta differenziata della carta, del quale la nostra associazione è partner, rivolto agli alunni delle scuole gioiesi, grazie al quale gli studenti avranno modo di gareggiare nella raccolta e nel conferimento della carta la domenica presso la Spes. Di settimana in settimana vi sarà un vincitore di tappa ed alla fine dell’anno scolastico sarà nominato vincitore del concorso lo studente che maggiormente avrà contribuito a raccogliere la carta da riciclare. In palio premi e riconoscimenti.

Riteniamo che questo sia il giusto spirito per incentivare nei cittadini e soprattutto nei giovani la raccolta dei rifiuti in maniera separata affinché vengano ritrasformati in bene di consumo e non accatastati nelle discariche o bruciati negli inceneritori. Grande plauso per questa iniziativa dell’amministrazione, dunque, ma il WWF invita ad estendere con un progetto organico l’incentivo alla raccolta differenziata a tutti i cittadini. A tal proposito negli scorsi anni abbiamo realizzato un progetto di incentivo a premi con raccolta di quartiere dei rifiuti, progetto che abbiamo presentato all’allora assessore all’ambiente, ma che non ha visto considerazione alcuna. Speriamo che questa amministrazione voglia valutare le proposte presentate dalla nostra associazione ed invitare la Spes ad attivare il progetto. Prosegue, invece, a gonfie vele la raccolta dell’alluminio del progetto WWF “Raccolta solidale”. Sono decine gli esercenti che hanno aderito all’iniziativa ed ospitano il bidoncino della raccolta. Per conoscere i locali che aderiscono all’iniziativa presto saranno pubblicati sul nostro sito www.wwfgioiacquaviva.netsons.org gli elenchi ufficiali. Sarà, inoltre, consegnato in questi giorni l’attestato di partecipazione alla raccolta e saranno inviati i bidoni per la raccolta ai bar delle scuole medie superiori. Per informazioni sul progetto è possibile contattale la referente WWF Eliana al numero 3480600238.

 

WWF Gioia del Colle, Acquaviva delle Fonti

e Santeramo in Colle


Campo Boario: manco fossero rifiuti

Stranieri “spazzati via” per far posto alle fiere popolari 

30/09/2008

Manco fossero rifiuti spazzati lontano dagli occhi del popolo, così come a Napoli al passaggio del Premier. Eliminati dalla vista della gente per far posto ad una fiera dopo l’altra. Cancellati come inutili oggetti per i quali non c’è posto dove stare. Vilipesi ed offesi al punto di distruggere la loro casa.

Teatro vergognoso della scena, il Campo Boario. Lì da 28 anni vivono circa cinque, sei persone immigrate, quasi tutte regolari stando alle loro dichiarazioni. Susanna, la veterana del gruppo originaria del Montenegro, una donna affabile, con fare dolce e cordiale non esita a raccontarci come sono andati i fatti, comprendendo la nostra voglia di aiutarla: “Vivevo al campo da 28 anni. In questo tempo con i soldi raccolti chiedendo l’elemosina davanti ai supermercati avevo comprato delle tavole in legno ed un po’ di cemento per costruire la mia capanna nel Campo Boario visto che da anni non lo utilizzavano più. Qui, quando ci siamo trasferiti dal terreno di fronte c’erano solo montagne di rifiuti”. In effetti tutt’intorno troneggiano cumuli di spazzatura, televisori rotti, batterie per auto, inerti, rifiuti d’edilizia, ferraglie, plastica, asfalto ed amianto sgretolato, accumulato da ignoti nell’indifferenza degli amministratori comunali che si sono succeduti in questi anni. Ammassati in quantità tale da poter far rientrare il Campo Boario nell’elenco delle discariche abusive comunali. Ma, invece di provvedere a vigilare affinché gli scarichi abusivi finissero, invece di bonificare l’area, si è lasciato perpetrare il reato in un luogo simbolo della cultura popolare gioiese, dove nel secolo scorso si sono avvicendate sagre e fiere di paese.

In quel posto, adiacente al Macello della Murgia Carni, avviluppato dal nauseabondo olezzo di morte sorgeva sino a meno di un mese fa una piccola struttura manufatta composta da due vani. L’avevano costruita raccogliendo legna qua e là, comprando qualche utensile con i soldi offerti dai cittadini, in silenzio…per vivere.

Poi d’un tratto, alla fine di questa estate “una visita dei Carabinieri. Ci hanno detto che da qui dovevamo andare via – prosegue Susanna, con la voce che si fa fioca per il dispiacere – e che il Sindaco aveva bisogno di questo spazio per fare il mercato. Ci hanno detto che entro dieci giorni dovevamo andarcene”. Tutto qualche giorno prima della tanto pubblicizzata fiera di Santa Sofia che si sarebbe tenuta il 7 settembre al Campo Boario. “Quattro giorni prima che mi abbattessero la casa è venuto il Sindaco e ci ha detto che ce ne dovevamo andare, di prendere le nostre cose ed andare via. Ci avevano promesso di aiutarci a trovare una casa dove andare, invece…”. Invece, dopo qualche giorno dalla visita del Sindaco – “mentre ero davanti al supermercato a chiedere l’elemosina – incalza sconfortata la signora - mi hanno detto che c’era una gru (una ruspa, ndr) che stava distruggendo la casa che avevamo costruito raccogliendo giorno dopo giorno i soldi dell’elemosina. Sono andata a vedere e quando sono arrivata non c’era più nulla. Ecco cos’è rimasto” e ci indica una catasta di travi in legno, teloni e lastre di ferro. “Molte delle mie cose erano là sotto ed ora non ho neanche una pentola per cucinare, neanche un piatto per mangiare”. Non si finisce mai di stupirsi in questo mondo, in questa Italia. Vedi italiani costruire case, baracche, alberghi nei luoghi più protetti del Paese, nelle lame, sulle coste, al centro dei parchi, immobili abusivi, metri cubi di arroganza. Li vedi certi della loro opera, consapevoli del fatto che al prossimo condono, basterà pagare per far sparire l’illegittimità. Ed allora è qui, ancora una volta, il significato morale di questa storia. Basta pagare. Basta esser talmente ricchi da comprare tutto, lo Stato, le leggi. Così, chi ha dieci, cento case abusive vive nella sua ottusa bambagia coccolato dalle leggi ad personam, mentre chi una casa di travi e di pezze riesce a tirarla su con tanti sacrifici, effimera e volatile come foglia al vento, la vede sparire d’un colpo senza il diritto di aver tempo per sapere dove andare. Hanno impiegato quattro giorni per abbattere la casa a della povere gente ma chissà, invece, quanto ci metteranno a Gioia per abbattere il palazzo abusivo costruito dinanzi all’ospedale dalla ditta “Il Selvaggio” e sequestrato dal CFS lo scorso anno? “Da quando mi hanno cacciata dal campo – ci racconta ancora Susanna -  mi sono trasferita a Bari. Ma lì è diverso, la gente non mi conosce, non riesco a fare più di 5 euro di elemosina. Come vivo così? C’era una mia parente della Spagna che mi ospitava a Bari, ma ora è andata via ed io non so come fare. A Gioia la gente mi conosceva, mi voleva bene. C’è chi mi regalava una cosa, chi mi salutava o mi chiedeva come stavo. Persino le persone che abitano intorno al Campo Boario mi volevano bene. Ogni tanto mi venivano anche a trovare”.

Le chiediamo se ha il permesso di soggiorno e ci racconta che glie l’hanno rubato qualche anno fa e che dal consolato montenegrino tardano a fargliene avere una copia. “Vado a Bari quasi tutte le settimane, ma mi dicono di tornare dopo qualche giorno. Ma, ho persino la tessera sanitaria italiana e questo dimostra che sono in regola. Anche i Carabinieri ne hanno una copia e loro sono sempre stati gentili con me”.

Vivevano in cinque. Più una bambina di circa sei anni. Va all’asilo, a Bari. La domenica si ritrovano tutti al campo per stare insieme. Una, due famiglie normali. Con il sogno di una casa.

“Se mi trovano un posto dove stare io me ne vado da qui. Ma non ho i soldi per pagarmi una casa da sola. Ci sono tante case abbandonate a Gioia, possibile che non ci sia niente per me?”.

Spazzati dunque per far posto ad una fiera. Una fiera, quella in onore di S. Sofia, “dell’Agricoltura e dei Vecchi Mestieri” recitava lo slogan, che altro non era che un’accozzaglia di bancarelle e cavalli. Una decina in tutto, le bancarelle. Quattro o forse cinque, i cavalli. Un vivaista, un venditore di vestiti militari, un tavolino della Coldiretti. Visitatori totali? Se facciamo la tara si contano sulle dita. Evento pubblicizzato da manifesti per tutto il paese. Un ritorno al passato. Vero. Anche per i diritti umani.

Sullo sfondo, montagne di rifiuti. L’Appennino della monnezza a far da poster.

Vale allora più onore per la fascia tricolore al petto l’aver spazzato immigrati, liberato gli onesti cittadini italiani dall’orribile vista di quella struttura, di quella gente, raminga, elemosinante, “mangiatrice di bambini” che bonificare un suolo pubblico dai rifiuti cancerogeni, abbandonati illegalmente e lasciati da cornice ad una festa popolare? Vale più una fiera mal riuscita, un palcoscenico del buon operato, di gente mandata allo sbando in dieci giorni dopo averla ignorata per 28 anni? Qualcuno potrà obiettare che non si è certi che siano tutti immigrati regolari e che la struttura costruita fosse abusiva. Che dire allora del fatto che adesso cinque persone ed una bambina non hanno più un posto dove stare e dormono sotto un ponte? Che dire allora di come l’intolleranza umana, l’incalzante xenofobia, la politica di facciata che caratterizzano purtroppo ormai buona parte dell’Italia, le ha eliminate per pulire la vista ai gioiesi ammaliati dallo spirito organizzativo dell’amministrazione, ed  invece i rifiuti ammucchiati col loro carico di malattie sono ancora lì, ora che quella gente è andata via? Vale più una vita umana di una fiera d’apparenze? Vale più una storia, di travagli, di sofferenze di una caterva di rifiuti?

Gli immigrati sono stati cacciati, i rifiuti sono ancora là.

Volendo, allora, andare più a fondo si potrebbe ribattere che quella fiera e la Festa dell’Aia, ennesimo flop con pochi stand ed esigui visitatori organizzata il 28 settembre, probabilmente neanche si potevano autorizzare in quel immondezzaio. Se l’ASL avesse verificato l’idoneità igienico-sanitaria di quel campo, siamo certi che mai lo si sarebbe aperto al pubblico. Ed allora è più giusto mandar via con un ultimatum della gente ormai inglobata nella comunità, accettata e rispettata, gente sempre gentile ed educata rea soltanto di volere un tetto sotto cui vivere, che rimuovere quei cumuli prima che i cittadini potessero avvicinarsi?

Adesso le sagre e le feste sono finite, l’inverno sta arrivando e con esso il freddo. Al Campo Boario i rifiuti ci sono ancora. O forse per la mente di chi ritiene gli immigrati, gli stranieri, i diversi alla stregua di spazzatura, i rifiuti al Campo Boario non ci sono più!

 

Roberto Cazzolla

da Gioia News


Finalmente una soluzione al problema randagismo

WWF: Grande soddisfazione per le decisioni dell’amministrazione

 03/09/2008

La sezione locale del WWF Italia, di Gioia del Colle ed Acquaviva delle Fonti esprime grande soddisfazione per il provvedimento adottato in questi giorni dall’Amministrazione comunale per la risoluzione del problema randagismo.

Sono finalmente state accolte proposte che da tempo facevamo alle amministrazioni che si sono succedute senza vedere alcun risultato. Da un canile non autorizzato, ad una preoccupante convenzione con il rifugio di Cassano, sino a giungere all’appalto dell’ENPA scomparsa poi nel nulla, si è arrivati inaspettatamente ad una soluzione condivisa sulla gestione e la tutela degli animali d’affezione. E’ stato affidato mediante gara d’appalto il servizio di cure e sterilizzazioni  dei randagi ad un noto veterinario gioiese ed affidata la gestione del canile ad una ditta di Noci.

Non possiamo che essere soddisfatti per la preparazione, la professionalità e la moralità del veterinario che provvederà a sterilizzare le cagne e prestare servizio al canile. Sarà necessario affiancare alla profilassi la microchippatura dei randagi e l’anagrafe. In questo senso, invitiamo il Sindaco, al quale va tutto il nostro apprezzamento per la rapida, trasparente ed  osannata decisione di porre fine ad un problema che a Gioia sussiste da tempo, ad emettere un’ordinanza comunale che rafforzi le attuali normative ed obblighi tutti i possessori di cani a registrarli entro trenta giorni dall’ufficializzazione del provvedimento ed incarichi due agenti di Polizia Municipale di effettuare controlli a campione nelle masserie ed ai possessori di cani per verificare la registrazione ed, in caso contrario, applicare le sanzioni previste dall’ordinanza. Perché, se è vero che la sterilizzazione invocata dalla nostra associazione da anni, è il miglior rimedio contro la proliferazione incontrollata dei cani, la mancanza di un registro e di sanzioni per i padroni non permettono al sistema di chiudersi adeguatamente e portare quasi a zero fenomeni come gli abbandoni.

Ci auguriamo che la ditta che prenderà in gestione il canile comunale mantenga il rispetto ed il rigore etico che hanno contraddistinto, nonostante le poche risorse finanziarie e lo scarso personale, la gestione precedente e che possa inglobare nel suo organico gli operatori che sino ad oggi si sono occupati del corretto mantenimento della struttura.

Auspichiamo un incremento delle iniziative per l’adozione dei cani ospitati al canile ed una ripresa del volontariato nella struttura, in modo da rendere l’intera gestione pubblica e trasparente, finalizzata alla tutela dei cani e dell’uomo.

Speriamo, infine, che le voci giunte da palazzo riguardanti il rinnovo della convenzione con la struttura privata e più volte denunciata per maltrattamenti e sequestrata, di Cassano Murge sino a dicembre 2008, risultino non veritiere e che, comunque, possa essere immediatamente annullata la convenzione con questa struttura ora che ci si è attivati per un problema che gestito con professionalità, legalità e dignità diventa il fiore all’occhiello di una comunità che vuole risultare moralmente elevata e capace al tempo stesso di tutelare il benessere dei cittadini e degli amici a quattro zampe, vittime ingiuste di affari e sporchi traffici.

 

WWF Italia, sezione locale di Gioia del Colle ed Acquaviva delle Fonti


INCHIESTA: Ci han fatto girare le palme!

Tutta la verità sulle piante girovaghe di P.zza Don Luigi Sturzo

31/08/2008

E’ proprio il caso di dirlo. Stavolta l’han fatta grossa. E non perché il trasloco di una palma meriti tutto l’interesse che è stato riservato dalla stampa locale, ma per il fatto che le piante in questione siano diventate oggetto di scambio, di favore si direbbe, tra amministratori e noti imprenditori gioiesi.

Le palme, diciamolo a gran voce, nulla hanno a che spartire con la nostra penisola, trattandosi di piante ben adattate ad altri climi e soprattutto a differenti condizioni edafiche. Tant’è che nel paese del sole, queste sono sempre più colpite da coleotteri parassiti vivacemente colorati, appartenenti alla famiglia dei Curculionidi, chiamati Punteruoli rossi. L’insetto si diffonde rapidamente ed attacca il fusto delle palme sino a quando queste non muoiono per perdita dei liquidi. Molte piante adulte sono state colpite negli ultimi anni. Eppure, nonostante le numerose precauzioni richieste dalle leggi e dai regolamenti forestali per la rimozione, la potatura, il trattamento o l’espianto delle palme attaccate dal parassita, il 29 luglio a Gioia del Colle, in una calda mattina d’estate (erano circa le sette del mattino), indisturbati e senza la benché minima precauzione alcuni operai si accingevano a spiantare le otto palme poste presso Piazza Don Luigi Sturzo, in via G. Di Vittorio. All’arrivo degli agenti della Forestale, allertati da alcuni residenti, la situazione appariva alquanto confusa. Due delle palme erano già state trasferite presso l’Approdo di Federico, noto centro residenziale dello Studio Tuccillo. Delle ragioni del trasferimento, però, nessuno era al corrente.

Apparentemente, neanche l’amministrazione comunale visto che alle ore 11:00 circa, dopo i controlli degli agenti del CFS, giungeva un documento dell’Ufficio Tecnico a firma dell’Assessore ai LL. PP. Sante Celiberti che autorizzava la Società PROMOSPORT, la stessa che sta mettendo in opera la piscina, “ad espiantare n° 8 alberi di palme da via G. Di Vittorio ed a impiantare le stesse nell’area adiacente la palestra comunale (n°4 piante) e nell’area adiacente la piscina comunale (n° 4 piante)”. Tale lettere giungeva, però, con data del giorno stesso dei lavori (29/07/’08), aspetto che ingenera due interrogativi.

Primo: a che ora (le 5:00? Le 6:00?) è stata concessa l’autorizzazione ai lavori se gli operai della ditta erano già sul posto alle 7:00 del mattino? Probabilmente si tratta di un autorizzazione rilasciata dopo l’inizio dei lavori.

Secondo: come mai dopo l’arrivo della prima autorizzazione ne è giunta un’altra con stesso numero di protocollo (N° 1611), il che è già un’anomalia, nella quale si autorizzava un’altra ditta, la Società APPRODO (il nome ricorda qualcosa…) “a parziale modifica della precedente nota pari numero in data odierna, ad spiantare n° 8 alberi di palme da via G. Di Vittorio […], ed ad impiantare le stesse nell’area adiacente la palestra comunale (n° 4 piante)”.

Quindi, dopo le segnalazioni dei residenti e l’arrivo della Forestale, i movimenti sulla scacchiera del “municipio delle palme”, sono cambiati in men che non si dica. Delle 4 palme che dovevano finire presso la piscina comunale non c’è più traccia nella seconda lettera di modifica, stavolta a firma anche del dirigente U.T.C., Ing. Nicola Bartolomeo Laruccia.

Come mai, quindi, al Palazzo vi è stato un così repentino cambio di indicazioni? Forse l’estetica ha suggerito di evitare la localizzazione delle palme presso la piscina? O forse, qualcuno si è reso conto che tale operazione avrebbe destato notevoli sospetti circa la “donazione” di piante di grande valore economico (alcuni vivaisti stimano cifre per palme adulte tra 15000 e 20000 euro) piantate su territorio pubblico ad un suolo che tanto pubblico non lo è più?

Quel che è certo è che dopo un attimo di sbandamento le due palme piantate presso l’Approdo di Federico si sono volatilizzate. Le foto documentano lo strano caso delle palme girovaghe. Prima ce n’erano 8 in P.zza Don Luigi Sturzo. Di queste 2 erano finite al centro residenziale. Dopo poco, neanche il grande mago Silvan sarebbe all’altezza, queste ultime si sono volatilizzate.

Ma il grande numero di prestigio non si è concluso così. Il colpo di scena, come in ogni spettacolo che si rispetti, c’è stato. Le due palme sono ricomparse, una presso il Palestrone Comunale e l’altra ritornata miracolosamente alla sua localizzazione d’origine.

C’è da dire che simili numeri riescono solo agli specialisti!

L’aspetto più inquietante della vicenda lo si apprende scorrendo le righe della seconda parte dell’autorizzazione all’espianto rilasciata alla ditta Approdo s.r.l.: “A compensazione dello spianto/impianto effettuato si autorizza, altresì, la stessa Società ad allocare le ulteriori 4 piante nell’area di proprietà della stessa ubicata in Via Luigi Chiarelli in Gioia del Colle”.

Un po’ come dire: visto che non possiamo, per ragioni da noi indipendenti (ah, se la gente si facesse gli affari propri), farvi piantare le palme pubbliche sul vostro suolo privato dove avete costruito una bella piscina che di “comunale” ha ben poco, vi “regaliamo” una parte del “bottino” e ve lo piantate nel giardino di casa vostra. De Roberto ed i Viceré ne sarebbero sconvolti. Voltaire non credo intendesse questo, quando diceva di “coltivare il proprio giardino”.

Una logica da massoni, vassalli dell’era moderna che scambiano il bene pubblico per interessi privati e che rappresenta l’aspetto più oscuro ed a tratti vergognoso della vicenda.

Resta il fatto che tale operazione chiamasi in gergo economico-commerciale, “partita di giro”, atto che come confermatoci da noti amministrativisti, è del tutto illegittimo se a compierlo sono amministrazioni pubbliche. Chissà se il CFS se ne avvedrà!

Quindi dall’incredibile girar di palme ne risulta un’illegittimità di atti autorizzativi, un non rispetto delle norme forestali per l’adeguato trasporto delle palme, una probabile assenza di gare d’appalto per l’affidamento dei lavori, una realizzazione di atti pubblici autorizzativi postumi rispetto ai lavori.

Prima di tutto, però, ciò che ne vien fuori è il solito modo di fare delle nostre terre. Lo scambio di favori a discapito della cosa pubblica, dell’interesse comune, tra amministratori ed imprenditori. Lo stesso modo di fare che in tempi non remoti ha portato le logge a devastare, svendere, vessare nel letame le nostre bellissime città…la nostra bellissima terra.

Lo stesso che porterà due palme certamente alla morte, decine di cittadini all’indignazione, corpi forestali alle indagini, amministratori alle scuse, imprenditori ai soliti affari e…nulla più.

Come ormai troppo spesso capita dalle nostre parti, il tutto finirà nel silenzio generale. In quella stupida omertà che rende complici del male silenzioso che permea le stanze dei bottoni. Ovunque esse siano.

 

Roberto Cazzolla

da Gioia News


Sagra della mozzarella: la solita bufala!

Scarso interesse e cattiva organizzazione, così non si crea  turismo

 25/08/2008

Sagra: festa popolare in occasione del raccolto o per la celebrazione di un prodotto tipico. Così recitano i dizionari italiani. Peccato che di popolo alla sagra della mozzarella se ne è visto ben poco. O meglio, il popolo c’era ma per la maggior parte era quello che la mozzarella la conosceva sin troppo bene tanto da contribuirne alla manifattura, al trasporto della materia prima, all’allevamento dell’animale origine della suo siero. In parole povere, il popolo partecipante alla sagra come da molti anni a questa parte, era costituito quasi esclusivamente da allevatori, caseari, trasportatori del latte della zona. Di residenti dei comuni limitrofi neanche l’ombra.

Ma come fare una colpa ai “forestieri” se disdegnano la sagra nostrana per buttarsi a capofitto a Sammichele ove la zampina (di cosa? Non lo si è mai capito!) regna sovrana, a Noci tra pettole e castagne, a Putignano, a Locorotondo, a Turi, etc. Non è colpa loro se la “benedetta dalle alte cariche dello Stato, Sagra della Mozzarella di Gioia del Colle” la si organizza anno dopo anno, con un’ottusità inaudita, intorno alla piazza del paese, concentrando in pochi metri quadrati l’evento che più di altri dovrebbe essere simbolo identificativo della cultura, del turismo e dei prodotti tipici gioiesi.

Non è colpa dello sventurato forestiero se dopo decine di chilometri si ritrova schiacciato tra le persone accalcate intorno ai pochi stand che circondano la piazza.

Non è colpa del turista se giunto alla sagra trova ad accoglierlo un poco noto artista, con molto note ristrettezze di repertorio, accompagnato da un tristemente noto presentatore.

Povero entusiasta ramingo in terre gioiesi, che t’aspettavi l’evento dell’anno ed invece vorresti scappare al più presto. Anche perché, effettivamente, dopo qualche minuto di passeggiata intorno alla piazza, dopo due pestoni della calca, dopo aver perso mezzora per assaggiare una mozzarella, contesa con i denti, la clava ed il fetor d’ascelle dal troglodita che ti sta davanti, che sembra non mangi da giorni, dopo aver cercato un punto silenzioso della piazza ove riposare le orecchie da “zitelle” che non se ne può più, non ti resta che, sconsolato, prendere la via di casa e scrivere “MAI PIU’” sul manifesto della “Sagra della Mozzarella di Gioia del Colle” che capeggia la bacheca vicino al tuo portone.

Eppure, ad ogni cambio di amministrazione si spera che qualcuno si accorga che c’è qualcosa che non va. Che i turisti non vengono. Che i residenti la snobbano. Che sul palco si inscena l’elogio della noia.

Si ha l’abitudine di osservare con sorriso beffardo tutto ciò che va male intorno a noi. Sarebbe il momento di iniziare anche a guardare ciò che c’è di buono fuori dalle nostre mura. Ed in molti tra i gioiesi lo fanno. Poi ci si lamenta della scarsa vitalità delle serate a Gioia.

Perché non prendere quel che di buono si fa a Noci, ad esempio. Dove la sagra è una scusa per attirare turisti da ogni dove e farli passeggiare tra un assaggio e l’altro lungo le vie del centro storico che nulla ha da invidiare a quello gioiese. Lì, in maniera un po’ più lungimirante, han capito che dislocare gli stand nei vicoli, sotto gli archi, nei borghi, li fa apparire numerosi, stimola il visitatore alla scoperta, crea la possibilità di inserire tra un percorso e l’altro eventi di strada, artisti, gruppi musicali. A Sammichele hanno capito, invece, che la loro risorsa è nell’artista di punta, in piazza, per tutti. Così mentre a Gioia cantava Beppe Junior, il comitato della Sagra della Zampina esponeva manifesti con Fiorella Mannoia e Gianluca Grignani. Erano più coloro che guardavano i manifesti di quelli che erano rivolti verso il palco. Qualcosa vorrà pur dire.

Se si utilizzasse l’intero centro storico, come mirabilmente fatto per il Festival delle Arti e Gli Artisti di Strada, per distribuire i vari stand, alternandoli a gruppi musicali locali, a cabarettisti, giocolieri, etc. lasciando alla piazza centrale esclusivamente il palco ove ospitare un artista con almeno tre brani di repertorio e di questi uno inciso tra il 1900 ed il 2008, sarebbe già un grande successo e la Sagra della Mozzarella potrebbe ambire a ben altre prospettive.

Se poi, la mozzarella simbolo di un territorio fosse la scusa per raccogliere, associare, promuovere tutta una serie di prodotti tipici locali, per avvicinare giovani alle bellezze storiche e culturali della città, per dare nuova luce ad un centro storico antico e ricco di tradizioni, ad un castello che ad oggi non ha neanche una guida, neanche un opuscolo in due lingue, ad un parco archeologico dove i morti della necropoli sono più dei visitatori, ad un territorio che con adeguati percorsi a piedi o in bici potrebbe essere mostrato durante i giorni di sagra ai turisti ed ai forestieri in tutta la sua bellezza, allora sì che cibo, cultura e territorio potranno davvero donar lustri ad una città coi paraocchi, ove il bello è tenuto nascosto ai più.

 

Roberto Cazzolla

da Gioia News


Edilizia selvaggia ed incendi, le piaghe del nostro territorio

Costruzioni inopportune ed incendi dolosi stanno distruggendo il grande patrimonio naturalistico e culturale della città di Gioia del Colle

23/07/2008

Colori sgargianti, terrazze vetrate, piani rialzati in legno, tetti antichi rimossi, murature rivestite. Sono alcune delle più incredibili brutture che giorno dopo giorno stanno trasformando le abitazioni più vecchie del centro storico gioiese in avveniristiche, ma altrettanto inopportune, abitazioni del futuro. Pugno nell’occhio per chi osserva. Sfregio irrimediabile per chi ricorda il tempo in cui le antiche abitazioni, le case padronali, reggevano il cielo sopra la città. Tutt’intorno al castello che vide le gesta di Federico II, sorgono come funghi dopo un acquazzone, orribili creature murarie frutto della spenta fantasia di geometri ed ingegneri. Gli stessi che i lavori li decidono, li appaltano, li commissionano, li regolamentano e li pongono in essere. Gli stessi che passeggiano beati, come ridicoli apparenti intellettuali, lungo i corridoi del Palazzo, lungo le vie cittadine, affermando ad ogni piè sospinto il proprio interesse per il “bene comune”. Certo, solo però, se il “bene comune” è appannaggio sempre degli stessi faccendieri che ora dopo ora, per il solo interesse economico, riducono in briciole mura di storia, ammirevoli sforzi dei passati sudori, fortezze di vita quotidiana, per lasciar posto a nuovissime abitazioni che punteggiano sempre più fittamente un centro storico ricco di leggende, che nessun lungimirante amministratore sino ad ora ha saputo far fiorire.

Così, muore la storia, muore la gente, muoiono gli ultimi anziani che ricordano un mondo, una città ed un tempo diverso, dove ancora, almeno, c’era spazio e tempo per pensare, per progettare, per decidere come costruire una città perché fosse elemento di pregio per tutti, un motivo di vanto con i cittadini dei comuni vicini e non di guadagno per pochi. E come se non bastasse, tali obbrobri stanno decimando, in palese violazione della normativa europea denominata “Uccelli”, i nidi di una delle specie più belle, eleganti e caratteristiche del nostro comune: il Falco grillaio. Sembra che in pochi a Gioia ne conoscano l’esistenza, eppure sono molti i turisti, soprattutto stranieri che arrivano in città con i binocoli alla mano, per osservare una specie inserita nella Lista Rossa degli animali da tutelare. E noi, invece, che facciamo? Distruggiamo i siti per la loro nidificazione, distruggiamo i tetti antichi, chiudiamo vecchie aperture nei muri, occludiamo le verande, poniamo reti e retine dinanzi a sottotetti. Fuori la storia, fuori l’identità e fuori anche i Grillai.

Ma tanto di piaghe, qui a Gioia, ce n’è più d’una. E’ iniziata come peggio non poteva la “stagione degli incendi”. E' divampato nel pomeriggio del 12 luglio ed ha richiesto l’intervento delle forze della Protezione Civile, dei Vigili del Fuoco con 3 mezzi aerei e del Corpo Forestale dello Stato, un disastroso incendio lungo la fascia boscata tra Gioia del Colle e San Basilio. Proprio quella risparmiata e salvata dalle fiamme dell'estate dello scorso anno. In quell'occasione, buona parte dei boschi adiacenti a Gravina S. Croce andò distrutta ed in tempi non sospetti fu lanciato l'allarme del pericolo speculazione su un'area che tanto fa gola ad imprenditori, costruttori edili, amministrazioni e proprietari terrieri. Oggi, la sistematicità e la precisione con la quale è divampato l'incendio, non lascia dubbi all'ipotesi dolosa e conferma le preoccupazioni inascoltate lanciate la scorsa estate. Il fuoco sembra essere stato appiccato in più punti, nei pressi di Casino del Duca sulla strada provinciale 23, in direzione Castellaneta. Il perimetro del fuoco è, incredibilmente, quello della parte boscata ad altissimo valore ecologico, che lo scorso anno fu risparmiata dalle fiamme. Basta osservare la cartina che alleghiamo a questo comunicato stampa per rendersene conto. Tale aspetto inquitante non lascia dubbi sulla volontà di qualcuno di radere al suolo boschi inseriti all'interno di ben due Siti d'Interesse Comunitari (SIC) ed in Zone di Protezione Speciale. Forse gli interessi edilizi e commerciali, forse i vincoli per pastori e agricoltori o forse ragioni che sfuggono alla ragione hanno spinto la mano di qualcuno a distruggere sistematicamente, anno dopo anno, una delle aree più belle del nostro territorio ove ancora sopravvivono specie rare, come il Cerambice delle Querce, i coleotteri del genere Lucanus, numerose Orchidee, l'Arum apulum, etc. Ora, invece resta solo cenere, frutto dell'ignava ingordigia umana, della dilagante ignoranza e dell'impunità di cui gode molto spesso chi devasta interi territori in cambio di favori o concessioni. L'epilogo di una vicenda assurda e scandalosa è arrivato oggi.

Quella che, soltanto lo scorso anno, sembrava solo un’esagerata provocazione si è concretizza. Ciò che restava è andato via. Tornerà. La Natura ritorna sempre. Ma lo farà fra decine d'anni, forse quando un uomo migliore sarà pronto ad accoglierla ed a rispettarla. Forse quando qualcuno, avvisato per tempo dai "catastrofici ambientalisti" farà davvero qualcosa. Agirà per far ciò per cui viene pagato. Smetterà di poltrire sotto la dolce ala protettrice della legge che punisce severamente chi sbaglia inavvertitamente e coccola, incentiva, promuove chi sistematicamente compie gravissimi reati contro l'umanità e l’ambiente.

In due estati abbiamo, tutti, perso un pezzo di noi stessi. Un territorio che si poteva salvare, che si poteva tutelare. Un territorio che si voluto far distruggere.


Sfiorata la strage in spiaggia,

paura per un aereo militare partito da Gioia

Ancora polemiche per i voli militari pericolosi per i civili

26/06/2008 

Era partito dalla base militare di Gioia del Colle l’Eurofighter che martedì pomeriggio ha rischiato di uccidere decine di bagnanti che trascorrevano tranquillamente il pomeriggio sulla spiaggia di San Vito a Taranto. Una strage sfiorata. Un volo militare ancora una volta minaccia i civili. Ma in Italia non siamo in guerra. O forse no? Due o tre piroette a 15-20 metri dagli ombrelloni, raccontano i bagnanti, poi un grande vortice d’aria, decine di ombrelloni sradicati e diretti violentemente contro i bagnanti; sdraio ribaltate; panico alle stelle ed una bambina ferita ad una mano. “Sembrava stesse precipitando sulla spiaggia – raccontano – poi all’improvviso ha ripreso quota”. Per qualche minuto si è temuto il peggio.

Non sarebbe stato il primo incidente simile. Non sarà di certo l’ultimo episodio simile. Vicenda assurda. Scandalosa. Come può un velivolo militare compiere voli su di una spiaggia frequentata? Come può roteare, piroettare come un aquilone della morte sulla gente che fa il bagno? E’ già a dir poco vergognoso che ogni giorno i cittadini gioiesi debbano sentirsi rombare nelle orecchie decine di decibel di fastidiosissimo rumore prodotto dai motori di scatolette volanti osannate e celebrate come splendidi esempi aviari, che rischiano di compiere una tragedia quando meno te lo aspetti. E’ già a dir poco vergognoso che ogni giorno i cittadini di Gioia del Colle e dei comuni limitrofi debbano ricevere dall’alto tonnellate di gas di scarico, sostanze tossiche e cancerogene prodotte in quantità enormi (come se circolassero sulla nostra testa migliaia di auto concentrate in un solo volo). E’ gia a dir poco vergognoso che si continui a permettere allo strapotente e strafottente corpo militare di prendere quota in linea d’aria con le abitazioni e di atterrare sfiorando a pochi metri le villette di campagna. E’ già a dir poco scandaloso che per ogni volo di esercitazione si spendano circa 3-4 mila euro di soldi pubblici pagati dai cittadini allo Stato, che finanziano prove future di guerre e bombardamenti. E’ già a dir poco vergognoso vivere in una città militarizzata il cui livello di inquinamento atmosferico ed acustico non è mai stato verificato per non mettere in imbarazzo il 36° stormo. E’ già a dir poco vergognoso sobbalzare d’improvviso dalla poltrona di casa per il fortissimo rumore di un aereo, col timore di un conflitto o di un incidente. E’ già a dir poco vergognoso vivere in una città dove il reale pericolo che uno di quei voli di “esercitazione” precipiti non è mai stato portato a pubblica conoscenza.

Ma ora, che una bambina sia stata ferita da un aereo militare partito dalla base di Gioia del Colle, che una vera tragedia sia stata sfiorata per puro caso, è davvero troppo. E’ una vergogna ed un fatto gravissimo, che non deve passare inosservato e finire presto nel cestino del dimenticatoio. Come cittadino gioiese mi sento offeso ed in colpa nei confronti di quella gente distesa tranquillamente al mare. Mi sento indignato per tutte quelle popolazioni “colpite” dai voli per “conflitti di pace”, per missioni di “sostegno all’estero”. Mi sento mortificato per le decine di vittime dell’assurdo gioco che l’uomo chiama “guerra”.

Mai più, deve accadere una cosa simile. Mai più un civile deve essere direttamente o indirettamente vittima degli inquinanti, dispendiosi e pericolosi “giochi sulla testa della gente”. Volino gli uccelli, volino gli aquiloni, cadano le stelle, ma gli aerei militari lascino in pace la nostra Terra.

In segno di protesta e solidarietà con tutte le persone vittime dirette o indirette delle azioni militari, consegnerò al Sindaco di Gioia del Colle, una lettere simbolica di rinuncia all’appartenenza alla città di Gioia del Colle, sino a quando i voli dell’Aeroporto Militare non smetteranno di mettere in pericolo la gente. Gioia non ha bisogno dell’Aeroporto Militare per essere conosciuta nel mondo.

Non pretendo che anche voi, cittadini, facciate lo stesso. Vorrei solo che di tutto questo, siate almeno un pochino schifati!

 

Roberto Cazzolla


Quei tavoli all’aperto: da restrizione ad opportunità

Polemiche sulle concessioni. Risponde l’Assessore Tommaso Donvito e sorge una proposta

24/06/2008

Non sarà la solita estate. Almeno non per tutti. Molti bar e pizzerie gioiesi rischiano di vedersi negata l’autorizzazione alla sistemazione di sedie e tavolini all’esterno per dar ricetto agli accaldati cittadini ed ai turisti a zonzo. La speranza per i commercianti che ancora non hanno ricevuto, da parte dell’Ufficio Igiene, la DIA (dichiarazione di inizio attività), documento necessario per l’avvio degli spazi ristoro all’aperto, viene dal nuovo regolamento per la “somministrazione di alimenti e bevande” che, secondo l’Assessore al cittadino ed alla Polizia Municipale, dr. Tommaso Donvito: “Dovrebbe essere realizzato entro fine settimana”. “Il problema, però – continua l’ass. Donvito – è che l’ordinanza vigente del Ministero della Salute (3 aprile 2002), autorizza gli spazi all’aperto solo a quegli esercizi che sono direttamente collegati al luogo ove presenti i tavoli. Questo crea problemi di interpretazione, poiché non si può ben definire cosa voglia dire ‘direttamente collegati’. I problemi principali sono legati alla Medicina del Lavoro ed all’Igiene. E’ innanzitutto l’Ufficio Igiene che rilascia la DIA, poi Ufficio del Commercio ed Ufficio traffico possono procedere con l’autorizzazione”. Ma ciò che più preoccupa i commercianti è l’eventualità che in alcune situazioni tale autorizzazione possa non essere rilasciata. “Se vogliamo essere più liberali dobbiamo trovare degli escamotage, come far coprire i vassoi con campane di vetro per evitare la contaminazione dei cibi durante il trasporto all’esterno. Rimane, però, il problema della sicurezza sul lavoro. Se, ad esempio, un cameriere mentre attraversa una strada per servire i clienti ai tavoli viene investito, come si potrà giustificare la situazione all’Ispettorato del Lavoro che interviene in questi casi?”.

Effettivamente il problema sicurezza è ciò che più in questi giorni tiene banco nelle sedi mediatiche ed anche il mondo politico si adegua per evitare spiacevoli ed a volte, tragiche, situazioni. Il compromesso, però, tra il rispetto della legge, la sicurezza dei lavoratori e la rivalorizzazione dei luoghi storici e dei quartieri comunali deve essere raggiunto, altrimenti si rischia di disincentivare il turismo e si assopisce la vitalità estiva della città. “La domanda, un po’ provocatoria che io rivolgo – prosegue l’assessore – è questa: posso io mettere la sicurezza delle persone dopo il guadagno di un esercizio commerciale? Nel centro storico non ci saranno grandi problemi per bar e pizzerie all’aperto perché il traffico veicolare è ridotto. Stiamo cercando, come amministrazione, di non bloccare gli esercizi e rendere vivo il centro storico”.

A partire dall’ufficializzazione del nuovo regolamento comunale, dunque, molti commercianti vedranno risolti i loro problemi autorizzativi ma, in alcuni casi, l’apertura di spazi all’esterno dei locali sarà vietata a causa di marciapiedi stretti, passaggi ostruiti e strade troppo trafficate che dividono l’esercizio dai tavoli all’aperto. Certo, ancora più provocatoriamente, si potrebbe lanciare l’idea alla nuova amministrazione di bloccare per i due mesi estivi di agosto e settembre il traffico veicolare all’interno del centro storico e su alcune strade che lo circondano. Magari soltanto nel week-end ed autorizzare la vendita all’esterno in quelle giornate, in cui oltre a gustare un gelato all’aperto si eviterebbe di inalare inverosimili nefandezze prodotte dai tubi di scappamento. Perché, se può apparire un escamotage coprire i vassoi con campane in vetro, non si può ignorare quante polveri sottili e quanti composti chimici pericolosi, il cittadino o il turista inala sedendo tranquillamente all’ombra di un gazebo da bar. Ed allora, piuttosto che aggirare il problema, perché non chiudere al traffico tutti i sabato e le domeniche estive, donando aria meno inquinata alla gente e possibilità di consumazione all’aperto anche per quei locali che non hanno la fortuna di avere dinanzi un ampio marciapiede o una stradina poco trafficata del centro storico? Chissà, magari questo farebbe la felicità di molti e renderebbe Gioia il primo Comune a traffico zero. Almeno nel fine settimana. Almeno nel centro urbano. Comunque è pur sempre un inizio.

Chissà, magari arriverebbero più turisti anche da Comuni limitrofi. Perlomeno attirati dall’aria più pulita e dai molti bar e pizzerie “al fresco”.

Chissà, magari si potrebbero creare delle mostre per tutto il centro storico, delle sagre con percorsi enogastronomici, delle feste di quartiere e riportare un po’ di vita in una città con enormi prospettive turistiche, bloccata, spesso come in questo caso, dalla dilagante ed a volte ridicola burocrazia.

Magari, chissà, stavolta è la volta buona.

 

Roberto Cazzolla

da Gioia News


Arriva l’estate: tutelare l’ambiente di mare, boschi e città

Ognuno è chiamato al rispetto dei luoghi di villeggiatura

 24/06/2008

Come ogni estate che si rispetti si avvicina il momento di decidere dove trascorrere le proprie meritate ferie. Spesso la scelta cade sulle località marittime, ma c’è chi decide di trovare la pace dei sensi nei boschi di montagna o nella villetta in campagna. Altri per evitare il classico stress da vacanza o scongiurare i prezzi esagerati di un posto in spiaggia, scelgono di restare in città.

Molti gioiesi sono già intenti ad organizzare le proprie vacanze ma, insieme ai diritti che ognuno richiede a gran voce, è necessario non dimenticare alcune buone regole civiche ed i doveri che ogni cittadino ha nei confronti dei luoghi di villeggiatura scelti.

Se la meta prescelta è il mare sarà bene ricordarsi che le località più gettonate sono anche quelle dove insiste un più alto impatto ambientale e dove la pressione turistica, specie se si tratta di mete esotiche, rischia di rovinare il delicatissimo equilibrio di quei luoghi. Quindi meglio una meta non troppo frequentata. E’ importantissimo evitare qualunque azione che possa danneggiare l’ambiente che abbiamo scelto di utilizzare momentaneamente come luogo di svago. Oltre alle ovvie raccomandazioni di non lasciate rifiuti in spiaggia (accade soprattutto dopo i falò notturni) e di realizzare la raccolta differenziata (se il Comune dove siete in vacanza non ha predisposto i bidoni, recapitate direttamente al sindaco i sacchi differenziati e chiedetegli di avviare la raccolta), bisogna ricordare che uno stile di vita sobrio (anche in vacanza) ci permetterà di poter godere di quei posti da sogno ancora per molti anni. Quindi, evitare di consumare acqua confezionata e cibi avvolti in numerosi imballaggi, magari utilizzando fontane pubbliche con acqua potabile e consumando le prelibatezze locali; non danneggiare la fauna marina del posto (pesci pescati e lasciati agonizzanti sulla spiaggia o ributtati mezzi morti in acqua non fanno di voi dei gran turisti rispettosi); lasciare in pace le meduse che, anche se pescate con retini e simili continueranno a proliferare nei nostri mari sempre più caldi se, quando torniamo a casa, accendiamo per ore a manetta i condizionatori o ci spostiamo per chilometri in auto invece di privilegiare i ventilatori a pale, il treno o i mezzi pubblici. Se scegliamo di andare al ristorante sarà meglio evitare di ordinare pesci come tonno, nasello, salmone, orata, merluzzo e scorfano o scampi, gamberetti, cozze e calamari che subiscono pesantemente gli effetti dell’overfishing (pesca oltre i limiti sopportabili dalla popolazione naturale)  privilegiando sgombri, aringhe e carpe. Utili accorgimenti in spiaggia sono quelli di evitare di spalmarsi creme solari poco prima di entrare in acqua e di rimuoverle con un telo se la pelle non le ha ancora assorbite (non vorrete mica far il bagno nel mar morto?) e di non fare docce a mare con shampoo e bagnoschiuma che tornano ad inquinare la costa (basta sciacquarsi e poi utilizzare a casa saponi, meglio se naturali e biodegradabili).

Per chi sceglie le vacanze in montagna o in campagna diventa d’obbligo stare molto attenti a segnalare eventuali incendi, appiccati di frequente in questi giorni, al 1515 del CFS. I boschi gioiesi spesso vengono carbonizzati da ritardi di segnalazione ed intervento. Un minuto prima e decine di ettari possono essere salvati. In campagna e durante le passeggiate evitate di danneggiare i muretti a secco (senza i quali le nostre terre sarebbero aride come deserti) ed evitate di raccogliere piante o animali che dopo poco seccano o muoiono.

La città, in estate può riservare piacevoli sorprese a patto che si eviti lo spreco di acqua potabile, l’accumulo di rifiuti non differenziati e l’utilizzo eccessivo di refrigeratori d’aria che, paradossalmente, tanto contribuiscono al riscaldamento del pianeta.

Se poi si privilegiano cibi freschi, frutta e verdura locali e si sceglie di trascorrere momenti rilassanti pedalando tra le stradine ed i luoghi fantastici, ma quasi del tutto sconosciuti, che circondano la nostra città, allora sì che potremmo dire di aver trascorso una piacevole estate consapevoli di aver contribuito affinché noi ed altri dopo di noi possano godere di quei luoghi di villeggiatura nei prossimi anni, ovunque essi si trovino.

Ah, per ultimo, non si arresta mai il vergognoso fenomeno degli abbandoni di animali domestici in questi mesi. Non ci sono parole per definire gli autori di questi comportamenti ed oltre a ricordare ai “simpatici nemici della vita” con una scatola cranica sproporzionata rispetto al loro minuscolo cervello che da qualche anno le pene per gli abbandoni si sono inasprite e prevedono anche il carcere, esiste il sito www.dogwelcome.com che raccoglie tutte le informazioni ed i luoghi dove è ben accetta la presenza di animali domestici in vacanza. Consultarlo prima di…uccidere!

Inoltre, se trovate un animale selvatico ferito o disorientato o volete segnalare un reato ambientale potete contattare il numero WWF d’emergenza 3381018014, scrivere una e-mail a wwfgioiadelcolle@virgilio.it oppure raggiungerci in sede in via Orsini 15/E.

Buone vacanze!!!


 

Parte a Gioia la raccolta solidale dell’alluminio

Gli attivisti della WWF ed i cittadini saranno impegnati nella raccolta del prezioso materiale

 

28/05/2008

 

E’ ora di finirla col dare la colpa agli altri delle cose che non vanno. Basta con la politica del “no a tutto” e poi? Diceva il Mahatma Gandhi: “Sii tu il cambiamento che vuoi vedere nel mondo” e così, sulla scorta di questo profondo adagio, la sezione locale del WWF di Gioia del Colle ed Acquaviva delle Fonti dà il via alla raccolta differenziata dell’alluminio. Niente più lattine nel bidone generico. Scatolette, pellicole, vaschette in alluminio d’ora in avanti a Gioia avranno nuova vita.

Per dimostrare che davvero, se solo volessimo, tutto può essere riciclato. Per affermare che non basta lamentarsi di ciò che non ci sta bene e che è necessario agire perché le cose inizino ad andare meglio. Parte, dunque, ufficialmente da questo mese il progetto “Raccolta Solidale”.

