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Controcorrente
Gioia
del Colle |
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Rivista eco-solidale di opinioni e approfondimenti |
Impianto di compostaggio a Gioia: qualche
chiarimento
02/12/2008
Un po’
per il solito timore che nasce al solo udire la parola impianto, un po’
il costante ripetersi della famosa sindrome NIMBY (Not In My Back Yard),
non nel mio giardino, e la localizzazione sul territorio gioiese del centro
per il recupero del compost ha sollevato critiche, fomentato ingiustificate
paure, scosso i pensieri di molti gioiesi.
Secondo quanto previsto dal
nuovo Piano provinciale per la gestione dei rifiuti, presentato a Conversano
nella sede dell’ATO (Autorità Territoriale Organizzata) BA/5, il consesso dei
Sindaci dei Comuni di bacino che prende decisioni uniche sulla gestione dei
rifiuti nel proprio ambito territoriale, l’impianto per il trattamento della
frazione umida derivante dalla raccolta differenziata, dovrebbe sorgere a
Gioia del Colle.
Finalmente si inizia a parlare
di compostaggio e, nonostante le numerose pecche del piano (soglie ed
obiettivi poco ambiziosi, sistema di raccolta non specificato, etc.), questo
rappresenta una novità nei piani di raccolta dei rifiuti solidi urbani nel sud
barese. Sino ad oggi esperienza nefasta era stata realizzata a Molfetta, con
lo scandalo dell’impianto privato Tersan, dal quale tutto fuoriusciva tranne
che composto organico. Ma, quello fu un caso di cattiva gestione dell’impianto
da parte di un privato il cui solo interesse era quello del lucro. Gestire
pubblicamente, invece, un tale processo genera solo vantaggi. Il compost è il
risultato della raccolta di tutti gli scarti alimentari (cibo, gusci d’uovo,
fondi di caffè, etc.) e dei rifiuti biodegradabili (fazzolettini, lettiere,
escrementi di animali domestici, etc.) che, raccolti separatamente dai vari
Comuni, vengono indirizzati verso il sito di stoccaggio e trattamento, che è
l’impianto di compostaggio. Qui gli scarti subiscono un processo di
decomposizione batterica aerobica (in cui si utilizza ossigeno), che li
trasforma dopo qualche settimana in terriccio ricco di sostanze minerali,
utilizzabile come ammendante (concime capace di riportare al terreno sostanze
presenti in minime quantità) in agricoltura. Considerando che la frazione
umida dei rifiuti domestici è circa il 70-80% del totale degli RSU (Rifiuti
Solidi Urbani) e che il compostaggio rappresenta il miglior modo per
riciclarli e renderli disponibili per altri usi, ne deriva un grande vantaggio
in termini economici ed ambientali.
I rifiuti organici che,
altrimenti, finirebbero (come attualmente accade a Gioia, per chi non pratica
il compostaggio domestico) in discarica, generano molteplici inconvenienti.
Primo tra tutti la necessità di smaltimento oneroso ed infruttuoso; secondo,
la produzione durante la decomposizione (che in discarica avviene in maniera
anaerobica, cioè senza ossigeno) di metano, un potente gas serra che aumenta
il Global Warming; terzo, materia riciclabile prodotta con notevole dispendio
energetico finisce inutilizzata e conclude così il suo ciclo di vita; quarto,
dato il notevole volume di questa tipologia di rifiuto, l’ingombro nei
cassonetti è notevole ed anche le conseguenti modalità di smaltimento
comportano costi aggiuntivi.
Un impianto di compostaggio,
invece, non produce emissioni gassose di alcun tipo, non emette diossina, come
qualche cittadino preoccupato ha affermato, e produce una minima quantità di
scarti non organici, dovuti all’inevitabile presenza nel rifiuto domestico di
frammenti di plastica ed altri materiali, che viene raccolta separatamente e
smaltita adeguatamente. Non vi sono pericoli di inquinamento dei bacini
acquiferi, tanto meno problemi di inquinamento acustico. Se la gestione è
pubblica e l’impianto funziona bene, non vi è alcun pericolo di inquinamento
del suolo ed il compost prodotto è di ottima qualità. Da rifiuti, quindi, si
genera un’inestimabile risorsa per l’agricoltura.
Nessun timore dunque, dovrebbe
sorgere, in merito al funzionamento dell’impianto. Semmai, qualche riserva
dovrebbe esser posta, come recentemente sollevato dal signor Vito Falcone del
PDL, riguardo la localizzazione dello stesso, poiché trattandosi di un
capannone industriale il suo posizionamento non deve essere d’impatto sul
territorio.
Inizialmente il Piano
provinciale, prevedeva di costruirlo in località Murgia S. Francesco, zona
Montursi, ed effettivamente tale sistemazione appariva, vista la bellezza di
quelle zone e la presenza di dolmen ed ambienti naturali tipici, del tutto
inappropriata. Successivamente, si paventò l’ipotesi di localizzare l’impianto
nei pressi del centro Ansaldo Termosud ma, anche allora, sorsero problemi di
destinazione d’uso dei suoli, e qualcuno sollevò il dilemma se quelle aree
fossero o meno destinate ad accogliere impianti industriali. C’è da
evidenziare, allo stesso tempo, che data la presenza dell’Ansaldo e la
sperimentazione addirittura di un dissociatore molecolare di rifiuti al suo
interno, la localizzazione in quell’area di una struttura per il compostaggio
sarebbe il minore tra i problemi. In ogni caso, a fare chiarezza sul possibile
sito di costruzione dell’impianto è Giacomo Colapinto, Direttore Generale
dell’ATO BA/5, che interpellato sulla questione dice: “Il sito individuato per
l’impianto è sulla Gioia-Sammichele, verso Turi, vicino ai campi di
spandimento. Ma non è ancora definitivo perché il sindaco di Gioia non si è
ancora espresso ufficialmente”. In un area, quindi, già vocata alla
realizzazione di impianti per il trattamento delle acque reflue. Sarebbe da
constatare su quale particella effettivamente ricadrà l’impianto ma, non sarà
possibile sapere di più prima del parere dell’amministrazione gioiese. Di
certo, il pericolo per l’area di Murgia S. Francesco è scongiurato. Inoltre,
il nuovo probabile sito è facilmente raggiungibile dai mezzi che
trasporteranno il rifiuto organico dai 21 comuni dell’ATO, mediante la Statale
100 e l’accesso prima dell’ingresso nel paese.
Poche riserve, quindi, per un
impianto che ora come non mai necessita di tutta l’accoglienza possibile e la
fiducia della gente, poiché una volta tanto si tratta di uno strumento
industriale pubblico, per il beneficio di tutti. Ovviamente, sarà necessario
vigilare sulla corretta localizzazione e sui processi di produzione del
compost ma, poi, sarà solo merito o colpa dei cittadini se frutta e verdura
saranno concimati con ottimo fertilizzante derivante da un’attenta raccolta
differenziata o con scarti inquinanti frutto dell’indifferenza rispetto ad un
problema che se non affrontato adeguatamente travolge tutti…di rifiuti.
Roberto Cazzolla
da Gioia News
Emergenza idrica, scarichi abusivi e depuratori
in tilt
Il problema acqua è un emergenza planetaria che
parte dalla gestione locale
03/11/2008
I promotori del Contratto
Mondiale per l’Acqua ritengono la carenza idrica globale la prima causa di
morte infantile, il primo fattore di inefficienza igienico-sanitaria e la
prima motivazione delle future guerre.
In Darfur a scatenare le
rivolte civili e le migrazioni di massa c’è prima di tutto l’emergenza idrica.
L’Italia è il secondo, dopo il Messico, consumatore di acqua in bottiglia al
mondo. Più degli Stati Uniti e della Cina. E’ partita da qualche anno la moda
della bottiglietta che porti con te. Altissima, purissima, con la particella
di sodio, quella che fa fare “plim-plim” ed il lavaggio del cervello
pubblicitario ha completato l’opera. Ogni dieci persone per strada almeno
cinque hanno con se una bottiglietta d’acqua. Non c’è distributore automatico
che non ne annoveri almeno tre differenti marche. “Qualcuno vuol darcela a
bere”, il libro di Giuseppe Altamore, che dà un quadro completo della
situazione dell’acqua in bottiglia in Italia, ci spiega che per ogni mezzo
litro acquistato si sprecano altri dieci litri nella produzione della plastica
della bottiglia, nel trasporto e nella consegna. Per non parlare poi
dell’inquinamento delle migliaia di bottigliette, del consumo di petrolio per
produrne la plastica, dello spreco di energie per far viaggiare l’acqua da una
parte all’altra dell’Italia e dei disastri ambientali per deviare il corso dei
fiumi da imbottigliare.
Il teso evidenzia con dati
microbiologici quanto, in realtà, l’acqua del rubinetto sia più controllata e
sicura di quella in bottiglia. E quanto ci faccia risparmiare.
Eppure, anche a Gioia il
consumo di acqua in bottiglia è elevato. In questi giorni sono comparsi per le
strade manifesti che comunicano che dal 27 ottobre saranno possibili riduzioni
del flusso d’acqua a causa del deficit dei bacini e della siccità di quest’anno.
Il dott. Palmisano,
responsabile dell’Area di gestione dell’AQP, conferma che: “l’emergenza è già
scattata da due settimane e non si vede un miglioramento, anzi c’è un netto
peggioramento. Il problema è che non piove”.
Quando, però, cercando un
attimo di ragionare sull’intero ciclo dell’acqua dal consumo allo smaltimento,
chiediamo al responsabile AQP, se è al corrente del fatto che le acque piovane
di lavaggio stradale finiscano nel Comune di Gioia abusivamente nella falda
(vedi pozzetti realizzati nei pressi dell’orto vicino alla ex statale 100 ed
al Palestrone Comunale), contaminando quella che è, per il nostro territorio,
una delle maggiori fonti di approvvigionamento idrico, ci risponde dicendo che
la competenza sulle acque bianche è del Comune e non dell’Acquedotto. Eppure
dopo segnalazioni alla Guardia di Finanza ed alla Procura, i pozzetti con
perforazione di oltre 40 metri nel suolo, che convogliano acqua contaminata da
metalli pesanti, scarichi di auto e rifiuti stradali direttamente nella falda
acquifera dalla quale molti gioiesi attingono acqua potabile o per
irrigazione, ancora sono in funzione. Ed all’Ufficio Tecnico ne sono ben
consapevoli. Qualche mese fa, infatti, chiedemmo loro di chiarirci il perché
il Comune contravvenisse alla legge (n°152/99) in maniera così palese e la
risposta fu che “tale misura è necessaria visto che Gioia si trova in
posizione più bassa rispetto agli altri comuni limitrofi e tende, quindi ad
allagarsi ogni volta che piove”. Vero, il problema c’è. Però, non si può
contaminare acqua potabile per risolverlo. Le strade si allagano, ma c’è da
chiedersi come mai lungo i bordi stradali non vi sono le griglie che
permettono il deflusso nelle tubazioni fognarie! Forse sarebbe una soluzione
migliore rispetto a quella di buttare tutto in falda e mettere a rischio la
salute della gente. Forse è quella più esosa. Ma l’emergenza idrica c’è anche
perché spesso, come in questo caso, si fa un cattivo uso dell’acqua. Se poi si
evitasse di cementificare tutto, di tagliare boschi e di costruire nuove
strade completamente prive di alberi, forse Gioia si allagherebbe di meno ed
avrebbe più acqua potabile.
Se poi tutti noi chiudessimo
il rubinetto mentre ci laviamo i denti, consumassimo cibi di stagione
preferendo frutta e verdura alla carne, bevessimo acqua dal rubinetto e
facessimo docce brevi invece che lunghi bagni in vasca, le nostre riserve
idriche non sarebbero così al collasso.
C’è da dire che il maggior
spreco avviene in agricoltura a causa di sistemi d’irrigazione poco
efficienti. Inoltre, dopo il recente scandalo dello smaltimento illegale del
siero caseario, ci sarebbe un po’ da domandarsi quale sia la reale efficienza
del depuratore presente sulla provinciale per Turi.
Per ora, un passo alla volta.
Iniziamo, ad esempio, chiedendo in pizzeria o al ristorante dell’acqua in
brocca riempita dal rubinetto invece della bottiglietta tanto inquinante. Con
un pensiero al Darfur ed al resto del mondo, perché i problemi umanitari
passano sempre per quelli ambientali.
Perché i problemi globali
passano sempre per quelli locali.
Piano randagismo: un lavoro da cani
Appalti poco trasparenti, cani infettati dopo
le sterilizzazioni e canile senza cibo
03/11/2008
Va su tutte le furie il dott.
Paradiso quando gli vien chiesto da alcuni volontari, che durante la
presentazione del Piano comunale per la prevenzione del randagismo avevano
dato la loro disponibilità ad affiancarsi nelle operazioni di trasporto dei
cani, come mai non fossero stati avvisati della contemporanea presenza
dell’accalappiacani, ditta Giotta di Putignano, sul territorio.
Raffredda
i bollori quando, invece, gli vien ricordato che, visto l’appalto da 10000
euro per le sterilizzazioni affidato in maniera ancora poco chiara ad uno
studio veterinario nel quale casualmente lavora la sua compagna, non è il caso
di agitarsi molto, considerato che in questa situazione chi potrebbe avere
qualche “problemino” è proprio lui.
Intanto, però, i problemi ad
averceli sono i destinatari di questo piano per la “prevenzione del
randagismo”. Delle quattro o cinque sterilizzazioni già effettuate, almeno tre
non sono andate alla grande visto che le cagne, immesse sul territorio meno di
24 ore dopo l’intervento, hanno già le ferite riaperte, i punti saltati ed
alcune infezioni in corso. E’ il caso, ad esempio, delle cagne del depuratore
sterilizzate ed infettate dopo qualche ora, tanto da richiedere un nuovo
accalappiamento per ricucire i punti. E’ il caso del maschio grosso e
ciondolone che scorrazza dalle parti di P.zza Plebiscito crudelmente castrato,
invece di effettuare una più rispettosa vasectomia che non influisce sulla
psiche dell’animale eliminando comunque la fertilità, e rilasciato dopo
qualche ora, che per una decina di giorni barcollava e si trascinava mezzo
morto.
Un lavoro più che per cani,
da cani si direbbe. “Certo, – affermano alcuni veterinari gioiesi che per
esigenze d’Ordine han preferito restare anonimi - se non si tiene sotto
osservazione l’animale e lo si rispedisce per strada è ovvio che questo
accada. Evidentemente tutto viene fatto col massimo risparmio di materiale e
di tempo”. Alcuni di loro si dicono certi del fatto che “la terapia analgesica
non venga fatta. Altrimenti non si spiegherebbero così prolungate sofferenze
per gli animali operati”.
“C’è da dire – prosegue una
giovane veterinaria gioiese – che il tutto è partito in maniera molto strana.
La gara d’appalto per l’affidamento del lavoro ad una clinica doveva
innanzitutto essere comunicata all’Ordine dei Veterinari, e ciò non è
avvenuto. Il bando, poi non è stato esposto secondo i termini di legge e molti
di noi non ne erano a conoscenza. E poi come si può lanciare una gara a
ferragosto?”.
Eppure durante un incontro
tenutosi al Municipio per presentare le strategie d’azione della nuova
amministrazione, nonostante qualche perplessità, in molti erano speranzosi che
finalmente si stesse cercando di risolvere il problema.
Visti, però, i risultati le
speranze hanno subito lasciato il passo allo sconforto. Si vocifera che più
che risolvere il problema, in qualche modo si sia avviata una campagna di
sterminio dei cani e che proprio qualcuno tra quelli che dovrebbero gestire il
progetto, consiglino ai tutori di qualche randagio le migliori forme per
l’eliminazione dei futuri nati. C’è chi dice, senza molti dubbi, che qualche
cane sia già sparito dopo essere stato avvelenato.
“Inoltre - continuano i
veterinari – durante la riunione si era detto che il cane sarebbe stato sotto
osservazione per due giorni prima di essere liberato”. Ciò però, sino ad ora
non è avvenuto. “Carenza di spazio”, si giustifica il titolare della clinica.
“Questo, però, è un problema suo”, ribattono i volontari infuriati dopo aver
soccorso l’ennesimo cane con la sutura aperta e piena di pus. Volano parole
poco carine nei confronti dei volontari rei soltanto di aver chiesto
trasparenza e correttezza, da parte del dott. Vito Paradiso, che per conto del
Comune o forse della ASL, dovrebbe coordinare il tutto.
Ma i dubbi sono tanti.
“Sterilizzare i maschi – proseguono stupefatti i veterinari – che senso ha? Si
sprecano soldi e non si risolve nulla. Vanno sterilizzate le femmine e coi
massimi accorgimenti sanitari”.
Intanto al canile sono rimasti
senza croccantini. Il fornitore ha sospeso le consegne dopo gli ingenti debiti
accumulati nel pagamento. Debiti che il Commissario Palomba, dopo aver
assegnato i 200000 euro per il risanamento del canile sanitario (risanamento
che ancora non parte), aveva cercato di estinguere aumentando di mille euro
(da 5200 a 6200 euro circa) il finanziamento mensile ai gestori del canile.
Aumento sospeso dalla nuova amministrazione, sentite un po’, per 10 mesi. In
pratica mille euro in meno per dieci mesi. Che fanno? Questa cifra non ricorda
una somma citata poco fa? Sarà!?! C’è chi sottovoce dice che il cerchio si
chiude se si considerano i nuovi interessi nel commercio di mangimi da parte
di qualcuno dei grandi burattinai del progetto. Sarà… anche stavolta.
Comunque, qui chi sembra
rimetterci sono sempre loro. I migliori amici dell’uomo.
C’è da chiedersi se, però,
l’uomo è in grado davvero di ricambiare quest’amicizia.
Visti i risultati è proprio il
caso di dire…che vita da cani.
Roberto Cazzolla
da Gioia News
Masseria del Porto: distruzioni per l’uso
Ambiente, storia e paesaggio distrutti nel
silenzio generale
03/11/2008
Siamo a pochi chilometri dal
confine tra Gioia e Castellaneta. Scendendo lungo la provinciale che porta
verso Montursi si imbocca il raccordo per Castellaneta, la SP 104.
Dopo poca strada si
intravedono sulla destra delle traversine ferroviarie a fungere da
staccionata. Le stesse incriminate sino a qualche tempo fa di essere
cancerogene perché imbevute di creosoto, una sostanza altamente tossica. La
recinzione separa un terreno con rocce affioranti di murgia dalla strada. Pini
piantati un po’ casualmente sollevano la strada per qualche decina di metri.
Al termine della curva si apre la vista su una delle più antiche e belle
masserie del territorio: Masseria del Porto. Questa, con le sue volte alte, la
chiesa rurale ed il frontone maestoso, chiude la straordinaria gravina che da
essa prende il nome. Gravina del Porto è certamente un angolo di paradiso per
gli amanti della natura. Una pineta ne apre le porte, una magnifica insenatura
naturale dove volano falchi e poiane, con pareti alte più di 40 metri, ne
segnano il cammino. Intorno i segni di un passato di sfaceli. Affacciato su di
una parete, un terreno agricolo a pochi metri dallo strapiombo. Senza più
massi, senza più vegetazione. Solo terra rossa volatile. Solo l’ombra di una
murgia che fù. In passato di simili scempi se ne son compiuti molti.
L’ignoranza dell’importanza del paesaggio, l’assenza di leggi che lo
tutelassero ed i favorini dei controllori ai controllati ci lasciano i segni
di epoche in cui il bene privato vinceva di gran lunga sul bene comune.
Ma oggi che le leggi ci sono,
che l’importanza della salvaguardia della natura è internazionalmente
riconosciuta e che gli organi di controllo dovrebbero essere incorruttibili,
azioni come quelle che si stanno compiendo nei pressi di Masseria del Porto, a
due passi dai due centri urbani pugliesi, sotto gli occhi di tutti, appaiono
davvero incredibili.
In un area individuata da
sempre come paesaggisticamente rilevante, inclusa nel SIC (Sito di Interesse
Comunitario) e nella ZPS (Zona di Protezione Speciale) denominati Murgia Alta,
Alta Murgia, insomma il famoso parco, in una zona inserita nei fogli
territoriali, nei catasti archeologici, nelle mappe floristiche, in un luogo
di magia e storia dove nell’antico abitato della Castelluccia si svolgeva la
vita dei nostri avi, dove vi sono raccolti in poche decine di metri dolmen,
monumenti funerari della civiltà preistorica appenninica, jazzi, ovili
e numerosissime grotte, in un paesaggio che farebbe invidia ai più grandi
parchi naturali dove la natura incontra la bellezza della murgia a fare da
cornice ad una profonda gola che taglia il respiro, si sta consumando
l’ennesimo atto vandalico nei confronti della nostra terra.
Quanti gioiesi in quelle zone
son andati a funghi, quanti ne hanno fatto passeggiate. Ci sono anche in corso
studi del WWF proprio in quella zona fantastica. Ma qualche settimana fa nel
silenzio generale, anche di chi da lì ci passa quotidianamente, alcuni tra i
proprietari terrieri della zona han pensato bene di arare, spietrare e
distruggere completamente tutta la zona circostante alla masseria. Non c’è più
la murgia. Addio al paesaggio. Via la storia, ben servito alle grotte. Così
d’un colpo. In due tre giorni. E pensare che per tempo una segnalazione
rivolta alla sezione locale del WWF aveva allertato dello disastro in corso. E
pensare che con solerzia gli attivisti del WWF sono piombati sul posto ed
hanno contattato il comando del CFS di Noci, che è giunto rapidamente sul
posto, ha rilevato il reato, ha scattato foto, ha convocato i responsabili,
constatato la totale assenza di autorizzazioni e passato tutta la
documentazione al CFS di Castellaneta, territorialmente competente, al quale
sono stati consegnati dal WWF anche i rilievi satellitari che mostrano come di
colpo il territorio sia stato modificato e completamente distrutto.
Gli uomini della Forestale di
Castellaneta, però, son sembrati da subito titubanti. Un po’ scettici. Che
sarà mai, un po’ di murgia in meno per far posto ad un campo di grano…
L’antifona la si era ben
capita. Così, nei giorni scorsi è stata inviata la segnalazione con richiesta
urgente di intervento anche al NOE (Nucleo Operativo Ecologico) dei
Carabinieri di Bari.
Nell’attesa di un intervento,
che stranamente continua a non arrivare. Lì dove, parafrasando Celentano,
c’era la murgia ora c’è un bel campo di grano, lì dove regnava la storia di
puglia ora c’è una distesa di pietre bianche sgretolate, lì dove dalle forze
dell’ordine preposte ed allertate in tempo, ci si sarebbe aspettati un
sequestro probatorio in attesa dell’ordine della Procura, al fine di fermare
il reato in corso e salvare il salvabile, si è colpevolmente e con connivenza
lasciato correre. Si è permesso nella solita vergognosa maniera di portare a
compimento l’interesse del privato ai danni di un ben pubblico e di
inestimabile valore. Ora non si può più tornare indietro. Di quel fantastico
territorio ne è sparita buona parte. Sotto gli occhi di chi avrebbe dovuto ma
non ha voluto agire. Perché se si vuole salvare il territorio dalla mano
assassina ed incompetente di chi dal territorio vuole solo profitto personale,
bisogna agire e soprattutto prevenire. I sequestri con concessione d’uso, che
avvengono dopo che l’ambiente è stato sfregiato irrimediabilmente sono una
presa in giro per l’intelligenza delle persone che hanno davvero capito il
valore del nostro ambiente. Sono un ridicolo ed al giorno d’oggi,
inaccettabile tentativo per accontentare l’uno e l’altro. Chi compie il reato
che continua a compierlo sotto sequestro e chi segnala affinché pensi di aver
ottenuto ragione.
Stavolta non v’è manco l’ombra
di un sequestro, né probatorio n’è commissionato dalla Procura.
Stavolta, peggio che mai,
sembra che un po’ a tutti vada bene così. In fondo nell’omertà siam tutti più
felici. O forse, siam tutti un po’ più poveri.
Andateci gioiesi, andateci in
quel luogo ricco, vedete cosa ne è rimasto. Un campo arato sulle grotte, un
cumulo di polvere di pietre al posto di dolmen e monumenti funerari, uno stelo
di paglia al posto del magnifico lentisco. Se ci andate sarete certamente
almeno un po’ sviliti per come si possa lasciar compiere un simile disastro.
Se ci andate fate un colpo di telefono al CFS di Castellaneta e chiedete come
mai a loro, o a chi per loro, l’ambiente, la storia e la natura non interessi.
Come mai dopo la segnalazione del WWF, si è lasciato proseguire quell’atto pur
avendo constatato la totale assenza di autorizzazioni.
Che vergogna, gente. Che
tristezza nel pensare che qui, giù al sud, la ricchezza la si butta via sotto
lo sguardo indifferente di chi quella ricchezza dovrebbe tutelarla.
Poveri loro, poveri noi,
poveri tutti.
Roberto Cazzolla
da Gioia News
Cambio di vertici al WWF, bonifica amianto e
progetto carta
Un plauso all’amministrazione per le misure
adottate sui rifiuti
30/09/2009
Cambio
di vertice per il WWF che ora ingloba all’interno delle sue competenze
territoriali anche il Comune di Santeramo in Colle. L’associazione sarà
denominata “WWF Gioia del Colle, Acquaviva delle Fonti e Santeramo in
Colle”. Il nuovo presidente nominato dall’assemblea
dell’associazione è Ivana Guagnano, da anni attivista della sezione locale che
prende il posto del responsabile uscente Roberto Cazzolla. E’ stato nominato
segretario Dino D’Ippolito, anch’egli da tempo volontario per il WWF. Il nuovo
numero di telefono dell’associazione è il 3397729678 mentre gli indirizzi
e-mail ai quali scrivere sono
wwfgioiadelcolle@virgilio.it e
wwfgioiacquaviva@netsons.org .
Intanto grande apprezzamento
da parte della nostra associazione va alla celerità con la quale
l’amministrazione comunale nella persona dell’Assessore all’Ambiente,
Bernardino Lattarulo ha recepito la nostra segnalazione di discariche abusive
d’amianto nell’agro gioiese presentata qualche settimana fa. L’Amministrazione
ha, infatti, trovato un fondo per attivare la bonifica delle aree contaminate
da amianto e si è impegnata a procedere celermente nella messa in sicurezza
dei siti.
Un’ottima dimostrazione del
fatto che quando c’è la volontà politica le cose si possono fare senza far
trascorrere tempi geologici prima di agire.
Inoltre, un grande plauso va
anche al progetto di raccolta differenziata della carta, del quale la nostra
associazione è partner, rivolto agli alunni delle scuole gioiesi, grazie al
quale gli studenti avranno modo di gareggiare nella raccolta e nel
conferimento della carta la domenica presso la Spes. Di settimana in settimana
vi sarà un vincitore di tappa ed alla fine dell’anno scolastico sarà nominato
vincitore del concorso lo studente che maggiormente avrà contribuito a
raccogliere la carta da riciclare. In palio premi e riconoscimenti.
Riteniamo che questo sia il
giusto spirito per incentivare nei cittadini e soprattutto nei giovani la
raccolta dei rifiuti in maniera separata affinché vengano ritrasformati in
bene di consumo e non accatastati nelle discariche o bruciati negli
inceneritori. Grande plauso per questa iniziativa dell’amministrazione,
dunque, ma il WWF invita ad estendere con un progetto organico l’incentivo
alla raccolta differenziata a tutti i cittadini. A tal proposito negli scorsi
anni abbiamo realizzato un progetto di incentivo a premi con raccolta di
quartiere dei rifiuti, progetto che abbiamo presentato all’allora assessore
all’ambiente, ma che non ha visto considerazione alcuna. Speriamo che questa
amministrazione voglia valutare le proposte presentate dalla nostra
associazione ed invitare la Spes ad attivare il progetto. Prosegue, invece, a
gonfie vele la raccolta dell’alluminio del progetto WWF “Raccolta solidale”.
Sono decine gli esercenti che hanno aderito all’iniziativa ed ospitano il
bidoncino della raccolta. Per conoscere i locali che aderiscono all’iniziativa
presto saranno pubblicati sul nostro sito
www.wwfgioiacquaviva.netsons.org gli elenchi ufficiali. Sarà, inoltre,
consegnato in questi giorni l’attestato di partecipazione alla raccolta e
saranno inviati i bidoni per la raccolta ai bar delle scuole medie superiori.
Per informazioni sul progetto è possibile contattale la referente WWF Eliana
al numero 3480600238.
WWF Gioia del
Colle, Acquaviva delle Fonti
e Santeramo in
Colle
Campo Boario: manco fossero rifiuti
Stranieri “spazzati via” per far posto alle
fiere popolari
30/09/2008
Manco fossero rifiuti spazzati
lontano dagli occhi del popolo, così come a Napoli al passaggio del Premier.
Eliminati dalla vista della gente per far posto ad una fiera dopo l’altra.
Cancellati come inutili oggetti per i quali non c’è posto dove stare. Vilipesi
ed offesi al punto di distruggere la loro casa.
Teatro vergognoso della scena,
il Campo Boario. Lì da 28 anni vivono circa cinque, sei persone immigrate,
quasi tutte regolari stando alle loro dichiarazioni. Susanna, la veterana del
gruppo originaria del Montenegro, una donna affabile, con fare dolce e
cordiale non esita a raccontarci come sono andati i fatti, comprendendo la
nostra voglia di aiutarla: “Vivevo al campo da 28 anni. In questo tempo con i
soldi raccolti chiedendo l’elemosina davanti ai supermercati avevo comprato
delle tavole in legno ed un po’ di cemento per costruire la mia capanna nel
Campo Boario visto che da anni non lo utilizzavano più. Qui, quando ci siamo
trasferiti dal terreno di fronte c’erano solo montagne di rifiuti”. In effetti
tutt’intorno troneggiano cumuli di spazzatura, televisori rotti, batterie per
auto, inerti, rifiuti d’edilizia, ferraglie, plastica, asfalto ed amianto
sgretolato, accumulato da ignoti nell’indifferenza degli amministratori
comunali che si sono succeduti in questi anni. Ammassati in quantità tale da
poter far rientrare il Campo Boario nell’elenco delle discariche abusive
comunali. Ma, invece di provvedere a vigilare affinché gli scarichi abusivi
finissero, invece di bonificare l’area, si è lasciato perpetrare il reato in
un luogo simbolo della cultura popolare gioiese, dove nel secolo scorso si
sono avvicendate sagre e fiere di paese.
In quel posto, adiacente al
Macello della Murgia Carni, avviluppato dal nauseabondo olezzo di morte
sorgeva sino a meno di un mese fa una piccola struttura manufatta composta da
due vani. L’avevano costruita raccogliendo legna qua e là, comprando qualche
utensile con i soldi offerti dai cittadini, in silenzio…per vivere.
Poi d’un tratto, alla fine di
questa estate “una visita dei Carabinieri. Ci hanno detto che da qui dovevamo
andare via – prosegue Susanna, con la voce che si fa fioca per il dispiacere –
e che il Sindaco aveva bisogno di questo spazio per fare il mercato. Ci hanno
detto che entro dieci giorni dovevamo andarcene”. Tutto qualche giorno prima
della tanto pubblicizzata fiera di Santa Sofia che si sarebbe tenuta il 7
settembre al Campo Boario. “Quattro giorni prima che mi abbattessero la casa è
venuto il Sindaco e ci ha detto che ce ne dovevamo andare, di prendere le
nostre cose ed andare via. Ci avevano promesso di aiutarci a trovare una casa
dove andare, invece…”. Invece, dopo qualche giorno dalla visita del Sindaco –
“mentre ero davanti al supermercato a chiedere l’elemosina – incalza
sconfortata la signora - mi hanno detto che c’era una gru (una ruspa, ndr)
che stava distruggendo la casa che avevamo costruito raccogliendo giorno dopo
giorno i soldi dell’elemosina. Sono andata a vedere e quando sono arrivata non
c’era più nulla. Ecco cos’è rimasto” e ci indica una catasta di travi in
legno, teloni e lastre di ferro. “Molte delle mie cose erano là sotto ed ora
non ho neanche una pentola per cucinare, neanche un piatto per mangiare”. Non
si finisce mai di stupirsi in questo mondo, in questa Italia. Vedi italiani
costruire case, baracche, alberghi nei luoghi più protetti del Paese, nelle
lame, sulle coste, al centro dei parchi, immobili abusivi, metri cubi di
arroganza. Li vedi certi della loro opera, consapevoli del fatto che al
prossimo condono, basterà pagare per far sparire l’illegittimità. Ed allora è
qui, ancora una volta, il significato morale di questa storia. Basta pagare.
Basta esser talmente ricchi da comprare tutto, lo Stato, le leggi. Così, chi
ha dieci, cento case abusive vive nella sua ottusa bambagia coccolato dalle
leggi ad personam, mentre chi una casa di travi e di pezze riesce a
tirarla su con tanti sacrifici, effimera e volatile come foglia al vento, la
vede sparire d’un colpo senza il diritto di aver tempo per sapere dove andare.
Hanno impiegato quattro giorni per abbattere la casa a della povere gente ma
chissà, invece, quanto ci metteranno a Gioia per abbattere il palazzo abusivo
costruito dinanzi all’ospedale dalla ditta “Il Selvaggio” e sequestrato dal
CFS lo scorso anno? “Da quando mi hanno cacciata dal campo – ci racconta
ancora Susanna - mi sono trasferita a Bari. Ma lì è diverso, la gente non mi
conosce, non riesco a fare più di 5 euro di elemosina. Come vivo così? C’era
una mia parente della Spagna che mi ospitava a Bari, ma ora è andata via ed io
non so come fare. A Gioia la gente mi conosceva, mi voleva bene. C’è chi mi
regalava una cosa, chi mi salutava o mi chiedeva come stavo. Persino le
persone che abitano intorno al Campo Boario mi volevano bene. Ogni tanto mi
venivano anche a trovare”.
Le chiediamo se ha il permesso
di soggiorno e ci racconta che glie l’hanno rubato qualche anno fa e che dal
consolato montenegrino tardano a fargliene avere una copia. “Vado a Bari quasi
tutte le settimane, ma mi dicono di tornare dopo qualche giorno. Ma, ho
persino la tessera sanitaria italiana e questo dimostra che sono in regola.
Anche i Carabinieri ne hanno una copia e loro sono sempre stati gentili con
me”.
Vivevano in cinque. Più una
bambina di circa sei anni. Va all’asilo, a Bari. La domenica si ritrovano
tutti al campo per stare insieme. Una, due famiglie normali. Con il sogno di
una casa.
“Se mi trovano un posto dove
stare io me ne vado da qui. Ma non ho i soldi per pagarmi una casa da sola. Ci
sono tante case abbandonate a Gioia, possibile che non ci sia niente per me?”.
Spazzati dunque per far posto
ad una fiera. Una fiera, quella in onore di S. Sofia, “dell’Agricoltura e dei
Vecchi Mestieri” recitava lo slogan, che altro non era che un’accozzaglia di
bancarelle e cavalli. Una decina in tutto, le bancarelle. Quattro o forse
cinque, i cavalli. Un vivaista, un venditore di vestiti militari, un tavolino
della Coldiretti. Visitatori totali? Se facciamo la tara si contano sulle
dita. Evento pubblicizzato da manifesti per tutto il paese. Un ritorno al
passato. Vero. Anche per i diritti umani.
Sullo sfondo, montagne di
rifiuti. L’Appennino della monnezza a far da poster.
Vale allora più onore per la
fascia tricolore al petto l’aver spazzato immigrati, liberato gli onesti
cittadini italiani dall’orribile vista di quella struttura, di quella gente,
raminga, elemosinante, “mangiatrice di bambini” che bonificare un suolo
pubblico dai rifiuti cancerogeni, abbandonati illegalmente e lasciati da
cornice ad una festa popolare? Vale più una fiera mal riuscita, un
palcoscenico del buon operato, di gente mandata allo sbando in dieci giorni
dopo averla ignorata per 28 anni? Qualcuno potrà obiettare che non si è certi
che siano tutti immigrati regolari e che la struttura costruita fosse abusiva.
Che dire allora del fatto che adesso cinque persone ed una bambina non hanno
più un posto dove stare e dormono sotto un ponte? Che dire allora di come
l’intolleranza umana, l’incalzante xenofobia, la politica di facciata che
caratterizzano purtroppo ormai buona parte dell’Italia, le ha eliminate per
pulire la vista ai gioiesi ammaliati dallo spirito organizzativo
dell’amministrazione, ed invece i rifiuti ammucchiati col loro carico di
malattie sono ancora lì, ora che quella gente è andata via? Vale più una vita
umana di una fiera d’apparenze? Vale più una storia, di travagli, di
sofferenze di una caterva di rifiuti?
Gli immigrati sono stati
cacciati, i rifiuti sono ancora là.
Volendo, allora, andare più a
fondo si potrebbe ribattere che quella fiera e la Festa dell’Aia, ennesimo
flop con pochi stand ed esigui visitatori organizzata il 28 settembre,
probabilmente neanche si potevano autorizzare in quel immondezzaio. Se l’ASL
avesse verificato l’idoneità igienico-sanitaria di quel campo, siamo certi che
mai lo si sarebbe aperto al pubblico. Ed allora è più giusto mandar via con un
ultimatum della gente ormai inglobata nella comunità, accettata e rispettata,
gente sempre gentile ed educata rea soltanto di volere un tetto sotto cui
vivere, che rimuovere quei cumuli prima che i cittadini potessero avvicinarsi?
Adesso le sagre e le feste
sono finite, l’inverno sta arrivando e con esso il freddo. Al Campo Boario i
rifiuti ci sono ancora. O forse per la mente di chi ritiene gli immigrati, gli
stranieri, i diversi alla stregua di spazzatura, i rifiuti al Campo Boario non
ci sono più!
Roberto Cazzolla
da Gioia News
Finalmente una soluzione al problema randagismo
WWF: Grande soddisfazione per le decisioni
dell’amministrazione
03/09/2008
La sezione locale del WWF
Italia, di Gioia del Colle ed Acquaviva delle Fonti esprime grande
soddisfazione per il provvedimento adottato in questi giorni
dall’Amministrazione comunale per la risoluzione del problema randagismo.
Sono finalmente state accolte
proposte che da tempo facevamo alle amministrazioni che si sono succedute
senza vedere alcun risultato. Da un canile non autorizzato, ad una
preoccupante convenzione con il rifugio di Cassano, sino a giungere
all’appalto dell’ENPA scomparsa poi nel nulla, si è arrivati inaspettatamente
ad una soluzione condivisa sulla gestione e la tutela degli animali
d’affezione. E’ stato affidato mediante gara d’appalto il servizio di cure e
sterilizzazioni dei randagi ad un noto veterinario gioiese ed affidata la
gestione del canile ad una ditta di Noci.
Non possiamo che essere
soddisfatti per la preparazione, la professionalità e la moralità del
veterinario che provvederà a sterilizzare le cagne e prestare servizio al
canile. Sarà necessario affiancare alla profilassi la microchippatura dei
randagi e l’anagrafe. In questo senso, invitiamo il Sindaco, al quale va tutto
il nostro apprezzamento per la rapida, trasparente ed osannata decisione di
porre fine ad un problema che a Gioia sussiste da tempo, ad emettere
un’ordinanza comunale che rafforzi le attuali normative ed obblighi tutti i
possessori di cani a registrarli entro trenta giorni dall’ufficializzazione
del provvedimento ed incarichi due agenti di Polizia Municipale di effettuare
controlli a campione nelle masserie ed ai possessori di cani per verificare la
registrazione ed, in caso contrario, applicare le sanzioni previste
dall’ordinanza. Perché, se è vero che la sterilizzazione invocata dalla nostra
associazione da anni, è il miglior rimedio contro la proliferazione
incontrollata dei cani, la mancanza di un registro e di sanzioni per i padroni
non permettono al sistema di chiudersi adeguatamente e portare quasi a zero
fenomeni come gli abbandoni.
Ci auguriamo che la ditta che
prenderà in gestione il canile comunale mantenga il rispetto ed il rigore
etico che hanno contraddistinto, nonostante le poche risorse finanziarie e lo
scarso personale, la gestione precedente e che possa inglobare nel suo
organico gli operatori che sino ad oggi si sono occupati del corretto
mantenimento della struttura.
Auspichiamo un incremento
delle iniziative per l’adozione dei cani ospitati al canile ed una ripresa del
volontariato nella struttura, in modo da rendere l’intera gestione pubblica e
trasparente, finalizzata alla tutela dei cani e dell’uomo.
Speriamo, infine, che le voci
giunte da palazzo riguardanti il rinnovo della convenzione con la struttura
privata e più volte denunciata per maltrattamenti e sequestrata, di Cassano
Murge sino a dicembre 2008, risultino non veritiere e che, comunque, possa
essere immediatamente annullata la convenzione con questa struttura ora che ci
si è attivati per un problema che gestito con professionalità, legalità e
dignità diventa il fiore all’occhiello di una comunità che vuole risultare
moralmente elevata e capace al tempo stesso di tutelare il benessere dei
cittadini e degli amici a quattro zampe, vittime ingiuste di affari e sporchi
traffici.
WWF Italia,
sezione locale di Gioia del Colle ed Acquaviva delle Fonti
INCHIESTA: Ci han fatto girare le palme!
Tutta la verità sulle piante girovaghe di P.zza
Don Luigi Sturzo
31/08/2008
E’ proprio il caso di dirlo.
Stavolta l’han fatta grossa. E non perché il trasloco di una palma meriti
tutto l’interesse che è stato riservato dalla stampa locale, ma per il fatto
che le piante in questione siano diventate oggetto di scambio, di favore si
direbbe, tra amministratori e noti imprenditori gioiesi.
Le
palme, diciamolo a gran voce, nulla hanno a che spartire con la nostra
penisola, trattandosi di piante ben adattate ad altri climi e soprattutto a
differenti condizioni edafiche. Tant’è che nel paese del sole, queste sono
sempre più colpite da coleotteri parassiti vivacemente colorati, appartenenti
alla famiglia dei Curculionidi, chiamati Punteruoli rossi. L’insetto si
diffonde rapidamente ed attacca il fusto delle palme sino a quando queste non
muoiono per perdita dei liquidi. Molte piante adulte sono state colpite negli
ultimi anni. Eppure, nonostante le numerose precauzioni richieste dalle leggi
e dai regolamenti forestali per la rimozione, la potatura, il trattamento o
l’espianto delle palme attaccate dal parassita, il 29 luglio a Gioia del
Colle, in una calda mattina d’estate (erano circa le sette del mattino),
indisturbati e senza la benché minima precauzione alcuni operai si accingevano
a spiantare le otto palme poste presso Piazza Don Luigi Sturzo, in via G. Di
Vittorio. All’arrivo degli agenti della Forestale, allertati da alcuni
residenti, la situazione appariva alquanto confusa. Due delle palme erano già
state trasferite presso l’Approdo di Federico, noto centro residenziale dello
Studio Tuccillo. Delle ragioni del trasferimento, però, nessuno era al
corrente.