E’ un progetto che coinvolge il mondo del volontariato nella raccolta differenziata dell’Alluminio. Raccolta Solidale nasce nel 2003 e da allora tantissime Organizzazioni Non Profit, Associazioni di Volontariato o Cooperative Sociali hanno aderito, promuovendo la raccolta degli imballaggi in Alluminio sul proprio territorio. L’alluminio può essere riciclato infinite volte e al 100%. Riciclando l’alluminio si risparmia materia ed energia. Col riciclo di questo preziosissimo materiale si risparmia circa il 95% dell’energia necessaria per produrlo dalla sua materia prima: la bauxite. Questo vuol dire meno emissioni di gas serra, meno montagne perforate, cittadini più sensibili alla riduzione degli sprechi di imballaggi ed un nuovo modo di concepire l’ecologia. Con la raccolta differenziata, lattine per bevande, vaschette e fogli di alluminio, bombolette spray, scatolette per il cibo, tubetti e tappi a vite possono essere riciclati e diventare nuovi oggetti d’uso comune. Perché l’alluminio ha infinite vite e ogni volta rinasce e si trasforma senza perdere nessuna delle sue caratteristiche principali. La sezione locale del WWF ha stipulato una convenzione col consorzio CiAl (Consorzio Imballaggi Alluminio) per la raccolta differenziata di questo rifiuto, spesso di scarso interesse economico per le aziende municipalizzate o private. In questi giorni i volontari della sezione WWF stanno distribuendo a bar, pizzerie e locali della città i bidoncini per la raccolta dell’alluminio. Settimanalmente gli attivisti provvederanno al loro svuotamento e depositeranno i sacchi raccolti presso un locale messo gentilmente a disposizione dalla Spes di Gioia, dal quale

periodicamente saranno ritirati dal consorzio.

Inoltre, sarà posizionato nei pressi di P.zza Plebiscito un ulteriore bidone per la raccolta. I cittadini potranno differenziare tutti i rifiuti in alluminio e riporli nel giusto contenitore, consapevoli di fornire un ottimo servizio all’ambiente e di contrastare con atti concreti il proliferare di rifiuti indifferenziati e di conseguenza la necessità di nuove discariche ed inceneritori. Il problema rifiuti si combatte con la raccolta differenziata. Gli altri sistemi, è ormai chiaro, sono solo degli interessati progetti momentanei per tamponare emergenze ed ingrassare le tasche di mafiosi ed imprenditori.

Per questo, a breve sarà fornita la lista di quelle attività commerciali che hanno accettato di aderire al progetto del WWF posizionando il bidone per la raccolta nel proprio esercizio, così da spingere anche il mondo economico a considerare la tutela ed il rispetto dell’ambiente una risorsa in più in grado di garantire pubblicità e nuove prospettive. Tutti i titolari di pub, bar, pizzerie, mense, etc. che desiderano aderire al progetto possono contattare il WWF (sede in via Orsini, 15/E). A breve saranno diffuse anche le modalità di partecipazione ad un concorso a premi destinato agli esercizi commerciali ed ai cittadini che garantiranno una buona raccolta con in palio biciclette, caffettiere, pentole, etc. realizzati in alluminio riciclato dallo stesso consorzio CiAl.

Ora tocca solo ai gioiesi dimostrare che quel 21% di raccolta differenziata (la percentuale più alta dell’intero Ato BA5) raggiunto con grande merito negli scorsi mesi  è quota irrisoria se paragonata alla potenziale percentuale di raccolta differenziata che si raggiungerebbe con i dovuti servizi (raccolta porta a porta o di quartiere) ed i meritati incentivi (riduzione od eliminazione della TARSU).

 


Gioia invasa dall’amianto, nessuno provvede alla bonifica

Decine di segnalazioni di discariche abusive. I cittadini preoccupati chiedono aiuto

E’ come se una pestilenziale minaccia stesse circondando il nucleo urbano col suo inarrestabile contagio. Eppure da tempo si è accertata la sua pericolosità. Se ne conoscono gli effetti. Mesotelioma polmonare, asbestosi, solo per citarne alcuni. Eppure c’è chi rischia di ammalarsi inconsapevole del pericolo. C’è chi a due passi coltiva pomodori, chi trascorre le vacanza con la famiglia, chi, convinto della salubrità campestre, sceglie le vie rurali per una passeggiata od un po’ di footing. Ignara vittima dell’incuranza umana. Esimio emblema delle ritorsioni sulla salute dell’inquinamento, di qualunque fonte esso sia conseguenza.

Così fioccano oramai innumerevoli segnalazioni di contadini, operai, villeggianti, residenti costretti a convivere con uno dei più assurdi mali dell’era industriale: la minacciosa fibra d’asbesto. Per dirla chiara, quella minuscola particella che sgretolandosi dalle vecchie tettoie in eternit può penetrare nelle vie respiratorie sino al livello dei bronchioli e causare alcune patologie infiammatorie croniche e tumorali che, talvolta, portano anche alla morte. La stessa messa al bando ma ancora in libera circolazione. Così accade che un uomo sulla settantina, disperato, ti porta a verificare con i tuoi occhi ciò che, nel giro di una notte, hanno depositato all’ingresso del suo campo. Decine e decine di lastre in amianto, sgretolate, spezzettate. Quando soffia un flebile alito di vento dalle tettoie incautamente, criminalmente, abbandonate si alza una nuvola di micropolveri cancerogene e spira diffondendosi nell’aere a più non posso. Arriva nei villini affianco, e chissà dove altro. Se non trova alcun naso, stavolta, è andata bene ma la prossima? Proseguiamo lungo la ex strada vicinale del Corvello, ora via Matera, all’altezza dell’attraversamento dei canali dell’Acquedotto Pugliese “Sinni e Pertusillo” (fogli catastali 66-78), lato destro da Gioia verso Matera ed anche lato sinistro nei presi dell’affioramento delle tubazioni dell’Acquedotto. Qui, una barriera di amianto accoglie la nefasta scampagnata. Un tour degli orrori che sembra non finire mai. “Eppure – dichiara esasperato l’anziano contadino -  più volte abbiamo segnalato la presenza dell’eternit ma nessuno ha preso provvedimenti. Possibile che io vengo in campagna per passare un po’ di tempo, sistemare l’orto e sono costretto a respirare queste polveri. Qui c’è gente che viene in vacanza l’estate e porta anche i bambini. Il rischio che si ammalino è serio”.

Così serio che le stime di vittime dell’amianto sono in continua crescita. Nascono ogni anno associazioni in difesa dei lavoratori e dei cittadini ma, gli abbandoni abusivi nelle campagne non sembrano calare. In molti scelgono la via più rapida ed economica per disfarsi della vecchia tettoia, ignorando le pesanti sanzioni a carico di chi abbandona quello che ormai, nella classificazione nazionale (L. 22/97), è stato definito un “rifiuto speciale pericoloso”. O forse, in molti sanno che nessuno controlla e certi di non essere colti in flagranza depositano ad altrui destino il frutto di anni di pericolo sottovalutato, di decessi insospettabili, di menzogne affaristiche e di controlli sempre scarsi. Ma poi alla fine chi paga è sempre la “brava gente”, quella che magari per fare le cose a norma di legge ha speso mille o duemila euro per smaltire e bonificare l’amianto sul tetto di casa, e si ritrova in giardino, come lascito, un nuovo pezzo d’infernale materiale.

Accade lo stesso lungo la strada vicinale Nardulli, che congiunge località Piscina Grande a via Vicinale del Medico, (foglio catastale 20), ed in strada vicinale del Bambino, nei pressi del binario ferroviario (foglio catastale 28, particella 121). Lì, sono state rinvenute discariche illecite di rifiuti speciali pericolosi di vasta superficie, tra le quali si trovano in prevalenza lastre in amianto (eternit), spesso già frantumato ed in polvere. La quantità è tale da costituire un serio pericolo sanitario per i proprietari dei campi circostanti ed i residenti del luogo. In alcuni casi le lastre ostruiscono l’accesso ai campi ed alle abitazioni. La contaminazione è così seria che anche Vincenzo Lamanna, Consigliere di quartiere, neo eletto vice presidente del Consiglio Comunale ha dichiarato: “Ho incontrato personalmente, in qualità di consigliere di quartiere, i rappresentanti del comitato di via Tarantini, i quali mi hanno sottoposto la presenza di eternit nella loro zona. Tale segnalazione, sembra essere nota alle autorità competenti (Sindaco, Polizia Municipale, A.U.S.L. BA/5, Nucleo Operativo Ecologico dei Carabinieri) sin dal lontano 2005”. Eppure l’amianto è ancora lì cosi come in tutte le altre zone. In attesa che qualcuno lo rimuova…nella speranza che qualcuno ancora una volta, di amianto, non ci muoia! Allora sì che farà notizia. Sarà però, di nuovo, troppo tardi.


Un sindaco da eleggere per un territorio da tutelare

Vademecum socio-ambientale per la prossima amministrazione

Appare ancora troppo banale preoccuparsi di tutelare l’ambiente e di promuovere il territorio nell’epoca delle grandi guerre, della fame dilagante, della minaccia nucleare, della lotta ai tumori e del disagio sociale. Ma, non ci si accorge che tutte queste problematiche sono strettamente interconnesse con la salute dell’ambiente in cui viviamo ed è proprio il luogo che forma la nostra casa o eco, dal greco oikòs, ad essere nell’ultimo secolo minacciato ed a sua volta grande minaccia per l’umanità. Così fa sorridere molti la preoccupazione dell’effetto serra, senza pensare che i campi aridi sulla via per Castellaneta o i mandorli infruttiferi nelle campagne di Montursi sono l’ovvia conseguenza di un problema che ci appare distante ed effimero. Questo è, anzi, insieme ad altri un serio aspetto della vita quotidiana e di quell’economia, gestione della casa, strettamente collegata all’ecologia, ragionamento su come gestire la casa. Allora come amministrare le faccende di casa nostra, che poi è la casa di centinaia di altre specie che stiamo sterminando giorno dopo giorno?

La prima azione utile è la pianificazione locale. Perché se è vero che i problemi su scala globale appaiono vasti ed irrisolvibili, c’è da ricordarsi che la Terra è formata da insiemi di milioni di territori amministrati più o meno peggio da sei miliardi e qualcosa più di animali umani. Appare, dunque, opportuno che le amministrazioni d’ora in avanti adottino per tutelare i propri cittadini e per garantire davvero benessere sociale, una serie di misure atte a salvaguardare la “casa”, il luogo dove queste persone abitano.

Le prossime elezioni nazionali e locali rappresentano una grande occasione ma, potrebbero tramutarsi nell’ennesimo fallimento storico e questo dipende solo dalle scelte amministrative di che siederà nel “palazzo dei bottoni”.

Come cittadini onesti possiamo fare la nostra parte votando coloro che riteniamo possano darci garanzie di affidabilità, serietà, voglia di cambiare ma, sono proprio i candidati a dover dare dimostrazione della loro reale volontà di migliorare le cose.

Gioia del Colle sta vivendo, nella sordina generale, uno dei più tristi momenti della sua storia in particolare dal punto di vista dell’amministrazione del territorio. Si stanno compiendo sotto gli occhi indifferenti di molti degli organi che dovrebbero tutelare il territorio, decine di reati ambientali dallo spietramento della Murgia al bracconaggio, dal disboscamento all’abusivismo edilizio. Tutto questo perché non vi è una forte azione di repressione e regolamentazione degli interventi e per il vergognoso modo di agire, combattuti tra il “favore all’amico” ed il “chiudiamo un occhio”.

Ecco perché il nuovo sindaco si ritroverà a dover gestire una difficile situazione che, probabilmente, impegnerà buona parte del suo tempo.

Per ordine d’importanza vi è la gesione degli scarichi delle acque reflue che stranamente, col benestare dell’Ufficio Tecnico e nonostante si tratti di un’operazione vitatissima dalla legge, vengono riversate tutt’ora nella falda. Si dovrà assolutamente cercare una soluzione alternativa, come lo spandimento superficiale dopo depurazione o il convogliamento a mare. Altrimenti ce ne saranno di campi annaffiati con i metalli pesanti provenienti dai pozzi artesiani. Poi non c’è da lamentarsi per l’aumento di tumori.

Di non minore importanza sarà la redazione di un adeguato PUG (Piano Urbanistico Generale) che regolamenti lo scempio che sino ad ora, ed anche grazie ai falsi paladini della lealtà, si è compiuto con nuove costruzioni e complessi residenziali. Crescere e svilupparsi, non è sinonimo di benessere ma, paradossalmente, di un malessere diffuso. Se stai bene che bisogno hai di svilupparti.

Di sicuro 6000 nuovi vani previsti dalla bozza del PUG non porteranno benessere ma, periferie abbandonate, cementificazione inarrestabile ed espansione incontrollata. Quindi, consapevoli del fatto che l’espansione edilizia giova solo ai politici affaristi ed ai costruttori “amici”, è necessario che il nuovo PUG blocchi l’espansione dei suoli edificabili e riporti dignità agli ambienti ed ai palazzi esistenti, riconsegnando ai lustri che merita il centro storico, vittima recente dell’affaristico obbrobrio architettonico dei geometri nostrani. Nuovo valore grazie alle mostre, alle sagre ed agli eventi. Nuova vita grazie ai circoli ed alle associazioni. Una buona cosa sarebbe quella di creare dei centri ricreativi per anziani e dei luoghi d’incontro per i giovani.

Ma ciò che di certo, il nuovo sindaco non potrà tralasciare, sarà la gestione sostenibile del grande patrimonio naturale e paesaggistico che Gioia, rispetto ai Comuni limitrofi, possiede in abbondanza.

Territori straordinari, sconosciuti ai più, che anno dopo anno vengono cancellati dalle ruspe e dalle motoseghe, dai diserbanti e dal cemento. Un tesoro inestimabile che potrebbe creare centinaia di posti di lavoro tra turismo sostenibile, visite guidate e piani di gestione. Gravine, grotte, lame, masserie e zone archeologiche potrebbero rappresentare l’occasione di riscatto della politica del “voler fare” rispetto alla politica che ha governato in questi ultimi anni del “voler speculare”. Un censimento delle aree, un piano di gestione, una rete sentieristica, pacchetti turistici, guide naturalistiche e visitatori a go-go. La formula perfetta per cambiare. Così si crea occupazione, si tutelano i territori, si realizza conoscenza ed aumenta il flusso economico. Ma se invece, la nuova amministrazione deciderà che nuove strade, nuovi palazzi e nuove industrie dovranno schiacciare per sempre un tesoro che la Natura concede gratuitamente a tutta la città, allora i politici e gli imprenditori, come al solito, si ritroveranno con le tasche piene ed i cittadini con i soliti problemi.

Altro aspetto è quello dell’ecologia urbana (verde pubblico, rifiuti e traffico). Per questo sarà necessaria una presa di posizione seria, che tuteli il verde già presente e promuova lo sviluppo di nuovi spazi alberati (ad esempio mediante l’applicazione della legge “un albero per ogni nuovo nato” che tutti i sindaci fanno finta di dimenticare). Per la gestione dei rifiuti è fondamentale un piano di gestione e l’avviamento della raccolta differenziata di quartiere o porta a porta, con l’attivazione del recupero del rifiuto organico e dell’alluminio. E’ indispensabile, quindi, un maggior controllo dell’operato della Spes con l’imposizione (visto che l’80% dell’azienda è capitale pubblico) di misure adeguate al funzionamento del servizio.

L’incentivo dell’utilizzo della bicicletta mediante la realizzazione di piste ciclabili, giornate a tema ed il divieto di circolazione per i Suv nel centro urbano e per tutte le auto nel centro storico potrebbero fare della nuova amministrazione, l’esempio della “buona politica” e ridare ai cittadini quel briciolo di fiducia nelle amministrazioni che, ormai, si è nascosto sotto il tappeto dello sdegno.

Se poi si associa il controllo costante e pubblico dell’elettrosmog e degli inquinanti atmosferici, un regolamento per vietare il sorvolo del centro urbano agli aerei militari, un piano per l’incentivo dei pannelli solari e fotovoltaici e delle costruzioni ad efficienza energetica (mediante un innovativo regolamento edilizio), si attiva l’utilizzo obbligatorio in tutti gli uffici pubblici di carta riciclata e si apre uno sportello comunale per la tutela degli animali (che risolva finalmente il problema del randagismo) con un veterinario comunale a disposizione degli animali feriti, sembrerà di abitare nel paese di Utopia, dove i politici sono al servizio dei cittadini e non il contrario. Dove chi amministra lo fa per il benessere della gente. Dove il benessere della gente si traduce in tutela dell’ambiente. Dove tutela dell’ambiente vuol dire ricchezza delle popolazioni.

Ma non illudiamoci…prima delle elezioni son tutti socio-eco-peace-love-humanity-ambientalisti-animalisti-anzianisti-giovanisti-occupazionisti-sostenibilisti. Il problema viene dopo, una volta seduti sulla gran poltrona. Quindi è meglio non credere alla favola del paese Utopia e se poi, un bel giorno, ci accorgeremo che quel segno sulla scheda ci ha reso gli abitanti di una città nuova, piena di vita e di idee, allora sì che saremo certi che la politica è cambiata. Speriamo bene e cari politici, bando alle ciancie ed occhio ai veri problemi della città.

Ah, a proposito, in questi giorni il WWF sottoporrà ai candidati sindaci un questionario sulle politiche ambientali e sociali che intendono adottare nel caso vengano eletti. I risultati del questionari saranno resi pubblici durante la prima settimana di Aprile. Così nessuno potrà dire “quando ho votato, non lo sapevo”.

 

Roberto Cazzolla

da Gioia News


A pochi chilometri dal centro vaste aree della Murgia completamente distrutte

Gli assassini del paesaggio fra reati e connivenze

L’area spietrata è solo l’ultima di un’infinita serie di violazioni impunite

 Una, dieci, cento violazioni. Disboscamenti, discariche abusive, rifiuti speciali, dissodamenti, spietramenti, diserbanti, pascoli incontrollati, lame ostruite, pozzi avvelenati. Così si sgretola l’identità della Murgia e di tutte quelle comunità come Gioia che devono la maggior parte della loro bellezza paesaggistica alle praterie a macchia mediterranea, alle colture cerealicole, ai boschi di fragno, alla gariga arida ed ai vecchi iazzi, alle antiche masserie ed ai trulli sparsi. Ma se agli assassini del paesaggio non interessa l’omicidio colposo perpetrato ai danni della terra e della natura endemica, non importa la distruzione di territori incantevoli che racchiudono come scrigni la storia, la cultura, le piante e gli animali che rendono unici i territori del sud-est barese, sembra che tali reati non interessano neanche a chi dovrebbe contrastarli e che, invece, si gingilla nella totale nullafacenza, contando i minuti tra una pausa e l’altra. Sembra che non gli interessi l’enorme quantità di amianto sparsa per le campagne, i boschi divelti, le specie protette uccise, i patrimoni ormai irrimediabilmente persi. Sembra che non sia loro faccenda, che l’ambiente e la sua tutela sia cosa d’altri e che il loro stipendio sia somma dovuta, regalata per consentire a chi ne ha voglia di annullare incontrastato migliaia di anni di lentissima storia naturale.

Così su via Matera, alle spalle della lunga fascia di pineta posta al confine di Provincia, nei pressi del Vallone della Silica, si sta compiendo l’ennesimo delitto nei confronti del paesaggio locale. Interi massi dissodati giacciono, su un suolo naturale a macchia mediterranea, inseriti in grandi reti metalliche, accatastati l’uno sull’altro, pronti per essere trasportati altrove, magari nelle ville del nord ad adornare gli ultivi illegalmente trasferiti dalla Puglia nel corso di questi anni. Sul suolo, enormi crateri ricordano che sino a poche settimane fa, lì, si estendeva un ampia fascia a garìga, con essenze pregiate quali pungitopo e lentisco e con le enormi pietre carsiche che rendono caratteristico il paesaggio nostrano. Proprio quei massi, però, fanno gola ai luogotenenti settentrionali, alle ville importanti, alle piscine di lusso e così, i contadini pugliesi non perdono l’occasione per spietrare vaste aree murgiane e vendere a caro prezzo i sassi che sino ad allora hanno incantato il territorio.

Una ferita mortale nella terra che perde col tempo, non solo le specie che con impegno e pazienza aveva allevato, ma si smembra solcata da ruspe e rimorchi delle ultime testimonianze geologiche dell’identità dei luoghi. Prima scompare il bosco e con esso gli animali che ci vivono, poi si brucia la macchia ed il sottobosco rimanente ed infine, si rimuovono e si vendono al miglior offerente i massi. Ecco il piccolo vademecum del distruttore fai-da-te. Una pratica vietatissima che però continua a interessare ampi tratti del territorio gioiese. L’area sulla provinciale 51 per Matera, raggiungibile tramite il bivio della SP 185 per la terza e svoltando per il carraro D’Aprile, è un ampia fascia di ex-bosco a fragno convertita, ora, ad area di commercio del patrimonio indisponibile dello Stato.

Poco tempo lungo la stessa provinciale era stata rinvenuta una discarica abusiva di amianto, un tratturo ostruito da inerti e barattoli di vernice ed un bosco recintato abusivamente e violato dal pascolo dei suini. Questi reati, come lo spietramento scoperto in questi giorni, sono stati prontamente denunciati al Corpo Forestale dello Stato di Gioia del Colle dalla sezione locale del WWF ma, dopo diversi giorni, ancora non si vede alcun risultato. Così come non si è mai visto nulla riguardo la denuncia per lo scarico illecito nella falda acquifera nell’agro gioiese o riguardo la parte disboscata del bosco Romanazzi sequestrato per flagranza di reato e dissequestrato per errori di forma nella notizia di reato inviata al magistrato. Una paradossale situazione che vede le forze associazionistiche ed i cittadini gioiesi impegnati a segnalare i numerosissimi reati che di giorno in giorno vengono scoperti sul territorio che non trovano, però, alcuna risposta da parte delle forze dell’ordine ed in particolare da parte del locale Corpo Forestale locale. Decine di denunce, segnalazioni, querele finite nel cestino dell’oblio, scomparse tra un ufficio e l’altro, annientate da interessi e perniciosa burocrazia. “Abbiamo fatto ciò che dovevamo fare – ci dice con aria infastidita, la solita che ogni volta accoglie le persone che denunciano un qualunque reato nei confronti dell’ambiente, e dopo numerose sollecitazioni, il comandante Catalano del CFS di Gioia del Colle quando gli chiediamo riscontro delle decine di denunce mai portate a conclusione – ora le carte sono state inviate alla Procura”. Il problema, però, è che tralasciando i casi in cui l’invio alla Procura venga vanificato da più o meno casuali errori di notifica dal parte delle forze dell’ordine, per tutti gli altri esposti non si arriva mai ad accertare i trasgressori ed a punire i reati. I lunghi tempi della Procura e le negligenze del Comando Stazione locale del CFS, lasciano impuniti gli approfittatori della situazione. Questi confidano nei sornioni proseliti incompiuti che si trasformano col tempo in innumerevoli violazioni ed inestimabili danni al patrimonio naturale locale. Vedi, per esempio, l’incendio di Gravina Santa Croce. Senza colpevoli. Le acque stradali scaricate nella falda. Senza colpevoli. I boschi maciullati e tritati a dovere di via Matera. Senza colpevoli. I suoli spietati e rapati come patate. Senza colpevoli.

Ma se non è il Corpo Forestale dello Stato a contrastare i delitti compiuti ai danni dell’ambiente, chi può farlo, Batman? La risposta al maresciallo “scocciato” Catalano. Ma è certo, questa non arriverà prima che l’ennesimo spietramento, l’ennesima violenza nei confronti del paesaggio, sarà portato a compimento.

Roberto Cazzolla


Intervista ad Alessandro Marescotti, presidente dell’associazione Pacelink

INCHIESTA ESCLUSIVA:

Il pericolo è sulla testa

Ci parla dell’Aeroporto Militare di Gioia del Colle

Un rombo impressionante ti sveglia di soprassalto. Il nonno preoccupato avanza l’ipotesi di un nuovo conflitto bellico. Dalla finestra scene di Caccia e di Tornado che solcano i cieli, rasentano le case, virano minacciosi. Dietro di loro una scia scura di gas inquinanti e polveri sottili. Non siamo nel Golfo o nel Medioriente, ma a Gioia del Colle. Già base NATO, al servizio degli USA, dalla quale sono partiti numerosi velivoli diretti nei Balcani. Ora, base militare dell’aviazione con incerta definizione tecnica. Ma percorrendo quei due chilometri che dividono i territori di proprietà dell’aeronautica dal centro urbano, non si può che restare stupefatti dall’eventuale pericolo e di come i gioiesi se ne siano abituati. Un meccanismo di assuefazione al rumore, allo smog, alla minaccia di una nuova guerra, alle serie possibilità di attacco. Un effetto placebo che sembra non interessare ai più. L’argomento aeroporto a Gioia è quasi un tabù. Guai a parlarne. Un po’ come la questione vaticana per Roma. I gioiesi sono a tutti gli effetti asserviti ed al servizio dell’Aeroporto Militare.

Quando decine di ragazzi coraggiosi manifestarono dinanzi ai cancelli dall’allora base NATO, per protestare contro l’invio di militari e velivoli nella ex-Jugoslavia, furono pochissimi gli organi di stampa a dare un adeguato riscontro. Due righe, non di più. Ancora meno furono i cittadini che accompagnarono la protesta. Cosa ben diversa, e questo deve far riflettere, è accaduta negli scorsi mesi a Vicenza, dove migliaia di persone “comuni” si sono appostate lì dove si era paventato di ampliare la preesistente base americana. Di ben altra entità sono state le proteste contro l’ampliamento della base militare sarda. E così via...Invece a Gioia tutto scorre lento e tranquillo come se, per non affrontare una questione davvero più grande dei tanti bisticci popolari, si cerca di far finta che nulla stia circolando sulle teste dei cittadini. Eppure, quotidianamente, i rumorosissimi motori degli aerei decollati dalle rampe militari, sfrecciano in pericolose esercitazioni a poche decine di metri di altezza dalle abitazioni.

Abbiamo chiesto un parere autorevole ad Alessandro Marsescotti, presidente dell’associazione Peacelink che da tempo si occupa delle politiche del disarmo, della pace e dell’ecologia, e da anni segue le vicende degli aeroporti militari italiani.

Se arriva a Gioia dalla Statale per Taranto, trova ad accoglierla un cimelio dell’imbecillità umana. Un aereo da guerra donato dall’Aeroporto, come se la cosa dovesse far onore. Una simile barbarie non sarebbe neanche dovuta sorgere su un suolo pubblico. “L’Italia ripudia la guerra” recita la nostra Costituzione. Volendo, si potrebbe aggiungere una nota a piè di pagina: “Ma i gioiesi no!”.Cosa ci può dire della base di Gioia del Colle?

“Negli anni ’60 – risponde Marescotti -  erano presenti missili Jupiter, con testate atomiche, presso la base militare di Gioia del Colle. Si rischiò davvero tanto quando 4 fulmini si abbatterono sulle zone dove erano custodite le testate nucleari. Si rischiò l’esplosione a tal punto che il presidente americano Kennedy, constatò che la situazione della base Usa di Gioia del Colle non era del tutto sicura”.

Ma, secondo lei, c’è possibilità che siano ancora presenti testate nucleari all’interno dell’aeroporto?

“Di certo in Italia ci sono 90 testate nucleari. 50 sono custodite ad Aviano e 40 a Ghedi. Non si può escludere, però, che possano essere presenti anche a Gioia del Colle o che vi siano trasporti via aerea da o per l’aeroporto. Purtroppo non sono stati forniti dati a sufficienza. Ma, nulla si può escludere”.

A proposito dei pericoli derivanti dalla presenza di una base così vicina al centro abitato, cosa può dirci?

“E’ necessario evitare il sorvolo dei centri urbani e sono stati anche siglati accordi per questo. Il problema è che non sempre vengono rispettati. Ricordo di un episodio accaduto a Casalecchio di Reno, in cui un aereo militare si schiantò contro una scuola. Il pericolo di incidenti simili risulta elevato”.

Quindi, cosa si potrebbe fare per evitare incidenti come quello di Casalecchio? I cittadini hanno qualche possibilità di chiedere maggiori garanzie?

“Innanzitutto, il Consiglio Comunale dovrebbe prendere una posizione chiara nei confronti della base e poi i cittadini devono fare informazione dal basso. Devono cioè segnalare episodi anomali, fare foto di voli troppo bassi e vicini alle case. Solo così, tramite l’informazione, la gente ed i politici non hanno la scusa per dire <<non lo sapevo>>. In questo modo aumenta la consapevolezza del problema”.

Gli aerei, però, hanno anche un grande impatto acustico e soprattutto sulla qualità dell’aria. Per ogni aereo che si alza in volo, si disperdono sui terreni, nelle acque e nei polmoni migliaia di sostanze tossiche, tra cui le pericolosissime Diossine, gli Idrocarburi Policiclici Aromatici (IPA), i metalli pesanti, le polveri sottilissime, il dinitropirene, il dinitrobenzene, i furani, solo per citarne alcuni…

“Certo. Bisogna sollevare la questione dell’impatto degli aerei sull’inquinamento atmosferico, perché oltre alla produzione di gas che aumentano l’effetto serra, vengono rilasciate nell’aria una serie di sostanze pericolose per l’uomo in maniera diretta. Esistono parecchie patologie causate dall’emissione di gas di scarico da parte degli aerei”.

Può fare qualche esempio, dei pericoli derivanti dai gas di scarico degli aerei militari?

“E’il caso degli ossidi di ozono prodotti dai velivoli che, messi al bando per gli aerei di linea, sono rilasciati in grande quantità dagli aerei militari. Questi causano impoverimento dello strato di ozono e patologie dovute all’esposizione umana”.

Molti cittadini, quindi, non sono a conoscenza del reale pericolo per la salute derivante degli inquinanti emessi ma, probabilmente, ignorano anche quanto costa, in termini economici, alla comunità un volo di un aereo militare?

“Il costo del singolo volo è di circa 15000 euro. Quindi lei immagina come possa sentirsi un operaio che 15000 euro li guadagna in 4-5 mesi, se va bene, a vedersi sfrecciare sulla testa tali aerei mangiasoldi. Il fatto ancora più grave è che questi sono soldi che paghiamo noi, con le nostre tasse”.

La gente, ora, non potrà più dire di non essere a conoscenza del problema. Adesso, il fatto, non è più “segreto militare”.

Roberto Cazzolla

(un estratto dell'intervista è stato pubblicato su Atlante di Febbraio)


La macchia divelta, il terreno arato e cosparso di diserbanti

A Montursi stanno distruggendo la terra dei funghi gioiesi

Il reato si sta compiendo in un’area protetta cara ai cercatori di funghi

“E il vecchio diceva guardando lontano, immagina questo coperto di grano, immagina i frutti e immagina i fiori e pensa alle voci e pensa ai colori. E in questa pianura fin dove si perde, crescevano gli alberi e tutto era verde; cadeva la pioggia, segnavano i soli il ritmo dell’uomo e delle stagioni”, così canta Francesco Guccini per riportare l’attenzione della gente sull’inarrestabile distruzione del paesaggio e del territorio in corso in questi anni di violenza nei confronti della Natura. Racconta di un vecchio che mostra a un bambino i luoghi della sua gioventù ed ormai, dove un tempo regnava la natura, vede solo ciminiere e fumo. La luce artificiale delle case e la polvere.

Sembra uscire dalla canzone del cantautore italiano il tetro paesaggio che sta lasciando il passo ad una ricca macchia presente lungo la via per Laterza, meglio nota come via per Montursi. Lì, in un’area di 13 ettari, molti appassionati cercatori di funghi hanno trascorso stupende giornate. Un ambiente vario e vasto che era ormai il luogo domenicale d’incontro di molti gioiesi che amavano trascorrere qualche ora all’aperto. “Lì sono più di vent’anni che non si coltiva – ci dice una delle signore residenti in zona – ormai il bosco ed il sottobosco si erano riappropriati di quel luogo. Tutti noi amavamo andare lì per raccogliere i funghi, ma ora è tutto distrutto”.

Lo sguardo scende verso l’orizzonte, ed incontra ancora una radura arata profondamente con le vestigia del lentisco, del mirto e della fillirea che l’abbellivano. Secchi e inclinati, ancora si vedono i fusti della ferula, sgretolati al disotto gli arbusti di bosco, le erbe ed i funghi. Per terra, quasi a rappresentare il simbolo della distruzione, una tanica di diserbante. “Hanno cosparso tutta la zona – continuano i residenti – ora non si potrà più raccogliere  nulla e neanche passeggiarci”. Come si può radere al suolo un’area sotto gli occhi di tutti, abbandonata da vent’anni, protetta da vincoli paesaggistici, idrogeologici e procedere indisturbati nell’aratura, nello spandimento dei veleni agricoli e nella rimozione delle piante autoctone? “Qui hanno intenzione – continua una delle signore inferocite – di realizzare una coltivazione ed un palazzo. Possibile che nessuno intervenga?”.

La zona è molto conosciuta e frequentata. E’ sita a pochi metri dinanzi alle vasche dell’Acquedotto Pugliese, a circa 4,5 km dal paese. Nella zona stanno proseguendo i lavori di ampliamento del bacino e c’è un incredibile via vai di camion e rimorchi colmi di terra di scavo ed inerti. Una strada, e poi ancora un’altra, solcano i terreni che sino a qualche settimana fa ospitavano una ricca vegetazione mediterranea. Da due decenni l’ambiente si stava rinaturalizzando. Ed era un bene, visto che in zona è presente un’elevatissima biodiversità e un abbondanza di specie rare. Proprio all’interno dei 13 ettari diserbati nascevano splendide orchidee e numerosi funghi eduli. Il luogo rappresentava quasi un simulacro del ritorno alla natura per molti gioiesi affaccendati in questioni urbane. La domenica, specie dopo le serate di pioggia, la gente si incontrava lì per prendere una boccata d’aria pura. Anche se i terreni costeggiano la provinciale, si estendono per centinaia di metri verso l’interno garantendo il rifugio necessario a numerosi volatili. Quella, un tempo, era una zona prediletta dal Falco grillaio per la caccia. Ora è un deserto di terra e veleni chimici. Inospitale per la flora, per la fauna e per la gente. Non si conosce il colpevole di una simile azione distruttiva ma è, ancora, possibile individuarlo. Lì i lavori proseguono e le aree arate e disboscate aumentano. E’ necessario fermare in tempo lo scempio. L’ennesimo emerso in questi che appaiono i mesi della totale anarchia, mesi nei quali ognuno si sente autorizzato a fare scempio del territorio. Mesi in cui l’azione dei Corpi Forestali sarebbe necessaria ed invece tarda, o meglio non è mai, arrivata.

In quella pianura, un giorno crescevano i funghi, le querce ed il biancospino. Crescevan le piante e tutto era verde…un giorno una mano molesta e frugale ha reso quel luogo inquinato ed inospitale. Spazzato via la vegetazione, sotterrate le pietre, sparso veleni. I diserbanti ora fanno da padroni in quella pianura dove la gente correva. Le ceste e i binocoli, i fiori e i sentieri lasciano il posto a deserti e ricordi.

Un giorno, se nessuno fermerà questo scempio, un vecchio e un bambino tenendosi per mano guarderanno quel campo con occhi diversi. Il vecchio piangerà il paesaggio ormai perso, i suoni ed i colori. Il bambino “guarderà cose mai viste” e dirà al vecchio con voce sognante, come se ciò che egli racconta fosse solo una bella storia: “mi piaccion le fiabe, raccontane altre!”.

Roberto Cazzolla


 

Illustri esperti dibatteranno in un pubblico incontro nella fortezza gioiese

Federico II: la storia a processo

Sabato si celebra nel Castello Svevo la figura del grande re

 

Sarà celebrato sabato 9 febbraio alle 18:00 presso il castello Normanno-Svevo, il processo a Federico II. L’iniziativa, che ha ricevuto l’Alto Patronato della Presidenza della Repubblica, è organizzata dal circolo Lions Club di Gioia del Colle con il patrocinio della Provincia di Bari e del Comune di Gioia del Colle. Un grande evento che riporta la cultura storica della città in primo piano, con un simposio quasi accusatorio alla figura di uno dei più eclettici sovrani del XII secolo.

Federico II di Svevia, re di Sicilia, fu colto edificatore, protettore delle arti e grande rinnovatore per i suoi sostenitori, ma anche temibile nemico della cristianità, per i pontefici che lo avversarono. Fu un personaggio affascinante, dal grande spessore politico e culturale, che seppe dare vigore e orgoglio alle genti del Meridione italiano. Le sue tracce sono oggi ancora rintracciabili.
Federico Rugggero nasce a Lesi il 26 dicembre 1194, sotto una tenda innalzata nella piazza, come aveva voluto la madre, Costanza d' Altavilla, figlia di Ruggero Il Normanno, Re di Sicilia, e moglie dell'Imperatore Enrico VI, della grande dinastia tedesca degli Hohenstaufen, figlio di Federico I Barbarossa.
Il padre Enrico V muore nel 1197, quando Federico II ha solo tre anni. A lui sono è destinata l'eredità del regno dell'Italia meridionale. Nel 1198 scompare anche la madre e Federico, il 18 maggio 1198, a soli quattro anni, viene incoronato Re di Sicilia, Duca di Puglia e Principe di Capua, e viene affidato alla tutela del Pontefice Innocenzo III. Per lui il Papa avrebbe voluto un destino tranquillo, lontano dalla vita politica, tuttavia Federico non si sottrarrà alla sorte che per lui sembrava segnata. Incoronato Re il 26 dicembre del 1208, a quattordici anni, Federico mostra subito di avere le idee chiare. I suoi primi pensieri sono rivolti al sud dell'Italia dove la situazione era tutt'altro che facile. Il suo primo obiettivo era quello di rivendicare tutti i diritti regi che erano stati usurpati nel trentennio precedente. Federico decide di confiscare tutte le fortezze costruite abusivamente negli anni, rivendica i diritti dello Stato su passi, dogane, porti e mercati, e annulla le pretese dei signori locali e le esenzioni di cui godevano i mercanti stranieri.

Infatti, nel castello gioiese, si discuterà in prima battuta del rapporto di Federico con il Meridione. Al dibattito dal titolo “Federico e la questione meridionale, tra mito e realtà” moderato dal prof. Pietro Dalena, ordinario di Storia Medievale all’Università della Calabria, parteciperanno il prof. Cosimo Damiano Fonseca, dell’Accademia dei Lincei, il prof. Hubert Houben, ordinario di Storia Medioevale all’Università di Lecce.

La figura del grande re verrà portata sotto una nuova luce e sarà riconsegnata alla memoria dei cittadini la figura di un uomo che ha reso grande con le sue politiche e le sue costruzioni l’immagine di un paese come Gioia.

E non a caso che, proprio a Gioia si celebra il processo a Federico, essendo la cittadina murgiana una delle preferite dal re. Si dice che amasse molto il castello gioiese e che, da grande amante della natura, trascorresse piacevoli giornate nei boschi locali, in particolare nell’area di Bosco Romanazzi. E non è un caso che proprio lì in quella zona ricca di leggende e di storia, ancora si cerca, con vergognosa ostinazione, di localizzare una discarica di rifiuti speciali. Chissà se il grande re vedesse cosa ora voglion fare del suo luogo di meditazione preferito.

Proprio Federico, grande amante della cultura, nel 1224 fonda a Napoli la prima Università statale del mondo occidentale. E’ grande, inoltre, il suo impegno per la popolazione del Meridione. Su una collina della Capitanata in Puglia, fa edificare, tra gli altri, il celebre Castel del Monte, che egli stesso progetta. Grande è anche il suo impegno religioso. Lo stesso Federico non desidera che gli ebrei siano vittime dei cristiani, ma non vuole nemmeno che vi sia un disequilibrio. Ed è su questo tema, sul rapporto tra le religioni, che si svolgerà il secondo dibattito di sabato, dal titolo “Federico II e l’Islam, tra intolleranza e tolleranza”. Tema quanto mai attuale nei nostri giorni insanguinati dall’estremismo della fede. Estremismo specchio moderno di quello che dopo Federico ha portato molti cristiani ad insanguinare le genti da convertire, a trucidare e massacrare gli sconfessati con Crociate e Missioni, a violentare nell’animo, nella cultura e nel corpo milioni di indigeni definiti “impuri” perché non battezzati.

E così è proprio all’uomo che ricostruì l'impero, costruì il primo stato centralizzato, imbrigliò le ambizioni temporali della chiesa e ammaliò il mondo con la naturalezza con cui compì quest'opera che oggi è da considerarsi titanica, che si dedica uno dei più apprezzabili eventi culturali, e per questo auspicabili nel futuro, mai realizzati nella cittadina barese. Evento che si celebra in un castello intriso di magia, satollo di racconti, edificato intorno al 1100 dal normanno Riccardo Siniscalco. Questo, verso il 1230 subì un notevole ampliamento ad opera di Federico II.

Dal portale principale e dall’androne del castello si accede al cortile trapezoidale, dove si trova la scala di accesso al piano superiore. L’imperatore volle che questo castello, oltre a scopi difensivi, fosse adibito a dimora regale; infatti ivi visse Bianca Lancia, sua amante e madre di Manfredi.

Insomma, sabato, nel celebrare il processo a Federico, non si potrà restare indifferenti dinanzi a tale memoria del passato. Dinanzi ad un luogo bistrattato dai gioiesi ma, che ancora conserva i miti d’un tempo, i segni di antiche battaglie e di numerose conquiste. Così per non dimenticare, l’evento dei Lions, riporta alla mente di ognuno che ciò che siamo adesso lo dobbiamo anche a quei personaggi che spesso consideriamo esclusivamente dei “pezzi da museo”. Così per non relegarli all’oblio il maestro Gino Donvito, per l’occasione, presenterà l’opera “Federico II a cavallo” ed il Centro Danza Grazia Emiliana di Acquaviva delle Fonti organizzerà danze medievali.

Una grande occasione, quindi, per commemorare la figura di uno dei più importanti padri fondatori della città.

Roberto Cazzolla

(da Il Levante)


 Con “Biomonitoriamoci”si realizzerà uno studio per la tutela del territorio

Partono le iniziative 2008 del WWF 

Previsto il censimento dei grillai, un cineforum per l’ambiente e la formazione di un gruppo junior

La biodiversità come risorsa inestimabile da tutelare. E' questo il principio ecologico dal quale si dirameranno le iniziative di quest'anno della sezione locale del WWF di Gioia del Colle e Acquaviva delle Fonti.

Partiranno ufficialmente domenica 10 febbraio le attività del 2008 per la protezione dell'ambiente dell'associazione protezionista. La campagna principale per il 2008 riguarderà proprio la tutela degli ambienti naturali locali mediante una grande azione di salvaguardia. "Biomonitoriamoci", che prenderà il via domenica 10, rappresenterà la più grande iniziativa di bio-monitoraggio delle risorse naturalistiche del territorio locale. Tale azione si inserisce nel percorso già avviato dal WWF International con l'individuazione dei 200 "Hot spots", punti caldi di biodiversità, all'interno delle Ecoregioni mondiali. L'Italia, così come la Puglia, rappresentano alcuni tra i territori più ricchi dal punto di vista ambientale dell'Ecoregione Mediterranea. Proprio il territorio di Gioia del Colle e le aree limitrofe sono individuate a livello internazionale come meritevoli di protezione per l’elevato valore biologico. Preservano, infatti “una elevata quantità di entomofauna (insetti, ndr) ed avifauna, oltre alla presenza di numerosi mammiferi e piante rare”.

Le aree boscate costituiscono un grande patrimonio dell’intera comunità assicurando utili servizi quali la stabilità del suolo, l’aumento di produttività delle coltivazioni, il mantenimento di un adeguato assetto idrogeologico, la mitigazione del clima e la protezione delle specie più minacciate. Pertanto gli interventi di censimento delle aree della murgia sud-est, che la sezione locale avvierà, andranno ad arricchire di conoscenze e dati il grande lavoro di ricognizione del patrimonio mondiale.

Si tratta di un intervento innovativo, mai realizzato prima sul territorio. Sono state individuate 10 aree di pregio del territorio comunale di Gioia del Colle, confinanti con Santeramo, Matera, Acquaviva, Noci, Putignano, Castellaneta e Laterza, all'interno di quella che è stata individuata dal WWF International come "Area 16 - Murge e valli fluviali lucane".

Il Biomonitoraggio prevedrà una serie di campagne di censimento della flora e della fauna (che saranno svolte durante tutto l'anno, divise in tre fasi), l'individuazione dei regimi di tutela presenti e l'elencazione delle principali minacce per le aree individuate. Al termine del monitoraggio, che si avvarrà del lavoro di esperti in Biologia, Scienze Naturali e Geologia, verranno redatte delle schede per ogni area, che entreranno a far parte di una pubblicazione che sarà presentata a dicembre.

Il tutto al fine di realizzare un preciso piano di tutela e gestione delle aree naturalistiche individuate, di proporre alla nuova amministrazione degli interventi di protezione volti alla riconnessione delle aree frammentate (le cosiddetti patch area), di migliorare le conoscenze scientifiche territoriali e di portare alla luce nuove specie mai segnalate prima d'ora.

Il territorio interessato, infatti, non è nuovo al ritrovamento di vere rarità, scoperte proprio dagli esperti WWF, come il Mustiolo (il più piccolo mammifero d'Europa) ritrovato a Serra Capece, l'Istrice rinvenuto nel Bosco Marzagaglia, il Tasso a Montursi, lo Sparviero dei boschi di via Noci o il Colubro leopardino (serpente coloratissimo e minacciato) di Gravina S. Croce. Anche la flora locale annovera specie minacciate come le orchidee, le stazioni di Quercus trojana (Fragno) ed i tappeti di Pungitopo.

Elementi naturali che sono attualmente sconosciuti ai più (anche agli uffici amministrativi competenti che ne dovrebbero garantire la tutela) e, per questo, privi di un adeguato piano per il mantenimento delle popolazioni e la conservazione delle specie . La più grande campagna di biomonitoraggio del WWF mai avviata, prima d'ora, sul territorio servirà proprio a metter su carta, e quindi a tutelare da disboscamento, speculazione edilizia, incendi, discariche abusive, caccia incontrollata, etc., una serie di zone incantevoli ove la natura regna ancora sovrana.

Al fine di condurre il censimento la sezione WWF invita tutti gli esperti e gli appassionati di Biologia, Scienze Naturali, Geologia, Botanica, Zoologia, etc. a partecipare al progetto contattando il numero 3381018014, inviando una e-mail a wwfgioiadelcolle@virgilio.it oppure incontrando i volontari direttamente nella nuova sede in via Orsini 15/A a Gioia del Colle.

Nell'elenco delle attività 2008 della sezione spiccano, tra le altre, l'iniziativa per la tutela del Falco grillaio, che sarà effettuata in primavera, dal titolo "Falchi in città" e la realizzazione di un cineforum per l'ambiente.

Intanto, giovedì 14 febbraio (18:30 - 20:30, presso la sede WWF), partirà il primo incontro del gruppo Junior WWF (dai 6 ai 14 anni). Tutti i genitori che vogliono iscrivere i propri figli (l'iscrizione è gratuita) possono farlo direttamente giovedì. Durante le riunioni quindicinali del gruppo, saranno trattati temi di educazione all'ambiente, visionati e commentati film e cartoni sulla tutela della natura, realizzate attività manuali per approfondire le conoscenze delle scienze naturali e dell'ecologia.

Le riunioni della sezione WWF Gioia-Acquaviva si tengono tutti i martedì dalle 20:30 in via Orsini 15/A a Gioia del Colle presso la nuova sede del gruppo che, presto, sarà inaugurata pubblicamente con una serata dedicata all’ambiente con proiezione di filmati, dibattiti ed un rinfresco vegetariano.