Apparentemente, neanche
l’amministrazione comunale visto che alle ore 11:00 circa, dopo i controlli
degli agenti del CFS, giungeva un documento dell’Ufficio Tecnico a firma
dell’Assessore ai LL. PP. Sante Celiberti che autorizzava la Società
PROMOSPORT, la stessa che sta mettendo in opera la piscina, “ad espiantare n°
8 alberi di palme da via G. Di Vittorio ed a impiantare le stesse nell’area
adiacente la palestra comunale (n°4 piante) e nell’area adiacente la piscina
comunale (n° 4 piante)”. Tale lettere giungeva, però, con data del giorno
stesso dei lavori (29/07/’08), aspetto che ingenera due interrogativi.
Primo: a che ora (le 5:00? Le
6:00?) è stata concessa l’autorizzazione ai lavori se gli operai della ditta
erano già sul posto alle 7:00 del mattino? Probabilmente si tratta di un
autorizzazione rilasciata dopo l’inizio dei lavori.
Secondo: come mai dopo
l’arrivo della prima autorizzazione ne è giunta un’altra con stesso numero di
protocollo (N° 1611), il che è già un’anomalia, nella quale si autorizzava
un’altra ditta, la Società APPRODO (il nome ricorda qualcosa…) “a parziale
modifica della precedente nota pari numero in data odierna, ad spiantare n° 8
alberi di palme da via G. Di Vittorio […], ed ad impiantare le stesse
nell’area adiacente la palestra comunale (n° 4 piante)”.
Quindi, dopo le segnalazioni
dei residenti e l’arrivo della Forestale, i movimenti sulla scacchiera del
“municipio delle palme”, sono cambiati in men che non si dica. Delle 4 palme
che dovevano finire presso la piscina comunale non c’è più traccia nella
seconda lettera di modifica, stavolta a firma anche del dirigente U.T.C., Ing.
Nicola Bartolomeo Laruccia.
Come mai, quindi, al Palazzo
vi è stato un così repentino cambio di indicazioni? Forse l’estetica ha
suggerito di evitare la localizzazione delle palme presso la piscina? O forse,
qualcuno si è reso conto che tale operazione avrebbe destato notevoli sospetti
circa la “donazione” di piante di grande valore economico (alcuni vivaisti
stimano cifre per palme adulte tra 15000 e 20000 euro) piantate su territorio
pubblico ad un suolo che tanto pubblico non lo è più?
Quel che è certo è che dopo un
attimo di sbandamento le due palme piantate presso l’Approdo di Federico si
sono volatilizzate. Le foto documentano lo strano caso delle palme girovaghe.
Prima ce n’erano 8 in P.zza Don Luigi Sturzo. Di queste 2 erano finite al
centro residenziale. Dopo poco, neanche il grande mago Silvan sarebbe
all’altezza, queste ultime si sono volatilizzate.
Ma il grande numero di
prestigio non si è concluso così. Il colpo di scena, come in ogni spettacolo
che si rispetti, c’è stato. Le due palme sono ricomparse, una presso il
Palestrone Comunale e l’altra ritornata miracolosamente alla sua
localizzazione d’origine.
C’è da dire che simili
numeri riescono solo agli specialisti!
L’aspetto più inquietante
della vicenda lo si apprende scorrendo le righe della seconda parte
dell’autorizzazione all’espianto rilasciata alla ditta Approdo s.r.l.: “A
compensazione dello spianto/impianto effettuato si autorizza, altresì, la
stessa Società ad allocare le ulteriori 4 piante nell’area di proprietà della
stessa ubicata in Via Luigi Chiarelli in Gioia del Colle”.
Un po’ come dire: visto che
non possiamo, per ragioni da noi indipendenti (ah, se la gente si facesse gli
affari propri), farvi piantare le palme pubbliche sul vostro suolo privato
dove avete costruito una bella piscina che di “comunale” ha ben poco, vi
“regaliamo” una parte del “bottino” e ve lo piantate nel giardino di casa
vostra. De Roberto ed i Viceré ne sarebbero sconvolti. Voltaire non credo
intendesse questo, quando diceva di “coltivare il proprio giardino”.
Una logica da massoni,
vassalli dell’era moderna che scambiano il bene pubblico per interessi privati
e che rappresenta l’aspetto più oscuro ed a tratti vergognoso della vicenda.
Resta il fatto che tale
operazione chiamasi in gergo economico-commerciale, “partita di giro”, atto
che come confermatoci da noti amministrativisti, è del tutto illegittimo se a
compierlo sono amministrazioni pubbliche. Chissà se il CFS se ne avvedrà!
Quindi dall’incredibile girar
di palme ne risulta un’illegittimità di atti autorizzativi, un non rispetto
delle norme forestali per l’adeguato trasporto delle palme, una probabile
assenza di gare d’appalto per l’affidamento dei lavori, una realizzazione di
atti pubblici autorizzativi postumi rispetto ai lavori.
Prima di tutto, però, ciò che
ne vien fuori è il solito modo di fare delle nostre terre. Lo scambio di
favori a discapito della cosa pubblica, dell’interesse comune, tra
amministratori ed imprenditori. Lo stesso modo di fare che in tempi non remoti
ha portato le logge a devastare, svendere, vessare nel letame le nostre
bellissime città…la nostra bellissima terra.
Lo stesso che porterà due
palme certamente alla morte, decine di cittadini all’indignazione, corpi
forestali alle indagini, amministratori alle scuse, imprenditori ai soliti
affari e…nulla più.
Come ormai troppo spesso
capita dalle nostre parti, il tutto finirà nel silenzio generale. In quella
stupida omertà che rende complici del male silenzioso che permea le stanze dei
bottoni. Ovunque esse siano.
Roberto Cazzolla
da Gioia News
Sagra della mozzarella: la solita bufala!
Scarso interesse e cattiva organizzazione, così
non si crea turismo
25/08/2008
Sagra: festa popolare in
occasione del raccolto o per la celebrazione di un prodotto tipico. Così
recitano i dizionari italiani. Peccato che di popolo alla sagra della
mozzarella se ne è visto ben poco. O meglio, il popolo c’era ma per la maggior
parte era quello che la mozzarella la conosceva sin troppo bene tanto da
contribuirne alla manifattura, al trasporto della materia prima,
all’allevamento dell’animale origine della suo siero. In parole povere, il
popolo partecipante alla sagra come da molti anni a questa parte, era
costituito quasi esclusivamente da allevatori, caseari, trasportatori del
latte della zona. Di residenti dei comuni limitrofi neanche l’ombra.
Ma come fare una colpa ai
“forestieri” se disdegnano la sagra nostrana per buttarsi a capofitto a
Sammichele ove la zampina (di cosa? Non lo si è mai capito!) regna sovrana, a
Noci tra pettole e castagne, a Putignano, a Locorotondo, a Turi, etc. Non è
colpa loro se la “benedetta dalle alte cariche dello Stato, Sagra della
Mozzarella di Gioia del Colle” la si organizza anno dopo anno, con un’ottusità
inaudita, intorno alla piazza del paese, concentrando in pochi metri quadrati
l’evento che più di altri dovrebbe essere simbolo identificativo della
cultura, del turismo e dei prodotti tipici gioiesi.
Non è colpa dello sventurato
forestiero se dopo decine di chilometri si ritrova schiacciato tra le persone
accalcate intorno ai pochi stand che circondano la piazza.
Non è colpa del turista se
giunto alla sagra trova ad accoglierlo un poco noto artista, con molto note
ristrettezze di repertorio, accompagnato da un tristemente noto presentatore.
Povero entusiasta ramingo in
terre gioiesi, che t’aspettavi l’evento dell’anno ed invece vorresti scappare
al più presto. Anche perché, effettivamente, dopo qualche minuto di
passeggiata intorno alla piazza, dopo due pestoni della calca, dopo aver perso
mezzora per assaggiare una mozzarella, contesa con i denti, la clava ed il
fetor d’ascelle dal troglodita che ti sta davanti, che sembra non mangi da
giorni, dopo aver cercato un punto silenzioso della piazza ove riposare le
orecchie da “zitelle” che non se ne può più, non ti resta che, sconsolato,
prendere la via di casa e scrivere “MAI PIU’” sul manifesto della “Sagra della
Mozzarella di Gioia del Colle” che capeggia la bacheca vicino al tuo portone.
Eppure, ad ogni cambio di
amministrazione si spera che qualcuno si accorga che c’è qualcosa che non va.
Che i turisti non vengono. Che i residenti la snobbano. Che sul palco si
inscena l’elogio della noia.
Si ha l’abitudine di osservare
con sorriso beffardo tutto ciò che va male intorno a noi. Sarebbe il momento
di iniziare anche a guardare ciò che c’è di buono fuori dalle nostre mura. Ed
in molti tra i gioiesi lo fanno. Poi ci si lamenta della scarsa vitalità delle
serate a Gioia.
Perché non prendere quel che
di buono si fa a Noci, ad esempio. Dove la sagra è una scusa per attirare
turisti da ogni dove e farli passeggiare tra un assaggio e l’altro lungo le
vie del centro storico che nulla ha da invidiare a quello gioiese. Lì, in
maniera un po’ più lungimirante, han capito che dislocare gli stand nei
vicoli, sotto gli archi, nei borghi, li fa apparire numerosi, stimola il
visitatore alla scoperta, crea la possibilità di inserire tra un percorso e
l’altro eventi di strada, artisti, gruppi musicali. A Sammichele hanno capito,
invece, che la loro risorsa è nell’artista di punta, in piazza, per tutti.
Così mentre a Gioia cantava Beppe Junior, il comitato della Sagra della
Zampina esponeva manifesti con Fiorella Mannoia e Gianluca Grignani. Erano più
coloro che guardavano i manifesti di quelli che erano rivolti verso il palco.
Qualcosa vorrà pur dire.
Se si utilizzasse l’intero
centro storico, come mirabilmente fatto per il Festival delle Arti e Gli
Artisti di Strada, per distribuire i vari stand, alternandoli a gruppi
musicali locali, a cabarettisti, giocolieri, etc. lasciando alla piazza
centrale esclusivamente il palco ove ospitare un artista con almeno tre brani
di repertorio e di questi uno inciso tra il 1900 ed il 2008, sarebbe già un
grande successo e la Sagra della Mozzarella potrebbe ambire a ben altre
prospettive.
Se poi, la mozzarella simbolo
di un territorio fosse la scusa per raccogliere, associare, promuovere tutta
una serie di prodotti tipici locali, per avvicinare giovani alle bellezze
storiche e culturali della città, per dare nuova luce ad un centro storico
antico e ricco di tradizioni, ad un castello che ad oggi non ha neanche una
guida, neanche un opuscolo in due lingue, ad un parco archeologico dove i
morti della necropoli sono più dei visitatori, ad un territorio che con
adeguati percorsi a piedi o in bici potrebbe essere mostrato durante i giorni
di sagra ai turisti ed ai forestieri in tutta la sua bellezza, allora sì che
cibo, cultura e territorio potranno davvero donar lustri ad una città coi
paraocchi, ove il bello è tenuto nascosto ai più.
Roberto Cazzolla
da Gioia News
Edilizia selvaggia ed
incendi, le piaghe del nostro territorio
Costruzioni inopportune ed incendi dolosi
stanno distruggendo il grande patrimonio naturalistico e culturale della città
di Gioia del Colle
23/07/2008
Colori sgargianti, terrazze
vetrate, piani rialzati in legno, tetti antichi rimossi, murature rivestite.
Sono alcune delle più incredibili brutture che giorno dopo giorno stanno
trasformando le abitazioni più vecchie del centro storico gioiese in
avveniristiche, ma altrettanto inopportune, abitazioni del futuro. Pugno
nell’occhio per chi osserva. Sfregio irrimediabile per chi ricorda il tempo in
cui le antiche abitazioni, le case padronali, reggevano il cielo sopra la
città. Tutt’intorno al castello che vide le gesta di Federico II, sorgono come
funghi dopo un acquazzone, orribili creature murarie frutto della spenta
fantasia di geometri ed ingegneri. Gli stessi che i lavori li decidono, li
appaltano, li commissionano, li regolamentano e li pongono in essere. Gli
stessi che passeggiano beati, come ridicoli apparenti intellettuali, lungo i
corridoi del Palazzo, lungo le vie cittadine, affermando ad ogni piè sospinto
il proprio interesse per il “bene comune”. Certo, solo però, se il “bene
comune” è appannaggio sempre degli stessi faccendieri che ora dopo ora, per il
solo interesse economico, riducono in briciole mura di storia, ammirevoli
sforzi dei passati sudori, fortezze di vita quotidiana, per lasciar posto a
nuovissime abitazioni che punteggiano sempre più fittamente un centro storico
ricco di leggende, che nessun lungimirante amministratore sino ad ora ha
saputo far fiorire.
Così, muore la storia, muore
la gente, muoiono gli ultimi anziani che ricordano un mondo, una città ed un
tempo diverso, dove ancora, almeno, c’era spazio e tempo per pensare, per
progettare, per decidere come costruire una città perché fosse elemento di
pregio per tutti, un motivo di vanto con i cittadini dei comuni vicini e non
di guadagno per pochi. E come se non bastasse, tali obbrobri stanno decimando,
in palese violazione della normativa europea denominata “Uccelli”, i nidi di
una delle specie più belle, eleganti e caratteristiche del nostro comune: il
Falco grillaio. Sembra che in pochi a Gioia ne conoscano l’esistenza, eppure
sono molti i turisti, soprattutto stranieri che arrivano in città con i
binocoli alla mano, per osservare una specie inserita nella Lista Rossa degli
animali da tutelare. E noi, invece, che facciamo? Distruggiamo i siti per la
loro nidificazione, distruggiamo i tetti antichi, chiudiamo vecchie aperture
nei muri, occludiamo le verande, poniamo reti e retine dinanzi a sottotetti.
Fuori la storia, fuori l’identità e fuori anche i Grillai.
Ma tanto di piaghe, qui a
Gioia, ce n’è più d’una. E’ iniziata come peggio non poteva la “stagione degli
incendi”. E' divampato nel pomeriggio del 12 luglio ed ha richiesto
l’intervento delle forze della Protezione Civile, dei Vigili del Fuoco con 3
mezzi aerei e del Corpo Forestale dello Stato, un disastroso incendio lungo la
fascia boscata tra Gioia del Colle e San Basilio. Proprio quella risparmiata e
salvata dalle fiamme dell'estate dello scorso anno. In quell'occasione, buona
parte dei boschi adiacenti a Gravina S. Croce andò distrutta ed in tempi non
sospetti fu lanciato l'allarme del pericolo speculazione su un'area che tanto
fa gola ad imprenditori, costruttori edili, amministrazioni e proprietari
terrieri. Oggi, la sistematicità e la precisione con la quale è divampato
l'incendio, non lascia dubbi all'ipotesi dolosa e conferma le preoccupazioni
inascoltate lanciate la scorsa estate. Il fuoco sembra essere stato appiccato
in più punti, nei pressi di Casino del Duca sulla strada provinciale 23, in
direzione Castellaneta. Il perimetro del fuoco è, incredibilmente, quello
della parte boscata ad altissimo valore ecologico, che lo scorso anno fu
risparmiata dalle fiamme. Basta osservare la cartina che alleghiamo a questo
comunicato stampa per rendersene conto. Tale aspetto inquitante non lascia
dubbi sulla volontà di qualcuno di radere al suolo boschi inseriti all'interno
di ben due Siti d'Interesse Comunitari (SIC) ed in Zone di
Protezione Speciale. Forse gli interessi edilizi e commerciali, forse i
vincoli per pastori e agricoltori o forse ragioni che sfuggono alla ragione
hanno spinto la mano di qualcuno a distruggere sistematicamente, anno dopo
anno, una delle aree più belle del nostro territorio ove ancora sopravvivono
specie rare, come il Cerambice delle Querce, i coleotteri del genere Lucanus,
numerose Orchidee, l'Arum apulum, etc. Ora, invece resta solo cenere, frutto
dell'ignava ingordigia umana, della dilagante ignoranza e dell'impunità di cui
gode molto spesso chi devasta interi territori in cambio di favori o
concessioni. L'epilogo di una vicenda assurda e scandalosa è arrivato oggi.
Quella che, soltanto lo scorso
anno, sembrava solo un’esagerata provocazione si è concretizza. Ciò che
restava è andato via. Tornerà. La Natura ritorna sempre. Ma lo farà fra decine
d'anni, forse quando un uomo migliore sarà pronto ad accoglierla ed a
rispettarla. Forse quando qualcuno, avvisato per tempo dai "catastrofici
ambientalisti" farà davvero qualcosa. Agirà per far ciò per cui viene pagato.
Smetterà di poltrire sotto la dolce ala protettrice della legge che punisce
severamente chi sbaglia inavvertitamente e coccola, incentiva, promuove chi
sistematicamente compie gravissimi reati contro l'umanità e l’ambiente.
In due estati abbiamo, tutti,
perso un pezzo di noi stessi. Un territorio che si poteva salvare, che si
poteva tutelare. Un territorio che si voluto far distruggere.
Sfiorata la strage in spiaggia,
paura per un aereo militare partito da Gioia
Ancora polemiche per i voli militari pericolosi
per i civili
26/06/2008
Era partito dalla base
militare di Gioia del Colle l’Eurofighter che martedì pomeriggio ha rischiato
di uccidere decine di bagnanti che trascorrevano tranquillamente il pomeriggio
sulla spiaggia di San Vito a Taranto. Una strage sfiorata. Un volo militare
ancora una volta minaccia i civili. Ma in Italia non siamo in guerra. O forse
no? Due o tre piroette a 15-20 metri dagli ombrelloni, raccontano i bagnanti,
poi un grande vortice d’aria, decine di ombrelloni sradicati e diretti
violentemente contro i bagnanti; sdraio ribaltate; panico alle stelle ed una
bambina ferita ad una mano. “Sembrava stesse precipitando sulla spiaggia –
raccontano – poi all’improvviso ha ripreso quota”. Per qualche minuto si è
temuto il peggio.
Non sarebbe stato il primo
incidente simile. Non sarà di certo l’ultimo episodio simile. Vicenda assurda.
Scandalosa. Come può un velivolo militare compiere voli su di una spiaggia
frequentata? Come può roteare, piroettare come un aquilone della morte sulla
gente che fa il bagno? E’ già a dir poco vergognoso che ogni giorno i
cittadini gioiesi debbano sentirsi rombare nelle orecchie decine di decibel di
fastidiosissimo rumore prodotto dai motori di scatolette volanti osannate e
celebrate come splendidi esempi aviari, che rischiano di compiere una tragedia
quando meno te lo aspetti. E’ già a dir poco vergognoso che ogni giorno i
cittadini di Gioia del Colle e dei comuni limitrofi debbano ricevere dall’alto
tonnellate di gas di scarico, sostanze tossiche e cancerogene prodotte in
quantità enormi (come se circolassero sulla nostra testa migliaia di auto
concentrate in un solo volo). E’ gia a dir poco vergognoso che si continui a
permettere allo strapotente e strafottente corpo militare di prendere quota in
linea d’aria con le abitazioni e di atterrare sfiorando a pochi metri le
villette di campagna. E’ già a dir poco scandaloso che per ogni volo di
esercitazione si spendano circa 3-4 mila euro di soldi pubblici pagati dai
cittadini allo Stato, che finanziano prove future di guerre e bombardamenti.
E’ già a dir poco vergognoso vivere in una città militarizzata il cui livello
di inquinamento atmosferico ed acustico non è mai stato verificato per non
mettere in imbarazzo il 36° stormo. E’ già a dir poco vergognoso sobbalzare
d’improvviso dalla poltrona di casa per il fortissimo rumore di un aereo, col
timore di un conflitto o di un incidente. E’ già a dir poco vergognoso vivere
in una città dove il reale pericolo che uno di quei voli di “esercitazione”
precipiti non è mai stato portato a pubblica conoscenza.
Ma ora, che una bambina sia
stata ferita da un aereo militare partito dalla base di Gioia del Colle, che
una vera tragedia sia stata sfiorata per puro caso, è davvero troppo. E’ una
vergogna ed un fatto gravissimo, che non deve passare inosservato e finire
presto nel cestino del dimenticatoio. Come cittadino gioiese mi sento offeso
ed in colpa nei confronti di quella gente distesa tranquillamente al mare. Mi
sento indignato per tutte quelle popolazioni “colpite” dai voli per “conflitti
di pace”, per missioni di “sostegno all’estero”. Mi sento mortificato per le
decine di vittime dell’assurdo gioco che l’uomo chiama “guerra”.
Mai più, deve accadere una
cosa simile. Mai più un civile deve essere direttamente o indirettamente
vittima degli inquinanti, dispendiosi e pericolosi “giochi sulla testa della
gente”. Volino gli uccelli, volino gli aquiloni, cadano le stelle, ma gli
aerei militari lascino in pace la nostra Terra.
In segno di protesta e
solidarietà con tutte le persone vittime dirette o indirette delle azioni
militari, consegnerò al Sindaco di Gioia del Colle, una lettere simbolica di
rinuncia all’appartenenza alla città di Gioia del Colle, sino a quando i voli
dell’Aeroporto Militare non smetteranno di mettere in pericolo la gente. Gioia
non ha bisogno dell’Aeroporto Militare per essere conosciuta nel mondo.
Non pretendo che anche voi,
cittadini, facciate lo stesso. Vorrei solo che di tutto questo, siate almeno
un pochino schifati!
Roberto Cazzolla
Quei tavoli all’aperto: da restrizione ad
opportunità
Polemiche sulle concessioni. Risponde
l’Assessore Tommaso Donvito e sorge una proposta
24/06/2008
Non sarà la solita estate.
Almeno non per tutti. Molti bar e pizzerie gioiesi rischiano di vedersi negata
l’autorizzazione alla sistemazione di sedie e tavolini all’esterno per dar
ricetto agli accaldati cittadini ed ai turisti a zonzo. La speranza per i
commercianti che ancora non hanno ricevuto, da parte dell’Ufficio Igiene, la
DIA (dichiarazione di inizio attività), documento necessario per l’avvio degli
spazi ristoro all’aperto, viene dal nuovo regolamento per la “somministrazione
di alimenti e bevande” che, secondo l’Assessore al cittadino ed alla Polizia
Municipale, dr. Tommaso Donvito: “Dovrebbe essere realizzato entro fine
settimana”. “Il problema, però – continua l’ass. Donvito – è che l’ordinanza
vigente del Ministero della Salute (3 aprile 2002), autorizza gli spazi
all’aperto solo a quegli esercizi che sono direttamente collegati al luogo ove
presenti i tavoli. Questo crea problemi di interpretazione, poiché non si può
ben definire cosa voglia dire ‘direttamente collegati’. I problemi principali
sono legati alla Medicina del Lavoro ed all’Igiene. E’ innanzitutto l’Ufficio
Igiene che rilascia la DIA, poi Ufficio del Commercio ed Ufficio traffico
possono procedere con l’autorizzazione”. Ma ciò che più preoccupa i
commercianti è l’eventualità che in alcune situazioni tale autorizzazione
possa non essere rilasciata. “Se vogliamo essere più liberali dobbiamo trovare
degli escamotage, come far coprire i vassoi con campane di vetro per evitare
la contaminazione dei cibi durante il trasporto all’esterno. Rimane, però, il
problema della sicurezza sul lavoro. Se, ad esempio, un cameriere mentre
attraversa una strada per servire i clienti ai tavoli viene investito, come si
potrà giustificare la situazione all’Ispettorato del Lavoro che interviene in
questi casi?”.
Effettivamente il problema
sicurezza è ciò che più in questi giorni tiene banco nelle sedi mediatiche ed
anche il mondo politico si adegua per evitare spiacevoli ed a volte, tragiche,
situazioni. Il compromesso, però, tra il rispetto della legge, la sicurezza
dei lavoratori e la rivalorizzazione dei luoghi storici e dei quartieri
comunali deve essere raggiunto, altrimenti si rischia di disincentivare il
turismo e si assopisce la vitalità estiva della città. “La domanda, un po’
provocatoria che io rivolgo – prosegue l’assessore – è questa: posso io
mettere la sicurezza delle persone dopo il guadagno di un esercizio
commerciale? Nel centro storico non ci saranno grandi problemi per bar e
pizzerie all’aperto perché il traffico veicolare è ridotto. Stiamo cercando,
come amministrazione, di non bloccare gli esercizi e rendere vivo il centro
storico”.
A partire
dall’ufficializzazione del nuovo regolamento comunale, dunque, molti
commercianti vedranno risolti i loro problemi autorizzativi ma, in alcuni
casi, l’apertura di spazi all’esterno dei locali sarà vietata a causa di
marciapiedi stretti, passaggi ostruiti e strade troppo trafficate che dividono
l’esercizio dai tavoli all’aperto. Certo, ancora più provocatoriamente, si
potrebbe lanciare l’idea alla nuova amministrazione di bloccare per i due mesi
estivi di agosto e settembre il traffico veicolare all’interno del centro
storico e su alcune strade che lo circondano. Magari soltanto nel week-end ed
autorizzare la vendita all’esterno in quelle giornate, in cui oltre a gustare
un gelato all’aperto si eviterebbe di inalare inverosimili nefandezze prodotte
dai tubi di scappamento. Perché, se può apparire un escamotage coprire i
vassoi con campane in vetro, non si può ignorare quante polveri sottili e
quanti composti chimici pericolosi, il cittadino o il turista inala sedendo
tranquillamente all’ombra di un gazebo da bar. Ed allora, piuttosto che
aggirare il problema, perché non chiudere al traffico tutti i sabato e le
domeniche estive, donando aria meno inquinata alla gente e possibilità di
consumazione all’aperto anche per quei locali che non hanno la fortuna di
avere dinanzi un ampio marciapiede o una stradina poco trafficata del centro
storico? Chissà, magari questo farebbe la felicità di molti e renderebbe Gioia
il primo Comune a traffico zero. Almeno nel fine settimana. Almeno nel centro
urbano. Comunque è pur sempre un inizio.
Chissà, magari arriverebbero
più turisti anche da Comuni limitrofi. Perlomeno attirati dall’aria più pulita
e dai molti bar e pizzerie “al fresco”.
Chissà, magari si potrebbero
creare delle mostre per tutto il centro storico, delle sagre con percorsi
enogastronomici, delle feste di quartiere e riportare un po’ di vita in una
città con enormi prospettive turistiche, bloccata, spesso come in questo caso,
dalla dilagante ed a volte ridicola burocrazia.
Magari, chissà, stavolta è la
volta buona.
Roberto Cazzolla
da Gioia News
Arriva l’estate: tutelare l’ambiente di mare,
boschi e città
Ognuno è chiamato al rispetto dei luoghi di
villeggiatura
24/06/2008
Come ogni estate che si
rispetti si avvicina il momento di decidere dove trascorrere le proprie
meritate ferie. Spesso la scelta cade sulle località marittime, ma c’è chi
decide di trovare la pace dei sensi nei boschi di montagna o nella villetta in
campagna. Altri per evitare il classico stress da vacanza o scongiurare i
prezzi esagerati di un posto in spiaggia, scelgono di restare in città.
Molti gioiesi sono già intenti
ad organizzare le proprie vacanze ma, insieme ai diritti che ognuno richiede a
gran voce, è necessario non dimenticare alcune buone regole civiche ed i
doveri che ogni cittadino ha nei confronti dei luoghi di villeggiatura scelti.
Se la meta prescelta è il
mare sarà bene ricordarsi che le località più gettonate sono anche quelle
dove insiste un più alto impatto ambientale e dove la pressione turistica,
specie se si tratta di mete esotiche, rischia di rovinare il delicatissimo
equilibrio di quei luoghi. Quindi meglio una meta non troppo frequentata. E’
importantissimo evitare qualunque azione che possa danneggiare l’ambiente che
abbiamo scelto di utilizzare momentaneamente come luogo di svago. Oltre alle
ovvie raccomandazioni di non lasciate rifiuti in spiaggia (accade soprattutto
dopo i falò notturni) e di realizzare la raccolta differenziata (se il Comune
dove siete in vacanza non ha predisposto i bidoni, recapitate direttamente al
sindaco i sacchi differenziati e chiedetegli di avviare la raccolta), bisogna
ricordare che uno stile di vita sobrio (anche in vacanza) ci permetterà di
poter godere di quei posti da sogno ancora per molti anni. Quindi, evitare di
consumare acqua confezionata e cibi avvolti in numerosi imballaggi, magari
utilizzando fontane pubbliche con acqua potabile e consumando le prelibatezze
locali; non danneggiare la fauna marina del posto (pesci pescati e lasciati
agonizzanti sulla spiaggia o ributtati mezzi morti in acqua non fanno di voi
dei gran turisti rispettosi); lasciare in pace le meduse che, anche se pescate
con retini e simili continueranno a proliferare nei nostri mari sempre più
caldi se, quando torniamo a casa, accendiamo per ore a manetta i
condizionatori o ci spostiamo per chilometri in auto invece di privilegiare i
ventilatori a pale, il treno o i mezzi pubblici. Se scegliamo di andare al
ristorante sarà meglio evitare di ordinare pesci come tonno, nasello, salmone,
orata, merluzzo e scorfano o scampi, gamberetti, cozze e calamari che
subiscono pesantemente gli effetti dell’overfishing (pesca oltre i limiti
sopportabili dalla popolazione naturale) privilegiando sgombri, aringhe e
carpe. Utili accorgimenti in spiaggia sono quelli di evitare di spalmarsi
creme solari poco prima di entrare in acqua e di rimuoverle con un telo se la
pelle non le ha ancora assorbite (non vorrete mica far il bagno nel mar
morto?) e di non fare docce a mare con shampoo e bagnoschiuma che tornano ad
inquinare la costa (basta sciacquarsi e poi utilizzare a casa saponi, meglio
se naturali e biodegradabili).
Per chi sceglie le vacanze in
montagna o in campagna diventa d’obbligo stare molto attenti a
segnalare eventuali incendi, appiccati di frequente in questi giorni, al 1515
del CFS. I boschi gioiesi spesso vengono carbonizzati da ritardi di
segnalazione ed intervento. Un minuto prima e decine di ettari possono essere
salvati. In campagna e durante le passeggiate evitate di danneggiare i muretti
a secco (senza i quali le nostre terre sarebbero aride come deserti) ed
evitate di raccogliere piante o animali che dopo poco seccano o muoiono.
La città, in estate può
riservare piacevoli sorprese a patto che si eviti lo spreco di acqua potabile,
l’accumulo di rifiuti non differenziati e l’utilizzo eccessivo di
refrigeratori d’aria che, paradossalmente, tanto contribuiscono al
riscaldamento del pianeta.
Se poi si privilegiano cibi
freschi, frutta e verdura locali e si sceglie di trascorrere momenti
rilassanti pedalando tra le stradine ed i luoghi fantastici, ma quasi del
tutto sconosciuti, che circondano la nostra città, allora sì che potremmo dire
di aver trascorso una piacevole estate consapevoli di aver contribuito
affinché noi ed altri dopo di noi possano godere di quei luoghi di
villeggiatura nei prossimi anni, ovunque essi si trovino.
Ah, per ultimo, non si arresta
mai il vergognoso fenomeno degli abbandoni di animali domestici in questi
mesi. Non ci sono parole per definire gli autori di questi comportamenti ed
oltre a ricordare ai “simpatici nemici della vita” con una scatola cranica
sproporzionata rispetto al loro minuscolo cervello che da qualche anno le pene
per gli abbandoni si sono inasprite e prevedono anche il carcere, esiste il
sito
www.dogwelcome.com che raccoglie tutte le informazioni ed i luoghi dove è
ben accetta la presenza di animali domestici in vacanza. Consultarlo prima
di…uccidere!
Inoltre, se trovate un animale
selvatico ferito o disorientato o volete segnalare un reato ambientale potete
contattare il numero WWF d’emergenza 3381018014, scrivere una e-mail a
wwfgioiadelcolle@virgilio.it oppure raggiungerci in sede in via Orsini
15/E.
Buone vacanze!!!
Parte a Gioia la raccolta solidale
dell’alluminio
Gli attivisti della WWF ed i cittadini saranno impegnati nella raccolta del
prezioso materiale
28/05/2008
E’ ora di
finirla col dare la colpa agli altri delle cose che non vanno. Basta con la
politica del “no a tutto” e poi? Diceva il Mahatma Gandhi: “Sii tu il
cambiamento che vuoi vedere nel mondo” e così, sulla scorta di questo profondo
adagio, la sezione locale del WWF di Gioia del Colle ed Acquaviva delle Fonti
dà il via alla raccolta differenziata dell’alluminio. Niente più lattine nel
bidone generico. Scatolette, pellicole, vaschette in alluminio d’ora in avanti
a Gioia avranno nuova vita.
Per dimostrare
che davvero, se solo volessimo, tutto può essere riciclato. Per affermare che
non basta lamentarsi di ciò che non ci sta bene e che è necessario agire
perché le cose inizino ad andare meglio. Parte, dunque, ufficialmente da
questo mese il progetto “Raccolta Solidale”.
E’ un progetto
che coinvolge il mondo del volontariato nella
raccolta differenziata dell’Alluminio.
Raccolta Solidale nasce nel 2003 e da allora tantissime
Organizzazioni Non Profit, Associazioni di
Volontariato o Cooperative Sociali hanno aderito, promuovendo
la raccolta degli imballaggi in Alluminio sul proprio territorio.
L’alluminio può essere riciclato infinite
volte e al 100%. Riciclando l’alluminio
si risparmia materia ed energia. Col riciclo di questo
preziosissimo materiale si risparmia circa il 95% dell’energia necessaria per
produrlo dalla sua materia prima: la bauxite. Questo vuol dire meno emissioni
di gas serra, meno montagne perforate, cittadini più sensibili alla riduzione
degli sprechi di imballaggi ed un nuovo modo di concepire l’ecologia. Con la
raccolta differenziata, lattine per bevande, vaschette e fogli di alluminio,
bombolette spray, scatolette per il cibo, tubetti e tappi a vite possono
essere riciclati e diventare nuovi oggetti d’uso comune. Perché l’alluminio ha
infinite vite e ogni volta rinasce e si trasforma senza perdere nessuna delle
sue caratteristiche principali. La sezione locale del WWF ha stipulato una
convenzione col consorzio CiAl (Consorzio Imballaggi Alluminio) per la
raccolta differenziata di questo rifiuto, spesso di scarso interesse economico
per le aziende municipalizzate o private. In questi giorni i volontari della
sezione WWF stanno distribuendo a bar, pizzerie e locali della città i
bidoncini per la raccolta dell’alluminio. Settimanalmente gli attivisti
provvederanno al loro svuotamento e depositeranno i sacchi raccolti presso un
locale messo gentilmente a disposizione dalla Spes di Gioia, dal quale
periodicamente
saranno ritirati dal consorzio.
Inoltre, sarà
posizionato nei pressi di P.zza Plebiscito un ulteriore bidone per la
raccolta. I cittadini potranno differenziare tutti i rifiuti in alluminio e
riporli nel giusto contenitore, consapevoli di fornire un ottimo servizio
all’ambiente e di contrastare con atti concreti il proliferare di rifiuti
indifferenziati e di conseguenza la necessità di nuove discariche ed
inceneritori. Il problema rifiuti si combatte con la raccolta differenziata.
Gli altri sistemi, è ormai chiaro, sono solo degli interessati progetti
momentanei per tamponare emergenze ed ingrassare le tasche di mafiosi ed
imprenditori.
Per questo, a
breve sarà fornita la lista di quelle attività commerciali che hanno accettato
di aderire al progetto del WWF posizionando il bidone per la raccolta nel
proprio esercizio, così da spingere anche il mondo economico a considerare la
tutela ed il rispetto dell’ambiente una risorsa in più in grado di garantire
pubblicità e nuove prospettive. Tutti i titolari di pub, bar, pizzerie, mense,
etc. che desiderano aderire al progetto possono contattare il WWF (sede in via
Orsini, 15/E). A breve saranno diffuse anche le modalità di partecipazione ad
un concorso a premi destinato agli esercizi commerciali ed ai cittadini che
garantiranno una buona raccolta con in palio biciclette, caffettiere, pentole,
etc. realizzati in alluminio riciclato dallo stesso consorzio CiAl.
Ora tocca solo
ai gioiesi dimostrare che quel 21% di raccolta differenziata (la percentuale
più alta dell’intero Ato BA5) raggiunto con grande merito negli scorsi mesi è
quota irrisoria se paragonata alla potenziale percentuale di raccolta
differenziata che si raggiungerebbe con i dovuti servizi (raccolta porta a
porta o di quartiere) ed i meritati incentivi (riduzione od eliminazione della
TARSU).
Gioia invasa dall’amianto, nessuno provvede
alla bonifica
Decine di segnalazioni di discariche abusive. I
cittadini preoccupati chiedono aiuto
E’ come se una pestilenziale
minaccia stesse circondando il nucleo urbano col suo inarrestabile contagio.
Eppure da tempo si è accertata la sua pericolosità. Se ne conoscono gli
effetti. Mesotelioma polmonare, asbestosi, solo per citarne alcuni. Eppure c’è
chi rischia di ammalarsi inconsapevole del pericolo. C’è chi a due passi
coltiva pomodori, chi trascorre le vacanza con la famiglia, chi, convinto
della salubrità campestre, sceglie le vie rurali per una passeggiata od un po’
di footing. Ignara vittima dell’incuranza umana. Esimio emblema delle
ritorsioni sulla salute dell’inquinamento, di qualunque fonte esso sia
conseguenza.
Così fioccano oramai
innumerevoli segnalazioni di contadini, operai, villeggianti, residenti
costretti a convivere con uno dei più assurdi mali dell’era industriale: la
minacciosa fibra d’asbesto. Per dirla chiara, quella minuscola particella che
sgretolandosi dalle vecchie tettoie in eternit può penetrare nelle vie
respiratorie sino al livello dei bronchioli e causare alcune patologie
infiammatorie croniche e tumorali che, talvolta, portano anche alla morte. La
stessa messa al bando ma ancora in libera circolazione. Così accade che un
uomo sulla settantina, disperato, ti porta a verificare con i tuoi occhi ciò
che, nel giro di una notte, hanno depositato all’ingresso del suo campo.
Decine e decine di lastre in amianto, sgretolate, spezzettate. Quando soffia
un flebile alito di vento dalle tettoie incautamente, criminalmente,
abbandonate si alza una nuvola di micropolveri cancerogene e spira
diffondendosi nell’aere a più non posso. Arriva nei villini affianco, e chissà
dove altro. Se non trova alcun naso, stavolta, è andata bene ma la prossima?
Proseguiamo lungo la ex strada vicinale del Corvello, ora via Matera,
all’altezza dell’attraversamento dei canali dell’Acquedotto Pugliese “Sinni e
Pertusillo” (fogli catastali 66-78), lato destro da Gioia verso Matera ed
anche lato sinistro nei presi dell’affioramento delle tubazioni
dell’Acquedotto. Qui, una barriera di amianto accoglie la nefasta scampagnata.
Un tour degli orrori che sembra non finire mai. “Eppure – dichiara esasperato
l’anziano contadino - più volte abbiamo segnalato la presenza dell’eternit ma
nessuno ha preso provvedimenti. Possibile che io vengo in campagna per passare
un po’ di tempo, sistemare l’orto e sono costretto a respirare queste polveri.
Qui c’è gente che viene in vacanza l’estate e porta anche i bambini. Il
rischio che si ammalino è serio”.
Così serio che le stime di
vittime dell’amianto sono in continua crescita. Nascono ogni anno associazioni
in difesa dei lavoratori e dei cittadini ma, gli abbandoni abusivi nelle
campagne non sembrano calare. In molti scelgono la via più rapida ed economica
per disfarsi della vecchia tettoia, ignorando le pesanti sanzioni a carico di
chi abbandona quello che ormai, nella classificazione nazionale (L. 22/97), è
stato definito un “rifiuto speciale pericoloso”. O forse, in molti sanno che
nessuno controlla e certi di non essere colti in flagranza depositano ad
altrui destino il frutto di anni di pericolo sottovalutato, di decessi
insospettabili, di menzogne affaristiche e di controlli sempre scarsi. Ma poi
alla fine chi paga è sempre la “brava gente”, quella che magari per fare le
cose a norma di legge ha speso mille o duemila euro per smaltire e bonificare
l’amianto sul tetto di casa, e si ritrova in giardino, come lascito, un nuovo
pezzo d’infernale materiale.
Accade lo stesso lungo la
strada vicinale Nardulli, che congiunge località Piscina Grande a via
Vicinale del Medico, (foglio catastale 20), ed in strada vicinale del
Bambino, nei pressi del binario ferroviario (foglio catastale 28,
particella 121). Lì, sono state rinvenute discariche illecite di rifiuti
speciali pericolosi di vasta superficie, tra le quali si trovano in prevalenza
lastre in amianto (eternit), spesso già frantumato ed in polvere. La quantità
è tale da costituire un serio pericolo sanitario per i proprietari dei campi
circostanti ed i residenti del luogo. In alcuni casi le lastre ostruiscono
l’accesso ai campi ed alle abitazioni. La contaminazione è così seria che
anche Vincenzo Lamanna, Consigliere di quartiere, neo eletto
vice presidente del Consiglio Comunale ha dichiarato: “Ho incontrato
personalmente, in qualità di consigliere di quartiere, i rappresentanti del
comitato di via Tarantini, i quali mi hanno sottoposto la presenza di
eternit nella loro zona. Tale segnalazione, sembra essere nota alle autorità
competenti (Sindaco, Polizia Municipale, A.U.S.L. BA/5, Nucleo Operativo
Ecologico dei Carabinieri) sin dal lontano 2005”. Eppure l’amianto è ancora lì
cosi come in tutte le altre zone. In attesa che qualcuno lo rimuova…nella
speranza che qualcuno ancora una volta, di amianto, non ci muoia! Allora sì
che farà notizia. Sarà però, di nuovo, troppo tardi.
Un sindaco da eleggere per un territorio da
tutelare
Vademecum socio-ambientale per la prossima
amministrazione
Appare ancora troppo banale
preoccuparsi di tutelare l’ambiente e di promuovere il territorio nell’epoca
delle grandi guerre, della fame dilagante, della minaccia nucleare, della
lotta ai tumori e del disagio sociale. Ma, non ci si accorge che tutte queste
problematiche sono strettamente interconnesse con la salute dell’ambiente in
cui viviamo ed è proprio il luogo che forma la nostra casa o eco, dal greco
oikòs, ad essere nell’ultimo secolo minacciato ed a sua volta grande
minaccia per l’umanità. Così fa sorridere molti la preoccupazione dell’effetto
serra, senza pensare che i campi aridi sulla via per Castellaneta o i mandorli
infruttiferi nelle campagne di Montursi sono l’ovvia conseguenza di un
problema che ci appare distante ed effimero. Questo è, anzi, insieme ad altri
un serio aspetto della vita quotidiana e di quell’economia, gestione della
casa, strettamente collegata all’ecologia, ragionamento su come gestire la
casa. Allora come amministrare le faccende di casa nostra, che poi è la casa
di centinaia di altre specie che stiamo sterminando giorno dopo giorno?