 Roberto Cazzolla


Il Liceo Classico dedica un film alle tragiche pagine dell’Olocausto

Giornata della Memoria, un film per ricordare

Lunedì ci saranno dibattiti in classe e momenti di riflessione

 

Il Giorno della Memoria è una ricorrenza istituita con la Legge n°211 del 20 luglio 2000 dal Parlamento italiano che ha aderito alla proposta internazionale di dichiarare il 27 gennaio come giornata per commemorare le vittime del nazionalsocialismo e dell'Olocausto. Ogni anno, quindi, si ricorda mediante rassegne cinematografiche, mostre, manifestazioni e momenti di riflessione una delle pagine più tristi della storia contemporanea. I Reduci dalla II Guerra Mondiale del circolo gioiese ricordano quegli anni con amarezza. C’è chi ha visto “un compagno ferito mortalmente dai tedeschi, morire dissanguato tra le proprie braccia”; chi ha “lavorato per due anni in Germania alla realizzazione della line ferroviaria”; chi ha prestato servizio “come cuoco o come barbiere” e “quando credevamo che tutto fosse finito e che finalmente stavano per rimpatriarci, ci deportarono ai lavori forzati nelle carceri francesi”. Un altro signore anziano, reduce dalle violenze di una guerra d’ideologie combattuta contro l’idea stessa di uomo, la consapevolezza della diversità, con sguardo triste conferma: “Ho lavorato per i tedeschi nei campi jugoslavi ed ho passato nei balcani ed in regioni al confine con la Russia, buona parte della mia giovinezza. Quanto tornai da lì ero ormai un uomo”. Ma questi affabili anziani, libri viventi di storia che spesso ci ostiniamo a non leggere credendo che la stampa valga più della reale esperienza, possono ritenersi fortunati rispetto ai migliaia di commilitoni che non hanno più fatto ritorno. La stessa sorte di milioni di ebrei che per l’esaltazione e l’arrogante presunzione della purezza, simbolo quanto mai attuale dell’insensata lotta alla diversità di ogni essere del pianeta che ciecamente l’uomo si ostina a combattere, hanno perso la vita ed insieme ad essa l’affetto dei cari, la dignità umana, hanno visto le macabre sofferenze dei campi di sterminio. Il testo dell'articolo 1 della legge che istituisce, di fatto, in Italia la Giornata delle Memoria, così definisce le finalità della commemorazione: «La Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, "Giorno della Memoria", al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati». La scelta della data ricorda il 27 gennaio 1945, quando le truppe sovietiche dell'Armata Rossa, nel corso dell'offensiva in direzione di Berlino, arrivarono presso la città polacca di Oświęcim (nota con il nome tedesco di Auschwitz), scoprendo il suo tristemente famoso campo di concentramento e liberandone i pochi superstiti. La scoperta di Auschwitz e le testimonianze dei sopravvissuti rivelarono compiutamente, per la prima volta al mondo, l'orrore del genocidio nazista.

Sono impresse nella mente di molti le agghiaccianti fotografie ed i tristi filmati di giovani, donne e bambini ridotti all’osso in fila dietro le recinzioni, in attesa di finire nei forni crematori, arsi vivi o gassificati sino all’ultimo respiro. Sono immagini che non devono lasciare la mente della gente, sequenze che devono fungere da monito per le generazioni future, affinché non si compiano altri simili stermini. Proprio per questo il Liceo Classico “P.V. Marone”, così come molte altre scuole medie inferiori e superiori, ha deciso di dedicare la giornata di lunedì 28 alle discussioni ed alle riflessioni in classe degli studenti, coadiuvati dai professori mentre, ha scelto di proiettare martedì presso l’auditorium del Liceo Scientifico “R. Canuto” il film “Senza destino” di Imre Kertesz. La pellicola è un racconto doloroso e dettagliato dell'esistenza in un campo di concentramento attraverso lo sguardo di Gyuri, un giovane ebreo ungherese. Dopo la deportazione del padre in quelli che sono creduti semplicemente campi di lavoro, anche Gyuri viene rastrellato sull'autobus che lo sta portando a scuola. Dopo un periodo passato ad Auschwitz, viene poi spostato a Buchenwald, dove viene perseguitato da un kapò ungherese e dove inizia la sua routine di fatica, dolore, sottomissione e degrado: perde i lunghi riccioli neri, dimagrisce progressivamente, spala sassi, trasporta sacchi pesantissimi, si lava di rado, contrae la scabbia, gli va in cancrena un ginocchio, è costretto a dormire vicino ai moribondi e a passare intere giornate in piedi, al freddo o sotto la pioggia. Eppure non "perde se stesso" - come dirà una volta uscito dal lager, prelevato per miracolo da una fossa comune dalle truppe alleate - né il contatto con la realtà. Una realtà fatta anche di piccole e necessarie astuzie per sopravvivere e di momenti che senza imbarazzo definisce "piacevoli"... Una storia di vita, dunque, come le innumerevoli raccontate in questi anni. Mai abbastanza e sufficienti per evitare il ripetersi di simili genocidi. Tant’è che molti sociologi hanno definito gli eventi del Darfur in Sudan di questi anni o le violente “deportazioni” degli animali da macello, un riproporsi delle vergognose azioni compiute durante il nazismo.  Tent’è che Charles Patterson, storico e critico letterario di storie sull’Olocausto, nel suo famosissimo libro “Un’eterna Treblinka. Il massacro degli animali e l’olocausto” ha descritto così gli eventi del ‘40-’44, paragonandoli alle attuali azioni umane: “Per Hitler contavano solo il potere e il dominio sugli altri e questi valori furono alla base dell’olocausto esattamente come oggi sono alla base dello sfruttamento economico, su scala multinazionale, delle vite e dei corpi di miliardi di animali”. Tant’è che come scrisse Adorno: "L'affermazione ricorrente che i selvaggi, i negri, i giapponesi somigliano ad animali o a scimmie, contiene già la chiave del pogrom (sommosse e persecuzioni popolari antisemite, ndr)”.

 

Roberto Cazzolla

(da Il Levante)


 

 

Un cospicuo finanziamento regionale supporterà le iniziative giovanili

Parte Bollenti Spiriti: i giovani in prima linea

A Gioia parte la ristrutturazione dei locali dei Servizi Sociali

 

Partono finalmente anche a Gioia i lavori per consegnare, entro la fine dell’anno, gli spazi destinati alle associazioni giovanili per lo sviluppo di attività e progetti, nell’ambito del concorso regionale Bollenti Spiriti. Con Bollenti Spiriti è la prima volta che la Regione Puglia decide di investire i fondi della formazione in un progetto organico di finanziamento di studi post-laurea per una così ampia fetta della popolazione pugliese. I 60 milioni di euro stanziati dalle Regione, sono quasi totalmente destinati a finanziare i progetti, praticamente senza costi di gestione e personale. Il progetto riguarda anche il recupero degli spazi urbani. L’intervento, finanziato dal POR Puglia 2000-2006 Mis. 3.7 - “Formazione superiore” Azione d1), sostiene la partecipazione a corsi di perfezionamento o specializzazione post-laurea e a corsi di alta specializzazione per giovani laureati pugliesi di età non superiore ai 32 anni oltre alla realizzazione di progetti giovanili culturali con la riqualifica di spazi cittadini.

A Gioia il luogo scelto per localizzare tutta una serie di attività sarà l’antico palazzo dei Servizi Sociali. Al progetto, il Comune di Gioia ha dedicato molto tempo e questo rappresenta uno dei più innovativi baluardi per la promozione delle attività dei giovani. “Nonostante a Gioia siamo abituati a vedere solo ciò che non va bene, - afferma uno dei responsabili dell’associazione Banedeàpart, che ha seguito e coordinato sin dall’inizio le attività - c’è da dire che silenziosamente si sta concretizzando un progetto per il quale dovremmo essere davvero molto fieri”. In effetti, rispetto al clamore che in questi giorni stanno facendo altri Comuni dell’interland barese, a Gioia sembra che il progetto sia sconosciuto ai più.

“Per gli inizi di febbraio – annunciano entusiasti dai Servizi Sociali, per i quali la dott.ssa Tarulli e la dott.ssa Casamassima hanno partecipato in prima linea alla stesura del progetto – partiranno gli appalti per affidare i lavori di ristrutturazione. Questi prevedono la sistemazione di un ascensore nello stabile e di porte di sicurezza. In una prima fase sarà effettuata la verifica delle spese necessarie per i lavori. Tutto i locali del secondo piano dell’edificio saranno adibiti alle attività delle associazioni e si prevede la realizzazione di una sala per cineforum, di un piccolo spazio teatrale, di una sala prove e registrazione per i gruppi musicali locali. Inoltre saranno ospitate attività nel campo dell’educazione ambientale, della tutela del patrimonio naturale ed attività ludiche e culturali. Saranno realizzati progetti di sostegno e reintegrazione sociale.

Proprio per la gran mole di attività sarà, probabilmente, necessario ristrutturare un altro locale a piano terra, già di proprietà comunale, per destinare in quello spazio altre numerose attività giovanili. Il Comune di Gioia partecipa in collaborazione con quello di Turi ed entro la fine di quest’anno potrebbe essere già tutto pronto per partire con le attività”.

Quindi alla promozione delle attività dei ragazzi sarà unita la ristrutturazione di spazi che attualmente versano in condizioni che ne rendono impossibile l’utilizzo. Ambienti che da “vuoto a perdere” potrebbero diventare il contenitore culturale del paese. Qui dovrebbero concentrarsi gli sforzi per la rinascita sociale di una comunità spesso sorda dinanzi alle problematiche dei cittadini. Qui, i giovani, avranno la possibilità di ottimizzare le loro capacità, le competenze e le passioni, per mettere a frutto un valore spesso non quantificato, ma di grande rilievo nell’economia urbana, qual’è la promozione culturale. Lo stabile comunale, diventerà dunque, non solo luogo ove concentrare idee e progetti, ma anche meta d’incontro tra gruppi, circoli, cooperative e associazioni che possano, con il loro operato, fornire degli utili servizi alla città. Lo sviluppo dal basso, è proprio il caso di dirlo, rende questo progetto davvero interessante e fa onore a chi nel corso di questi anni ha voluto fortemente consegnarlo alla cittadina gioiese. Fa onore ai gruppi di giovani che evidentemente “bamboccioni”, come qualche inappropriato Ministro ha recentemente definito, non sono. Fa onore a ragazzi che nonostante l’inarrestabile ondata di precarietà ed incertezza per il domani, trovano nelle risorse umane e nella promozione delle arti, delle culture e delle scienze un motivo per non guardare ad un futuro incerto ma, per vedere nelle proprie capacità il punto di svolta della società.

Concentrare nelle mani dei giovani lo scettro del rilancio socio-culturale di un paese è una bella sfida a cui l’Amministrazione, va detto, ha concesso un gran supporto. Una scelta coraggiosa che con lungimiranza ha saputo intravedere nelle risorse delle nuove generazioni la possibilità di riscatto dagli errori passati, la voglia di riprende in mano gli spazi urbani e la certezza che comunque vada, si sarà dato spazio a spiriti bollenti, sino ad ora relegati in una pentola a pressione.

Roberto Cazzolla

(da Il Levante)


Le ultime piogge hanno riaperto enormi buchi lungo le strade

Gioia: una città formato groviera

Il problema è che i lavori stradali vengono spesso approssimati

 Piove raramente in questi giorni, ma quando l’acqua scende lo fa con intensità e forza. L’impatto della pioggia sugli asfalti e l’accumulo di acqua lungo le strade e negli strati sottostanti di terreno, ha fatto riaffiorare nell’ultimo periodo un problema con il quale molte città devono confrontarsi. In particolare, Gioia del Colle, è costantemente alle prese con enormi crateri che si formano lungo le strade, buchi nel manto stradale che diventano sempre più profondi col passare del tempo e con la scarsa manutenzione. Solo ieri è stato approssimativamente colmato il grande buco formatosi in seguito alla perforazione per la sostituzione delle tubazioni fognarie, nei pressi dell’ospedale Paradiso. Proprio quel foro, in  via Giovanni XXIII, aveva già causato numerosi danni alle auto che, pur a moderata velocità, si sono ritrovate con le ruote anteriori completamente sprofondate.

Tra le strade che in questi giorni hanno riaperto “vecchie ferite”, una delle più disastrate è certamente via Quattro Ottobre 1917, una parallela di P.zza Pinto che dall’ospedale percorre tutto il paese sino all’incrocio con via Mazzini. Lungo quella strada e le sue parallele, si trovano buchi e sopraelevamenti di ogni tipo. Numerose successive cementazioni hanno reso la carreggiata impraticabile e molto spesso si viaggia con due ruote su di un cordolo alto anche 10-15 cm e le altre due a livello stradale. Per non parlare, poi, dei numerosi tombini superficiali che risultano due o tre centimetri sul livello stradale.

Gli enormi buchi creatisi su queste vie come sulla via per Bari, quella per Castellaneta o sulla ex-statale 100, derivano da un’approssimativa colmatura con materiali inerti fatta in seguito ai lavori che in questi giorni coinvolgono mezza città, per ampliare il sistema fognario con la sostituzione della gran parte delle vecchie tubazioni, con diametro troppo piccolo per poter sopportare gli attuali carichi. Una volta riposizionati i tubi, però, le ditte appaltatrici spesso si disinteressano di colmare i solchi e di riasfaltare la strada, lasciando per settimane, e a volte anche mesi, interi tratti privi di superficie percorribile dalle auto. Sono, ormai ingenti i danni dovuti al pessimo stato di manutenzione delle strade gioiesi. Proprio ieri, in seguito alla pioggia battente dei giorni scorsi, sono sprofondate altre tracce fognarie, lasciando scoperti avvallamenti che in molti casi hanno provocato anche disagi per i pedoni. Alcuni cittadini sono stati vittime di distorsioni o di cadute dopo aver messo i piedi in buchi che, a volte, è anche difficile vedere. L’accumulo di acqua meteorica provoca frequentemente lo sprofondamento degli strati superficiali di catrame e asfalti, poiché essa difficilmente viene drenata ed assorbita dalle radici degli alberi, rari lungo i margini stradali. Nelle strade rurali, ad esempio, non è frequente la formazione di simili voragini proprio perché il terreno poroso ed assorbente, non impermeabilizzato come quello cittadino, permette il percolamento dell’acqua in profondità, ove le radici delle piante possono assorbirla.

In città come Gioia, dove le alberature marginali sono carenti, è frequente che si verifichino simili disagi per gli automobilisti e per i cittadini, in generale. C’è poi da aggiungere che il paese è già, di per sé, sorto su di una vasta area freatica, nel cui sottosuolo si raccolgono numerosi metri cubi d’acqua provenienti anche dalle aree circostanti e dai comuni limitrofi posti ad altitudini superiori rispetto a quelle gioiesi.

Se, a questo, si somma il fatto che sono rari i controlli che l’amministrazione pubblica effettua per verificare se i lavori stradali siano stati compiuti correttamente, si comprende come più che una città italiana, Gioia potrebbe fregiarsi del titolo di città Svizzera, patria del formaggio coi buchi.

Ogni qual volta si manifestano fenomeni meteorologici anche non troppo violenti, si ripresentano gli stessi problemi e spuntano centinaia di crateri lungo le vie della città. Così, come misura momentanea, alcuni operai privati o comunali, colmano alla meglio i fori con pietrisco e ricoprono rapidamente il tutto. Alla successiva pioggia il problema si ripresenta poiché il materiale di riempimento sprofonda insieme all’asfalto, essendo stato sistemato in scarso quantitativo e con poca cura.

Verrebbe da pensare che alle ditte che appaltano simili lavori possa convenire non sistemare al meglio le strade dopo gli scavi, visto che nessuno controlla, per poi ricevere ulteriori compensi per riasfaltare i buchi. Ma, pur non volendo pensar male, è evidente lo sperpero di denaro pubblico che settimanalmente si realizza a Gioia. Tutto questo perché i lavori pubblici vengono condotti nella totale anarchia delle ditte che sono libere di agire e lasciare in sospeso i lavori. Sono mesi che i cittadini vivono alle prese con i disagi dovuti ad interminabili sostituzioni di tubi e sono anni che il paese sprofonda su se stesso ad ogni pioggia.

Forse una più accurata verifica dei lavori e la piantumazione di alberi lungo le carreggiate stradali più a rischio di allagamento, eviterebbe al Comune di dover spendere soldi per immettere incoscientemente e contro la legge, acqua di lavaggio stradale nella falda. Forse un po’ di soldi risparmiati, potrebbero essere utilizzati per migliorare davvero le strade urbane ed aumentare la quantità del verde pubblico.

Roberto Cazzolla

(da Il Levante)


Non esistono le pensiline, le fermate nessuno le conosce, ma i fondi sono stati stanziati

Bus urbano: chi l’ha mai preso?

Il mezzo pubblico circola perennemente vuoto. Il servizio è affidato alla Sabato

Sono numerose le lamentele che giungono da parte dei cittadini sulle carenze ed i disservizi dell’autobus urbano che circola da tempo per le strade gioiesi. Lo si vede percorrere strade e stradine con a bordo solo l’autista. Il mezzo che dovrebbe percorrere quella che definiscono “Autocorsa Circolare”, attraversa il paese dalle 8:15 alle 21:10. Si muove in maniera circolare per ben otto volte, con una sola pausa tra le 13 e le 15.

Un ottimo servizio, si direbbe, viste le continue polemiche sul traffico, l’inquinamento cittadino e le limitazioni delle emissioni di CO2 per combattere l’effetto serra. Peccato che transiti tutto il giorno desolato come un deserto. A volte vedi il conducente che parla con l’unica persona a bordo della giornata.

Per testare le numerose lamentele del disservizio, ci siamo immedesimati in un anziano o in una signora con la spesa tra le mani, che decidono di lasciare a casa l’auto e spostarsi “comodamente” col mezzo pubblico tra un supermercato e l’altro. Tra un negozio ed un ufficio.

L’ardua impresa inizia già nel tentativo di conoscere quali sono le soste e quali gli orari del bus n°3 (che nonostante il numero, è l’unico in circolazione). I tabaccai non ne hanno mai sentito parlare, le edicole sanno della sua esistenza ma ignorano orari e fermate. Alcuni hanno ricevuto un volantino fotocopiato male su cui si intravedono le tappe. Difficile, però distribuirlo ai cittadini visto che molte edicole non hanno la fotocopiatrice.

Allora, chiediamo semplicemente all’edicolante di indicarci la fermata più vicina. “Via Regina Elena alle 12:47 o giù di lì”. Certo, sembra facile ma, sull’orario diffuso dall’agenzia Sabato Viaggi, che gestisce il servizio per conto del Comune, sono indicare tre fermate nel giro di pochi minuti per quella via. Così, esci dall’edicola e cerchi almeno un cartello dove sia indicata la fermata. Ti guardi intorno ma, niente. Prosegui per altri cinquanta metri verso Piazza Pinto e ti accorgi che un cartello con la sigla “Scoppio” c’è. Ti avvicini per leggerlo ma è vano il tentativo. Il carattere è striminzito, le soste incomprensibili ed è alto quasi tre metri. Come può un anziano con diottrie certamente ridotte, capire dove e quando si ferma l’autobus? Quello che certamente si legge è la pubblicità che sovrasta il cartello. Enorme, almeno dieci caratteri più grande del tabellino di marcia. Sono le 12:30 ma il bus, comunque, non passa.

Va beh, pensiamo, sarà un caso. Così proseguendo verso Piazza Pinto ci ricordiamo che l’edicolante ha detto che anche lì ad un certo orario si ferma il bus. Non avendo le fermate sottomano, cerchiamo un nuovo cartello di sosta.

In Piazza c’è un altro palo con la scritta “Scoppio”. Stavolta gli orari, forse perché in favore di luce, sono più visibili. C’è scritto “autolinea Gioia del Colle-Ospedale Miulli”. Ma che c’entra? Dopo aver percorso centinaia di metri, aver perso, secondo i tempi di percorrenza riportati dalla Sabato, tre o quattro fermate senza aver mai visto l’autobus, ci rechiamo presso la sede della Sabato Viaggi nelle vicinanze della Piazza, per chiedere chiarimenti.

Innanzitutto, richiediamo il foglio con gli orari e le fermate. Lo stampano ma, è tagliato come quello dell’edicola. Le vie si intuiscono. Poco male, pensiamo, rispetto al resto. Facendosi più insistenti le nostre domande e non trovando alcuna risposta, la gentile signorina che ci accoglie passa la mano al responsabile del servizio urbano. “Ma no - ci dice, quando gli facciamo notare i numerosi disservizi che impediscono ai cittadini di servirsi del mezzo pubblico – il problema è che al 90% la colpa è della gente, perché non è abituata e non ha voglia di utilizzare il bus”. Ma come non ha voglia, se le fermate non si conoscono e gli orari non vengono rispettati? “Per alcune fermate ci sono cartelli come quelli – e ci indica il palo in Piazza Plebiscito, con su scritte le fermate per il Miulli, che avevamo appena consultato – lì può leggere gli orari”. Allora vuole prenderci in giro? Su quel cartello non sono indicati gli orari del mezzo urbano ed anche se lo fossero, per la maggior parte dei cittadini, a meno di una vista bionica, risulterebbero illeggibili. E le pensiline? Sappiano che avevate il compito di sistemarle nei punti più frequentati. “Su quelle ci stiamo adeguando. Entro il prossimo mese dovrebbero essere posizionate”. Peccato che il servizio funziona da più di un anno e le paline ancora non ci sono. Chi mai sosterebbe decine di minuti sotto la pioggia per prendere un bus che poi, probabilmente, non passerà? “Sa – proseguono in arringa dalla Sabato – il martedì è sempre pieno, perché è gratuito. Gli altri giorni, invece, siccome il biglietto costa 50 centesimi – 70, lo corregge una ragazza – ah, 70 è vero, nessuno lo prende”. Forse, il problema non è il costo del biglietto quanto, il fatto che non conoscendo soste ed orari ed aspettando alle intemperie vanamente l’arrivo dell’autobus, in molti scelgono di andare a piedi o di usare l’auto. Eppure, siamo certi, a molti farebbe comodo il mezzo pubblico. “Sono convinto – insiste il dirigente della Sabato Viaggi – che quando, tra poco si dovrà pagare il biglietto anche per il martedì, ci saranno due o tre persone sul mezzo”. Bella scusa per coprire un disservizio. I cittadini, invece, sono convinti che se la Sabato facesse al meglio il suo lavoro, con la sistemazione delle pensiline e dei cartelli di sosta con gli orari, la pubblicizzazione di fermate, delle tabelle orarie e dei punti d’acquisto dei biglietti (dove si comprano attualmente?), servizi per i quali è stata profumatamente pagata dalla Regione Puglia, forse il numero di passeggeri al giorno del bus urbano salirebbe dalla pietosa quota di uno: il conducente!

L’Ufficio Traffico del Comune: “Non dipende da noi il disservizio”

“Quasi 100000 Euro dalla Regione per il servizio pubblico”

Il mezzo pubblico dovrebbe essere una delle risposte concrete contro l’effetto serra, l’inquinamento atmosferico delle città e lo stress da traffico. Dovrebbe essere un servizio ed, invece, a Gioia è un’impresa da Titani prendere l’autobus per spostarsi.

Per capire meglio le cause del disservizio, siamo stati presso l’Ufficio Traffico del Comune.

Abbiamo provato a prendere il mezzo pubblico ma, è davvero una delle fatiche di Ercole. Da chi dipende questo disagio?

“Il Comune non ha colpe – risponde il dirigente – perché il servizio è affidato interamente alla Sabato Viaggi”.

Quindi voi non siete al corrente di come questo servizio venga gestito?

“A noi hanno comunicato semplicemente la tratta percorsa e le fermate. Il problema è che con un solo mezzo vogliono fare decine di fermate ed è quasi impossibile arrivarci in orario”.

Effettivamente le soste sono più di 30, per otto volte al giorno. Un percorso davvero arduo per un servizio che scontenta la maggior parte dei cittadini.

“Purtroppo noi siamo al corrente degli adeguamenti effettuati dopo il piano traffico e di come si è modificato il loro percorso. Vengono comunicate all’ufficio di Polizia Municipale le cifre sul numero di biglietti ma, nulla più”.

Il problema è che con un autobus che circola vuoto tutto il giorno, si rischia di inquinare più di quanto si emetterebbe se le 50 persone, che su quel bus possono salirci, prendessero l’auto invece del mezzo pubblico. Ovunque si incontri l’autobus, all’interno vedi solo l’autista. Ma i fondi per gestire il servizio da chi provengono e a quanto ammontano?

“E’ la Regione Puglia ad elargire i fondi ed all’epoca dello stanziamento, in Lire, furono consegnati nelle mani della ditta Sabato circa 200 milioni, praticamente quasi 100 mila Euro. Con quei soldi dovevano essere sistemate pensiline, cartellonistica e migliorato il servizio. Da parte nostra, possiamo recepire il problema e sollecitare l’azienda”.

Sarebbe il minimo, visto che si tratta di soldi pubblici spesi per far consumare benzina ad un autobus vuoto…ed il resto del fondo che fine ha fatto?

“E’ vero. Ci aspettiamo una segnalazione scritta per invitare la Sabato a ripristinare correttamente il servizio urbano e capire cosa non va”. 

Roberto Cazzolla

(da Il Levante)


L’area pericolosissima è gia stata segnalata ma, nessuno interviene

“Da due anni minacciati dall’amianto”

Lungo il binario ferroviario, una vasta discarica d’amianto, mai bonificata

 “E’ da due anni che abbiamo segnalato la situazione – dichiara il signor Stea che, per primo, ha sollevato il problema della discarica abusiva di amianto in via Vicinale del Bambino – all’interno ci sono pietre, scarti edili e soprattutto, le pericolose lastre in eternit. Ci sono pezzi sgretolati e addirittura, cisterne in amianto”.

L’area si estende su un triangolo di terra di proprietà del Comune di Gioia del Colle, come risulta dal catasto comunale. Nel catasto viene, inverosimilmente, indicata come area adibita al pascolo. Poveri pastori, dunque, e povero bestiame costretto a camminare fra le finissime fibre che volano costantemente alla prima folata di vento. Si vedono in controluce ed hanno la preoccupante capacità di penetrare in profondità nei polmoni sino a raggiungere i bronchi ed i bronchioli, causando malattie come il mesotelioma pleurico e l’asbestosi. Queste, in molti casi, risultano mortali.

“Eppure – sostiene il sig. Stea – già nel gennaio del 2006 avevo segnalato la situazione al Sindaco ma, nulla cambiò. Così lo scorso anno, nel 2007, dal Comune mi dissero che la Spes avrebbe bonificato al più presto l’area, che sarebbero dovuti intervenire loro. Anche i dirigenti della stessa azienda mi assicurarono un rapido intervento ma, è passato ancora un anno, e l’amianto è ancora lì”.

Anzi, nel frattempo, sembra che le lastre depositate siano aumentate e si vedono i segni delle ruote di qualcuno che probabilmente, tuttora, continua a scaricare. Tra l’erba, sul muretto a secco, fra le pietre e frammentati su tutto il suolo si vedono pezzi di tettoie, scaricate senza la minima precauzione. All’area si arriva lasciando alle spalle i magazzini del Penny Market, da contrada 5 Parieti e proseguendo sino a raggiungere il binario ferroviario. Lì c’è una terra di nessuno che da anni viene utilizzata come discarica abusiva del pericolosissimo asbesto. Da quando nel 1992 fu messo al bando in Italia, centinaia di migliaia di lastre furono scaricate abusivamente nelle campagne, in barba ai dettami della legge n°257/92 che prevede per tutti i possessori del materiale di contattare le ditte specializzate per la messa in sicurezza, che rendono innocuo per la salute umana ed evitano la dispersione particellare tramite l’isolamento della fibre, il trattamento dei pezzi e lo smaltimento controllato.

E’ proprio lo sgretolamento delle tettoie intere a provocare la dispersione delle fibre che come microscopiche schegge penetrano attraverso le vie respiratorie e si insinuano in profondità.

L’aspetto più assurdo è che “recentemente – continua il sig. Stea – qualcuno è venuto a prendere delle pietre, forse utilizzate nelle costruzioni o in campagna, proprio dalla zona contaminata dall’amianto”. Così, dopo averlo scaricato illegalmente, ora c’è qualcuno che sta costruendo palazzi o muretti a secco con massi ricoperti da fibre killer. Se la bonifica fosse avvenuta subito dopo la prima segnalazione del cittadino, simili inconvenienti si sarebbero potuti evitare. Si nota, infatti, al centro della discarica un vuoto dovuto alla rimozione di pietre. Rimozione, però, che non è stata effettuate per bonificare l’area ma, per procurarsi incautamente del materiale da costruzione gratuito. Materia prima intrisa di sottilissimi ed invisibili frammenti di amianto.

Così la bomba sanitaria rischia di espandersi e coinvolgere persone lontane anche centinaia di metri dal sito. E’ necessario bloccare qualunque tentativo di rimozione del materiale della discarica da parte di privati cittadini, al fine di evitare una dispersione a macchia d’olio delle fibre ed è, inoltre, fondamentale mettere subito in sicurezza la zona con l’isolamento del materiale bandito e la bonifica dei terreni.

I molti contadini che lavorano nei paraggi, così come le abitazioni, sono seriamente a rischio durante le giornate ventose che possono trasportare le fibre anche a chilometri di distanza.

La piaga dell’amianto continua a colpire. Gli incoscienti che seminano pezzi mortali del temuto minerale, minacciano la loro stessa salute poiché, inconsapevolmente, immettono nell’ambiente particelle che si diffondono a grandi distanze. Coloro che non bonificano aree ad altissimo pericolo sanitario, come queste, sono, però, allo stesso tempo complici dell’incuria e dell’aumento dei casi di patologie tumorali gravi che colpiscono animali e persone. Simili ordigni ecologici andrebbero disinnescati prima che sia troppo tardi e che le statistiche sulle morti per amianto si arricchiscano di nuovi dati.

 Roberto Cazzolla

(da Il Levante)


Tra archi decadenti, ipogei sconosciuti e masserie incustodite

Chi tutela e chi promuove il patrimonio storico?

Viaggio nello sperpero del patrimonio culturale di Gioia del Colle 

Quante volte si sente elogiare le ricchezze storiche delle città, quante volte piccole testimonianze del passato attirano turisti d’ogni continente. Bastano poche pietre, qualche tomba o una chiesa antica a magnetizzare la voglia di scoperta della gente, convogliando denaro nelle casse dei Comuni interessati, benefici economici per le aziende ed i residenti della zona. Si promuove un territorio e si vive di quello. Sono molti i casi di piccole o medie città la cui economia si fonda, soprattutto, sul turismo e sulla promozione del patrimonio culturale.

A Gioia, invece, ove non ci sono solo pietre innalzate a monumenti, ma veri e propri  tesori archeologici, rurali ed urbani, c’è l’assurda tendenza a non prendere in considerazione le possibilità offerte da simili testimonianze del passato.

C’è un castello normanno-svevo, tra quelli preferiti da Federico II nella vasta quantità dei suoi possedimenti dopo Castel del Monte, un Municipio che è di per sé un monumento, il Teatro Rossini che di anno in anno rischia l’abbandono per poi essere, fortunatamente grazie alla lungimiranza di pochi gioiesi e del Teatro Kismet, salvato in extremis, c’è la caserma dei Carabinieri, ristrutturata con dubbia attenzione, l’ex-distilleria Cassano, il molino ora macello (che salto di qualità!), la vecchia cantina sociale e chi più ne ha, ne metta.

Il problema è che di questo straordinario valore storico più della metà è in totale decadenza, lasciato all’incuria ed ai capricci del tempo. Non c’è neanche l’ombra della promozione, neanche la parvenza di un accenno di politiche per attirare turisti. Eppure quanto farebbe bene alla comunità la riscoperta di questi scorci nascosti nel tempo. Quanta fresca e nuova economia fiorirebbe dinanzi all’afflusso del turismo. Gioia come una nuova meta di adorazione culturale. Basterebbero dei pacchetti turistici, una rete sentieristica ufficiale ed un sito internet. Il resto, poi, andrebbe da sé.

La maggior parte degli archi presenti nel centro storico è sconosciuto ai più. Inoltre, molti necessiterebbero di manutenzione, da svolgere in maniera accurata e senza modificare l’antica architettura. Ed i palazzi della zona antica? Ognuno fa quel che gli pare. Sopraelevamenti, pitturazioni arlecchine, porte avveniristiche, verande hawaiane, balconi marziani, etc.

Così, privato di ogni regolamentazione, il centro storico patisce i colpi dell’indifferenza e viene sempre più relegato ad area d’abbandono, ove un tempo c’era la gente ma ora fioriscono solo gli affari edilizi. Ci sono Comuni del circondario, come Noci, dove il centro storico ha una funzione vitale per il paese; si organizzano sagre di successo; si attirano turisti d’ogni dove.

Invece a Gioia, ci sono decine di ipogei straordinariamente belli, dove all’interno sembra di aver fatto un salto nel passato, una macchina del tempo sotto i nostri piedi, ma in pochi sanno della loro esistenza.

In quanti hanno visitato quelli della chiesa di S. Francesco, di S. Maria Maggiore (chiesa Madre), di S. Antonio, con i pozzi e le cisterne, le cripte e le botole? Quanti conoscono la cisterna di via Fontana o il complesso cimiteriale della chiesa di S. Antonio? Ma non è solo colpa dell’indifferenza dei cittadini. Perché molti di questi posti non sono resi accessibili ai turisti, non vengono valorizzati e giacciono per ottusagine di politici, soprintendenze ed, a volte, parroci nell’oblio più totale. Qualcuno ha mai visitato il pozzo del Castello o il presunto passaggio segreto tra la chiesa Madre, il Fortino svevo e Monte Sannace? Ci sono amministrazioni che farebbero salti mortali per avere concentrati nel proprio territorio una tale quantità di beni storici ed archeologici. Che dire poi di Santo Mola, la necropoli peuceta recentemente riscoperta, nascosta in fretta e furia da abitazioni e lasciata soffocare in attesa di posteri migliori? Per non parlare delle numerose e straordinariamente belle masserie abbandonate nelle campagne gioiesi. Quelle di via Vecchia Laterza o di Marzagaglia, con stalle, dormitori, alcune con iscrizioni o affreschi. Altre con reperti religiosi, campane, altari, mangiatoie…Poi ci sono i numerosi trulli sparsi sul territorio, in particolare tra la via per Turi e quella per Putignano. Affascinanti resti di antiche popolazioni, perfettamente integrati nel paesaggio e degni del più valoroso sforzo conservativo.

Invece, quando si parla di Gioia del Colle, si accenna a stento agli scavi di Monte Sannace, dimenticando l’immenso patrimonio che questo paesino murgiano conserva.

Ma non è colpa di nessuno se la cultura qui, è all’ultimo posto, non è colpa dei politici scelti dell’accentuata inconsistenza dell’impegno cittadino, non è colpa dei cittadini vittime di scelte ignobili dei politici…intanto, però, nel balletto delle colpe un’inestimabile tesoro si sgretola distrutto dall’indifferenza. La stessa indifferenza che porta a ritenere le insulse diatribe politiche più importanti della preservazione dell’identità di un popolo e di mille culture, più pressante della necessità di creare turismo e promozione in una città che di queste risorse ne ha da vendere. E, certamente, da guadagnare…

 Roberto Cazzolla

(da Il Levante)


Le esche velenose per ratti sono ancora posizionate nei giardini pubblici

Veleni pubblici: da mesi nessuno li rimuove

Esiste il serio pericolo che qualche bambino o animale domestico li tocchi

“La ditta di Triggiano che li ha sistemati, avrebbe dovuto rimuoverli – fanno sapere dall’Ufficio Tecnico del Comune di Gioia del Colle – comunque ci informeremo sul perché sono ancora lì”.

Intanto, però, le esche velenose posizionate ben 5 mesi fa, esattamente il 5 settembre 2007, nei giardini pubblici per dar battaglia ai presunti ratti che infestano la città, sono ancora lì e non sono stati ancora rimossi.

Le esche sono formate da tubi a T capovolti con un gancio metallico interno che sostiene una bustina di anticoagulante. Sono state posizionate in varie aree della città, in particolare in P.zza Pinto. Qui, le si trova in grandi quantità attaccate sotto i bidoncini della spazzatura. Il che fa sorridere, perché se è vero che in questo modo i topi possono essere attirati dall’odore dei rifiuti e, quindi, cadere più facilmente nella trappola, c’è da dire che questi animali sono molto più intelligenti di quello che pensiamo e difficilmente sceglierebbero una bustina di veleno al posto di un mezzo panino al prosciutto. Così di sera i roditori si potrebbero avvicinare alle esche, ma grazie al loro potentissimo olfatto (di gran lunga migliore di quello dei cani, tant’è che molti ratti vengono utilizzati per individuare le mine che, fortunatamente, riconoscono senza saltare in aria) eludere completamente i veleni ed infilarsi nei bidoncini bassi per cibarsi di scarti.

L’aspetto più curioso della vicenda è che, probabilmente, pur volendo, questi ratti delle specie Rattus rattus e Rattus norvagicus, ratto nero e ratto grigio, che vivono nelle fogne e tra la spazzatura umana (altrimenti non avrebbero popolazioni così numerose), non hanno possibilità di accesso all’interno dei tubi viste le loro dimensioni più elevate rispetto al comune ed innocuo topolino Mus musculus, che diventa certo più facile vittima, considerata la modesta mole che gli permette di accedere nei tubi. Così, non solo non si riduce la popolazione dei ratti, ma si stermina un roditore simpatico ed innocuo che condivide da secoli gli spazi verdi urbani con l’uomo.

Ciò che più preoccupa, però, è il fatto che queste esche stazionino per strada da molti mesi, nella totale incuria ed accessibili a bambini ed animali domestici. Al disopra delle esche ci sono cartelli che indicano il tipo di antidoto da utilizzare in caso di contatto: vitamina K (un forte coagulante del sangue, con azione antagonista rispetto al veleno). Il pericolo di avvelenamento di animali e bambini, non è così remoto e più passa il tempo, maggiori sono le probabilità.

Oltre al comprovato insuccesso delle esche, visto che nella maggior parte dei tubi esse sono lì al loro posto completamente inviolate, c’è da evidenziare che alcune sono state manomesse ed in altre le bustine sono fuoriuscite e si rinvengono nei paraggi. Inoltre, l’acqua piovana che talvolta riempie i tubi, rischia di far imputridire i pacchettini che contengono il veleno e di riversarlo fuori.

Altro particolare aspetto è che, se le esche avessero funzionato si sarebbe rinvenuto qualche ratto morto poco distante, e chi l’avrebbe rimosso? Chi avrebbe garantito che gatti, cani o persone non ne venissero in contatto? Oltre al veleno, il pericolo deriverebbe da un animale morto portatore di parassiti. Quindi, sembra che alle “buone intenzioni”, se così si può ironicamente chiamare la volontà di sterminio dei roditori, non siano seguiti i giusti accorgimenti per tutelare la salute dei cittadini.

Anche perché, i tubi sono facilmente manomettibili e tenendo conto dei vandalici atti che di sera in sera si compiono nei giardini pubblici, c’è da aspettarsi che prima o poi, simili veleni finiscano nelle mani di qualche ragazzino imprudente.

Come sia possibile che da settembre dello scorso anno, siano ancora presenti pericolosi veleni negli spazi pubblici più frequentati? E’ mai possibile che le ditte private che appaltano un servizio, spesso si disinteressano del portare a conclusione l’opera? Si potrebbe, malignamente, pensare che una volta intascata la provvigione per il lavoro, queste si disinteressino del prosieguo…Ma per non essere sospettosi, bisognerebbe almeno sollecitare gli amministratori pubblici a tenere maggiormente sottocontrollo simili vicende che interessano la cittadinanza.

Forse, una miglior lotta per evitare l’accrescimento delle popolazioni dei ratti, sarebbe quella di ridurre al minimo il rifiuto organico nei cassonetti (magari iniziando a raccoglierlo separatamente per conferirlo nelle compostiere), diminuire il carico organico degli scarichi fognari, evitando di scaricare nel water fazzoletti, cibo, etc. che finiscono nelle fogne ed oltre a diventare cibo per i roditori, aumentano la temperatura delle tubazioni, creando il crogiuolo ideale per la riproduzione del roditore. Ma per tutto questo serve una spinta dall’alto, un’ordinanza sindacale. Così si evita di avvelenare incautamente cani, gatti e bambini, e si risparmia la vita all’innocuo topolino comune. Nel frattempo, bisogna urgentemente rimuovere le esche prima che il bersaglio dell’infame trappola cambi di specie…

 Roberto Cazzolla

(da Il Levante)


Le piccole cave per l’estrazione del tufo, colmate abusivamente

Ora le Tufare son piene di rifiuti

La gente della zona e qualche grande azienda le sta riempiendo illegalmente

Appare strano comprendere a fondo l’origine dei materiali che quotidianamente derivano da fonti naturali. Così ci si stupisce quando si scopre che il duttile alluminio è ricavato dalla bauxite, estratta con molta fatica e notevole impatto ambientale, dal cuore delle montagne. Ci si meraviglia all’inverosimile quando si apprende con quale sacrificio forestale vengano ricavati i numerosi fogli di carta che quotidianamente, dopo un minimo scarabocchio, noi buttiamo via o quanta silice sia necessaria per produrre il vetro oppure quanto petrolio venga sprecato durante la foggiatura delle plastiche.

Allo stesso modo sorprende apprendere che i palazzi, le case e tutte le altre costruzioni sono in piedi grazie alle numerose tonnellate di tufi estratti dalle cave, in zone ricche di questa concrezione minerale.

A Gioia esiste un luogo che per decenni è stato utilizzato nell’estrazione del tufo, garantendo una costante fuoriuscita di materie prime utili nei più svariati utilizzi edili. Lungo la via delle tufare, tra Gioia e Santeramo in Colle, si sono svolte storie di scavatori ed operai che con grande fatica estraevano la preziosa pietra morbida e friabile, che spesso viene divisa in blocchi tetragonali all’interno di appositi macchinari. L’estrazione del tufo, com’è comprensibile, può avvenire solo in zone in cui tra gli strati superiori di terreno e la roccia madre sottostante si vengono a trovare lamine di roccia porosa e friabile, denominata appunto tufo. Il vero tufo, quello laziale od il famoso “giallo” campano, deriva da processi eruttivi vulcanici ed è, quindi, una roccia vulcanica piroclastica, mentre quello pugliese, così come quello estratto dalle cave di Gioia del Colle, è un tufo improprio, trattandosi di calcari formati da sedimenti precipitati grazie all'azione dell'acqua, che generalmente includono tracce di vegetali o di conchiglie fossilizzate.

In questi anni in cui le cave sono state abbandonate a se stesse, non essendo più utilizzate per l’estrazione, privati cittadini ed aziende della zona, hanno abusivamente sversato una gran quantità di rifiuti all’interno di una di esse, in contrada delle Tufare. La scoperta, recentissima, è avvenuta dopo la segnalazione di alcuni residenti della zona che hanno notato la presenza di lavatrici, carcasse d’auto, prenumatici, batterie d’auto, amianto, televisori, ferraglie, ceneri e fanghi. Sono proprio questi ultimi a preoccupare vista la possibilità che si tratti di fanghi di depurazione contenenti metalli pesanti e sostanze tossiche. Così, in un paesaggio dantesco, ove le pareti scendono in profondità, ricoperte da vegetazione, come fossero gironi a più settori, in ognuno dei quali la natura sta ristabilendo il suo controllo, si scopre nuovamente l’altra faccia dell’abuso umano. Dapprima, lo sventramento di un territorio con la formazione di crateri sparsi, azione però a modesto impatto ed utile ai fini dell’edilizia, poi, la più deleteria e pericolosa immissione illegale di rifiuti delle più svariate tipologie all’interno della foro creato. Del ritrovamento della colmatura, decine di metri cubi, con rifiuti pericolosi saranno messe al corrente le forze dell’ordine, nella speranza che l’area venga sottoposta a sequestro penale ed il reato non venga perpetrato. C’è da chiarire anche chi sia, una volta conclusosi i lavori di scavo, il legittimo proprietario della zona, un privato cittadino o il Comune, perché anche questo sarà soggetto d’indagine, visto l’uso improprio del territorio che si sta facendo.

La conferma dell’attuale utilizzo dell’area come discarica arriva dalla constatazione che al margine della cava che affaccia sulla strada si vedono numerosi segni di pneumatici e fanghi freschi, non essiccati. All’interno, inoltre, si rinvengono materiali da costruzione, lastre in eternit, barattoli di vernice, reti per letti, etc. Insospettisce l’elevata quantità di cumuli di terra, tipici “nascondigli” dei più svariati rifiuti tra cui, solitamente, quelli chimici.

Il tutto è stato realizzato in una zona ad elevatissima presenza agricola. Si notano nei terreni circostanti uliveti, vigneti, orti e campi a grano. Tutte queste colture, rischiano l’inquinamento a causa del percolamento nel suolo permeabile, dei liquami con la contaminazione della falda sotterranea.

Appare, quindi, importante la rapida bonifica e messa in sicurezza del sito, con la possibile soluzione di colmare i fori delle antiche tufare con inerti (legno, pietra, tufo stesso) oppure, con la più costruttiva idea di lasciare così com’è l’area per testimoniare alle generazioni future come sia potuta sorgere l’immensa mole dei palazzi della città e quanto sacrificio umano ed ambientale questo è costato. Magari, i giovani, rendendosi conto in prima persona del peso economico ed ecologico di aspetti della vita che spesso si danno per scontati, come la costruzione di un palazzo, potranno apprezzare il duro lavoro ed il grande servigio che gratuitamente gli ambienti naturali ci forniscono. E, forse, smetteranno di colmare con indifferenza e superficialità, il ventre della terra che per lunghi anni ha permesso alle loro famiglie di vivere al riparo dalle intemperie, al sicuro con un tetto sulla testa, avvolti tra le quattro mura.

 Roberto Cazzolla

(da Il Levante)


Serve un segnale forte da parte delle forze dell’ordine

Pugno duro contro i delinquenti

Ennesimo furto in casa in questi giorni di esplosione della malavita

Un altro furto è avvenuto in questi giorni di esplosione della malavita gioiese. Ignoti dopo essersi intrufolati silenziosamente in un’abitazione a piano terra in una traversa della chiesa Immacolata, hanno sottratto una borsa e sono fuggiti. Sembra che si trattasse di due persone che approfittando della porta aperta dalla signora residente nell’abitazione al fine di far arieggiare l’ambiente, sono entrati silenziosamente prendendo dal tavolo del soggiorno una borsa di valore con all’interno, cellulari, documenti, occhiali da vista, soldi e carte prepagate. I ladri, sono poi scappati, sembrerebbe a piedi, attraverso le stradine della zona di via Mazzini. La vittima del furto, ignara dell’accaduto perché si trovava nella cucina dell’appartamento, si è, solo dopo parecchi minuti, accorta che le era stata rubata la borsa. A quel punto, costernata, è corsa dai Carabinieri che non hanno potuto, però, ricevere l’esposto in quanto la donna era priva del documento d’identità sottrattogli. La vicenda ha visto un risvolto a buon fine, poiché la mattina seguente una signora, con grande senso civico e bontà d’animo, ha contattato la derubata, dicendole di aver ritrovato la sua borsa con i documenti nei pressi di via della Chiusa e glie l’ha riconsegnata. All’interno erano stati sottratti dai malavitosi i soldi, i cellulari e le carte prepagate. Almeno occhiali e documenti, oltre alla borsa stessa, grazie al generoso gesto di un cittadino, sono stati riconsegnati al legittimo proprietario. L’ennesimo atto delinquenziale, dunque, che in questo periodo vede una crescita esponenziale di rapine, scippi e furti.

Mentre, tragicamente si è spenta l’esistenza di Giuseppe Intelletto, vittima innocente della sparatoria dell’Epifania in via della Fiera, alla cui famiglia va tutto il cordoglio e l’affetto della città intera, sconvolta dall’efferatezza di un delitto frutto dell’ingorda smania di denaro che affligge, ormai, l’intera umanità, sono in molti da più fronti a chiedere uno sforzo in più alle forze dell’ordine per individuare gli artefici delle rapine e contrastare l’espansione del fenomeno malavitoso.

Certo, assicurare alla giustizia i colpevoli, non riporta in vita le vittime e nemmeno il senso di totale smarrimento che coinvolge i parenti, increduli di come tanta brutalità possa scaturire dall’ignobile desiderio dell’avere.

Però, è estremamente importante che gli agenti di polizia intensifichino le indagini e diano, ai cittadini, un nuovo senso di fiducia in coloro che dovrebbero tutelarli da simili vicende. E’ anche vero, che il senso d’immoralità nelle azioni quotidiane, non può garantirlo una divisa o un agente armato, ma deve assicurarlo il senso di giustizia interiore che col passare del tempo si fa sempre più labile, sfociando in atti criminosi compiuti nella più totale disinvoltura.

Da indiscrezioni, sembra che ci siano già dei fermati per accertamenti, quali probabili coinvolti nella sparatoria del 6 gennaio. I Carabinieri stanno facendo indagini a tappeto e tutti si augurano che presto, possano essere arrestati i colpevoli. Nel frattempo bisogna che gli agenti del corposo comando locale dei Carabinieri, riportino al paese un nuovo senso di fiducia e tranquillità.

L’inusualità, per Gioia, di simili eventi ha scosso anche i commercianti ed è facile osservare, in questi giorni, chiusure anticipate dei negozi e dei bar, oppure aperture esclusivamente diurne. Sarà un caso, ma le vicende di queste settimane hanno lasciato il segno un po’ in tutta la popolazione.

Il senso di smarrimento della società moderna, accompagnato al sempre più evidente diradamento ed alla costante emarginazione delle periferie, conduce inevitabilmente a fenomeni di esasperazione sociale che sfociano nella micro e, purtroppo a volte, nella macro – delinquenza.

Per questo, si fa evidente la necessità di nuove politiche sociali, di tutela delle fasce emarginate, con l’apertura di sportelli di comunicazione del disagio, di accoglienza e conforto. Probabilmente, questo non fermerà del tutto gli scippi e le rapine, ma permetterà di comprendere parte dei bisogni della gente.

Non si deve, però, allo stesso tempo cadere nell’eccesso di buonismo giustificando i reati con pseudo-motivazioni sociali. E’ giusto che i colpevoli di ogni atto criminale vengano puniti e che le persone coinvolte sentano che, in parte, sia fatta giustizia. E’ inspiegabile, e probabilmente dovuto ad un senso di emulazione o al sentore dell’impunità, che nell’arco di tre settimane sia avvenuta in paese la sparatoria della Befana, il furto presso l’associazione Città Nuova, la rapina nei locali del musicista gioiese Gegè, due o tre scippi ai danni di incolpevoli cittadini. Tutto questo deve far riflettere e motivare le forze dell’ordine al ripristino delle serene condizioni di vita. Perché, se è fisiologico che in una città in espansione come Gioia, avvengano furti ed altri atti delinquenziali, non si può, non si deve, giustificare in alcun modo un omicidio.

La vita conta più di qualunque somma di denaro e nel dolore di chi resta si può soltanto apparentemente vedere il vuoto creato da un esistenza che non c’è più. Ma nel dolore si trova la forza per chiedere che giustizia sia fatta ed in chi resta, l’essenza di quella vita tragicamente scomparsa, permane con forza a conservarne il ricordo. Ed allora l’esistenza assume, di nuovo, l’immagine chiara dell’immortalità. Perché se un uomo lascia in ognuna delle persone che ha incontrato un frammento della sua vita, resta per sempre nei cuori della gente, vive per sempre nell’immenso Universo dell’amore. Giuseppe Intelletto lascia un mondo esterno non all’altezza della sua bontà ma, trova ora nell’animo di parenti e amici, e di un’intera città, il ricordo immortale di “una vita vissuta per gli altri”.

 

Roberto Cazzolla


Piazza Pinto: il regno dei vandali

Dilaga il barbaro assalto agli spazi pubblici, in particolare nella villa

Era il regno della pace e della tranquillità. Tra alberi e panchine, giostrine per bambini, pista di pattinaggio. D’estate allietano l’aere cantanti e karaoke. E poi tornei di pallavolo, cacce al tesoro, corse in mountain bike. Gli anziani vi trovano refrigerio durante l’estate e senso di protezione nelle passeggiate d’inverno. Uomini e cani al seguito trascorrono lì momenti di puro relax. Eppure a Piazza Pinto, negli ultimi tempi, sta avvenendo un lento e progressivo disfacimento di tutto ciò che era stato realizzato dall’amministrazione comunale per la quiete ed il diletto dei cittadini. C’è anche un progetto per la riqualificazione del piccolo polmone verde urbano che in molti, dai Comuni limitrofi, invidiano. Perché la Villa, come tutti a Gioia la conoscono, rappresenta un fugace ritorno alla natura dopo ore trascorse a scuola o in ufficio. E’ straordinario ammirare nello stesso spazio, con convivenza pressoché rispettosa, bambini e anziani, cani e piccioni, pipistrelli all’imbrunire e di tanto in tanto qualche rospo in cerca d’umidità. Sulla rotonda al centro del giardino si tengono quotidianamente fantastici e genuini tornei di calcetto, non senza schermaglie tra i ragazzini, ma poi tutto torna a posto. Alle panchine in pietra, siedono gli adulti che rinfrescano la mente dalle quotidiane oppressioni. In Villa s’intrecciano gli amori dei giovani fidanzati che da decenni si danno appuntamento tra i maestosi lecci, gli abeti, i pini ed i tassi che puntellano il verde tappeto del prato.

Sono nati e son finiti legami lì. Ne han visti di litigi i platani che troneggiano i viali d’accesso, fornendo ombra e protezione ai piccioncini, d’ogni specie, innamorati. Un tempo Piazza Pinto era anche sede di dibattito politico e di confronto culturale, quando la gente soleva incontrarsi per strada per discutere piuttosto che chiudersi in casa davanti ad una chat al computer.

Chi, poi, con immane fascino per gli occhi, non ha assistito a bocca aperta allo spettacolo dei liriodendri autunnali che cingono la villa, che sfumano i colori dell’estate dal verde al giallo, all’arancio, al rosso recuperando la vitale clorofilla per lasciar posto a xantofille e caroteni protettivi. Un fenomeno, cosiddetto foliage dal termine francese adottato dagli anglosassoni, che attira grandi e piccini verso l’incantevole osservazione dei ritmi della natura, di quegli orologi biologici che segnano il passo della vita e delle stagioni.

Quando si decise, più lustri or sono, di abbattere quel muro in pietra che ostruiva la vista dall’esterno, fomentando facili brutt’affari malavitosi, buttando giù un divisorio si aprì una finestra alla città che, avrebbe dovuto godere del luogo incantato. Isola felice della città. Così sorsero le panchine nuove, le giostrine per bambini, i nuovi lampioni e per ultimo i raccoglitori per gli escrementi degli animali domestici. Questi ultimi non hanno fatto ancora breccia nel cuore dei gioiesi visto il scarso uso che ne fanno. Sintomo, ancora, di diffuso mal rispetto dell’altro, sia esso un uomo o un cane. Comunque, che ci fossero era già un passo avanti. Ma ora, dopo mesi di invasioni barbariche da parte di ragazzacci maleducati pronti a buttar giù tutto ciò che gli capita a tiro, rei del fracasso pestilenziale e quotidiano portato ai residenti della zona nelle ore notturne con urla abominevoli che ricordano a tutti che il Neanderthal non si è estinto, la quiete sembra aver lasciato il posto alla tempesta. Raid di giovani scalmanati hanno completamente divelto nei giorni scorsi alcune giostrine, distrutto le altalene, riempite di insignificanti e conformisti graffiti alla ricerca d’identità, panche, tettoie, scivoli, etc. Quest’incontrollati promotori della distruzione, frutto di una mente distrutta,a sua volta, dalla nullafacenza e dalla totale assenza di senso civico, confortata dalla più alta indifferenza da parte delle forze dell’ordine più volte sollecitate dai residenti a prendere provvedimenti, hanno nel tempo schiacciato, smontato, lanciato i bidoncini della spazzatura e, non perché fossero dell’indifferenziato e non garantivano alla gente un sito dove inserire carte, plastiche, vetro e lattine (che forse ci sarebbe anche voluta, come forma di protesta nei confronti di chi dovrebbe assicurare un simile servizio) no, l’hanno fatto per passare il tempo! Ed i lampioni, poi, scossi sino a quando non si fulminano. Un’imbecille trovata di un cervello con neocorteccia, per modo di dire. Per ultimo, ieri, sono stati abbattuti, nel vero senso della parola, molti contenitori per la raccolta delle feci dei cani. Divelti, stesi al suolo e lasciati lì per il divertimento di pochi minuti. Indisturbati e nella piena arrogante consapevolezza che così va il mondo. Ognuno fa quello che gli pare. Ed allora chi se ne importa se ho voglia di spaccare una bottiglia della birra per terra e domani un bambino si taglia. Non gli interessa  minimamente conoscere a quanto ammontano i loro danni alla spesa pubblica. Farebbero bene, però, a cercare di comprenderlo visto che i soldi pubblici arrivano anche dal lavoro dei loro genitori. O forse no?

In ogni caso, a meno che non si sia deciso di lasciar distruggere Piazza Pinto dai vandali, per poi lasciar posto al nuovo progetto in corso d’opera, sarebbe meglio che qualcuno ponga un freno a tutto questo sfascio e riponga nuovamente nelle mani dei cittadini perbene, l’ultimo baluardo urbano della pace dei sensi.

 Roberto Cazzolla

(da il Levante)


A tre anni dal sequestro, una pericolosissima discarica non è stata ancora bonificata

Discariche a Gioia: altro che Napoli!

Rottami d’auto, batterie e rifiuti tossici sotterrati. Violati i sigilli

 Tutti pronti a dar la colpa ai napoletani, popolo distratto e senza concezione della tutela dell’ambiente. Tutti pronti ad indicare colpevoli e soluzioni, senza sapere che sotto i nostri piedi c’è una bomba inesplosa che sta raggiungendo i livelli della Campania.

Per rendersene conto basta prendere la provinciale Gioia – Santeramo e passeggiare tra i campi coltivati circostanti all’impianto di demolizione auto Ecodem. Sulla sinistra, un terreno recintato di proprietà dell’azienda, porta ancora il cartello di sequestro penale operato soli due mesi fa dalla Guardia di Finanza. I sigilli sono stati violati e non c’è più traccia neanche dei nastri di recinzione. All’interno, sotterrati si trovano tonnellate di minuscoli pezzetti di auto, batterie, carrozzerie, motori, pezzi in plastica ed ogni altro possibile residuo della demolizione. Al suolo sono stati scavati dei buchi per permettere agli agenti di verificare la profondità ed il tipo di rifiuti scaricati. Il lavoro di smaltimento illegale era stato compiuto con tutte le precauzioni. Uno scavo profondo parecchi metri, dopo la colmatura, era stato ricoperto ben bene da terra e vegetazione. Così sarebbe passato tutto inosservato. I rottami erano talmente frantumati che si fa fatica a riconoscere l’originaria appartenenza di ciascun pezzo. Forse un paraurti, un cofano, una candela, un tubicino della batteria. Tutti materiali regolamentati dalla legge conosciuta come “Decreto Ronchi”, che li individua come “rifiuti speciali” e “tossico-nocivi”. Perché, il problema principale è che i liquami derivanti dagli scarti ed i più pericolosi metalli pesanti delle batterie o dei circuiti elettronici, percolano nel terreno e nella falda, e raggiungono l’acqua ed il cibo coltivato.

Adiacente al demolitore, un altro suolo sempre di proprietà della Ecodem, con decide di cumuli di terra, inerti, pietre, asfalti e materiale edilizio. Cosa c’è sotto i cumuli? Non è dato di sapere.

Ciò che, invece è certo, è che pochi giorni fa, uomini del CTU inviati dalla Procura di Bari, hanno effettuato dei campionamenti sull’altra discarica abusiva realizzata dalla ditta. Questa è raggiungibile tramite una strada che parte dal retro della Ecodem, in contrada Latta Latta. Qui l’opera è stata ancor più avveniristica. Una piramide priva di vertice. Una ziggurat della monnezza, composta da un triturato finissimo delle più svariate parti di automobili, batterie, amianto, rifiuti speciali e tossico nocivi. Una bomba ecologica che fa invidia a tutto il napoletano. “Eppure – assicura un contadino della zona – qualche anno fa la USL di Gioia del Colle ha fatto delle analisi e avrebbe dovuto consegnare i risultati delle sostanze rinvenute. Ma, poi, non si sa per quale ragione, queste analisi sono andate perse e nessuno è a conoscenza dei risultati. Dalla USL dovrebbero farci sapere dove sono finiti tutti questi rilievi, perché noi qui coltiviamo e poi frutta e ortaggi li mangiamo e li vendiamo. Cosa stiamo producendo, veleni?”.

L’area intorno alla discarica, infatti, è circondata da uliveti e coltivazioni ed in molti, in zona, utilizzano l’acqua della falda per irrigare i campi. L’ammasso di rifiuti pericolosi, sequestrato nel 2004 dal CFS del Comando di Gioia del Colle, è ancora lì dopo quasi quattro anni, coperto da teloni bucati e pneumatici. Nel frattempo, continua a riversare liquami contaminati nei terreni circostanti e nell’acqua sotterranea. Con un’altezza di 2 metri ed una superficie di 1200 mq circa, il sito è stato utilizzato per molto tempo dalla ditta Ecodem per liberarsi di tutto ciò che non conveniva recuperare. Aveva, addirittura, un comodo accesso sul retro per raggiungerla. Ma, allora, perché l’azienda continua a demolire auto, invece di bonificare l’area? Perché l’azienda che gestisce lo smaltimento dei rifiuti di Gioia del Colle, continua a conferirne parte a questa ditta, lasciando loro l’incarico di convogliarli presso gli impianti? Visti i precedenti, chi ci assicura che parte di quei rifiuti urbani non vengano smaltiti illegalmente? Dopo due sequestri penali, sigilli rimossi, inquinamento dei terreni, smaltimento illegale di rifiuti pericolosi, l’azienda è li che continua regolarmente a lavorare, mentre tonnellate delle più pestilenziali sostanze decantano al suolo composti tossici e cancerogeni.

Stavolta, la notizia di reato c’è stata, il sequestro anche, quello che manca è l’ordine da parte della Procura e del PM incaricato di bonificare l’area. Bonifica che dev’essere a carico di chi ha commesso il reato. Ma allora perché ci si mette così tanto, quasi 4 anni, prima di bonificare un suolo? Non ha senso sequestrare discariche e palazzi, se poi questi restano lì dove sono stati creati, in attesa che trascorrano 5 anni e che giunga, come manna dal cielo, la prescrizione del reato. Per ogni sequestro, dovrebbe esserci l’ordine d’immediata bonifica a carico del trasgressore, invece dalla Procura questi dictat stentano ad arrivare e così, centinaia di violazioni attendono sono il trascorrere del tempo per essere perpetrati. Le discariche della Ecodem sono una mina sotto i piedi di tutti, stracolme della desolante consapevolezza che in Italia i reati vengono puniti solo se a commetterli sono i piccoli delinquenti, mentre nel caso dei gruppi e delle aziende, prima si chiude un occhio e poi anche l’altro con la frequente connivenza di politici e di giudici. L’aspetto più nefasto della vicenda è che, in questo modo, chi chiuderà gli occhi, per sempre, saremo noi e tutti gli altri esseri viventi, che in questa schifezza navighiamo più o meno consapevolmente.

 Roberto Cazzolla

(da il Levante)


 

L’enorme rogo di questa estate è stato alimentato da interessi edilizi?

Chi specula su Gravina S. Croce?

Un luogo incantato alle porte di Gioia, minacciato da più fronti

 

 di ROBERTO CAZZOLLA

Come dimenticare l’immane rogo divampato quest’estate tra Gioia e San Basilio, durante il quale andarono distrutti decine di ettari di bosco mediterraneo. E’ stata una grandissima sciagura che si è abbattuta su di una delle più vaste e conservate aree murgiane. L’incendio ha interessato gran parte della vegetazione che scende lungo le pareti di Gravina S. Croce, sita a sud-est di Gioia del Colle, all’intersezione con i Comuni di Castellaneta, Mottola e Laterza. Sino a pochi giorni fa, però, non era chiaro se si fosse trattato di un incendio doloso o di un fatale errore (magari, una stoppia non spenta o un mozzicone gettato dall’auto). Ma ora, nuovi preoccupanti scenari si aprono nel teatro delle cause. Si sa, molti incendi vengono provocati al fine di tentate di utilizzare un territorio originariamente ricoperto da alberi e, quindi, inaccessibile. Sembra che anche nel caso di Gravina S. Croce, ci siano forti interessi speculativi sia dal punto di vista edilizio che della caccia di frodo. “Questa è un’area protetta – dichiara rammaricato un agricoltore che risiede nei pressi della gravina – e in molti hanno interesse a costruire, realizzare strade o semplicemente, di vendicarsi per le limitazioni imposte sull’area”. Attualmente, infatti, l’area di Gravina S. Croce e dei boschi adiacenti è inclusa nel SIC (Sito di Importanza Comunitaria) denominato “Murgia Alta”, nel SIC denominato “Murgia di sud-est” per buona parte della sua estensione ed è stata individuata come Important Birds Area. Questi vincoli, pongono delle limitazioni alle nuove costruzioni, alla realizzazione di infrastrutture ed alla caccia. “Qualcuno ha deciso di far sparire completamente quest’area – conferma un altro residente della zona – e sono anni che ci stanno provando”. In effetti è dal 1997 che nell’area divampano roghi, sorgono costruzioni e si tracciano strade. Ultima, in ordine di realizzazione è la stazione ferroviaria di Grottalupara, rimodernata di recente dalle FS. E sembra che proprio l’avamposto creato dalla stazione abbia mosso interessi da parte di alcuni imprenditori che vogliono realizzare nell’area un nuovo centro residenziale e creare un raccordo stradale tra il Comune di Mottola e quello di Gioia del Colle. Anche perché, non si spiegherebbe altrimenti come mai, una stazione così moderna e ben mantenuta, con un ampio parcheggio e molte sale, sia sorta in una zona distante parecchi chilometri da entrambi i comuni, abitata da meno di una cinquantina di persone e immersa in un vastissimo bosco. Non si esagera a dire che la stazione di Grottalupara è messa, di gran lunga, meglio di quella di Gioia del Colle.

Simili sconvolgenti particolari potrebbero mettere in serio pericolo la conservazione di un luogo ove la natura regna sovrana. Questa gravina rappresenta l’habitat ideale per l’impianto di specie vegetali (timo, pungitopo, biancospino, lentisco, cisto, mirto, alterno, fillirea, etc.) e per l’arrivo della fauna. L’area boscata (a fragni e roverelle, inframmezzati da betulle) che la circonda, è una delle più vaste formazioni vegetali di tutta la provincia di Bari, racchiudendo nella sua gola una grande varietà di vita, minacciata dall’intervento umano.

Eppure, un simile e raro ambiente rischia di essere carbonizzato per lasciar posto a palazzi e strade (proprio nei giorni scorsi è stata scoperta una vasta area disboscata e parzialmente asfaltata, per permettere l’accesso di mezzi pesanti), nonostante la legge italiana vieti qualunque attività in aree percorse dal fuoco. Ma, è storia nota dalle nostre parti, che località “interessanti” per costruttori ed amministratori, finiscano per non essere registrate nel catasto comunale e regionale dopo un incendio in modo da non avere testimonianza del reato e, quindi, non essere vincolata dai limiti di “non edificabilità”. E’ successo per tante zone murgiane, perché la stessa cosa non potrebbe accadere anche nella Gravina S. Croce?

Di sicuro, questa rappresenta uno degli ultimi avamposti per la proliferazione della fauna autoctona, tipica della regione biogeografica mediterranea. La sua struttura geologica offre agli animali innumerevoli habitat e altrettante aree di foraggiamento che raramente si incontrano in altre zone. Inoltre, proprio per la sua funzione di inghiottitoio naturale, al di sotto del livello del suolo circostante, funge da serbatoio per una tranquilla riproduzione e sopravvivenza delle specie animali (volpi, faine, tassi, ricci, arvicole, testuggini di terra, lucertole e ramarri) e ne conserva popolazioni estinte altrove. Tra l’avifauna troviamo numerose specie a rischio per la perdita di habitat (civette, gheppi, grillai, poiane, gufi e averle) e perché minacciate dall’uso indiscriminato di pesticidi (Luì piccolo, Cinciallegra, Cincia bigia, Fiorrancino, etc.).

Elevata è anche la presenza di coleotterofauna tra cui si registra il rarissimo Cerambice delle querce (che sopravvive nei boschi maturi, ormai sempre più radi), lo Scarabeo rinoceronte ed il minacciato Scarabeo golia. Invertebrati che sino a poco tempo fa si riteneva fossero scomparsi totalmente dall’area murgiana. Di straordinaria importanza è stato il rinvenimento nella zona di un Colubro leopardino (serpente colorato e schivo) e di un giovane esemplare d’Istrice.

Un patrimonio naturalistico inestimabile, quindi, che meriterebbe maggiore protezione da parte delle autorità locali e del Corpo Forestale dello Stato, con un piano di tutela e perimetrazione delle aree bruciate, in modo da evitare eventuali progetti edilizi e di realizzazione di strade. Gravina S. Croce è un piccolo gioiello che l’intera comunità dovrebbe impegnarsi a proteggere e preservare per le generazioni future.

Le gravine: un patrimonio da tutelare

Cosa sono queste straordinarie testimonianze del passato?

 Le gravine possono essere considerate "fiumi fossili" originatisi per erosione delle acque superficiali, canalizzate in fratture o discontinuità del banco calcarenitico. Esse si presentano con l'aspetto di gole rocciose strette e profonde, dal profilo a 'V'. Grazie alla loro complessa accessibilità ed alla loro difficoltà di messa a coltura, hanno aumentato la disponibilità di nicchie ecologiche, costituendo nel presente una testimonianza unica del patrimonio naturalistico pugliese.

Le lame e le gravine, presenti nell’area delle Murge del sud-est barese, possono essere considerate alcuni fra gli elementi più importanti e caratteristici del paesaggio. Queste, derivano da processi naturali di carsismo, che nel corso dei secoli dona al territorio una conformazione nuova e di spettacolare bellezza.

La distribuzione delle specie di piante ed animali in questi ambienti è quanto mai peculiare, perché influenzata dal fenomeno della "inversione termica". Le gravine hanno infatti le zone più basse umide e poco assolate, mentre i bordi si presentano aridi ed esposti all'azione del vento e del sole. Questa situazione genera dei microclimi anomali, come in una montagna rovesciata: sul fondo delle valli si trovano così specie tipiche di zone molto più piovose e fresche rispetto all'altopiano che esse solcano. Pertanto, è facile osservare in alcune di esse, una netta stratificazione della vegetazione e della fauna, aspetto che rende tali biotopi veri "musei naturali all'aperto".

La gravina S. Croce si estende per circa 3 Km tra il territorio di Gioia del Colle e quello di San Basilio. S. Croce è formata da numerose insenature che ne aumentano la lunghezza e forniscono vari micro-habitat per invertebrati, rettili e piccoli mammiferi. Il tratto più a sud, declina dolcemente verso l’interruzione autostradale che ha, purtroppo, interrotto la continuità d’un tempo dei boschi termofili, tra il Bosco di Coratini e il Bosco di Burgensatico. Ora, oltre l’interruzione, si trova la stazione ferroviaria di Grottalupara, circondata, anch’essa da una vasta area boscata, mista a gariga. Da qui, la gravina riemerge apparentemente in superficie, immergendosi nel fitto della canopea arborea.

(da il Levante)


 Presentato dall’Assessore all’Ecologia il piano rifiuti per l’ATO BA/5

“A Gioia l’impianto di compostaggio”

Per l’Assessore Carone, in località S. Francesco ci sono le migliori condizioni

 

“Con molta probabilità, sarà localizzato a Gioia l’impianto di trattamento della frazione umida proveniente dalla raccolta differenziata dei comuni dell’Ambito Territoriale Ottimale BA/5. Ci sembra che in località S. Francesco a Gioia, ci siano le migliori condizioni”. E’ questo parte del piano provinciale sui rifiuti urbani (PPRU), presentato ieri mattina a Conversano, sede ufficiale dell’ATO (Ambito Territoriale Ottimale).

Nonostante l’inspiegabile assenza di un rappresentante dell’Amministrazione locale gioiese alla seduta, l’Assessore all’Ecologia della Provincia di Bari, Romano Carone, insieme ad i tecnici che hanno realizzato il piano, ha illustrato le linee guida che i Comuni dovranno adottare, indicando quale scelta per la localizzazione di un impianto di trattamento dei rifiuti organici, proprio Gioia del Colle. Naturalmente, da tempo si paventava di realizzare proprio nella cittadina peuceta un simile stabilimento, che potesse raccogliere sostanza organica dai Comuni del Sud-Est Barese e convertirla in concimi o ammendanti per l’agricoltura. Ieri, però, si è avuta l’ufficialità dell’individuazione del sito, in località S. Francesco tra Gioia e Mottola, nella murgia Marzagaglia, ove saranno convogliati nei prossimi anni gli scarti alimentari, gli sfalci di potatura e tutte le sostanze in grado di essere riconvertite in prodotti nutrienti per il terreno. Questo, per incrementare la quota di rifiuto organico che dovrebbe, stando al piano, essere recuperato per il 40%, sottraendo questa ingente parte al peso del rifiuto totale. Infatti, poco meno della metà degli RSU (Rifiuti Solidi Urbani) della provincia di Bari, sono composti da scarti alimentari e vegetali e, poiché il bacino BA/5 ancora non possiede un impianto di trattamento di simili rifiuti, era d’obbligo individuare il sito ove indirizzarli.

Certamente, la produzione di compost per l’agricoltura è un ottima risposta all’aumento dei rifiuti in discarica e l’oltranzismo anche ad un simile impianto deve essere del tutto abolito; anzi, si deve accogliere tale scelta della Provincia, come un’opportunità di sviluppo e di occupazione per la comunità gioiese. L’unico neo, a cui è necessario prestare notevole attenzione, riguarda la qualità del compost che sarà prodotto all’interno dell’impianto. Perché, molto spesso, è accaduto negli altri impianti, tra cui quello di Molfetta (sequestrato dalla Magistratura ed ora dissequestrato), la produzione di concime organico contaminato ha causato l’inquinamento di numerosi terreni agricoli e la successiva combustione dello stesso in impianti di incenerimento, vista l’impossibilità di venderlo. Quindi, il compost e l’impianto di compostaggio vanno bene, a patto che a monte ci sia una raccolta differenziata attenta e capillare. “In Puglia – ha detto durante la presentazione del piano, l’Assessore all’Ambiente della Regione Puglia, Michele Losappio - non viviamo un’emergenza come quella campana, ma dobbiamo attrezzarci affinché si riducano i rifiuti in discarica”. Alle parole, però, sembra non siano seguiti i fatti concreti, perché, se è vero che nel piano presentato ieri si stabilisce l’obbiettivo per il 2008 del 45% di differenziata e per il 2015 del 65%, questi valori appaiono ridicoli dinanzi alle quote del 75%, 82%, 87% di alcune province Venete e di alcuni Comuni virtuosi che hanno iniziato da subito il sistema di raccolta porta a porta. Nel piano vengono indicati obiettivi lontani nel tempo (2015?) con percentuali raggiunte sin da ora da molti Comuni. Inoltre, vengono indicate delle linee guida ma, non dei criteri e degli obblighi per le Amministrazioni, né tanto meno delle sanzioni. In questo modo l’obiettivo del 45%, seppur minimo, rischia lo stesso di fallire.

Eppure basterebbe iniziare, da domani, con la raccolta differenziata porta a porta per arrivare a quote ambiziose di divisione. Pensiamo ad una città come Gioia, che con 30000 abitanti circa, potrebbe differenziare una quota ben più elevata dell’attuale (comunque già la più alta dell’ATO BA/5 con il 21%) e raggiungere percentuali ambiziose del 70-80%. Basterebbe realizzare un sistema integrato di raccolta, con gli operatori che prelevano i sacchi di plastica, carta, vetro, alluminio/acciaio ed organico direttamente dalle abitazioni e dai bidoncini condominiali.

In questo modo, si creerebbe occupazione per giovani gioiesi, si risparmierebbe una gran quantità di denaro pubblico speso per il conferimento in discarica e si otterrebbero utili dalla vendita del materiale riciclato, tali da poter abbattere i costi della TARSU (imposta sui rifiuti), che i cittadini smetterebbero di pagare.

Oltre, ovviamente, ad eliminare (o ridurre al minimo) la necessità di discariche, rendere completamente inutili gli inceneritori e migliorare la qualità della vita e dell’ambiente.

Anche a Gioia, come sta avvenendo in questi giorni in Campania, molti politici hanno invocato a gran voce i termovalorizzatori (meglio e più propriamente conosciuti come inceneritori) che, potranno anche far sparire di colpo tutti i rifiuti presenti attualmente per strada (non senza gravi conseguenze ambientali ed epidemiologiche, visto che molto spesso il CDR risulta contaminato) ma, rappresenteranno sempre una soluzione momentanea. Gli inceneritori sprecano risorse, consumano energia e producono composti chimici (gassosi come diossine, furani, SOx, NOx, CO, CO2, IPA, etc. e particellari: PM10, PM5, PM<2,5) pericolosi per la salute e per l'ambiente, oltre a necessitare comunque di discariche per depositare le scorie e le ceneri (che non sono più rifiuti solidi urbani ma, rifiuti speciali). “Ma fra le altre cose – ha dichiarato l’Assessore all’Ambiente, P. Santamaria del Comune di Mola, alla presenza del Presidente dell’ATO BA/5, avv. Giacomo Colapinto – è necessario far capire ai cittadini che bisogna ridurre la quantità di rifiuti prodotti ed educarli al rispetto dell’ambiente”.

C'è bisogno, quindi, di Ridurre, Recuperare e Riciclare. Se a questo, poi, si aggiunge anche una moratoria nazionale o internazionale alla produzione di rifiuti pericolosi, tossici e non riciclabili (come lo sono attualmente, molti imballaggi e materiali regolarmente venduti) e l'obbligatorietà ad effettuare la raccolta differenziata porta a porta...si arriverà davvero all'obiettivo osannato nelle città californiane: “Rifiuti Zero”.

Quindi, ben vengano impianti di compostaggio o piattaforme per il riciclo, purché a monte di tutto ci siano rigidi controlli, vincoli concreti e sanzioni per chi sceglie, ancora una volta, il “rifiuto” del problema.

 

Roberto Cazzolla

(da il Levante)


Blitz del WWF durante la presentazione del piano provinciale sulla gestione dei rifiuti
Gli attivisti hanno contestato il piano, ritenuto troppo poco incisivo ed ambizioso
 
Ieri mattina, durante la presentazione del piano provinvinciale sulla gesione dei rifiuti presentato a Conversano all'ATO BA/5, alcuni attivisti del WWF di Gioia del Colle, hanno manifestato entrando di sorpresa nella sala dove si teneva la presentazione. Gli attivisti, con tute bianche e mascherine, hanno consegnato simbolicamente all'assise due buste di rifiuti ed hanno steso uno striscione con su scritto "Meglio differenziati che eliminati". Inoltre, i componenti dell'associazione ambientalista hanno consegnato a tutti i presenti, all'Assessore all'Ambiente della Regione Puglia, M. Losappio ed all'Assessore all'Ecologia della Provincia di Bari, R. Carone, un volantino con una serie di richieste per risolvere definitivamente il problema dei rifiuti. Infatti, pur prevedendo l'incremento della raccolta differenziata, il piano stabilisce percentuali basse (45% al 2008, 65% al 2015) quali obiettivi di differenziazione e troppo distanti nel tempo. Ci sono comuni veneti e siciliani che attualmente riciclano più dell'80% dei rifiuti prodotti, con il sistema del porta a porta. Inoltre, il piano non esclude l'utilizzo degli inceneritori (che non risolvono il problema, anzi lo aumentano creando rifiuti speciali da RSU, inquinando l'aria, sprecando materie prime ed energia) e prevede di destinare una consistente parte dei rifiuti alla produzione di CDR (Combustibile da Rifiuto), che comunque dovrà essere bruciato.
Tutto questo per non bloccare impianti pubblici e privati di incenerimento, gestiti in Puglia in gran parte dal gruppo "Mercegaglia", che senza 'materia prima' dovrebbero chiudere definitivamente.
Per questo gli attivisti del WWF chiedono alla Provincia di Bari ed alla Regione Puglia che:
 

1.  diventi obbligatoria da subito, per tutti i Comuni della provincia, la raccolta differenziata porta a porta, sia per i cittadini che per gli esercizi commerciali e le aziende;

2.  l’obiettivo di raccolta differenziata da raggiungere entro il 2008 sia superiore all’80% e non, come previsto dall’attuale piano, del 45%;

3.  vengano attivate le piattaforme per il riciclo delle plastiche in poliestere, polietilene e polistirolo e che non vengano bruciate;

4.  venga chiaramente eliminata dal piano qualunque ipotesi di realizzazione di nuovi inceneritori (termovalorizzatori) sull’intero territorio provinciale;

5.  venga interrotto l’invio di rifiuti ai termovalorizzatori pubblici e privati presenti sul territorio;

6.  venga bloccato l’arrivo di rifiuti dalla Campania nelle discariche, già stracolme, presenti in provincia di Bari;

7.  vengano realizzate campagne pubbliche di sensibilizzazione della popolazione alla riduzione dei rifiuti, al riciclo ed al  corretto smaltimento dei rifiuti speciali e tossico-nocivi.

 

L’emergenza rifiuti esiste perché “qualcuno” ha interesse che continui ad esistere.

Con la raccolta differenziata porta a porta non c’è bisogno di altre discariche e degli inceneritori.

SERVE SOLO UNA SCELTA CORAGGIOSA.

La gente sarà messa al corrente delle scelte dell’amministrazione provinciale affinché si tuteli il loro futuro, la loro salute ed il loro ambiente…

Non bisogna RIFIUTARE il problema!!

In anteprima la mappa dei percorsi per le due ruote

La Comunità Montana: “Entro l’estate, la pista ciclabile”

Anche l’illuminazione della zona 167 sarà rimodernata

Sono al vaglio dei tecnici della Comunità Montana le proposte presentate da due aziende di Noci e Bari, per la realizzazione nei Comuni di Gioia del Colle e di Cassano Murge di piste ciclabili ed asfalti fonoassorbenti.

“Purtroppo – ci dice Francesco Ventaglini, vicepresidente della Comunità Montana – l’allora Amministrazione di Gioia del Colle, al contrario di quella di Cassano, ha rinunciato agli asfalti fonoassorbenti, che solitamente vengono localizzati nei pressi di scuole, ospedali e case di cura, riversando tutta la quota di realizzazione dei lavori sul progetto delle piste ciclabili. I due Comuni, devono spartirsi circa un milione di Euro derivanti da un POR al quale ha partecipato la Comunità Montana. Quest’ultima contribuirà alle spese di realizzazione con una quota del 97%, il resto spetta ai Comuni”. Un bel passo in avanti per gli amanti delle due ruote ed un ottima risposta pratica contro gli intasamenti del traffico e l’inquinamento urbano. Dispiace, che le zone individuate per la realizzazione delle piste, siano solo nella zona ovest del centro urbano. “Su questo non abbiamo voce in capitolo – continua Ventaglini – abbiamo dato carta bianca ai Comuni e loro ci hanno indicato dov’era più opportuno localizzarle. Lo stesso è accaduto per l’illuminazione. Infatti, con questo POR abbiamo la possibilità di rimodernare l’illuminazione pubblica e lo faremo nella zona 167, che ci è stata indicata dall’Amministrazione. Risistemeremo i lampioni ed utilizzeremo tecnologie a risparmio energetico che minimizzino l’inquinamento luminoso ed i consumi. Certo, una simile iniziativa andrebbe estesa a tutto il paese, visto che a Gioia ci sono ancora lampadine per l’illuminazione pubblica vecchissime che consumano tanto e si guastano presto”.

Ma, tornando alle piste ciclabili, abbiamo l’opportunità di visionare in anteprima il piano dei lavori. “E’ un progetto completo – prosegue il Vicepresidente della Comunità Montana - che prevede la realizzazione di segnaletica verticale ed orizzontale, di cordoli separatori e guardrail. Poi, nei pressi del Palazzetto dello Sport, sarà individuato un punto di sosta e parcheggio per le bici, con 3 portabiciclette con 12 posti al coperto e 8 portabiciclette a rastrelliera, senza coperture. Inoltre, nelle zone di traffico più intenso, come nell’attraversamento previsto in via Putignano o nei pressi della ex-Statale 100 saranno realizzati dei marciapiedi sopraelevati di sicurezza, in modo da garantire la massima incolumità per le persone”.

Il percorso (vedi mappa) parte da via Giuseppe di Vittorio, subito dopo il Municipio e scende in via Giulio Pastore sino al grande rondò di via Acquaviviva. Da lì taglia nei pressi del cinema Seven, congiungendosi con la via per Bari e continua su tutta la ex-Statale 100, sino all’incrocio con la via di Noci. Da lì proseguirà sino a via L. Einaudi in direzione del Palazzetto. Proprio nella zona sportiva sarà realizzata un area di sosta per i cicloamatori. Poi, la pista, si ricongiungerà con via Putignano per chiudersi sulla ex-Statale all’altezza del rondò della Provinciale 61”.

Insomma, un percorso lungo ben 5 km che si articola in vie cruciali e trafficate della mobilità gioiese. La pista ciclabile potrebbe diventare in breve tempo un’ottima risorsa per i cittadini che vogliono fare la spesa senza problemi di traffico e parcheggio nei numerosi supermercati della ex-Statale o per chi risiede in zone più periferiche delle vie per Bari, Noci e Putignano. Inoltre, per raggiungere il palazzetto e seguire le partite dei club gioiesi, si potrà lasciare a casa l’auto e spostarsi comodamente ed in sicurezza in bici. “Purtroppo – dice rammaricato Michele Pavone, ex assessore comunale – non si sono potuti individuare percorsi all’interno del centro urbano e storico, viste le modeste dimensioni delle strade e la difficoltà dovuta alla presenza dei parcheggi delle auto. Se, però, qualcuno ha una buona idea su come realizzare dei percorsi anche in centro, può sempre farsi avanti. Per ora, il problema principale resta in periferia e nelle strade molto trafficate”. Infatti, le zone centrali del paese consentono una discreta mobilità sulle due ruote mentre, sulle provinciali e sulla statale il pericolo è davvero elevato. Purtroppo in pochi, a Gioia, scelgono di spostarsi in bici per compiere le faccende quotidiane, preferendo l’auto ed andando incontro a multe, code, consumo di benzina ed aumento dell’inquinamento. Eppure, di per sé, la città offre strade pianeggianti e vie praticabili dalle bici. Ciò che manca è, probabilmente, la voglia o l’abitudine di montare in sella. Forse la realizzazione delle piste ciclabili sarà un incentivo a muoversi in maniera ecologica e salutare. Per creare una maggior sicurezza, i percorsi dovrebbero essere ampliati anche a tutta la parte orientale e meridionale del paese, come la via per Santeramo, la via per Matera e quella per Laterza (direzione Montursi) e Castellaneta (contrada Marzagaglia).

“Questo è, comunque, un inizio – assicura il presidente della Comunità Montana, Michele d’Atri – chissà, magari più avanti…”. E sì, perché con i nuovi decreti regionali le Comunità Montane che servono utenze sopra i 20000 abitanti dovranno chiudere i battenti. Questo è proprio il caso della CM del sud-est barese che entro il 30 giugno di quest’anno dovranno sgomberare il campo. “Carenza di fondi – ammette Ventaglini – ma, le piste ciclabili dovrebbero essere pronte entro la fine di quest’estate”. Nessun pericolo, dunque, di lavori incompleti? “Non proprio – continua Ventaglini – perché le piste saranno pronte ma, ci sono altri progetti in corso, come il potenziamento degli impianti idrici dell’acquedotto rurale nelle zone di Via della Chiusa e la Porta Rossa, che di certo non si concluderanno entro la data di chiusura della Comunità. Vedremo come andrà a finire”. Quel che è certo e che, finalmente, Gioia avrà le osannate piste ciclabili per dare una mano al protocollo di Kyoto e permettere ai cittadini di risparmiare qualcosina tra palestre, cardiologi ed oncologi.

 Roberto Cazzolla

(da il Levante)


A Gioia manca la sensibilità nella tutela e nella promozione del verde

Potature selvagge: così gli alberi muoiono

Gli alberi di via Eva, ultime vittime di un “fitocidio”

I platani di via Roma, vennero tagliati dopo una perizia che confermava il loro buono stato di salute, “aggiustata” perché risultassero malati. Ora al loro posto s’innalzano esili Carpini, dalla modesta chioma, inappropriati in un viale urbano, ove l’ombra generata dalle foglie dovrebbe garantire frescura d’estate. Poi è toccato al pino, di almeno una decina di lustri, abbattuto nei pressi della ex-statale 100, per lasciar posto ad un palazzo “amico dell’amministrazione”. Motivazione ufficiale: era pericoloso, perché ostruiva la visibilità stradale. Ma se era lì da cinquant’anni? Stessa sorte per numerosi alberi di P.zza Pinto, con la rimozione di specie anche abbastanza rare, per i pini di fronte alla scuola di Via Flora ed infine, la peggior sorte l’ha subita il maestoso Cedro del Libano posizionato nei pressi del mercato coperto comunale. Almeno per il taglio di quest’ultimo il Comune non ha colpa. O forse ce l’ha, visto che da tempo si chiedeva un catasto delle specie di pregio del paese in modo che venissero tutelate da eventuali tagli. Ricadeva su di un suolo privato ed il proprietario ha deciso di sacrificarlo al posto di uno straordinario ammasso…di cemento. La questione, però, non è fare dei colpevoli ma, capire le motivazioni. Sembra che a Gioia la sensibilità per il verde pubblico non esista. Sia da parte degli amministratori pubblici che, da parte dei privati cittadini. Eppure ha avuto un notevole successo l’iniziativa di piantumanzione di giovani essenze autoctone, ben due anni fa. Peccato che ora non ci sia la benché minima manutenzione comunale ed anche i molti “padri adottivi” degli alberi, sembrano aver rinnegato i propri figli.

L’apoteosi dell’insensibilità nei confronti del regno vegetale, la si raggiunge ogni volta che si capitozzano (termine con il quale si indica nelle pratiche forestali la rimozione totale dei rami e della parte apicale degli alberi) gli alberi più vecchi del paese. L’infausta sorte è toccata, stavolta, agli alberi della Scuola “Via Eva”, che dopo le inferocite proteste dei soliti paladini della sicurezza pubblica, si è scelto di moncare in brutale opera, come si ghigliottina la testa di un condannato. Se è vero che, a volte, gli alberi più adulti possono diventare pericolosi soprattutto nelle vicinanze di scuole o luoghi molto frequentati, e che in particolare quelli del giardino di Via Eva ave

vano già causato alcuni problemi, non bisogna dimenticare che l’instabilità degli alberi spesso è dovuta a cattive pratiche forestali. Le potature a carico di alcuni rami laterali, inducono nelle piante, una crescita compensatoria in peso e volume della massa vegetale dal lato opposto, causando, con i reiterati tagli e con lo sviluppo, un appesantimento di una parte della chioma che inclina la pianta e può provocarne la caduta. Le condizioni igieniche con le quali vengono effettuati i lavori, inoltre, lasciano molto a desiderare. Come tutti gli esseri viventi, anche gli alberi reagiscono agli organismi patogeni ed ai fattori xenobiotici, provenienti dall’esterno, con una serie di aggiustamenti fisiologici che, però, non sempre sono efficaci e che possono causare la formazione di infezioni e cancri, provocando la morte della pianta o la senescenza precoce. Tutto questo provoca una perdita enorme nel patrimonio arboreo locale con danni che col tempo coinvolgono anche i cittadini. Un’aria più salubre, una maggior rimozione di anidride carbonica, la frescura d’estate e la mitigazione climatica d’inverno, l’assestamento dei suoli e l’assorbimento dell’acqua piovana sono tutti doni gratuiti e servizi non retribuiti che gli alberi, e le piante in generale, offrono alle città. E’ frequente, però, che gli omoni verdi vengano bistrattati a tal punto da essere considerati meno che oggetti architettonici statici. Questo, però, è frutto di una totale mancanza di conoscenza del regno vegetale da parte di amministratori e cittadini. La capitozzatura effettuata ai danni degli alberi di Via Eva ne è la conferma, visto che tale pratica è contestata dalla maggior parte dei dottori forestali, dei biologi vegetali e degli agronomi del mondo. Questa, causa una crescita sproporzionata della chioma nella stagione successiva, generando ben più problemi di stabilità e sopravvivenza alla pianta. Inoltre, in questa maniera, si crea una voragine di accesso a virus e batteri all’interno dei tessuti vegetali che possono far rinsecchire l’albero. Basterebbe, per eliminare il problema della sicurezza pubblica, effettuare delle potature con criterio e soprattutto, coordinare questi lavori con personale esperto del settore vegetale. In termini zoofili, sarebbe come far operare un cane ad un lavoratore socialmente utile.

Se questo modo di agire dovesse continuare nel tempo, il paese si ritroverà con un patrimonio arboreo risicato e malandato, che danneggerebbe anche l’immagine e lo stato d’animo dell’intera area urbana e dei cittadini.

Molti amministratori hanno dimenticato la famosa legge che obbliga tutti i Comuni a piantare “un albero per ogni bambino nato”. Sembra, che a Gioia, per ogni bambino nato, un albero lo si tagli.

 

Roberto Cazzolla

(da il Levante)


Piccioni prigionieri della Mazzini, intervengono i Pompieri

I volatili sono stati ingabbiati nel sottotetto durante gli ultimi lavori condotti

Ci è voluto l’intervento dei Vigili del Fuoco di Putignano, insieme ad un autoscala di Bari, per riuscire a liberare i piccioni, rimasti intrappolati all’interno del sottotetto della scuola elementare “Mazzini”. Decine di volatili erano rimasti bloccati da tre giorni all’interno delle fessure dell’edificio, ostruite con della rete metallica, durante i lavori condotti la scorsa settimana. La rete, che avrebbe rappresentato una buona soluzione per evitare la nidificazione del uccello urbano più diffuso è, però, diventata una trappola per i piccioni che erano ancora all’interno della struttura. Molti cittadini avevano notato gli animali adagiarsi contro le reti e cercare in tutti i modi di fuoriuscire.

I pompieri di Putignano, nonostante la giornata improba, vista la festività dell’Epifania, sono intervenuti con grande impegno ed hanno rimosso grazie all’aiuto di una scala automatica, alcune reti di protezione al fine di favorire la fuoriuscita dei volatili. Sul posto erano presenti anche alcuni agenti di Polizia Municipale.

La lotta a questi odiati uccelli va condotta innanzitutto con intelligenza. Sicuramente, l’ostruzione dei luoghi di nidificazione, potrebbe essere una buona soluzione, sempre che questi non diventino poi la tomba per gli altri già presenti all’interno. Inoltre, molto spesso, cavità all’interno degli edifici antichi favoriscono, in primavera, la nidificazione del Falco Grillaio, specie rara e protetta, il cui arrivo dovrebbe essere incentivato e non limitato. La soluzione della distribuzione selettiva di granaglie miste a composti sterilizzanti potrebbe essere concettualmente buona, se si evitasse che altri uccelli possano alimentarsi con i composti antifertilità. Il che è molto difficile. Una buona risposta, invece, sarebbe quella di favorire il ritorno di specie competitive che condividono la stessa nicchia ecologica oppure dei rapaci predatori (Sparvieri, Lodolai, Pellegrini) di piccioni (i cosiddetti “natural-killer”), per mezzo di politiche di protezione e realizzazione di siti di nidificazione. Iniziativa intrapresa con successo da alcuni Comuni.  In attesa dell’arrivo dei predatori naturali, si potrebbero predisporre sagome di rapaci sui posatoi dei piccioni. In ogni caso, la ditta che ha svolto i lavori presso la “Mazzini”, dovrà prestare attenzione a permettere l’uscita di tutti i volatili all’interno del sottotetto, prima di chiudere nuovamente gli accessi. Una cosa è la lotta ai piccioni, un’altra è farli morire intrappolati vivi.