La prima azione utile è la
pianificazione locale. Perché se è vero che i problemi su scala globale
appaiono vasti ed irrisolvibili, c’è da ricordarsi che la Terra è formata da
insiemi di milioni di territori amministrati più o meno peggio da sei miliardi
e qualcosa più di animali umani. Appare, dunque, opportuno che le
amministrazioni d’ora in avanti adottino per tutelare i propri cittadini e per
garantire davvero benessere sociale, una serie di misure atte a salvaguardare
la “casa”, il luogo dove queste persone abitano.
Le prossime elezioni nazionali
e locali rappresentano una grande occasione ma, potrebbero tramutarsi
nell’ennesimo fallimento storico e questo dipende solo dalle scelte
amministrative di che siederà nel “palazzo dei bottoni”.
Come cittadini onesti possiamo
fare la nostra parte votando coloro che riteniamo possano darci garanzie di
affidabilità, serietà, voglia di cambiare ma, sono proprio i candidati a dover
dare dimostrazione della loro reale volontà di migliorare le cose.
Gioia del Colle sta vivendo,
nella sordina generale, uno dei più tristi momenti della sua storia in
particolare dal punto di vista dell’amministrazione del territorio. Si stanno
compiendo sotto gli occhi indifferenti di molti degli organi che dovrebbero
tutelare il territorio, decine di reati ambientali dallo spietramento della
Murgia al bracconaggio, dal disboscamento all’abusivismo edilizio. Tutto
questo perché non vi è una forte azione di repressione e regolamentazione
degli interventi e per il vergognoso modo di agire, combattuti tra il “favore
all’amico” ed il “chiudiamo un occhio”.
Ecco perché il nuovo sindaco
si ritroverà a dover gestire una difficile situazione che, probabilmente,
impegnerà buona parte del suo tempo.
Per ordine d’importanza vi è
la gesione degli scarichi delle acque reflue che stranamente, col benestare
dell’Ufficio Tecnico e nonostante si tratti di un’operazione vitatissima dalla
legge, vengono riversate tutt’ora nella falda. Si dovrà assolutamente cercare
una soluzione alternativa, come lo spandimento superficiale dopo depurazione o
il convogliamento a mare. Altrimenti ce ne saranno di campi annaffiati con i
metalli pesanti provenienti dai pozzi artesiani. Poi non c’è da lamentarsi per
l’aumento di tumori.
Di non minore importanza sarà
la redazione di un adeguato PUG (Piano Urbanistico Generale) che regolamenti
lo scempio che sino ad ora, ed anche grazie ai falsi paladini della lealtà, si
è compiuto con nuove costruzioni e complessi residenziali. Crescere e
svilupparsi, non è sinonimo di benessere ma, paradossalmente, di un malessere
diffuso. Se stai bene che bisogno hai di svilupparti.
Di sicuro 6000 nuovi vani
previsti dalla bozza del PUG non porteranno benessere ma, periferie
abbandonate, cementificazione inarrestabile ed espansione incontrollata.
Quindi, consapevoli del fatto che l’espansione edilizia giova solo ai politici
affaristi ed ai costruttori “amici”, è necessario che il nuovo PUG blocchi
l’espansione dei suoli edificabili e riporti dignità agli ambienti ed ai
palazzi esistenti, riconsegnando ai lustri che merita il centro storico,
vittima recente dell’affaristico obbrobrio architettonico dei geometri
nostrani. Nuovo valore grazie alle mostre, alle sagre ed agli eventi. Nuova
vita grazie ai circoli ed alle associazioni. Una buona cosa sarebbe quella di
creare dei centri ricreativi per anziani e dei luoghi d’incontro per i
giovani.
Ma ciò che di certo, il nuovo
sindaco non potrà tralasciare, sarà la gestione sostenibile del grande
patrimonio naturale e paesaggistico che Gioia, rispetto ai Comuni limitrofi,
possiede in abbondanza.
Territori straordinari,
sconosciuti ai più, che anno dopo anno vengono cancellati dalle ruspe e dalle
motoseghe, dai diserbanti e dal cemento. Un tesoro inestimabile che potrebbe
creare centinaia di posti di lavoro tra turismo sostenibile, visite guidate e
piani di gestione. Gravine, grotte, lame, masserie e zone archeologiche
potrebbero rappresentare l’occasione di riscatto della politica del “voler
fare” rispetto alla politica che ha governato in questi ultimi anni del “voler
speculare”. Un censimento delle aree, un piano di gestione, una rete
sentieristica, pacchetti turistici, guide naturalistiche e visitatori a go-go.
La formula perfetta per cambiare. Così si crea occupazione, si tutelano i
territori, si realizza conoscenza ed aumenta il flusso economico. Ma se
invece, la nuova amministrazione deciderà che nuove strade, nuovi palazzi e
nuove industrie dovranno schiacciare per sempre un tesoro che la Natura
concede gratuitamente a tutta la città, allora i politici e gli imprenditori,
come al solito, si ritroveranno con le tasche piene ed i cittadini con i
soliti problemi.
Altro aspetto è quello
dell’ecologia urbana (verde pubblico, rifiuti e traffico). Per questo sarà
necessaria una presa di posizione seria, che tuteli il verde già presente e
promuova lo sviluppo di nuovi spazi alberati (ad esempio mediante
l’applicazione della legge “un albero per ogni nuovo nato” che tutti i sindaci
fanno finta di dimenticare). Per la gestione dei rifiuti è fondamentale un
piano di gestione e l’avviamento della raccolta differenziata di quartiere o
porta a porta, con l’attivazione del recupero del rifiuto organico e
dell’alluminio. E’ indispensabile, quindi, un maggior controllo dell’operato
della Spes con l’imposizione (visto che l’80% dell’azienda è capitale
pubblico) di misure adeguate al funzionamento del servizio.
L’incentivo dell’utilizzo
della bicicletta mediante la realizzazione di piste ciclabili, giornate a tema
ed il divieto di circolazione per i Suv nel centro urbano e per tutte le auto
nel centro storico potrebbero fare della nuova amministrazione, l’esempio
della “buona politica” e ridare ai cittadini quel briciolo di fiducia nelle
amministrazioni che, ormai, si è nascosto sotto il tappeto dello sdegno.
Se poi si associa il controllo
costante e pubblico dell’elettrosmog e degli inquinanti atmosferici, un
regolamento per vietare il sorvolo del centro urbano agli aerei militari, un
piano per l’incentivo dei pannelli solari e fotovoltaici e delle costruzioni
ad efficienza energetica (mediante un innovativo regolamento edilizio), si
attiva l’utilizzo obbligatorio in tutti gli uffici pubblici di carta riciclata
e si apre uno sportello comunale per la tutela degli animali (che risolva
finalmente il problema del randagismo) con un veterinario comunale a
disposizione degli animali feriti, sembrerà di abitare nel paese di Utopia,
dove i politici sono al servizio dei cittadini e non il contrario. Dove chi
amministra lo fa per il benessere della gente. Dove il benessere della gente
si traduce in tutela dell’ambiente. Dove tutela dell’ambiente vuol dire
ricchezza delle popolazioni.
Ma non illudiamoci…prima delle
elezioni son tutti
socio-eco-peace-love-humanity-ambientalisti-animalisti-anzianisti-giovanisti-occupazionisti-sostenibilisti.
Il problema viene dopo, una volta seduti sulla gran poltrona. Quindi è meglio
non credere alla favola del paese Utopia e se poi, un bel giorno, ci
accorgeremo che quel segno sulla scheda ci ha reso gli abitanti di una città
nuova, piena di vita e di idee, allora sì che saremo certi che la politica è
cambiata. Speriamo bene e cari politici, bando alle ciancie ed occhio ai veri
problemi della città.
Ah, a proposito, in questi
giorni il WWF sottoporrà ai candidati sindaci un questionario sulle politiche
ambientali e sociali che intendono adottare nel caso vengano eletti. I
risultati del questionari saranno resi pubblici durante la prima settimana di
Aprile. Così nessuno potrà dire “quando ho votato, non lo sapevo”.
Roberto Cazzolla
da Gioia News
A pochi chilometri dal centro vaste aree della
Murgia completamente distrutte
Gli assassini del paesaggio fra reati e
connivenze
L’area spietrata è solo l’ultima di un’infinita
serie di violazioni impunite
Una, dieci, cento
violazioni. Disboscamenti, discariche abusive, rifiuti speciali, dissodamenti,
spietramenti, diserbanti, pascoli incontrollati, lame ostruite, pozzi
avvelenati. Così si sgretola l’identità della Murgia e di tutte quelle
comunità come Gioia che devono la maggior parte della loro bellezza
paesaggistica alle praterie a macchia mediterranea,
alle colture cerealicole, ai boschi di fragno, alla gariga arida ed ai vecchi
iazzi, alle antiche masserie ed ai trulli sparsi. Ma se agli assassini del
paesaggio non interessa l’omicidio colposo perpetrato ai danni della terra e
della natura endemica, non importa la distruzione di territori incantevoli che
racchiudono come scrigni la storia, la cultura, le piante e gli animali che
rendono unici i territori del sud-est barese, sembra che tali reati non
interessano neanche a chi dovrebbe contrastarli e che, invece, si gingilla
nella totale nullafacenza, contando i minuti tra una pausa e l’altra. Sembra
che non gli interessi l’enorme quantità di amianto sparsa per le campagne, i
boschi divelti, le specie protette uccise, i patrimoni ormai irrimediabilmente
persi. Sembra che non sia loro faccenda, che l’ambiente e la sua tutela sia
cosa d’altri e che il loro stipendio sia somma dovuta, regalata per consentire
a chi ne ha voglia di annullare incontrastato migliaia di anni di lentissima
storia naturale.
Così su via Matera, alle
spalle della lunga fascia di pineta posta al confine di Provincia, nei pressi
del Vallone della Silica, si sta compiendo l’ennesimo delitto nei confronti
del paesaggio locale. Interi massi dissodati giacciono, su un suolo naturale a
macchia mediterranea, inseriti in grandi reti metalliche, accatastati l’uno
sull’altro, pronti per essere trasportati altrove, magari nelle ville del nord
ad adornare gli ultivi illegalmente trasferiti dalla Puglia nel corso di
questi anni. Sul suolo, enormi crateri ricordano che sino a poche settimane
fa, lì, si estendeva un ampia fascia a garìga, con essenze pregiate quali
pungitopo e lentisco e con le enormi pietre carsiche che rendono
caratteristico il paesaggio nostrano. Proprio quei massi, però, fanno gola ai
luogotenenti settentrionali, alle ville importanti, alle piscine di lusso e
così, i contadini pugliesi non perdono l’occasione per spietrare vaste aree
murgiane e vendere a caro prezzo i sassi che sino ad allora hanno incantato il
territorio.
Una ferita mortale nella terra
che perde col tempo, non solo le specie che con impegno e pazienza aveva
allevato, ma si smembra solcata da ruspe e rimorchi delle ultime testimonianze
geologiche dell’identità dei luoghi. Prima scompare il bosco e con esso gli
animali che ci vivono, poi si brucia la macchia ed il sottobosco
rimanente ed infine, si rimuovono e si vendono al miglior offerente i massi.
Ecco il piccolo vademecum del distruttore fai-da-te. Una pratica vietatissima
che però continua a interessare ampi tratti del territorio gioiese. L’area
sulla provinciale 51 per Matera, raggiungibile tramite il bivio della SP 185
per la terza e svoltando per il carraro D’Aprile, è un ampia fascia di
ex-bosco a fragno convertita, ora, ad area di commercio del patrimonio
indisponibile dello Stato.
Poco tempo lungo la stessa
provinciale era stata rinvenuta una discarica abusiva di amianto, un tratturo
ostruito da inerti e barattoli di vernice ed un bosco recintato abusivamente e
violato dal pascolo dei suini. Questi reati, come lo spietramento scoperto in
questi giorni, sono stati prontamente denunciati al Corpo Forestale dello
Stato di Gioia del Colle dalla sezione locale del WWF ma, dopo diversi giorni,
ancora non si vede alcun risultato. Così come non si è mai visto nulla
riguardo la denuncia per lo scarico illecito nella falda acquifera nell’agro
gioiese o riguardo la parte disboscata del bosco Romanazzi sequestrato per
flagranza di reato e dissequestrato per errori di forma nella notizia di reato
inviata al magistrato. Una paradossale situazione che vede le forze
associazionistiche ed i cittadini gioiesi impegnati a segnalare i
numerosissimi reati che di giorno in giorno vengono scoperti sul territorio
che non trovano, però, alcuna risposta da parte delle forze dell’ordine ed in
particolare da parte del locale Corpo Forestale locale. Decine di denunce,
segnalazioni, querele finite nel cestino dell’oblio, scomparse tra un ufficio
e l’altro, annientate da interessi e perniciosa burocrazia. “Abbiamo fatto ciò
che dovevamo fare – ci dice con aria infastidita, la solita che ogni volta
accoglie le persone che denunciano un qualunque reato nei confronti
dell’ambiente, e dopo numerose sollecitazioni, il comandante Catalano del CFS
di Gioia del Colle quando gli chiediamo riscontro delle decine di denunce mai
portate a conclusione – ora le carte sono state inviate alla Procura”. Il
problema, però, è che tralasciando i casi in cui l’invio alla Procura venga
vanificato da più o meno casuali errori di notifica dal parte delle forze
dell’ordine, per tutti gli altri esposti non si arriva mai ad accertare i
trasgressori ed a punire i reati. I lunghi tempi della Procura e le negligenze
del Comando Stazione locale del CFS, lasciano impuniti gli approfittatori
della situazione. Questi confidano nei sornioni proseliti incompiuti che si
trasformano col tempo in innumerevoli violazioni ed inestimabili danni al
patrimonio naturale locale. Vedi, per esempio, l’incendio di Gravina Santa
Croce. Senza colpevoli. Le acque stradali scaricate nella falda. Senza
colpevoli. I boschi maciullati e tritati a dovere di via Matera. Senza
colpevoli. I suoli spietati e rapati come patate. Senza colpevoli.
Ma se non è il Corpo Forestale
dello Stato a contrastare i delitti compiuti ai danni dell’ambiente, chi può
farlo, Batman? La risposta al maresciallo “scocciato” Catalano. Ma è certo,
questa non arriverà prima che l’ennesimo spietramento, l’ennesima violenza nei
confronti del paesaggio, sarà portato a compimento.
Roberto Cazzolla
Intervista ad Alessandro Marescotti, presidente
dell’associazione Pacelink
INCHIESTA ESCLUSIVA:
Il pericolo è sulla testa
Ci parla dell’Aeroporto Militare di Gioia del
Colle
Un rombo
impressionante ti sveglia di soprassalto. Il nonno preoccupato avanza
l’ipotesi di un nuovo conflitto
bellico.
Dalla finestra scene di Caccia e di Tornado che solcano i cieli, rasentano le
case, virano minacciosi. Dietro di loro una scia scura di gas inquinanti e
polveri sottili. Non siamo nel Golfo o nel Medioriente, ma a Gioia del Colle.
Già base NATO, al servizio degli USA, dalla quale sono partiti numerosi
velivoli diretti nei Balcani. Ora, base militare dell’aviazione con incerta
definizione tecnica. Ma percorrendo quei due chilometri che dividono i
territori di proprietà dell’aeronautica dal centro urbano, non si può che
restare stupefatti dall’eventuale pericolo e di come i gioiesi se ne siano
abituati. Un meccanismo di assuefazione al rumore, allo smog, alla minaccia di
una nuova guerra, alle serie possibilità di attacco. Un effetto placebo che
sembra non interessare ai più. L’argomento aeroporto a Gioia è quasi un tabù.
Guai a parlarne. Un po’ come la questione vaticana per Roma. I gioiesi sono a
tutti gli effetti asserviti ed al servizio dell’Aeroporto Militare.
Quando decine di ragazzi
coraggiosi manifestarono dinanzi ai cancelli dall’allora base NATO, per
protestare contro l’invio di militari e velivoli nella ex-Jugoslavia, furono
pochissimi gli organi di stampa a dare un adeguato riscontro. Due righe, non
di più. Ancora meno furono i cittadini che accompagnarono la protesta. Cosa
ben diversa, e questo deve far riflettere, è accaduta negli scorsi mesi a
Vicenza, dove migliaia di persone “comuni” si sono appostate lì dove si era
paventato di ampliare la preesistente base americana. Di ben altra entità sono
state le proteste contro l’ampliamento della base militare sarda. E così via...Invece
a Gioia tutto scorre lento e tranquillo come se, per non affrontare una
questione davvero più grande dei tanti bisticci popolari, si cerca di far
finta che nulla stia circolando sulle teste dei cittadini. Eppure,
quotidianamente, i rumorosissimi motori degli aerei decollati dalle rampe
militari, sfrecciano in pericolose esercitazioni a poche decine di metri di
altezza dalle abitazioni.
Abbiamo chiesto un parere
autorevole ad Alessandro Marsescotti, presidente dell’associazione Peacelink
che da tempo si occupa delle politiche del disarmo, della pace e
dell’ecologia, e da anni segue le vicende degli aeroporti militari italiani.
Se arriva a Gioia dalla
Statale per Taranto, trova ad accoglierla un cimelio dell’imbecillità umana.
Un aereo da guerra donato dall’Aeroporto, come se la cosa dovesse far onore.
Una simile barbarie non sarebbe neanche dovuta sorgere su un suolo pubblico.
“L’Italia ripudia la guerra” recita la nostra Costituzione. Volendo, si
potrebbe aggiungere una nota a piè di pagina: “Ma i gioiesi no!”.Cosa
ci può dire della base di Gioia del Colle?
“Negli anni ’60 – risponde
Marescotti - erano presenti missili Jupiter, con testate atomiche, presso la
base militare di Gioia del Colle. Si rischiò davvero tanto quando 4 fulmini si
abbatterono sulle zone dove erano custodite le testate nucleari. Si rischiò
l’esplosione a tal punto che il presidente americano Kennedy, constatò che la
situazione della base Usa di Gioia del Colle non era del tutto sicura”.
Ma, secondo lei, c’è
possibilità che siano ancora presenti testate nucleari all’interno
dell’aeroporto?
“Di certo in Italia ci sono 90
testate nucleari. 50 sono custodite ad Aviano e 40 a Ghedi. Non si può
escludere, però, che possano essere presenti anche a Gioia del Colle o che vi
siano trasporti via aerea da o per l’aeroporto. Purtroppo non sono stati
forniti dati a sufficienza. Ma, nulla si può escludere”.
A proposito dei pericoli
derivanti dalla presenza di una base così vicina al centro abitato, cosa può
dirci?
“E’ necessario evitare il
sorvolo dei centri urbani e sono stati anche siglati accordi per questo. Il
problema è che non sempre vengono rispettati. Ricordo di un episodio accaduto
a Casalecchio di Reno, in cui un aereo militare si schiantò contro una scuola.
Il pericolo di incidenti simili risulta elevato”.
Quindi, cosa si potrebbe
fare per evitare incidenti come quello di Casalecchio? I cittadini hanno
qualche possibilità di chiedere maggiori garanzie?
“Innanzitutto, il Consiglio
Comunale dovrebbe prendere una posizione chiara nei confronti della base e poi
i cittadini devono fare informazione dal basso. Devono cioè segnalare episodi
anomali, fare foto di voli troppo bassi e vicini alle case. Solo così, tramite
l’informazione, la gente ed i politici non hanno la scusa per dire <<non lo
sapevo>>. In questo modo aumenta la consapevolezza del problema”.
Gli aerei, però, hanno
anche un grande impatto acustico e soprattutto sulla qualità dell’aria. Per
ogni aereo che si alza in volo, si disperdono sui terreni, nelle acque e nei
polmoni migliaia di sostanze tossiche, tra cui le pericolosissime Diossine,
gli Idrocarburi Policiclici Aromatici (IPA), i metalli pesanti, le polveri
sottilissime, il dinitropirene, il dinitrobenzene, i furani, solo per citarne
alcuni…
“Certo. Bisogna sollevare la
questione dell’impatto degli aerei sull’inquinamento atmosferico, perché oltre
alla produzione di gas che aumentano l’effetto serra, vengono rilasciate
nell’aria una serie di sostanze pericolose per l’uomo in maniera diretta.
Esistono parecchie patologie causate dall’emissione di gas di scarico da parte
degli aerei”.
Può fare qualche esempio,
dei pericoli derivanti dai gas di scarico degli aerei militari?
“E’il caso degli ossidi di
ozono prodotti dai velivoli che, messi al bando per gli aerei di linea, sono
rilasciati in grande quantità dagli aerei militari. Questi causano
impoverimento dello strato di ozono e patologie dovute all’esposizione umana”.
Molti cittadini, quindi,
non sono a conoscenza del reale pericolo per la salute derivante degli
inquinanti emessi ma, probabilmente, ignorano anche quanto costa, in termini
economici, alla comunità un volo di un aereo militare?
“Il costo del singolo volo è
di circa 15000 euro. Quindi lei immagina come possa sentirsi un operaio che
15000 euro li guadagna in 4-5 mesi, se va bene, a vedersi sfrecciare sulla
testa tali aerei mangiasoldi. Il fatto ancora più grave è che questi sono
soldi che paghiamo noi, con le nostre tasse”.
La gente, ora, non potrà più
dire di non essere a conoscenza del problema. Adesso, il fatto, non è più
“segreto militare”.
Roberto Cazzolla
(un estratto
dell'intervista è stato pubblicato su Atlante di Febbraio)
La macchia divelta, il terreno arato e cosparso
di diserbanti
A Montursi stanno distruggendo la terra dei
funghi gioiesi
Il reato si sta compiendo in un’area protetta
cara ai cercatori di funghi
“E il vecchio diceva guardando
lontano, immagina questo coperto di grano, immagina i frutti e immagina i
fiori e pensa alle voci e pensa ai colori. E in questa pianura fin dove si
perde, crescevano gli alberi e tutto era verde; cadeva
la pioggia, segnavano i soli il ritmo dell’uomo e delle stagioni”, così canta
Francesco Guccini per riportare l’attenzione della gente sull’inarrestabile
distruzione del paesaggio e del territorio in corso in questi anni di violenza
nei confronti della Natura. Racconta di un vecchio che mostra a un bambino i
luoghi della sua gioventù ed ormai, dove un tempo regnava la natura, vede solo
ciminiere e fumo. La luce artificiale delle case e la polvere.
Sembra uscire dalla canzone
del cantautore italiano il tetro paesaggio che sta lasciando il passo ad una
ricca macchia presente lungo la via per Laterza, meglio nota come via per
Montursi. Lì, in un’area di 13 ettari, molti appassionati cercatori di funghi
hanno trascorso stupende giornate. Un ambiente vario e vasto che era ormai il
luogo domenicale d’incontro di molti gioiesi che amavano trascorrere qualche
ora all’aperto. “Lì sono più di vent’anni che non si coltiva – ci dice una
delle signore residenti in zona – ormai il bosco ed il sottobosco si erano
riappropriati di quel luogo. Tutti noi amavamo andare lì per raccogliere i
funghi, ma ora è tutto distrutto”.
Lo sguardo scende verso
l’orizzonte, ed incontra ancora una radura arata profondamente con le vestigia
del lentisco, del mirto e della fillirea che l’abbellivano. Secchi e
inclinati, ancora si vedono i fusti della ferula, sgretolati al disotto gli
arbusti di bosco, le erbe ed i funghi. Per terra, quasi a rappresentare il
simbolo della distruzione, una tanica di diserbante. “Hanno cosparso tutta la
zona – continuano i residenti – ora non si potrà più raccogliere nulla e
neanche passeggiarci”. Come si può radere al suolo un’area sotto gli occhi di
tutti, abbandonata da vent’anni, protetta da vincoli paesaggistici,
idrogeologici e procedere indisturbati
nell’aratura, nello spandimento dei veleni agricoli e nella rimozione delle
piante autoctone? “Qui hanno intenzione – continua una delle signore
inferocite – di realizzare una coltivazione ed un palazzo. Possibile che
nessuno intervenga?”.
La zona è molto conosciuta e
frequentata. E’ sita a pochi metri dinanzi alle vasche dell’Acquedotto
Pugliese, a circa 4,5 km dal paese. Nella zona stanno proseguendo i lavori di
ampliamento del bacino e c’è un incredibile via vai di camion e rimorchi colmi
di terra di scavo ed inerti. Una strada, e poi ancora un’altra, solcano i
terreni che sino a qualche settimana fa ospitavano una ricca vegetazione
mediterranea. Da due decenni l’ambiente si stava rinaturalizzando. Ed era un
bene, visto che in zona è presente un’elevatissima biodiversità e un
abbondanza di specie rare. Proprio all’interno dei 13 ettari diserbati
nascevano splendide orchidee e numerosi funghi eduli. Il luogo rappresentava
quasi un simulacro del ritorno alla natura per molti gioiesi affaccendati in
questioni urbane. La domenica, specie dopo le serate di pioggia, la gente si
incontrava lì per prendere una boccata d’aria pura. Anche se i terreni
costeggiano la provinciale, si estendono per centinaia di metri verso
l’interno garantendo il rifugio necessario a numerosi volatili. Quella, un
tempo, era una zona prediletta dal Falco grillaio per la caccia. Ora è un
deserto di terra e veleni chimici. Inospitale per la flora, per la fauna e per
la gente. Non si conosce il colpevole di una simile azione distruttiva ma è,
ancora, possibile individuarlo. Lì i lavori proseguono e le aree arate e
disboscate aumentano. E’ necessario fermare in tempo lo scempio. L’ennesimo
emerso in questi che appaiono i mesi della totale anarchia, mesi nei quali
ognuno si sente autorizzato a fare scempio del territorio. Mesi in cui
l’azione dei Corpi Forestali sarebbe necessaria ed invece tarda, o meglio non
è mai, arrivata.
In quella pianura, un giorno
crescevano i funghi, le querce ed il biancospino. Crescevan le piante e tutto
era verde…un giorno una mano molesta e frugale ha reso quel luogo inquinato ed
inospitale. Spazzato via la vegetazione, sotterrate le pietre, sparso veleni.
I diserbanti ora fanno da padroni in quella pianura dove la gente correva. Le
ceste e i binocoli, i fiori e i sentieri lasciano il posto a deserti e
ricordi.
Un giorno, se nessuno fermerà
questo scempio, un vecchio e un bambino tenendosi per mano guarderanno quel
campo con occhi diversi. Il vecchio piangerà il paesaggio ormai perso, i suoni
ed i colori. Il bambino “guarderà cose mai viste” e dirà al vecchio con voce
sognante, come se ciò che egli racconta fosse solo una bella storia: “mi
piaccion le fiabe, raccontane altre!”.
Roberto Cazzolla
Illustri esperti dibatteranno in
un pubblico incontro nella fortezza gioiese
Federico II: la storia a
processo
Sabato si celebra nel Castello
Svevo la figura del grande re
Sarà celebrato sabato 9 febbraio alle 18:00 presso
il castello Normanno-Svevo, il processo a Federico II. L’iniziativa, che ha
ricevuto l’Alto Patronato della Presidenza della Repubblica, è organizzata dal
circolo Lions Club di Gioia del Colle con il patrocinio della Provincia di
Bari e del Comune di Gioia del Colle. Un grande evento che riporta la cultura
storica della città in primo piano, con un simposio quasi accusatorio alla
figura di uno dei più eclettici sovrani del XII secolo.
Federico II di Svevia, re di Sicilia, fu colto
edificatore, protettore delle arti e grande rinnovatore per i suoi
sostenitori, ma anche temibile nemico della cristianità, per i pontefici che
lo avversarono. Fu un personaggio affascinante, dal grande spessore politico e
culturale, che seppe dare vigore e orgoglio alle genti del Meridione italiano.
Le sue tracce sono oggi ancora rintracciabili.
Federico Rugggero nasce a Lesi il 26 dicembre 1194, sotto una tenda innalzata
nella piazza, come aveva voluto la madre, Costanza d' Altavilla, figlia di
Ruggero Il Normanno, Re di Sicilia, e moglie dell'Imperatore Enrico VI, della
grande dinastia tedesca degli Hohenstaufen, figlio di Federico I Barbarossa.
Il padre Enrico V muore nel 1197, quando Federico II ha solo tre anni. A lui
sono è destinata l'eredità del regno dell'Italia meridionale. Nel 1198
scompare anche la madre e Federico, il 18 maggio 1198, a soli quattro anni,
viene incoronato Re di Sicilia, Duca di Puglia e Principe di Capua, e viene
affidato alla tutela del Pontefice Innocenzo III. Per lui il Papa avrebbe
voluto un destino tranquillo, lontano dalla vita politica, tuttavia Federico
non si sottrarrà alla sorte che per lui sembrava segnata. Incoronato Re il 26
dicembre del 1208, a quattordici anni, Federico mostra subito di avere le idee
chiare. I suoi primi pensieri sono rivolti al sud dell'Italia dove la
situazione era tutt'altro che facile. Il suo primo obiettivo era quello di
rivendicare tutti i diritti regi che erano stati usurpati nel trentennio
precedente. Federico decide di confiscare tutte le fortezze costruite
abusivamente negli anni, rivendica i diritti dello Stato su passi, dogane,
porti e mercati, e annulla le pretese dei signori locali e le esenzioni di cui
godevano i mercanti stranieri.
Infatti, nel castello gioiese, si discuterà in prima
battuta del rapporto di Federico con il Meridione. Al dibattito dal titolo
“Federico e la questione meridionale, tra mito e realtà” moderato dal prof.
Pietro Dalena, ordinario di Storia Medievale all’Università della Calabria,
parteciperanno il prof. Cosimo Damiano Fonseca, dell’Accademia dei Lincei, il
prof. Hubert Houben, ordinario di Storia Medioevale all’Università di Lecce.
La figura del grande re verrà portata sotto una
nuova luce e sarà riconsegnata alla memoria dei cittadini la figura di un uomo
che ha reso grande con le sue politiche e le sue costruzioni l’immagine di un
paese come Gioia.
E non a caso che, proprio a Gioia si celebra il
processo a Federico, essendo la cittadina murgiana una delle preferite dal re.
Si dice che amasse molto il castello gioiese e che, da grande amante della
natura, trascorresse piacevoli giornate nei boschi locali, in particolare
nell’area di Bosco Romanazzi. E non è un caso che proprio lì in quella zona
ricca di leggende e di storia, ancora si cerca, con vergognosa ostinazione, di
localizzare una discarica di rifiuti speciali. Chissà se il grande re vedesse
cosa ora voglion fare del suo luogo di meditazione preferito.
Proprio Federico, grande amante della cultura, nel
1224 fonda a Napoli la prima Università statale del mondo occidentale. E’
grande, inoltre, il suo impegno per la popolazione del Meridione. Su una
collina della Capitanata in Puglia, fa edificare, tra gli altri, il celebre
Castel del Monte, che egli stesso progetta. Grande è anche il suo impegno
religioso. Lo stesso Federico non desidera che gli ebrei siano vittime dei
cristiani, ma non vuole nemmeno che vi sia un disequilibrio. Ed è su questo
tema, sul rapporto tra le religioni, che si svolgerà il secondo dibattito di
sabato, dal titolo “Federico II e l’Islam, tra intolleranza e tolleranza”.
Tema quanto mai attuale nei nostri giorni insanguinati dall’estremismo della
fede. Estremismo specchio moderno di quello che dopo Federico ha portato molti
cristiani ad insanguinare le genti da convertire, a trucidare e massacrare gli
sconfessati con Crociate e Missioni, a violentare nell’animo, nella cultura e
nel corpo milioni di indigeni definiti “impuri” perché non battezzati.
E così è proprio all’uomo che ricostruì l'impero,
costruì il primo stato centralizzato, imbrigliò le ambizioni temporali della
chiesa e ammaliò il mondo con la naturalezza con cui compì quest'opera che
oggi è da considerarsi titanica, che si dedica uno dei più apprezzabili eventi
culturali, e per questo auspicabili nel futuro, mai realizzati nella cittadina
barese. Evento che si celebra in un castello intriso di magia, satollo di
racconti, edificato intorno al 1100 dal normanno Riccardo Siniscalco. Questo,
verso il 1230 subì un notevole ampliamento ad opera di Federico II.
Dal portale
principale e dall’androne del castello si accede al cortile trapezoidale, dove
si trova la scala di accesso al piano superiore. L’imperatore volle che questo
castello, oltre a scopi difensivi, fosse adibito a dimora regale; infatti ivi
visse
Bianca Lancia, sua amante e madre di
Manfredi.
Insomma,
sabato, nel celebrare il processo a Federico, non si potrà restare
indifferenti dinanzi a tale memoria del passato. Dinanzi ad un luogo
bistrattato dai gioiesi ma, che ancora conserva i miti d’un tempo, i segni di
antiche battaglie e di numerose conquiste. Così per non dimenticare, l’evento
dei Lions, riporta alla mente di ognuno che ciò che siamo adesso lo dobbiamo
anche a quei personaggi che spesso consideriamo esclusivamente dei “pezzi da
museo”. Così per non relegarli all’oblio il maestro Gino Donvito, per
l’occasione, presenterà l’opera “Federico II a cavallo” ed il Centro Danza
Grazia Emiliana di Acquaviva delle Fonti organizzerà danze medievali.
Una grande
occasione, quindi, per commemorare la figura di uno dei più importanti padri
fondatori della città.
Roberto Cazzolla
(da Il Levante)
Con
“Biomonitoriamoci”si realizzerà uno studio per la tutela del territorio
Partono le iniziative 2008 del WWF
Previsto il
censimento dei grillai, un cineforum per l’ambiente e la formazione di un
gruppo junior
La
biodiversità come risorsa inestimabile da tutelare. E' questo il principio
ecologico dal quale si dirameranno le iniziative di quest'anno della sezione
locale del WWF di Gioia del Colle e Acquaviva delle Fonti.
Partiranno
ufficialmente domenica 10 febbraio le attività del 2008 per la protezione
dell'ambiente dell'associazione protezionista. La campagna principale per il
2008 riguarderà proprio la tutela degli ambienti naturali locali mediante una
grande azione di salvaguardia. "Biomonitoriamoci", che prenderà
il via domenica 10, rappresenterà la più grande iniziativa di bio-monitoraggio
delle risorse naturalistiche del territorio locale. Tale azione si inserisce
nel percorso già avviato dal WWF International con l'individuazione dei 200
"Hot spots", punti caldi di biodiversità, all'interno delle Ecoregioni
mondiali. L'Italia, così come la Puglia, rappresentano alcuni tra i territori
più ricchi dal punto di vista ambientale dell'Ecoregione Mediterranea. Proprio
il territorio di Gioia del Colle e le aree limitrofe sono individuate a
livello internazionale come meritevoli di protezione per l’elevato valore
biologico. Preservano, infatti “una elevata quantità di entomofauna (insetti,
ndr) ed avifauna, oltre alla presenza di numerosi mammiferi e piante
rare”.
Le
aree boscate costituiscono un grande patrimonio dell’intera comunità
assicurando utili servizi quali la stabilità del suolo, l’aumento di
produttività delle coltivazioni, il mantenimento di un adeguato assetto
idrogeologico, la mitigazione del clima e la protezione delle specie più
minacciate. Pertanto gli interventi di censimento delle aree della murgia
sud-est, che la sezione locale avvierà, andranno ad arricchire di conoscenze e
dati il grande lavoro di ricognizione del patrimonio mondiale.
Si
tratta di un intervento innovativo, mai realizzato prima sul territorio. Sono
state individuate 10 aree di pregio del territorio comunale di Gioia del
Colle, confinanti con Santeramo, Matera, Acquaviva, Noci, Putignano,
Castellaneta e Laterza, all'interno di quella che è stata individuata dal WWF
International come "Area 16 - Murge e valli fluviali lucane".
Il
Biomonitoraggio prevedrà una serie di campagne di censimento della flora e
della fauna (che saranno svolte durante tutto l'anno, divise in tre fasi),
l'individuazione dei regimi di tutela presenti e l'elencazione delle
principali minacce per le aree individuate. Al termine del monitoraggio, che
si avvarrà del lavoro di esperti in Biologia, Scienze Naturali e Geologia,
verranno redatte delle schede per ogni area, che entreranno a far parte di una
pubblicazione che sarà presentata a dicembre.
Il
tutto al fine di realizzare un preciso piano di tutela e gestione delle aree
naturalistiche individuate, di proporre alla nuova amministrazione degli
interventi di protezione volti alla riconnessione delle aree frammentate (le
cosiddetti patch area), di migliorare le conoscenze scientifiche territoriali
e di portare alla luce nuove specie mai segnalate prima d'ora.
Il
territorio interessato, infatti, non è nuovo al ritrovamento di vere rarità,
scoperte proprio dagli esperti WWF, come il Mustiolo (il più piccolo mammifero
d'Europa) ritrovato a Serra Capece, l'Istrice rinvenuto nel Bosco Marzagaglia,
il Tasso a Montursi, lo Sparviero dei boschi di via Noci o il Colubro
leopardino (serpente coloratissimo e minacciato) di Gravina S. Croce. Anche la
flora locale annovera specie minacciate come le orchidee, le stazioni di
Quercus trojana (Fragno) ed i tappeti di Pungitopo.
Elementi naturali che sono attualmente sconosciuti ai più (anche agli uffici
amministrativi competenti che ne dovrebbero garantire la tutela) e, per
questo, privi di un adeguato piano per il mantenimento delle popolazioni e la
conservazione delle specie . La più grande campagna di biomonitoraggio del WWF
mai avviata, prima d'ora, sul territorio servirà proprio a metter su carta, e
quindi a tutelare da disboscamento, speculazione edilizia, incendi, discariche
abusive, caccia incontrollata, etc., una serie di zone incantevoli ove la
natura regna ancora sovrana.
Al
fine di condurre il censimento la sezione WWF invita tutti gli esperti e gli
appassionati di Biologia, Scienze Naturali, Geologia, Botanica, Zoologia, etc.
a partecipare al progetto contattando il numero 3381018014, inviando una
e-mail a
wwfgioiadelcolle@virgilio.it oppure
incontrando i volontari direttamente nella nuova sede in via Orsini 15/A a
Gioia del Colle.
Nell'elenco delle attività 2008 della sezione spiccano, tra le altre,
l'iniziativa per la tutela del Falco grillaio, che sarà effettuata in
primavera, dal titolo "Falchi in città" e la realizzazione di un
cineforum per l'ambiente.
Intanto, giovedì 14 febbraio (18:30 - 20:30, presso la sede WWF), partirà il
primo incontro del gruppo Junior WWF (dai 6 ai 14 anni). Tutti i
genitori che vogliono iscrivere i propri figli (l'iscrizione è gratuita)
possono farlo direttamente giovedì. Durante le riunioni quindicinali del
gruppo, saranno trattati temi di educazione all'ambiente, visionati e
commentati film e cartoni sulla tutela della natura, realizzate attività
manuali per approfondire le conoscenze delle scienze naturali e dell'ecologia.
Le
riunioni della sezione WWF Gioia-Acquaviva si tengono tutti i martedì dalle
20:30 in via Orsini 15/A a Gioia del Colle presso la nuova sede del gruppo
che, presto, sarà inaugurata pubblicamente con una serata dedicata
all’ambiente con proiezione di filmati, dibattiti ed un rinfresco vegetariano.
Roberto Cazzolla
Il Liceo Classico dedica un film alle
tragiche pagine dell’Olocausto
Giornata della Memoria, un film per
ricordare
Lunedì ci saranno dibattiti in classe e
momenti di riflessione
Il Giorno della
Memoria è una ricorrenza istituita con la Legge n°211 del
20 luglio
2000 dal
Parlamento
italiano che ha aderito alla proposta internazionale di dichiarare il
27 gennaio
come giornata per commemorare le vittime del
nazionalsocialismo
e dell'Olocausto.
Ogni anno, quindi, si ricorda mediante rassegne cinematografiche, mostre,
manifestazioni e momenti di riflessione una delle pagine più tristi della
storia contemporanea. I Reduci dalla II Guerra Mondiale del circolo gioiese
ricordano quegli anni con amarezza. C’è chi ha visto “un compagno ferito mortalmente
dai tedeschi, morire dissanguato tra le proprie braccia”; chi ha “lavorato per
due anni in Germania alla realizzazione della line ferroviaria”; chi ha
prestato servizio “come cuoco o come barbiere” e “quando credevamo che tutto
fosse finito e che finalmente stavano per rimpatriarci, ci deportarono ai
lavori forzati nelle carceri francesi”. Un altro signore anziano, reduce dalle
violenze di una guerra d’ideologie combattuta contro l’idea stessa di uomo, la
consapevolezza della diversità, con sguardo triste conferma: “Ho lavorato per
i tedeschi nei campi jugoslavi ed ho passato nei balcani ed in regioni al
confine con la Russia, buona parte della mia giovinezza. Quanto tornai da lì
ero ormai un uomo”. Ma questi affabili anziani, libri viventi di storia che
spesso ci ostiniamo a non leggere credendo che la stampa valga più della reale
esperienza, possono ritenersi fortunati rispetto ai migliaia di commilitoni
che non hanno più fatto ritorno. La stessa sorte di milioni di ebrei che per
l’esaltazione e l’arrogante presunzione della purezza, simbolo quanto mai
attuale dell’insensata lotta alla diversità di ogni essere del pianeta che
ciecamente l’uomo si ostina a combattere, hanno perso la vita ed insieme ad
essa l’affetto dei cari, la dignità umana, hanno visto le macabre sofferenze
dei campi di sterminio. Il testo dell'articolo 1 della legge che istituisce,
di fatto, in Italia la Giornata delle Memoria, così definisce le finalità
della commemorazione: «La Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio,
data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, "Giorno della Memoria", al
fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi
razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno
subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in
campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a
rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i
perseguitati». La scelta della data ricorda il
27 gennaio
1945, quando
le truppe
sovietiche
dell'Armata
Rossa, nel corso dell'offensiva in direzione di
Berlino,
arrivarono presso la città
polacca di
Oświęcim
(nota con il nome tedesco di
Auschwitz),
scoprendo il suo tristemente famoso
campo di concentramento
e liberandone i pochi superstiti. La scoperta di Auschwitz e le testimonianze
dei sopravvissuti rivelarono compiutamente, per la prima volta al mondo,
l'orrore del
genocidio
nazista.
Sono impresse
nella mente di molti le agghiaccianti fotografie ed i tristi filmati di
giovani, donne e bambini ridotti all’osso in fila dietro le recinzioni, in
attesa di finire nei forni crematori, arsi vivi o gassificati sino all’ultimo
respiro. Sono immagini che non devono lasciare la mente della gente, sequenze
che devono fungere da monito per le generazioni future, affinché non si
compiano altri simili stermini. Proprio per questo il Liceo Classico “P.V.
Marone”, così come molte altre scuole medie inferiori e superiori, ha deciso
di dedicare la giornata di lunedì 28 alle discussioni ed alle riflessioni in
classe degli studenti, coadiuvati dai professori mentre, ha scelto di
proiettare martedì presso l’auditorium del Liceo Scientifico “R. Canuto” il
film “Senza destino” di Imre Kertesz. La pellicola è un racconto
doloroso e dettagliato dell'esistenza in un campo di
concentramento attraverso lo sguardo di Gyuri, un giovane ebreo ungherese.