Roberto Cazzolla

(da il Levante)


Vacanze di Natale trascorse tra un semaforo e l’altro

“Lavoratori atipici”: bambini con la voglia di giocare

Negli occhi i sogni di un’infanzia rubata dal lavoro

In faccende affaccendato, sfugge al tuo campo visivo il corpo infreddolito adagiato nei pressi del semaforo. Tiri dritto come se la cosa non ti riguardasse, ormai abituato ad una simile presenza. Sono lì, dinanzi a Via Eva, sulla ex Statale 100, ai semafori del ponte, agli incroci della circonvallazione. Se è verde, attraversi l’ostacolo senza alcun rimorso, se è rosso gli porgi un Euro per pietà, affinché non ti scoccino. Molti, però, si fermano a fare due chiacchiere con loro, gli chiedono come va e loro ti sorridono, come al solito. Ma se davvero gli dedichi un minuto capisci quale stato d’animo si cela dietro quel sorriso. Nostalgia dell’infanzia rubata dal dovere. Il più piccolo ha iniziato a vendere pacchetti di fazzoletti a 8 anni, prima col fratello più grande, poi da solo. “Ho passato tutti i giorni di vacanza natalizia, qui, al semaforo” – ti dice in confidenza, con un velo di rammarico, uno di loro. Ma quanto tempo lavori ogni giorno? “Al mattino vengo alle 8 e torno a casa alle 12:30, di pomeriggio vengo alle 15 e torno verso le 17” -  ma è difficile credergli, visto che spesso li si incontra già alle 14, dopo pranzo. Tutto il giorno per strada a respirare i neri fumi degli scarichi automobilistici, a meditare sul perché ad 8, 10 o 12 anni si debbano trascorrere le vacanze a lavorare. Spesso ci scandalizziamo di notizie provenienti dall’altro capo del mondo che mostrano scene di sfruttamento minorile, bambini che passano la vita nelle fabbriche o in miniera. Al contempo, ignoriamo simili privazioni ai danni di bambini che abbiamo a due passi, sotto casa. Certo, non è lo stesso tipo di sfruttamento. Molte famiglie, solitamente immigrate, si trovano in così tali restrizioni economiche da destinare i figli maschi, sin dalla tenera età, al lavoro in strada. “Sono felice quando vado a scuola – confessa un altro – almeno non sto al semaforo”. Ma in molti c’è un ammirabile senso di responsabilità, che i bambini occidentali faticano a comprendere: “Se io e mio fratello non vendiamo abbastanza fazzoletti, dobbiamo restare al semaforo sino a quando non ci finiscono. Papà non trova facilmente lavoro, fa qualcosa ogni tanto. Se non portiamo a casa qualcosa noi, come facciamo?”. Eppure è un ossimoro, difficile da comprendere, il bambino lavoratore. Sta nella definizione d’infanzia l’essenza più pura dell’uomo. “I fanciulli trovano tutto nel nulla, gli uomini trovano il nulla nel tutto” recitava Leopardi, e così per loro anche il lavoro al semaforo diventa motivo di svago. “Parliamo con le persone ed impariamo i nomi delle macchine” – confessava un po’ di tempo fa un bambino vivace che stazionava nei pressi del ponte. Non si può, però, far finta di nulla, considerare il lavoro minorile un’esigenza sociale o un retaggio culturale.  Un bambino che trascorre la sua infanzia privata del gioco e del divertimento, conduce un’esistenza sbiadita, priva di significato e scopo. Sempre meglio, bisogna ammetterlo, dei bambini cresciti nell’ovatta, che hanno tutto e chiedono sempre i più, che da adulti trascorrono la vita nell’imbecillità di futili sciocchezze quotidiane. Si parte dal modellino di Ferrari, per arrivare alla collezione di Maserati, gelosamente custodite in garage e, mai, sino a che morte non lo colga, tirate fuori da lì. Che ti viene da chiedergli, cosa diamine le compri a fare? Collezioni macchine o polvere? Ma lo stesso vale per cellulari, consolle elettroniche, etc. “Mio padre non vuole che giochi al Game Boy, perché si consuma l’elettricità e così non l’ho mai usato” – abbassa gli occhi, la cadenza francofona scema e mogio, torna ad agitare fazzoletti per attirare l’attenzione degli automobilisti. Se quel bambino dall’infanzia rubata sapesse che nella maggior parte delle case, i bambini italiani, la Play Station la lasciano accesa giorno e notte… “I giochi dei bambini non sono giochi, e bisogna considerarli come le loro azioni più serie” ammoniva Michel Eyquem de Montagne. Ma se pensiamo alla fame nel Burundi ed ignoriamo i disagi sociali di casa nostra, andiamo davvero a letto con la coscienza a posto? Chi ha il diritto di privare un bambino della sua infanzia e del gioco? Anche loro saranno gli uomini del domani o sono già, a soli 10 anni, diventati gli uomini del presente? Sarebbe necessario l’intervento dei Servizi Sociali, delle associazioni e delle parrocchie (non basta inculcare proseliti cristiani per essere accolti nel regno dei cieli), senza colpevolizzare le famiglie disagiate di questi piccoli lavoratori ma, offrendo loro una possibilità per evitare di far lavorare i minori. “A casa non abbiamo neanche l’acqua calda” – ci confessa un altro. Beh, sarebbe un primo passo se il Comune destinasse le numerose ed abbandonate case demaniali a queste famiglie. Si potrebbero creare delle attività semi-ludiche in collaborazione con le associazioni, in modo da permettere ai bambini di guadagnare qualcosina giocando, oppure cercare un’occupazione per i genitori, in modo da risparmiare i figli. E’ mai possibile che i fondi per patrocinare un motoraduno ci siano e per aiutare i bambini no? Ma, infondo, si sa: “Gli adulti non capiscono mai niente da soli ed è una noia che i bambini siano sempre costretti a spiegar loro le cose”, sussurra affranto il Piccolo Principe di Antoine de Saint Exupéry.

Roberto Cazzolla

(da il Levante)


Blitz della Forestale a fermare un taglio abusivo

Stavano distruggendo il bosco, fermati dal CFS

L’ennesimo atto criminoso ai danni del patrimonio boschivo locale

Erano intenti al taglio autorizzato di una vasta area boscata tra Gioia, Acquaviva e Santeramo in località “Parco la Corte”. Gli operai della ditta Salamida, che in seguito all’autorizzazione rilasciata dal Settore Forestale della Regione Puglia alla ditta Violante, proprietaria della zona, stavano conducendo i lavori, avevano però completamente ignorato le prescrizioni che lo stesso assessorato regionale aveva imposto loro. “Rilasciare a dote del bosco 140 matricine, effettuando un taglio selettivo dei polloni” – prescrive l’autorizzazione – “preservare la biodiversità forestale, rilasciando le specie accompagnatrici del soprassuolo quercino e, per quanto riguarda il sottobosco, le specie tipiche della macchia mediterranea”, ed ancora “l’esbosco del materiale legnoso sarà realizzato a mezzo di trattrice gommata lungo le piste forestali esistenti”. Di tutto questo, quasi nulla è stato rispettato. All’arrivo, ieri mattina, gli agenti del CFS di Acquaviva delle Fonti, hanno potuto constatare la distruzione del sottobosco, il taglio di alberi non autorizzato, il dissodamento di alcune pietre, la realizzazione di un valico nel bosco, al fine di permettere il passaggio di numerosi mezzi pesanti, molti più di quelli consentiti. Il paesaggio appare spettrale: pochi alberelli vacillano al vento nei 5 ettari, dei 13 concessi ai lavori, ormai distrutti. Eppure le riserve al taglio erano tante, come quelle di preservare alcune matrici legnose per gli insetti xilofagi o mantenere intatte le specie arbustive per garantire la sopravvivenza anche della microfauna e di quelle specie avicole che in questi mesi svernano dalle nostre parti e trovano ricetto nei cespugli del sottobosco. Ma nella zona oggetto dei lavori non c’è neanche l’ombra di un animale. Non vola un pettirosso, un fiorrancino e neanche un passero. Si vedono solo decine di cataste di rami secchi al suolo, quattro o cinque mezzi pesanti, uomini intenti con la motosega al taglio, un rimorchio carico di legname ed una strada che solca la vegetazione. Al suolo numerose pietre ribaltate, neanche un misero cespuglio risparmiato all’espianto. Violenza gratuita nei confronti di un’area importantissima dal punto di vista naturalistico, già inserita in una Zona di Protezione Speciale (ZPS). Il valore, lo conferma il volo maestoso di una poiana codabianca, che s’innalza da un posatoio nei pressi del bosco, all’arrivo degli agenti. Un raro rapace che vive in zone ricche di piccoli mammiferi di cui si ciba. E, proprio i piccoli mammiferi si alimentano e vivono nelle zone basse della vegetazione, dove l’ambiente è intatto e consono alla vita. Ecco, perché il taglio indiscriminato effettuato a “Parco la Corte”, assume la veste di un doppio sfregio ai danni del già compromesso patrimonio forestale locale. Giorno dopo giorno, ettari di bosco vengono rasi al suolo e le immagini satellitari mostrano, col passare degli anni, paesaggi lunari, privi di vita, laddove regnava la natura autoctona. Molta della legna tagliata illegalmente sul territorio viene poi rivenduta direttamente per strada dagli stessi artefici del taglio. E’ facile trovare mezzi carichi di legna selezionata e accatastate nei pressi, ad esempio, dell’ospedale Paradiso di Gioia del Colle. Così chi acquista la legna, molto spesso, è inconsapevolmente complice di un reato ambientale. I controlli dovrebbero essere più capillari, sia sul territorio che direttamente sui mezzi che vendono in strada, in modo da poter risalire alle località disboscate. Stavolta, l’intervento degli uomini del CFS è stato tempestivo ed ha evitato che il reato si ampliasse anche all’area boschiva adiacente, in località di “Parco dei Briganti”, nell’agro gioiese. C’è da chiedersi come mai, nonostante l’affidamento dei lavori a dottori forestali, queste attività finiscano, di frequente, per essere condotte illegalmente. La direzione, in questo caso, era stata affidata al Dott. Vincenzo Andriani che, esperto in materia, non poteva non essere a conoscenza delle prescrizioni della Legge Regionale n° 14/01. Adesso, i trasgressori saranno puniti secondo le normative regionali in vigore e dovranno realizzare i successivi lavori di taglio in agro gioiese con la massima attenzione, rispettando le limitazioni previste.

Ma, intanto, un altro fragile antro di bosco è andato distrutto e ci vorranno decenni prima che la natura ripristini lo scempio. Chi paga, alla fine, è sempre l’ambiente.

Roberto Cazzolla

(da il Levante)


Un altro folle gesto di chi mette a rischio animali ma, anche, persone

Bocconi avvelenati ai randagi

Ieri, un nuovo ritrovamento nei pressi di Parco delle Mimose

E’ l’ennesimo ritrovamento nell’arco di pochi mesi, quello di ieri nei pressi della 5° traversa della provinciale per Casamassima, nei pressi di Parco delle Mimose. Sempre nelle vicinanze, dalle parti del cinema Seven, qualche settimana fa erano state ritrovate polpette avvelenate con topicida.

Stavolta il folle gesto è stato compiuto mettendo a rischio non solo la vita di animali ma, anche, quella dei bambini che spesso giocano nel quartiere. Ieri mattina, il pronto intervento di alcuni condomini delle nuove palazzine costruite in zona, ha evitato il peggio, salvando alcuni randagi che bazzicano la zona ed i bambini che, in questi giorni di festa, sogliono giocare proprio dov’era stata posizionata la scatola piena di brandelli di carne ed ossa imbevute nella pericolosissima sostanza, metaldeide. Questa, un molluschicida utilizzato barbaramente in agricoltura per la lotta a chiocciole e lumache, agisce a livello del Sistema Nervoso Centrale (SNC), diminuendo la concentrazione di un neurotrasmettitore (sostanza che trasmette l’impulso nervoso) inibitorio, il GABA, di noradrenalina e serotonina (neurormoni) ed aumenta la concentrazione di Mao (monoammino-ossidasi), abbassando la soglia di eccitabilità delle cellule nervose.

In altre parole, un simile veleno provoca spasmi muscolari, ipersalivazione, convulsioni, tachicardia diarrea, vomito, ipertermia e, molto spesso, la morte. L’antidoto consiste in barbiturici e diazepam.

Nelle quantità eccessive, con cui erano state trattate ossa e carni rinvenute, avrebbe potuto causare la morte di cani, gatti ed animali selvatici, di bambini ed una grave intossicazione negli adulti.

Ci si chiede come possano simili sostanze, altamente tossiche, essere rivendute semplicemente in ferramenta o in negozi per l’agricoltura? Sarebbe necessaria una restrizione delle licenze e del commercio di questi composti che, oltre ad essere utilizzati come esche per randagi, inquinano gli ortaggi, i terreni agricoli e la falda sottostante, dando l’illusione di aver eliminato i parassiti.

Il mortale boccone era stato incautamente sistemato all’interno di una scatola di cartone, al bordo di una strada nei pressi di uno dei giardinetti che costeggiano i palazzi della zona. Il colore e l’odore nauseabondo, hanno subito allertato i condomini che hanno prontamente recuperato la scatola ed avvisato i Carabinieri. Ora, in molti nella zona, sono preoccupati ed arrabbiati. Ci dicono: “Per qualche folle che non sopporta due cani buonissimi che gironzolano da queste parti e che è disposto a fargli fare una fine orribile, si rischia di avvelenare anche cani di proprietà ed i nostri figli. Abbiamo paura a portare a spasso i nostri animali domestici e siamo costretti a vietare ai bambini di giocare nel quartiere”. Eppure, assicurano, i due cani, probabili bersaglio dell’ignobile gesto, gironzolano da tempo nel quartiere e non hanno mai infastidito nessuno. Anzi, uno dei due, simile ad un pastore tedesco, è molto anziano e si muove adagio, riparandosi di tanto in tanto in zone protette del quartiere; l’altro è una cucciola dolcissima che fa feste a tutti.

Ma l’uomo si sa, “teme ciò che non conosce e presto o tardi lo distrugge”. Così, l’ignoranza, qualche esperienza traumatica del passato ed il profondo odio che il genere umano tende a riversare su ogni altra creatura del pianeta, portano a simili avventate decisioni che rischiano di colpire, non solo docili ed indifesi animali, ma anche gli stessi abitanti della zona.

Tale gesto è perseguibile ai sensi dell’art. 146 del Testo Unico delle Leggi Sanitarie, con l’arresto dai 3 mesi ai sei anni, dalla Legge n° 189/04 e 157/92. “Chi ha visto qualcosa o conosce l’artefice del misfatto deve denunciarlo – proseguono inferociti gli inquilini delle palazzine della zona – perché ha messo a rischio tutti noi. Non c’è motivo di avvelenare un essere vivente, tantomeno cani così buoni. In ogni caso ci stiamo attivando per farli adottare ed invitiamo i cittadini che ne hanno la possibilità a farlo al più presto”. 

Roberto Cazzolla

(da il Levante)


 

Vivere nel paese delle gru

Ti è mai capitato di perderti oltre i confini della fantasia, al di là dell’orizzonte, dove il fruscio d’un battito d’ali di farfalla riecheggia soave nell’etere della pace, percorrendo strade sterrate lungo le quali si rincorrono lecci odorosi e lentischi pungenti? Spero proprio che con la fantasia tu ci sia arrivato, perché se abiti a Gioia del Colle, scenari simili puoi solo immaginarli.

L’invasione grigia. E’ così che definirei il processo che sta avvenendo nella nostra già martoriata cittadina. Non bastavano disboscamenti illegittimi, cave abusive, villaggi in pieno parco, antenne a tutto spiano e inceneritori che sputano diossine, ora ci si mettono anche l’edilizia aggressiva e le colate di cemento, a fomentare il braciere dell’inosservabile.

Facile sollevare lo sguardo da qualsiasi punto del paese e accorgersi che minacciose gru osservano la nostra quotidianità. Trovare un misero squarcio di cielo, libero da ferraglia è diventato compito dei più esperti. Siamo tutti d’accordo che nel nome del progresso l’espansione demografica sia auspicata e richiesta. Vogliamo, però, fermarci a riflettere per renderci conto senza molto sforzo che, per poter ammirare un gratificante paesaggio di campagna è necessario macinare decine di chilometri. Stiamo cementificando il mondo, abbattendo quel poco di naturale che ancora è rimasto. E non venitemi a dire che si tratta di costruzioni e infrastrutture utili. Forse saranno utili al miliardario che è stanco di vivere sempre nella stessa villa. Forse saranno utili all’industriale senza scrupoli che annerisce la città con il fumo di guadagno che ha negli occhi. Ma, a chi come me placa il suo continuo trascendere dal perpetuo oscillare fra noia e dolore, con l’incantevole pace del mondo così come ci è stato consegnato, con le sue specie autoctone, i suoi arbusti forti ed i suoi fiori colorati, tutto questo progresso non piace.

Ci stiamo illudendo nella nostra presuntuosità di poter ricreare in vitro quegli ambienti che stiamo distruggendo, mettendo su giardini e parchi giochi, zoo e serre ed estirpando per sempre la biodiversità del mondo. Così come ci crogioliamo nell’idea di poter ripopolare le specie in via d’estinzione da noi stessi minacciate, con l’inseminazione artificiale, senza però accorgerci che le stiamo rendendo sessualmente impotenti, abbiamo intrapreso una politica espansionistica che ci condurrà alla completa desertificazione della natura. Stiamo prosciugando la bellezza delle nostre campagne, le antiche tradizioni, i mestieri di una volta, per unificarle in un modello unico standardizzato da una bramosità indiscriminata.

Ce ne accorgeremo, come al solito, quando sarà gia troppo tardi per tornare indietro. Quando una bella mattina d’estate, alzando gli occhi al cielo per osservare il popolo migratore, stupefatti, capiremo che l’unica cosa che ricordi un uccello è il nome di un elevatore meccanico industriale e che delle gru dalla livrea rosa l’unica immagine rimasta è racchiusa in un documentario.

                                                                                               Roberto Cazzolla

(da La Piazza)


I cittadini potranno segnalare anonimamente reati ambientali di cui sono a conoscenza

Per Natale fai un regalo alla Natura...

segnala un reato contro l’ambiente!

Al via la campagna natalizia della sezione locale di Gioia del Colle del WWF Italia 

Oggi parte la campagna natalizia del WWF Italia sezione locale di Gioia del Colle e Acquaviva delle Fonti dal titolo: “Per Natale fai un regalo alla Natura…segnala un reato contro l’ambiente”.

Gli attivisti del WWF metteranno a disposizione una “scatola” per raccogliere le segnalazioni, riconoscibile per la presenza dei loghi dell’iniziativa, presso l’edicola Agorà in P.zza Plebiscito.

I cittadini che vorranno aderire alla campagna, potranno segnalare reati ambientali commessi ai danni del territorio locale semplicemente compilando la scheda allegata alla scatola. Potranno farlo anonimamente in modo da sentirsi più liberi da eventuali ripercussioni personali. L’iniziativa parte dall’esigenza di consultare proprio i cittadini su problematiche di cui sono a conoscenza direttamente. Spesso capita, infatti, che vengano rilasciate segnalazione presso la sezione locale dell’associazione ambientalista, di reati in materia ecologica.

Con questa iniziativa si è voluto, dunque, dare una possibilità in più alla gente di contribuire alla salvaguardia del territorio locale. Sulla scheda andrà indicato il tipo di reato di cui si è a conoscenza (scarico di liquami, taglio abusivo di alberi, spietramento, discarica abusiva di rifiuti, caccia e pesca illegali, commercio di animali e piante proibiti, rimozione di ulivi, scarichi abusivi nella falda acquifera, inquinamento acustico e atmosferico, discarica di amianto, etc.). Sulla scheda dovrà, inoltre, essere indicata la località del reato e potranno essere allegate delle foto scattate sul luogo. Una volta compilata, in totale discrezione e  anonimamente, la scheda dovrà essere inserita all’interno della scatola.

Entro la metà di gennaio 2008, gli attivisti della sezione locale WWF, ritireranno le schede e passeranno in rassegna le segnalazioni. Così i reati, una volta verificati, saranno denunciati tramite apposito esposto alle forze dell’ordine preposte.

L’apertura della scatola avverrà, ad opera degli attivisti del WWF, entro il 15 gennaio 2008.

La speranza è che, in questo modo, ognuno si senta responsabile del proprio territorio e nell’occasione di Natale, si faccia promotore del rispetto dell’ambiente e della natura.


Ancora un albero abbattuto a Gioia del Colle

Dopo i platani di via Roma, i boschi di Monte Rotondo, i pini della ex statale 100, gli eucalipti della villa nei pressi della S. Filippo Neri, gli alberi di P.zza Pinto, questa volta la vittima sacrificale dell'ennesimo taglio irresponsabile è un Cedro del Libano (Cedrus libani) dell'età di circa 70 anni (come rilevabile dall'analisi dendrocronologica), presente in una villa di via Regina Elena a Gioia del Colle.

L'albero di maestosa portanza, poteva a tutti gli effetti essere considerato bene comune e non solo bene privato, in quanto la maggior parte della chioma donava ombra alla carreggiata stradale, sino a toccare i muri del mercato coperto. Se è vero che tale specie non gode di tutele particolari, vige un principio di rispetto per essenze maestose, di pubblico interesse, che forniscono beneficio all'intera città e rappresentano dei monumeti naturali oltre a dare ricetto a numerose specie di uccelli. L'imponenza di un simile albero è stata distrutta in pochi minuti con un'operazione prepotente che ha visto il blocco della strada, l'interruzione della circolazione e il taglio frettoloso, nonostante l'ostruzione fisica posta da alcuni attivisti del WWF allertati da un anonimo cittadino e le proteste di alcune persone accorse. Va detto che il taglio definitivo è stato deliberatamente permesso, nonostante il dubbio sulla legittimità dello stesso e nonostante la nostra richiesta di interruzione dei lavori in attesa di verifica, da due agenti di pattuglia della Polizia Municipale che, invece di bloccare per le dovute verifiche gli operai del cantiere, hanno cercato di limitare la nostra protesta chiedendoci addirittura di fornire le generalità ed invitandoci a rilasciare dichiarazioni scritte presso il comando, con l'intenzione di allontanarci dal cantiere.
Se il taglio sia legittimo o meno fa poca differenza. Il problema fondamentale è che di mese in mese il Comune di Gioia del Colle perde monumeti vegetali che hanno impiegato decine di anni per crescere e vedono concludere la propria esistenza per lasciar posto ad un'oltraggiosa, impetuosa e grigia edilizia selvaggia.Una simile propensione, agevolata soprattutto dalle autorizzazioni "facili" rilasciate dall'Ufficio Tecnico del Comune, non fa altro che minare lo stato di vivibilità della città. Tra qualche anno ci saranno più palazzi di quanti saranno i cittadini e respireremo attraverso bombole di ossigeno perchè gli alberi li avranno tagliati tutti.E' davvero ora di finirla con questa scellerata politica della lottizzazione a spese dei cittadini e dell'ambiente. Invitiamo gli organi di polizia a verificare la legittimità degli interventi in campo edilizio e sui tagli di alberi che di sera ci sono e di mattina son distesi esanimi per terra,con la complicità (va detto) di chi ti allerta mesi prima e poi mentre tagliano risulta "irragiungibile"...


Dicembre 2007: stato dell’Ambiente gioiese

 E’ difficile riassumere in poche righe una questione così ampia come lo stato di salute dell’ambiente locale. Proviamoci, andando per ordine, partendo dalle vicende più recenti.

Nei giorni scorsi è stata scoperta un a nuova probabile perforazione abusiva per convogliare la raccolta di acque meteoriche direttamente nella falda nei pressi del palestrone Comunale. Si tratterebbe della seconda scoperta dopo la prima nei pressi di via G. Argento, e denunciata al Corpo Forestale ed alla Guardia di Finanza dal WWF (procedimento di cui ancora non si conosce l’esito). Si tratta di un intervento grave perché va ad inquinare le acque della falda acquifera gioiese che spesso vengono utilizzate tal quale per la potabilizzazione.

A proposito di mobilità sostenibile, va segnalato che gli autobus pubblici che circolano in paese sono sempre e costantemente vuoti e questo è certamente dovuto al fatto che in pochi conoscono gli orari e le fermate, in quanto risulta davvero difficile reperire queste informazioni. E’ inutile far circolare un bus vuoto. Si dovrebbe cercare di rendere più chiari i punti di sosta ed i tragitti e fornire alle edicole la tabella degli orari. Di certo molti anziani ne beneficeranno. L’uso della bici è sempre, inspiegabilmente, raro. Eppure fa bene alla salute ed all’ambiente!

Il problema randagismo dovrebbe esser giunto ad una svolta, visto che nei giorni scorsi il WWF ha denunciato ai Carabinieri del NOE il Comune di Gioia, per maltrattamento d’animali (art. 727 del C.P.) per il mancato rispetto delle norme sul trattamento degli animali d’affezione (L.R. 12/95). Si spera che la Magistratura smuova l’incomprensibile stallo della situazione. Intanto al canile “comunale” aumenta il numero di rifugiati incolpevoli e peggiorano le condizioni igieniche, con tettoie in amianto che si sgretolano e rifiuti a cielo aperto. Perché i soldi finiscono al canile di Cassano e Gioia vessa in un’insostenibile condizione per cani e cittadini?

Finalmente l’ipotesi discarica a Monte Rotondo è stata accantonata dal Consiglio Comunale che ha votato contro la realizzazione di qualunque tipo di discarica sul territorio. Ora la palla passa alla Regione che, certamente, non avrà difficoltà a confermare il parere del Consiglio. Anzi c’è la volontà da più parti di rendere tutta la zona un’area naturale protetta (è ancora possibile richiedere copia dello studio del WWF su M. Rotondo, Bosco Romanazzi e Serra Capece all’indirizzo e-mail: wwfgioiadelcolle@viriglio.it).

Intanto all’aeroporto militare è arrivato un nuovo modello di aereo intercettore, che ha già fatto rombare i suoi motori e diffuso le sue nubi di scarichi inquinanti sulle nostre teste. Bella mossa. Peccato che ci si dimentichi sempre che nella Costituzione italiana (art. 11) c’è scritto: “L’Italia ripudia la guerra”, non “la rifiuta”, ma “la ripudia”, ciò significa che qualunque mezzo e armamento militare da guerra non dovrebbe essere presente sul territorio. Peccato, che sono anni che respiriamo i gas di scarico degli aerei, ricchi di finissime particelle e Idrocarburi Policiclici Aromatici (IPA), comprovati cancerogeni. Ma perché contestarlo, l’Aeroporto dà lavoro a così tanta gente?!? Sì, ma probabilmente ne ha ucciso almeno il doppio (fra malati di cancro e vittime dei conflitti)!

Forse proprio per questo a Gioia non è mai stato realizzato un serio monitoraggio dell’aria. Ma proprio per questo il WWF, insieme ad altre associazioni lancerà, nei prossimi giorni, la campagna “Cosa c’è nell’aria” e sosterrà le spese, insieme ai contributi dei cittadini, per commissionare ad un ente di ricerca specializzato il monitoraggio dell’aria in vari punti della città.

Dal fronte DISMO tutto tace, forse per non ammettere che c’è qualcosa che non va o per nascondere ciò che va. I risultati delle analisi sulle nanoparticelle effettuati dal dott. Montanari, l’azienda Sofinter (costruttrice del DISMO) non li ha resi ancora pubblici, eppure sono passati molti mesi. Chissà se gli esperimenti continuano e cosa fuoriesce da questa tecnologia che ci mette anni a sfondare…probabilmente, i polmoni della gente!

La raccolta differenziata ha toccato lo schifo storico, non perché la gente non si impegni a farla ma perché la Spes continua a rendere il servizio inefficiente. Eppure qualche mese fa avevamo ricevuto conferma da parte dell’Amministratore Delegato dell’azienda che si sarebbe fatto il possibile per accontentare alcune semplici richieste: aumentare il numero di cassonetti per la differenziata ed associarli ad ogni bidone per l’indifferenziato; sistemare bidoni per la raccolta anche di alluminio, acciaio e rifiuto organico; lavare con più frequenza i cassonetti che ormai sono tutti dello stesso colore: nero; svuotarli con più frequenza e realizzare altre campagne di sensibilizzazione dei cittadini, anche sulla raccolta dei rifiuti speciali e pericolosi. Di tutto questo dopo mesi, neanche l’ombra. Solo interventi di facciata come sostituire dei funzionali bidoni per il vetro con degli altri identici ma di un colore più chiaro. Recentemente gli stessi della Spes ci han detto, senza tanti giri di parole, che ciò che non conviene all’azienda non sarà realizzato (vedi raccolta dell’alluminio, riciclo del polistirene – cioè di piatti e bicchieri in plastica, etc.). Eppure si tratta di una ditta che è per l’80% a capitale pubblico e quindi dovrebbe fare prima gli interessi dei cittadini e dell’ambiente e dopo i suoi. Ma a loro interessa solo il capitale.

Il verde gioiese ha subito un’altra grave perdita dopo il taglio dello splendido e maestoso Cedro del Libano presente nella villa dinanzi al Mercato Coperto. Ora basta tagli, serve un regolamento del verde! Intanto, nonostante la richiesta di intervento per fornire un sostegno alle giovani querce piantate lo scorso anno, dal Comune nessuna risposta, dalla Spes – che gestisce il verde pubblico – una sola: “Non è affare nostro…”. Strano, perché credevamo avessero in appalto anche la gestione del cielo stellato notturno e del campo visivo, ostruito con mega cartelli pubblicitari, alquanto sospetti per conformità alla legge e interesse pubblico.

Quest’estate gli incendi hanno risparmiato buona parte dei boschi gioiesi, se si eccettua il disastroso rogo divampato nei pressi di Gravina S.Croce in località Marzagaglia al confine con Laterza. Un disastro se si considera che recentemente nell’area sono stati censiti alcuni esemplari rari di coleotterofauna, come il Cervo volante ed il Cerambice delle querce, oltre a numerosi rettili minacciati, mammiferi ed una straordinaria varietà di uccelli dalle livree spettacolari, come il Fiorrancino.

Sempre a proposito di biodiversità, continuano a stupire le numerose specie (a volte molto rare) scoperte a Serra Capece ed in località Marzagaglia, come il Colubro leopardino. Di recente, è stato segnalato l’abbattimento di uno Sparviere, morto dissanguato prima di essere consegnato ai volontari del WWF, nei boschi al confine con Noci, sparato da bracconieri senza scrupoli che uccidono animali che neanche raccolgono, tanto per il gusto di ammazzare. Numerosi richiami acustici sono stati sequestrati a cacciatori gioiesi durante i turni di vigilanza che in questi giorni si stanno intensificando. (Chiunque dovesse ritrovare animali feriti o volesse segnalare reati venatori può contattare i numeri di emergenza del WWF: 3381018014 oppure 3397729678).

Il CFS ed  la Guardia di Finanza hanno realizzato interventi di controllo, rispettivamente, sull’abusivismo edilizio e sulle discariche abusive, come quella denunciata sulla Gioia-Santeramo, ma c’è ancora molto da fare. Numerose sono le discariche abusive sparse sul territorio, ed in particolare nei pressi di via Vecchia Matera sono stati depositati numerosi cumuli di amianto per i quali si dovrà procedere alla rapida rimozione.

Per ultimo non si può dimenticare l’edilizia selvaggia che sta soffocando di grigio tutta la città. Se si continua di questo passo fonderemo una megalopoli invivibile, priva di boschi e campi coltivati ed ecologicamente insostenibile. E’ necessaria una rapida ed oculata regolamentazione delle costruzioni che preveda anche un incentivo per l’installazione di pannelli solari e sistemi fotovoltaici sulle nuove abitazioni.

Bisogna prestare particolare attenzione alla proliferazione incontrollata di pale eoliche che se mal posizionate possono creare seri problemi d’impatto ambientale sull’avifanuna ed il paesaggio.

Chiunque sarà il prossimo sindaco dovrà tenere conto di tutte queste problematiche, perché interessano i cittadini in prima persona, la loro salute e la qualità della vita, altrimenti sarà destinato all’ennesimo fallimento politico. 

Roberto Cazzolla

(da Gioia News)


Scoperti un bosco completamente distrutto, discariche abusive e spietramenti

“Lì dove c’era il bosco ora c’è un porcilaio”

Sulla provinciale51 per Matera una serie infinita di “delitti contro l’ambiente”

di ROBERTO CAZZOLLA 

Si stenta a credere ai propri occhi. Quella che per molti secoli è stata una via preferenziale della transumanza dei pastori, quella che ha raccolto natura e tradizioni, consegnando alla cittadina di Gioia del Colle una memoria storica da custodire, si sta trasformando nel “museo dei delitti contro l’ambiente”. E’ una situazione davvero molto grave, passata inosservata per parecchio tempo, che ora non può più restare nell’ombra. Si imbocca la provinciale 51 che da Gioia porta a Matera, attraversando numerosi lembi del fatiscente Parco Nazionale dell’Alta Murgia, svoltando sulla destra, subito dopo aver superato il caseificio Capurso. Chi è privo di memoria corta, non ha dimenticato il fascino dei coltivi di quella strada, inframmezzati da boschi a fragno e roverella, contornati da maestosi muretti a secco alti anche 2 metri, colorati dalle sfumature delle stagioni. Oggi, invece, dopo anni di silenzi ed omertà, e grazie ad una scoperta quasi casuale, emergono segnali inquietanti su quanto si è fatto per distruggere questi luoghi e quanto ancora si sta facendo.

Già dopo il primo chilometro, sulla destra, si scorge un maestoso muretto a secco, il cosiddetto “parietone”, che col tempo sta perdendo i pezzi delle antiche pietre che lo componevano. Proseguendo tra oliveti visitati da merli e storni e vigneti, che come secche e nude braccia si estendono vegliardi sul suolo, s’intravede, all’altezza del chilometro 5, un bivio sterrato sulla sinistra ed un altro, poco più in là, sulla destra. Imboccando il primo potrebbe sembrare di essere entrati in un negozio di elettrodomestici. Lavatrici, televisori, frigoriferi ma, anche, reti per letti, pneumatici, sacchi in plastica, rottami di auto, batterie e le immancabili lastre in amianto. Il tutto a costeggiare un campo dove si coltivano ortaggi di tutti i tipi, che finiscono sulle nostre tavole. A questo punto, ci si chiede sgomenti, come nessuno possa essersi accorto prima d’ora di un simile scempio e perché, se qualcuno ha notato tutto questo, il reato non è stato segnalato. A farne le spese sono tutti i cittadini, poiché le innumerevoli sostanze chimiche (dai metalli pesanti ai Poli Cloro Bifenili, dal mercurio al piombo) finiscono nel terreno e nella falda ed entrano a far parte delle catene alimentari, partendo dalle verdure per finire agli animali d’allevamento. Tutti noi mangiamo e respiriamo i disastri compiuti da altri. Ed allora perché nessuno li segnala? Perché nessuno li bonifica?

Lasciamo il “teatro degli orrori”, consapevoli di averne visitato solo uno tra i tanti sparsi sul territorio, ed imbocchiamo la sterrata sulla destra (chilometro 5 ed 800).

Impossibile a crederlo, ma la situazione è peggio di prima. Un’intera parte di un antico tratturo, ostruita da residui di costruzione, pietre, mattonelle, pneumatici, un carcassa d’auto, sacchi in plastica, secchi di ferro ormai arrugginiti. Ma ciò che più preoccupa è il ritrovamento di decine di barattoli di vernice, alcuni ancora sigillati. Su molti si legge: “Vernice di fondo bituminosa. Nocivo, irritante, non respirare, non disperdere nell’ambiente, può provocare grave inquinamento dei terreni e delle acque”. Forse chi se n’è disfatto non ha letto l’etichetta. Ma sono centinaia i bidoni di vernice e credere nella distrazione è davvero un’acrobazia della mente. Proprio quel tipo di vernice, contenente Xilene e Tricloroetilene, è la causa dei gravi fenomeni di contaminazione dei suoli e dei bacini idrici, in grado di causare numerosi tumori e la perdita di biodiversità.

La via di Matera sembra un tour della vergogna. Ma, l’apoteosi dell’insolenza la si raggiunge solo all’altezza del chilometro 6. Guardando a sinistra si estende una grande fascia boscata completamente recintata. All’interno, il sottobosco è scomparso e sono evidenti i segni di distruzione dovuti a cinghiali o maiali. Un simile allevamento in un bosco autoctono è una pratica dall’impatto elevatissimo, e se non autorizzata, un reato davvero grave. Ma d’altronde, come può essere stato autorizzato tutto questo: una recinzione arrugginita per un bosco con querce rovinate e vegetazione bassa completamente distrutta. Il suolo è del tutto dissodato. Il terreno, causato dal costante calpestio degli animali allevati, appare una distesa fangosa. La fauna autoctona, certamente è scomparsa, così come le piante endemiche. Uno scempio che si compie sotto gli occhi di tutti, visto che il bosco affaccia proprio sulla strada provinciale. Eppure sino a qualche decennio fa, quell’area era un piccolo gioiello naturale. Torniamo verso il paese, lo sconforto è tanto, e mentre ci incamminiamo sulla strada parallela di ritorno scoviamo un altro misfatto: cumuli di pietre dissotterrate da un campo, querce abbattute ed un enorme scavo. L’ennesimo scempio silenzioso del nostro territorio.

Così perdiamo la storia, perdiamo la cultura, perdiamo la natura. Che qualcuno fermi tutto questo.

 

Roberto Cazzolla

(da Il Levante)


Lunghe code e resse ai distributori, vittime della dipendenza da petrolio

Tutti senza benzina: scenario di un futuro imminente

Anche i gioiesi hanno subito i disagi dello sciopero degli autotrasportatori

 di ROBERTO CAZZOLLA 

Lo sciopero degli autotrasportatori ha aperto uno squarcio nel futuro. Come la più profetica delle sibille, ha mostrato a tutti quanto ormai siamo diventati cronicamente “petrolio-dipendenti”. I gioiesi, come molti italiani, si sono ritrovati da un giorno all’altro a dover fare i conti con l’assenza di carburanti per le auto, dovuta allo sciopero degli autotrasportatori che hanno centellinato anche diesel, metano e verde. Così, le code per accaparrarsi l’ultimo “pieno” si son fatte lunghe e martedì sera una fila estesa per più di un chilometro ha bloccato l’intera viabilità della ex-statale 100, all’altezza del famoso distributore “child-killer”, contestato perché posto a due passi dalla scuola di via Eva. Molti automobilisti hanno preso d’assalto il self-service incolonnandosi come automi, con alcuni momenti di tensione. Ma, a parte l’increscioso evento dovuto ad uno sciopero improvvisato causato da una protesta, seppur legittima per la categoria, specchio di un Paese che trasporta il 90% delle sue merci su gomma e non su rotaia come nel resto d’Europa (incrementando smog, effetto serra, traffico e consegne ritardate oltre, naturalmente, il malcontento di chi trascorre la notte sulla strada), l’evento ha permesso di guardare ad un futuro non molto lontano, in cui saremo tutti assetati di petrolio e l’elevato costo non ci permetterà lo sperpero attuale. Le stime non parlano di centinaia di migliaia di anni, ma di qualche decennio. Ed allora, ecco che come la più bistrattata tra le Circe moderne, si è fatta immagine reale un’angoscia che per troppo tempo abbiamo voluto ignorare. Uno stile di vita completamente improntato al consumo, alla mobilità su 4 ruote ed all’acquisto di merci dagli antipodi del mondo, ha aumentato di certo il nostro potere d’acquisto ma, ha radicalmente messo in ginocchio la nostra qualità della vita. Siamo, è inutile cercare di negarlo, assuefatti dal petrolio. Senza di esso non arrivano più i quotidiani in edicola, le banane africane dal fruttivendolo, il latte tedesco al supermercato, le merendine intrise di coloranti dalla Cina. Abbiamo totalmente rimosso dalle nostre satolle cervella di  mentecatti tecnologicizzati come fare per sopravvivere, o forse sarebbe meglio dire, per vivere (inteso nel più alto e nobile senso idiomatico), in un mondo semplice come quello di tempi non troppo remoti. Senza tornare all’epoca dell’ingegnere Ford (che tanto per la cronaca, alimentava le sue auto con combustibili vegetali e non con petrolio), forse abbiamo scordato che i nostri nonni, non avevano certamente a disposizione auto e motorini, e non avevano bisogno di scazzottarsi al distributore della…biada. Il pane lo compravano dal fornaio che lo produceva sotto casa, frutta e verdura dall’orto del vicino e se proprio dovevano spostarsi, usavano i mezzi pubblici o chiedevano passaggi. Ma qualcuno direbbe, cose d’altri tempi.

Quel che conta è che in “questi tempi” le cose vanno davvero male. Milioni di morti ogni anno a causa dell’inquinamento urbano, centinaia di prodotti stranieri prima immessi e poi ritirati dal mercato perché contaminati, tossici o pericolosi, decine di ingorghi quotidiani sulle strade con il livello di stress alle stelle e, di conseguenza, stupri, omicidi e suicidi a non finire. Forse il tempo dei nonni, come quello delle mele, è passato ma, così non si può continuare a vivere. Basta uno sciopero per far crollare la terra sotto i nostri piedi. Non “siamo capaci di futuro”, come recitava uno slogan della conferenza di Rio del 1992, dimenticato troppo in fretta. In questa epoca del consumismo esasperato, tutto ciò che crediamo rilevante è un bene materiale prodotto con grande spreco di risorse e petrolio. Nulla più. Se di colpo scioperassero distributori e compagnie telefoniche, potrebbero seppellirci da vivi. Non saremmo capaci di fare più nulla. Allora, è il momento di fermarsi un attimo in questa strana frenesia, a chiederci dove stiamo andando e per quale ragione. Forse la risposta c’impiegherà un po’ ad arrivare, ma lascerà tutti a bocca aperta: stiamo andando verso l’autodistruzione e la tecnologia non ci salverà. Unica speranza: tornare alla vita semplice in armonia con la natura. E questo, per chi adesso sta nascondendo il ghigno beffardo come a chiedersi sarcasticamente “dovremmo torniamo all’età della pietra?”, non vuol dire un ritorno alla vita in caverna, vestiti di pelli, come cacciatori-raccoglitori ma un passo indietro, elogio della lentezza. Vuol dire iniziare ad acquistare cibo locale (il pane gioiese è tra i più buoni, così come i prodotti agricoli, i biscotti ed i farinacei, il latte ed i prodotti caseari nostrani), vuol dire ridurre il consumo di plastica (basta inserire la spesa in sacchi di tela ed eliminare l’utilizzo di stoviglie in plastica) e carne, vuol dire usare i mezzi pubblici, i piedi o la bici (la città di Gioia sembra plasmata proprio per andare sulle 2 ruote, ma quanti davvero lo fanno?), vuol dire bere acqua dal rubinetto che è più sana e riduce il trasporto ed il numero di contenitori e, forse, solo così, non avremo più attacchi di panico al primo sciopero, sentendoci davvero “oil-free”, liberi da quell’oro nero che inquina la Terra ed insanguina i popoli.

(da Il Levante)


Se il buon esempio non arriva dai dirigenti comunali…

E’ una piazza o un parcheggio?

Quando piccoli abusi quotidiani distruggono l’identità culturale

 Per la serie “tanto va l’UTC alla piazza che ci lascia il furgoncino”. Quando si parla di smarrimento intellettuale, ci si riferisce ad uno status quo che è difficile da smuovere. Specie se a mantenerlo stabile sono proprio gli stessi promotori dell’ardua impresa. E’ il caso, ad esempio, di Piazza Margherita di Savoia, sulla quale si affaccia lo splendido Teatro Rossini, ultimo vessillo di cultura, vittima dello sprofondamento ideologico dell’era mediatica. Proprio sulla piazza che dovrebbe rappresentare lo scenario intellettuale del paese, proprio nel luogo che dovrebbe essere raduno di menti e di pensieri, si affollano quotidianamente autovetture d’ogni tipo e salta all’occhio la costante presenza di mezzi comunali. Come può essere più alto l’affronto. Inibito il passaggio, spenta la meditazione della gente in sosta, alle prese con il labirintico sentiero dettato dall’ammasso di ferraglia.

“Vorremmo una città più viva e vivace culturalmente”, ma il sogno presto s’infrange e diventa chiaro il motivo degli scarsi risultati dalle piccolezze quotidiane, come il sostituire la piazza di un teatro con un parcheggio pubblico e selvaggio. Crolla, come friabile terreno sotto il pesante passo della civiltà, l’ultima speranza per una primavera dei sensi. Non basta la promessa innovatrice di un punto di svolta, cancellato in fretta e furia dopo le elezioni. Non servono le sciarpe colorate, simbolo mondano d’elevazione aristocratica, per credersi e far credere più alto ogni sospiro. E’ il caso di iniziare a fare pulizia. Che sia, questa, interiore o di un luogo tanto bello quanto effimero. Uno spazio fisico che attraversa le menti, un luogo di sosta nel caos quotidiano, libero dalla tecnologia e intriso di pensieri ed opinioni. Quale meandro di città, meglio della piazza del teatro, può rappresentarlo? Prima di ogni proclama sulla libertà di pensiero, sul rispolvero dell’impegno civile e sociale di un paese che negli anni, sembra averlo smarrito, è necessario un ritorno al futuro. Lo sgombero di una piazza dalle auto, simbolo dello sgombero dal vuoto meccanicistico dalle menti. “Ed allora potremo immaginare un Umanesimo nuovo…un Neo-Rinascimento”, recitava il gaberiano teatrante, che di palcoscenici colmi di speranza in un futuro migliore, ne ha calpestati tanti. Potremmo addirittura ricominciare credere che i cittadini appartengano alla città, i pensieri alla mente, l’uomo alla Terra. Sarebbe come un gesto di speranza. Far sgomberare le auto dalla cultura. Sarebbe un modo, per dire alla gente: “La rivoluzione sta iniziando”. Non imbracciate le armi, armate la testa, riempitela di sogni e ideali e lasciate che si svuoti su una piazza che attende speranzosa gente nuova, gemme del ciliegio che adesso sta nascendo. Frutto di quel seme in grado capire che, per far crescere una pianta sana, oltre ad acqua e minerali, serve un luogo incontaminato dove poter affondare le radici, organo vegetale allegoria d’immobile movimento. E da questo, se la terra sgombra da umane futilità lascerà spazio al distendersi dei rami in movimento, sboccerà un fiore sfumato da colori di speranza, per una piazza, per della gente, che riappropriandosi di un luogo, ha ripreso in mano la sua identità culturale.

                                                                                                              Roberto Cazzolla

(da Il Levante)


Scarichi abusivi nella falda: il Comune viola la legge?

Scoperte due perforazioni che convogliano acque meteoriche direttamente in falda. Salute a rischio

Pronto, parlo con l’Acquedotto Pugliese? “Si mi dica – vorrei sapere se è di vostra competenza lo smaltimento delle acque meteoriche… - no, a noi compete solo il trattamento delle acque di potabilizzazione, è il Comune che ha in gestione la fogna bianca” – quindi lei non sa come mai viene immessa dell’acqua di lavaggio delle strade direttamente in falda? – no, di sicuro non è un intervento previsto per legge e dubito sia stato il Comune ad autorizzarlo”.

Così l’Ufficio Tecnico, interpellato, risponde per voce del geometra Gemmato, che molto gentilmente ci dice: “Siamo al corrente dei pozzetti di scarico realizzati nei pressi del Palestrone Comunale ed in via Martiri di Cefalonia, ma il tutto è stato effettuato a norma di legge ed autorizzato dalla Provincia di Bari – ma a quale legge si riferisce? – E’ una legge regionale sul trattamento delle acque meteoriche che in questo momento non ho sottomano”. Forse il riferimento è al Decreto del Commissario delegato per l’Emergenza Ambientale del 21 novembre 2003, n. 282 in merito al trattamento delle “Acque meteoriche di prima pioggia e di lavaggio di aree esterne di cui all'art. 39 D.L.gs. 152/1999 come modificato ed integrato dal D.Lgs. n. 298/2000”.