Dopo la deportazione del padre in quelli che sono creduti semplicemente campi
di lavoro, anche Gyuri viene rastrellato sull'autobus che lo sta portando a
scuola. Dopo un periodo passato ad Auschwitz, viene poi spostato a Buchenwald,
dove viene perseguitato da un kapò ungherese e dove inizia la sua routine di
fatica, dolore, sottomissione e degrado: perde i lunghi riccioli neri,
dimagrisce progressivamente, spala sassi, trasporta sacchi pesantissimi, si
lava di rado, contrae la scabbia, gli va in cancrena un ginocchio, è costretto
a dormire vicino ai moribondi e a passare intere giornate in piedi, al freddo
o sotto la pioggia. Eppure non "perde se stesso" - come dirà una volta uscito
dal lager, prelevato per miracolo da una fossa comune dalle truppe alleate -
né il contatto con la realtà. Una realtà fatta anche di piccole e necessarie
astuzie per sopravvivere e di momenti che senza imbarazzo definisce
"piacevoli"... Una storia di vita, dunque, come le innumerevoli raccontate in
questi anni. Mai abbastanza e sufficienti per evitare il ripetersi di simili
genocidi. Tant’è che molti sociologi hanno definito gli eventi del Darfur in
Sudan di questi anni o le violente “deportazioni” degli animali da macello, un
riproporsi delle vergognose azioni compiute durante il nazismo. Tent’è che
Charles Patterson, storico e critico letterario di storie sull’Olocausto, nel
suo famosissimo libro “Un’eterna Treblinka. Il massacro degli animali e
l’olocausto” ha descritto così gli eventi del ‘40-’44, paragonandoli alle
attuali azioni umane: “Per Hitler contavano solo il potere e il dominio
sugli altri e questi valori furono alla base dell’olocausto esattamente come
oggi sono alla base dello sfruttamento economico, su scala multinazionale,
delle vite e dei corpi di miliardi di animali”. Tant’è che come scrisse
Adorno: "L'affermazione ricorrente che i selvaggi, i negri, i giapponesi
somigliano ad animali o a scimmie, contiene già la chiave del pogrom (sommosse
e persecuzioni popolari antisemite, ndr)”.
Roberto Cazzolla
(da
Il Levante)
Un cospicuo finanziamento regionale
supporterà le iniziative giovanili
Parte Bollenti Spiriti: i giovani in prima
linea
A Gioia parte la ristrutturazione dei
locali dei Servizi Sociali
Partono finalmente anche a Gioia i lavori per consegnare, entro la fine
dell’anno, gli spazi destinati alle associazioni giovanili per lo sviluppo di
attività e progetti, nell’ambito del concorso regionale Bollenti Spiriti. Con
Bollenti Spiriti è la prima volta che la Regione Puglia decide di investire i
fondi della formazione in un progetto organico di finanziamento di studi
post-laurea per una così ampia fetta della popolazione pugliese. I 60 milioni
di euro stanziati dalle
Regione, sono quasi totalmente destinati a finanziare i progetti, praticamente
senza costi di gestione e personale. Il progetto riguarda anche il recupero
degli spazi urbani. L’intervento, finanziato dal POR Puglia 2000-2006 Mis. 3.7
- “Formazione superiore” Azione d1), sostiene la partecipazione a corsi di
perfezionamento o specializzazione post-laurea e a corsi di alta
specializzazione per giovani laureati pugliesi di età non superiore ai 32 anni
oltre alla realizzazione di progetti giovanili culturali con la riqualifica di
spazi cittadini.
A Gioia il luogo scelto per
localizzare tutta una serie di attività sarà l’antico palazzo dei Servizi
Sociali. Al progetto, il Comune di Gioia ha dedicato molto tempo e questo
rappresenta uno dei più innovativi baluardi per la promozione delle attività
dei giovani. “Nonostante a Gioia siamo abituati a vedere solo ciò che non va
bene, - afferma uno dei responsabili dell’associazione Banedeàpart, che ha
seguito e coordinato sin dall’inizio le attività - c’è da dire che
silenziosamente si sta concretizzando un progetto per il quale dovremmo essere
davvero molto fieri”. In effetti, rispetto al clamore che in questi giorni
stanno facendo altri Comuni dell’interland barese, a Gioia sembra che il
progetto sia sconosciuto ai più.
“Per gli inizi di febbraio –
annunciano entusiasti dai Servizi Sociali, per i quali la dott.ssa Tarulli e
la dott.ssa Casamassima hanno partecipato in prima linea alla stesura del
progetto – partiranno gli appalti per affidare i lavori di ristrutturazione.
Questi prevedono la sistemazione di un ascensore nello stabile e di porte di
sicurezza. In una prima fase sarà effettuata la verifica delle spese
necessarie per i lavori. Tutto i locali del secondo piano dell’edificio
saranno adibiti alle attività delle associazioni e si prevede la realizzazione
di una sala per cineforum, di un piccolo spazio teatrale, di una sala prove e
registrazione per i gruppi musicali locali. Inoltre saranno ospitate attività
nel campo dell’educazione ambientale, della tutela del patrimonio naturale ed
attività ludiche e culturali. Saranno realizzati progetti di sostegno e
reintegrazione sociale.
Proprio per la gran mole di
attività sarà, probabilmente, necessario ristrutturare un altro locale a piano
terra, già di proprietà comunale, per destinare in quello spazio altre
numerose attività giovanili. Il Comune di Gioia partecipa in collaborazione
con quello di Turi ed entro la fine di quest’anno potrebbe essere già tutto
pronto per partire con le attività”.
Quindi alla promozione delle
attività dei ragazzi sarà unita la ristrutturazione di spazi che attualmente
versano in condizioni che ne rendono impossibile l’utilizzo. Ambienti che da
“vuoto a perdere” potrebbero diventare il contenitore culturale del paese. Qui
dovrebbero concentrarsi gli sforzi per la rinascita sociale di una comunità
spesso sorda dinanzi alle problematiche dei cittadini. Qui, i giovani, avranno
la possibilità di ottimizzare le loro capacità, le competenze e le passioni,
per mettere a frutto un valore spesso non quantificato, ma di grande rilievo
nell’economia urbana, qual’è la promozione culturale. Lo stabile comunale,
diventerà dunque, non solo luogo ove concentrare idee e progetti, ma anche
meta d’incontro tra gruppi, circoli, cooperative e associazioni che possano,
con il loro operato, fornire degli utili servizi alla città. Lo sviluppo dal
basso, è proprio il caso di dirlo, rende questo progetto davvero interessante
e fa onore a chi nel corso di questi anni ha voluto fortemente consegnarlo
alla cittadina gioiese. Fa onore ai gruppi di giovani che evidentemente “bamboccioni”,
come qualche inappropriato Ministro ha recentemente definito, non sono. Fa
onore a ragazzi che nonostante l’inarrestabile ondata di precarietà ed
incertezza per il domani, trovano nelle risorse umane e nella promozione delle
arti, delle culture e delle scienze un motivo per non guardare ad un futuro
incerto ma, per vedere nelle proprie capacità il punto di svolta della
società.
Concentrare nelle mani dei
giovani lo scettro del rilancio socio-culturale di un paese è una bella sfida
a cui l’Amministrazione, va detto, ha concesso un gran supporto. Una scelta
coraggiosa che con lungimiranza ha saputo intravedere nelle risorse delle
nuove generazioni la possibilità di riscatto dagli errori passati, la voglia
di riprende in mano gli spazi urbani e la certezza che comunque vada, si sarà
dato spazio a spiriti bollenti, sino ad ora relegati in una pentola a
pressione.
Roberto Cazzolla
(da Il Levante)
Le ultime piogge
hanno riaperto enormi buchi lungo le strade
Gioia: una città formato groviera
Il problema è che i lavori stradali vengono
spesso approssimati
Piove raramente in questi giorni, ma
quando l’acqua scende lo fa con intensità e forza. L’impatto della pioggia
sugli asfalti e l’accumulo di acqua lungo le strade e negli strati sottostanti
di terreno, ha fatto riaffiorare nell’ultimo periodo
un problema con il quale molte città devono confrontarsi. In particolare,
Gioia del Colle, è costantemente alle prese con enormi crateri che si formano
lungo le strade, buchi nel manto stradale che diventano sempre più profondi
col passare del tempo e con la scarsa manutenzione. Solo ieri è stato
approssimativamente colmato il grande buco formatosi in seguito alla
perforazione per la sostituzione delle tubazioni fognarie, nei pressi
dell’ospedale Paradiso. Proprio quel foro, in via Giovanni XXIII, aveva già
causato numerosi danni alle auto che, pur a moderata velocità, si sono
ritrovate con le ruote anteriori completamente sprofondate.
Tra le strade che in questi
giorni hanno riaperto “vecchie ferite”, una delle più disastrate è certamente
via Quattro Ottobre 1917, una parallela di P.zza Pinto che dall’ospedale
percorre tutto il paese sino all’incrocio con via Mazzini. Lungo quella strada
e le sue parallele, si trovano buchi e sopraelevamenti di ogni tipo. Numerose
successive cementazioni hanno reso la carreggiata impraticabile e molto spesso
si viaggia con due ruote su di un cordolo alto anche 10-15 cm e le altre due a
livello stradale. Per non parlare, poi, dei numerosi tombini superficiali che
risultano due o tre centimetri sul livello stradale.
Gli enormi buchi creatisi su
queste vie come sulla via per Bari, quella per Castellaneta o sulla ex-statale
100, derivano da un’approssimativa colmatura con materiali inerti fatta in
seguito ai lavori che in questi giorni coinvolgono mezza città, per ampliare
il sistema fognario con la sostituzione della gran parte delle vecchie
tubazioni, con diametro troppo piccolo per poter sopportare gli attuali
carichi. Una volta riposizionati i tubi, però, le ditte appaltatrici spesso si
disinteressano di colmare i solchi e di riasfaltare la strada, lasciando per
settimane, e a volte anche mesi, interi tratti privi di superficie
percorribile dalle auto. Sono, ormai ingenti i danni dovuti al pessimo stato
di manutenzione delle strade gioiesi. Proprio ieri, in seguito alla pioggia
battente dei giorni scorsi, sono sprofondate altre tracce fognarie, lasciando
scoperti avvallamenti che in molti casi hanno provocato anche disagi per i
pedoni. Alcuni cittadini sono stati vittime di distorsioni o di cadute dopo
aver messo i piedi in buchi che, a volte, è anche difficile vedere. L’accumulo
di acqua meteorica provoca frequentemente lo sprofondamento degli strati
superficiali di catrame e asfalti, poiché essa difficilmente viene drenata ed
assorbita dalle radici degli alberi, rari lungo i margini stradali. Nelle
strade rurali, ad esempio, non è frequente la formazione di simili voragini
proprio perché il terreno poroso ed assorbente, non impermeabilizzato come
quello cittadino, permette il percolamento dell’acqua in profondità, ove le
radici delle piante possono assorbirla.
In città come Gioia, dove le
alberature marginali sono carenti, è frequente che si verifichino simili
disagi per gli automobilisti e per i cittadini, in generale. C’è poi da
aggiungere che il paese è già, di per sé, sorto su di una vasta area freatica,
nel cui sottosuolo si raccolgono numerosi metri cubi d’acqua provenienti anche
dalle aree circostanti e dai comuni limitrofi posti ad altitudini superiori
rispetto a quelle gioiesi.
Se, a questo, si somma il
fatto che sono rari i controlli che l’amministrazione pubblica effettua per
verificare se i lavori stradali siano stati compiuti correttamente, si
comprende come più che una città italiana, Gioia potrebbe fregiarsi del titolo
di città Svizzera, patria del formaggio coi buchi.
Ogni qual volta si manifestano
fenomeni meteorologici anche non troppo violenti, si ripresentano gli stessi
problemi e spuntano centinaia di crateri lungo le vie della città. Così, come
misura momentanea, alcuni operai privati o comunali, colmano alla meglio i
fori con pietrisco e ricoprono rapidamente il tutto. Alla successiva pioggia
il problema si ripresenta poiché il materiale di riempimento sprofonda insieme
all’asfalto, essendo stato sistemato in scarso quantitativo e con poca cura.
Verrebbe da pensare che alle
ditte che appaltano simili lavori possa convenire non sistemare al meglio le
strade dopo gli scavi, visto che nessuno controlla, per poi ricevere ulteriori
compensi per riasfaltare i buchi. Ma, pur non volendo pensar male, è evidente
lo sperpero di denaro pubblico che settimanalmente si realizza a Gioia. Tutto
questo perché i lavori pubblici vengono condotti nella totale anarchia delle
ditte che sono libere di agire e lasciare in sospeso i lavori. Sono mesi che i
cittadini vivono alle prese con i disagi dovuti ad interminabili sostituzioni
di tubi e sono anni che il paese sprofonda su se stesso ad ogni pioggia.
Forse una più accurata
verifica dei lavori e la piantumazione di alberi lungo le carreggiate stradali
più a rischio di allagamento, eviterebbe al Comune di dover spendere soldi per
immettere incoscientemente e contro la legge, acqua di lavaggio stradale nella
falda. Forse un po’ di soldi risparmiati, potrebbero essere utilizzati per
migliorare davvero le strade urbane ed aumentare la quantità del verde
pubblico.
Roberto Cazzolla
(da Il Levante)
Non
esistono le pensiline, le fermate nessuno le conosce, ma i fondi sono stati
stanziati
Bus urbano: chi l’ha mai preso?
Il mezzo pubblico circola perennemente vuoto. Il servizio è
affidato alla Sabato
Sono numerose le lamentele che
giungono da parte dei cittadini sulle carenze ed i disservizi dell’autobus
urbano che circola da tempo per le strade gioiesi. Lo si vede percorrere
strade e stradine con a bordo solo l’autista. Il mezzo
che dovrebbe percorrere quella che definiscono “Autocorsa Circolare”,
attraversa il paese dalle 8:15 alle 21:10. Si muove in maniera circolare per
ben otto volte, con una sola pausa tra le 13 e le 15.
Un ottimo servizio, si
direbbe, viste le continue polemiche sul traffico, l’inquinamento cittadino e
le limitazioni delle emissioni di CO2 per combattere l’effetto
serra. Peccato che transiti tutto il giorno desolato come un deserto. A volte
vedi il conducente che parla con l’unica persona a bordo della giornata.
Per testare le numerose
lamentele del disservizio, ci siamo immedesimati in un anziano o in una
signora con la spesa tra le mani, che decidono di lasciare a casa l’auto e
spostarsi “comodamente” col mezzo pubblico tra un supermercato e l’altro. Tra
un negozio ed un ufficio.
L’ardua impresa inizia già nel
tentativo di conoscere quali sono le soste e quali gli orari del bus n°3 (che
nonostante il numero, è l’unico in circolazione). I tabaccai non ne hanno mai
sentito parlare, le edicole sanno della sua esistenza ma ignorano orari e
fermate. Alcuni hanno ricevuto un volantino fotocopiato male su cui si
intravedono le tappe. Difficile, però distribuirlo ai cittadini visto che
molte edicole non hanno la fotocopiatrice.
Allora, chiediamo
semplicemente all’edicolante di indicarci la fermata più vicina. “Via Regina
Elena alle 12:47 o giù di lì”. Certo, sembra facile ma, sull’orario diffuso
dall’agenzia Sabato Viaggi, che gestisce il servizio per conto del Comune,
sono indicare tre fermate nel giro di pochi minuti per quella via. Così, esci
dall’edicola e cerchi almeno un cartello dove sia indicata la fermata. Ti
guardi intorno ma, niente. Prosegui per altri cinquanta metri verso Piazza
Pinto e ti accorgi che un cartello con la sigla “Scoppio” c’è. Ti avvicini per
leggerlo ma è vano il tentativo. Il carattere è striminzito, le soste
incomprensibili ed è alto quasi tre metri. Come può un anziano con diottrie
certamente ridotte, capire dove e quando si ferma l’autobus? Quello che
certamente si legge è la pubblicità che sovrasta il cartello. Enorme, almeno
dieci caratteri più grande del tabellino di marcia. Sono le 12:30 ma il bus,
comunque, non passa.
Va beh, pensiamo, sarà un
caso. Così proseguendo verso Piazza Pinto ci ricordiamo che l’edicolante ha
detto che anche lì ad un certo orario si ferma il bus. Non avendo le fermate
sottomano, cerchiamo un nuovo cartello di sosta.
In Piazza c’è un altro palo
con la scritta “Scoppio”. Stavolta gli orari, forse perché in favore di luce,
sono più visibili. C’è scritto “autolinea Gioia del Colle-Ospedale Miulli”. Ma
che c’entra? Dopo aver percorso centinaia di metri, aver perso, secondo i
tempi di percorrenza riportati dalla Sabato, tre o quattro fermate senza aver
mai visto l’autobus, ci rechiamo presso la sede della Sabato Viaggi nelle
vicinanze della Piazza, per chiedere chiarimenti.
Innanzitutto, richiediamo il
foglio con gli orari e le fermate. Lo stampano ma, è tagliato come quello
dell’edicola. Le vie si intuiscono. Poco male, pensiamo, rispetto al resto.
Facendosi più insistenti le nostre domande e non trovando alcuna risposta, la
gentile signorina che ci accoglie passa la mano al responsabile del servizio
urbano. “Ma no - ci dice, quando gli facciamo notare i numerosi disservizi che
impediscono ai cittadini di servirsi del mezzo pubblico – il problema è che al
90% la colpa è della gente, perché non è abituata e non ha voglia di
utilizzare il bus”. Ma come non ha voglia, se le fermate non si conoscono e
gli orari non vengono rispettati? “Per alcune fermate ci sono cartelli come
quelli – e ci indica il palo in Piazza Plebiscito, con su scritte le fermate
per il Miulli, che avevamo appena consultato – lì può leggere gli orari”.
Allora vuole prenderci in giro? Su quel cartello non sono indicati gli orari
del mezzo urbano ed anche se lo fossero, per la maggior parte dei cittadini, a
meno di una vista bionica, risulterebbero illeggibili. E le pensiline?
Sappiano che avevate il compito di sistemarle nei punti più frequentati. “Su
quelle ci stiamo adeguando. Entro il prossimo mese dovrebbero essere
posizionate”. Peccato che il servizio funziona da più di un anno e le paline
ancora non ci sono. Chi mai sosterebbe decine di minuti sotto la pioggia per
prendere un bus che poi, probabilmente, non passerà? “Sa – proseguono in
arringa dalla Sabato – il martedì è sempre pieno, perché è gratuito. Gli altri
giorni, invece, siccome il biglietto costa 50 centesimi – 70, lo corregge una
ragazza – ah, 70 è vero, nessuno lo prende”. Forse, il problema non è il costo
del biglietto quanto, il fatto che non conoscendo soste ed orari ed aspettando
alle intemperie vanamente l’arrivo dell’autobus, in molti scelgono di andare a
piedi o di usare l’auto. Eppure, siamo certi, a molti farebbe comodo il mezzo
pubblico. “Sono convinto – insiste il dirigente della Sabato Viaggi – che
quando, tra poco si dovrà pagare il biglietto anche per il martedì, ci saranno
due o tre persone sul mezzo”. Bella scusa per coprire un disservizio. I
cittadini, invece, sono convinti che se la Sabato facesse al meglio il suo
lavoro, con la sistemazione delle pensiline e dei cartelli di sosta con gli
orari, la pubblicizzazione di fermate, delle tabelle orarie e dei punti
d’acquisto dei biglietti (dove si comprano attualmente?), servizi per i quali
è stata profumatamente pagata dalla Regione Puglia, forse il numero di
passeggeri al giorno del bus urbano salirebbe dalla pietosa quota di uno: il
conducente!
L’Ufficio Traffico del Comune: “Non dipende da
noi il disservizio”
“Quasi 100000 Euro dalla Regione per il servizio pubblico”
Il mezzo pubblico dovrebbe
essere una delle risposte concrete contro l’effetto serra, l’inquinamento
atmosferico delle città e lo stress da traffico. Dovrebbe essere un servizio
ed, invece, a Gioia è un’impresa da Titani prendere l’autobus per spostarsi.
Per capire meglio le cause del
disservizio, siamo stati presso l’Ufficio Traffico del Comune.
Abbiamo provato a prendere
il mezzo pubblico ma, è davvero una delle fatiche di Ercole. Da chi dipende
questo disagio?
“Il Comune non ha colpe –
risponde il dirigente – perché il servizio è affidato interamente alla Sabato
Viaggi”.
Quindi voi non siete al
corrente di come questo servizio venga gestito?
“A noi hanno comunicato
semplicemente la tratta percorsa e le fermate. Il problema è che con un solo
mezzo vogliono fare decine di fermate ed è quasi impossibile arrivarci in
orario”.
Effettivamente le soste
sono più di 30, per otto volte al giorno. Un percorso davvero arduo per un
servizio che scontenta la maggior parte dei cittadini.
“Purtroppo noi siamo al
corrente degli adeguamenti effettuati dopo il piano traffico e di come si è
modificato il loro percorso. Vengono comunicate all’ufficio di Polizia
Municipale le cifre sul numero di biglietti ma, nulla più”.
Il problema è che con un
autobus che circola vuoto tutto il giorno, si rischia di inquinare più di
quanto si emetterebbe se le 50 persone, che su quel bus possono salirci,
prendessero l’auto invece del mezzo pubblico. Ovunque si incontri l’autobus,
all’interno vedi solo l’autista. Ma i fondi per gestire il servizio da chi
provengono e a quanto ammontano?
“E’ la Regione Puglia ad
elargire i fondi ed all’epoca dello stanziamento, in Lire, furono consegnati
nelle mani della ditta Sabato circa 200 milioni, praticamente quasi 100 mila
Euro. Con quei soldi dovevano essere sistemate pensiline, cartellonistica e
migliorato il servizio. Da parte nostra, possiamo recepire il problema e
sollecitare l’azienda”.
Sarebbe il minimo, visto
che si tratta di soldi pubblici spesi per far consumare benzina ad un autobus
vuoto…ed il resto del fondo che fine ha fatto?
“E’ vero. Ci aspettiamo una
segnalazione scritta per invitare la Sabato a ripristinare correttamente il
servizio urbano e capire cosa non va”.
Roberto Cazzolla
(da Il Levante)
L’area pericolosissima è gia stata segnalata
ma, nessuno interviene
“Da due anni minacciati dall’amianto”
Lungo il binario ferroviario, una vasta
discarica d’amianto, mai bonificata
“E’ da due anni che abbiamo
segnalato la situazione – dichiara il signor Stea che, per primo, ha sollevato
il problema della discarica abusiva di amianto in via Vicinale del Bambino –
all’interno ci sono pietre, scarti edili e soprattutto, le pericolose lastre
in eternit. Ci sono pezzi sgretolati e addirittura, cisterne in amianto”.
L’area
si estende su un triangolo di terra di proprietà del Comune di Gioia del
Colle, come risulta dal catasto comunale. Nel catasto viene, inverosimilmente,
indicata come area adibita al pascolo. Poveri pastori, dunque, e povero
bestiame costretto a camminare fra le finissime fibre che volano costantemente
alla prima folata di vento. Si vedono in controluce ed hanno la preoccupante
capacità di penetrare in profondità nei polmoni sino a raggiungere i bronchi
ed i bronchioli, causando malattie come il mesotelioma pleurico e l’asbestosi.
Queste, in molti casi, risultano mortali.
“Eppure – sostiene il sig.
Stea – già nel gennaio del 2006 avevo segnalato la situazione al Sindaco ma,
nulla cambiò. Così lo scorso anno, nel 2007, dal Comune mi dissero che la Spes
avrebbe bonificato al più presto l’area, che sarebbero dovuti intervenire
loro. Anche i dirigenti della stessa azienda mi assicurarono un rapido
intervento ma, è passato ancora un anno, e l’amianto è ancora lì”.
Anzi, nel frattempo, sembra
che le lastre depositate siano aumentate e si vedono i segni delle ruote di
qualcuno che probabilmente, tuttora, continua a scaricare. Tra l’erba, sul
muretto a secco, fra le pietre e frammentati su tutto il suolo si vedono pezzi
di tettoie, scaricate senza la minima precauzione. All’area si arriva
lasciando alle spalle i magazzini del Penny Market, da contrada 5 Parieti e
proseguendo sino a raggiungere il binario ferroviario. Lì c’è una terra di
nessuno che da anni viene utilizzata come discarica abusiva del
pericolosissimo asbesto. Da quando nel 1992 fu messo al bando in Italia,
centinaia di migliaia di lastre furono scaricate abusivamente nelle campagne,
in barba ai dettami della legge n°257/92 che prevede per tutti i possessori
del materiale di contattare le ditte specializzate per la messa in sicurezza,
che rendono innocuo per la salute umana ed evitano la dispersione particellare
tramite l’isolamento della fibre, il trattamento dei pezzi e lo smaltimento
controllato.
E’ proprio lo sgretolamento
delle tettoie intere a provocare la dispersione delle fibre che come
microscopiche schegge penetrano attraverso le vie respiratorie e si insinuano
in profondità.
L’aspetto più assurdo è che
“recentemente – continua il sig. Stea – qualcuno è venuto a prendere delle
pietre, forse utilizzate nelle costruzioni o in campagna, proprio dalla zona
contaminata dall’amianto”. Così, dopo averlo scaricato illegalmente, ora c’è
qualcuno che sta costruendo palazzi o muretti a secco con massi ricoperti da
fibre killer. Se la bonifica fosse avvenuta subito dopo la prima segnalazione
del cittadino, simili inconvenienti si sarebbero potuti evitare. Si nota,
infatti, al centro della discarica un vuoto dovuto alla rimozione di pietre.
Rimozione, però, che non è stata effettuate per bonificare l’area ma, per
procurarsi incautamente del materiale da costruzione gratuito. Materia prima
intrisa di sottilissimi ed invisibili frammenti di amianto.
Così la bomba sanitaria
rischia di espandersi e coinvolgere persone lontane anche centinaia di metri
dal sito. E’ necessario bloccare qualunque tentativo di rimozione del
materiale della discarica da parte di privati cittadini, al fine di evitare
una dispersione a macchia d’olio delle fibre ed è, inoltre, fondamentale
mettere subito in sicurezza la zona con l’isolamento del materiale bandito e
la bonifica dei terreni.
I molti contadini che lavorano
nei paraggi, così come le abitazioni, sono seriamente a rischio durante le
giornate ventose che possono trasportare le fibre anche a chilometri di
distanza.
La piaga dell’amianto continua
a colpire. Gli incoscienti che seminano pezzi mortali del temuto minerale,
minacciano la loro stessa salute poiché, inconsapevolmente, immettono
nell’ambiente particelle che si diffondono a grandi distanze. Coloro che non
bonificano aree ad altissimo pericolo sanitario, come queste, sono, però, allo
stesso tempo complici dell’incuria e dell’aumento dei casi di patologie
tumorali gravi che colpiscono animali e persone. Simili ordigni ecologici
andrebbero disinnescati prima che sia troppo tardi e che le statistiche sulle
morti per amianto si arricchiscano di nuovi dati.
Roberto Cazzolla
(da Il Levante)
Tra archi decadenti, ipogei sconosciuti e
masserie incustodite
Chi tutela e chi promuove il patrimonio
storico?
Viaggio nello sperpero del patrimonio culturale
di Gioia del Colle
Quante volte si sente elogiare
le ricchezze storiche delle città, quante volte piccole testimonianze del
passato attirano turisti d’ogni continente. Bastano poche pietre, qualche
tomba o una chiesa antica a magnetizzare la voglia di scoperta della gente,
convogliando denaro nelle casse dei Comuni interessati, benefici economici per
le aziende ed i residenti della zona. Si promuove un territorio e si vive di
quello. Sono molti i casi di piccole o medie città la cui economia si fonda,
soprattutto, sul turismo e sulla promozione del patrimonio culturale.
A
Gioia, invece, ove non ci sono solo pietre innalzate a monumenti, ma veri e
propri tesori archeologici, rurali ed urbani, c’è l’assurda tendenza a non
prendere in considerazione le possibilità offerte da simili testimonianze del
passato.
C’è un castello normanno-svevo,
tra quelli preferiti da Federico II nella vasta quantità dei suoi possedimenti
dopo Castel del Monte, un Municipio che è di per sé un monumento, il Teatro
Rossini che di anno in anno rischia l’abbandono per poi essere, fortunatamente
grazie alla lungimiranza di pochi gioiesi e del Teatro Kismet, salvato in
extremis, c’è la caserma dei Carabinieri, ristrutturata con dubbia attenzione,
l’ex-distilleria Cassano, il molino ora macello (che salto di qualità!), la
vecchia cantina sociale e chi più ne ha, ne metta.
Il problema è che di questo
straordinario valore storico più della metà è in totale decadenza, lasciato
all’incuria ed ai capricci del tempo. Non c’è neanche l’ombra della
promozione, neanche la parvenza di un accenno di politiche per attirare
turisti. Eppure quanto farebbe bene alla comunità la riscoperta di questi
scorci nascosti nel tempo. Quanta fresca e nuova economia fiorirebbe dinanzi
all’afflusso del turismo. Gioia come una nuova meta di adorazione culturale.
Basterebbero dei pacchetti turistici, una rete sentieristica ufficiale ed un
sito internet. Il resto, poi, andrebbe da sé.
La maggior parte degli archi
presenti nel centro storico è sconosciuto ai più. Inoltre, molti
necessiterebbero di manutenzione, da svolgere in maniera accurata e senza
modificare l’antica architettura. Ed i palazzi della zona antica? Ognuno fa
quel che gli pare. Sopraelevamenti, pitturazioni arlecchine, porte
avveniristiche, verande hawaiane, balconi marziani, etc.
Così, privato di ogni
regolamentazione, il centro storico patisce i colpi dell’indifferenza e viene
sempre più relegato ad area d’abbandono, ove un tempo c’era la gente ma ora
fioriscono solo gli affari edilizi. Ci sono Comuni del circondario, come Noci,
dove il centro storico ha una funzione vitale per il paese; si organizzano
sagre di successo; si attirano turisti d’ogni dove.
Invece a Gioia, ci sono decine
di ipogei straordinariamente belli, dove all’interno sembra di aver fatto un
salto nel passato, una macchina del tempo sotto i nostri piedi, ma in pochi
sanno della loro esistenza.
In quanti hanno visitato
quelli della chiesa di S. Francesco, di S. Maria Maggiore (chiesa Madre), di
S. Antonio, con i pozzi e le cisterne, le cripte e le botole? Quanti conoscono
la cisterna di via Fontana o il complesso cimiteriale della chiesa di S.
Antonio? Ma non è solo colpa dell’indifferenza dei cittadini. Perché molti di
questi posti non sono resi accessibili ai turisti, non vengono valorizzati e
giacciono per ottusagine di politici, soprintendenze ed, a volte, parroci
nell’oblio più totale. Qualcuno ha mai visitato il pozzo del Castello o il
presunto passaggio segreto tra la chiesa Madre, il Fortino svevo e Monte
Sannace? Ci sono amministrazioni che farebbero salti mortali per avere
concentrati nel proprio territorio una tale quantità di beni storici ed
archeologici. Che dire poi di Santo Mola, la necropoli peuceta recentemente
riscoperta, nascosta in fretta e furia da abitazioni e lasciata soffocare in
attesa di posteri migliori? Per non parlare delle numerose e
straordinariamente belle masserie abbandonate nelle campagne gioiesi. Quelle
di via Vecchia Laterza o di Marzagaglia, con stalle, dormitori, alcune con
iscrizioni o affreschi. Altre con reperti religiosi, campane, altari,
mangiatoie…Poi ci sono i numerosi trulli sparsi sul territorio, in particolare
tra la via per Turi e quella per Putignano. Affascinanti resti di antiche
popolazioni, perfettamente integrati nel paesaggio e degni del più valoroso
sforzo conservativo.
Invece, quando si parla di
Gioia del Colle, si accenna a stento agli scavi di Monte Sannace, dimenticando
l’immenso patrimonio che questo paesino murgiano conserva.
Ma non è colpa di nessuno se
la cultura qui, è all’ultimo posto, non è colpa dei politici scelti
dell’accentuata inconsistenza dell’impegno cittadino, non è colpa dei
cittadini vittime di scelte ignobili dei politici…intanto, però, nel balletto
delle colpe un’inestimabile tesoro si sgretola distrutto dall’indifferenza. La
stessa indifferenza che porta a ritenere le insulse diatribe politiche più
importanti della preservazione dell’identità di un popolo e di mille culture,
più pressante della necessità di creare turismo e promozione in una città che
di queste risorse ne ha da vendere. E, certamente, da guadagnare…
Roberto Cazzolla
(da Il Levante)
Le esche velenose per ratti sono ancora
posizionate nei giardini pubblici
Veleni pubblici: da mesi nessuno li rimuove
Esiste il serio pericolo che qualche bambino o
animale domestico li tocchi
“La ditta di Triggiano che li
ha sistemati, avrebbe dovuto rimuoverli – fanno sapere dall’Ufficio Tecnico
del Comune di Gioia del Colle – comunque ci informeremo sul perché sono ancora
lì”.
Intanto, però, le esche
velenose posizionate ben 5 mesi fa, esattamente il 5 settembre 2007, nei
giardini pubblici per dar battaglia ai presunti ratti che infestano la città,
sono ancora lì e non sono stati ancora rimossi.
Le esche sono formate da tubi
a T capovolti con un gancio metallico interno che sostiene una bustina di
anticoagulante. Sono state posizionate in varie aree della città, in
particolare in P.zza Pinto. Qui, le si trova in grandi quantità attaccate
sotto i bidoncini della spazzatura. Il che fa sorridere, perché se è vero che
in questo modo i topi possono essere attirati dall’odore dei rifiuti e,
quindi, cadere più facilmente nella trappola, c’è da dire che questi animali
sono molto più intelligenti di quello che pensiamo e difficilmente
sceglierebbero una bustina di veleno al posto di un mezzo panino al
prosciutto. Così di sera i roditori si potrebbero avvicinare alle esche, ma
grazie al loro potentissimo olfatto (di gran lunga migliore di quello dei
cani, tant’è che molti ratti vengono utilizzati per individuare le mine che,
fortunatamente, riconoscono senza saltare in aria) eludere completamente i
veleni ed infilarsi nei bidoncini bassi per cibarsi di scarti.
L’aspetto più curioso della
vicenda è che, probabilmente, pur volendo, questi ratti delle specie Rattus
rattus e Rattus norvagicus, ratto nero e ratto grigio, che vivono
nelle fogne e tra la spazzatura umana (altrimenti non avrebbero popolazioni
così numerose), non hanno possibilità di accesso all’interno dei tubi viste le
loro dimensioni più elevate rispetto al comune ed innocuo topolino Mus
musculus, che diventa certo più facile vittima, considerata la modesta
mole che gli permette di accedere nei tubi. Così, non solo non si riduce la
popolazione dei ratti, ma si stermina un roditore simpatico ed innocuo che
condivide da secoli gli spazi verdi urbani con l’uomo.
Ciò che più preoccupa, però, è
il fatto che queste esche stazionino per strada da molti mesi, nella totale
incuria ed accessibili a bambini ed animali domestici. Al disopra delle esche
ci sono cartelli che indicano il tipo di antidoto da utilizzare in caso di
contatto: vitamina K (un forte coagulante del sangue, con azione antagonista
rispetto al veleno). Il pericolo di avvelenamento di animali e bambini, non è
così remoto e più passa il tempo, maggiori sono le probabilità.
Oltre al comprovato insuccesso
delle esche, visto che nella maggior parte dei tubi esse sono lì al loro posto
completamente inviolate, c’è da evidenziare che alcune sono state manomesse ed
in altre le bustine sono fuoriuscite e si rinvengono nei paraggi. Inoltre,
l’acqua piovana che talvolta riempie i tubi, rischia di far imputridire i
pacchettini che contengono il veleno e di riversarlo fuori.
Altro particolare aspetto è
che, se le esche avessero funzionato si sarebbe rinvenuto qualche ratto morto
poco distante, e chi l’avrebbe rimosso? Chi avrebbe garantito che gatti, cani
o persone non ne venissero in contatto? Oltre al veleno, il pericolo
deriverebbe da un animale morto portatore di parassiti. Quindi, sembra che
alle “buone intenzioni”, se così si può ironicamente chiamare la volontà di
sterminio dei roditori, non siano seguiti i giusti accorgimenti per tutelare
la salute dei cittadini.
Anche perché, i tubi sono
facilmente manomettibili e tenendo conto dei vandalici atti che di sera in
sera si compiono nei giardini pubblici, c’è da aspettarsi che prima o poi,
simili veleni finiscano nelle mani di qualche ragazzino imprudente.
Come sia possibile che da
settembre dello scorso anno, siano ancora presenti pericolosi veleni negli
spazi pubblici più frequentati? E’ mai possibile che le ditte private che
appaltano un servizio, spesso si disinteressano del portare a conclusione
l’opera? Si potrebbe, malignamente, pensare che una volta intascata la
provvigione per il lavoro, queste si disinteressino del prosieguo…Ma per non
essere sospettosi, bisognerebbe almeno sollecitare gli amministratori pubblici
a tenere maggiormente sottocontrollo simili vicende che interessano la
cittadinanza.
Forse, una miglior lotta per
evitare l’accrescimento delle popolazioni dei ratti, sarebbe quella di ridurre
al minimo il rifiuto organico nei cassonetti (magari iniziando a raccoglierlo
separatamente per conferirlo nelle compostiere), diminuire il carico organico
degli scarichi fognari, evitando di scaricare nel water fazzoletti, cibo, etc.
che finiscono nelle fogne ed oltre a diventare cibo per i roditori, aumentano
la temperatura delle tubazioni, creando il crogiuolo ideale per la
riproduzione del roditore. Ma per tutto questo serve una spinta dall’alto,
un’ordinanza sindacale. Così si evita di avvelenare incautamente cani, gatti e
bambini, e si risparmia la vita all’innocuo topolino comune. Nel frattempo,
bisogna urgentemente rimuovere le esche prima che il bersaglio dell’infame
trappola cambi di specie…
Roberto Cazzolla
(da Il Levante)
Le piccole cave per l’estrazione del tufo,
colmate abusivamente
Ora le Tufare son piene di rifiuti
La gente della zona e qualche grande azienda le
sta riempiendo illegalmente
Appare strano comprendere a
fondo l’origine dei materiali che quotidianamente derivano da fonti naturali.
Così ci si stupisce quando si scopre che il duttile alluminio è ricavato dalla
bauxite, estratta con molta fatica e notevole impatto ambientale, dal cuore
delle montagne. Ci si meraviglia all’inverosimile quando si apprende con quale
sacrificio
forestale vengano ricavati i numerosi fogli di carta che quotidianamente, dopo
un minimo scarabocchio, noi buttiamo via o quanta silice sia necessaria per
produrre il vetro oppure quanto petrolio venga sprecato durante la foggiatura
delle plastiche.
Allo stesso modo sorprende
apprendere che i palazzi, le case e tutte le altre costruzioni sono in piedi
grazie alle numerose tonnellate di tufi estratti dalle cave, in zone ricche di
questa concrezione minerale.
A Gioia esiste un luogo che
per decenni è stato utilizzato nell’estrazione del tufo, garantendo una
costante fuoriuscita di materie prime utili nei più svariati utilizzi edili.
Lungo la via delle tufare, tra Gioia e Santeramo in Colle, si sono svolte
storie di scavatori ed operai che con grande fatica estraevano la preziosa
pietra morbida e friabile, che spesso viene divisa in blocchi tetragonali
all’interno di appositi macchinari. L’estrazione del tufo, com’è
comprensibile, può avvenire solo in zone in cui tra gli strati superiori di
terreno e la roccia madre sottostante si vengono a trovare lamine di roccia
porosa e friabile, denominata appunto tufo. Il vero tufo, quello laziale od il
famoso “giallo” campano, deriva da processi eruttivi vulcanici ed è, quindi,
una roccia vulcanica piroclastica, mentre quello pugliese, così come quello
estratto dalle cave di Gioia del Colle, è un tufo improprio, trattandosi di
calcari
formati da
sedimenti
precipitati grazie all'azione dell'acqua, che generalmente includono tracce di
vegetali o di conchiglie fossilizzate.
In questi anni in cui le cave
sono state abbandonate a se stesse, non essendo più utilizzate per
l’estrazione, privati cittadini ed aziende della zona, hanno abusivamente
sversato una gran quantità di rifiuti all’interno di una di esse, in contrada
delle Tufare. La scoperta, recentissima, è avvenuta dopo la segnalazione di
alcuni residenti della zona che hanno notato la presenza di lavatrici,
carcasse d’auto, prenumatici, batterie d’auto, amianto, televisori, ferraglie,
ceneri e fanghi. Sono proprio questi ultimi a preoccupare vista la possibilità
che si tratti di fanghi di depurazione contenenti metalli pesanti e sostanze
tossiche. Così, in un paesaggio dantesco, ove le pareti scendono in
profondità, ricoperte da vegetazione, come fossero gironi a più settori, in
ognuno dei quali la natura sta ristabilendo il suo controllo, si scopre
nuovamente l’altra faccia dell’abuso umano. Dapprima, lo sventramento di un
territorio con la formazione di crateri sparsi, azione però a modesto impatto
ed utile ai fini dell’edilizia, poi, la più deleteria e pericolosa immissione
illegale di rifiuti delle più svariate tipologie all’interno della foro
creato. Del ritrovamento della colmatura, decine di metri cubi, con rifiuti
pericolosi saranno messe al corrente le forze dell’ordine, nella speranza che
l’area venga sottoposta a sequestro penale ed il reato non venga perpetrato.
C’è da chiarire anche chi sia, una volta conclusosi i lavori di scavo, il
legittimo proprietario della zona, un privato cittadino o il Comune, perché
anche questo sarà soggetto d’indagine, visto l’uso improprio del territorio
che si sta facendo.
La conferma dell’attuale
utilizzo dell’area come discarica arriva dalla constatazione che al margine
della cava che affaccia sulla strada si vedono numerosi segni di pneumatici e
fanghi freschi, non essiccati. All’interno, inoltre, si rinvengono materiali
da costruzione, lastre in eternit, barattoli di vernice, reti per letti, etc.
Insospettisce l’elevata quantità di cumuli di terra, tipici “nascondigli” dei
più svariati rifiuti tra cui, solitamente, quelli chimici.
Il tutto è stato realizzato in
una zona ad elevatissima presenza agricola. Si notano nei terreni circostanti
uliveti, vigneti, orti e campi a grano. Tutte queste colture, rischiano
l’inquinamento a causa del percolamento nel suolo permeabile, dei liquami con
la contaminazione della falda sotterranea.