Tale provvedimento regolamenta l’intrecciata materia dello scarico delle acque piovane provenienti da strade, tettoie, etc. ed in particolare legifera riguardo alle “acque di prima pioggia e di lavaggio delle aree esterne”. All’articolo 5 del Decreto si legge: “Il titolare dello scarico di acque di prima pioggia e di lavaggio delle aree esterne che dilavano dalle pertinenze di stabilimenti industriali, nonché da strade e piazzali destinati alla movimentazione e deposito di mezzi e di materiali […], dopo trattamento depurativo in loco, è tenuto a richiedere all'Autorità competente apposita autorizzazione al fine dell'attivazione dello scarico”. Quindi è necessaria, oltre all’autorizzazione rilasciata dalla Provincia, anche un trattamento depurativo in loco, prima di smaltire le acque piovane. Ma su questo il geom. Gemmato ci rassicura: “L’autorizzazione della Provincia c’è ed al pozzetto del Palestrone sono stati associati tre pozzetti di scolo per la depurazione”. Ma probabilmente il Decreto Regionale per “depurazione” non intende i processi fisici che hanno luogo durante il percolamento nel sottosuolo, bensì tutti quei trattamenti che provvedono ad abbattere il carico organico, il carico trofico e gli inquinanti (metalli pesanti, IPA, etc.) provenienti dal manto stradale che altrimenti contaminerebbero l’acqua della falda, che in molti a Gioia utilizzano per irrigare i campi per mezzo di pozzi artesiani o anche, per diretto consumo umano. Ma, il problema non sta neanche tanto nel tipo di depurazione effettuata, quanto nel fatto che la normativa nazionale vieta lo scarico in falda (D.L.vo 11 maggio 1999, n. 152, art. 30 e 39, comma 1 e 4, rispettivamente: “È vietato lo scarico o l’immissione diretta di acque meteoriche nelle acque sotterranee) ed autorizza, invece, il solo scarico delle acque di lavaggio stradale in corpi idrici superficiali o in strati superficiali del sottosuolo, che quindi falda non sono. Pertanto il D.R. al quale fa probabilmente riferimento il geometra Gemmato, non è da intendersi per gli scarichi delle acque meteoriche in falda. Inoltre, c’è da aggiungere che, mentre per il pozzetto del Palestrone comunale vi è una parvenza di trattamento depurativo fisico, lo scarico profondo parecchie decine di metri in via M. di Cefalonia (che il WWF locale ha già segnalato alla Magistratura) sembrerebbe essere di tipo diretto senza alcun pretrattamento delle acque. Proprio in quella zona c’è un pozzo artesiano che certamente viene utilizzato per irrigare il grande orto adiacente, quindi tutti i contaminanti dilavati dalla superficie stradale, insieme alle numerose cicche, carte, pezzi di plastica che arrivano all’interno del pozzetto, finiscono sulle verdure consumate tutti i giorni. E quelli che sfuggono, finiscono nella falda profonda andando a contaminare il collettore idrico (fiume o mare) verso il quale affluisce. Proprio per evitare pericoli di contaminazione, sempre il D.L. 152/99 art. 21 comma 5 individua una “zona di rispetto, costituita dalla porzione di territorio […] da sottoporre a vincoli e destinazioni d’uso tali da tutelare qualitativamente e quantitativamente la risorsa idrica” e cita: “In particolare nella zona di rispetto sono vietati l’insediamento dei seguenti centri di pericolo e lo svolgimento delle seguenti attività: [lettera d)] dispersione nel sottosuolo di acque meteoriche proveniente da piazzali e strade”. Quindi, stando a questi decreti, il Comune realizzerebbe uno scarico illegale che metterebbe a rischio la salute di tutti i cittadini che, in quanto esseri viventi, dell’acqua non possono proprio farne a meno. E se anche la giustificazione di un tale intervento fosse quella di limitare i continui allagamenti che coinvolgono le numerose strade gioiesi durante le piogge, si potrebbe adottare il modello di Chicago, che utilizza un asfalto permeabile che permette il passaggio dell’acqua attraverso il terreno e ne consente la biodepurazione sino all’arrivo in falda.

Magari i costi iniziali sarebbero compensati da una notevole diminuzione dei disagi alla circolazione durante le piogge, da un minor allagamento delle cantine e dei seminterrati e da un ridotto tasso di contaminazione di frutta, ortaggi e  prodotti caseari per produrre i quali si utilizza acqua contaminata che il Comune immette nella falda a volontà. Per una volta non si badi ai costi economici ma alla salute della gente e alla tutela dell’ambiente. Avviso per la prossima amministrazione.

 Roberto Cazzolla

(da Il Levante)


La Ciancio: “Se ci fossero i fondi promessi le scoperte potrebbero aumentare”

Santo Mola: quando la storia finisce nel cemento

La Soprintendenza: tanto da scoprire. Intanto proseguono i lavori edili sulla necropoli

Immaginate una necropoli fondata nel VII secolo a.C., ricca di tombe intatte, scheletri, monili, corredi funerari. Ed immaginate che questa venga scoperta casualmente, come spesso accade, durante dei lavori di scavo. In realtà la stessa era già stata rinvenuta negli anni ’40, ma poi destinata all’oblio sino a qualche anno fa. Immaginate che un simile ritrovamento è un fatto storico di rilevanza straordinaria, trattandosi di un luogo di sepolture di uno dei popoli, i Peuceti, più antichi della cultura pugliese. Questi, imparentati con gli Japigi, insieme ai Dauni ed ai Messapi, colonizzarono le terre della Murgia e del Tavoliere. Erano una società fondata sulla monarchia, in cui il re, ereditata la corona dal padre, veniva acclamato dal popolo e comandava le milizie, giudicava i delitti, presiedeva ai sacrifici, ed era assistito da un consiglio di abitanti del villaggio che lo aiutavano ad amministrare la giustizia. Il loro nome deriva probabilmente da “Pediculi” parola che, in greco, significa “abitanti delle colline”; essi avevano realizzato un imponente sistema agricolo e tessile ed allietavano le giornata di lavoro con inni e poemi, che insegnavano ai bambini già dalla tenera età. Il loro centro principale fu Monte Sannace, alle porte della città di Gioia del Colle. Ma le ultime scoperte confermano che il loro territorio era ben più vasto. Infatti la necropoli, probabilmente collegata all’acropoli da passaggi nascosti o vie ancora non portate alla luce, si distende a circa 10 km di distanza sulla vecchia via che da Gioia porta a Matera. Santo Mola, è il nome con il quale attualmente si identifica questa necropoli. Nessuno può sapere con certezza quanto questa sia estesa.

Immaginate ora, che tutto il mistero e tutto il fascino storico di un simile ritrovamento giaccia coperto da terra e costruzioni che col tempo stanno aggiungendo (o distruggendo) un nuovo strato di storia della città. Eppure, nell’estate del 2004, durante i lavori di costruzione di una villa furono portate alla luce numerose tombe, molte delle quali depredate dai soliti tombaroli incuranti del manto fiabesco dell’archeologia, prima dell’arrivo della Vigilanza armata e della Soprintendenza, che per pochi mesi svolse attività di recupero delle sepolture. Nonostante le depredazioni, furono portate alla luce, e sono conservate adesso nel Museo del Castello Svevo di Gioia d. C., numerosi monili, alcune spade, interi scheletri e corredi funebri di inestimabile valore e ben conservati. La scoperta attirò numerosi gioiesi ed esperti di archeologia. Poi i soldi finirono e la voglia di scoprire non iniziò mai.

Immaginate, infine, quanto turismo, quanta cultura e quanto ritorno economico un ritrovamento simile avrebbe garantito ad una città meno meschina, sorda ed incurante che, invece di sperperare denaro pubblico in inutili finanziamenti e facili concessioni edilizie, avrebbe potuto far proseguire i lavori di scavo e realizzare un nuovo polo di attrazione ed il fiore all’occhiello di una città ricca di storia, infranta dalla moderna cultura.

“Se solo ci fossero i finanziamenti promessi dall’allora Amministrazione o dall’Aereoporto Militare, – dice quasi rassegnata la dott.ssa Ciancio della Soprintendenza dei Beni Archeologici, che seguì i lavori nel 2004 – chissà quanto ancora ci sarebbe da scoprire, l’area è davvero molto ampia. Ora esiste un vincolo archeologico e qualunque nuova autorizzazione comunale per lavori edili deve passare al nostro vaglio”. Eppure, di fronte all’Aeroporto Militare che giace, inappropriato, al di sopra di un immenso tesoro, sono tanti gli spostamenti di terra, le nuove costruzioni, i cancelli e le recinzioni, le piscine che sorgono da un momento all’altro. E chissà quante di queste sono davvero state autorizzate dalla Soprintendenza ed in quanti si adempiono nel “ratto dei reperti”. Sembra assurdo che, invece di allestire una nuova Pompei, una nuove Egnazia, capace di attirare turisti, di creare occupazione ed ingrassare le casse del Comune e dei commercianti locali, qui a Gioia del Colle si stia relegando un pezzo di storia al perpetuo oblio, forse per non violare i sonni dei Peuceti, ma più probabilmente per non violare i soldi degli imprenditori. E, così, ancora una volta ci rimette la storia, non degna di simili immondi discendenti, forse in attesa di tempi migliori quando i pronipoti dei cittadini e dei politici gioiesi avranno a cuore la propria identità culturale e sapranno bloccare il cemento ed aprire la storia.

Pensate…lì, al nord (ma volendo anche all’ovest o all’est) hanno le pietre e ne fanno monumenti, qui al sud, abbiamo i monumenti e li rendiamo…pietre.

 Roberto Cazzolla

(da Il Levante)

SANTO MOLA: Quando la storia non è più degna di memoria

Basta attraversare un ponte di pietra antica, incasellato tra gli albori di una civiltà che era e le nefandezze di una civiltà che è. Percorrerlo per il tratto in  salita, ammirare il paesaggio e ridiscendere tra lo spazio che porta da un allevamento per docili ungulati al trattamento per dolci decapitati. Si supera il macello e si prosegue lungo una via antica, forse più di quanto si immagini. Mille metri di cammino e poi di colpo un grosso scavatore meccanico. A volte fa ribrezzo la tecnologia immersa nella storia. Ma poi, ci si riflette su e ci si rende conto che la tecnologia ha fatto la storia. Guardando ai piedi del cingolato, si scorge in un capo tra Santa Sofia e Santo Mola una recinzione lignea a segnare una zona invisibilmente affamata di ricerca.

Quando i proprietari del campo iniziarono i lavori di scavo per la costruzione di un immobile, non immaginavano che sotto i loro piedi ci fosse un cimitero. Non è un cimitero qualunque. I pochi giorni di scavo successivi al ritrovamento hanno portato alla luce una necropoli di 3000 anni a.C. nella quale 11 tombe sono state scoperchiate e in gran parte saccheggiate. Ciò che è rimasto in custodia alla Soprintendenza dei beni archeologici, sono spade, punte di lancia, scheletri e monili di donne e guerrieri peuceti, molto probabilmente. Dunque, a questo punto si sarebbe dovuto andare avanti nelle ricerche, considerando che l’archeologa che dirigeva lo scavo aveva attestato la presenza di una vasta zona a necropoli e di un’acropoli su monte limitrofo. Ed invece sono stati sospesi i lavori, la Soprintendenza ha autorizzato la costruzione di un casolare ad un metro da alcune tombe, col rischio di averne coperte altre e d il Comune di Gioia del Colle pare essere completamente indifferente alla ricerca delle proprie origini. Forse sono un po’ tutti più interessati alla ricerca del risparmio e economico. E così la cultura storica resta e per chissà quanto resterà, ancora soffocata da un cumulo di terra che sa dell’olezzo dell’indifferenza e dell’egoismo.

                                                                            Roberto Cazzolla

(da Il Giornale del Territorio Murgiano)


Quando un affare pubblico diventa cosa privata

Differenziata: altro che comune “riciclone”

In molti si lamentano del servizio fornito dalla Spes, ecco perché

di ROBERTO CAZZOLLA

“Non c’è interesse da parte dell’azienda di riciclare alluminio e acciaio” – risponde Chiara Mercurio, amministratrice della Spes, incontrata pochi giorni fa. “A Gioia si produce pochissimo materiale simile, non ci sarebbe ritorno per l’azienda”, ma per l’ambiente sì, rispondiamo. L’alluminio, prodotto derivato dall’estrazione di bauxite, un minerale incastonato nelle montagne, prima di arrivare bello forgiato come contenitore di pelati, lattine di bevande, scatolette di tonno, lascia dietro di se un’enorme impatto ambientale dovuto alla pratiche estrattive, ai composti chimici utilizzati per il trattamento, alla distruzione di promontori naturali, al duro lavoro umano ed alle esalazioni in miniera. Ma alla Spes questo non interessa. Chissà come mai, in altri comuni dell’interland, come Santeramo, simili materiali vengono raccolti e differenziati? Forse lì la gente mangia più sughi, beve più bibite, divora più tonno. Ma andiamo…chi vogliamo prendere in giro? Il problema principale è che un’azienda che possiede un capitale all’81% pubblico, non può permettersi di valutare interessi economici personali. L’interesse dev’essere quello di migliorare la qualità della vita della gente e limitare l’inquinamento da rifiuti. Eppure dalla Recuperi Pugliesi di Modugno, azienda dove la Spes conferisce i rifiuti, ci dicono che “noi riceviamo alluminio, acciaio ed altre ferraglie da molti comuni della provincia. Poi provvediamo all’indirizzamento verso le varie piattaforme di riciclaggio. In pratica, siamo in grado di riciclare quasi tutto”.

Con orgoglio, gli amministratori gioiesi, hanno ritirato il premio come miglior comune “riciclone” della provincia. La più alta percentuale di raccolta differenziata. Complimenti ai cittadini, dunque, non alla Spes, di certo, che scoraggia (vedi box a fianco) anche i più convinti sostenitori della differenziazione.

Evidenziamo, all’amministratrice Spes, il fatto che la gente è davvero demoralizzata e scoraggiata da piccole mancanze dell’azienda. I cassonetti sono perennemente sporchi dall’esterno e le maniglie completamente nere e viscide. “Ma no – dice la dott.ssa Mercurio – il fatto è che le maniglie nessuno dovrebbe toccarle, c’è anche il simbolo di divieto!. Ognuno dovrebbe arrivare al bidone, aprire la propria busta e conferire singolarmente i rifiuti selezionati a casa”. Certo, chiunque, dopo aver diviso con pazienza i rifiuti presso il proprio domicilio, arriva al bidone e impiega decine di minuti nell’impervio tentativo di infilare con forza le bottiglie, i bicchieri, i piatti, le buste di plastica, attraverso la microfessura munita di setole irte e sporche, che se per errore le tocchi devi ricorrere ai presidi sanitari. “Ma no – prosegue la Mercurio – vedete, voi gioiesi siete una cosa tremenda. I piatti ed i bicchieri non vanno inseriti nel bidone della plastica perché non si possono differenziare, quindi infilando solo le bottiglie nessuno tocca le setole, – e se si volessero differenziare i sacchetti in plastica? – allora si potrebbe poggiare il sacchetto e spingerlo giù con la bottiglia”. Incredibile, per la serie “le mille acrobazie per differenziare”. E poi, perché proprio piatti e bicchieri, che sono il maggior rifiuto prodotto dalle famiglie, non possono essere differenziati? Secondo la normativa vigente (le direttive quadro sui rifiuti, quella sugli imballaggi e il cosiddetto "decreto Ronchi" che ha recepito queste direttive nel 1997) è prevista una forma di "responsabilità condivisa" tra i produttori di imballaggi e le amministrazioni pubbliche o le aziende private di raccolta. L'11 febbraio 2004 è stata emanata una nuova direttiva europea sugli imballaggi che chiarisce che, anche i piatti e i bicchieri (di qualunque materiale) vanno considerati imballaggi e quindi i cittadini devono poter disporre di un sistema di raccolta differenziata realizzata con il contributo dei diversi consorzi. Quindi la motivazione della Spes, non regge.

E per i rifiuti di dimensioni maggiori alla fessura del cassonetto, come sì fa, chiediamo. “Per flaconi di detersivi ed altri materiali ingombranti, visto che i bidoni devono essere chiusi per legge  - quale legge? Nessuno lo sa! – è possibile collocarli nelle vicinanze dell’apposito bidone”. Benissimo, sottolineiamo, così, com’è capitato spesso, arriva l’operatore ecologico e butta tutto nell’indifferenziato. In merito alla raccolta dell’organico, invece, come mai non c’è a Gioia? “Stiamo attendendo le decisioni dell’ATO (autorità di bacino) in merito prima di muoverci”. Eppure molti comuni hanno già avviato la raccolta dei residui alimentari…Concludiamo, la discussione, con un tour della vergogna presso i bidoni. Non ci sono adesivi che indicano che tipo di rifiuti possono o non possono essere differenziati – “provvederemo a sistemarli”. Ad oggi ancora nessun adesivo! I bidoni sono sporchi dall’esterno – “ma noi li laviamo solo dall’interno”, risponde – apriamo il bidone, e per conferma, non riusciamo a non trattenere il respiro tant’è il sudiciume. “Si sarà sporcato da poco”. Battuta esilarante. L’immondo giro si conclude con una riflessione: a volte, la gestione privata funziona meglio di quella pubblica. Non è questo il caso.

(da Il Levante)


Anche a Gioia i piccoli esercizi commerciali soccombono sotto i colpi delle multinazionali

Piccoli negozi…muoiono

Come il capitalismo globale sta distruggendo le economie locali

“Le riparazioni delle scarpe sono diminuite – dice rammaricato il sig. Tonino, calzolaio gioiese da lungo tempo, simbolo di quel mercato dalle antiche tradizioni, fatto di manifattura e vecchi saperi. “Il fatto è – continua – che da quando sono arrivati i prodotti cinesi sul mercato, in pochi vengono a far riparare una scarpa al costo di 2 -3 Euro, quando nuove le pagano 5”. Ma non è solo colpa del mercato concorrenziale asiatico a far crollare i fatturati dei piccoli esercizi commerciali locali. L’abitudine all’acquisto del nuovo è diventata una prerogativa delle moderne generazioni. Non si ripara più. Tutto si butta e poi si compra daccapo. Così aumenta la quantità di materie prime sfruttate, i rifiuti in discarica e diminuisce il valore economico del mercato locale. Perché se è vero che la globalizzazione ha favorito un momentaneo calo dei prezzi a causa della concorrenza spesso sleale delle multinazionali, è anche vero che il mercato globale sta uccidendo le identità finanziare dei paesi in cui si affaccia. E sono pochi quelli che se la scansano. A Gioia, la globalizzazione è arrivata, come nel resto del mondo, silenziosa e subdola, si è infiltrata fra la quello che potrebbe essere definito lo Slow Trade autoctono, sbaragliando i concorrenti con prodotti di dubbia qualità e scarso valore.

“Pane, formaggio, uova, la gente li compra nei grandi supermercati dove la qualità è spesso più scarsa, ma ha tutto a portata di mano – conferma il titolare del negozietto alimentare di via U. Bassi. – Sino a 5-6 anni fa si riusciva a tirare avanti, ma ora teniamo aperto il negozio tanto per…”. L’avvento dei megastore, dei supermercati, dei magazzini ha portato al calo delle vendite nei piccoli esercizi a favore di un mercato concentrato ed opportunista. “La gente non bada più alla qualità, – continua il sig. Antonicelli – un negozio sotto casa ha tanto valore, perché offre all’anziano ed al cittadino in generale un servizio senza costo. Ma da qualche anno a questa parte da noi entrano da 5 a 10 persone al giorno – di solito, gli affezionati. – Eppure vendiamo anche prodotti locali, latte e pane delle nostre terre”. Il problema principale del mercato globale è che si perdono antichi sapori e tradizioni, a favore di prodotti d’incerta provenienza e privi, molto spesso, di garanzie sulla genuinità. Poi c’è l’aspetto ambientale: migliaia di chilometri percorsi in tir tra autostrade  e navi, con conseguente aumento dei gas di scarico, per consegnare un bene prodotto dall’altra parte del mondo che, per essere coltivato, confezionato, imballato sfrutta di frequente una manodopera a basso costo, con numerose violazioni dei diritti umani e dei popoli indigeni. Pensiamo alle mozzarelle. Nei supermercati troviamo quelle dell’Emilia Romagna e Gioia ne è la patria. Oppure le mele. Arrivano dalla Valtellina, dalla Germania, dall’est Europa eppure di meleti nel circondario ce ne sono tanti. E così via. Aumentano gli imballaggi per i prodotti importati, le confezioni ed i rifiuti, aumenta l’inquinamento e muore il mercato locale. Culture centenarie si sfaldano sotto i pesanti colpi dell’omologazione, sotto l’infida mano dei brand, delle cooperative, che se da un lato portano novità ed interesse nella comunità, dall’altro forniscono un prodotto univoco, non nella marca ma nella qualità. Di merendine, ad esempio, nei supermarket se ne trovano di tutti i tipi, ma ciò che mangi sono sempre grassi idrogenati, strutto e creme dalla sconosciuta preparazione meccanica. La parola “dolce tipico” sta assumendo il significato di “alimento tradizionale prodotto unicamente per attirare turisti”. La gente del luogo compra globale, pensa globale, ma poi ne paga le conseguenze. Non è vero che così si favorisce il mercato si alimenta l’economia. Perché per ogni prodotto locale, biologico, di qualità accantonato per far posto ad uno offerto da un grande brand, si distrugge un circolo virtuoso più grande del singolo prezzo del bene. E se le microeconomie locali collassano, annientate dalla soffocante presenza dei “venditori di tutto”, è l’intero Pianeta ad omologarsi, a perdere quella diversità, che come quella biologica, è garanzia di una sopravvivenza in armonia con la Terra.

Le armi per difendersi dalla dirompente avanzata delle multinazionali, però, ci sono. Ne è convinto il sig. Giannico, da poco titolare del negozio di alimentari meglio conosciuto come “la vecchia salumeria Giove”. Forse la sua giovane età gli permette di pensare positivo rispetto allo sconforto dei vecchi maestri di bottega. Forse, una speranza c’è: “Da una parte è giusto così. Per certi versi i grandi supermercati sono qualcosa a favore della collettività. Ma, il piccolo negoziante si deve difendere vendendo prodotti rari, tradizionali e locali che assicurano una genuinità difficilmente reperibile altrove”.

Così grazie alla qualità, al localismo, alle antiche tradizioni il mercato locale può battere la concorrenza sleale dei big. Davide che batte Golia all’insegna dell’antico monito: “Pensa globalmente, agisci localmente”.

Roberto Cazzolla

(da Il Levante)


Pale eoliche: energia pulita ma…con riserve

Scaduto il termine per le osservazion,i ora la fase di approvazione del piano

E’ scaduto a fine novembre il termine per presentare osservazioni in merito al P.R.I.E. (Piano Regolatore per gli Impianti Eolici) redatto dal Comune; ora la fase successiva sarà l’analisi delle obiezioni sollevate e l’approvazione definitiva del documento. In sostanza si tratta di stabilire dove posizionare le enormi pale che grazie alla forza del vento producono energia pulita e rinnovabile. Un ottima risposta all’incremento di emissioni di gas climalteranti che stanno modificando l’assetto atmosferico globale. A patto che le si installi senza compromettere luoghi di rilevante bellezza o naturalità e senza creare disagi all’avifauna. Perché sono proprio gli uccelli a risentire maggiormente dell’impianto sul territorio di questi colossi di Eolo. Gli sfortunati volatili che scelgono di oltrepassare la barriera creata dalle pale per proseguire lungo la propria rotta migratoria spesso restano vittime del violento impatto. Sono numerosi i casi di cittadine pugliesi che contano decine di carcasse sotto gli impianti. Proprio per questo il P.R.I.E. redatto per il Comune di Gioia del Colle, ha preso in considerazione tutta una serie di parametri, dall’impatto idrogeologico, a quello paesaggistico ed infrastrutturale, alla protezione della flora e della fauna. Sono state così escluse tutte le aree sottoposte a vincolo (SIC e ZPS) e le aree di nidificazione del Falco grillaio (specie simbolo tra quelle minacciate localmente). Tra le aree individuate si sono incluse quelle che coprono un arco spaziale tra la via per Turi e la via per Santeramo, a nord-ovest della città. Si è però anche inserita una zona, quella di Bosco Romanizzi, Serra Capece e Monte Rotondo, che pur non presentando vincoli, è stata segnalata al Ministero dell’Ambiente, da un recente studio realizzato dalla sezione locale del WWF, come area di pregevole valore naturalistico, per la quale si è richiesta l’istituzione di una zona protetta. Considerata la grandissima quantità di specie di uccelli che nidificano e si alimentano in quelle zone, coperte per circa l’80% da boschi e macchia, e l’integrità delle biocenosi e degli ecosistemi, l’individuazione di queste aree come idonee all’istallazione di pale eoliche di certo comprometterebbe lo stato di conservazione dei luoghi. Inoltre, l’elevato rumore generato dal movimento rotatorio e il passaggio dei mezzi pesanti potrebbero rovinare la quiete di uno degli ultimi luoghi naturali del territorio. Pertanto è fondamentale escludere quei piccoli rifugi selvatici, di incantevole bellezza, a pochi passi dalla città e che molti cittadini ancora non hanno avuto l’onore di visitare, dalla localizzazione di impianti eolici ed avviare, invece, l’iter per l’istituzione di un’area protetta.

Le energie rinnovabili sono il futuro per la sopravvivenza dell’uomo sulla terra ma, a patto che le si utilizzi con criterio e senza distruggere gli ultimi scorci di paesaggio locale che nel tempo, le scellerate politiche di lottizzazione, stanno rendendo un immenso blocco di cemento.

 Roberto Cazzolla

(da Il Levante)


“Il DISMO ha prodotto Diossina!”

L’ARPA assicura: “Nessun pericolo per la popolazione, ma così l’impianto non va”

 Forse è la più inaspettata tra le notizie, perché di tutto si poteva immaginare fuoriuscisse dal DISMO (Dissociatore Molecolare di rifiuti) in via di sperimentazione presso l’Ansaldo Caldaie, ma la diossina proprio no. Ci si era interrogati sul pericolo delle nanopolveri che la combustione a temperature elevatissime (circa 1400° C) avrebbe potuto produrre; c’erano state le analisi del dott. Montanari di cui l’Itea non ha ancora fornito i risultati. Si era portato all’attenzione pubblica il pericolo ideologico dello sviluppo di tecnologie per la combustione dei rifiuti, che ci avrebbero tolto il problema inceneritori, ma ne avrebbero creati di certo altri (produzione di rifiuti non biodegradabili, sviluppo di nuovi composti tossici, smaltimento delle scorie, aumento dei gas serra). Ci si era addirittura posti il quesito di che farne delle scorie vetrose che fuoriescono come residuo solido dal macchinario dopo la “dissociazione del rifiuto”. L’idea dell’azienda di utilizzarle come componente degli asfalti stradali, aveva fatto sorridere i più, consapevoli dell’enorme rischio che la dispersione sottoforma di polvere, dovuta all’erosione del manto stradale, dei contaminanti contenuti nelle scaglie vetrose, avrebbe comportato per l’ambiente e la salute umana. Si era infine addotta la motivazione, forse la più seria e fondata, che bruciare, dissociare o volatilizzare i rifiuti era la strada sbagliata. Non solo si sprecano risorse primarie, come il petrolio, i minerali, gli oli, ma li si converte in due forme differenti, gassose e solide, raddoppiando i problemi di smaltimento ed aumentando la quota di anidride carbonica che finisce in atmosfera  e contribuisce all’effetto serra.

Ma che dal DISMO potesse provenire Diossina, nessuno ci avrebbe mai creduto. Proprio perché, a detta degli ingegneri ITEA, il “DISMO non brucia, dissocia!” poiché utilizza ossigeno liquido ed ossida completamente le sostanze, convertendole in forme semplici gassose. Gas che poi vengono abbattuti (in parte, è elevata la quota di CO2, ad esempio) e vetrificati.

Le diossine, potenti cancerogeni e mutageni chimici che agiscono a livello cellulare e germinale, sono composti eterociclici aromatici a 4 atomi di carbonio, che vengono prodotte quando il materiale organico è bruciato in presenza di cloro, sia esso cloruro inorganico, come il comune sale da cucina, sia presente in composti organici clorurati. E’ proprio qui sta il problema. Se nel DISMO non avviene combustione, come può essersi creata diossina?

Cos’è successo, dunque, durante l’ultimo campionamento effettuato pochi giorni fa dall’Arpa, presso l’impianto?

<<Può essere che all’interno degli oli utilizzati per effettuare la prova sperimentale di dissociazione ci fossero residui di cloro e che la temperatura non fosse ben controllata>> ci conferma un tecnico dell’ARPA. <<Capita, ad esempio che utilizzando un fango di conceria, ci possano essere o meno residui contenenti cloro ed allora si formano le diossine. C’è da dire che, trattandosi di un macchinario piccolo, non c’è pericolo per la popolazione e proprio nei prossimi giorni effettueremo un nuovo campionamento per verificare il dato. Naturalmente, se quest’impianto continuerà ad emettere diossina l’azienda non verrà mai autorizzata al commercio>>.

Il problema sanitario, dunque, è da escludere. Ciò che preoccupa è, invece, il modello di sviluppo delle nuove tecnologie cosiddette “eco-compatibili”, che proprio ambientaliste non sono e che, inspiegabilmente, trovano a Gioia terreno fertile su cui prosperare. Invece di andare verso lo studio di sistemi che permettano il recupero delle materie prime, il blocco della produzione di sostanze tossiche e l’incentivo alla riduzione di gas serra prodotti dal comparto industriale, si sperimentano macchinari costosissimi che convertono prodotti ricavati con grande dispendio energetico, in rifiuti irrecuperabili (la frazione di energia recuperata è 1/10 rispetto a quella utilizzata per alimentare a 1400° C il dissociatore) che si trasformano in gas che modificano l’atmosfera (ed a volte, come in questo caso, in diossine ed altri composti pericolosi per la salute) e scorie da smaltire comunque in discarica come rifiuti speciali.

L’interesse nella ricerca di macchinari che distruggono i rifiuti è sempre destinato a fallire. Perché in natura nulla viene distrutto, tutto viene recuperato per mezzo di retroazioni (feedback) che tendono a preservare l’energia e non a sperperarla. La combustione, la dissociazione o la volatilizzazione dei rifiuti si potrebbe paragonare a ciò che nell’organismo vivente viene chiamata “evoluzione clonale”, e cioè lo sviluppo di tumori. Infatti questo processo è molto simile al non riutilizzo delle sostanze prodotte effettuato negli impianti di trattamento di rifiuti (vecchi e nuovi) e può essere paragonato all’ingordigia energetica e proliferativa delle cellule cancerose, che invece di riciclare le sostanze ne richiedono sempre più all’organismo sino a portarlo alla morte.

Lo sviluppo del tumore, dunque, come lo sviluppo delle tecnologie che non riciclano. Non ci sarebbe paragone migliore.

 

Roberto Cazzolla

(da Il Levante)


Numerosi i reati contestati tra abusivismo edilizio e mancanza di autorizzazioni

Maxi-sequestro, in centro, di un complesso residenziale abusivo

Il CFS mette i sigilli ad un palazzo sito dinanzi al Pronto Soccorso

Gli uomini del Comando Stazione del Corpo Forestale dello Stato di Gioia del Colle, hanno posto i sigilli ieri mattina, ad un complesso residenziale di elevata volumetria sito dinanzi al Pronto Soccorso. L’immobile di proprietà del sig. G. Petrera, è ancora in via di costruzione e si presentava al momento del sequestro come lo scheletro di un grande palazzo multifamiliare.

I sigilli sono scattati con un operazione puntuale che, ha portato gli agenti a bloccare i lavori abusivi di costruzione, ai sensi dell’art. 321, comma 1 del C.P.P.

Il complesso stava sorgendo in “totale difformità al permesso di costruire ed in totale assenza di VIA (Valutazione d’Impatto Ambientale)”, misura necessaria dal momento che l’area su cui stava sorgendo, così come il resto del centro abitato gioiese, ricade nel SIC, Sito d’Interesse Comunitario denominato “Alta Murgia”. Inoltre, “non è stata rilasciata alcuna autorizzazione paesaggistica ai costruttori dello stabile”. Aspetto che sembra confermare l’ipotesi che si trattasse di un inizio dei lavori effettuato senza alcun tipo di permesso. L’intero complesso, si affaccia sulla strada che congiunge il centro urbano, partendo da via Ricciotto Canuto e proseguendo sulla strada ex-Statale 100 per Taranto, proprio all’altezza dell’ingresso principale del Pronto Soccorso. Alcuni mesi fa, dove ora sorge l’ossatura del palazzo sequestrato, ne era stato abbattuto un altro che affiancava la struttura dove un tempo sorgeva la discoteca “Bistrot”.

Nei lavori di costruzione, oltre ai reati citati, sono state rilevate infrazioni anche per quanto riguarda il “rispetto della volumetria consentita”. Tali eccedenze sembrano, purtroppo, essere abitudine comune a Gioia del Colle, visto che pochi giorni fa, sempre il CFS aveva sequestrato sulla via per Putignano due immobili costruiti oltre il limite di volumetria autorizzato. Ma sono numerosi i casi in cui sarebbe necessario un approfondito controllo da parte delle forze dell’ordine, considerata l’elevata ed inspiegabile espansione edilizia che sta vivendo in questi anni il paese. Sembra, che un po’ tutti vengano a costruire a Gioia, forse per le prospettive future di sviluppo che fomentano interessi economici o più probabilmente per le facili scappatoie e concessioni che vengono riservate ad ingegneri e costruttori. Merito, questo, anche di permessi che nel tempo sono stati rilasciati dall’Ufficio Tecnico comunale e che pian piano si stanno rivelando per quello che davvero sono: completi abusi edilizi e violazioni delle norme paesaggistiche ed urbanistiche. Senza l’approvazione di un piano di regolamentazione dell’espansione urbana che, non solo regolamenti ma, limiti le nuove costruzioni con politiche di incentivo per il recupero degli stabili già presenti sul territorio e per la ristrutturazione delle vecchie abitazione del centro storico, la città sarà destinata, in pochi anni, a vivere una deflagrazione cementizia della vivibilità. Il senso straziante e soffocante di chi per la prima volta entra in questo paese è sintomatico di una politica di sviluppo sbagliata, basata sul favorire gli amici costruttori, geometri ed ingegneri a scapito della degna sopravvivenza urbana. Gli spazi verdi si stanno notevolmente riducendo per far posto ad abitazioni e villette, i campi agricoli sprofondano sotto immense distese di cemento e a patire le conseguenze, come al solito, sono gli abitanti di una città sempre più angusta e non conforme allo svolgimento delle attività quotidiane, con una qualità dell’aria pessima poiché private del naturale serbatoio arboreo di assorbimento dello smog e soffocate dalle emissioni degli aerei militari, con agricoltura ed allevamento relegati a chilometri di distanza dal centro e privi delle fondamentali connessioni con la vita cittadina, con i ghetti di periferia sempre più isolati ed avvolti nell’effimera bambagia della solitudine. Ma, a preoccupare sono anche i numerosi lavori d’incremento dei livelli delle abitazioni, con la costruzione di nuovi piani vivibili (mansarde, stanze, soppalchi) su quelli già presenti. Lavori condotti sempre da una ristretta rosa di geometri, che lasciavano parecchie perplessità  sulla legittimità di opere e appalti.

Di sequestri, dunque, ce n’è da fare, ma questo è comunque un buon inizio.

 

Roberto Cazzolla

(da Il Levante)


Bracconieri gioiesi fermati nell’Oasi Lipu di Laterza

A caccia nell’area naturale protetta. Sequestrati dal CFS i fucili

Affacciandosi dalla parete della Gravina di Laterza, si dipana uno spettacolo straordinario, in cui si intrecciano scenari mozzafiato ed una natura incontaminata. “Soltanto in prossimità di questa spaccatura ci si può rendere conto dell'incredibile ed unico ambiente della gravina. – confermano dalla LIPU (Lega Italiana Protezione Uccelli), che dal 1999 gestisce quest’oasi di protezione - Lo stupore è per le ripide pareti, in alcune zone addirittura perpendicolari al terreno, dove soltanto la roccia nuda e piccole e specializzate essenze arboree trovano le condizioni di vita. Scendendo si incontrano molte aree boscate, in alcuni casi molto dense e vecchie, dove domina il Fragno, una quercia tipica dell'Europa Sud-orientale, presente in Italia soltanto in questa zona ed ulteriore testimonianza della particolare geologia delle gravine. Anche la fauna ha le sue particolarità e gli uccelli sono ben rappresentati con specie di assoluto fascino e di notevole importanza conservazionistica: maestosi Capovaccai (gli avvoltoi degli egizi) e più agili Grillai percorrono in lungo e in largo la gravina, mentre in primavera riecheggia il canto melodioso del Passero solitario e la Monachella si esibisce nei suoi voli nuziali. Moltissimi esemplari di piccoli Passeriformi come Sterpazzolina, Scricciolo e Occhiocotto vivono e si riproducono nel folto dei cespugli e degli arbusti. Un ambiente così particolare e per certi versi unico fornisce rifugio anche a molte specie di rettili ed anfibi, insetti e mammiferi di notevole interesse, proprio perché presenti soltanto nell'area delle gravine. E’ il caso del Geco di Kotschy, un piccolo rettile che vive in prossimità delle zone rocciose oppure del Colubro leopardino, un serpente dai bellissimi colori rossoneri frequente nel fondo della gravina. Ed ancora alcune specie di pipistrelli che frequentano gli anfratti rocciosi delle pareti e che nelle sere di estate escono in cerca di insetti di cui nutrirsi”. E spesso a far visita all’inghiottitoio naturale, sono anche volpi e faine.

Nessuno penserebbe di violare un patrimonio simile, d’inestimabile bellezza. Eppure ieri  (mercoledì per chi legge), sono stati fermati e denunciati dal Corpo Forestale dello Stato di Laterza (TA) due cacciatori gioiesi ed un terzo uomo, che vagavano armati di fucile all’intero dell’area protetta. Ai tre, V. M. di 65 anni, M. A. di 42, insieme ad una terza persona per la quale è ancora in corso la verifica di reato, è stato contestato il reato di bracconaggio, in quanto svolgevano attività illegale di caccia in un area protetta, e sono stati sequestrati i fucili.

Da indiscrezioni, risulterebbe probabile che uno dei tre gioiesi denunciati abbia legami con un dirigente della stazione del CFS di Gioia del Colle, il quale, nonostante la carica ricoperta, sembrerebbe svolgere attività venatoria, tant’è che lo stesso uomo fermato mercoledì, avrebbe in custodia i suoi cani da caccia. Trattandosi di indiscrezioni trapelate nelle ultime ore, quest’ultima ipotesi è da verificare.

Ciò che è certo, invece, è che i bracconieri gioiesi “si aggiravano di frequente all’interno dell’Oasi. – come ci conferma Vittorio Giacoia, responsabile dell’Oasi Lipu – Sembra che la Forestale gli stesse dando la caccia da parecchio tempo”. Sempre di caccia si tratta, dunque, ma c’è chi la esercita per rovinare gli ultimi patrimoni naturali e chi dovrebbe esercitarla proprio per difendere la natura protetta, ed invece probabilmente collabora alla sua distruzione.

Per fortuna questa volta non è andata così e l’azione del CFS di Laterza ne è un esempio, ed è d’esempio per chi pensa che un posto in poltrona, nelle alte sfere di controllo, serva solo a trarre benefici personali, violando la legge che egli stesso dovrebbe far rispettare.

Ogni riferimento a persone o cose, è puramente casuale.

 

Roberto Cazzolla

(da Il Levante)


 

I treni che garantiscono il servizio, in realtà, non sono attrezzati al trasporto

Le mille fatiche per viaggiare in treno con la bici

Cronaca di un viaggio Gioia-Bari alle prese con le pecche delle ferrovie

 

Dura la vita per i ciclisti gioiesi, per i cittadini coscienziosi e rispettosi dell’ambiente.

Proprio all’inizio della scorsa estate è stato raggiunto un accordo tra la Regione Puglia e le Ferrovie, per il trasporto gratuito di bici sui treni regionali. La FIAB (Federazione Italiana Amici della Bicilcletta), ha accolto con queste parole la lieta notizia: “A partire dal  1° agosto 2007 trasportare in Puglia la bicicletta al seguito del viaggiatore sui treni regionali di Trenitalia è gratuito. E' stato infatti abolito il biglietto "supplemento bici" di 3,5 euro di cui si farà carico la Regione. L'iniziativa è stata sottoscritta il 16 luglio 2007 con un protocollo d'intesa rivoluzionario al fine di  combattere le emissioni atmosferiche responsabili dell'effetto serra e promuovere la mobilità sostenibile. All'accordo, valido sull'intero territorio pugliese, hanno aderito tutte le Ferrovie regionali”. Pertanto, continua l’associazione dei ciclofili: “Le compagnie ferroviarie pugliesi si impegnano, in fase di acquisto di nuovi treni o di ristrutturazione di quelli vecchi, a riservare appositi spazi liberi o attrezzati, al trasporto delle bici al seguito. Il protocollo d'intesa prevede: la realizzazione di percorsi guidati per i viaggiatori con bici dall'ingresso della stazione ai binari e viceversa; appositi scivoli o canaline lungo le scale; l'uso degli ascensori, indicazione sui monitor e sugli orari ferroviari dell'ubicazione del vano porta bici e annuncio di tale ubicazione tramite altoparlanti al momento dell'arrivo del treno”. E fin qui, nulla da ridire, anzi, un grande plauso alla pionieristica mossa.

Peccato che, a parte il biglietto gratuito, ad oggi nient’altro è stato fatto. Prendiamo il caso di un cittadino gioiese che voglia, per sensibilità nei confronti dell’ambiente, per sua salute personale o per evitare traffico, parcheggi e multe, salire su un treno regionale diretto a Bari. Arriva, con la sua bici, in stazione a Gioia e guarda se il treno all’orario scelto consente di portare la bici al seguito. In caso affermativo (sulla la maggior parte dei regionali è consentito), si dirige verso il binario, che per andare a Bari, di solito, è il secondo e, non potendoci arrivare attraversando i binari, si dirige verso il sottopassaggio pedonale. A questo punto si rende conto che l’adeguamento delle infrastrutture per il trasporto bici non c’è stato. Così sei costretto a caricarti il biciclo in spalla e scendere e risalire dalle scale dal sottovia. Ardua impresa, specialmente se c’è affollamento. Ma alla fine sporco di grasso della catena, arrivi al binario ed attendi il treno. Al suo arrivo, ti avvicini al controllore per chiedere quale sia la carrozza adibita al trasporto bici e lui, nel 90% dei casi, ti guarda come a chiederti: “Cosa diavolo stai dicendo? Sei impazzito? Solo un folle salirebbe in bici sul treno”. Quando cerchi di tranquillizzarlo sul tuo stato di salute mentale e gli fai notare che da poco Trenitalia ha siglato una convenzione con la Regione e che il treno da te scelto consente il trasporto delle biciclette, lui ti consiglia, visto che la carrozza per disabili (che poi viene utilizzata per trasportare anche bici) su nove decimi dei treni adibiti non esiste, di salire sull’ultimo vagone e di posizionare il mezzo nel corridoio. Costernato, ti avvii alla fine del treno e ti rendi conto che devi nuovamente caricare la bici in spalla perché tra la banchina ed il treno ci sono tre gradini gulliveriani, divisi da un passamano metallico. Dopo esserti incastrato tre o quattro volte nel tentativo di salire, finalmente ti siedi…nel corridoio. Quando nuovamente arriva il simpatico controllore, ti guarda ancora con tracotante sorpresa mista ad ribrezzo e ti dice, con affronto: “Ma lo sa che anche se il servizio è gratuito io devo fargliela lo stesso una ricevuta per la bici?” – Bene, me la faccia allora. Il problema è che la maggior parte di loro non sa cosa scriverci sopra, non sa come compilarla. Così per giustificarsi ti dicono: “Sa, è che ne facciamo così poche per le bici che…” – a quel punto, sbotti. E’ ovvio che ne facciate poche, chi mai ci salirebbe a queste condizioni, per la seconda volta su un “bici-train”. Col tuo pezzo di carta incompleto, finalmente arrivi a Bari e, dopo le mille peripezie per la discesa dal treno, ti rendi conto che il “tronco Gioia del Colle -Bari”, è al 10° binario. Così per uscire dalla stazione ti rimangono solo due possibilità: ti carichi per una trentina di scalini la bici in spalla, tra la gente che ti guarda con odio mentre la sfiori, oppure attraversi dieci binari perdendo una vita, come nei videogiochi, ad ogni fischio di treno in lontananza. Così sconfortato ti siedi sul marciapiede e pensi a tutti i poveri ciclisti, ambientalisti, coscienziosi o solo rispettosi come te, che affrontano un simile calvario ogni giorno.

Ci rifletti su e ti balena alla mente un pensiero ancora più atroce: ma un disabile come fa, si carica in spalla la carrozzella?

 

Roberto Cazzolla

(da Il Levante)


Il pericolo di contrarre asbestosi o mesiotelioma pleurico è elevato

Scoperta una discarica abusiva d’amianto

Ancora eternit nelle campagne gioiesi, è necessaria una rapida bonifica

 Ancora una volta la campagna, scorcio idilliaco della natura che fu, manifesto funebre della pre-cementificazione, è stata violata dalla mano scellerata di chi ritiene troppo conveniente liberarsi di ciò che è fuorilegge, semplicemente gettandolo via, per strada.

Attraversando le numerose strade secondarie che congiungono le vie principali dell’entroterra locale, è facile che lo sguardo si concentri più su lavatrici e televisioni abbandonate lungo il ciglio, che sui paesaggi carsici che la murgia ci offre. E’ il caso della strada provinciale Gioia – Matera o della Gioia – Castellaneta, punteggiate dai più svariati elettrodomestici, contaminate dalle più immonde facezie umane. Trovi a voleggiar nell’etere, invece che il grillaio gioioso, il sacchetto di patatine; ammiri infastidito il rosso di una lattina di cola, che ha oppresso con soffocante avvinghio il ben più appropriato papavero; annusi con tracotante stizza il nauseabondo odore di liquami putrefatti, viscido avamposto d’un prato scomparso. Poi sorge meraviglia se il pane d’Altamura si ha paura ad acquistarlo. Divampa la protesta sul latte poco sano. E’ ovvio, a ben ragione, che ciò che rende fiera la terra coltivata, non può che vacillare dopo tanta offesa. Da un lato l’erosione, concausa di un’intensa agricoltura che invece di ruotare attinge humus senza tregua, dall’altro il paesaggio deturpato dalle più inconcepibili azioni distruttive, che farebbero arrossire anche il più terribile genocida. Eppure la campagna nostrana ha tanto da offrire, è intrisa di fascino e splendore. Un intreccio appassionato di masserie abbandonate, campi coltivati e macchia mediterranea. Trovi in un sol vialetto, le bacche del biancospino, il trullo ormai casa di gechi e pipistrelli, il frutto del prugnolo, l’olivo che si inerpica contratto, quasi in preda alle ire del tetano, verso il cielo, ad unire terra ed aria e a donar alimento agli storni affamati. Ammalianti profumi, incantevoli suoni di cince e pettirossi, pascoli al seguito di pastori. Scenari custoditi nell’ambra, racchiusi come sono nello spazio-tempo d’un futuro che non c’è.

Ma oltre il fatato velo che ritempra le meningi di chi lo scosta, si cela infida l’oscura presenza di chi immagina quei luoghi, serbatoi della propria monnezza.

Scoperta in questi giorni, nei pressi delle tubazioni dell’acquedotto che da via Vecchia per Matera giunge alla via per Montursi (nei pressi di Contrada Occchiuchiuso), l’ennesima discarica abusiva di amianto. Questa, però, ha la straordinaria particolarità di essere esclusiva per la tipologia di rifiuto: decine di lastre di eternit poste l’uno sull’altra. Un pieno di tumori. Nient’altro.

Il tutto al centro di una strada che, seppur, non molto battuta, troneggia le vie circostanti. Proprio la posizione dominante in altezza della via rende la “discarica” abusiva ancor più pericolosa, poiché da essa possono diffondersi col vento le piccole particelle di asbesto (componente dell’eternit), che si spostano anche di chilometri grazie al vento. Le minuscole particelle d’amianto, una volta raggiunte le vie respiratorie di uomini e altri animali, penetrano in profondità, causando gravi patologie tumorali come il mesotelioma pleurico e l’asbestosi. Ecco perché, da un ventennio, l’amianto è stato messo al bando. In molti, però, invece di mettere in bonifica i capannoni ricoperti da tettoie fatte di questo materiale, seguendo le rigide prescrizioni di legge (che indicano le modalità di inertizzazione del materiale, d’isolamento e di trasporto e smaltimento), han deciso di regalare alla campagna un nuovo materiale per cui morire. Ed ecco che a pochi passi dal paese, ed in una zona circondata da abitazioni e ville, un grande deposito di amianto ha occupato l’intero margine stradale. Ignoti gli autori dell’abbandono, che per una simile azione andrebbero incontro a sanzioni pesantissime, trattandosi di un reato che mette a rischio seriamente l’ambiente e la salute umana. Proprio in questi giorni si stanno contando i danni dovuti all’esposizione da amianto dell’azienda Fibronit di Bari. Le cifre di morti ed ammalati continuano a salire. Ma, ancora, nella gente continua a serpeggiare l’infimo pensiero che “per stare meglio io, qualcun altro deve strare peggio”. E quindi, visto che smaltire l’amianto a norma, anche se obbligatorio per legge, costa, “quando nessuno può vedermi lo butto in campagna e chi se ne frega”. Peccato caro uomo, giunge pronta la risposta di una saggia creatura di campagna, che a farne le spese prima o poi sarai anche tu, o i tuoi figli, o i figli dei tuoi figli, che magari un giorno proprio dove buttavi amianto, ci costruiranno una casa ed allora…chi sarà stato più furbo?