Appare, quindi, importante la
rapida bonifica e messa in sicurezza del sito, con la possibile soluzione di
colmare i fori delle antiche tufare con inerti (legno, pietra, tufo stesso)
oppure, con la più costruttiva idea di lasciare così com’è l’area per
testimoniare alle generazioni future come sia potuta sorgere l’immensa mole
dei palazzi della città e quanto sacrificio umano ed ambientale questo è
costato. Magari, i giovani, rendendosi conto in prima persona del peso
economico ed ecologico di aspetti della vita che spesso si danno per scontati,
come la costruzione di un palazzo, potranno apprezzare il duro lavoro ed il
grande servigio che gratuitamente gli ambienti naturali ci forniscono. E,
forse, smetteranno di colmare con indifferenza e superficialità, il ventre
della terra che per lunghi anni ha permesso alle loro famiglie di vivere al
riparo dalle intemperie, al sicuro con un tetto sulla testa, avvolti tra le
quattro mura.
Roberto Cazzolla
(da Il Levante)
Serve un segnale forte da parte delle forze
dell’ordine
Pugno duro contro i delinquenti
Ennesimo furto in casa in questi giorni di
esplosione della malavita
Un altro furto è avvenuto in questi giorni di
esplosione della malavita gioiese. Ignoti dopo essersi intrufolati
silenziosamente in un’abitazione a piano terra in una traversa della chiesa
Immacolata, hanno sottratto una borsa e sono fuggiti. Sembra che si trattasse
di due persone che approfittando della porta aperta dalla signora residente
nell’abitazione al fine di far arieggiare l’ambiente, sono entrati
silenziosamente prendendo dal tavolo del soggiorno una borsa di valore con
all’interno, cellulari, documenti, occhiali da vista, soldi e carte prepagate.
I ladri, sono poi scappati, sembrerebbe a piedi, attraverso le stradine della
zona di via Mazzini. La vittima del furto, ignara dell’accaduto perché si
trovava nella cucina dell’appartamento, si è, solo dopo parecchi minuti,
accorta che le era stata rubata la borsa. A quel punto, costernata, è corsa
dai Carabinieri che non hanno potuto, però, ricevere l’esposto in quanto la
donna era priva del documento d’identità sottrattogli. La vicenda ha visto un
risvolto a buon fine, poiché la mattina seguente una signora, con grande senso
civico e bontà d’animo, ha contattato la derubata, dicendole di aver ritrovato
la sua borsa con i documenti nei pressi di via della Chiusa e glie l’ha
riconsegnata. All’interno erano stati sottratti dai malavitosi i soldi, i
cellulari e le carte prepagate. Almeno occhiali e documenti, oltre alla borsa
stessa, grazie al generoso gesto di un cittadino, sono stati riconsegnati al
legittimo proprietario. L’ennesimo atto delinquenziale, dunque, che in questo
periodo vede una crescita esponenziale di rapine, scippi e furti.
Mentre, tragicamente si è spenta l’esistenza di
Giuseppe Intelletto, vittima innocente della sparatoria dell’Epifania in via
della Fiera, alla cui famiglia va tutto il cordoglio e l’affetto della città
intera, sconvolta dall’efferatezza di un delitto frutto dell’ingorda smania di
denaro che affligge, ormai, l’intera umanità, sono in molti da più fronti a
chiedere uno sforzo in più alle forze dell’ordine per individuare gli artefici
delle rapine e contrastare l’espansione del fenomeno malavitoso.
Certo, assicurare alla giustizia i colpevoli,
non riporta in vita le vittime e nemmeno il senso di totale smarrimento che
coinvolge i parenti, increduli di come tanta brutalità possa scaturire
dall’ignobile desiderio dell’avere.
Però, è estremamente importante che gli agenti
di polizia intensifichino le indagini e diano, ai cittadini, un nuovo senso di
fiducia in coloro che dovrebbero tutelarli da simili vicende. E’ anche vero,
che il senso d’immoralità nelle azioni quotidiane, non può garantirlo una
divisa o un agente armato, ma deve assicurarlo il senso di giustizia interiore
che col passare del tempo si fa sempre più labile, sfociando in atti criminosi
compiuti nella più totale disinvoltura.
Da indiscrezioni, sembra che ci siano già dei
fermati per accertamenti, quali probabili coinvolti nella sparatoria del 6
gennaio. I Carabinieri stanno facendo indagini a tappeto e tutti si augurano
che presto, possano essere arrestati i colpevoli. Nel frattempo bisogna che
gli agenti del corposo comando locale dei Carabinieri, riportino al paese un
nuovo senso di fiducia e tranquillità.
L’inusualità, per Gioia, di simili eventi ha
scosso anche i commercianti ed è facile osservare, in questi giorni, chiusure
anticipate dei negozi e dei bar, oppure aperture esclusivamente diurne. Sarà
un caso, ma le vicende di queste settimane hanno lasciato il segno un po’ in
tutta la popolazione.
Il senso di smarrimento della società moderna,
accompagnato al sempre più evidente diradamento ed alla costante emarginazione
delle periferie, conduce inevitabilmente a fenomeni di esasperazione sociale
che sfociano nella micro e, purtroppo a volte, nella macro – delinquenza.
Per questo, si fa evidente la necessità di
nuove politiche sociali, di tutela delle fasce emarginate, con l’apertura di
sportelli di comunicazione del disagio, di accoglienza e conforto.
Probabilmente, questo non fermerà del tutto gli scippi e le rapine, ma
permetterà di comprendere parte dei bisogni della gente.
Non si deve, però, allo stesso tempo cadere
nell’eccesso di buonismo giustificando i reati con pseudo-motivazioni sociali.
E’ giusto che i colpevoli di ogni atto criminale vengano puniti e che le
persone coinvolte sentano che, in parte, sia fatta giustizia. E’ inspiegabile,
e probabilmente dovuto ad un senso di emulazione o al sentore dell’impunità,
che nell’arco di tre settimane sia avvenuta in paese la sparatoria della
Befana, il furto presso l’associazione Città Nuova, la rapina nei locali del
musicista gioiese Gegè, due o tre scippi ai danni di incolpevoli cittadini.
Tutto questo deve far riflettere e motivare le forze dell’ordine al ripristino
delle serene condizioni di vita. Perché, se è fisiologico che in una città in
espansione come Gioia, avvengano furti ed altri atti delinquenziali, non si
può, non si deve, giustificare in alcun modo un omicidio.
La vita conta più di qualunque somma di denaro
e nel dolore di chi resta si può soltanto apparentemente vedere il vuoto
creato da un esistenza che non c’è più. Ma nel dolore si trova la forza per
chiedere che giustizia sia fatta ed in chi resta, l’essenza di quella vita
tragicamente scomparsa, permane con forza a conservarne il ricordo. Ed allora
l’esistenza assume, di nuovo, l’immagine chiara dell’immortalità. Perché se un
uomo lascia in ognuna delle persone che ha incontrato un frammento della sua
vita, resta per sempre nei cuori della gente, vive per sempre nell’immenso
Universo dell’amore. Giuseppe Intelletto lascia un mondo esterno non
all’altezza della sua bontà ma, trova ora nell’animo di parenti e amici, e di
un’intera città, il ricordo immortale di “una vita vissuta per gli altri”.
Roberto Cazzolla
Piazza Pinto: il regno dei vandali
Dilaga il barbaro assalto agli spazi pubblici,
in particolare nella villa
Era il regno della pace e della
tranquillità. Tra alberi e panchine, giostrine per bambini, pista di
pattinaggio. D’estate allietano l’aere cantanti e karaoke. E poi tornei di
pallavolo, cacce al tesoro, corse in mountain bike. Gli anziani vi trovano
refrigerio durante l’estate e senso di protezione nelle passeggiate d’inverno.
Uomini e cani al seguito trascorrono lì momenti di puro relax. Eppure a Piazza
Pinto, negli ultimi tempi, sta avvenendo un lento e progressivo disfacimento
di tutto ciò che era stato realizzato dall’amministrazione comunale per la
quiete ed il
diletto dei cittadini. C’è anche un progetto per la
riqualificazione del piccolo polmone verde urbano che in molti, dai Comuni
limitrofi, invidiano. Perché la Villa, come tutti a Gioia la conoscono,
rappresenta un fugace ritorno alla natura dopo ore trascorse a scuola o in
ufficio. E’ straordinario ammirare nello stesso spazio, con convivenza
pressoché rispettosa, bambini e anziani, cani e piccioni, pipistrelli
all’imbrunire e di tanto in tanto qualche rospo in cerca d’umidità. Sulla
rotonda al centro del giardino si tengono quotidianamente fantastici e genuini
tornei di calcetto, non senza schermaglie tra i ragazzini, ma poi tutto torna
a posto. Alle panchine in pietra, siedono gli adulti che rinfrescano la mente
dalle quotidiane oppressioni. In Villa s’intrecciano gli amori dei giovani
fidanzati che da decenni si danno appuntamento tra i maestosi lecci, gli
abeti, i pini ed i tassi che puntellano il verde tappeto del prato.
Sono nati e son finiti legami
lì. Ne han visti di litigi i platani che troneggiano i viali d’accesso,
fornendo ombra e protezione ai piccioncini, d’ogni specie, innamorati. Un
tempo Piazza Pinto era anche sede di dibattito politico e di confronto
culturale, quando la gente soleva incontrarsi per strada per discutere
piuttosto che chiudersi in casa davanti ad una chat al computer.
Chi, poi, con immane fascino
per gli occhi, non ha assistito a bocca aperta allo spettacolo dei liriodendri
autunnali che cingono la villa, che sfumano i colori dell’estate dal verde al
giallo, all’arancio, al rosso recuperando la vitale clorofilla per lasciar
posto a xantofille e caroteni protettivi. Un fenomeno, cosiddetto foliage
dal termine francese adottato dagli anglosassoni, che attira grandi e piccini
verso l’incantevole osservazione dei ritmi della natura, di quegli orologi
biologici che segnano il passo della vita e delle stagioni.
Quando si decise, più lustri
or sono, di abbattere quel muro in pietra che ostruiva la vista dall’esterno,
fomentando facili brutt’affari malavitosi, buttando giù un divisorio si aprì
una finestra alla città che, avrebbe dovuto godere del luogo incantato. Isola
felice della città. Così sorsero le panchine nuove, le giostrine per bambini,
i nuovi lampioni e per ultimo i raccoglitori per gli escrementi degli animali
domestici. Questi ultimi non hanno fatto ancora breccia nel cuore dei gioiesi
visto il scarso uso che ne fanno. Sintomo, ancora, di diffuso mal rispetto
dell’altro, sia esso un uomo o un cane. Comunque, che ci fossero era già un
passo avanti. Ma ora, dopo mesi di invasioni barbariche da parte di ragazzacci
maleducati pronti a buttar giù tutto ciò che gli capita a tiro, rei del
fracasso pestilenziale e quotidiano portato ai residenti della zona nelle ore
notturne con urla abominevoli che ricordano a tutti che il Neanderthal non si
è estinto, la quiete sembra aver lasciato il posto alla tempesta. Raid di
giovani scalmanati hanno completamente divelto nei giorni scorsi alcune
giostrine, distrutto le altalene, riempite di insignificanti e conformisti
graffiti alla ricerca d’identità, panche, tettoie, scivoli, etc. Quest’incontrollati
promotori della distruzione, frutto di una mente distrutta,a sua volta, dalla
nullafacenza e dalla totale assenza di senso civico, confortata dalla più alta
indifferenza da parte delle forze dell’ordine più volte sollecitate dai
residenti a prendere provvedimenti, hanno nel tempo schiacciato, smontato,
lanciato i bidoncini della spazzatura e, non perché fossero
dell’indifferenziato e non garantivano alla gente un sito dove inserire carte,
plastiche, vetro e lattine (che forse ci sarebbe anche voluta, come forma di
protesta nei confronti di chi dovrebbe assicurare un simile servizio) no,
l’hanno fatto per passare il tempo! Ed i lampioni, poi, scossi sino a quando
non si fulminano. Un’imbecille trovata di un cervello con neocorteccia, per
modo di dire. Per ultimo, ieri, sono stati abbattuti, nel vero senso della
parola, molti contenitori per la raccolta delle feci dei cani. Divelti, stesi
al suolo e lasciati lì per il divertimento di pochi minuti. Indisturbati e
nella piena arrogante consapevolezza che così va il mondo. Ognuno fa quello
che gli pare. Ed allora chi se ne importa se ho voglia di spaccare una
bottiglia della birra per terra e domani un bambino si taglia. Non gli
interessa minimamente conoscere a quanto ammontano i loro danni alla spesa
pubblica. Farebbero bene, però, a cercare di comprenderlo visto che i soldi
pubblici arrivano anche dal lavoro dei loro genitori. O forse no?
In ogni caso, a meno che non
si sia deciso di lasciar distruggere Piazza Pinto dai vandali, per poi lasciar
posto al nuovo progetto in corso d’opera, sarebbe meglio che qualcuno ponga un
freno a tutto questo sfascio e riponga nuovamente nelle mani dei cittadini
perbene, l’ultimo baluardo urbano della pace dei sensi.
Roberto
Cazzolla
(da il Levante)
A tre anni dal sequestro, una pericolosissima
discarica non è stata ancora bonificata
Discariche a Gioia: altro che Napoli!
Rottami d’auto, batterie e rifiuti tossici
sotterrati. Violati i sigilli
Tutti pronti a dar la colpa ai
napoletani, popolo distratto e senza concezione della tutela dell’ambiente.
Tutti pronti ad indicare colpevoli e soluzioni, senza sapere che sotto i
nostri piedi c’è una bomba inesplosa che sta raggiungendo i livelli della
Campania.
Per rendersene conto basta
prendere la provinciale Gioia – Santeramo e passeggiare tra i campi coltivati
circostanti all’impianto di demolizione auto Ecodem. Sulla sinistra, un
terreno recintato di proprietà dell’azienda, porta ancora il cartello di
sequestro penale operato soli due mesi fa dalla Guardia di Finanza. I sigilli
sono stati violati e non c’è più traccia neanche dei nastri di recinzione.
All’interno, sotterrati si trovano tonnellate di minuscoli pezzetti di auto,
batterie, carrozzerie, motori, pezzi in plastica ed ogni altro possibile
residuo della demolizione. Al suolo sono stati scavati dei buchi per
permettere agli agenti di verificare la profondità ed il tipo di rifiuti
scaricati. Il lavoro di smaltimento illegale era stato compiuto con tutte le
precauzioni. Uno scavo profondo parecchi metri, dopo la colmatura, era stato
ricoperto ben bene da terra e vegetazione. Così sarebbe passato tutto
inosservato. I rottami erano talmente frantumati che si fa fatica a
riconoscere l’originaria appartenenza di ciascun pezzo. Forse un paraurti, un
cofano, una candela, un tubicino della batteria. Tutti materiali regolamentati
dalla legge conosciuta come “Decreto Ronchi”, che li individua come “rifiuti
speciali” e “tossico-nocivi”. Perché, il problema principale è che i liquami
derivanti dagli scarti ed i più pericolosi metalli pesanti delle batterie o
dei circuiti elettronici, percolano nel terreno e nella falda, e raggiungono
l’acqua ed il cibo coltivato.
Adiacente al demolitore, un
altro suolo sempre di proprietà della Ecodem, con decide di cumuli di terra,
inerti, pietre, asfalti e materiale edilizio. Cosa c’è sotto i cumuli? Non è
dato di sapere.
Ciò che, invece è certo, è che
pochi giorni fa, uomini del CTU inviati dalla Procura di Bari, hanno
effettuato dei campionamenti sull’altra discarica abusiva realizzata dalla
ditta. Questa è raggiungibile tramite una strada che parte dal retro della
Ecodem, in contrada Latta Latta. Qui l’opera è stata ancor più avveniristica.
Una piramide priva di vertice. Una ziggurat della monnezza, composta da
un triturato finissimo delle più svariate parti di automobili, batterie,
amianto, rifiuti speciali e tossico nocivi. Una bomba ecologica che fa invidia
a tutto il napoletano. “Eppure – assicura un contadino della zona – qualche
anno fa la USL di Gioia del Colle ha fatto delle analisi e avrebbe dovuto
consegnare i risultati delle sostanze rinvenute. Ma, poi, non si sa per quale
ragione, queste analisi sono andate perse e nessuno è a conoscenza dei
risultati. Dalla USL dovrebbero farci sapere dove sono finiti tutti questi
rilievi, perché noi qui coltiviamo e poi frutta e ortaggi li mangiamo e li
vendiamo. Cosa stiamo producendo, veleni?”.
L’area intorno alla discarica,
infatti, è circondata da uliveti e coltivazioni ed in molti, in zona,
utilizzano l’acqua della falda per irrigare i campi. L’ammasso di rifiuti
pericolosi, sequestrato nel 2004 dal CFS del Comando di Gioia del Colle, è
ancora lì dopo quasi quattro anni, coperto da teloni bucati e pneumatici. Nel
frattempo, continua a riversare liquami contaminati nei terreni circostanti e
nell’acqua sotterranea. Con un’altezza di 2 metri ed una superficie di 1200 mq
circa, il sito è stato utilizzato per molto tempo dalla ditta Ecodem per
liberarsi di tutto ciò che non conveniva recuperare. Aveva, addirittura, un
comodo accesso sul retro per raggiungerla. Ma, allora, perché l’azienda
continua a demolire auto, invece di bonificare l’area? Perché l’azienda che
gestisce lo smaltimento dei rifiuti di Gioia del Colle, continua a conferirne
parte a questa ditta, lasciando loro l’incarico di convogliarli presso gli
impianti? Visti i precedenti, chi ci assicura che parte di quei rifiuti urbani
non vengano smaltiti illegalmente? Dopo due sequestri penali, sigilli rimossi,
inquinamento dei terreni, smaltimento illegale di rifiuti pericolosi,
l’azienda è li che continua regolarmente a lavorare, mentre tonnellate delle
più pestilenziali sostanze decantano al suolo composti tossici e cancerogeni.
Stavolta, la notizia di reato
c’è stata, il sequestro anche, quello che manca è l’ordine da parte della
Procura e del PM incaricato di bonificare l’area. Bonifica che dev’essere a
carico di chi ha commesso il reato. Ma allora perché ci si mette così tanto,
quasi 4 anni, prima di bonificare un suolo? Non ha senso sequestrare
discariche e palazzi, se poi questi restano lì dove sono stati creati, in
attesa che trascorrano 5 anni e che giunga, come manna dal cielo, la
prescrizione del reato. Per ogni sequestro, dovrebbe esserci l’ordine
d’immediata bonifica a carico del trasgressore, invece dalla Procura questi
dictat stentano ad arrivare e così, centinaia di violazioni attendono sono il
trascorrere del tempo per essere perpetrati. Le discariche della Ecodem sono
una mina sotto i piedi di tutti, stracolme della desolante consapevolezza che
in Italia i reati vengono puniti solo se a commetterli sono i piccoli
delinquenti, mentre nel caso dei gruppi e delle aziende, prima si chiude un
occhio e poi anche l’altro con la frequente connivenza di politici e di
giudici. L’aspetto più nefasto della vicenda è che, in questo modo, chi
chiuderà gli occhi, per sempre, saremo noi e tutti gli altri esseri viventi,
che in questa schifezza navighiamo più o meno consapevolmente.
Roberto
Cazzolla
(da il Levante)
L’enorme rogo di questa estate è stato
alimentato da interessi edilizi?
Chi specula su Gravina S. Croce?
Un luogo incantato alle porte di Gioia,
minacciato da più fronti
di ROBERTO CAZZOLLA
Come
dimenticare l’immane rogo divampato quest’estate tra Gioia e San Basilio,
durante il quale andarono distrutti decine di ettari di bosco mediterraneo. E’
stata una grandissima sciagura che si è abbattuta su di una delle più vaste e
conservate aree murgiane. L’incendio ha interessato gran parte della
vegetazione che scende lungo le pareti di Gravina S. Croce, sita a sud-est di
Gioia del Colle, all’intersezione con i Comuni di Castellaneta, Mottola e
Laterza. Sino a pochi giorni fa, però, non era chiaro se si fosse trattato di
un incendio doloso o di un fatale errore (magari, una stoppia non spenta o un
mozzicone gettato dall’auto). Ma ora, nuovi preoccupanti scenari si aprono nel
teatro delle cause. Si sa, molti incendi vengono provocati al fine di tentate
di utilizzare un territorio originariamente ricoperto da alberi e, quindi,
inaccessibile. Sembra che anche nel caso di Gravina S. Croce, ci siano forti
interessi speculativi sia dal punto di vista edilizio che della caccia di
frodo. “Questa è un’area protetta – dichiara rammaricato un agricoltore che
risiede nei pressi della gravina – e in molti hanno interesse a costruire,
realizzare strade o semplicemente, di vendicarsi per le limitazioni imposte
sull’area”. Attualmente, infatti, l’area di Gravina S. Croce e dei boschi
adiacenti è inclusa nel SIC (Sito di Importanza Comunitaria) denominato
“Murgia Alta”, nel SIC denominato “Murgia di sud-est” per buona parte della
sua estensione ed è stata individuata come Important Birds Area. Questi
vincoli, pongono delle limitazioni alle nuove costruzioni, alla realizzazione
di infrastrutture ed alla caccia. “Qualcuno ha deciso di far sparire
completamente quest’area – conferma un altro residente della zona – e sono
anni che ci stanno provando”. In effetti è dal 1997 che nell’area divampano
roghi, sorgono costruzioni e si tracciano strade. Ultima, in ordine di
realizzazione è la stazione ferroviaria di Grottalupara, rimodernata di
recente dalle FS. E sembra che proprio l’avamposto creato dalla stazione abbia
mosso interessi da parte di alcuni imprenditori che vogliono realizzare
nell’area un nuovo centro residenziale e creare un raccordo stradale tra il
Comune di Mottola e quello di Gioia del Colle. Anche perché, non si
spiegherebbe altrimenti come mai, una stazione così moderna e ben mantenuta,
con un ampio parcheggio e molte sale, sia sorta in una zona distante parecchi
chilometri da entrambi i comuni, abitata da meno di una cinquantina di persone
e immersa in un vastissimo bosco. Non si esagera a dire che la stazione di
Grottalupara è messa, di gran lunga, meglio di quella di Gioia del Colle.
Simili
sconvolgenti particolari potrebbero mettere in serio pericolo la conservazione
di un luogo ove la natura regna sovrana. Questa gravina rappresenta l’habitat
ideale per l’impianto di specie vegetali (timo, pungitopo, biancospino,
lentisco, cisto, mirto, alterno, fillirea, etc.) e per l’arrivo della fauna.
L’area boscata (a fragni e roverelle, inframmezzati da betulle) che la
circonda, è una delle più vaste formazioni vegetali di tutta la provincia di
Bari, racchiudendo nella sua gola una grande varietà di vita, minacciata
dall’intervento umano.
Eppure,
un simile e raro ambiente rischia di essere carbonizzato per lasciar posto a
palazzi e strade (proprio nei giorni scorsi è stata scoperta una vasta area
disboscata e parzialmente asfaltata, per permettere l’accesso di mezzi
pesanti), nonostante la legge italiana vieti qualunque attività in aree
percorse dal fuoco. Ma, è storia nota dalle nostre parti, che località
“interessanti” per costruttori ed amministratori, finiscano per non essere
registrate nel catasto comunale e regionale dopo un incendio in modo da non
avere testimonianza del reato e, quindi, non essere vincolata dai limiti di
“non edificabilità”. E’ successo per tante zone murgiane, perché la stessa
cosa non potrebbe accadere anche nella Gravina S. Croce?
Di
sicuro, questa rappresenta uno degli ultimi avamposti per la proliferazione
della fauna autoctona, tipica della regione biogeografica mediterranea. La sua
struttura geologica offre agli animali innumerevoli habitat e altrettante aree
di foraggiamento che raramente si incontrano in altre zone. Inoltre, proprio
per la sua funzione di inghiottitoio naturale, al di sotto del livello del
suolo circostante, funge da serbatoio per una tranquilla riproduzione e
sopravvivenza delle specie animali (volpi, faine, tassi, ricci, arvicole,
testuggini di terra, lucertole e ramarri) e ne conserva popolazioni estinte
altrove. Tra l’avifauna troviamo numerose specie a rischio per la perdita di
habitat (civette, gheppi, grillai, poiane, gufi e averle) e perché minacciate
dall’uso indiscriminato di pesticidi (Luì piccolo, Cinciallegra, Cincia bigia,
Fiorrancino, etc.).
Elevata
è anche la presenza di coleotterofauna tra cui si registra il rarissimo
Cerambice delle querce (che sopravvive nei boschi maturi, ormai sempre più
radi), lo Scarabeo rinoceronte ed il minacciato Scarabeo golia. Invertebrati
che sino a poco tempo fa si riteneva fossero scomparsi totalmente dall’area
murgiana. Di straordinaria importanza è stato il rinvenimento nella zona di un
Colubro leopardino (serpente colorato e schivo) e di un giovane esemplare
d’Istrice.
Un patrimonio naturalistico
inestimabile, quindi, che meriterebbe maggiore protezione da parte delle
autorità locali e del Corpo Forestale dello Stato, con un piano di tutela e
perimetrazione delle aree bruciate, in modo da evitare eventuali progetti
edilizi e di realizzazione di strade. Gravina S. Croce è un piccolo gioiello
che l’intera comunità dovrebbe impegnarsi a proteggere e preservare per le
generazioni future.
Le gravine: un patrimonio da tutelare
Cosa sono queste straordinarie testimonianze
del passato?
Le gravine possono essere
considerate "fiumi fossili" originatisi per erosione delle acque superficiali,
canalizzate in fratture o discontinuità del banco calcarenitico. Esse si
presentano con l'aspetto di gole rocciose strette e profonde, dal profilo a
'V'. Grazie alla loro complessa accessibilità ed alla loro difficoltà di messa
a coltura, hanno aumentato la disponibilità di nicchie ecologiche, costituendo
nel presente una testimonianza unica del patrimonio naturalistico pugliese.
Le lame
e le gravine, presenti nell’area delle Murge del sud-est barese, possono
essere considerate alcuni fra gli elementi più importanti e caratteristici del
paesaggio. Queste, derivano da processi naturali di carsismo, che nel corso
dei secoli dona al territorio una conformazione nuova e di spettacolare
bellezza.
La
distribuzione delle specie di piante ed animali in questi ambienti è quanto
mai peculiare, perché influenzata dal fenomeno della "inversione termica". Le
gravine hanno infatti le zone più basse umide e poco assolate, mentre i bordi
si presentano aridi ed esposti all'azione del vento e del sole. Questa
situazione genera dei microclimi anomali, come in una montagna rovesciata: sul
fondo delle valli si trovano così specie tipiche di zone molto più piovose e
fresche rispetto all'altopiano che esse solcano. Pertanto, è facile osservare
in alcune di esse, una netta stratificazione della vegetazione e della fauna,
aspetto che rende tali biotopi veri "musei naturali all'aperto".
La
gravina S. Croce si estende per circa 3 Km tra il territorio di Gioia del
Colle e quello di San Basilio. S. Croce è formata da numerose insenature che
ne aumentano la lunghezza e forniscono vari micro-habitat per invertebrati,
rettili e piccoli mammiferi. Il tratto più a sud, declina dolcemente verso
l’interruzione autostradale che ha, purtroppo, interrotto la continuità d’un
tempo dei boschi termofili, tra il Bosco di Coratini e il Bosco di
Burgensatico. Ora, oltre l’interruzione, si trova la stazione ferroviaria di
Grottalupara, circondata, anch’essa da una vasta area boscata, mista a gariga.
Da qui, la gravina riemerge apparentemente in superficie, immergendosi nel
fitto della canopea arborea.
(da il
Levante)
Presentato
dall’Assessore all’Ecologia il piano rifiuti per l’ATO BA/5
“A Gioia l’impianto di compostaggio”
Per l’Assessore Carone, in località S.
Francesco ci sono le migliori condizioni
“Con molta
probabilità, sarà localizzato a Gioia l’impianto di trattamento della frazione
umida proveniente dalla raccolta differenziata dei comuni dell’Ambito
Territoriale Ottimale BA/5. Ci sembra che in località S. Francesco a Gioia, ci
siano le migliori condizioni”. E’ questo parte del piano provinciale sui
rifiuti urbani (PPRU), presentato ieri mattina a Conversano, sede ufficiale
dell’ATO (Ambito Territoriale Ottimale).
Nonostante
l’inspiegabile assenza di un rappresentante dell’Amministrazione locale
gioiese alla seduta, l’Assessore all’Ecologia della Provincia di Bari, Romano
Carone, insieme ad i tecnici che hanno realizzato il piano, ha illustrato le
linee guida che i Comuni dovranno adottare, indicando quale scelta per la
localizzazione di un impianto di trattamento dei rifiuti organici, proprio
Gioia del Colle. Naturalmente, da tempo si paventava di realizzare proprio
nella cittadina peuceta un simile stabilimento, che potesse raccogliere
sostanza organica dai Comuni del Sud-Est Barese e convertirla in concimi o
ammendanti per l’agricoltura. Ieri, però, si è avuta l’ufficialità
dell’individuazione del sito, in località S. Francesco tra Gioia e Mottola,
nella murgia Marzagaglia, ove saranno convogliati nei prossimi anni gli scarti
alimentari, gli sfalci di potatura e tutte le sostanze in grado di essere
riconvertite in prodotti nutrienti per il terreno. Questo, per incrementare la
quota di rifiuto organico che dovrebbe, stando al piano, essere recuperato per
il 40%, sottraendo questa ingente parte al peso del rifiuto totale. Infatti,
poco meno della metà degli RSU (Rifiuti Solidi Urbani) della provincia di
Bari, sono composti da scarti alimentari e vegetali e, poiché il bacino BA/5
ancora non possiede un impianto di trattamento di simili rifiuti, era
d’obbligo individuare il sito ove indirizzarli.
Certamente, la
produzione di compost per l’agricoltura è un ottima risposta all’aumento dei
rifiuti in discarica e l’oltranzismo anche ad un simile impianto deve essere
del tutto abolito; anzi, si deve accogliere tale scelta della Provincia, come
un’opportunità di sviluppo e di occupazione per la comunità gioiese. L’unico
neo, a cui è necessario prestare notevole attenzione, riguarda la qualità del
compost che sarà prodotto all’interno dell’impianto. Perché, molto spesso, è
accaduto negli altri impianti, tra cui quello di Molfetta (sequestrato dalla
Magistratura ed ora dissequestrato), la produzione di concime organico
contaminato ha causato l’inquinamento di numerosi terreni agricoli e la
successiva combustione dello stesso in impianti di incenerimento, vista
l’impossibilità di venderlo. Quindi, il compost e l’impianto di compostaggio
vanno bene, a patto che a monte ci sia una raccolta differenziata attenta e
capillare. “In Puglia – ha detto durante la presentazione del piano,
l’Assessore all’Ambiente della Regione Puglia, Michele Losappio - non viviamo
un’emergenza come quella campana, ma dobbiamo attrezzarci affinché si riducano
i rifiuti in discarica”. Alle parole, però, sembra non siano seguiti i fatti
concreti, perché, se è vero che nel piano presentato ieri si stabilisce
l’obbiettivo per il 2008 del 45% di differenziata e per il 2015 del 65%,
questi valori appaiono ridicoli dinanzi alle quote del 75%, 82%, 87% di alcune
province Venete e di alcuni Comuni virtuosi che hanno iniziato da subito il
sistema di raccolta porta a porta. Nel piano vengono indicati obiettivi
lontani nel tempo (2015?) con percentuali raggiunte sin da ora da molti
Comuni. Inoltre, vengono indicate delle linee guida ma, non dei criteri e
degli obblighi per le Amministrazioni, né tanto meno delle sanzioni. In questo
modo l’obiettivo del 45%, seppur minimo, rischia lo stesso di fallire.
Eppure
basterebbe iniziare, da domani, con la raccolta differenziata porta a porta
per arrivare a quote ambiziose di divisione. Pensiamo ad una città come Gioia,
che con 30000 abitanti circa, potrebbe differenziare una quota ben più elevata
dell’attuale (comunque già la più alta dell’ATO BA/5 con il 21%) e raggiungere
percentuali ambiziose del 70-80%. Basterebbe realizzare un sistema integrato
di raccolta, con gli operatori che prelevano i sacchi di plastica, carta,
vetro, alluminio/acciaio ed organico direttamente dalle abitazioni e dai
bidoncini condominiali.
In questo modo,
si creerebbe occupazione per giovani gioiesi, si risparmierebbe una gran
quantità di denaro pubblico speso per il conferimento in discarica e si
otterrebbero utili dalla vendita del materiale riciclato, tali da poter
abbattere i costi della TARSU (imposta sui rifiuti), che i cittadini
smetterebbero di pagare.
Oltre,
ovviamente, ad eliminare (o ridurre al minimo) la necessità di discariche,
rendere completamente inutili gli inceneritori e migliorare la qualità della
vita e dell’ambiente.
Anche a Gioia,
come sta avvenendo in questi giorni in Campania, molti politici hanno invocato
a gran voce i termovalorizzatori (meglio e più propriamente conosciuti come
inceneritori) che, potranno anche far sparire di colpo tutti i rifiuti
presenti attualmente per strada (non senza gravi conseguenze ambientali ed
epidemiologiche, visto che molto spesso il CDR risulta contaminato) ma,
rappresenteranno sempre una soluzione momentanea. Gli inceneritori sprecano
risorse, consumano energia e producono composti chimici (gassosi come
diossine, furani, SOx, NOx, CO, CO2, IPA, etc. e particellari: PM10, PM5,
PM<2,5) pericolosi per la salute e per l'ambiente, oltre a necessitare
comunque di discariche per depositare le scorie e le ceneri (che non sono più
rifiuti solidi urbani ma, rifiuti speciali). “Ma fra le altre cose – ha
dichiarato l’Assessore all’Ambiente, P. Santamaria del Comune di Mola, alla
presenza del Presidente dell’ATO BA/5, avv. Giacomo Colapinto – è necessario
far capire ai cittadini che bisogna ridurre la quantità di rifiuti prodotti ed
educarli al rispetto dell’ambiente”.
C'è bisogno,
quindi, di Ridurre, Recuperare e Riciclare. Se a questo, poi, si aggiunge
anche una moratoria nazionale o internazionale alla produzione di rifiuti
pericolosi, tossici e non riciclabili (come lo sono attualmente, molti
imballaggi e materiali regolarmente venduti) e l'obbligatorietà ad effettuare
la raccolta differenziata porta a porta...si arriverà davvero all'obiettivo
osannato nelle città californiane: “Rifiuti Zero”.
Quindi, ben
vengano impianti di compostaggio o piattaforme per il riciclo, purché a monte
di tutto ci siano rigidi controlli, vincoli concreti e sanzioni per chi
sceglie, ancora una volta, il “rifiuto” del problema.
Roberto Cazzolla
(da
il Levante)
Blitz del WWF durante la presentazione del
piano provinciale sulla gestione dei rifiuti
Gli attivisti hanno contestato il piano,
ritenuto troppo poco incisivo ed ambizioso
Ieri mattina, durante la presentazione del piano
provinvinciale sulla gesione dei rifiuti presentato a Conversano
all'ATO BA/5, alcuni attivisti del WWF di Gioia del Colle, hanno manifestato
entrando di sorpresa nella sala dove si teneva la presentazione. Gli
attivisti, con tute bianche e mascherine, hanno consegnato simbolicamente
all'assise due buste di rifiuti ed hanno steso uno striscione con su scritto
"Meglio differenziati che eliminati". Inoltre, i componenti dell'associazione
ambientalista hanno consegnato a tutti i presenti, all'Assessore all'Ambiente
della Regione Puglia, M. Losappio ed all'Assessore all'Ecologia della
Provincia di Bari, R. Carone, un volantino con una serie di richieste per
risolvere definitivamente il problema dei rifiuti. Infatti, pur prevedendo
l'incremento della raccolta differenziata, il piano stabilisce percentuali
basse (45% al 2008, 65% al 2015) quali obiettivi di differenziazione e troppo
distanti nel tempo. Ci sono comuni veneti e siciliani che attualmente
riciclano più dell'80% dei rifiuti prodotti, con il sistema del porta a porta.
Inoltre, il piano non esclude l'utilizzo degli inceneritori (che non risolvono
il problema, anzi lo aumentano creando rifiuti speciali da RSU, inquinando
l'aria, sprecando
materie prime ed energia) e prevede di destinare una consistente parte dei
rifiuti alla produzione di CDR (Combustibile da Rifiuto), che comunque dovrà
essere bruciato.
Tutto questo per non bloccare impianti pubblici e privati
di incenerimento, gestiti in Puglia in gran parte dal gruppo "Mercegaglia",
che senza 'materia prima' dovrebbero chiudere definitivamente.
Per questo gli attivisti del WWF chiedono alla Provincia di
Bari ed alla Regione Puglia che:
1. diventi
obbligatoria da subito, per tutti i Comuni della provincia, la
raccolta differenziata porta a porta, sia per i cittadini che per gli
esercizi commerciali e le aziende;
2. l’obiettivo
di raccolta differenziata da raggiungere entro il 2008 sia superiore all’80%
e non, come previsto dall’attuale piano, del 45%;
3. vengano
attivate le piattaforme per il riciclo delle plastiche in poliestere,
polietilene e polistirolo e che non vengano bruciate;
4. venga
chiaramente eliminata dal piano qualunque ipotesi di realizzazione di nuovi
inceneritori (termovalorizzatori) sull’intero territorio provinciale;
5. venga
interrotto l’invio di rifiuti ai termovalorizzatori pubblici e privati
presenti sul territorio;
6. venga
bloccato l’arrivo di rifiuti dalla Campania nelle discariche, già
stracolme, presenti in provincia di Bari;
7. vengano
realizzate campagne pubbliche di sensibilizzazione della popolazione alla
riduzione dei rifiuti, al riciclo ed al corretto smaltimento dei rifiuti
speciali e tossico-nocivi.
L’emergenza rifiuti esiste perché “qualcuno” ha interesse che continui ad
esistere.
Con la raccolta differenziata porta a porta non c’è bisogno di altre discariche
e degli inceneritori.
SERVE SOLO UNA SCELTA CORAGGIOSA.
La gente sarà messa al corrente delle scelte dell’amministrazione provinciale
affinché si tuteli il loro futuro, la loro salute ed il loro ambiente…
Non bisogna RIFIUTARE il problema!!
In anteprima la mappa dei percorsi per le due
ruote
La Comunità Montana: “Entro l’estate, la pista
ciclabile”
Anche l’illuminazione della zona 167 sarà
rimodernata
Sono al vaglio dei tecnici della
Comunità Montana le proposte presentate da due aziende di Noci e Bari, per la
realizzazione nei Comuni di Gioia del Colle e di Cassano Murge di piste
ciclabili ed asfalti fonoassorbenti.
“Purtroppo
– ci dice Francesco Ventaglini, vicepresidente della Comunità Montana – l’allora
Amministrazione di Gioia del Colle, al contrario di quella di Cassano, ha
rinunciato agli asfalti fonoassorbenti, che solitamente vengono localizzati nei
pressi di scuole, ospedali e case di cura, riversando tutta la quota di
realizzazione dei lavori sul progetto delle piste ciclabili. I due Comuni,
devono spartirsi circa un milione di Euro derivanti da un POR al quale ha
partecipato la Comunità Montana. Quest’ultima contribuirà alle spese di
realizzazione con una quota del 97%, il resto spetta ai Comuni”. Un bel passo in
avanti per gli amanti delle due ruote ed un ottima risposta pratica contro gli
intasamenti del traffico e l’inquinamento urbano. Dispiace, che le zone
individuate per la realizzazione delle piste, siano solo nella zona ovest del
centro urbano. “Su questo non abbiamo voce in capitolo – continua Ventaglini –
abbiamo dato carta bianca ai Comuni e loro ci hanno indicato dov’era più
opportuno localizzarle. Lo stesso è accaduto per l’illuminazione. Infatti, con
questo POR abbiamo la possibilità di rimodernare l’illuminazione pubblica e lo
faremo nella zona 167, che ci è stata indicata dall’Amministrazione.
Risistemeremo i lampioni ed utilizzeremo tecnologie a risparmio energetico che
minimizzino l’inquinamento luminoso ed i consumi. Certo, una simile iniziativa
andrebbe estesa a tutto il paese, visto che a Gioia ci sono ancora lampadine per
l’illuminazione pubblica vecchissime che consumano tanto e si guastano presto”.
Ma, tornando alle piste
ciclabili, abbiamo l’opportunità di visionare in anteprima il piano dei lavori.
“E’ un progetto completo – prosegue il Vicepresidente della Comunità Montana -
che prevede la realizzazione di segnaletica verticale ed orizzontale, di cordoli
separatori e guardrail. Poi, nei pressi del Palazzetto dello Sport, sarà
individuato un punto di sosta e parcheggio per le bici, con 3 portabiciclette
con 12 posti al coperto e 8 portabiciclette a rastrelliera, senza coperture.
Inoltre, nelle zone di traffico più intenso, come nell’attraversamento previsto
in via Putignano o nei pressi della ex-Statale 100 saranno realizzati dei
marciapiedi sopraelevati di sicurezza, in modo da garantire la massima
incolumità per le persone”.
Il percorso (vedi mappa) parte
da via Giuseppe di Vittorio, subito dopo il Municipio e scende in via Giulio
Pastore sino al grande rondò di via Acquaviviva. Da lì taglia nei pressi del
cinema Seven, congiungendosi con la via per Bari e continua su tutta la
ex-Statale 100, sino all’incrocio con la via di Noci. Da lì proseguirà sino a
via L. Einaudi in direzione del Palazzetto. Proprio nella zona sportiva sarà
realizzata un area di sosta per i cicloamatori. Poi, la pista, si ricongiungerà
con via Putignano per chiudersi sulla ex-Statale all’altezza del rondò della
Provinciale 61”.
Insomma, un percorso lungo ben 5
km che si articola in vie cruciali e trafficate della mobilità gioiese. La pista
ciclabile potrebbe diventare in breve tempo un’ottima risorsa per i cittadini
che vogliono fare la spesa senza problemi di traffico e parcheggio nei numerosi
supermercati della ex-Statale o per chi risiede in zone più periferiche delle
vie per Bari, Noci e Putignano. Inoltre, per raggiungere il palazzetto e seguire
le partite dei club gioiesi, si potrà lasciare a casa l’auto e spostarsi
comodamente ed in sicurezza in bici. “Purtroppo – dice rammaricato Michele
Pavone, ex assessore comunale – non si sono potuti individuare percorsi
all’interno del centro urbano e storico, viste le modeste dimensioni delle
strade e la difficoltà dovuta alla presenza dei parcheggi delle auto. Se, però,
qualcuno ha una buona idea su come realizzare dei percorsi anche in centro, può
sempre farsi avanti. Per ora, il problema principale resta in periferia e nelle
strade molto trafficate”. Infatti, le zone centrali del paese consentono una
discreta mobilità sulle due ruote mentre, sulle provinciali e sulla statale il
pericolo è davvero elevato. Purtroppo in pochi, a Gioia, scelgono di spostarsi
in bici per compiere le faccende quotidiane, preferendo l’auto ed andando
incontro a multe, code, consumo di benzina ed aumento dell’inquinamento. Eppure,
di per sé, la città offre strade pianeggianti e vie praticabili dalle bici. Ciò
che manca è, probabilmente, la voglia o l’abitudine di montare in sella. Forse
la realizzazione delle piste ciclabili sarà un incentivo a muoversi in maniera
ecologica e salutare. Per creare una maggior sicurezza, i percorsi dovrebbero
essere ampliati anche a tutta la parte orientale e meridionale del paese, come
la via per Santeramo, la via per Matera e quella per Laterza (direzione Montursi)
e Castellaneta (contrada Marzagaglia).