Forse è ancora troppo difficile per menti avvinghiate alla tv, che pendono da labbra di soubrette e calciatori, capire che tutto ciò che facciamo alla nostra (non come possessori, ma come abitanti) Terra, alla nostra campagna, al nostro ambiente prima o poi si rivolta contro di noi. Ora, qualcuno (di certo sarà compito della Spes) ponga rimedio al danno degli stolti…se non per proprio interesse, almeno per quello dei suoi figli.

 

Roberto Cazzolla

(da Il Levante)


Sono sporchi, grossolani, son Spes e volentieri bugie da ciarlatani

Le promesse sono tante, milioni di milioni, la luce dei lampioni le accende una ditta multipla.

Seduto o non seduto vedo pannelli da giganti. Mi chiedo se son veri, ma certo sono tanti.

Però le promesse io me le ricordo, ma tanto so che valgon dieci lire e non c’è niente da capire.

Guardando la statale mi sentoo di star male, se penso che un tempo lì gli alberi non ci hanno fatto piantare. Così giro lo sguardo e vedo tre bidoni, due sono verdi vomito, l’altro è per luridoni.

Svolazza una cartaccia, la prendo e la spiegazzo, c’è scritto siamo bravi, premiati all’occasione.

Sarà un po’ per lo smog, di aerei militari, ma io non ci capisco chi premia l’illusione.

Vinciamo perché il verde noi si che c’è l’abbiamo, siam come in Amazzonia per dieci tagli uno ne piantiamo.

Però quel foglio io me lo ricordo, c’è scritto: “la differenziata va da morire”…e non c’è niente da capire.

Stupito o intorpidito guardo il bidone da questa parte, ha un tanfo da star male e un colore raccapricciante. Penso, sarà la volta buona, stavolta li laveranno, se no le persone neanche un dito ci metteranno.

Ma allora come fanno ad essere così tanti.

Chissà perché quel premio l’abbiam vinto, sarà per quei pannelli da giganti.

Se quei rifiuti non son selezionati.

Ma certo che così scoraggiano i ben intenzionati.

Tornado alla città, s’appresta un’illusione: veder la gente ferma davanti a quel balcone.

Gridargli senza sosta “siam stufi degli imbrogli”.

Vedere che lui scende e molla il portafogli.

Sti soldi sono vostri noi non li meritiamo, facciam carte da mercante e poi ce li spartiamo.

Se questa confessione fosse fatta alla città, non certo cambierebbe ogni cosa che non va.

Ma a ciarlare sono tanti, milioni di milioni, non perdon l’occasione di cercare una polemica subdola.

Bloccano le ferrovie, occupano i binari, non perché ha un senso, ma glie l’han detto i miliardari.

Sarà che forse voglion fare l’interramento, e di chi abita al di là della stazione, han solo sfruttato l’occasione. 

Sarà che esser contro fa parte della gente, ma contro il compostaggio sei proprio un deficiente.

Mi dici caro uomo dell’organico che fare, se non lo rendo compost, per caso lo vuoi mangiare?

E allo forse è vero che chi altro non sa fare, parla solo di qualcosa tanto per scrivere un giornale.

Tornado alla questione, son tante le promesse, ne aggiungono di nuove e le persone fanno fesse.

Però la sentenza io me la ricordo, ma le sentenze valgon dieci lire e non c’è niente da capire.

Propongon nuovamente: svuotiamogli i rifiuti, nel buco che han gian fatto, son proprio dei burloni.

Sarà pure archeologico, un sito di natura…io penso solo questo: adesso qui c’è solo la dittatura.

Un anno di battaglie, alla gente certo non piace, ma tanto la discarica si sa già a chi non dispiace.

Ci dica il signorotto perché dobbiam colmare, un canyon che ormai non sa più d’artificiale.

Ma io la storia sì che la ricordo, c’è chi alla cava ha investito un capitale. Ed allora si che puoi colmare.

 Le balle sono tante, milioni di milioni, le dicono politici, dottori e società per azioni.

Ma adesso siamo stanchi, smettiamo di guardare, cerchiamo un po’ di agire, far muovere e cambiare.

 

Roberto Cazzolla


Dalla Spes 10 modi per scoraggiare la raccolta differenziata

Come la Spes induce il cittadino a non differenziare i rifiuti

Piccolo promemoria per cittadini onesti.

Ecco alcuni consigli per evitare in tutti i modi di fare in casa la raccolta differenziata. Per scoraggiare anche il più verde dei residenti, per annichilire anche le più floride tendenze ambientaliste, salutiste, naturaliste o soltanto...rispettose, ecco alcuni escamotage che un gestore privato (eh, se l’avessimo tenuto pubblico questo osannato servizio…) insinua subdolamente nell’amministrazione del servizio rifiuti.

Hai passato l’intera settimana a cercare di capire di cosa fosse fatto l’involucro delle merendine, perché è un po’ di plastica, un po’ di cartoncino e d’un pizzico d’alluminio. Ed allora con sacrosanta pazienza ti accingi a dividere i tre strati di immonda stupidità per conferirli negli appositi secchi che i 3/4 della tua famiglia vorrebbe scagliare giù dal balcone. Ma tu impavido prosegui nell’arduo discernimento. Chiudi i sacchetti, che spesso sgocciolano per tutto il percorso condominiale, ma ti consoli consapevole del nobile compito che ti accingi a svolgere. Sei fuori dal portone con tre sacchi colmi di rifiuti differenziati. L’alluminio è nel generico perché senza alcuna ragione la Spes non raccoglie il materiale più duttile e con la storia di riciclo più antica .

Mentre percorri i due o trecento metri che, se ti va bene, ti separano dai bidoni della differenziata ti sovvengono con fulminea illuminazione dieci motivi per indurti ad abbandonare l’impresa:

1) I bidoni sono distribuiti senza alcuna regolarità. Per molti cittadini sono di fronte al portone di casa, per altri a non meno di 500 metri.

2) Quando arrivi ai bidoni hai già le buste chiuse, pronte per esservi inserite. Fai per aprire il cassonetto ma la maniglia è nera e viscida,

3) ti accorgi che il pedale non c’è e quindi devi in qualche modo sollevare il coperchio.

4) Trovi un pezzo di giornale, lo poggi sulla maniglia e fai forza, ma ti rendi conto che il coperchio è stato chiuso, apparentemente senza motivo.

5) Così devi aprire la busta ed infilare uno ad uno i giornali o le bottiglie. Qualunque materiale in carta o plastica di maggiori dimensioni lo devi gettare nel generico. Se tutta questa pazienza non c’è, apri con il pedale (chissà com’è mai i bidoni generici sono sempre puliti, svuotati regolarmente e con il pedale) il cassonetto verde generico e getti tutta la fatica di una settimana nella bocca degli ingordi, consapevole che il tutto finirà in una discarica e si riverserà sul futuro di tuo figlio.

6) Quando invece, decidi di rischiare la vita ed infilare i rifiuti, ti rendi conto che le fessure sulla parte superiore del coperchio sono munite di un apparato ciliare simile ad un batterio. Setole, rigide come aghi e luride come fogne che ostruiscono il foro e ti costringono a forzare la bottiglia per farla entrare.

7) Se, a questo punto l’antitetanica ha avuto motivo di essere stata inoculata in te, e risulti vivo per miracolo non ti resta che gettare il sacchetto. Ma dove? Tra le setole si incastra e nel generico non bisogna buttarlo…

8) Torni qualche giorno dopo, con nuovi sacchi, e speranzoso, accorgendoti che i bidoni sono stracolmi e non hai possibilità di inserire i rifiuti.

9) Li poggi per terra e speri che il buon operatore ecologico li raccolga nel giusto mezzo. Nel frattempo un liquido verdognolo di natura ignota ti cola sulle scarpe, a fatica trattieni la rabbia.

10) Quando ti capita di trovare un bidone con coperchio non sigillato, lo apri e sei felice di poter versare l’intero contenuto della busta nel bidone senza dover ripercorrere la squallida trafila di operazioni precedenti. Ma presto scopri dov’è l’inganno. Vuoti il sacco e lasci il coperchio. Questo si rivolta contro di te infastidito per la troppa raccolta differenziata e sbatte violentemente contro il cassone schizzandoti addosso le gocce di liquame raccolte nelle insenature. Vi ricordate che i coperchi scendessero dolcemente, ma dov’era? Ecco, quelli del generico scendono alla velocità di un cm all’ora, che quando ritorni il giorno dopo il coperchio sta ancora scendendo. Un altro punto a vantaggio dell’indifferenziato.

A questo punto hai perso ogni speranza. Torni a casa, la frustrazione è evidente e ti prometti che non ripeterai mai più quel percorso macabro. Via, tutti i rifiuti insieme e chi se ne frega. Tanto l’acqua fa già schifo, la Murgia è già una merda di liquami, le falde si intossicano ogni secondo ed i bambini hanno il cancro a 10 anni.

Ma un dubbio non ci lascia dormire per tutta la notte: non sarà che siccome la raccolta differenziata è obbligatoria per la legge 157/99 la Spes abbia finto di adeguarsi per non incorrere in sanzioni, ma in tutti i modi cerca di scoraggiare la gente a farla per non dover aumentare i costi di raccolta ed il personale? Quando incontri l’operatore ecologico che prende le buste con le bottiglie in plastica poste di fianco al bidone stracolmo della plastica e le getta con indifferenza nel generico ed alla tua obiezione risponde: “Mi hanno detto di fare così ed io faccio così”, non hai più dubbi. La tassa sui rifiuti aumenta per una raccolta differenziata che deve restare entro una minima percentuale (così credendo di non infrangere la legge) e la maggior parte dei rifiuti possono finire in mano a lobby di ecomafie. E pensare che la Spes ci ha inviato una lettera con scritto: “la Natura ringrazia la Raccolta Differenziata”. Forse tutti noi dovremmo rispondere alla Spes: “l’inquinamento da rifiuti ringrazia la Spes”.

Roberto Cazzolla


Tutti al mare ma con rispetto

Qualche consiglio per i gioiesi in vacanza

 La stagione estiva è ormai nel clou e molti gioiesi partono per le vacanze al mare con la voglia di divertirsi e di rilassarsi. E fin qui va tutto bene.

I problemi sorgono nel momento in cui l’approccio con l’ecosistema marino si tramuta in una bagarre indescrivibile, simile allo sbarco dei Mille.

Siamo animali terrestri e le nostre capatine al mare devono sempre tenere in considerazione che stiamo entrando in un ambiente diverso dal nostro abituale, con delle peculiarità e delle rarità.

Ci lamentiamo spesso delle meduse e ne facciamo strage solo perché la loro presenza ci infastidisce. Nessuno è mai morto, o rimasto ferito gravemente a causa delle meduse mediterranee. Queste, pur possedendo organi urticanti (gli cnidoblasti) che scagliano piccole freccette appuntite (le nematocisti) non sono pericolose per l’uomo. Se urtate per errore, causano irritazioni locali, che se si evita di trattare con i composti più strani (alcool, ammoniaca, dentifricio, etc.) e le si sciacqua in acqua fredda, meglio se di mare, spariscono in due o tre giorni. Le meduse nostrane, la Pelagia noctiluca con il bordo dell’ombrella azzurro, la Cotylorhiza tuberculata e la Rhizostoma pulmo (il famoso polmone di mare) sono animali fantastici, risalenti a 600 milioni di anni fa, che svolgono un ruolo di controllo sulle catene alimentari marine, che potrebbero, private della loro presenza, danneggiare notevolmente anche il comparto della pesca. Proprio a questo proposito, la pesca sta vivendo un momento difficile a causa del massiccio prelievo di risorse dal mare, sarebbe quindi opportuno che tutti i gioiesi in vacanza limitassero il consumo di pesce o scegliessero di mangiare solo specie non in sovrasfruttamento.

Ecco quindi una piccola lista degli abitanti del mare da preferire a tavola per tutelare la sopravvivenza di un intero patrimonio:

 

·        SI Sgombro – NO Tonno

·        SI Aringa – NO Salmone

·        SI Carpa – NO Merluzzo, Scorfano, Halibut

·        MEGLIO EVITARE Orata, Cozze e Calamari

·        NO Nasello, Passera di Mare, Rombo, Spinarolo, Shrimp, Gamberi e Gamberetti

 

Naturalmente, i datteri di mare sono specie protetta e non possono essere venduti, acquistati, mangiati. Anche i ricci, pur non essendo protetti, meriterebbero un po’ di tregua.

Per quanto riguarda poi la tutela delle coste, un buon sistema per far capire ai gestori e agli albergatori che il mare non lo vogliamo pieno di cemento, è quello di scegliere spiagge libere dove sostare e segnalare al numero verde del WWF 800-085898 tutti gli abusi edilizi.

Fate valere i diritti di accesso al mare. Il mare è un bene comune e nessuno può privatizzarlo.

Raccogliere poi tutti i rifiuti prodotti, ed anche qualcuno prodotto da altri e trovato in spiaggia, oltre che sinonimo di coscienza sociale, potrebbe risparmiare la vita a centinaia di animali che confondono buste in plastica, bicchieri, stecche di gelato, per prede e muoiono soffocati.

Rispettiamo la vegetazione delle coste. I meravigliosi gigli di mare che punteggiano le spiagge sabbiose del tarantino, così come la salicornia o il fico degli ottentotti, sono specie autoctone e ormai rare. Se estirpate vivono poco e lasciano un vuoto difficile da colmare. Così come le praterie di Posidonia, rovinata da pescatori della domenica che con reti a strascico portano via tutto il fondale, le specie che vi abitano e questa fondamentale pianta marina.

Per ultimo, un piccolo consiglio che pur sembrando banale, migliorerebbe di certo lo stato di inquinamento del mare. Non lavatevi con saponi e bagnoschiuma presso le docce sulla spiaggia, tutta la schiuma finisce direttamente lungo la costa. E poi le creme solari è meglio metterle dopo aver fatto il bagno e prima di immergersi nuovamente, sarebbe opportuno strofinare il corpo con dei teli. A chi piace la patina che galleggia nelle sovraffollate mattine d’estate?

Con un pizzico d’attenzione potremmo certamente divertirci, alimentarci, rilassarci grazie al mare e permettere alle generazioni future di goderne altrettanto.

Roberto Cazzolla

(da Gioia News)


La bellezza che non vogliamo vedere

 Affannati dal fare quotidiano, in faccende affaccendati, tralasciamo con pericolosa disattenzione le affascinanti bellezze che ci circondano.

Fanno notizia la guerra ai piccioni, la derattizzazione, la lotta alle cavallette, ma se provassimo ad eliminare dai nostri occhi quel velo fatiscente che la società della televisione ci impone, riusciremmo ad ammirare un incantevole spettacolo.

Ecco dunque, qualche piccolo suggerimento per eliminare il burqa occidentale dai nostri occhi e trarre sollievo dalla visione di un mondo nascosto che può farci evadere dalle compulsioni e dalle frenesie che attanagliano le “società evolute” o quelle che noi definiamo “civili”.

Tanto per cominciare, basta passeggiare in via Roma in orari non molto frequentati per ammirare le danze d’amore dei piccioni. Proprio qualche giorno fa mi sono imbattuto in uno spettacolo ammaliante. Lei, la femmina di piccione, era al centro della strada pedonale, con un’ala distesa, come se fosse fratturata o ferita. Attesi qualche minuto per vedere cosa sarebbe accaduto, insospettito dal comportamento dell’uccello. Dopo poco arrivò un maschio con un dono per la sua “donna” provata dal dolore. Un bel bastoncino per comporre il nido d’amore. Lei, felice del regalo, ritirò l’ala e completamente rinvigorita iniziò a farsi seguire dall’amante premuroso. Un’immagine di estrema dolcezza e passione. Si tratta di un comportamento comune in molti uccelli, non nei colombi però, denominato tanatosi, in cui si finge un malessere o la morte per attirare predatori in modo da allontanarli dal nido o sfuggire dai pericoli oppure attirare partner premurosi.

Ma la magia che si configurava ai miei occhi era semplicemente una delle tante manifestazioni della Natura, di cui ognuno può godere se cambia il suo punto d’osservazione.

In P.zza Pinto, poi, ogni sera, all’imbrunire si assiste alle acrobazie dei pipistrelli nani che formano una consistente colonia a Gioia. A molti la sola idea di un pipistrello avrà già fatto ribrezzo, ma oltre a ribadire la falsità della credenza secondo cui questi mammiferi (non sono uccelli, allattano i propri piccoli) si attaccano ai capelli dei passanti, vorrei far notare il ruolo eccezionale che svolgono questi animali. Li si vede volteggiare davanti alle luci dei lampioni, e a buone ragioni; infatti essi si cibano di insetti volanti soprattutto di zanzare, rendendo un utile servigio alle nostre carni. Riescono a divorarne anche 1000 a testa ogni notte. Mica male, altro che spray antizanzare.

Stesso servigio è quello compiuto dai fenomeni di arrampicamento, che è facile osservare sui muri dei palazzi del centro storico: i gechi. Lucertole con delle dita appiccicose, formate da micropeli, che li rendono abilissimi a camminare a testa in giù e a predare zanzare e altri insetti parassiti.

Altra elegantissima manifestazione naturale si osserva nel nuovo giardino nei pressi del Liceo Scientifico, dove di giorno le ali bianco-azzurre della ghiandaie si aprono per consegnare alla terra una piccola ghianda di quercia, o un seme, che se dimenticato, un giorno ci consegnerà un nuovo albero e un po’ d’ossigeno. Più efficace di qualunque (ne facesse almeno uno…) intervento di rimboschimento dell’Ufficio Agricoltura di Gioia del Colle.

Di notte, invece, è lo stridulo canto della civetta ad allietare le tenebre. La si osserva ferma sui posatoi forniti dai fili o dai lampioni e di colpo lanciarsi a terra dopo aver avvistato con i suoi potentissimi occhi un preda.

Per non parlare poi, del lento scorrere dei corpi mucosi nelle notti umide di chiocciole, lumache e lombrichi. Mentre il mondo dorme, loro lavorano per noi, restituendo alla terra ed alla nostra tavola nutrienti essenziali e decomponendo i nostri rifiuti organici. In alcuni dei pochi orti rimasti in città si osservano le scie di questi esseri intenti in un lento e preciso lavoro.

Come non parlare, infine, del più rappresentativo rapace dei nostri cieli. Con colonie stabili presso il Castello Svevo e l’antenna Telecom, il falco grillaio si invola nei cieli gioiesi riducendo, con grande utilità, la popolazione estiva di cavallette e altri ortotteri. Lo si ammira nella posizione dello “spirito santo” fermo nell’aria dopo aver imboccato la corrente d’aria giusta , ad osservare il terreno in cerca di prede in movimento.

Ma se proprio l’osservazione esterna vi riuscisse difficile, provate ad osservare nei luoghi umidi il corteggiamento con consegna di doni e lotte, tra gli opilioni, sottili ragni dalle zampe gracili i cui maschi proteggono le uova che le femmine depongono nelle loro tele in base alla miglior fattura.

E le piante, verdi creature dalla vita nascosta…ma questo è un’altra affascinante mondo di cui parleremo la prossima volta.

Per adesso godete la bellezza che è sotto i nostri occhi, perché soltanto cercandola, soltanto la consapevolezza dello spettacolo della Natura, può allontanarci dallo stato di “civile” frustrazione in cui ci svegliamo ogni mattina vivendo in città.

Roberto Cazzolla

(da Gioia News)


La cultura della salsiccia

Analisi del pensiero dominate a Gioia e dintorni

 Pensare di sabato sera al muro in costruzione a Gaza, pare a dir poco ridicolo, dinanzi al ben più pressante impegno di gustare in una delle tante “arrostisci-pensieri” una sugosa di lardo e di budello, salsiccia. Sia chiaro, nessuno vuole che sconfini la tristezza, dal momento in cui ogni evento quotidiano del singolo si contorce tra noia e frustrazione. Figurarsi del meditare dei problemi altrui. Peccato che l’oltranza nel negare l’esistenza del resto del mondo sta portando nel tempo a capovolgere il concetto di mio, sud e problema suo. Problema tuo, risponderei, che prima o poi incocci come quando per errore mordi la forchetta e non la salsiccia. Stride come un dente preparato all’assaggio di quel muscolo insaccato altrui, che stupito s’accorge che lo scontato è diventato gracchiante dolore per i suoi nervi dentali.

Ora che il polo si sciolga ed io non abito sul polo, se ho la salsiccia, tutto è irrilevante. Nell’era della globalizzazione si pensa più a casa propria che al resto della Terra. Come se, poi, la Terra non sia proprio casa nostra.

Così la cultura dominante, che investe il gioiese medio, non è altro che uno stizzito “penso per me”, uno sguaiato sguardo diritto che osserva una strada sfocata e dimentica i fiori che la costeggiano.

Evviva dunque la cultura della salsiccia, primo pensiero dominante nell’agenda soprattutto dei ragazzi sempre più distratti e disattenti, avvinghiati all’onirica ed irritante perfezione televisiva; ammantati e assuefatti dal catodico imbroglio di una mamma di riserva.

Ma si sa. Televisione specchio della società.

E allora ti capita d’osservare qualcuno intento a promuovere campagne a favore di chicchessia, prossimo mio, tuo, suo, indegno persino di uno sguardo di sana curiosità da parte del gruppetto della domenica che dalla Chiesa Madre passeggia tra la Piazza e Via Roma. Spesso mi chiedo cosa dicano in chiesa che possa prosciugare in tal modo la mente dei giovani. Probabilmente, non è neanche tutta colpa della TV o della Chiesa, è che ormai incalza la filosofia del diritto privato. Il bene comune, la risorsa di tutti diventa merce da spartire tra i singoli ed, allora, appare ovvio che di sabato sera si pensi alla disco, alla scarpa, alla salsiccia.

Non va, però, frainteso che il bigottismo pro terzi ha lo stesso effetto dell’indiscriminata indifferenza. E’ solo che stupisce come l’antropocentrismo stucchevole e dannoso per il globo, si sia trasformato in questi anni, e i gioiesi ne sono espressione dominante, nell’alquanto più deplorevole egocentrismo. Naturalmente, non tutti ci son cascati. Ma si sentano offesi quelli che tiran dritto quando vedono qualcosa che non va. Quelli che “tanto lo farà qualcun altro”. Quelli che…insomma quelli della cultura della salsiccia.

Un tale assopimento cerebrale lo si riscontra anche nella classe dirigente del paese. Anche l’Amministrazione pubblica è specchio della società che la elegge. E così ti accorgi che un Sindaco che di rado partecipa ad eventi pubblici della sua città, è andato a festeggiare un matrimonio tra rumeni in Romania. Perché, i più non lo sapranno, Gioia del Colle è gemellata con una città rumena. Forse anche con una araba ed una turca, ma i nostri amministratori ci tengono bene a non diffondere molto la notizia, altrimenti come si fa a far partecipare tutti ai matrimoni?!

Peccato che nel frattempo, il paese assomiglia ad una groviera, con strade che sembrano grattugie, il verde che continua a sparire e le perdite d’acqua che non si contano più. Ma anche negli Alti Palazzi viene prima la salsiccia.

Quindi, che gli alberi dell’Amazzonia se li sia presi tutti l’Ikea per aprire il megastore a Bari, che l’effetto serra stia opprimendo due miliardi e mezzo di persone, che l’acqua potabile scarseggi al punto da lasciare a secco mezzo mondo, è cosa di più banale rilevanza rispetto ai problemi di molti.

Ad esempio, in quanti almeno una volta al giorno non si chiedono se il cellulare appena acquistato sia già passato di moda? E in quanti non si pongono l’atroce dilemma se fa più trend l’ultima di Prada o quella argentata di Paciotti? E se stasera invece che andare a mangiare carne di cavallo andassimo a mangiare quella di vitello, così tanto per cambiare? E così via…

Adesso, però, questo atteggiamento ha stufato. Si parta dai bambini, gli si insegnino i veri valori. Il rispetto della Terra su cui vivono e di tutti gli altri esseri viventi. Gli si insegni che aiutare gli altri è fonte di ben più grande soddisfazione che sfoggiare la scarpa all’ultimo grido. E che quando hai la schiena in pezzi per aver destinato le forze rimaste dopo il lavoro, a qualcuno che non sia tu e magari neanche conosci, è ancora più gratificante riposarsi mangiando una pizza in compagnia.

Nella speranza che i bambini possano insegnare tutto questo agli adulti e spodestare per sempre la cultura della salsiccia.

Roberto Cazzolla

(da Gioia News)


Quel grande vuoto nella testa

Perché i giovani gioiesi appaiono distratti nei confronti del mondo circostante?

A scuola contro voglia di lunedì e poi giù tutta la settimana. Pomeriggio, nel tempo libero la palestra, la piscina o la danza. La sera il cinema o la “sfilata” a via Roma. Per il resto, nulla più. La massima ambizione? Sfondare nel mondo con successo e tanti soldi. Belle macchine, grande casa, graziosa famiglia. Il traguardo imminente? L’ultimo cellulare alla moda, l’ultima scarpina griffata. Una variante? Lo shopping nel centro commerciale.

Eccolo il ritratto della stragrande maggioranza dei gioiesi. Nessuno si senta offeso, perché in molti, confessandolo a sé stessi, si rivedono in questa descrizione. Nulla di male, per carità. E’ solo che il vuoto preoccupante che si fa largo nella mente dei ragazzi gioiesi, desta serie preoccupazioni. E sì perché se la fiducia è nelle giovani menti, dobbiamo seriamente rabbrividire. Su 20 lettori gioiesi di quotidiani solo 1 è un giovane sotto i 25 anni. La politica non interessa ai più. Tantomeno ciò che accade nel mondo. “Non riesco ancora a comprare l’ultimo pantalone Cavalli, vedi tu se devo pensare alla povertà nel mondo!”, questo ti rispondono se gli parli di ciò che accade intorno. Ormai, questa nuova deludente generazione, la si divide in due categorie: gli indifferenti a tutto e i contestatori di tutto. Mai un pensiero originale, lo sviluppo di uno spirito critico. Sono svaniti nel nulla gli ideali, spappolati dai figli del post ’68, che a loro volta han formato generazioni di figli privi di qualunque impegno morale, interessati solo ad apparire, nella nebbia profonda della loro mente.

Il vuoto cerebrale lo verifichi tu stesso quando vedi orde di ragazzi, magari appena usciti da una chiesa (a messa non per la fede ma, tanto per non pensare molto) attraversano, in una soleggiata domenica mattina, la piazza Plebiscito o via Roma, e come muli sellati, con i paraocchi, non voltano lo sguardo per osservare e porre alla propria mente la domanda “Che stanno facendo quelli?”, “Forse mi interessa?”, a qualunque associazione sia da ore con un banchetto a tentare di rimuovere la polvere dagli scaffali delle giovani menti. Nulla, neanche uno sguardo di sfuggita, si tengono a debita distanza come se non volessero riempire la testa di troppi pensieri. Tirano dritto, quasi scansando il fastoso gazebo, ignari del mondo e della vita.

Li vedi perennemente soffocati da una musica assordante, vagare per le strade con le cuffie, che ti viene di pensare: sarà un modo per evitare di riflettere troppo. Questi ragazzi non sanno più ascoltare, non leggono ciò che accade nel mondo, si rintanano nel loro piccolo ed effimero mondo di bazzecole. Sono, senza timore nel dirlo, il pericolo più grande per l’umanità. Per retorica, aforisma quanto mai azzeccato, è l’indifferenza la peggior cosa. Come si può a 18 anni essere già cementati in una forma incoerente priva d’identità e di libero pensiero, carente del più basso spirito critico, orfana dell’osservazione, della lettura, della scrittura. Non si offenda una generazione, tanto certamente neanche lo leggerà questo tentativo di fare da sveglia a cervelli appisolati. Si offendano, invece, i pochi che si sentono esclusi da questa categoria, perché ne pagano le conseguenze. Se si pensa che molti dei giovani cervelli in disuso saranno chiamati a votare ancora molte volte ci si spiega perché la nostra classe dirigente fa acqua da tutte le parti. E non importa se si voti a destra o a sinistra, il problema sta nel fatto che spesso si vota la faccia simpatica, colui che ha promesso un impiego statale (dove lavori poco e, spesso, fai meno) o chi rappresenta l’immane cratere creatosi

nel futile pensiero di ognuno di loro.

Ma questa non è una speculazione. La puoi facilmente toccare con mano sondando su fatti di notevole importanza. Chiedi per esempio che cos’è l’effetto serra. Chiedilo a un politico e poi ad un ragazzo. La risposta è la stessa ignobile sciocchezza. Chiedi chi è il capo di Stato iraniano che sta minacciando il mondo col nuclerare, o quello russo che stermina in silenzio e 1 su 30 forse lo sa. Chiedi perché se mangi più carne puoi nutrire un numero inferiore di persone (e quindi aumenta la fame nel mondo, la deforestazione, oltre alle emissioni di CO2) che se mangiassi in prevalenza cibi di origine vegetale, ed a metà discorso li vedi che già giocano con la mente alla Play Station.

Ed allora un brivido freddo ti corre dietro la schiena. Se il passato appartiene ai figli dei figli del ’68, che lasciano un buco storico per quello che riguarda valori etici e morali, ideali ed azione, ed il futuro ai nipoti dei nonni del ’68, il cui motivo di vita è che l’Inter vinca lo scudetto con due giornate d’anticipo, e di affermarlo anche a costo di fracassare con una spranga di ferro il cranio ad un tifoso “avversario”, chi salverà il mondo dal crescente effetto serra? Chi darà una speranza ai quei 2 miliardi di persone che non hanno accesso all’acqua? Chi sarà così coraggioso da immolarsi per protestare contro la fame nel mondo? Chi potrà fermare l’onda minacciosa di imballaggi che ci avvolge? Tutelare il pensionato o sensibilizzare il lavoratore esposto alla diossina?

Forse la scuola non è capace di risanare questa profonda ferita, colma del batterio Indifferenza, aperta nella mente dei ragazzi (non solo gioiesi), forse la TV non è mai stata l’educatrice ideale, ed allora chi potrà salvarli e al contempo salvare il mondo dalla distruzione che si paventa a breve termine?

Ci riuscirà la continua, costante presenza della cooperazione tra le forze in campo. Ci riusciranno i cittadini, le associazioni, i partiti che vorranno colmare di nobili ideali il vuoto esistenziale dei giovani d’oggi. Ci riusciranno coloro che riempiranno di significato il tunnel buio e senza voci, nel quale in molti sono finiti. E se proprio nulla cambierà, prima del giorno in cui la vita sulla terra cesserà d’esistere, potremo almeno dire: “Io ci ho provato!”

 

Roberto Cazzolla

(da Il Levante del 22/12/07)


Piccoli incidenti eco-urbanistici

 Circa 10000 anni fa, al termine dell’ultima glaciazione che mise a dura prova l’Homo di Neanderthal, la nostra specie Homo sapiens sapiens, tirò fuori dalla sua “cassetta degli attrezzi” l’invenzione dell’agricoltura.

Il salto evolutivo causato da una simile trovata è sotto gli occhi di tutti, ma ci sfugge, spesso, il problema ontologico derivato da questo nuovo stile di vita. Mi spiego.

Se sino ad allora l’uomo di Neanderthal e il suo “cugino” prossimo, predecessore della nostra specie, erano vissuti come cacciatori-raccoglitori, nutrendosi di quello che la natura aveva da offrirgli, spostandosi di terra in terra alla ricerca di nuove fonti alimentari, raminghi in territori incontaminati; dall’avvento dell’agricoltura in poi la nostra specie iniziò a stabilire un predominio sulla natura che si manifesta ancor oggi. Il nostro antenato immaginò, suo malgrado (ed anche nostro) di poter soggiogare la natura ai propri interessi e decise, come un dio, di potersi “fabbricare” da se il proprio cibo, di scegliere cosa mangiare e quando, senza aspettare che il mondo gli fornisse le vivande. Un simile atteggiamento, lo portò ad essere sempre più stanziale e ad istituire quella che oggi chiameremmo la “proprietà privata”. Ci sono molte ipotesi che suggeriscono che la causa dell’estinzione dell’uomo di Neanderthal sia stata l’incontro con l’uomo Sapiens. Questi, nel timore di non poter più governare in maniera esclusiva il territorio nel quale instaurava l’agricoltura, eliminava i concorrenti nomadi che incontrava nelle varie parti del mondo.

Da qui nasce l’idea di dominio che ci portiamo sul groppone come retaggio del passato e che, purtroppo, ci ostiniamo ad ignorare. Quest’aspetto, però, ci fa considerare sotto un’altra luce eventi quotidiani di conflitto tra chi dovrebbe governare e chi dovrebbe decidere da chi essere governato.

Si discute molto in questi giorni a Gioia del Colle del problema Traffico e Urbanizzazione, con corollari annessi.

Partiamo dai passaggi a livello. L’essere diventati stanziali ormai da tempo ci porta a scegliere vie preferenziali da e verso la nostra dimora. La chiusura di un passaggio a livello e l’apertura di un sottovia è di gran lunga un ottimo intervento per ridurre il traffico urbano, l’inquinamento automobilistico, i ritardi dei treni e l’attesa della società incalzante. Ben lungi, al contempo, da pensare che una scalinata in catacomba possa garantire sicurezza al residente dell’altra parte del divisorio ferroviario. Allora, invece di utopistici, costosissimi, interessati progetti di interramento di un intero tratto ferroviario, perché non garantire la sicurezza al residente d’oltrelivello con un sopravia con sbarre di metallo, che consenta di poter verificare dal basso, prima di salirci, la presenza di malintenzionati, di certo meno costoso del progetto prima citato (e ormai soluzione comune in molte città)?

Ma ritornando alle ragioni di conflitto derivate, più o meno direttamente, dall’invenzione dell’agricoltura, ci troviamo in questi giorni dinanzi ad un nuovo dilemma shakespeariano: il piano traffico.

I commercianti montano polemiche per le possibili perdite economiche derivate dai sensi unici e dai parcheggi a pagamento, i residenti sono furiosi per i costi esagerati dei posteggi, ma mettere d’accordo tutti è davvero difficile. Si potrebbe però trarre qualche insegnamento dalla vita naturale. Nel mondo delle formiche vi sono numerose vie preferenziali di accesso ai nidi ed al cibo, rapportandoli all’umana questio “alle abitazioni” e “ai luoghi di lavoro”. Nel loro microcosmo non ci sono semafori a governarle eppure gli incidenti sono pochissimi. Come fanno. Primo: vanno a piedi, ingombrano poco, inquinano poco e non hanno bisogno di parcheggiare! Da questo ci arriva il primo insegnamento: se non vogliamo code, ingorghi e parcheggi a pagamento, quando possiamo andiamo a piedi, in bici o coi mezzi pubblici. Ma se proprio l’auto ci serve, prendiamo nuovamente spunto dalle formiche; secondo: nei percorsi larghi esistono sempre vie d’andata e di ritorno, in quelli stretti, sensi unici con zone di sosta solo su di un lato delle vie grandi e in grandi gruppi, in alcune aree, di quelle strette. Adesso, applicato al problema umano questo cosa ci dice: non ha senso rendere strade grandi a senso unico per poter parcheggiare a sinistra e destra. Quelle larghe andrebbero lasciate a doppio senso con parcheggi solo su di un lato, e quelle strette a senso unico (rotatorio, cioè seguendo un percorso cittadino unidirezionale) con zone di sosta raggruppate (grandi parcheggi). Ad esempio, è completamente inutile rendere a senso unico via G. Di Vittorio per sbloccare il nodo con Corso Vittorio Emanuele, perché il traffico raddoppierà sulla ex Statale 100 per poi ritornare dalle vie d’accesso secondare tipo via Mazzini. Ma anche quando si parla di strade, tutto è relativo. Ognuno ha la sua idea. Potremmo sempre imparare dalle formiche. Ah, a proposito, i rondò sono un’ottima cosa rispetto ai semafori, ed anche le formiche hanno i loro, possono essere cespugli o alberi…questo ci dice “ok ai rondò” ma con del verde piantato all’interno.

Tra i problemi eco-urbanistici che ci troviamo ad affrontare ultimamente c’è anche quello dell’edilizia selvaggia che a Gioia sembra fare da padrona. Purtroppo abbiamo perso l’antico legame con il concetto di casa. Prima dell’agricoltura era il mondo la nostra casa. Poi lo è diventata il campo coltivato, la capanna, il villaggio, la città, il condominio e…l’appartamento. Il concetto di ecologia deriva proprio dal ragionamento intorno all’eco da eikos, che in greco vuol dire “CASA”. Tutti tengono alla propria casa. Ma prima la casa era il mondo, ora è l’appartamento. Ecco perché a molti interessano le piante del salotto ma se ne fregano degli alberi disboscati nelle foreste pluviali che toccano, ormai morti, quando aprono le ante del proprio armadio Ikea.

Perciò non sorprende l’onda distruttiva che sta coinvolgendo la periferia di Gioia così come quella di altre città. I campi e i boschi stanno lasciando il passo all’iracondo ingegnere o al beffardo architetto che ciechi disegnano muraglie di cemento laddove un giorno beava la natura. Ma oltre l’amore materno, c’è un altro motivo per cui tutti dobbiamo risentirci della distruzione edilizia indiscriminata. Le città sono avamposti di energia, la fagocitano ma non la producono, o meglio non la esportano. In città noi importiamo petrolio dal mare per l’elettricità, il riscaldamento, le automobili e l’agricoltrura, ma non restituiamo nulla al mare, se si escludono le feci dagli scarichi domestici. Importiamo cibo dai coltivi e dai pascoli ma non gli restituiamo nulla , se si escludono frigoriferi e lavatrici rotte. Importiamo acqua dai fiumi e non gli restituiamo nulla, se si escludono i detersivi e i sacchetti in plastica. Importiamo ossigeno e aria pura dai boschi e non gli restituiamo nulla, se si escludono bracconieri e disboscatori . Insomma, abbiamo necessità vitale della periferia, dei campi e dei boschi e l’espansione urbana mette a serio rischio non solo la natura, ma tutti noi. In un modello di città sostenibile, ogni gruppo di case dovrebbe essere circondato da giardini, campi coltivati e ambienti naturali collegati tra loro per mezzo di corridoi. Basterebbe una semplice ordinanza che obblighi i nuovi costruttori a prevedere spazi verdi intorno alle nuove abitazioni, e magari pannelli solari su ogni tetto. A proposito, il nuovo PUG (Piano Urbanistico Generale) che sta per essere approvato dal Comune di Gioia del Colle ha dimenticato di includere nei vincoli di protezione alcune lame e grotte, miracolosamente sparite dal territorio (starebbe a dire, cancellate con il bianchetto da qualche funzionario). Ne abbiamo informato l’Ufficio Tecnico con una lunga nota, speriamo che nessuno la cancelli col bianchetto…

 Roberto Cazzolla

(da Gioia News)



Perché siamo contrari al DISMO

Il DISMO è a tutti gli effetti un macchinario per la distruzione dei rifiuti, siano essi industriali o urbani, e quindi al pari degli inceneritori elimina materia prima prodotta con utilizzo di energia e non favorisce il recupero ed il riciclaggio dei materiali.

Il DISMO è stato concepito per la distruzione dei rifiuti chimici e tossici. Questo darebbe una via d'uscita a tutte quelle compagnie chimiche e petrolchimiche, che riempiono di composti tossici i materiali di uso quotidiano (ftalati nei giocattoli e nei pigiami, diossine nelle confezioni), che non avrebbero più interesse ad eliminare dai loro prodotti le sostanze pericolose. Inoltre, sarà difficile emanare nuove leggi sulla limitazione dei composti chimici tossico-nocivi in quei Paesi dove il DISMO è molto diffuso, in quanto nell'opinione pubblica si sarà radicata la falsa convinzione di aver risolto il problema dei composti chimici pericolosi.

Il DISMO non elimina la necessità di una discarica in quanto produce ceneri vetrose che dovrebbero comunque essere smaltite. Le ceneri sono formate per la maggior parte dai composti incombusti (metalli pesanti, alogeni, etc.) e rivestiti di una struttura silicea. Questo non esclude la possibilità che nel corso degli anni, a contatto con altre sostanze, queste particelle silicee possano rilasciare componenti nell'ambiente circostante.

Nonostante le contenute emissioni di ossidi di azoto, ossidi di zolfo, diossine e furani, IPA e COV, una recente nota (vedi volantino sotto) dell'unione dei medici generici conferma che all'aumentare della temperatura con cui si trattano i rifiuti aumentano le quantità di polveri sottilissime (dimensioni inferiori ai 10 nm) emesse che, entrano nell'organismo e permangono a vita provocando tumori. Tali polveri non possono essere rilevate dagli attuali strumenti di misurazione in quanto simili tecnologie non sono state ancora sviluppate, ma il loro potenziale cancerogeno è stato accertato.

Nessuno potrà assicurare un controllo adeguato delle emissioni in quanto l'ARPA/p ha dichiarato di non avere personale e fondi a sufficienza per effettuare monitoraggi (vedi articolo sotto).

Gioia, la Sofinter e l'Ansaldo si fanno esportatori di un MODO DI FARE che va nella direzione della distruzione e non del recupero e del riciclo. E' ormai comprovato che i Paesi che non attuano una buona raccolta differenziata, prima o poi si trovano di fronte a traffici di rifiuti, terreni contaminati ed emergenze per il sovraccarico delle discariche.

L'obiettivo che si deve raggiungere, non è quello di fornire alle aziende del settore chimico il modo per illudere l'opinione pubblica che con il DISMO si eliminano le sostanze pericolose, ma la messe al bando di tutti quei composti pericolosi per la salute umana e per l'ambiente.

Il DISMO assicura un limitato recupero energetico, inferiore a quello che si otterrebbe con un adeguato sistema di recupero e riciclaggio delle sostanze alla fine del loro ciclo di produzione (ad esempio: per riciclare la plastica occorrono 22 MJ/Kg, per produrne di nuove 86 MJ/Kg= 64 MJ/Kg di energia risparmiata col riciclo. L'energia teorica recuperabile dalla combustione della plastica è 48 MJ/Kg ma quella reale con un efficienza ottimistica del DISMO del 50%=24 MJ/Kg). Si deduce che conviene, da ogni punto di vista, riciclare invece che bruciare.

Attualmente esistono tecniche naturali per smaltire i rifiuti industriali (vedi articolo sotto).

Il DISMO assicura meno posti di lavoro che se si creassero dei consorzi per il recupero dei materiali di scarto industriali.

E poi, siamo così sicuri che in caso di nuova emergenza rifiuti, il DISMO non sarà nuovamente la scusa pronta per non effettuare la raccolta differenziata e distruggere tutto ciò che capita a tiro?

da un comunicato del WWF Gioia del Colle - Acquaviva delle Fonti 


Perchè siamo ancora più contrari al DISMO

Secondo la Direttiva 1999/31/CE per rifiuti inerti si intendono: "i rifiuti che non subiscono alcuna trasformazione fisica, chimica o biologica significativa. I rifiuti inerti non si dissolvono, non bruciano né sono soggetti ad altre reazioni fisiche o chimiche, non sono biodegradabili e, in caso di contatto con altre materie, non comportano effetti nocivi tali da provocare inquinamento ambientale o danno alla salute umana. La tendenza a dar luogo a colaticci e la percentuale inquinante globale dei rifiuti nonché l'ecotossicità dei colaticci devono essere trascurabili e in particolare, non danneggiare la qualità delle acque superficiali e/o freatiche".I rifiuti inerti sono trattati al paragrafo 2 della decisione. Una delle indicazioni più concrete riguarda la preoccupazione di evitare l'arrivo in discarica di rifiuti apparentemente inerti, quando invece vi è anche solo il sospetto di una contaminazione:

"Quando si sospetti una contaminazione (o da un esame visivo o perché se ne conosce l'origine) i rifiuti sono sottoposti a prove o semplicemente respinti. Se i rifiuti elencati sono contaminati o contengono altri materiali o sostanze come metallo, amianto, plastica, sostanze chimiche eccetera in quantità tale da aumentare il rischio legato ai rifiuti in misura sufficiente da giustificare il loro smaltimento in una discarica appartenente ad una categorie diversa, essi non possono essere ammessi in una discarica per rifiuti inerti."

Due cose quindi. Per un ovvio e condivisibile principio di cautela è sufficiente il sospetto di una contaminazione per rimandare indietro i carichi. Come per le discariche di rifiuti pericolosi e non, la UE acconsente a derogare dagli obblighi analitici pre-accettazione per un limitato numero di rifiuti che rientrano nelle relative tabelle dell'allegato alla decisione.

Per i rifiuti inerti è la tabella che segue che presenta un codice EER, una descrizione ed una restrizione:

1011 03: Materiali di scarto a base di vetro (Restrizioni: Solo se privi di leganti organici)

1501 07: Imballaggi in vetro

701 01: Cemento (Restrizioni:  Solo rifiuti selezionati prodotti dall'edilizia e dalla demolizione)

1701 02: Mattoni (Restrizioni: Solo rifiuti selezionati prodotti dall'edilizia e dalla demolizione)

1701 03: Mattonelle e ceramica (Restrizioni: Solo rifiuti selezionati prodotti dall'edilizia e dalla demolizione)

1701 07: Miscellanea di cemento,mattoni, mattonelle e ceramica (Restrizioni: Solo rifiuti selezionati prodotti dall'edilizia e dalla demolizione)

1702 02: Vetro (Restrizioni: puro, ndr)

1705 04: Terra e rocce (Restrizioni: Eccetto lo strato vegetale e la torba; eccetto terra e rocce di siti contaminati)

1912 05: Vetro (Restrizioni: puro, ndr)

2001 02: Vetro (Restrizioni: Solo vetro raccolto separatamente)

2002 02: Terra e rocce (Restrizioni: Solo rifiuti di giardini e parchi; eccetto terra vegetale e torba)

Risulta, quindi, evidente che il vetro pur essendo in linea di principio INERTE, viene inserito nella classificazione della UE riguardante "gli inerti" come materiale in deroga e a particolari condizioni (solo se privo di leganti organici, solo se raccolto separatamente).

E', dunque, ovvio che le ceneri vetrose prodotte dal DISMO al cui interno sono inglobati metalli pesanti ed altri composti tossici NON POSSONO ESSERE CONSIDERATE INERTI! Perciò, non potranno essere smaltiti in una discarica per inerti o utilizzati come materiale per l'edilizia ed i fondi stradali, come vorrebbero fare i tecnici dell'ITEA (vedi dichiarazione della dott. Di Salvia a Radio Planet). Infatti, se il vetro puro grazie all'erosione dell'acqua o al lento sgretolamento per attrito con altri materiali, rilascia solo particelle di silicio (quindi altro vetro), le ceneri prodotte dal DISMO, sgretolandosi o erodendosi rilascerebbero oltre alla silice che le riveste, tutti i composti pericolosi inglobati al loro interno. Immaginate una cenere del DISMO che finisce nella falda e quindi in mare, dopo quanto tempo credete che si sgretoli? Pochissimi anni. Ed ora immaginate queste ceneri inglobate in un asfalto. L'attrito del passaggio delle auto o l'erosione dovuta alle frenate libererebbero tutti i composti tossici inglobati in atmosfera ed in una forma invisibile all'occhio umano e più pericolosa.

Bella fregatura!

Così noi continueremo a respirare sostanze pericolose con l'illusione che il DISMO ci abbia liberati in maniera "ecologica" dai rifiuti tossico-nocivi.

da un comunicato del WWF ITALIA sezione di Gioia del Colle e Acquaviva delle Fonti


Distributori ad orologeria

Sarà che ormai ci siamo abituati allo smog ma quello che sta accedendo a Gioia del Colle, così come in molti altri comuni d’Italia è davvero paradossale. Si autorizza la costruzione di distributori di benzina all’interno dei centri urbani o, come nel caso del distributore che sorgerà dinanzi alla scuola “Via Eva”, in una zona di comprovata espansione antropica. Questo vuol dire fregarsene dei cittadini. Se si permette ad una compagnia come la Petrol Walsh (nomignolo usato da una grande multinazionale del petrolio) di costruire al centro di un triangolo formato da due scuole ed un supermercato, significa che vi è una netta ed inequivocabile responsabilità sugli effetti futuri di chi elargisce permessi a raffica. E siccome in questo caso il soggetto autorizzante è il Comune di Gioia del Colle, desta ancor più stupore che per non risarcire i danni di un’autorizzazione sbagliata per una costruzione che ancora non c’è, si mette a repentaglio la salute e la sicurezza dei cittadini e soprattutto dei bambini. I danni causati dallo smog fotochimico sono confermati da anni all’interno del mondo accademico e la formazione di COV (composti organici volatili, tra chi il benzene è uno dei più persistenti) aumenta esponenzialmente la possibilità di formazione di ozono e polveri sottili estremamente pericolose. Se si considera, inoltre, che la ex Statale 100 è una zona ad intenso traffico veicolare, è facile comprendere come gli NOx, quei gas dell’azoto prodotti in seguito alle combustioni e quindi dai tubi di scappamento che reagiscono con i COV, possano essere un serio pericolo per la salute. Ed il rischio di esplosione chi lo esclude? Forse la centralina ridicola che l’amministrazione ha intenzione di piazzare vicino alla pompa di benzina? Ma il problema è che già altri distributori sono seriamente pericolosi. Pensate all’Agip. Ha chiuso per un po’ i battenti, ha lasciato che affianco ci costruissero un palazzo ed ha riaperto esattamente lì, o giù di lì, dov’era. Se si continua di questo passo potremo considerarci accerchiati da benzinai ad orologeria.


Se la chiesa di S. Rocco ha bisogno di noi...

GIOIA_ Udite fedeli. La chiesa ha in serbo per voi un nuovo lavaggio del cervello. Non solo crociate, persecuzioni, papato e lotte di potere adesso per essere un buon cristiano c’è bisogno di un gran portafoglio. Perché per salvare la chiesa di San Rocco a Gioia del Colle dall’anzianità non bastano le casse senza fondo del Vaticano, organo dal potere illimitato che potrebbe fermare le guerre in un istante, servono i soldi dei cittadini. Soldi che, per aiutare un santo morto da secoli, per rimettere a nuovo un luogo dove i buoni propositi tracollano e le buone azioni si smarriscono, vengono sottratti alle reali cause per cui la Chiesa dovrebbe battersi: fame nel mondo, malattie, paesi sottosviluppati, carenze idriche, guerre, poveri e disabili. Così accadrà come per l’ospedale di San Giovanni Rotondo che, per aumentarne l’efficienza, necessita di fondi per l’ampliamento ed il rimodernamento, ma si è visto sfumare il finanziamento affinché Renzo Piano potesse tirar su una nuova basilica per San Pio. Costo totale circa 600000 euro, soldi che l’architetto poteva destinare alla clinica invece che alle false preghiere dei fedeli.


Torna il lupo in Italia ed un cane può salvarlo

E’ di banco in questi giorni il ritorno del lupo sui promontori italiani. In molti parlano dell’inaspettata presenza del canide selvatico nel territorio pugliese mescolando sensazioni di euforia e scetticismo. Gli ambientalisti salutano entusiasti l’arrivo di un esemplare che da tempo si dava per scomparso dai boschi e dalle campagne del mezzogiorno, mentre allevatori e pastori manifestano tutta la loro preoccupazione per aver già ritrovato carcasse di ovini sbranati nei campi. Ritorna così quel falso mito che vede il lupo come il feroce predatore fiabesco che da tempo si utilizza per insinuare nei bambini l’immagine negativa di quello che invece è un meraviglioso animale sociale, dai comportamenti di cooperazione e di cura della prole allo sviluppo di gerarchie stratificate degne della più raffinata civiltà. Ma la lealtà e la riservatezza del lupo si conoscono ormai da tempo, anche se di lui permane la falsa ombra scura e minacciosa, quello che invece si sta ancora cercando di capire è come conciliare le sue esigenze con quelle umane. Spesso, spinto dalla fame, dagli spazi ristretti causati dalle numerose costruzioni abitative, e dalla carenza di risorse alimentari (volatili, lepri, piccoli mammiferi), decimati negli ultimi anni dall’utilizzo intensivo dei pesticidi, dall’inquinamento dei boschi e delle falde, dal sovrasfruttamento della vegetazione del sottobosco da parte dei bovini e dal bracconaggio indiscriminato, il lupo si avvicina ai pascoli ed alle abitazioni rurali, attaccando pecore e capre. Gli allevatori non sono disposti a subire simili danni economici e così invitano a cercare una soluzione al più presto. Il rischio è che ci siano nuovi attacchi e gli allevatori decidano di farsi giustizia da soli. La risoluzione della questione non appare poi tanto complicata. Nel 1998 il WWF ha lanciato in Abruzzo un programma di adozione, da parte degli allevatori di bestiame, di cuccioli di cane da pastore maremmano, che potrebbe facilmente essere riproposto in Puglia. Infatti, dopo poche settimane di addestramento, i cuccioli dai 4 agli 8 mesi imparano a difendere le greggi dagli attacchi in sordina dei loro cugini più stretti. I lupi, così, al cospetto di due o tre maremmani dall’aria minacciosa decidono di ritirarsi da un potenziale assalto alle pecore e non corrono il rischio di essere impallinati. I cani da pastore sarebbero il rimedio più compatibile del problema. Lasciati liberi a sorvegliare i ruminanti, questi cani riporterebbero, senza ferirlo, il lupo nelle zone inabitate contribuendo al suo riadattamento trofico di specie autoctone. Inoltre, l’adozione dei cuccioli di maremmano, potrebbe avvenire dai canili e dai rifugi per cani, dove la loro presenza è elevata, donando la possibilità di vivere in libertà a cani altrimenti forzati a trascorrere il resto della loro vita in gabbia. A tal proposito durante le prossime riunioni del “tavolo tecnico” potranno essere individuate le giuste modalità tecniche per la realizzazione del progetto e la risoluzione ecocompatibile del problema, allo scopo di conciliare le esigenze di allevatori e ambientalisti e minimizzare la spesa economica della Provincia. La speranza è che alle prossime discussioni siano invitate le associazioni ambientaliste per poter concretizzare idee quali la “Banca della Pecora” istituibile per risarcire gli allevatori dalle perdite di capi di bestiame sfuggiti al controllo dei cani da pastore maremmano.


Dossier: Come sta’ la mia città?

L’incoerenza ragionata

 Ed eccoci, alla fine dell’estate, a tirare le somme della politica ecologista dell’amministrazione gioiese.

Quello che si è concluso, è forse, stato l’inverno più caldo degli ultimi anni, non solo per l’innalzamento della colonnina di mercurio. Solo per rispolverarlo a coloro che dopo tanta bagarre hanno già dimenticato, l’operazione “tutti contro la discarica”, è stata l’evento che ha, più di altri, provocato una gran mole di incoerenza e falsità.

Sono convinto che la vicenda di per sé si sarebbe risolta velocemente applicando un po’ di buon senso e aristotelica ragione all’insolito progetto. Ma ancora una volta la res cogitans, sostanza pensante o “uomo” in quanto ragionevole, è stata dissotterrata a favore di una pragmatica ed accomodante economia spicciola. Chi può biasimare l’amministrazione, il sindaco e chissà chi altro, per il loro atteggiamento liberale… Certo, è insito nella natura umana cercare di trarre vantaggio per sé dalle situazioni. E’, pero’, considerato radicato nell’intelligenza non danneggiare la comunità con i propri comportamenti. Soprattutto se, di quella comunità, si è i rappresentanti.

Liyn Margulis, uno dei pionieri dell’idea che la vita sia basata sulla cooperazione tra gli esseri, viventi e non viventi, definiva così il concetto di civiltà ecologicamente educata: “Un essere vivente in grado di trarre vantaggio delle occasioni e delle opportunità che la vita gli presenta, senza limitare le opportunità e le possibilità di scelta delle generazioni future, è un essere ecologicamente consapevole”.

Chissà se, osservando l’operato dei nostri assessori, il povero Margulis giudicherebbe la nostra cittadina ecologicamente consapevole. Io credo proprio di no.

D’altra parte, non si può dire che nessuno si sia mosso a fronteggiare l’irrazionale pensata. Peccato che da lotta di quartiere, la contesa, si sia trasformata in lotta di fazione. Ma, d’altronde, si sa come va a finire quando gli interessi economici sono forti. Tutti per uno, uno per tutto.

Il 29 luglio una ventina di attivisti del WWF hanno protestato pacificamente, esponendo alcuni striscioni, durante il consiglio comunale convocato per decidere del problema discarica e inceneritore. Risultato: rinvio della decisione a settembre. E’ già qualcosa. Il gruppo ambientalista gioiese ha anche invitato il sindaco a partecipare ad un pubblico dibattito. Chissà se, quest’incontro, non sia utile a tramutare l’irrazionalità in ragione?

Ma tralasciamo la vicenda discarica, Freud sarebbe impazzito leggendo tutto ciò che è stato scritto, perché ne abbiamo piene la tasche un po’ tutti e passiamo in rassegna altri paradossali avvenimenti.

Le domeniche ecologiche. “Wow”, commenterebbe il forestiero giungendo una fortunata domenica a Gioia e osservando le strade senza traffico. “Ma che” ribatterebbe il povero indigeno, consapevole della farsa. Perché proprio di farsa si tratta. Senza estendere la polemica al Ministro dell’Ambiente per la “geniale idea”, valutiamo l’operato nostrano. Chiudere il traffico nel centro della città, a giorni alterni o perlomeno nei festivi, è un segnale di sensibilità al problema inquinamento. Chiudere il circondario di piazza Plebiscito, di domenica, una ogni tre mesi, per due o tre ore, quando il 70% della popolazione è nelle braccia di Morfeo, stremata dalla febbre del sabato sera, è la più grande assurdità che un’Amministrazione potesse commettere. Prive di alcuna campagna informativa, Bari con tutto ciò che ha da risolvere è più organizzata, l’iniziativa perde di significato.

Troppo comodo, pero’, ottimizzare gli incentivi alle città per l’attuazione del progetto e relegare in secondo piano lo scopo dell’iniziativa o tanto peggio attuare, come conferma evidente, il blocco del traffico una domenica ogni tre-quattro mesi.

C’è da chiedersi perché ogni tanto, anche per errore non si facciano gli interessi dell’ambiente. Quali gravi malefici si catapulterebbero sui cittadini gioiesi se il blocco del traffico fosse effettuato a giorni alterni o nei week-end con la chiusura totale di tutte le strade? Forse ci sarebbero meno leucemici (avanti Admo fatevi sentire), meno malati di cancro (anche voi Ant), più aria respirabile e meno caldo afoso (tocca a voi Legambiente, WWF, Italia Nostra) ma ciò che diminuirebbe di certo, sarebbero alcuni stipendi.

Altro scomodo capitolo. Il verde cittadino. Possibile, chiedo a voi lettori, che le uniche aree dove una famigliola può passeggiare liberamente siano il clone Piazza Pinto e il covo Paolo VI? Andiamo per ordine; il clone Piazza Pinto, così come l’ho definito, prende il suo nomignolo dallo scempio compiuto in quell’area. Nessuno si permetterebbe mai di dire che prima la “Villa” vivesse tempi felici, ma nessuno può, di certo, asserire che ciò che è stato fatto in quello che appariva un giardino botanico, non sia uno sfacelo. Enormi Pioppi, Platani, Salici, Lecci e Betulle sono stati spiantati, per non dire macabramente tagliati, per lasciar posto ad aiuole in pietra contenenti steli secchi di chissà quali specie, che persino quelli di Uno Mattina sanno che alberi degni di questo nome, hanno bisogno di spazio per affondare le proprie radici. Ma nessuno ha mai preteso che il sindaco abbia il pollice verde. Nessuno, però, lascia aggiustare qualcosa a chi non ne ha le competenze. Noi sì!

Ok. Questione Piazza Pinto accantonata, venga avanti Paolo VI. Una delle migliori opere realizzate a Gioia negli ultimi tempi, non c’è dubbio. Peccato per i dieci alberi che conta e per l’ambiente poco affidabile nel quale far giocare i propri figli.

Quanto alla presenza di alberi lungo le strade cittadine è pressoché nulla. Troppo costoso forse piantare alberi, peccato che i soldi si spendano per l’illuminazione della festa patronale, peccato che l’illuminazione duri cinque giorni mentre la CO2 nell’atmosfera si sia duplicata negli ultimi 100 anni, peccato che l’impiego energetico sia stato pari a quello utile per illuminare per tre giorni 10000 monolocali. In compenso ogni cittadino è rimasto affascinato dallo spettacolo luminoso di quelle lampadine.

Arriviamo, quindi, alla questione rifiuti con le innumerevoli vicende che l’attraversano trasversalmente. E’ da tempo che si sente parlare di isole ecologiche, ma serviranno? Il problema più grave del dilemma rifiuti è che non è fondata nei cittadini la necessità di riciclare, forse per la scarsa importanza che ne danno i media. Sta’ il fatto che parlare di isole ecologiche significa allo stesso tempo, parlare di riciclaggio e abolizione degli inceneritori. Ma anche qui l’incoerenza ragionata prevale. Perché rimetterci, anche se provvisoriamente, in una campagna a favore del riciclo dei materiali, quando il guadagno dalla possibile costruzione di un inceneritore supera di gran lunga le aspettative? Perché invitare i cittadini a riutilizzare i materiali quando un enorme forno è pronto a sputare diossine e anidride carbonica con notevole profitto? A chi interessa che, magari, tra 20 anni gli abitanti dell’area in cui è ubicato l’inceneritore, soffrano di intossicazioni e bronchiti croniche? Lo stesso sindaco ha confermato la totale assenza a Gioia di differenziazione dei rifiuti. In questo caso, però, l’incoerenza non c’è. A cosa serve riciclare quando è in progetto la costruzione della, come amo definirla, “catena della morte”. E già, discarica e poi termovalorizzatore o inceneritore (l’amministrazione odia quest’ultimo termine, forse perché pensa alla possibile sorte delle prossime schede elettorali) e poi ancora impianto di compostaggio e poi ancora il 20% della popolazione in lista d’attesa per mal di testa insoliti o difficoltà respiratorie. Ho la strana sensazione che tutto torni. In questi giorni, infatti, è di scena la questione ospedali. Il nostro caro “Paradiso”, tutt’altro che dantesco, rischia di essere smembrato dei suoi reparti migliori e ridotto a semplice pronto soccorso. Ed ecco che insorge il primo cittadino, insieme a tanti altri Don Chisciotte,: “L’ospedale resta dov’è”. Certo, se 15000 abitanti su 27000 rischiano tumori e intossicazioni a causa della “catena della morte”, ci dovrà pur essere un luogo dove “curarli”. Ora mi salta in mente il  grande filosofo Parmenide che con glaciale sicurezza affermava: Panta Rei, tutto scorre!!! Ha inconfutabilmente ragione.

E l’elettrosmog? Altro baluardo dell’uomo moderno. Antenne a tutto spiano. Paradossale è che la più imponente sia localizzata a pochi metri dalla scuola elementare “S. Filippo Neri”, e sì sempre lui il patrono dalle luci. Ma povero santo, che colpa ha se a nessuno interessa il futuro dei propri figli.

Sono consapevole di aver fornito in questo mio breve resoconto, più interrogativi che soluzioni, e sono anche al corrente del fatto che non tutto può essere risolto in un batter d’occhio, ma sono altrettanto sicuro che la cooperazione tra gli uomini sia fondamentale e che ogni cittadino debba esprimere il proprio dissenso di fronte ad eventi simili, perché solo così prima o poi si abolirà la furba incoerenza ragionata. Concludo con una citazione che racchiude il radicato espressionismo della vita: “L’uomo appartiene alla terra, così come tutti gli altri esseri viventi e non, la abita, ne è parte integrante e svolge una funzione essenziale su di essa, ma la terra non appartiene all’uomo”.

                                                                                                                              Roberto Cazzolla

(da La Piazza)


L’ultima boccata d’ossigeno

 Così ci  lamentiamo dell’assenza di verde nelle nostre città, dei ridotti spazi dove essere in contatto con la natura e dell’aria cattiva che respiriamo quotidianamente.

Durante ogni campagna elettorale, false promesse e utopistici propositi per migliorare la qualità dell’ambiente tappezzano i muri di ogni strada, quasi volessero dirci “è più facile parlare ai muri!”. Nostro malgrado ci illudiamo che per una volta qualcosa possa migliorare, fantastichiamo trascinati dal soave odore dell’aspettativa. Crediamo già di essere con i nostri nipoti a giocare in un bel parco verde e fiorito, ci immaginiamo con i nostri figli durante una passeggiata in campagna o all’ombra di una quercia secolare, mentre graziosi uccelletti danzano gioiosi su di un caratteristico muretto a secco. Ma i sogni finiscono all’alba ed al risveglio il mondo torna ad essere così com’è e non come lo vorremmo. Può succedere, per esempio, che il boschetto dove eravamo soliti andare a giocare da bambini, con alberi che ci hanno riparato dal cocente sole o dalla pioggia battente, in una notte si trasformi in un altro luogo, tanto da apparirci completamente estraneo. E’ quello che è accaduto ad un appezzamento situato sulla via di Acquaviva, a circa cinque chilometri dal centro abitato, dal quale, di notte per “non fare troppo rumore”, sono stati estirpati una ventina esemplari di querce (quercus ilex). Il mattino dopo degli alberi non c’era più traccia ed il muretto a secco che delimitava il terreno era stato abbattuto per metà. Pur trattandosi di un possedimento privato, non vi è alcuna normativa che preveda l’abbattimento indisturbato di alberi e di muretti a secco. Per di più, gli articoli 3.05, 3.10, 3.14 e 5.01 del Putt/p vietano categoricamente “l’abbattimento e il danneggiamento di piante isolate o a gruppi, alberature stradali e poderali e muretti a secco” considerandoli come “beni diffusi nel paesaggio e quindi da salvaguardare”. In questo caso, oltre allo scempio ambientale, si deve considerare una vera e propria azione illegale e del tutto arbitraria. L’autorizzazione firmata dal responsabile dell’Ufficio Tecnico di Gioia del Colle è, quindi, impropria considerando i vincoli esistenti su quel territorio (il terreno, molto probabilmente da destinarsi a piantagioni di ciliege, è un’appendice del bosco naturale limitrofo) e la prassi legislativa da intraprendere per questo tipo di opere. Siamo dinanzi ad un altro abuso ambientale contro il quale alcuni partiti d’opposizione, primo tra tutti la Margherita, hanno già alzato la voce. Coro a cui faranno seguito altre proteste ed azioni legali. Secondo indiscrezioni, gli organi competenti si sono già appellati al Tar, per denunciare la situazione.

Non è comunque la prima volta che a Gioia saltino fuori casi di abusi indisturbati. La vicenda del “campetto di S.Lucia”, già documentata dal nostro giornale, nasconde un altro inquietante particolare, che forse non tutti hanno carpito. Adiacente all’area in cemento vi era una piccola pineta (nella quale l’ACR svolgeva buona parte della sua attività), unica zona di quel quartiere con rilevante presenza di verde. Che fine ha fatto? Non ci sarà, per caso, bisogno di ricordare a coloro che intascano parecchi quattrini autorizzando simili scempi, che i cittadini sono stanchi di promesse non mantenute e che a nulla servono uffici, mele e ciliege se ci viene tolta persino l’ultima boccata d’ossigeno?!? 

                                                                                              Roberto Cazzolla

(da La Piazza)


DOSSIER ESCLUSIVO

"L’inceneritore della Termosud, è dannoso!"

Parla la gente residente nei pressi dell’impianto dell’Ansaldo

 “Abitiamo qui da vent’anni e abbiamo imparato a convivere con la puzza di petrolio e carburante che arriva tutti i giorni dalla canna fumaria là giù, e poi i rumori non smettono mai di assillarci”. Ci accoglie con queste parole la signora Grazia, residente a pochi passi dalla canna fumaria dell’inceneritore dell’Ansaldo Termosud.

Si discute da anni sulla pericolosità degli impianti da incenerimento, spesso senza interpellare i veri interessati dai pericoli di simili costruzioni. Si parla di diossine, furani, cloro, ma senza fare chiarezza sul perché e sul come essi potrebbero rappresentare un pericolo considerevole per uomo e ambiente.

La combustione che avviene nelle camere rivestite dei termovalorizzatori (termine con il quale si cerca di addolcire la definizione di “inceneritore” per riproporlo sotto la veste del recupero energetico che non arriva neanche al 30% di quello ottenuto dal riciclo dei materiali), prevede l’utilizzo di CDR (combustibile da rifiuto). Per garantire la massima salubrità delle emissioni, dopo anni di ricerche scientifiche, è stato individuato il parametro di combustione non inferiore ai 1500-1600 °C, che però quasi mai viene rispettato. La quota standard di sicurezza rappresenta un fattore limite per il recupero economico ed energetico effettivo. Bruciare a simili temperature vuol dire utilizzare grandi quantità di combustibile e notevole dispendio calorico. Per questa ragione, e per un non adeguato controllo dei materiali da “termovalorizzare”, i fumi e le ceneri derivanti dagli inceneritori risultano notevolmente dannosi. Infatti, il privato che gestisce l’impianto non certo è disposto a scendere a compromessi economici e, il più delle volte, decide di abbassare le temperature di combustine per limitare le spese a 700-800 °C, un valore di gran lunga inferiore rispetto a quello consigliato e che permette la formazione di diossine (molecola a doppia catena esagonale aromatica, formata da benzene al quale si legano ioni cloro Cl) e furani che, a lungo termine, determinano nell’uomo, la comparsa di cloracne, pleuriti e malattie tumorali.

Da tempo la Pirelli sta sperimentando nell’impianto dell’Ansaldo, che in realtà dovrebbe essere utilizzato solo per la combustione degli scarti prodotti dalla ditta stessa, un nuovo tipo di CDR potenziato. Simili sperimentazioni sono in grado di trattare 500 tonnellate al giorno di rifiuti tal quale ai quali vengono aggiunti dopo la separazione dei metalli, 60 tonnellate di pneumatici fuori uso e 50 tonnellate di plastica non riciclabile. Archiviazioni della Pirelli mostrano, come nel complesso industriale di Gioia del Colle siano state effettuate prove sperimentali, in cui il 30% di CDR è stato mescolato a 70% di carbone. Di questi esperimenti nessuno, tranne gli addetti ai lavori, era al corrente. Ma la gente che vive da anni nel raggio di 2-3 Km dalla Termosud, ha incubato in silenzio ed ora ha deciso di parlare.

“Ogni giorno una puzza impossibile ci inonda e spesso ci capita di risvegliarci al mattino e trovare residui di ceneri sulle auto – ci dice Franco R., proprietario di un villino che affaccia sull’ineneritore- Abbiamo fatto, in tempi scorsi, richieste ai carabinieri di monitoraggio acustico per l’insopportabile rumore al quale siamo sottoposti, ma non abbiamo avuto nessuna risposta. Spesso in famiglia soffriamo di disturbi respiratori e c’è anche un caso di cloracne che sino ad ora non riuscivamo a spiegarci. Ma adesso iniziamo a collegare un po’ le cose. Inoltre, tutti i miei parenti soffrono di allergie e irritazioni epidermiche. Quando corro di mattina nel vialetto qui vicino, spesso mi manca il fiato a causa dell’aria pesante che si respira”.

Ma non è il solo. Giuseppe G., agricoltore da sempre, abita da quand’era bambino nella zona dell’industria, ci dice con un velo di rassegnazione ed indicandoci una vigna a cinque metri dalla base della canna fumaria: “Ci sono problemi di cui non sono certo al cento per cento, ma che molto probabilmente derivano dai fumi e dalle ceneri. In quel pezzo di vigna che ho, un tendone di primitivo, nel periodo della vendemmia il mosto puzza di acidità. Potrebbe essere colpa dei residui che cadono dal camino. Una volta- incalza- è scoppiato un tubo e sono stato invaso di cenere. Ogni tanto, poi, io e mia moglie accusiamo bruciori di gola e mio figlio, dalla nascita, soffre di acne. I rumori ultimamente sono diminuiti, ma quando fanno sfiatare le caldaie, arrivano improvvise ondate di calore. Bruciano sempre, senza orari precisi, di giorno e di notte e la puzza di naftalina, carbone e gas è enorme”.

Ma spesso le voci di chi vede compromettere l’attività per cui ha dedicato la vita, ritrovandosi inoltre con i famigliari affetti da sintomi patologici di indubbia derivazione, per paura o per rassegnazione non sono abbastanza forti da richiamare l’attenzione su problemi, che mai come oggi, tornano alla ribalta sul tavolo delle discussioni politiche.

“Anche se volessi- prosegue Giuseppe G.- non avrei la possibilità economica per far analizzare le mie colture e portare qualcosa di scritto a chi ci riduce in queste condizioni”.

“Tutte le volte che c’è vento di scirocco- ci conferma Pasquale C. residente sul versante nord rispetto al bruciatore- arrivano grandi quantità di puzza e ceneri. E’ significativo che da qualche anno non si produce più nessun foraggio e i prodotti dei campi non crescono più o sono malformati”.

E’ possibile ignorare i rapporti di illustri scienziati, le preoccupazioni dei cittadini, le proteste degli ambientalisti, ma come si può sorvolare sulle testimonianze di chi, anno dopo anno, si trova a dover convivere con i danni provocati dall’utilizzo improprio delle tecnologie? Gli industriali, con il fumo negli occhi, non possono più fare orecchie da mercante dinanzi alle richieste di aiuto di gente umile, che ha l’unica pretesa di vivere in pace, con il desiderio di svegliarsi al mattino e sentire la frescura della brezza all’alba, senza dover per questo, iniziare a tossire.

Misure di sicurezza adeguate, limiti da rispettare, controlli frequenti sono l’unico rimedio possibile, affinché disastri come quelli di porto Marghera o Dow Chemical, rimangano eventi del passato e non mietano altre innocenti vittime. E, poi, un netto cambiamento di rotta che deve espandersi dalla voce dei cittadini. Che deve ribadire un secco no alla politica degli inceneritori di qualunque tipo, da quelli per i rifiuti a quelli delle industrie, opponendosi con tutti i mezzi a partire dai politici che, come il vicino Raffaele Fitto, si lavano le mani dalle responsabilità che gli competono e autorizzano attività disastrose in termini ecologici e umanitari, sino ad arrivare agli industriali senza scrupoli che, se pur consegnano centinaia di posti di lavoro, causano danni irreversibili ad altrettante attività produttive e spesso all’uomo stesso.

                                                                                     Roberto Cazzolla

(da Il Giornale del Territorio Murgiano)


DOSSIER MONTE SANNACE: LA FAUNA

Gheppi e grillai salutano in volo volpi, tassi e rospi, mentre macaoni colorano il paesaggio

Si librano in un volo planato, sbattendo le ali solo in ascensione, si catapultano su insetti e piccoli roditori con precisione fenomenale. Volteggia nell’aria con soave maestria, costruisce nidi negli anfratti di roccia carsica come fosse un perfetto architetto. Amorevolmente nutre i piccoli dalla schiusa sino al primo volo. Pur essendo indicato come il più comune rapace diurno d’Italia, il gheppio, lungo poco più di 34 cm, testa grigia, dorso rossiccio macchiato, coda con banda nera nel maschio, testa rossiccia striata, dorso e coda barrati nella femmina, è un esemplare in netta diminuzione ed in serio pericolo. Minacciato da pesticidi e cacciatori, ravviva l’ambiente collinare dell’agro gioiese, con particolare presenza nella zona Monte Sannace, Monte Rotondo. Nidifica con una popolazione di circa 100 esemplari negli anfratti di roccia della cava, dove costruisce il nido dopo lo svernamento e dà vita ad una nuova generazione figliare. 

Il corpo bruno-rossastro, una vistosa macchia bianca sulle ali, remiganti nere e blu, groppa bianca e coda nera. La ghiandaia è facilmente riconoscibile per la cresta bianca e nera e l’iride celeste. Vive in zone boscose e risiede, ormai stabilmente, nel bosco Romanazzi, dove si nutre di ghiande, nocciole, piccoli animali. Il suo canto acuto echeggia nel vuoto; vive a volte in gruppo e costruisce nidi emisferici nei quali depone, da aprile a maggio, 5-6 uova grigio verdognole macchiate. A lungo minacciata per la fama di specie nociva per l’agricoltura, è una gran conservatrice, come le gazze, di oggetti luccicanti.


FINALMENTE IL PARCO DELL’ALTA MURGIA

Nonostante le forti pressioni di agricoltori e militari, nasce il parco murgiano

Sembrava dovessero vincere loro, i fautori delle guerre. Le basi militari che in sinergia con gli agricoltori avrebbero allontanato il Parco dell’Alta Murgia. Ed invece i pacifisti e gli ambientalisti ce l’hanno fatta. Dal Ministro Matteoli il lascia passare per l’istituzione, sormontando le polemiche nate dalla presenza di poligoni di tiro per l’addestramento militare nel perimetro dell’istituendo parco. I contadini impauriti dalla presenza di un’area protetta nella quale non sarà più permessa la caccia, lo scarico di inquinanti, le colture intensive e le azioni estrattive, non l’hanno spuntata.

E’ un traguardo notevolissimo che il meridione raggiunge dopo tante polemiche e conferma il progresso della coscienza ambientalista del sud Italia. La zona che sin dal 1990 è stata indicata di grande interesse dal centro studi “Torre di Nebbia”, promotrice del parco, comprenderà i comuni di Altamura, Andria, Bitonto, Cassano, Corato, Gravina, Grumo, Minervino, Poggiorsini, Ruvo, Santeramo, Spinazzola e Toritto. Il territorio dell'Alta Murgia si estende per più di centomila ettari compresi, in una forma di quadrilatero allungato, tra la Fossa Bradanica che collega le montagne lucane e le depressioni vallive che si adagiano verso la costa adriatica. Per questa posizione strategica, sia rispetto al mare che alle montagne, l'altopiano murgiano, le cui quote variano da un minimo di 340 metri ad un massimo di 679 metri, è interessato da un clima particolare: accentuata ventilazione, estati piuttosto secche ed inverni moderatamente rigidi; condizioni che determinano l'alternarsi di due stagioni favorevoli alla vegetazione, quali la primavera e l'autunno. Il paesaggio è caratterizzato da deformazioni dovuti a piegamenti e faglie che trovano corrispondenza, rispettivamente, in rilievi, depressioni, scarpate, gradoni e solchi torrentizi di erosione (lame). Un ambiente straordinario che vede la presenza di quercete, leccete, fragni, lentischi e macchia mediterranea oltre a nicchie ambientali che permettono la vita di molte specie della fauna superiore, di anfibi, rettili, uccelli e mammiferi. Tale varietà, insieme a vaste estensioni di territorio poco antropizzato, fanno di quest'area una delle più importanti a livello regionale sotto l'aspetto faunistico. Tra gli anfibi si segnalano il tritone italico, il rospo comune e smeraldino, la rana verde; tra i rettili (14 specie) il geco di Kotschy, il colubro leopardino, il ramarro, la lucertola campestre, la vipera comune e il cervone; tra i mammiferi (17 specie) la lepre, la volpe, la faina e il riccio; tra gli uccelli (circa 80 specie nidificanti) il lanario, la calandra, l'averna cinerina, il corvo imperiale e lo zigolo capinero; a dominare il cielo dell'Alta Murgia, tra i rapaci, è il Falco Naumanni, ovvero il grillaio di cui il territorio ospita la più importante popolazione europea.

Insomma, c’è tutto quello che viene richiesto per l’istituzione di un parco che si spera possa portare serenità ad un territorio martoriato dall’abusivismo, dall’inquinamento e dalla caccia.

                                                                                               Roberto Cazzolla


VIABILITA’ SOSTENIBILE

A Gioia manca un piano per l’utilizzo dei mezzi pubblici

Le domeniche ecologiche che dovrebbero preservare i cittadini dall’inalazione di polveri sottili, di monossido di carbonio, metano prodotti dalle auto è una confezione dorata ad un finto regalo.

Facciamo il caso di Gioia del Colle. Il parco macchine è di certo elevatissimo, tanto da spingere gli amministratori ad immaginare parcheggi subpiazza o a pagamento. Certo, è la soluzione più vantaggiosa in termini di ritorno economico per il Comune, ma  non quella che risolve il problema del traffico e dell’inquinamento atmosferico e acustico. Per le strade gioiesi si può facilmente osservare, un unico e deserto autobus che vaga desolato in cerca di passeggeri. Ma se nessuno lo utilizza non è certo colpa dei cittadini. E’ impossibile venire a conoscenza del tabellino di marcia del mezzo. Gli orari non si reperiscono e sui cartelli delle fermate sono invisibili. E poi come si può pretendere che un unico mezzo possa sopperire alle necessità di un paese di tremila abitanti? Quei mezzi pubblici parcheggiati su via Bari sono l’emblema della staticità amministrativa che ci governa. Perché quegli autobus non vengono utilizzati?

Come si può pretendere di risolvere il problema smog, senza un’adeguato pian o traffico con l’incentivo all’utilizzo dei mezzi pubblici di trasporto? Non sarebbe male se, ad esempio, il sindaco di Gioia utilizzasse le pagine del suo giornalino (“Bollettino comunale”) per comunicare cose davvero interessanti alla cittadinanza, come gli orari e le fermate degli autobus.

E per concludere, tanto per restare in tema: ma quando finiranno (o meglio inizieranno) i lavori per il sottopassaggio ferroviario? Le auto potranno usufruirne? Perché se così non fosse a cosa serve un sottovia pedonale? Inoltre, perché non si trova un rimedio ai semafori, come quello che regola il traffico sul ponte per via Laterza? Non è comprensibile un attesa di otto minuti con il motore acceso, senza che l’ombra di un auto che scenda dal ponte si intraveda all’orizzonte. E’ ora di smettere con i sensi unici e iniziare con le azioni sensate.

                                                                                     Roberto Cazzolla


VIA ROMA: Ristrutturazione con polemiche

Hanno sollevato le preoccupazioni di tutti, i lavori di ristrutturazione della strada pedonale di Gioia del Colle. Cittadini infuriati per i danni che le radici potrebbero causare alle strutture abitative ed alle cantine, ambientalisti dispiaciuti per un nuovo incompetente lavoro di sostituzione delle piante e il Sindaco Vito Mastrovito indispettito dalle polemiche sorte per una questione che appariva di semplice risoluzione ed opportuna, ricordando che il progetto è stato approvato qualche giorno prima delle elezioni, realizzazione.

Come spesso accade nell’agro gioiese, progetti che sembrano dover migliorare lo stato dei luoghi urbanizzati disperdono la loro smaniosa lucentezza lungo il tragitto che li conduce a termine. Accade così che, ancora una volta, per i lavori iniziati a maggio senza aver richiesto alcuno specifico parere sullo stato di salute delle piante e senza aver atteso il periodo indicato per il taglio di platani, il Comune ha dato il via ad un taglio indiscriminato di alberi cinquantenari che abbellivano, rinfrescavano ed allietavano la vista dell’unico tratto pedonale di un paese forato città che è invaso dal traffico automobilistico.

C’è da dire che le piante, in alcuni casi potevano rappresentare un pericolo per la stabilità degli appartamenti, ma perché si è giunti ad una tale situazione? Negli anni i lavori di manutenzione degli alberi sono stati effettuati in maniera inopportuna, con potature selvagge, senza prevenire l’ampliamento radicale, portando così ad una situazione difficile da gestire.

Ma a nulla sono valse le preoccupazioni degli ambientalisti del WWF che si sono visti chiudere le porte del dialogo da parte dell’Amministrazione, convinta da sempre delle modalità e dei criteri d’esecuzione dei lavori. Purtroppo, quando le potature vengono affidate a mani incompetenti o, a volte, persino all’Ufficio Tecnico, si giunge a problemi facilmente evitabili e che avrebbero potuto risparmiare a tutti gli amanti del verde lo scempio compiuto dalle amministrazioni che si sono avvicendate, con la sostituzione di alberi imponenti e monumentali con arbusti di inopportuna sistemazione.

Pertanto il problema sembra non risiedere nel taglio o meno delle piante, nelle sostituzioni assurde realizzate sino ad ora, ma nei metodi semplicistici con cui sono state realizzate opere che erano, persino, direzionate da un Decreto Ministeriale del 19 aprile 1998, sulla prevenzione del contagio da cancro del platano.

Peccato che tra ancora, pochissimi anni, mentre si parla di effetto serra, buco dell’ozono, problema del drenaggio idrico dovuto allo scioglimento dei ghiacciai, tutti i cittadini di gioia del colle saranno costretti a ripararsi sotto le piante di more previste per il rifacimento urbano del 2010.

 

                                                                                     Roberto Cazzolla

(da Il Giornale del Territorio Murgiano)


RANDAGISMO: Un problema da risolvere 

Lento e pietoso, trascina il suo pelo intriso di parassiti lungo i marciapiedi della città. Lo sguardo triste, pieno di rabbia, quella rabbia di chi sa di essere nato nel posto sbagliato. Deluso da chi sembrava promettergli fedeltà eterna ed invece, al primo svincolo, gli ha fatto conoscere quanto è ruvido l’asfalto. Costretto a trascorrere i suoi giorni col collo alla ghigliottina di una catena che ne imbriglia l’istinto, in una gabbia che non ha spazio neanche per la sua coda.

Sarà forse questa l’immagine che ogni giorno, almeno una volta, ci attraversa lo sguardo, magari ci annusa, ci lecca, ci scodinzola. E prosegue per il suo vagabondaggio. E’ la storia di tutti loro, cani barboni, privati anche della propria libertà.

Se la dea bendata della fortuna è con loro, finiscono al canile, altrimenti sotto un Mercedes.

Gioia, così come molte altre città d’Italia, si ritrova invasa da bastardini impauriti, senza fissa dimora. E se c’è da fare elogio al canile comunale ed a chi, con tanto amore e dedizione, provvede alle cure ed alla pulizia di questi cani privati della dignità, non certo si può dire che i quadrupedi siano contenti di trascorrere gli anni che separano la nascita dalla morte, in una gabbia. Forse qualcuno si starà chiedendo, perché tanta preoccupazione per i cani, quando c’è gente nelle stesse condizioni? La risposta è semplice: cambiare rotta ideologica e privare ogni essere da una sincopata esistenza terrena. Solo un radicale mutamento concettuale, potrà alleviare le sofferenze di uomini e animali.

Non è facile demagogia sulla politica. La soluzione c’è e la legge anche. Basterebbe applicarla. Prescindendo che la soluzione canile sia, il male minore nella peggiore delle ipotesi, l’anello del randagismo gioiese, ma addirittura nazionale, si chiuderebbe con due piccoli accorgimenti.

Innanzi tutto, è necessario inserire il chip a tutti i cani di “proprietà”, tutti quei cani cioè, che hanno un padrone, e registrarli all’anagrafe canina. Di questo ogni cittadino è responsabile ed il Comune di Gioia opererebbe gratuitamente. I possessori di cani che non adempiono alla registrazione ed all’inserimento del chip, sono perseguibili dalla legge. In questo modo, chiunque dall’animo velato di fuliggine, ci penserebbe due volte prima di abbandonare il suo fedele compagno, non fosse altro per il timore di essere scoperto.

Secondo accorgimento. Tutti i cani randagi, cioè non dichiarati da nessun cittadino, oltre all’inserimento di un apposito chip, a spese del comune gioiese, verrebbero sterilizzati, vaccinati e curati ogni qualvolta necessitano da un veterinario convenzionato dal Comune stesso. Così, le nascite di randagi sarebbero bloccate e gli abbandoni, che la sprovveduta legge Sirchia ha contribuito ad incrementare, rasenterebbero quota zero.

Per il controllo dei trasgressori, per il censimento dei cani e per il monitoraggio degli abbandoni, sarebbero individuati degli speciali agenti cinofili, che fungerebbero da Polizia Municipale autorizzata.

Il sovraffollato canile gioiese, del quale è previsto un ampliamento strutturale a spese dell’Enpa, continuerebbe così ad accudire i cani già detenuti e pian piano, si potrebbe trasformare in un ricovero per randagi malati.

I vantaggi sono tre. Il genitore apprensivo, non avrebbe più timori guardando il figlio giocare con un “cane di strada”, il fenomeno del randagismo sarebbe controllato, stazionario e sanitariamente sicuro, i cani si riapproprierebbero della libertà di vivere in quelle città che noi abbiamo invaso di cemento, privandoli del loro spazio, e le sbarre del canile resterebbero solo un incubo.

Chissà se, l’amministrazione comunale gioiese, continuerà ad ignorare il problema, finanziando i canili degli altri comuni (1,29 euro al giorno, a cane, al Canile di Cassano) o deciderà di prendere in seria considerazione la proposta?

                                                                                                                                Roberto Cazzolla

(da Il Giornale del Territorio Murgiano)


QUEL VERDE MAL DISPOSTO CHE TAGLIO E LASCIO ANDARE

Chissà cosa penserebbero i nostri avi guardando quel semino che un tempo avevano piantato ed ora da un giorno all’altro sta per essere tagliato. Quel seme gettato là, quasi fosse una cicca di sigaretta, dopo decenni si è trasformato in un albero. Ma guarda un po’, non doveva nascere lì. Perché proprio lì, nel giardino di una scuola, nella piazza di un quartiere, sul piazzale del Municipio. Quel seme, mai avrebbe creduto di trovarsi, un giorno, soffocato dall’asfalto e dal cemento. Quel futuro albero, non immaginava di dover finire nel camino del pasticciere o nel forno del pizzaiolo. Forse quand’è stato piantato, il suo scopo era di abbellire l’ambiente, donare ossigeno ed ombra ai passanti.

Strano, che invece di apprezzarli, questi giganti dal corpo ruvido e dalle membra coriacee, si fa di tutto per estirparli. Perlomeno, l’Ufficio Tecnico adibito, fa di tutto per rinnovare. Si rinnova P.zza Pinto ed essenze d’inestimabile interesse spariscono come vittime di un incantesimo; si intravede un pericolo per la gente e si sostituisce a pini ed abeti secolari di P.zza Don Luigi Sturzo, alberelli a basso fusto. Senza alcuna concessione, si rade al suolo un intero querceto, per piantare alberi di ciliegie sulla via d’Acquaviva; si giudicano secchi gli alberi del centro e si fa piazza pulita al Municipio, all’ingresso di via Roma;  si fa scempio di un pino comune della villa comunale, ritenuto troppo vecchio e rinsecchito ed ora, come se non bastasse, alzando lo sguardo verso il giardino della scuola media Carano, si possono ammirare i terribili resti di pini decapitati, smembrati, squartati, rei di essere diventati pericolo per la pubblica sicurezza.

 Ma, niente paura. Ecco, pronti in alternativa, squallidi giardini di piantine, quasi fossero basilico o prezzemolo; aiole per tutti i gusti, tonde, quadre, romboidali, tetraedriche; tutto fuorché alberi.

Le motivazioni come detto, lasciano a desiderare. Il sospetto che il pretesto di piantumazioni mal disposte dai nostri cari ed ignoranti nonni, sia da scudo all’incompetenza dei tecnici comunale che credono che potare voglia dire “rendere gli alberi simili a tralicci telefonici” è legittimo. Chiome troppo pesanti da poter essere rette da fusti troppo giovani “snelliti” oltremodo, radici soprelevate dall’assenza di spazio e manutenzione, potature selvagge e pollice verde perso in battaglia.

Premettendo che la sicurezza venga prima di ogni altra cosa, si farebbe bene a dare giudizi competenti ed iniziare lavori con cognitio causae, altrimenti in pochi anni saremo invasi da piantine ma privati d’aria pura e fresco refrigerio.

Ha le sue ragioni il sindaco Povia, quando, qualche settimana fa, insignito del premio  “Bosco 2003” ha chiesto stupefatto agli assegnatari: “Ma cosa ha fatto il Comune di Gioia del Colle per meritarlo?” Nessuno ha risposto!

                                                                                                                         Roberto Cazzolla


La cicogna

Ricongiungersi alla natura è più facile di quello che sembra.

Soprattutto quando è la natura ad avvicinarsi agli uomini.

Maggio e Giugno, si sa, sono i mesi dell’esplosione vitale degli esseri viventi.

Gli alberi ricominciano ad attuare la fotosintesi, invogliati dai tiepidi raggi di sole che colpiscono le giovani foglie all’alba.

I fiori danno vita ad un intreccio effusivo di colori, segnando il paesaggio con tinte e geometrie che difficilmente si possono ammirare in altri periodi dell’anno.

Molti mammiferi svernano dal lungo letargo che li ha visti assopiti e inermi in attesa del ritorno del grande caldo.

Gli uccelli, tornati dalle calde zone africane, scrutano la costa mediterranea alla ricerca di luoghi favorevoli per nidificare. Di tanto in tanto si addentrano nell’entroterra alla ricerca di cibo, per poi tornare al nido dove numerose bocche, anzi becchi, attendono smaniose.

Scene di incontaminata bellezza scorrono sulla pellicola della primavera, restituendo alla gente la fantastica sensazione di appartenenza a tutto ciò che la natura crea. Vivendo nelle zone meridionali dell’Italia, la possibilità di assistere alla rinascita della terra è certamente notevole. Spesso non ci si accorge di quello che accade sotto i nostri occhi, così da ignorare d’impulso la magnificenza del mondo. Eppure basterebbe prestare un minimo di attenzione per accorgersi, magari, che una cicogna dalla livrea bianca e nera, quella ammirata solo nei cartoni o nei documentari, ha fatto capolino in un campo incolto del tuo paese.

E così, Gioia del Colle, si sveglia una tiepida mattina di fine maggio annoverando tra i suoi abitanti un’insolita apparizione. Su di un campo di fieno nei pressi del parco archeologico di Monte Sannace, volava con una soave armonia tale da apparire un angelo, una cicogna bianca (ciconia alba) adulta. In molti ora  si chiederanno quale sia la straordinarietà dell’evento. Ebbene è da anni che in Italia la popolazione di cicogne è ridotta al minimo (100 esemplari in tutta Italia nel 1999) a causa dell’uomo e del suo sfruttamento indisciplinato dell’ambiente in cui vive. Utilizzo improprio di diserbanti, veleni per topi, inquinamento delle acque e atmosferico, hanno costretto molti esemplari ad allontanarsi dalla penisola italiana per trasferirsi in zone dove le condizioni di vita erano migliori. Ecco, quindi, che l’insolita visita di una cicogna è accolta dagli ambientalisti come un grande evento.

La cicogna che ha fatto visita alla collina peuceta, probabilmente un esemplare di sesso maschile, volava alla ricerca di cibo, piccoli mammiferi o insetti, scandagliando il terreno sottostante con le zampe distese e il lungo becco arancione proteso in avanti. La sua visita, però, è stata fugace. Povera cicogna, forse si aspettava di trovare un’accoglienza migliore. Molti gioiesi erano al corrente della sua venuta ma pochi ne erano interessati, a dimostrazione dell’assopimento ecologico della cittadina.

Eppure non capita tutti i giorni di trovarsi davanti ad un esemplare in grave pericolo di estinzione.

Ma cara cicogna, non disperare, il tuo avvento è stato di presagio, come una colomba bianca portatrice di pace, tu hai sostato per un po’ in queste terre per ricordare a chi vi abita che l’armonia con la natura e il rispetto della la vita sono la vera essenza dell’uomo.

Spesso dalla natura ci arrivano effimeri segni, richiami atti a farci riappropriare dell’idea che facciamo parte di un tutto e, come la terra ha bisogno dell’uomo, anche l’uomo ha bisogno della terra e di tutto ciò che la compone.

                                                                                                                      Roberto Cazzolla

 

 

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