“Questo è, comunque, un inizio –
assicura il presidente della Comunità Montana, Michele d’Atri – chissà, magari
più avanti…”. E sì, perché con i nuovi decreti regionali le Comunità Montane che
servono utenze sopra i 20000 abitanti dovranno chiudere i battenti. Questo è
proprio il caso della CM del sud-est barese che entro il 30 giugno di quest’anno
dovranno sgomberare il campo. “Carenza di fondi – ammette Ventaglini – ma, le
piste ciclabili dovrebbero essere pronte entro la fine di quest’estate”. Nessun
pericolo, dunque, di lavori incompleti? “Non proprio – continua Ventaglini –
perché le piste saranno pronte ma, ci sono altri progetti in corso, come il
potenziamento degli impianti idrici dell’acquedotto rurale nelle zone di Via
della Chiusa e la Porta Rossa, che di certo non si concluderanno entro la data
di chiusura della Comunità. Vedremo come andrà a finire”. Quel che è certo e
che, finalmente, Gioia avrà le osannate piste ciclabili per dare una mano al
protocollo di Kyoto e permettere ai cittadini di risparmiare qualcosina tra
palestre, cardiologi ed oncologi.
Roberto Cazzolla
(da
il Levante)
A Gioia manca la sensibilità nella tutela e nella
promozione del verde
Potature selvagge: così gli alberi muoiono
Gli alberi di via Eva, ultime vittime di un
“fitocidio”
I platani di via Roma, vennero
tagliati dopo una perizia che confermava il loro buono stato di salute,
“aggiustata” perché
risultassero malati. Ora al loro posto s’innalzano esili Carpini, dalla modesta
chioma, inappropriati in un viale urbano, ove l’ombra generata dalle foglie
dovrebbe garantire frescura d’estate. Poi è toccato al pino, di almeno una
decina di lustri, abbattuto nei pressi della ex-statale 100, per lasciar posto
ad un palazzo “amico dell’amministrazione”. Motivazione ufficiale: era
pericoloso, perché ostruiva la visibilità stradale. Ma se era lì da cinquant’anni?
Stessa sorte per numerosi alberi di P.zza Pinto, con la rimozione di specie
anche abbastanza rare, per i pini di fronte alla scuola di Via Flora ed infine,
la peggior sorte l’ha subita il maestoso Cedro del Libano posizionato nei pressi
del mercato coperto comunale. Almeno per il taglio di quest’ultimo il Comune non
ha colpa. O forse ce l’ha, visto che da tempo si chiedeva un catasto delle
specie di pregio del paese in modo che venissero tutelate da eventuali tagli.
Ricadeva su di un suolo privato ed il proprietario ha deciso di sacrificarlo al
posto di uno straordinario ammasso…di cemento. La questione, però, non è fare
dei colpevoli ma, capire le motivazioni. Sembra che a Gioia la sensibilità per
il verde pubblico non esista. Sia da parte degli amministratori pubblici che, da
parte dei privati cittadini. Eppure ha avuto un notevole successo l’iniziativa
di piantumanzione di giovani essenze autoctone, ben due anni fa. Peccato che ora
non ci sia la benché minima manutenzione comunale ed anche i molti “padri
adottivi” degli alberi, sembrano aver rinnegato i propri figli.
L’apoteosi dell’insensibilità
nei confronti del regno vegetale, la si raggiunge ogni volta che si capitozzano
(termine con il quale si indica nelle pratiche forestali la rimozione totale dei
rami e della parte apicale degli alberi) gli alberi più vecchi del paese.
L’infausta sorte è toccata, stavolta, agli alberi della Scuola “Via Eva”, che
dopo le inferocite proteste dei soliti paladini della sicurezza pubblica, si è
scelto di moncare in brutale opera, come si ghigliottina la testa di un
condannato. Se è vero che, a volte, gli alberi più adulti possono diventare
pericolosi soprattutto nelle vicinanze di scuole o luoghi molto frequentati, e
che in particolare quelli del giardino di Via Eva ave
vano già causato alcuni
problemi, non bisogna dimenticare che l’instabilità degli alberi spesso è dovuta
a cattive pratiche forestali. Le potature a carico di alcuni rami laterali,
inducono nelle piante, una crescita compensatoria in peso e volume della massa
vegetale dal lato opposto, causando, con i reiterati tagli e con lo sviluppo, un
appesantimento di una parte della chioma che inclina la pianta e può provocarne
la caduta. Le condizioni igieniche con le quali vengono effettuati i lavori,
inoltre, lasciano molto a desiderare. Come tutti gli esseri viventi, anche gli
alberi reagiscono agli organismi patogeni ed ai fattori xenobiotici, provenienti
dall’esterno, con una serie di aggiustamenti fisiologici che, però, non sempre
sono efficaci e che possono causare la formazione di infezioni e cancri,
provocando la morte della pianta o la senescenza precoce. Tutto questo provoca
una perdita enorme nel patrimonio arboreo locale con danni che col tempo
coinvolgono anche i cittadini. Un’aria più salubre, una maggior rimozione di
anidride carbonica, la frescura d’estate e la mitigazione climatica d’inverno,
l’assestamento dei suoli e l’assorbimento dell’acqua piovana sono tutti doni
gratuiti e servizi non retribuiti che gli alberi, e le piante in generale,
offrono alle città. E’ frequente, però, che gli omoni verdi vengano bistrattati
a tal punto da essere considerati meno che oggetti architettonici statici.
Questo, però, è frutto di una totale mancanza di conoscenza del regno vegetale
da parte di amministratori e cittadini. La capitozzatura effettuata ai danni
degli alberi di Via Eva ne è la conferma, visto che tale pratica è contestata
dalla maggior parte dei dottori forestali, dei biologi vegetali e degli agronomi
del mondo. Questa, causa una crescita sproporzionata della chioma nella stagione
successiva, generando ben più problemi di stabilità e sopravvivenza alla pianta.
Inoltre, in questa maniera, si crea una voragine di accesso a virus e batteri
all’interno dei tessuti vegetali che possono far rinsecchire l’albero.
Basterebbe, per eliminare il problema della sicurezza pubblica, effettuare delle
potature con criterio e soprattutto, coordinare questi lavori con personale
esperto del settore vegetale. In termini zoofili, sarebbe come far operare un
cane ad un lavoratore socialmente utile.
Se questo modo di agire dovesse
continuare nel tempo, il paese si ritroverà con un patrimonio arboreo risicato e
malandato, che danneggerebbe anche l’immagine e lo stato d’animo dell’intera
area urbana e dei cittadini.
Molti amministratori hanno
dimenticato la famosa legge che obbliga tutti i Comuni a piantare “un albero per
ogni bambino nato”. Sembra, che a Gioia, per ogni bambino nato, un albero lo si
tagli.
Roberto Cazzolla
(da il Levante)
Piccioni prigionieri della Mazzini, intervengono
i Pompieri
I volatili sono stati ingabbiati nel sottotetto
durante gli ultimi lavori condotti
Ci è voluto l’intervento dei
Vigili del Fuoco di Putignano, insieme ad un autoscala
di Bari, per riuscire a liberare i piccioni, rimasti intrappolati all’interno
del sottotetto della scuola elementare “Mazzini”. Decine di volatili erano
rimasti bloccati da tre giorni all’interno delle fessure dell’edificio, ostruite
con della rete metallica, durante i lavori condotti la scorsa settimana. La
rete, che avrebbe rappresentato una buona soluzione per evitare la nidificazione
del uccello urbano più diffuso è, però, diventata una trappola per i piccioni
che erano ancora all’interno della struttura. Molti cittadini avevano notato gli
animali adagiarsi contro le reti e cercare in tutti i modi di fuoriuscire.
I pompieri di Putignano,
nonostante la giornata improba, vista la festività dell’Epifania, sono
intervenuti con grande impegno ed hanno rimosso grazie all’aiuto di una scala
automatica, alcune reti di protezione al fine di favorire la fuoriuscita dei
volatili. Sul posto erano presenti anche alcuni agenti di Polizia Municipale.
La lotta a questi odiati uccelli
va condotta innanzitutto con intelligenza. Sicuramente, l’ostruzione dei luoghi
di nidificazione, potrebbe essere una buona soluzione, sempre che questi non
diventino poi la tomba per gli altri già presenti all’interno. Inoltre, molto
spesso, cavità all’interno degli edifici antichi favoriscono, in primavera, la
nidificazione del Falco Grillaio, specie rara e protetta, il cui arrivo dovrebbe
essere incentivato e non limitato. La soluzione della distribuzione selettiva di
granaglie miste a composti sterilizzanti potrebbe essere concettualmente buona,
se si evitasse che altri uccelli possano alimentarsi con i composti
antifertilità. Il che è molto difficile. Una buona risposta, invece, sarebbe
quella di favorire il ritorno di specie competitive che condividono la stessa
nicchia ecologica oppure dei rapaci predatori (Sparvieri, Lodolai, Pellegrini)
di piccioni (i cosiddetti “natural-killer”), per mezzo di politiche di
protezione e realizzazione di siti di nidificazione. Iniziativa intrapresa con
successo da alcuni Comuni. In attesa dell’arrivo dei predatori naturali, si
potrebbero predisporre sagome di rapaci sui posatoi dei piccioni. In ogni caso,
la ditta che ha svolto i lavori presso la “Mazzini”, dovrà prestare attenzione a
permettere l’uscita di tutti i volatili all’interno del sottotetto, prima di
chiudere nuovamente gli accessi. Una cosa è la lotta ai piccioni, un’altra è
farli morire intrappolati vivi.
Roberto Cazzolla
(da il Levante)
Vacanze di Natale trascorse tra un semaforo e
l’altro
“Lavoratori atipici”: bambini con la voglia di
giocare
Negli occhi i sogni di un’infanzia rubata dal
lavoro
In faccende affaccendato, sfugge
al tuo campo visivo il corpo infreddolito adagiato nei pressi del semaforo. Tiri
dritto
come se la cosa non ti riguardasse, ormai abituato ad una simile presenza. Sono
lì, dinanzi a Via Eva, sulla ex Statale 100, ai semafori del ponte, agli incroci
della circonvallazione. Se è verde, attraversi l’ostacolo senza alcun rimorso,
se è rosso gli porgi un Euro per pietà, affinché non ti scoccino. Molti, però,
si fermano a fare due chiacchiere con loro, gli chiedono come va e loro ti
sorridono, come al solito. Ma se davvero gli dedichi un minuto capisci quale
stato d’animo si cela dietro quel sorriso. Nostalgia dell’infanzia rubata dal
dovere. Il più piccolo ha iniziato a vendere pacchetti di fazzoletti a 8 anni,
prima col fratello più grande, poi da solo. “Ho passato tutti i giorni di
vacanza natalizia, qui, al semaforo” – ti dice in confidenza, con un velo di
rammarico, uno di loro. Ma quanto tempo lavori ogni giorno? “Al mattino vengo
alle 8 e torno a casa alle 12:30, di pomeriggio vengo alle 15 e torno verso le
17” - ma è difficile credergli, visto che spesso li si incontra già alle 14,
dopo pranzo. Tutto il giorno per strada a respirare i neri fumi degli scarichi
automobilistici, a meditare sul perché ad 8, 10 o 12 anni si debbano trascorrere
le vacanze a lavorare. Spesso ci scandalizziamo di notizie provenienti
dall’altro capo del mondo che mostrano scene di sfruttamento minorile, bambini
che passano la vita nelle fabbriche o in miniera. Al contempo, ignoriamo simili
privazioni ai danni di bambini che abbiamo a due passi, sotto casa. Certo, non è
lo stesso tipo di sfruttamento. Molte famiglie, solitamente immigrate, si
trovano in così tali restrizioni economiche da destinare i figli maschi, sin
dalla tenera età, al lavoro in strada. “Sono felice quando vado a scuola –
confessa un altro – almeno non sto al semaforo”. Ma in molti c’è un ammirabile
senso di responsabilità, che i bambini occidentali faticano a comprendere: “Se
io e mio fratello non vendiamo abbastanza fazzoletti, dobbiamo restare al
semaforo sino a quando non ci finiscono. Papà non trova facilmente lavoro, fa
qualcosa ogni tanto. Se non portiamo a casa qualcosa noi, come facciamo?”.
Eppure è un ossimoro, difficile da comprendere, il bambino lavoratore. Sta nella
definizione d’infanzia l’essenza più pura dell’uomo. “I fanciulli trovano tutto
nel nulla, gli uomini trovano il nulla nel tutto” recitava Leopardi, e così per
loro anche il lavoro al semaforo diventa motivo di svago. “Parliamo con le
persone ed impariamo i nomi delle macchine” – confessava un po’ di tempo fa un
bambino vivace che stazionava nei pressi del ponte. Non si può, però, far finta
di nulla, considerare il lavoro minorile un’esigenza sociale o un retaggio
culturale. Un bambino che trascorre la sua infanzia privata del gioco e del
divertimento, conduce un’esistenza sbiadita, priva di significato e scopo.
Sempre meglio, bisogna ammetterlo, dei bambini cresciti nell’ovatta, che hanno
tutto e chiedono sempre i più, che da adulti trascorrono la vita
nell’imbecillità di futili sciocchezze quotidiane. Si parte dal modellino di Ferrari, per arrivare alla collezione di Maserati, gelosamente custodite in
garage e, mai, sino a che morte non lo colga, tirate fuori da lì. Che ti viene
da chiedergli, cosa diamine le compri a fare? Collezioni macchine o polvere? Ma
lo stesso vale per cellulari, consolle elettroniche, etc. “Mio padre non vuole
che giochi al Game Boy, perché si consuma l’elettricità e così non l’ho mai
usato” – abbassa gli occhi, la cadenza francofona scema e mogio, torna ad
agitare fazzoletti per attirare l’attenzione degli automobilisti. Se quel
bambino dall’infanzia rubata sapesse che nella maggior parte delle case, i
bambini italiani, la Play Station la lasciano accesa giorno e notte… “I giochi
dei bambini non sono giochi, e bisogna considerarli come le loro azioni più
serie” ammoniva Michel Eyquem de Montagne. Ma se pensiamo alla fame nel Burundi
ed ignoriamo i disagi sociali di casa nostra, andiamo davvero a letto con la
coscienza a posto? Chi ha il diritto di privare un bambino della sua infanzia e
del gioco? Anche loro saranno gli uomini del domani o sono già, a soli 10 anni,
diventati gli uomini del presente? Sarebbe necessario l’intervento dei Servizi
Sociali, delle associazioni e delle parrocchie (non basta inculcare proseliti
cristiani per essere accolti nel regno dei cieli), senza colpevolizzare le
famiglie disagiate di questi piccoli lavoratori ma, offrendo loro una
possibilità per evitare di far lavorare i minori. “A casa non abbiamo neanche
l’acqua calda” – ci confessa un altro. Beh, sarebbe un primo passo se il Comune
destinasse le numerose ed abbandonate case demaniali a queste famiglie. Si
potrebbero creare delle attività semi-ludiche in collaborazione con le
associazioni, in modo da permettere ai bambini di guadagnare qualcosina
giocando, oppure cercare un’occupazione per i genitori, in modo da risparmiare i
figli. E’ mai possibile che i fondi per patrocinare un motoraduno ci siano e per
aiutare i bambini no? Ma, infondo, si sa: “Gli adulti non capiscono mai niente
da soli ed è una noia che i bambini siano sempre costretti a spiegar loro le
cose”, sussurra affranto il Piccolo Principe di Antoine de Saint Exupéry.
Roberto Cazzolla
(da il Levante)
Blitz della Forestale a fermare un taglio abusivo
Stavano distruggendo il bosco, fermati dal CFS
L’ennesimo atto criminoso ai danni del patrimonio
boschivo locale
Erano intenti al taglio
autorizzato di una vasta area boscata tra Gioia, Acquaviva e Santeramo in
località “Parco la Corte”. Gli operai della ditta Salamida, che in seguito
all’autorizzazione rilasciata dal Settore Forestale della Regione Puglia alla
ditta Violante, proprietaria della zona, stavano conducendo i lavori, avevano
però completamente ignorato le prescrizioni che lo stesso assessorato regionale
aveva imposto loro. “Rilasciare a dote del bosco 140 matricine, effettuando un
taglio selettivo dei polloni” – prescrive l’autorizzazione – “preservare
la biodiversità forestale, rilasciando le specie accompagnatrici del soprassuolo
quercino e, per quanto riguarda il sottobosco, le specie tipiche della macchia
mediterranea”, ed ancora “l’esbosco del materiale legnoso sarà realizzato a
mezzo di trattrice gommata lungo le piste forestali esistenti”. Di tutto questo,
quasi nulla è stato rispettato. All’arrivo, ieri mattina, gli agenti del CFS di
Acquaviva delle Fonti, hanno potuto constatare la distruzione del sottobosco, il
taglio di alberi non autorizzato, il dissodamento di alcune pietre, la
realizzazione di un valico nel bosco, al fine di permettere il passaggio di
numerosi mezzi pesanti, molti più di quelli consentiti. Il paesaggio appare
spettrale: pochi alberelli vacillano al vento nei 5 ettari, dei 13 concessi ai
lavori, ormai distrutti. Eppure le riserve al taglio erano tante, come quelle di
preservare alcune matrici legnose per gli insetti xilofagi o mantenere intatte
le specie arbustive per garantire la sopravvivenza anche della microfauna e di
quelle specie avicole che in questi mesi svernano dalle nostre parti e trovano
ricetto nei cespugli del sottobosco. Ma nella zona oggetto dei lavori non c’è
neanche l’ombra di un animale. Non vola un pettirosso, un fiorrancino e neanche
un passero. Si vedono solo decine di cataste di rami secchi al suolo, quattro o
cinque mezzi pesanti, uomini intenti con la motosega al taglio, un rimorchio
carico di legname ed una strada che solca la vegetazione. Al suolo numerose
pietre ribaltate, neanche un misero cespuglio risparmiato all’espianto. Violenza
gratuita nei confronti di un’area importantissima dal punto di vista
naturalistico, già inserita in una Zona di Protezione Speciale (ZPS). Il valore,
lo conferma il volo maestoso di una poiana codabianca, che s’innalza da un
posatoio nei pressi del bosco, all’arrivo degli agenti. Un raro rapace che vive
in zone ricche di piccoli mammiferi di cui si ciba. E, proprio i piccoli
mammiferi si alimentano e vivono nelle zone basse della vegetazione, dove
l’ambiente è intatto e consono alla vita. Ecco, perché il taglio indiscriminato
effettuato a “Parco la Corte”, assume la veste di un doppio sfregio ai danni del
già compromesso patrimonio forestale locale. Giorno dopo giorno, ettari di bosco
vengono rasi al suolo e le immagini satellitari mostrano, col passare degli
anni, paesaggi lunari, privi di vita, laddove regnava la natura autoctona. Molta
della legna tagliata illegalmente sul territorio viene poi rivenduta
direttamente per strada dagli stessi artefici del taglio. E’ facile trovare
mezzi carichi di legna selezionata e accatastate nei pressi, ad esempio,
dell’ospedale Paradiso di Gioia del Colle. Così chi acquista la legna, molto
spesso, è inconsapevolmente complice di un reato ambientale. I controlli
dovrebbero essere più capillari, sia sul territorio che direttamente sui mezzi
che vendono in strada, in modo da poter risalire alle località disboscate.
Stavolta, l’intervento degli uomini del CFS è stato tempestivo ed ha evitato che
il reato si ampliasse anche all’area boschiva adiacente, in località di “Parco
dei Briganti”, nell’agro gioiese. C’è da chiedersi come mai, nonostante
l’affidamento dei lavori a dottori forestali, queste attività finiscano, di
frequente, per essere condotte illegalmente. La direzione, in questo caso, era
stata affidata al Dott. Vincenzo Andriani che, esperto in materia, non poteva
non essere a conoscenza delle prescrizioni della Legge Regionale n° 14/01.
Adesso, i trasgressori saranno puniti secondo le normative regionali in vigore e
dovranno realizzare i successivi lavori di taglio in agro gioiese con la massima
attenzione, rispettando le limitazioni previste.
Ma, intanto, un altro fragile
antro di bosco è andato distrutto e ci vorranno decenni prima che la natura
ripristini lo scempio. Chi paga, alla fine, è sempre l’ambiente.
Roberto Cazzolla
(da il Levante)
Un altro folle gesto di chi mette a rischio
animali ma, anche, persone
Bocconi avvelenati ai randagi
Ieri, un nuovo ritrovamento nei pressi di Parco
delle Mimose
E’
l’ennesimo ritrovamento nell’arco di pochi mesi, quello di ieri nei pressi della
5° traversa della provinciale per Casamassima, nei pressi di Parco delle Mimose.
Sempre nelle vicinanze, dalle parti del cinema Seven, qualche settimana fa erano
state ritrovate polpette avvelenate con topicida.
Stavolta il folle gesto è stato
compiuto mettendo a rischio non solo la vita di animali ma, anche, quella dei
bambini che spesso giocano nel quartiere. Ieri mattina, il pronto intervento di
alcuni condomini delle nuove palazzine costruite in zona, ha evitato il peggio,
salvando alcuni randagi che bazzicano la zona ed i bambini che, in questi giorni
di festa, sogliono giocare proprio dov’era stata posizionata la scatola piena di
brandelli di carne ed ossa imbevute nella pericolosissima sostanza, metaldeide.
Questa, un molluschicida utilizzato barbaramente in agricoltura per la lotta a
chiocciole e lumache, agisce a livello del Sistema Nervoso Centrale (SNC),
diminuendo la concentrazione di un neurotrasmettitore (sostanza che trasmette
l’impulso nervoso) inibitorio, il GABA, di noradrenalina e serotonina (neurormoni)
ed aumenta la concentrazione di Mao (monoammino-ossidasi), abbassando la soglia
di eccitabilità delle cellule nervose.
In altre parole, un simile
veleno provoca spasmi muscolari, ipersalivazione, convulsioni, tachicardia
diarrea, vomito, ipertermia e, molto spesso, la morte. L’antidoto consiste in
barbiturici e diazepam.
Nelle quantità eccessive, con
cui erano state trattate ossa e carni rinvenute, avrebbe potuto causare la morte
di cani, gatti ed animali selvatici, di bambini ed una grave intossicazione
negli adulti.
Ci si chiede come possano simili
sostanze, altamente tossiche, essere rivendute semplicemente in ferramenta o in
negozi per l’agricoltura? Sarebbe necessaria una restrizione delle licenze e del
commercio di questi composti che, oltre ad essere utilizzati come esche per
randagi, inquinano gli ortaggi, i terreni agricoli e la falda sottostante, dando
l’illusione di aver eliminato i parassiti.
Il mortale boccone era stato
incautamente sistemato all’interno di una scatola di cartone, al bordo di una
strada nei pressi di uno dei giardinetti che costeggiano i palazzi della zona.
Il colore e l’odore nauseabondo, hanno subito allertato i condomini che hanno
prontamente recuperato la scatola ed avvisato i Carabinieri. Ora, in molti nella
zona, sono preoccupati ed arrabbiati. Ci dicono: “Per qualche folle che non
sopporta due cani buonissimi che gironzolano da queste parti e che è disposto a
fargli fare una fine orribile, si rischia di avvelenare anche cani di proprietà
ed i nostri figli. Abbiamo paura a portare a spasso i nostri animali domestici e
siamo costretti a vietare ai bambini di giocare nel quartiere”. Eppure,
assicurano, i due cani, probabili bersaglio dell’ignobile gesto, gironzolano da
tempo nel quartiere e non hanno mai infastidito nessuno. Anzi, uno dei due,
simile ad un pastore tedesco, è molto anziano e si muove adagio, riparandosi di
tanto in tanto in zone protette del quartiere; l’altro è una cucciola dolcissima
che fa feste a tutti.
Ma l’uomo si sa, “teme ciò che
non conosce e presto o tardi lo distrugge”. Così, l’ignoranza, qualche
esperienza traumatica del passato ed il profondo odio che il genere umano tende
a riversare su ogni altra creatura del pianeta, portano a simili avventate
decisioni che rischiano di colpire, non solo docili ed indifesi animali, ma
anche gli stessi abitanti della zona.
Tale gesto è perseguibile ai
sensi dell’art. 146 del Testo Unico delle Leggi Sanitarie, con l’arresto dai 3
mesi ai sei anni, dalla Legge n° 189/04 e 157/92. “Chi ha visto qualcosa o
conosce l’artefice del misfatto deve denunciarlo – proseguono inferociti gli
inquilini delle palazzine della zona – perché ha messo a rischio tutti noi. Non
c’è motivo di avvelenare un essere vivente, tantomeno cani così buoni. In ogni
caso ci stiamo attivando per farli adottare ed invitiamo i cittadini che ne
hanno la possibilità a farlo al più presto”.
Roberto Cazzolla
(da il Levante)
Vivere nel paese delle gru
Ti è mai capitato di perderti oltre i
confini della fantasia, al di là dell’orizzonte, dove il fruscio d’un battito
d’ali di farfalla riecheggia soave nell’etere della pace, percorrendo strade
sterrate lungo le quali si rincorrono lecci odorosi e lentischi pungenti? Spero
proprio che con la fantasia tu ci sia arrivato, perché se abiti a Gioia del Colle,
scenari simili puoi solo immaginarli.
L’invasione grigia. E’ così che definirei
il processo che sta avvenendo nella nostra già martoriata cittadina. Non
bastavano disboscamenti illegittimi, cave abusive, villaggi in pieno parco,
antenne a tutto spiano e inceneritori che sputano diossine, ora ci si mettono
anche l’edilizia aggressiva e le colate di cemento, a fomentare il braciere
dell’inosservabile.
Facile sollevare lo sguardo da qualsiasi
punto del paese e accorgersi che minacciose gru osservano la nostra
quotidianità. Trovare un misero squarcio di cielo, libero da ferraglia è
diventato compito dei più esperti. Siamo tutti d’accordo che nel nome del
progresso l’espansione demografica sia auspicata e richiesta. Vogliamo, però,
fermarci a riflettere per renderci conto senza molto sforzo che, per poter
ammirare un gratificante paesaggio di campagna è necessario macinare decine di
chilometri. Stiamo cementificando il mondo, abbattendo quel poco di naturale che
ancora è rimasto. E non venitemi a dire che si tratta di costruzioni e
infrastrutture utili. Forse saranno utili al miliardario che è stanco di vivere
sempre nella stessa villa. Forse saranno utili all’industriale senza scrupoli
che annerisce la città con il fumo di guadagno che ha negli occhi. Ma, a chi
come me placa il suo continuo trascendere dal perpetuo oscillare fra noia e
dolore, con l’incantevole pace del mondo così come ci è stato consegnato, con le
sue specie autoctone, i suoi arbusti forti ed i suoi fiori colorati, tutto
questo progresso non piace.
Ci stiamo illudendo nella nostra
presuntuosità di poter ricreare in vitro quegli ambienti che stiamo
distruggendo, mettendo su giardini e parchi giochi, zoo e serre ed estirpando
per sempre la biodiversità del mondo. Così come ci crogioliamo nell’idea di
poter ripopolare le specie in via d’estinzione da noi stessi minacciate, con
l’inseminazione artificiale, senza però accorgerci che le stiamo rendendo
sessualmente impotenti, abbiamo intrapreso una politica espansionistica che ci
condurrà alla completa desertificazione della natura. Stiamo prosciugando la
bellezza delle nostre campagne, le antiche tradizioni, i mestieri di una volta,
per unificarle in un modello unico standardizzato da una bramosità
indiscriminata.
Ce ne accorgeremo, come al solito, quando
sarà gia troppo tardi per tornare indietro. Quando una bella mattina d’estate,
alzando gli occhi al cielo per osservare il popolo migratore, stupefatti,
capiremo che l’unica cosa che ricordi un uccello è il nome di un elevatore
meccanico industriale e che delle gru dalla livrea rosa l’unica immagine rimasta
è racchiusa in un documentario.
Roberto Cazzolla
(da La Piazza)
I cittadini potranno segnalare anonimamente reati ambientali di cui sono a
conoscenza
Per Natale fai un regalo alla Natura...
segnala un reato contro l’ambiente!
Al via la campagna natalizia della sezione locale di Gioia del Colle del WWF
Italia
Oggi
parte la campagna natalizia del WWF Italia sezione locale di Gioia del Colle e
Acquaviva delle Fonti dal titolo: “Per Natale fai un regalo alla Natura…segnala
un reato contro l’ambiente”.
Gli attivisti del WWF metteranno a disposizione una “scatola” per raccogliere le
segnalazioni, riconoscibile per la presenza dei loghi dell’iniziativa, presso
l’edicola Agorà in P.zza Plebiscito.
I cittadini che vorranno aderire alla campagna, potranno segnalare reati
ambientali commessi ai danni del territorio locale semplicemente compilando la
scheda allegata alla scatola. Potranno farlo anonimamente in modo da sentirsi
più liberi da eventuali ripercussioni personali. L’iniziativa parte
dall’esigenza di consultare proprio i cittadini su problematiche di cui sono a
conoscenza direttamente. Spesso capita, infatti, che vengano rilasciate
segnalazione presso la sezione locale dell’associazione ambientalista, di reati
in materia ecologica.
Con questa iniziativa si è voluto, dunque, dare una possibilità in più alla
gente di contribuire alla salvaguardia del territorio locale. Sulla scheda andrà
indicato il tipo di reato di cui si è a conoscenza (scarico di liquami, taglio
abusivo di alberi, spietramento, discarica abusiva di rifiuti, caccia e pesca
illegali, commercio di animali e piante proibiti, rimozione di ulivi, scarichi
abusivi nella falda acquifera, inquinamento acustico e atmosferico, discarica di
amianto, etc.). Sulla scheda dovrà, inoltre, essere indicata la località del
reato e potranno essere allegate delle foto scattate sul luogo. Una volta
compilata, in totale discrezione e anonimamente, la scheda dovrà essere
inserita all’interno della scatola.
Entro la metà di gennaio 2008, gli attivisti della sezione locale WWF,
ritireranno le schede e passeranno in rassegna le segnalazioni. Così i reati,
una volta verificati, saranno denunciati tramite apposito esposto alle forze
dell’ordine preposte.
L’apertura della scatola avverrà, ad opera degli attivisti del WWF, entro il 15
gennaio 2008.
La speranza è che, in questo modo, ognuno si senta responsabile del proprio
territorio e nell’occasione di Natale, si faccia promotore del rispetto
dell’ambiente e della natura.
Ancora un albero abbattuto
a Gioia del Colle
Dopo i platani di via Roma, i boschi di
Monte Rotondo, i pini della ex statale 100, gli eucalipti della villa nei pressi
della S. Filippo Neri, gli alberi di P.zza Pinto, questa volta la vittima
sacrificale dell'ennesimo taglio irresponsabile è un Cedro del Libano (Cedrus
libani) dell'età di circa 70 anni (come rilevabile dall'analisi
dendrocronologica), presente in una villa di via Regina Elena a Gioia del Colle.
L'albero di maestosa portanza, poteva a tutti gli effetti essere considerato
bene comune e non solo bene privato, in quanto la maggior parte della chioma
donava ombra alla carreggiata stradale, sino a toccare i muri del mercato
coperto. Se è vero che tale specie non gode di tutele particolari, vige un
principio di rispetto per essenze maestose, di pubblico interesse, che
forniscono beneficio all'intera città e rappresentano dei monumeti naturali
oltre a dare ricetto a numerose specie di uccelli. L'imponenza di un simile
albero è stata distrutta in pochi minuti con un'operazione prepotente che ha
visto il blocco della strada, l'interruzione della circolazione e il taglio
frettoloso, nonostante l'ostruzione fisica posta da alcuni attivisti del WWF
allertati da un anonimo cittadino e le proteste di alcune persone accorse. Va
detto che il taglio definitivo è stato deliberatamente permesso, nonostante il
dubbio sulla legittimità dello stesso e nonostante la nostra richiesta di
interruzione dei lavori in attesa di verifica, da due agenti di pattuglia della
Polizia Municipale che, invece di bloccare per le dovute verifiche gli operai
del cantiere, hanno cercato di limitare la nostra protesta chiedendoci
addirittura di fornire le generalità ed invitandoci a rilasciare dichiarazioni
scritte presso il comando, con l'intenzione di allontanarci dal cantiere.
Se il taglio sia legittimo o meno fa poca differenza. Il problema fondamentale è
che di mese in mese il Comune di Gioia del Colle perde monumeti vegetali che
hanno impiegato decine di anni per crescere e vedono concludere la propria
esistenza per lasciar posto ad un'oltraggiosa, impetuosa e grigia edilizia
selvaggia.Una simile propensione, agevolata soprattutto dalle autorizzazioni
"facili" rilasciate dall'Ufficio Tecnico del Comune, non fa altro che minare lo
stato di vivibilità della città. Tra qualche anno ci saranno più palazzi di
quanti saranno i cittadini e respireremo attraverso bombole di ossigeno perchè
gli alberi li avranno tagliati tutti.E' davvero ora di finirla con questa
scellerata politica della lottizzazione a spese dei cittadini e dell'ambiente.
Invitiamo gli organi di polizia a verificare la legittimità degli interventi in
campo edilizio e sui tagli di alberi che di sera ci sono e di mattina son
distesi esanimi per terra,con la complicità (va detto) di chi ti allerta mesi
prima e poi mentre tagliano risulta "irragiungibile"...
Dicembre 2007: stato
dell’Ambiente gioiese
E’
difficile riassumere in poche righe una questione così ampia come lo stato di
salute dell’ambiente locale. Proviamoci, andando per ordine, partendo dalle
vicende più recenti.
Nei giorni scorsi è stata scoperta un a nuova probabile perforazione abusiva
per convogliare la raccolta di acque meteoriche direttamente nella falda nei
pressi del palestrone Comunale. Si tratterebbe della seconda scoperta dopo la
prima nei pressi di via G. Argento, e denunciata al Corpo Forestale ed alla
Guardia di Finanza dal WWF (procedimento di cui ancora non si conosce l’esito).
Si tratta di un intervento grave perché va ad inquinare le acque della falda
acquifera gioiese che spesso vengono utilizzate tal quale per la
potabilizzazione.
A proposito di mobilità sostenibile, va segnalato che gli autobus pubblici
che circolano in paese sono sempre e costantemente vuoti e questo è certamente
dovuto al fatto che in pochi conoscono gli orari e le fermate, in quanto risulta
davvero difficile reperire queste informazioni. E’ inutile far circolare un bus
vuoto. Si dovrebbe cercare di rendere più chiari i punti di sosta ed i tragitti
e fornire alle edicole la tabella degli orari. Di certo molti anziani ne
beneficeranno. L’uso della bici è sempre, inspiegabilmente, raro. Eppure fa bene
alla salute ed all’ambiente!
Il problema randagismo dovrebbe esser giunto ad una svolta, visto che nei
giorni scorsi il WWF ha denunciato ai Carabinieri del NOE il Comune di Gioia,
per maltrattamento d’animali (art. 727 del C.P.) per il mancato rispetto delle
norme sul trattamento degli animali d’affezione (L.R. 12/95). Si spera che la
Magistratura smuova l’incomprensibile stallo della situazione. Intanto al canile
“comunale” aumenta il numero di rifugiati incolpevoli e peggiorano le condizioni
igieniche, con tettoie in amianto che si sgretolano e rifiuti a cielo aperto.
Perché i soldi finiscono al canile di Cassano e Gioia vessa in un’insostenibile
condizione per cani e cittadini?
Finalmente l’ipotesi discarica a Monte Rotondo è stata accantonata dal
Consiglio Comunale che ha votato contro la realizzazione di qualunque tipo di
discarica sul territorio. Ora la palla passa alla Regione che, certamente, non
avrà difficoltà a confermare il parere del Consiglio. Anzi c’è la volontà da più
parti di rendere tutta la zona un’area naturale protetta (è ancora possibile
richiedere copia dello studio del WWF su M. Rotondo, Bosco Romanazzi e Serra
Capece all’indirizzo e-mail:
wwfgioiadelcolle@viriglio.it).
Intanto all’aeroporto militare è arrivato un nuovo modello di aereo
intercettore, che ha già fatto rombare i suoi motori e diffuso le sue nubi
di scarichi inquinanti sulle nostre teste. Bella mossa. Peccato che ci si
dimentichi sempre che nella Costituzione italiana (art. 11) c’è scritto:
“L’Italia ripudia la guerra”, non “la rifiuta”, ma “la ripudia”, ciò significa
che qualunque mezzo e armamento militare da guerra non dovrebbe essere presente
sul territorio. Peccato, che sono anni che respiriamo i gas di scarico degli
aerei, ricchi di finissime particelle e Idrocarburi Policiclici Aromatici (IPA),
comprovati cancerogeni. Ma perché contestarlo, l’Aeroporto dà lavoro a così
tanta gente?!? Sì, ma probabilmente ne ha ucciso almeno il doppio (fra malati di
cancro e vittime dei conflitti)!
Forse proprio per questo a Gioia non è mai stato realizzato un serio
monitoraggio dell’aria. Ma proprio per questo il WWF, insieme ad altre
associazioni lancerà, nei prossimi giorni, la campagna “Cosa c’è nell’aria”
e sosterrà le spese, insieme ai contributi dei cittadini, per commissionare ad
un ente di ricerca specializzato il monitoraggio dell’aria in vari punti della
città.
Dal fronte DISMO tutto tace, forse per non ammettere che c’è qualcosa che
non va o per nascondere ciò che va. I risultati delle analisi sulle
nanoparticelle effettuati dal dott. Montanari, l’azienda Sofinter (costruttrice
del DISMO) non li ha resi ancora pubblici, eppure sono passati molti mesi.
Chissà se gli esperimenti continuano e cosa fuoriesce da questa tecnologia che
ci mette anni a sfondare…probabilmente, i polmoni della gente!
La raccolta differenziata ha toccato lo schifo storico, non perché la
gente non si impegni a farla ma perché la Spes continua a rendere il servizio
inefficiente. Eppure qualche mese fa avevamo ricevuto conferma da parte
dell’Amministratore Delegato dell’azienda che si sarebbe fatto il possibile per
accontentare alcune semplici richieste: aumentare il numero di cassonetti per la
differenziata ed associarli ad ogni bidone per l’indifferenziato; sistemare
bidoni per la raccolta anche di alluminio, acciaio e rifiuto organico; lavare
con più frequenza i cassonetti che ormai sono tutti dello stesso colore: nero;
svuotarli con più frequenza e realizzare altre campagne di sensibilizzazione dei
cittadini, anche sulla raccolta dei rifiuti speciali e pericolosi. Di tutto
questo dopo mesi, neanche l’ombra. Solo interventi di facciata come sostituire
dei funzionali bidoni per il vetro con degli altri identici ma di un colore più
chiaro. Recentemente gli stessi della Spes ci han detto, senza tanti giri di
parole, che ciò che non conviene all’azienda non sarà realizzato (vedi raccolta
dell’alluminio, riciclo del polistirene – cioè di piatti e bicchieri in
plastica, etc.). Eppure si tratta di una ditta che è per l’80% a capitale
pubblico e quindi dovrebbe fare prima gli interessi dei cittadini e
dell’ambiente e dopo i suoi. Ma a loro interessa solo il capitale.
Il verde gioiese ha subito un’altra grave perdita dopo il taglio dello
splendido e maestoso Cedro del Libano presente nella villa dinanzi al Mercato
Coperto. Ora basta tagli, serve un regolamento del verde! Intanto, nonostante la
richiesta di intervento per fornire un sostegno alle giovani querce piantate lo
scorso anno, dal Comune nessuna risposta, dalla Spes – che gestisce il verde
pubblico – una sola: “Non è affare nostro…”. Strano, perché credevamo avessero
in appalto anche la gestione del cielo stellato notturno e del campo visivo,
ostruito con mega cartelli pubblicitari, alquanto sospetti per conformità alla
legge e interesse pubblico.
Quest’estate gli incendi hanno risparmiato buona parte dei boschi gioiesi,
se si eccettua il disastroso rogo divampato nei pressi di Gravina S.Croce in
località Marzagaglia al confine con Laterza. Un disastro se si considera che
recentemente nell’area sono stati censiti alcuni esemplari rari di
coleotterofauna, come il Cervo volante ed il Cerambice delle querce, oltre a
numerosi rettili minacciati, mammiferi ed una straordinaria varietà di uccelli
dalle livree spettacolari, come il Fiorrancino.
Sempre a proposito di biodiversità, continuano a stupire le numerose
specie (a volte molto rare) scoperte a Serra Capece ed in località Marzagaglia,
come il Colubro leopardino. Di recente, è stato segnalato l’abbattimento di uno
Sparviere, morto dissanguato prima di essere consegnato ai volontari del WWF,
nei boschi al confine con Noci, sparato da bracconieri senza scrupoli che
uccidono animali che neanche raccolgono, tanto per il gusto di ammazzare.
Numerosi richiami acustici sono stati sequestrati a cacciatori gioiesi
durante i turni di vigilanza che in questi giorni si stanno intensificando.
(Chiunque dovesse ritrovare animali feriti o volesse segnalare reati
venatori può contattare i numeri di emergenza del WWF: 3381018014 oppure
3397729678).
Il CFS ed la Guardia di Finanza hanno realizzato interventi di controllo,
rispettivamente, sull’abusivismo edilizio e sulle discariche abusive,
come quella denunciata sulla Gioia-Santeramo, ma c’è ancora molto da fare.
Numerose sono le discariche abusive sparse sul territorio, ed in particolare nei
pressi di via Vecchia Matera sono stati depositati numerosi cumuli di amianto
per i quali si dovrà procedere alla rapida rimozione.
Per ultimo non si può dimenticare l’edilizia selvaggia che sta soffocando
di grigio tutta la città. Se si continua di questo passo fonderemo una
megalopoli invivibile, priva di boschi e campi coltivati ed ecologicamente
insostenibile. E’ necessaria una rapida ed oculata regolamentazione delle
costruzioni che preveda anche un incentivo per l’installazione di pannelli
solari e sistemi fotovoltaici sulle nuove abitazioni.
Bisogna prestare particolare attenzione alla proliferazione incontrollata di
pale eoliche che se mal posizionate possono creare seri problemi d’impatto
ambientale sull’avifanuna ed il paesaggio.
Chiunque sarà il prossimo
sindaco dovrà tenere conto di tutte queste problematiche, perché
interessano i cittadini in prima persona, la loro salute e la qualità della
vita, altrimenti sarà destinato all’ennesimo fallimento politico.
Roberto Cazzolla
(da Gioia News)
Scoperti un bosco completamente
distrutto, discariche abusive e spietramenti
“Lì dove c’era il bosco ora c’è un porcilaio”
Sulla
provinciale51 per Matera una serie infinita di “delitti contro l’ambiente”
di ROBERTO CAZZOLLA
Si stenta a credere ai propri
occhi. Quella che per molti secoli è stata una via preferenziale della
transumanza dei pastori, quella che ha raccolto natura e tradizioni, consegnando
alla cittadina di Gioia
del Colle una memoria storica da custodire, si sta trasformando nel “museo dei
delitti contro l’ambiente”. E’ una situazione davvero molto grave, passata
inosservata per parecchio tempo, che ora non può più restare nell’ombra. Si
imbocca la provinciale 51 che da Gioia porta a Matera, attraversando numerosi
lembi del fatiscente Parco Nazionale dell’Alta Murgia, svoltando sulla destra,
subito dopo aver superato il caseificio Capurso. Chi è privo di memoria corta,
non ha dimenticato il fascino dei coltivi di quella strada, inframmezzati da
boschi a fragno e roverella, contornati da maestosi muretti a secco alti anche 2
metri, colorati dalle sfumature delle stagioni. Oggi, invece, dopo anni di
silenzi ed omertà, e grazie ad una scoperta quasi casuale, emergono segnali
inquietanti su quanto si è fatto per distruggere questi luoghi e quanto ancora
si sta facendo.
Già dopo il primo chilometro,
sulla destra, si scorge un maestoso muretto a secco, il cosiddetto “parietone”,
che col tempo sta perdendo i pezzi delle antiche pietre che lo componevano.
Proseguendo tra oliveti visitati da merli e storni
e vigneti, che come secche e nude braccia si estendono vegliardi sul suolo,
s’intravede, all’altezza del chilometro 5, un bivio sterrato sulla sinistra ed
un altro, poco più in là, sulla destra. Imboccando il primo potrebbe sembrare di
essere entrati in un negozio di elettrodomestici. Lavatrici, televisori,
frigoriferi ma, anche, reti per letti, pneumatici, sacchi in plastica, rottami
di auto, batterie e le immancabili lastre in amianto. Il tutto a costeggiare un
campo dove si coltivano ortaggi di tutti i tipi, che finiscono sulle nostre
tavole. A questo punto, ci si chiede sgomenti, come nessuno possa essersi
accorto prima d’ora di un simile scempio e perché, se qualcuno ha notato tutto
questo, il reato non è stato segnalato. A farne le spese sono tutti i cittadini,
poiché le innumerevoli sostanze chimiche (dai metalli pesanti ai Poli Cloro
Bifenili, dal mercurio al piombo) finiscono nel terreno e nella falda ed entrano
a far parte delle catene alimentari, partendo dalle verdure per finire agli
animali d’allevamento. Tutti noi mangiamo e respiriamo i disastri compiuti da
altri. Ed allora perché nessuno li segnala? Perché nessuno li bonifica?
Lasciamo il “teatro degli
orrori”, consapevoli di averne visitato solo uno tra i tanti sparsi sul
territorio, ed imbocchiamo la sterrata sulla destra (chilometro 5 ed 800).
Impossibile a crederlo, ma la
situazione è peggio di prima. Un’intera parte di un antico tratturo, ostruita da
residui di costruzione, pietre, mattonelle, pneumatici, un carcassa d’auto,
sacchi in plastica, secchi di ferro ormai arrugginiti. Ma ciò che più preoccupa
è il ritrovamento di decine di barattoli di vernice, alcuni ancora sigillati. Su
molti si legge: “Vernice di fondo bituminosa. Nocivo, irritante, non respirare,
non disperdere nell’ambiente, può provocare grave inquinamento dei terreni e
delle acque”. Forse chi se n’è disfatto non ha letto l’etichetta. Ma sono
centinaia i bidoni di vernice e credere nella distrazione è davvero un’acrobazia
della mente. Proprio quel tipo di vernice, contenente Xilene e Tricloroetilene,
è la causa dei gravi fenomeni di contaminazione dei suoli e dei bacini idrici,
in grado di causare numerosi tumori e la perdita di biodiversità.
La via
di Matera sembra un tour della vergogna. Ma, l’apoteosi dell’insolenza la si
raggiunge solo all’altezza del chilometro 6. Guardando a sinistra si estende una
grande fascia boscata completamente recintata. All’interno, il sottobosco è
scomparso e sono evidenti i segni di distruzione dovuti a cinghiali o maiali. Un
simile allevamento in un bosco autoctono è una pratica dall’impatto
elevatissimo, e se non autorizzata, un reato davvero grave. Ma d’altronde, come
può essere stato autorizzato tutto questo: una recinzione arrugginita per un
bosco con querce rovinate e vegetazione bassa completamente distrutta. Il suolo
è del tutto dissodato. Il terreno, causato dal costante calpestio degli animali
allevati, appare una distesa fangosa. La fauna autoctona, certamente è
scomparsa, così come le piante endemiche. Uno scempio che si compie sotto gli
occhi di tutti, visto che il bosco affaccia proprio sulla strada provinciale.
Eppure sino a qualche decennio fa, quell’area era un piccolo gioiello naturale.
Torniamo verso il paese, lo sconforto è tanto, e mentre ci incamminiamo sulla
strada parallela di ritorno scoviamo un altro misfatto: cumuli di pietre
dissotterrate da un campo, querce abbattute ed un enorme scavo. L’ennesimo
scempio silenzioso del nostro territorio.
Così perdiamo la storia,
perdiamo la cultura, perdiamo la natura. Che qualcuno fermi tutto questo.
Roberto Cazzolla
(da Il Levante)
Lunghe code e resse ai distributori, vittime
della dipendenza da petrolio
Tutti senza benzina: scenario di un futuro
imminente
Anche i
gioiesi hanno subito i disagi dello sciopero degli autotrasportatori
di
ROBERTO CAZZOLLA
Lo sciopero degli
autotrasportatori ha aperto uno squarcio nel futuro. Come la più profetica delle
sibille, ha mostrato a tutti quanto ormai siamo diventati cronicamente
“petrolio-dipendenti”. I gioiesi, come molti italiani, si sono ritrovati da un
giorno all’altro a dover fare i conti con l’assenza di carburanti per le auto,
dovuta allo sciopero degli autotrasportatori che hanno centellinato anche
diesel, metano e verde. Così, le code per accaparrarsi l’ultimo “pieno” si son
fatte lunghe e martedì sera una fila estesa per più di un chilometro ha bloccato
l’intera viabilità della ex-statale 100, all’altezza del famoso distributore “child-killer”,
contestato perché posto a due passi dalla scuola di via Eva.
Molti automobilisti hanno preso d’assalto il self-service incolonnandosi come
automi, con alcuni momenti di tensione. Ma, a parte l’increscioso evento dovuto
ad uno sciopero improvvisato causato da una protesta, seppur legittima per la
categoria, specchio di un Paese che trasporta il 90% delle sue merci su gomma e
non su rotaia come nel resto d’Europa (incrementando smog, effetto serra,
traffico e consegne ritardate oltre, naturalmente, il malcontento di chi
trascorre la notte sulla strada), l’evento ha permesso di guardare ad un futuro
non molto lontano, in cui saremo tutti assetati di petrolio e l’elevato costo
non ci permetterà lo sperpero attuale. Le stime non parlano di centinaia di
migliaia di anni, ma di qualche decennio. Ed allora, ecco che come la più
bistrattata tra le Circe moderne, si è fatta immagine reale un’angoscia che per
troppo tempo abbiamo voluto ignorare. Uno stile di vita completamente improntato
al consumo, alla mobilità su 4 ruote ed all’acquisto di merci dagli antipodi del
mondo, ha aumentato di certo il nostro potere d’acquisto ma, ha radicalmente
messo in ginocchio la nostra qualità della vita. Siamo, è inutile cercare di
negarlo, assuefatti dal petrolio. Senza di esso non arrivano più i quotidiani in
edicola, le banane africane dal fruttivendolo, il latte tedesco al supermercato,
le merendine intrise di coloranti dalla Cina. Abbiamo totalmente rimosso dalle
nostre satolle cervella di mentecatti tecnologicizzati come fare per
sopravvivere, o forse sarebbe meglio dire, per vivere (inteso nel più alto e
nobile senso idiomatico), in un mondo semplice come quello di tempi non troppo
remoti. Senza tornare all’epoca dell’ingegnere Ford (che tanto per la cronaca,
alimentava le sue auto con combustibili vegetali e non con petrolio), forse
abbiamo scordato che i nostri nonni, non avevano certamente a disposizione auto
e motorini, e non avevano bisogno di scazzottarsi al distributore della…biada.
Il pane lo compravano dal fornaio che lo produceva sotto casa, frutta e verdura
dall’orto del vicino e se proprio dovevano spostarsi, usavano i mezzi pubblici o
chiedevano passaggi. Ma qualcuno direbbe, cose d’altri tempi.
Quel che conta è che in “questi
tempi” le cose vanno davvero male. Milioni di morti ogni anno a causa
dell’inquinamento urbano, centinaia di prodotti stranieri prima immessi e poi
ritirati dal mercato perché contaminati, tossici o pericolosi, decine di
ingorghi quotidiani sulle strade con il livello di stress alle stelle e, di
conseguenza, stupri, omicidi e suicidi a non finire. Forse il tempo dei nonni,
come quello delle mele, è passato ma, così non si può continuare a vivere. Basta
uno sciopero per far crollare la terra sotto i nostri piedi. Non “siamo capaci
di futuro”, come recitava uno slogan della conferenza di Rio del 1992,
dimenticato troppo in fretta. In questa epoca del consumismo esasperato, tutto
ciò che crediamo rilevante è un bene materiale prodotto con grande spreco di
risorse e petrolio. Nulla più. Se di colpo scioperassero distributori e
compagnie telefoniche, potrebbero seppellirci da vivi. Non saremmo capaci di
fare più nulla. Allora, è il momento di fermarsi un attimo in questa strana
frenesia, a chiederci dove stiamo andando e per quale ragione. Forse la risposta
c’impiegherà un po’ ad arrivare, ma lascerà tutti a bocca aperta: stiamo andando
verso l’autodistruzione e la tecnologia non ci salverà. Unica speranza: tornare
alla vita semplice in armonia con la natura. E questo, per chi adesso sta
nascondendo il ghigno beffardo come a chiedersi sarcasticamente “dovremmo
torniamo all’età della pietra?”, non vuol dire un ritorno alla vita in caverna,
vestiti di pelli, come cacciatori-raccoglitori ma un passo indietro, elogio
della lentezza. Vuol dire iniziare ad acquistare cibo locale (il pane gioiese è
tra i più buoni, così come i prodotti agricoli, i biscotti ed i farinacei, il
latte ed i prodotti caseari nostrani), vuol dire ridurre il consumo di plastica
(basta inserire la spesa in sacchi di tela ed eliminare l’utilizzo di stoviglie
in plastica) e carne, vuol dire usare i mezzi pubblici, i piedi o la bici (la
città di Gioia sembra plasmata proprio per andare sulle 2 ruote, ma quanti
davvero lo fanno?), vuol dire bere acqua dal rubinetto che è più sana e riduce
il trasporto ed il numero di contenitori e, forse, solo così, non avremo più
attacchi di panico al primo sciopero, sentendoci davvero “oil-free”, liberi da
quell’oro nero che inquina la Terra ed insanguina i popoli.
(da Il Levante)
Se il buon esempio non arriva dai dirigenti
comunali…
E’ una piazza o un parcheggio?
Quando piccoli abusi quotidiani distruggono
l’identità culturale
Per la serie “tanto va l’UTC alla
piazza che ci lascia il furgoncino”. Quando si parla di smarrimento
intellettuale, ci si riferisce ad uno status quo che è difficile da smuovere.
Specie se a mantenerlo stabile sono proprio gli stessi promotori dell’ardua
impresa. E’ il caso, ad esempio, di Piazza Margherita di Savoia, sulla quale si
affaccia lo splendido Teatro Rossini, ultimo vessillo di cultura, vittima dello
sprofondamento ideologico dell’era mediatica. Proprio sulla piazza che dovrebbe
rappresentare lo scenario intellettuale del paese, proprio nel luogo che
dovrebbe essere raduno di menti e di pensieri, si affollano quotidianamente
autovetture d’ogni tipo e salta
all’occhio la costante presenza di mezzi
comunali. Come può essere più alto l’affronto. Inibito il passaggio, spenta la
meditazione della gente in sosta, alle prese con il labirintico sentiero dettato
dall’ammasso di ferraglia.
“Vorremmo una città più viva e
vivace culturalmente”, ma il sogno presto s’infrange e diventa chiaro il motivo
degli scarsi risultati dalle piccolezze quotidiane, come il sostituire la piazza
di un teatro con un parcheggio pubblico e selvaggio. Crolla, come friabile
terreno sotto il pesante passo della civiltà, l’ultima speranza per una
primavera dei sensi. Non basta la promessa innovatrice di un punto di svolta,
cancellato in fretta e furia dopo le elezioni. Non servono le sciarpe colorate,
simbolo mondano d’elevazione aristocratica, per credersi e far credere più alto
ogni sospiro. E’ il caso di iniziare a fare pulizia. Che sia, questa, interiore
o di un luogo tanto bello quanto effimero. Uno spazio fisico che attraversa le
menti, un luogo di sosta nel caos quotidiano, libero dalla tecnologia e intriso
di pensieri ed opinioni. Quale meandro di città, meglio della piazza del teatro,
può rappresentarlo? Prima di ogni proclama sulla libertà di pensiero, sul
rispolvero dell’impegno civile e sociale di un paese che negli anni, sembra
averlo smarrito, è necessario un ritorno al futuro. Lo sgombero di una piazza
dalle auto, simbolo dello sgombero dal vuoto meccanicistico dalle menti. “Ed
allora potremo immaginare un Umanesimo nuovo…un Neo-Rinascimento”, recitava il
gaberiano teatrante, che di palcoscenici colmi di speranza in un futuro
migliore, ne ha calpestati tanti. Potremmo addirittura ricominciare credere che
i cittadini appartengano alla città, i pensieri alla mente, l’uomo alla Terra.
Sarebbe come un gesto di speranza. Far sgomberare le auto dalla cultura. Sarebbe
un modo, per dire alla gente: “La rivoluzione sta iniziando”. Non imbracciate le
armi, armate la testa, riempitela di sogni e ideali e lasciate che si svuoti su
una piazza che attende speranzosa gente nuova, gemme del ciliegio che adesso sta
nascendo. Frutto di quel seme in grado capire che, per far crescere una pianta
sana, oltre ad acqua e minerali, serve un luogo incontaminato dove poter
affondare le radici, organo vegetale allegoria d’immobile movimento. E da
questo, se la terra sgombra da umane futilità lascerà spazio al distendersi dei
rami in movimento, sboccerà un fiore sfumato da colori di speranza, per una
piazza, per della gente, che riappropriandosi di un luogo, ha ripreso in mano la
sua identità culturale.
Roberto Cazzolla
(da Il Levante)
Scarichi abusivi nella falda: il Comune viola la
legge?
Scoperte due perforazioni che convogliano acque meteoriche
direttamente in falda. Salute a rischio
Pronto, parlo con l’Acquedotto
Pugliese? “Si mi dica – vorrei sapere se è di vostra competenza lo smaltimento
delle acque meteoriche… - no, a noi compete solo il trattamento delle acque di
potabilizzazione, è il Comune che ha in gestione la fogna bianca” – quindi lei
non sa come mai viene immessa dell’acqua di lavaggio delle strade direttamente
in falda? – no, di sicuro non è un intervento previsto per legge e dubito sia
stato il Comune ad autorizzarlo”.
Così l’Ufficio Tecnico,
interpellato, risponde per voce del geometra Gemmato, che molto gentilmente ci
dice: “Siamo al corrente dei pozzetti di scarico realizzati nei pressi del
Palestrone Comunale ed in via Martiri di Cefalonia, ma il tutto è stato
effettuato a norma di legge ed autorizzato dalla Provincia di Bari – ma a quale
legge si riferisce? – E’ una legge regionale sul trattamento delle acque
meteoriche che in questo momento non ho sottomano”. Forse il riferimento è al
Decreto del Commissario delegato per l’Emergenza Ambientale del 21 novembre
2003, n. 282 in merito al trattamento delle “Acque
meteoriche di prima pioggia e di lavaggio di aree esterne di cui all'art. 39
D.L.gs. 152/1999 come modificato ed integrato dal D.Lgs. n. 298/2000”.
Tale provvedimento regolamenta l’intrecciata
materia dello scarico delle acque piovane provenienti da strade, tettoie, etc.
ed in particolare legifera riguardo alle “acque di prima pioggia e di lavaggio
delle aree esterne”. All’articolo 5 del Decreto si legge: “Il
titolare dello scarico di acque di prima pioggia e di lavaggio delle aree
esterne che dilavano dalle pertinenze di stabilimenti industriali, nonché da
strade e piazzali destinati alla movimentazione e deposito di mezzi e di
materiali […], dopo trattamento depurativo in loco, è tenuto a
richiedere all'Autorità competente apposita autorizzazione al fine
dell'attivazione dello scarico”. Quindi è necessaria, oltre all’autorizzazione
rilasciata dalla Provincia, anche un trattamento depurativo in loco,
prima di smaltire le acque piovane. Ma su questo il geom. Gemmato ci rassicura:
“L’autorizzazione della Provincia c’è ed al pozzetto del Palestrone sono stati
associati tre pozzetti di scolo per la depurazione”. Ma probabilmente il Decreto
Regionale per “depurazione” non intende i processi fisici che hanno luogo
durante il percolamento nel sottosuolo, bensì tutti quei trattamenti che
provvedono ad abbattere il carico organico, il carico trofico e gli inquinanti
(metalli pesanti, IPA, etc.) provenienti dal manto stradale che altrimenti
contaminerebbero l’acqua della falda, che in molti a Gioia utilizzano per
irrigare i campi per mezzo di pozzi artesiani o anche, per diretto consumo
umano. Ma, il problema non sta neanche tanto nel tipo di depurazione effettuata,
quanto nel fatto che la normativa nazionale vieta lo scarico in falda (D.L.vo 11
maggio 1999, n. 152, art. 30 e 39, comma 1 e 4, rispettivamente: “È vietato lo
scarico o l’immissione diretta di acque meteoriche nelle acque sotterranee”)
ed autorizza, invece, il solo scarico delle acque di lavaggio stradale in corpi
idrici superficiali o in strati superficiali del sottosuolo, che quindi falda
non sono. Pertanto il D.R. al quale fa probabilmente riferimento il geometra
Gemmato, non è da intendersi per gli scarichi delle acque meteoriche in falda.
Inoltre, c’è da aggiungere che, mentre per il pozzetto del Palestrone comunale
vi è una parvenza di trattamento depurativo fisico, lo scarico profondo
parecchie decine di metri in via M. di Cefalonia (che il WWF locale ha già
segnalato alla Magistratura) sembrerebbe essere di tipo diretto senza alcun
pretrattamento delle acque. Proprio in quella zona c’è un pozzo artesiano che
certamente viene utilizzato per irrigare il grande orto adiacente, quindi tutti
i contaminanti dilavati dalla superficie stradale, insieme alle numerose cicche,
carte, pezzi di plastica che arrivano all’interno del pozzetto, finiscono sulle
verdure consumate tutti i giorni. E quelli che sfuggono, finiscono nella falda
profonda andando a contaminare il collettore idrico (fiume o mare) verso il
quale affluisce. Proprio per evitare pericoli di contaminazione, sempre il D.L.
152/99 art. 21 comma 5 individua una “zona di rispetto, costituita dalla
porzione di territorio […] da sottoporre a vincoli e destinazioni d’uso tali da
tutelare qualitativamente e quantitativamente la risorsa idrica” e cita: “In
particolare nella zona di rispetto sono vietati l’insediamento dei seguenti
centri di pericolo e lo svolgimento delle seguenti attività: [lettera d)]
dispersione nel sottosuolo di acque meteoriche proveniente da piazzali e strade”.
Quindi, stando a questi decreti, il Comune realizzerebbe uno scarico illegale
che metterebbe a rischio la salute di tutti i cittadini che, in quanto esseri
viventi, dell’acqua non possono proprio farne a meno. E se anche la
giustificazione di un tale intervento fosse quella di limitare i continui
allagamenti che coinvolgono le numerose strade gioiesi durante le piogge, si
potrebbe adottare il modello di Chicago, che utilizza un asfalto permeabile che
permette il passaggio dell’acqua attraverso il terreno e ne consente la
biodepurazione sino all’arrivo in falda.
Magari i costi iniziali
sarebbero compensati da una notevole diminuzione dei disagi alla circolazione
durante le piogge, da un minor allagamento delle cantine e dei seminterrati e da
un ridotto tasso di contaminazione di frutta, ortaggi e prodotti caseari per
produrre i quali si utilizza acqua contaminata che il Comune immette nella falda
a volontà. Per una volta non si badi ai costi economici ma alla salute della
gente e alla tutela dell’ambiente. Avviso per la prossima amministrazione.
Roberto Cazzolla
(da Il Levante)
La Ciancio:
“Se ci fossero i fondi promessi le scoperte potrebbero aumentare”
Santo Mola: quando la storia finisce nel cemento
La
Soprintendenza: tanto da scoprire. Intanto proseguono i lavori edili sulla
necropoli
Immaginate una necropoli fondata
nel VII secolo a.C., ricca di tombe intatte, scheletri, monili, corredi
funerari. Ed immaginate che questa venga scoperta casualmente, come spesso
accade, durante dei lavori di scavo. In realtà la stessa era già stata rinvenuta
negli anni ’40, ma poi destinata all’oblio sino a qualche anno fa. Immaginate
che un simile ritrovamento è un fatto storico di rilevanza straordinaria,
trattandosi di un luogo di sepolture di uno dei popoli, i Peuceti, più antichi
della cultura pugliese. Questi, imparentati con gli Japigi, insieme ai Dauni ed
ai Messapi, colonizzarono le terre della Murgia e del Tavoliere. Erano una
società fondata sulla monarchia, in cui il re,
ereditata la corona dal padre, veniva acclamato dal popolo e comandava le
milizie, giudicava i delitti, presiedeva ai sacrifici, ed era assistito da un
consiglio di abitanti del villaggio che lo aiutavano ad amministrare la
giustizia. Il loro nome deriva probabilmente da “Pediculi” parola che, in greco,
significa “abitanti delle colline”; essi avevano realizzato un imponente sistema
agricolo e tessile ed allietavano le giornata di lavoro con inni e poemi, che
insegnavano ai bambini già dalla tenera età. Il loro centro principale fu Monte
Sannace, alle porte della città di Gioia del Colle. Ma le ultime scoperte
confermano che il loro territorio era ben più vasto. Infatti la necropoli,
probabilmente collegata all’acropoli da passaggi nascosti o vie ancora non
portate alla luce, si distende a circa 10 km di distanza sulla vecchia via che
da Gioia porta a Matera. Santo Mola, è il nome con il quale attualmente si
identifica questa necropoli. Nessuno può sapere con certezza quanto questa sia
estesa.
Immaginate ora, che tutto il mistero e tutto il fascino storico di un simile
ritrovamento giaccia coperto da terra e costruzioni che col tempo stanno
aggiungendo (o distruggendo) un nuovo strato di storia della città. Eppure,
nell’estate del 2004, durante i lavori di costruzione di una villa furono
portate alla luce numerose tombe, molte delle quali depredate dai soliti
tombaroli incuranti del manto fiabesco dell’archeologia, prima dell’arrivo della
Vigilanza armata e della Soprintendenza, che per pochi mesi svolse attività di
recupero delle sepolture. Nonostante le depredazioni, furono portate alla luce,
e sono conservate adesso nel Museo del Castello Svevo di Gioia d. C., numerosi
monili, alcune spade, interi scheletri e corredi funebri di inestimabile valore
e ben conservati. La scoperta attirò numerosi gioiesi ed esperti di archeologia.
Poi i soldi finirono e la voglia di scoprire non iniziò mai.
Immaginate, infine, quanto turismo, quanta cultura e quanto ritorno economico un
ritrovamento simile avrebbe garantito ad una città meno meschina, sorda ed
incurante che, invece di sperperare denaro pubblico in inutili finanziamenti e
facili concessioni edilizie, avrebbe potuto far proseguire i lavori di scavo e
realizzare un nuovo polo di attrazione ed il fiore all’occhiello di una città
ricca di storia, infranta dalla moderna cultura.
“Se
solo ci fossero i finanziamenti promessi dall’allora Amministrazione o dall’Aereoporto
Militare, – dice quasi rassegnata la dott.ssa Ciancio della Soprintendenza dei
Beni Archeologici, che seguì i lavori nel 2004 – chissà quanto ancora ci sarebbe
da scoprire, l’area è davvero molto ampia. Ora esiste un vincolo archeologico e
qualunque nuova autorizzazione comunale per lavori edili deve passare al nostro
vaglio”. Eppure, di fronte all’Aeroporto Militare che giace, inappropriato, al
di sopra di un immenso tesoro, sono tanti gli spostamenti di terra, le nuove
costruzioni, i cancelli e le recinzioni, le piscine che sorgono da un momento
all’altro. E chissà quante di queste sono davvero state autorizzate dalla
Soprintendenza ed in quanti si adempiono nel “ratto dei reperti”. Sembra assurdo
che, invece di allestire una nuova Pompei, una nuove Egnazia, capace di attirare
turisti, di creare occupazione ed ingrassare le casse del Comune e dei
commercianti locali, qui a Gioia del Colle si stia relegando un pezzo di storia
al perpetuo oblio, forse per non violare i sonni dei Peuceti, ma più
probabilmente per non violare i soldi degli imprenditori. E, così, ancora una
volta ci rimette la storia, non degna di simili immondi discendenti, forse in
attesa di tempi migliori quando i pronipoti dei cittadini e dei politici gioiesi
avranno a cuore la propria identità culturale e sapranno bloccare il cemento ed
aprire la storia.
Pensate…lì, al nord (ma volendo anche all’ovest o all’est) hanno le pietre e ne
fanno monumenti, qui al sud, abbiamo i monumenti e li rendiamo…pietre.
Roberto Cazzolla
(da Il Levante)
SANTO MOLA:
Quando la storia non è più degna di memoria
Basta attraversare un ponte di pietra
antica, incasellato tra gli albori di una civiltà che era e le nefandezze di una
civiltà che è. Percorrerlo per il tratto in salita, ammirare il paesaggio e
ridiscendere tra lo spazio che porta da un allevamento per docili ungulati al
trattamento per dolci decapitati. Si supera il macello e si prosegue lungo una
via antica, forse più di quanto si immagini. Mille metri di cammino e poi di
colpo un grosso scavatore meccanico. A volte fa ribrezzo la tecnologia immersa
nella storia. Ma poi, ci si riflette su e ci si rende conto che la tecnologia ha
fatto la storia. Guardando ai piedi del cingolato, si scorge in un capo tra
Santa Sofia e Santo Mola una recinzione lignea a segnare una zona invisibilmente
affamata di ricerca.
Quando i proprietari del campo iniziarono i
lavori di scavo per la costruzione di un immobile, non immaginavano che sotto i
loro piedi ci fosse un cimitero. Non è un cimitero qualunque. I pochi giorni di
scavo successivi al ritrovamento hanno portato alla luce una necropoli di 3000
anni a.C. nella quale 11 tombe sono state scoperchiate e in gran parte
saccheggiate. Ciò che è rimasto in custodia alla Soprintendenza dei beni
archeologici, sono spade, punte di lancia, scheletri e monili di donne e
guerrieri peuceti, molto probabilmente. Dunque, a questo punto si sarebbe dovuto
andare avanti nelle ricerche, considerando che l’archeologa che dirigeva lo
scavo aveva attestato la presenza di una vasta zona a necropoli e di un’acropoli
su monte limitrofo. Ed invece sono stati sospesi i lavori, la Soprintendenza ha
autorizzato la costruzione di un casolare ad un metro da alcune tombe, col
rischio di averne coperte altre e d il Comune di Gioia del Colle pare essere
completamente indifferente alla ricerca delle proprie origini. Forse sono un po’
tutti più interessati alla ricerca del risparmio e economico. E così la cultura
storica resta e per chissà quanto resterà, ancora soffocata da un cumulo di
terra che sa dell’olezzo dell’indifferenza e dell’egoismo.
Roberto Cazzolla
(da Il Giornale del Territorio Murgiano)
Quando un affare pubblico diventa cosa privata
Differenziata: altro che comune “riciclone”
In molti si lamentano del servizio fornito dalla
Spes, ecco perché
di ROBERTO CAZZOLLA
“Non c’è interesse da parte
dell’azienda di riciclare alluminio e acciaio” – risponde Chiara Mercurio,
amministratrice della Spes, incontrata pochi giorni fa. “A Gioia si produce
pochissimo materiale simile, non ci sarebbe ritorno per l’azienda”, ma per
l’ambiente sì, rispondiamo. L’alluminio, prodotto derivato dall’estrazione di
bauxite, un minerale incastonato nelle montagne, prima di arrivare bello
forgiato come contenitore di pelati, lattine di bevande, scatolette di tonno,
lascia dietro di se un’enorme impatto ambientale
dovuto alla pratiche estrattive, ai composti chimici utilizzati per il
trattamento, alla distruzione di promontori naturali, al duro lavoro umano ed
alle esalazioni in miniera. Ma alla Spes questo non interessa. Chissà come mai,
in altri comuni dell’interland, come Santeramo, simili materiali vengono
raccolti e differenziati? Forse lì la gente mangia più sughi, beve più bibite,
divora più tonno. Ma andiamo…chi vogliamo prendere in giro? Il problema
principale è che un’azienda che possiede un capitale all’81% pubblico, non può
permettersi di valutare interessi economici personali. L’interesse dev’essere
quello di migliorare la qualità della vita della gente e limitare l’inquinamento
da rifiuti. Eppure dalla Recuperi Pugliesi di Modugno, azienda dove la Spes
conferisce i rifiuti, ci dicono che “noi riceviamo alluminio, acciaio ed altre
ferraglie da molti comuni della provincia. Poi provvediamo all’indirizzamento
verso le varie piattaforme di riciclaggio. In pratica, siamo in grado di
riciclare quasi tutto”.
Con orgoglio, gli amministratori
gioiesi, hanno ritirato il premio come miglior comune “riciclone” della
provincia. La più alta percentuale di raccolta differenziata. Complimenti ai
cittadini, dunque, non alla Spes, di certo, che scoraggia (vedi box a fianco)
anche i più convinti sostenitori della differenziazione.
Evidenziamo, all’amministratrice
Spes, il fatto che la gente è davvero demoralizzata e scoraggiata da piccole
mancanze dell’azienda. I cassonetti sono perennemente sporchi dall’esterno e le
maniglie completamente nere e viscide. “Ma no – dice la dott.ssa Mercurio – il
fatto è che le maniglie nessuno dovrebbe toccarle, c’è anche il simbolo di
divieto!. Ognuno dovrebbe arrivare al bidone, aprire la propria busta e
conferire singolarmente i rifiuti selezionati
a casa”. Certo, chiunque, dopo
aver diviso con pazienza i rifiuti presso il proprio domicilio, arriva al bidone
e impiega decine di minuti nell’impervio tentativo di infilare con forza le
bottiglie, i bicchieri, i piatti, le buste di plastica, attraverso la microfessura munita di setole irte e sporche, che se per errore le tocchi devi
ricorrere ai presidi sanitari. “Ma no – prosegue la Mercurio – vedete, voi
gioiesi siete una cosa tremenda. I piatti ed i bicchieri non vanno inseriti nel
bidone della plastica perché non si possono differenziare, quindi infilando solo
le bottiglie nessuno tocca le setole, – e se si volessero differenziare i
sacchetti in plastica? – allora si potrebbe poggiare il sacchetto e spingerlo
giù con la bottiglia”. Incredibile, per la serie “le mille acrobazie per
differenziare”. E poi, perché proprio piatti e bicchieri, che sono il maggior
rifiuto prodotto dalle famiglie, non possono essere differenziati? Secondo la
normativa vigente (le direttive quadro sui rifiuti, quella sugli imballaggi e il
cosiddetto "decreto Ronchi" che ha recepito queste direttive nel 1997) è
prevista una forma di "responsabilità condivisa" tra i produttori di imballaggi
e le amministrazioni pubbliche o le aziende private di raccolta. L'11 febbraio
2004 è stata emanata una nuova direttiva europea sugli imballaggi che chiarisce
che, anche i piatti e i bicchieri (di qualunque materiale) vanno considerati
imballaggi e quindi i cittadini devono poter disporre di un sistema di raccolta
differenziata realizzata con il contributo dei diversi consorzi. Quindi la
motivazione della Spes, non regge.
E per i rifiuti di dimensioni
maggiori alla fessura del cassonetto, come sì fa, chiediamo. “Per flaconi di
detersivi ed altri materiali ingombranti, visto che i bidoni devono essere
chiusi per legge - quale legge? Nessuno lo sa! – è possibile collocarli nelle
vicinanze dell’apposito bidone”. Benissimo, sottolineiamo, così, com’è capitato
spesso, arriva l’operatore ecologico e butta tutto nell’indifferenziato. In
merito alla raccolta dell’organico, invece, come mai non c’è a Gioia? “Stiamo
attendendo le decisioni dell’ATO (autorità di bacino) in merito prima di
muoverci”. Eppure molti comuni hanno già avviato la raccolta dei residui
alimentari…Concludiamo, la discussione, con un tour della vergogna presso i
bidoni. Non ci sono adesivi che indicano che tipo di rifiuti possono o non
possono essere differenziati – “provvederemo a sistemarli”. Ad oggi ancora
nessun adesivo! I bidoni sono sporchi dall’esterno – “ma noi li laviamo solo
dall’interno”, risponde – apriamo il bidone, e per conferma, non riusciamo a non
trattenere il respiro tant’è il sudiciume. “Si sarà sporcato da poco”. Battuta
esilarante. L’immondo giro si conclude con una riflessione: a volte, la gestione
privata funziona meglio di quella pubblica. Non è questo il caso.
(da Il Levante)
Anche a Gioia i
piccoli esercizi commerciali soccombono sotto i colpi delle multinazionali
Piccoli negozi…muoiono
Come il capitalismo globale sta distruggendo le
economie locali
“Le riparazioni delle scarpe
sono diminuite – dice rammaricato il sig. Tonino, calzolaio gioiese da lungo
tempo, simbolo di quel mercato dalle antiche tradizioni, fatto di manifattura e
vecchi saperi. “Il fatto è – continua – che da quando sono arrivati i prodotti
cinesi sul mercato, in pochi vengono a far riparare una scarpa al costo di 2 -3
Euro, quando nuove le pagano 5”. Ma non è solo colpa del mercato concorrenziale
asiatico a far crollare i fatturati dei piccoli esercizi commerciali locali.
L’abitudine all’acquisto del nuovo è diventata una prerogativa delle moderne
generazioni. Non si ripara più. Tutto si butta e poi si compra daccapo. Così
aumenta la quantità di materie prime sfruttate,
i rifiuti in discarica e diminuisce il valore economico del mercato locale.
Perché se è vero che la globalizzazione ha favorito un momentaneo calo dei
prezzi a causa della concorrenza spesso sleale delle multinazionali, è anche
vero che il mercato globale sta uccidendo le identità finanziare dei paesi in
cui si affaccia. E sono pochi quelli che se la scansano. A Gioia, la
globalizzazione è arrivata, come nel resto del mondo, silenziosa e subdola, si è
infiltrata fra la quello che potrebbe essere definito lo Slow Trade autoctono,
sbaragliando i concorrenti con prodotti di dubbia qualità e scarso valore.
“Pane, formaggio, uova, la gente
li compra nei grandi supermercati dove la qualità è spesso più scarsa, ma ha
tutto a portata di mano – conferma il titolare del negozietto alimentare di via
U. Bassi. – Sino a 5-6 anni fa si riusciva a tirare avanti, ma ora teniamo
aperto il negozio tanto per…”. L’avvento dei megastore, dei supermercati, dei
magazzini ha portato al calo delle vendite nei piccoli esercizi a favore di un
mercato concentrato ed opportunista. “La gente non bada più alla qualità, –
continua il sig. Antonicelli – un negozio sotto casa ha tanto valore, perché
offre all’anziano ed al cittadino in generale un servizio senza costo. Ma da
qualche anno a questa parte da noi entrano da 5 a 10 persone al giorno – di
solito, gli affezionati. – Eppure vendiamo anche prodotti locali, latte e pane
delle nostre terre”. Il problema principale del mercato globale è che si perdono
antichi sapori e tradizioni, a favore di prodotti d’incerta provenienza e privi,
molto spesso, di garanzie sulla genuinità. Poi c’è l’aspetto ambientale:
migliaia di chilometri percorsi in tir tra autostrade e navi, con conseguente
aumento dei gas di scarico, per consegnare un bene prodotto dall’altra parte del
mondo che, per essere coltivato, confezionato, imballato sfrutta di frequente
una manodopera a basso costo, con numerose violazioni dei diritti umani e dei
popoli indigeni. Pensiamo alle mozzarelle. Nei supermercati troviamo quelle
dell’Emilia Romagna e Gioia ne è la patria. Oppure le mele. Arrivano dalla
Valtellina, dalla Germania, dall’est Europa eppure di meleti nel circondario ce
ne sono tanti. E così via. Aumentano gli imballaggi per i prodotti importati, le
confezioni ed i rifiuti, aumenta l’inquinamento e muore il mercato locale.
Culture centenarie si sfaldano sotto i pesanti colpi dell’omologazione, sotto
l’infida mano dei brand, delle cooperative, che se da un lato portano novità ed
interesse nella comunità, dall’altro forniscono un prodotto univoco, non nella
marca ma nella qualità. Di merendine, ad esempio, nei supermarket se ne trovano
di tutti i tipi, ma ciò che mangi sono sempre grassi idrogenati, strutto e creme
dalla sconosciuta preparazione meccanica. La parola “dolce tipico” sta assumendo
il significato di “alimento tradizionale prodotto unicamente per attirare
turisti”. La gente del luogo compra globale, pensa globale, ma poi ne paga le
conseguenze. Non è vero che così si favorisce il mercato si alimenta l’economia.
Perché per ogni prodotto locale, biologico, di qualità accantonato per far posto
ad uno offerto da un grande brand, si distrugge un circolo virtuoso più grande
del singolo prezzo del bene. E se le microeconomie locali collassano, annientate
dalla soffocante presenza dei “venditori di tutto”, è l’intero Pianeta ad
omologarsi, a perdere quella diversità, che come quella biologica, è garanzia di
una sopravvivenza in armonia con la Terra.
Le armi per difendersi dalla
dirompente avanzata delle multinazionali, però, ci sono. Ne è convinto il sig.
Giannico, da poco titolare del negozio di alimentari meglio conosciuto come “la
vecchia salumeria Giove”. Forse la sua giovane età gli permette di pensare
positivo rispetto allo sconforto dei vecchi maestri di bottega. Forse, una
speranza c’è: “Da una parte è giusto così. Per certi versi i grandi supermercati
sono qualcosa a favore della collettività. Ma, il piccolo negoziante si deve
difendere vendendo prodotti rari, tradizionali e locali che assicurano una
genuinità difficilmente reperibile altrove”.
Così grazie alla qualità, al
localismo, alle antiche tradizioni il mercato locale può battere la concorrenza
sleale dei big. Davide che batte Golia all’insegna dell’antico monito: “Pensa
globalmente, agisci localmente”.
Roberto Cazzolla
(da Il Levante)
Pale eoliche: energia pulita ma…con riserve
Scaduto il termine per le osservazion,i ora la
fase di approvazione del piano
E’ scaduto a fine novembre il
termine per presentare osservazioni in merito al P.R.I.E. (Piano Regolatore per
gli Impianti Eolici) redatto dal Comune; ora la fase successiva sarà l’analisi
delle obiezioni sollevate e l’approvazione definitiva del documento. In sostanza
si tratta di stabilire dove posizionare
le enormi pale che grazie alla forza del vento producono energia pulita e
rinnovabile. Un ottima risposta all’incremento di emissioni di gas climalteranti
che stanno modificando l’assetto atmosferico globale. A patto che le si installi
senza compromettere luoghi di rilevante bellezza o naturalità e senza creare
disagi all’avifauna. Perché sono proprio gli uccelli a risentire maggiormente
dell’impianto sul territorio di questi colossi di Eolo. Gli sfortunati volatili
che scelgono di oltrepassare la barriera creata dalle pale per proseguire lungo
la propria rotta migratoria spesso restano vittime del violento impatto. Sono
numerosi i casi di cittadine pugliesi che contano decine di carcasse sotto gli
impianti. Proprio per questo il P.R.I.E. redatto per il Comune di Gioia del
Colle, ha preso in considerazione tutta una serie di parametri, dall’impatto
idrogeologico, a quello paesaggistico ed infrastrutturale, alla protezione della
flora e della fauna. Sono state così escluse tutte le aree sottoposte a vincolo
(SIC e ZPS) e le aree di nidificazione del Falco grillaio (specie simbolo tra
quelle minacciate localmente). Tra le aree individuate si sono incluse quelle
che coprono un arco spaziale tra la via per Turi e la via per Santeramo, a
nord-ovest della città. Si è però anche inserita una zona, quella di Bosco
Romanizzi, Serra Capece e Monte Rotondo, che pur non presentando vincoli, è
stata segnalata al Ministero dell’Ambiente, da un recente studio realizzato
dalla sezione locale del WWF, come area di pregevole valore naturalistico, per
la quale si è richiesta l’istituzione di una zona protetta. Considerata la
grandissima quantità di specie di uccelli che nidificano e si alimentano in
quelle zone, coperte per circa l’80% da boschi e macchia, e l’integrità delle
biocenosi e degli ecosistemi, l’individuazione di queste aree come idonee
all’istallazione di pale eoliche di certo comprometterebbe lo stato di
conservazione dei luoghi. Inoltre, l’elevato rumore generato dal movimento
rotatorio e il passaggio dei mezzi pesanti potrebbero rovinare la quiete di uno
degli ultimi luoghi naturali del territorio. Pertanto è fondamentale escludere
quei piccoli rifugi selvatici, di incantevole bellezza, a pochi passi dalla
città e che molti cittadini ancora non hanno avuto l’onore di visitare, dalla
localizzazione di impianti eolici ed avviare, invece, l’iter per l’istituzione
di un’area protetta.
Le energie rinnovabili sono il
futuro per la sopravvivenza dell’uomo sulla terra ma, a patto che le si utilizzi
con criterio e senza distruggere gli ultimi scorci di paesaggio locale che nel
tempo, le scellerate politiche di lottizzazione, stanno rendendo un immenso
blocco di cemento.
Roberto
Cazzolla
(da Il Levante)
“Il DISMO ha prodotto Diossina!”
L’ARPA
assicura: “Nessun pericolo per la popolazione, ma così l’impianto non va”
Forse è la più inaspettata tra le
notizie, perché di tutto si poteva immaginare fuoriuscisse dal DISMO (Dissociatore
Molecolare di rifiuti) in via di sperimentazione presso l’Ansaldo Caldaie, ma la
diossina proprio no. Ci si era interrogati sul pericolo delle nanopolveri che la
combustione a temperature elevatissime (circa 1400° C) avrebbe potuto produrre;
c’erano state le analisi del dott. Montanari di cui l’Itea non ha ancora fornito
i risultati. Si era portato all’attenzione pubblica il pericolo ideologico dello
sviluppo di tecnologie per la combustione dei rifiuti, che ci avrebbero tolto il
problema inceneritori, ma ne avrebbero creati di certo altri (produzione di
rifiuti non biodegradabili, sviluppo di nuovi composti tossici, smaltimento
delle scorie, aumento dei gas serra). Ci si era addirittura posti il quesito di
che farne delle scorie vetrose che fuoriescono come residuo solido dal
macchinario dopo la “dissociazione del rifiuto”. L’idea dell’azienda di
utilizzarle come componente degli asfalti stradali, aveva fatto sorridere i più,
consapevoli dell’enorme rischio che la dispersione sottoforma di polvere, dovuta
all’erosione del manto stradale, dei contaminanti contenuti nelle scaglie
vetrose, avrebbe comportato per l’ambiente e la salute umana. Si era infine
addotta la motivazione, forse la più seria e fondata, che bruciare, dissociare o
volatilizzare i rifiuti era la strada sbagliata. Non solo si sprecano risorse
primarie, come il petrolio, i minerali, gli oli, ma li si converte in due forme
differenti, gassose e solide, raddoppiando i problemi di smaltimento ed
aumentando la quota di anidride carbonica che finisce in atmosfera e
contribuisce all’effetto serra.
Ma che dal DISMO potesse
provenire Diossina, nessuno ci avrebbe mai creduto. Proprio perché, a detta
degli ingegneri ITEA, il “DISMO non brucia, dissocia!” poiché utilizza ossigeno
liquido ed ossida completamente le sostanze, convertendole in forme semplici
gassose. Gas che poi vengono abbattuti (in parte, è elevata la quota di CO2,
ad esempio) e vetrificati.
Le diossine,
potenti cancerogeni e mutageni chimici che agiscono a
livello cellulare e germinale, sono composti eterociclici aromatici a 4
atomi di carbonio, che vengono prodotte quando il materiale organico è
bruciato in presenza di cloro, sia esso cloruro inorganico, come il comune
sale da cucina, sia presente in composti organici clorurati. E’ proprio qui sta
il problema. Se nel DISMO non avviene combustione, come può essersi creata
diossina?
Cos’è
successo, dunque, durante l’ultimo campionamento effettuato pochi giorni fa
dall’Arpa, presso l’impianto?
<<Può
essere che all’interno degli oli utilizzati per effettuare la prova sperimentale
di dissociazione ci fossero residui di cloro e che la temperatura non fosse ben
controllata>> ci conferma un tecnico dell’ARPA. <<Capita, ad esempio che
utilizzando un fango di conceria, ci possano essere o meno residui contenenti
cloro ed allora si formano le diossine. C’è da dire che, trattandosi di un
macchinario piccolo, non c’è pericolo per la popolazione e proprio nei prossimi
giorni effettueremo un nuovo campionamento per verificare il dato. Naturalmente,
se quest’impianto continuerà ad emettere diossina l’azienda non verrà mai
autorizzata al commercio>>.
Il
problema sanitario, dunque, è da escludere. Ciò che preoccupa è, invece, il
modello di sviluppo delle nuove tecnologie cosiddette “eco-compatibili”, che
proprio ambientaliste non sono e che, inspiegabilmente, trovano a Gioia terreno
fertile su cui prosperare. Invece di andare verso lo studio di sistemi che
permettano il recupero delle materie prime, il blocco della produzione di
sostanze tossiche e l’incentivo alla riduzione di gas serra prodotti dal
comparto industriale, si sperimentano macchinari costosissimi che convertono
prodotti ricavati con grande dispendio energetico, in rifiuti irrecuperabili (la
frazione di energia recuperata è 1/10 rispetto a quella utilizzata per
alimentare a 1400° C il dissociatore) che si trasformano in gas che modificano
l’atmosfera (ed a volte, come in questo caso, in diossine ed altri composti
pericolosi per la salute) e scorie da smaltire comunque in discarica come
rifiuti speciali.
L’interesse nella ricerca di macchinari che distruggono i rifiuti è sempre
destinato a fallire. Perché in natura nulla viene distrutto, tutto viene
recuperato per mezzo di retroazioni (feedback) che tendono a preservare
l’energia e non a sperperarla. La combustione, la dissociazione o la
volatilizzazione dei rifiuti si potrebbe paragonare a ciò che nell’organismo
vivente viene chiamata “evoluzione clonale”, e cioè lo sviluppo di tumori.
Infatti questo processo è molto simile al non riutilizzo delle sostanze prodotte
effettuato negli impianti di trattamento di rifiuti (vecchi e nuovi) e può
essere paragonato all’ingordigia energetica e proliferativa delle cellule
cancerose, che invece di riciclare le sostanze ne richiedono sempre più
all’organismo sino a portarlo alla morte.
Lo
sviluppo del tumore, dunque, come lo sviluppo delle tecnologie che non
riciclano. Non ci sarebbe paragone migliore.
Roberto Cazzolla
(da Il Levante)
Numerosi i
reati contestati tra abusivismo edilizio e mancanza di autorizzazioni
Maxi-sequestro,
in centro, di un complesso residenziale abusivo
Il CFS mette i sigilli ad un palazzo sito dinanzi
al Pronto Soccorso
Gli uomini del Comando Stazione
del Corpo Forestale dello Stato di Gioia del Colle, hanno posto i sigilli ieri
mattina, ad un complesso residenziale di elevata volumetria sito dinanzi al
Pronto Soccorso. L’immobile di proprietà del sig. G. Petrera, è ancora in via di
costruzione e si presentava al momento del sequestro come lo scheletro di un
grande palazzo multifamiliare.
I sigilli sono scattati con un
operazione puntuale che, ha portato gli agenti a bloccare i lavori abusivi di
costruzione, ai sensi dell’art. 321, comma 1 del C.P.P.
Il complesso stava sorgendo in
“totale difformità al permesso di costruire ed in totale assenza di VIA
(Valutazione d’Impatto Ambientale)”, misura necessaria dal momento che l’area su
cui stava sorgendo, così come il resto del centro abitato gioiese, ricade nel
SIC, Sito d’Interesse Comunitario denominato “Alta Murgia”. Inoltre, “non è
stata rilasciata alcuna autorizzazione paesaggistica ai costruttori dello
stabile”. Aspetto che sembra confermare l’ipotesi che si trattasse di un inizio
dei lavori effettuato senza alcun tipo di permesso. L’intero complesso, si
affaccia sulla strada che congiunge il centro urbano, partendo da via Ricciotto
Canuto e proseguendo sulla strada ex-Statale 100 per Taranto, proprio
all’altezza dell’ingresso principale del Pronto Soccorso. Alcuni mesi fa, dove
ora sorge l’ossatura del palazzo sequestrato, ne era stato abbattuto un altro
che affiancava la struttura dove un tempo sorgeva la discoteca “Bistrot”.
Nei lavori di costruzione, oltre
ai reati citati, sono state rilevate infrazioni anche per quanto riguarda il
“rispetto della volumetria consentita”. Tali eccedenze sembrano, purtroppo,
essere abitudine comune a Gioia del Colle, visto che pochi giorni fa, sempre il
CFS aveva sequestrato sulla via per Putignano due immobili costruiti oltre il
limite di volumetria autorizzato. Ma sono numerosi i casi in cui sarebbe
necessario un approfondito controllo da parte delle forze dell’ordine,
considerata l’elevata ed inspiegabile espansione edilizia che sta vivendo in
questi anni il paese. Sembra, che un po’ tutti vengano a costruire a Gioia,
forse per le prospettive future di sviluppo che fomentano interessi economici o
più probabilmente per le facili scappatoie e concessioni che vengono riservate
ad ingegneri e costruttori. Merito, questo, anche di permessi che nel tempo sono
stati rilasciati dall’Ufficio Tecnico comunale e che pian piano si stanno
rivelando per quello che davvero sono: completi abusi edilizi e violazioni delle
norme paesaggistiche ed urbanistiche. Senza l’approvazione di un piano di
regolamentazione dell’espansione urbana che, non solo regolamenti ma, limiti le
nuove costruzioni con politiche di incentivo per il recupero degli stabili già
presenti sul territorio e per la ristrutturazione delle vecchie abitazione del
centro storico, la città sarà destinata, in pochi anni, a vivere una
deflagrazione cementizia della vivibilità. Il senso straziante e soffocante di
chi per la prima volta entra in questo paese è sintomatico di una politica di
sviluppo sbagliata, basata sul favorire gli amici costruttori, geometri ed
ingegneri a scapito della degna sopravvivenza urbana. Gli spazi verdi si stanno
notevolmente riducendo per far posto ad abitazioni e villette, i campi agricoli
sprofondano sotto immense distese di cemento e a patire le conseguenze, come al
solito, sono gli abitanti di una città sempre più angusta e non conforme allo
svolgimento delle attività quotidiane, con una qualità dell’aria pessima poiché
private del naturale serbatoio arboreo di assorbimento dello smog e soffocate
dalle emissioni degli aerei militari, con agricoltura ed allevamento relegati a
chilometri di distanza dal centro e privi delle fondamentali connessioni con la
vita cittadina, con i ghetti di periferia sempre più isolati ed avvolti
nell’effimera bambagia della solitudine. Ma, a preoccupare sono anche i numerosi
lavori d’incremento dei livelli delle abitazioni, con la costruzione di nuovi
piani vivibili (mansarde, stanze, soppalchi) su quelli già presenti. Lavori
condotti sempre da una ristretta rosa di geometri, che lasciavano parecchie
perplessità sulla legittimità di opere e appalti.
Di sequestri, dunque, ce n’è da
fare, ma questo è comunque un buon inizio.
Roberto Cazzolla
(da Il Levante)
Bracconieri gioiesi fermati nell’Oasi Lipu di
Laterza
A caccia nell’area naturale protetta. Sequestrati
dal CFS i fucili
Affacciandosi dalla parete della
Gravina di Laterza, si dipana uno spettacolo straordinario, in cui si
intrecciano scenari mozzafiato ed una natura incontaminata. “Soltanto in
prossimità di questa spaccatura ci si può rendere conto dell'incredibile ed
unico ambiente della gravina. – confermano dalla LIPU (Lega Italiana Protezione
Uccelli), che dal 1999 gestisce quest’oasi di protezione - Lo stupore è per le
ripide pareti, in alcune zone addirittura perpendicolari al terreno, dove
soltanto la roccia nuda e piccole e specializzate essenze arboree trovano le
condizioni di vita. Scendendo si incontrano molte aree boscate, in alcuni casi
molto dense e vecchie, dove domina il Fragno, una quercia tipica dell'Europa
Sud-orientale, presente in Italia soltanto in questa zona ed ulteriore
testimonianza della particolare geologia delle gravine. Anche la fauna ha le sue
particolarità e gli uccelli sono ben rappresentati con specie di assoluto
fascino e di notevole importanza conservazionistica: maestosi
Capovaccai (gli avvoltoi degli
egizi) e più agili Grillai percorrono in lungo e in largo la gravina, mentre in
primavera riecheggia il canto melodioso del
Passero solitario e la
Monachella si esibisce nei
suoi voli nuziali. Moltissimi esemplari di piccoli Passeriformi come
Sterpazzolina,
Scricciolo e
Occhiocotto vivono e si
riproducono nel folto dei cespugli e degli arbusti. Un ambiente così particolare
e per certi versi unico fornisce rifugio anche a molte specie di rettili ed
anfibi, insetti e mammiferi di notevole interesse, proprio perché presenti
soltanto nell'area delle gravine. E’ il caso del
Geco di Kotschy, un piccolo
rettile che vive in prossimità delle zone rocciose oppure del
Colubro leopardino, un
serpente dai bellissimi colori rossoneri frequente nel fondo della gravina. Ed
ancora alcune specie di pipistrelli che frequentano gli anfratti rocciosi delle
pareti e che nelle sere di estate escono in cerca di insetti di cui nutrirsi”. E
spesso a far visita all’inghiottitoio naturale, sono anche volpi e faine.
Nessuno penserebbe di violare un
patrimonio simile, d’inestimabile bellezza. Eppure ieri (mercoledì per chi
legge), sono stati fermati e denunciati dal Corpo Forestale dello Stato di
Laterza (TA) due cacciatori gioiesi ed un terzo uomo, che vagavano armati di
fucile all’intero dell’area protetta. Ai tre, V. M. di 65 anni, M. A. di 42,
insieme ad una terza persona per la quale è ancora in corso la verifica di
reato, è stato contestato il reato di bracconaggio, in quanto svolgevano
attività illegale di caccia in un area protetta, e sono stati sequestrati i
fucili.
Da indiscrezioni, risulterebbe
probabile che uno dei tre gioiesi denunciati abbia legami con un dirigente della
stazione del CFS di Gioia del Colle, il quale, nonostante la carica ricoperta,
sembrerebbe svolgere attività venatoria, tant’è che lo stesso uomo fermato
mercoledì, avrebbe in custodia i suoi cani da caccia. Trattandosi di
indiscrezioni trapelate nelle ultime ore, quest’ultima ipotesi è da verificare.
Ciò che è certo, invece, è che i
bracconieri gioiesi “si aggiravano di frequente all’interno dell’Oasi. – come ci
conferma Vittorio Giacoia, responsabile dell’Oasi Lipu – Sembra che la Forestale
gli stesse dando la caccia da parecchio tempo”. Sempre di caccia si tratta,
dunque, ma c’è chi la esercita per rovinare gli ultimi patrimoni naturali e chi
dovrebbe esercitarla proprio per difendere la natura protetta, ed invece
probabilmente collabora alla sua distruzione.
Per fortuna questa volta non è
andata così e l’azione del CFS di Laterza ne è un esempio, ed è d’esempio per
chi pensa che un posto in poltrona, nelle alte sfere di controllo, serva solo a
trarre benefici personali, violando la legge che egli stesso dovrebbe far
rispettare.
Ogni riferimento a persone o
cose, è puramente casuale.
Roberto Cazzolla
(da Il Levante)
I treni che garantiscono il servizio, in
realtà, non sono attrezzati al trasporto
Le mille fatiche per viaggiare in treno con la
bici
Cronaca di un viaggio Gioia-Bari alle prese
con le pecche delle ferrovie
Dura la vita per i ciclisti gioiesi, per i cittadini coscienziosi e rispettosi
dell’ambiente.
Proprio all’inizio della scorsa estate è stato raggiunto un accordo tra la
Regione Puglia e le Ferrovie, per il trasporto gratuito di bici sui treni
regionali. La FIAB (Federazione Italiana Amici della Bicilcletta), ha accolto
con queste parole la lieta notizia: “A partire dal 1° agosto 2007 trasportare
in Puglia la bicicletta al seguito del viaggiatore sui treni regionali di
Trenitalia è gratuito. E' stato infatti abolito il biglietto "supplemento bici"
di 3,5 euro di cui si farà carico la Regione. L'iniziativa è stata sottoscritta
il 16 luglio 2007 con un protocollo d'intesa rivoluzionario al fine di
combattere le emissioni atmosferiche responsabili dell'effetto serra e
promuovere la mobilità sostenibile. All'accordo, valido sull'intero territorio
pugliese, hanno aderito tutte le Ferrovie regionali”. Pertanto, continua
l’associazione dei ciclofili: “Le compagnie ferroviarie pugliesi si impegnano,
in fase di acquisto di nuovi treni o di ristrutturazione di quelli vecchi, a
riservare appositi spazi liberi o attrezzati, al trasporto delle bici al
seguito. Il protocollo d'intesa prevede: la realizzazione di percorsi guidati
per i viaggiatori con bici dall'ingresso della stazione ai binari e viceversa;
appositi scivoli o canaline lungo le scale; l'uso degli ascensori, indicazione
sui monitor e sugli orari ferroviari dell'ubicazione del vano porta bici e
annuncio di tale ubicazione tramite altoparlanti al momento dell'arrivo del
treno”. E fin qui, nulla da ridire, anzi, un grande plauso alla pionieristica
mossa.
Peccato che, a parte il biglietto gratuito, ad oggi nient’altro è stato fatto.
Prendiamo il caso di un cittadino gioiese che voglia, per sensibilità nei
confronti dell’ambiente, per sua salute personale o per evitare traffico,
parcheggi e multe, salire su un treno regionale diretto a Bari. Arriva, con la
sua bici, in stazione a Gioia e guarda se il treno all’orario scelto consente di
portare la bici al seguito. In caso affermativo (sulla la maggior parte dei
regionali è consentito), si dirige verso il binario, che per andare a Bari, di
solito, è il secondo e, non potendoci arrivare attraversando i binari, si dirige
verso il sottopassaggio pedonale. A questo punto si rende conto che
l’adeguamento delle infrastrutture per il trasporto bici non c’è stato. Così sei
costretto a caricarti il biciclo in spalla e scendere e risalire dalle scale dal
sottovia. Ardua impresa, specialmente se c’è affollamento. Ma alla fine sporco
di grasso della catena, arrivi al binario ed attendi il treno. Al suo arrivo, ti
avvicini al controllore per chiedere quale sia la carrozza adibita al trasporto
bici e lui, nel 90% dei casi, ti guarda come a chiederti: “Cosa diavolo stai
dicendo? Sei impazzito? Solo un folle salirebbe in bici sul treno”. Quando
cerchi di tranquillizzarlo sul tuo stato di salute mentale e gli fai notare che
da poco Trenitalia ha siglato una convenzione con la Regione e che il treno da
te scelto consente il trasporto delle biciclette, lui ti consiglia, visto che la
carrozza per disabili (che poi viene utilizzata per trasportare anche bici) su
nove decimi dei treni adibiti non esiste, di salire sull’ultimo vagone e di
posizionare il mezzo nel corridoio. Costernato, ti avvii alla fine del treno e
ti rendi conto che devi nuovamente caricare la bici in spalla perché tra la
banchina ed il treno ci sono tre gradini gulliveriani, divisi da un passamano
metallico. Dopo esserti incastrato tre o quattro volte nel tentativo di salire,
finalmente ti siedi…nel corridoio. Quando nuovamente arriva il simpatico
controllore, ti guarda ancora con tracotante sorpresa mista ad ribrezzo e ti
dice, con affronto: “Ma lo sa che anche se il servizio è gratuito io devo
fargliela lo stesso una ricevuta per la bici?” – Bene, me la faccia allora. Il
problema è che la maggior parte di loro non sa cosa scriverci sopra, non sa come
compilarla. Così per giustificarsi ti dicono: “Sa, è che ne facciamo così poche
per le bici che…” – a quel punto, sbotti. E’ ovvio che ne facciate poche, chi
mai ci salirebbe a queste condizioni, per la seconda volta su un “bici-train”.
Col tuo pezzo di carta incompleto, finalmente arrivi a Bari e, dopo le mille
peripezie per la discesa dal treno, ti rendi conto che il “tronco Gioia del
Colle -Bari”, è al 10° binario. Così per uscire dalla stazione ti rimangono solo
due possibilità: ti carichi per una trentina di scalini la bici in spalla, tra
la gente che ti guarda con odio mentre la sfiori, oppure attraversi dieci binari
perdendo una vita, come nei videogiochi, ad ogni fischio di treno in lontananza.
Così sconfortato ti siedi sul marciapiede e pensi a tutti i poveri ciclisti,
ambientalisti, coscienziosi o solo rispettosi come te, che affrontano un simile
calvario ogni giorno.
Ci rifletti su e ti balena alla mente un pensiero ancora più atroce: ma un
disabile come fa, si carica in spalla la carrozzella?
Roberto Cazzolla
(da Il Levante)
Il pericolo di contrarre asbestosi o mesiotelioma
pleurico è elevato
Scoperta una
discarica abusiva d’amianto
Ancora eternit
nelle campagne gioiesi, è necessaria una rapida bonifica
Ancora
una volta la campagna, scorcio idilliaco della natura che fu, manifesto funebre
della pre-cementificazione, è stata violata dalla mano scellerata di chi ritiene
troppo conveniente liberarsi di ciò che è fuorilegge, semplicemente gettandolo
via, per strada.
Attraversando le numerose strade
secondarie che congiungono le vie principali dell’entroterra locale, è facile
che lo sguardo si concentri più su lavatrici e televisioni abbandonate lungo il
ciglio, che sui paesaggi carsici che la murgia ci offre. E’ il caso della strada
provinciale Gioia – Matera o della Gioia – Castellaneta, punteggiate dai più
svariati elettrodomestici, contaminate dalle più immonde facezie umane. Trovi a
voleggiar nell’etere, invece che il grillaio gioioso, il sacchetto di patatine;
ammiri infastidito il rosso di una lattina di cola, che ha oppresso con
soffocante avvinghio il ben più appropriato papavero; annusi con tracotante
stizza il nauseabondo odore di liquami putrefatti, viscido avamposto d’un prato
scomparso. Poi sorge meraviglia se il pane d’Altamura si ha paura ad
acquistarlo. Divampa la protesta sul latte poco sano. E’ ovvio, a ben ragione,
che ciò che rende fiera la terra coltivata, non può che vacillare dopo tanta
offesa. Da un lato l’erosione, concausa di un’intensa agricoltura che invece di
ruotare attinge humus senza tregua, dall’altro il paesaggio deturpato dalle più
inconcepibili azioni distruttive, che farebbero arrossire anche il più terribile
genocida. Eppure la campagna nostrana ha tanto da offrire, è intrisa di fascino
e splendore. Un intreccio appassionato di masserie abbandonate, campi coltivati
e macchia mediterranea. Trovi in un sol vialetto, le bacche del biancospino, il
trullo ormai casa di gechi e pipistrelli, il frutto del prugnolo, l’olivo che si
inerpica contratto, quasi in preda alle ire del tetano, verso il cielo, ad unire
terra ed aria e a donar alimento agli storni affamati. Ammalianti profumi,
incantevoli suoni di cince e pettirossi, pascoli al seguito di pastori. Scenari
custoditi nell’ambra, racchiusi come sono nello spazio-tempo d’un futuro che non
c’è.
Ma oltre il fatato velo che
ritempra le meningi di chi lo scosta, si cela infida l’oscura presenza di chi
immagina quei luoghi, serbatoi della propria monnezza.
Scoperta in questi giorni, nei
pressi delle tubazioni dell’acquedotto che da via Vecchia per Matera giunge alla
via per Montursi (nei pressi di Contrada Occchiuchiuso), l’ennesima discarica
abusiva di amianto. Questa, però, ha la straordinaria particolarità di essere
esclusiva per la tipologia di rifiuto: decine di lastre di eternit poste l’uno
sull’altra. Un pieno di tumori. Nient’altro.
Il tutto al centro di una strada
che, seppur, non molto battuta, troneggia le vie circostanti. Proprio la
posizione dominante in altezza della via rende la “discarica” abusiva ancor più
pericolosa, poiché da essa possono diffondersi col vento le piccole particelle
di asbesto (componente dell’eternit), che si spostano anche di chilometri grazie
al vento. Le minuscole particelle d’amianto, una volta raggiunte le vie
respiratorie di uomini e altri animali, penetrano in profondità, causando gravi
patologie tumorali come il mesotelioma pleurico e l’asbestosi. Ecco perché, da
un ventennio, l’amianto è stato messo al bando. In molti, però, invece di
mettere in bonifica i capannoni ricoperti da tettoie fatte di questo materiale,
seguendo le rigide prescrizioni di legge (che indicano le modalità di
inertizzazione del materiale, d’isolamento e di trasporto e smaltimento), han
deciso di regalare alla campagna un nuovo materiale per cui morire. Ed ecco che
a pochi passi dal paese, ed in una zona circondata da abitazioni e ville, un
grande deposito di amianto ha occupato l’intero margine stradale. Ignoti gli
autori dell’abbandono, che per una simile azione andrebbero incontro a sanzioni
pesantissime, trattandosi di un reato che mette a rischio seriamente l’ambiente
e la salute umana. Proprio in questi giorni si stanno contando i danni dovuti
all’esposizione da amianto dell’azienda Fibronit di Bari. Le cifre di morti ed
ammalati continuano a salire. Ma, ancora, nella gente continua a serpeggiare
l’infimo pensiero che “per stare meglio io, qualcun altro deve strare peggio”. E
quindi, visto che smaltire l’amianto a norma, anche se obbligatorio per legge,
costa, “quando nessuno può vedermi lo butto in campagna e chi se ne frega”.
Peccato caro uomo, giunge pronta la risposta di una saggia creatura di campagna,
che a farne le spese prima o poi sarai anche tu, o i tuoi figli, o i figli dei
tuoi figli, che magari un giorno proprio dove buttavi amianto, ci costruiranno
una casa ed allora…chi sarà stato più furbo?
Forse è ancora troppo difficile
per menti avvinghiate alla tv, che pendono da labbra di soubrette e calciatori,
capire che tutto ciò che facciamo alla nostra (non come possessori, ma come
abitanti) Terra, alla nostra campagna, al nostro ambiente prima o poi si rivolta
contro di noi. Ora, qualcuno (di certo sarà compito della Spes) ponga rimedio al
danno degli stolti…se non per proprio interesse, almeno per quello dei suoi
figli.
Roberto Cazzolla
(da Il Levante)
Sono sporchi, grossolani, son Spes e volentieri
bugie da ciarlatani
Le promesse sono tante, milioni di milioni, la luce dei
lampioni le accende una ditta multipla.
Seduto o non seduto vedo pannelli da giganti. Mi chiedo
se son veri, ma certo sono tanti.
Però le promesse io me le ricordo, ma tanto so che valgon
dieci lire e non c’è niente da capire.
Guardando la statale mi
sentoo di star male, se penso che un tempo lì gli alberi non ci hanno fatto
piantare. Così giro lo sguardo e vedo tre bidoni, due sono verdi vomito, l’altro
è per luridoni.
Svolazza una cartaccia, la
prendo e la spiegazzo, c’è scritto siamo bravi, premiati all’occasione.
Sarà un po’ per lo smog, di
aerei militari, ma io non ci capisco chi premia l’illusione.
Vinciamo perché il verde
noi si che c’è l’abbiamo, siam come in Amazzonia per dieci tagli uno ne
piantiamo.
Però quel foglio io me lo
ricordo, c’è scritto: “la differenziata va da morire”…e non c’è niente da
capire.
Stupito o intorpidito
guardo il bidone da questa parte, ha un tanfo da star male e un colore
raccapricciante. Penso, sarà la volta buona, stavolta li laveranno, se no le
persone neanche un dito ci metteranno.
Ma allora come fanno ad
essere così tanti.
Chissà perché quel premio
l’abbiam vinto, sarà per quei pannelli da giganti.
Se quei rifiuti non son
selezionati.
Ma certo che così
scoraggiano i ben intenzionati.
Tornado alla città,
s’appresta un’illusione: veder la gente ferma davanti a quel balcone.
Gridargli senza sosta “siam
stufi degli imbrogli”.
Vedere che lui scende e
molla il portafogli.
Sti soldi sono vostri noi
non li meritiamo, facciam carte da mercante e poi ce li spartiamo.
Se questa confessione fosse
fatta alla città, non certo cambierebbe ogni cosa che non va.
Ma a ciarlare sono tanti, milioni di milioni, non perdon
l’occasione di cercare una polemica subdola.
Bloccano le ferrovie, occupano i binari, non perché ha un
senso, ma glie l’han detto i miliardari.
Sarà che forse voglion fare l’interramento, e di chi
abita al di là della stazione, han solo sfruttato l’occasione.
Sarà che esser contro fa
parte della gente, ma contro il compostaggio sei proprio un deficiente.
Mi dici caro uomo
dell’organico che fare, se non lo rendo compost, per caso lo vuoi mangiare?
E allo forse è vero che chi
altro non sa fare, parla solo di qualcosa tanto per scrivere un giornale.
Tornado alla questione, son
tante le promesse, ne aggiungono di nuove e le persone fanno fesse.
Però la sentenza io me la
ricordo, ma le sentenze valgon dieci lire e non c’è niente da capire.
Propongon nuovamente:
svuotiamogli i rifiuti, nel buco che han gian fatto, son proprio dei burloni.
Sarà pure archeologico, un
sito di natura…io penso solo questo: adesso qui c’è solo la dittatura.
Un anno di battaglie, alla
gente certo non piace, ma tanto la discarica si sa già a chi non dispiace.
Ci dica il signorotto
perché dobbiam colmare, un canyon che ormai non sa più d’artificiale.
Ma io la storia sì che la
ricordo, c’è chi alla cava ha investito un capitale. Ed allora si che puoi
colmare.
Le balle sono tante,
milioni di milioni, le dicono politici, dottori e società per azioni.
Ma adesso siamo stanchi,
smettiamo di guardare, cerchiamo un po’ di agire, far muovere e cambiare.
Roberto Cazzolla
Dalla Spes 10 modi per scoraggiare la raccolta differenziata
Come la Spes induce il cittadino a non differenziare i rifiuti
Piccolo promemoria per cittadini onesti.
Ecco alcuni consigli per evitare in tutti i modi di fare in
casa la raccolta differenziata. Per scoraggiare anche il più verde dei
residenti, per annichilire anche le più floride tendenze ambientaliste,
salutiste, naturaliste o soltanto...rispettose, ecco alcuni escamotage che un
gestore privato (eh, se l’avessimo tenuto pubblico questo osannato servizio…)
insinua subdolamente nell’amministrazione del servizio rifiuti.
Hai passato l’intera settimana a cercare di capire di cosa
fosse fatto l’involucro delle merendine, perché è un po’ di plastica, un po’ di
cartoncino e d’un pizzico d’alluminio. Ed allora con sacrosanta pazienza ti
accingi a dividere i tre strati di immonda stupidità per conferirli negli
appositi secchi che i 3/4 della tua famiglia vorrebbe scagliare giù dal balcone.
Ma tu impavido prosegui nell’arduo discernimento. Chiudi i sacchetti, che spesso
sgocciolano per tutto il percorso condominiale, ma ti consoli consapevole del
nobile compito che ti accingi a svolgere. Sei fuori dal portone con tre sacchi
colmi di rifiuti differenziati. L’alluminio è nel generico perché senza alcuna
ragione la Spes non raccoglie il materiale più duttile e con la storia di
riciclo più antica .
Mentre percorri i due o trecento metri che, se ti va bene, ti
separano dai bidoni della differenziata ti sovvengono con fulminea illuminazione
dieci motivi per indurti ad abbandonare l’impresa:
1) I bidoni sono distribuiti senza alcuna regolarità. Per
molti cittadini sono di fronte al portone di casa, per altri a non meno di
500 metri.
2) Quando arrivi ai bidoni hai già le buste chiuse, pronte
per esservi inserite. Fai per aprire il cassonetto ma la maniglia è nera e
viscida,
3) ti accorgi che il pedale non c’è e quindi devi in qualche
modo sollevare il coperchio.
4) Trovi un pezzo di giornale, lo poggi sulla maniglia e fai
forza, ma ti rendi conto che il coperchio è stato chiuso, apparentemente
senza motivo.
5) Così devi aprire la busta ed infilare uno ad uno i
giornali o le bottiglie. Qualunque materiale in carta o plastica di maggiori
dimensioni lo devi gettare nel generico. Se tutta questa pazienza non c’è,
apri con il pedale (chissà com’è mai i bidoni generici sono sempre puliti,
svuotati regolarmente e con il pedale) il cassonetto verde generico e getti
tutta la fatica di una settimana nella bocca degli ingordi, consapevole che
il tutto finirà in una discarica e si riverserà sul futuro di tuo figlio.
6) Quando invece, decidi di rischiare la vita ed infilare i
rifiuti, ti rendi conto che le fessure sulla parte superiore del coperchio
sono munite di un apparato ciliare simile ad un batterio. Setole, rigide
come aghi e luride come fogne che ostruiscono il foro e ti costringono a
forzare la bottiglia per farla entrare.
7) Se, a questo punto l’antitetanica ha avuto motivo di
essere stata inoculata in te, e risulti vivo per miracolo non ti resta che
gettare il sacchetto. Ma dove? Tra le setole si incastra e nel generico non
bisogna buttarlo…
8) Torni qualche giorno dopo, con nuovi sacchi, e
speranzoso, accorgendoti che i bidoni sono stracolmi e non hai possibilità
di inserire i rifiuti.
9) Li poggi per terra e speri che il buon operatore
ecologico li raccolga nel giusto mezzo. Nel frattempo un liquido verdognolo
di natura ignota ti cola sulle scarpe, a fatica trattieni la rabbia.
10) Quando ti capita di trovare un bidone con coperchio non
sigillato, lo apri e sei felice di poter versare l’intero contenuto della
busta nel bidone senza dover ripercorrere la squallida trafila di operazioni
precedenti. Ma presto scopri dov’è l’inganno. Vuoti il sacco e lasci il
coperchio. Questo si rivolta contro di te infastidito per la troppa raccolta
differenziata e sbatte violentemente contro il cassone schizzandoti addosso
le gocce di liquame raccolte nelle insenature. Vi ricordate che i coperchi
scendessero dolcemente, ma dov’era? Ecco, quelli del generico scendono alla
velocità di un cm all’ora, che quando ritorni il giorno dopo il coperchio
sta ancora scendendo. Un altro punto a vantaggio dell’indifferenziato.
A questo punto hai perso ogni speranza. Torni a casa, la
frustrazione è evidente e ti prometti che non ripeterai mai più quel
percorso macabro. Via, tutti i rifiuti insieme e chi se ne frega. Tanto
l’acqua fa già schifo, la Murgia è già una merda di liquami, le falde si
intossicano ogni secondo ed i bambini hanno il cancro a 10 anni.
Ma un dubbio non ci lascia dormire per tutta la notte:
non sarà che siccome la raccolta differenziata è obbligatoria per la legge
157/99 la Spes abbia finto di adeguarsi per non incorrere in sanzioni, ma in
tutti i modi cerca di scoraggiare la gente a farla per non dover aumentare i
costi di raccolta ed il personale? Quando incontri l’operatore ecologico che
prende le buste con le bottiglie in plastica poste di fianco al bidone
stracolmo della plastica e le getta con indifferenza nel generico ed alla
tua obiezione risponde: “Mi hanno detto di fare così ed io faccio così”, non
hai più dubbi. La tassa sui rifiuti aumenta per una raccolta differenziata
che deve restare entro una minima percentuale (così credendo di non
infrangere la legge) e la maggior parte dei rifiuti possono finire in mano a
lobby di ecomafie. E pensare che la Spes ci ha inviato una lettera con
scritto: “la Natura ringrazia la Raccolta Differenziata”. Forse tutti noi
dovremmo rispondere alla Spes: “l’inquinamento da rifiuti ringrazia la Spes”.
Roberto Cazzolla
Tutti al mare ma con rispetto
Qualche consiglio per i gioiesi in vacanza
La stagione estiva è ormai nel clou e
molti gioiesi partono per le vacanze al mare con la voglia di divertirsi e di
rilassarsi. E fin qui va tutto bene.
I problemi sorgono nel momento
in cui l’approccio con l’ecosistema marino si tramuta in una bagarre
indescrivibile, simile allo sbarco dei Mille.
Siamo animali terrestri e le
nostre capatine al mare devono sempre tenere in considerazione che stiamo
entrando in un ambiente diverso dal nostro abituale, con delle peculiarità e
delle rarità.
Ci lamentiamo spesso delle
meduse e ne facciamo strage solo perché la loro presenza ci infastidisce.
Nessuno è mai morto, o rimasto ferito gravemente a causa delle meduse
mediterranee. Queste, pur possedendo organi urticanti (gli cnidoblasti) che
scagliano piccole freccette appuntite (le nematocisti) non sono pericolose per
l’uomo. Se urtate per errore, causano irritazioni locali, che se si evita di
trattare con i composti più strani (alcool, ammoniaca, dentifricio, etc.) e le
si sciacqua in acqua fredda, meglio se di mare, spariscono in due o tre giorni.
Le meduse nostrane, la Pelagia noctiluca con il bordo dell’ombrella
azzurro, la Cotylorhiza tuberculata e la Rhizostoma pulmo (il
famoso polmone di mare) sono animali fantastici, risalenti a 600 milioni di anni
fa, che svolgono un ruolo di controllo sulle catene alimentari marine, che
potrebbero, private della loro presenza, danneggiare notevolmente anche il
comparto della pesca. Proprio a questo proposito, la pesca sta vivendo un
momento difficile a causa del massiccio prelievo di risorse dal mare, sarebbe
quindi opportuno che tutti i gioiesi in vacanza limitassero il consumo di pesce
o scegliessero di mangiare solo specie non in sovrasfruttamento.
Ecco quindi una piccola lista
degli abitanti del mare da preferire a tavola per tutelare la sopravvivenza di
un intero patrimonio:
·
SI Sgombro – NO Tonno
·
SI Aringa – NO Salmone
·
SI Carpa – NO Merluzzo, Scorfano, Halibut
·
MEGLIO EVITARE Orata, Cozze e Calamari
·
NO Nasello, Passera di Mare, Rombo, Spinarolo, Shrimp, Gamberi e
Gamberetti
Naturalmente, i datteri di
mare sono specie protetta e non possono essere venduti, acquistati, mangiati.
Anche i ricci, pur non essendo protetti, meriterebbero un po’ di tregua.
Per quanto riguarda poi la
tutela delle coste, un buon sistema per far capire ai gestori e agli albergatori
che il mare non lo vogliamo pieno di cemento, è quello di scegliere spiagge
libere dove sostare e segnalare al numero verde del WWF 800-085898 tutti gli
abusi edilizi.
Fate valere i diritti di
accesso al mare. Il mare è un bene comune e nessuno può privatizzarlo.
Raccogliere poi tutti i
rifiuti prodotti, ed anche qualcuno prodotto da altri e trovato in spiaggia,
oltre che sinonimo di coscienza sociale, potrebbe risparmiare la vita a
centinaia di animali che confondono buste in plastica, bicchieri, stecche di
gelato, per prede e muoiono soffocati.
Rispettiamo la vegetazione
delle coste. I meravigliosi gigli di mare che punteggiano le spiagge sabbiose
del tarantino, così come la salicornia o il fico degli ottentotti, sono specie
autoctone e ormai rare. Se estirpate vivono poco e lasciano un vuoto difficile
da colmare. Così come le praterie di Posidonia, rovinata da pescatori
della domenica che con reti a strascico portano via tutto il fondale, le specie
che vi abitano e questa fondamentale pianta marina.
Per ultimo, un piccolo
consiglio che pur sembrando banale, migliorerebbe di certo lo stato di
inquinamento del mare. Non lavatevi con saponi e bagnoschiuma presso le docce
sulla spiaggia, tutta la schiuma finisce direttamente lungo la costa. E poi le
creme solari è meglio metterle dopo aver fatto il bagno e prima di immergersi
nuovamente, sarebbe opportuno strofinare il corpo con dei teli. A chi piace la
patina che galleggia nelle sovraffollate mattine d’estate?
Con un pizzico d’attenzione
potremmo certamente divertirci, alimentarci, rilassarci grazie al mare e
permettere alle generazioni future di goderne altrettanto.
Roberto Cazzolla
(da Gioia News)
La bellezza che non vogliamo
vedere
Affannati dal fare
quotidiano, in faccende affaccendati, tralasciamo con pericolosa disattenzione
le affascinanti bellezze che ci circondano.
Fanno notizia la guerra ai piccioni, la derattizzazione, la lotta alle
cavallette, ma se provassimo ad eliminare dai nostri occhi quel velo fatiscente
che la società della televisione ci impone, riusciremmo ad ammirare un
incantevole spettacolo.
Ecco dunque, qualche piccolo suggerimento per eliminare il burqa occidentale dai
nostri occhi e trarre sollievo dalla visione di un mondo nascosto che può farci
evadere dalle compulsioni e dalle frenesie che attanagliano le “società evolute”
o quelle che noi definiamo “civili”.
Tanto per cominciare, basta passeggiare in via Roma in
orari non molto frequentati per ammirare le danze d’amore dei piccioni. Proprio
qualche giorno fa mi sono imbattuto in uno spettacolo ammaliante. Lei, la
femmina di piccione, era al centro della strada pedonale, con un’ala distesa,
come se fosse fratturata o ferita. Attesi qualche minuto per vedere cosa sarebbe
accaduto, insospettito dal comportamento dell’uccello. Dopo poco arrivò un
maschio con un dono per la sua “donna” provata dal dolore. Un bel bastoncino per
comporre il nido d’amore. Lei, felice del regalo, ritirò l’ala e completamente
rinvigorita iniziò a farsi seguire dall’amante premuroso. Un’immagine di estrema
dolcezza e passione. Si tratta di un comportamento comune in molti uccelli, non
nei colombi però, denominato tanatosi, in cui si finge un malessere o la morte
per attirare predatori in modo da allontanarli dal nido o sfuggire dai pericoli
oppure attirare partner premurosi.
Ma la magia che si configurava ai miei occhi era
semplicemente una delle tante manifestazioni della Natura, di cui ognuno può
godere se cambia il suo punto d’osservazione.
In P.zza Pinto, poi, ogni sera, all’imbrunire si assiste
alle acrobazie dei pipistrelli nani che formano una consistente colonia a Gioia.
A molti la sola idea di un pipistrello avrà già fatto ribrezzo, ma oltre a
ribadire la falsità della credenza secondo cui questi mammiferi (non sono
uccelli, allattano i propri piccoli) si attaccano ai capelli dei passanti,
vorrei far notare il ruolo eccezionale che svolgono questi animali. Li si vede
volteggiare davanti alle luci dei lampioni, e a buone ragioni; infatti essi si
cibano di insetti volanti soprattutto di zanzare, rendendo un utile servigio
alle nostre carni. Riescono a divorarne anche 1000 a testa ogni notte. Mica
male, altro che spray antizanzare.
Stesso servigio è quello compiuto dai fenomeni di
arrampicamento, che è facile osservare sui muri dei palazzi del centro storico:
i gechi. Lucertole con delle dita appiccicose, formate da micropeli, che li
rendono abilissimi a camminare a testa in giù e a predare zanzare e altri
insetti parassiti.
Altra elegantissima manifestazione naturale si osserva
nel nuovo giardino nei pressi del Liceo Scientifico, dove di giorno le ali
bianco-azzurre della ghiandaie si aprono per consegnare alla terra una piccola
ghianda di quercia, o un seme, che se dimenticato, un giorno ci consegnerà un
nuovo albero e un po’ d’ossigeno. Più efficace di qualunque (ne facesse almeno
uno…) intervento di rimboschimento dell’Ufficio Agricoltura di Gioia del Colle.
Di notte, invece, è lo stridulo canto della civetta ad
allietare le tenebre. La si osserva ferma sui posatoi forniti dai fili o dai
lampioni e di colpo lanciarsi a terra dopo aver avvistato con i suoi
potentissimi occhi un preda.
Per non parlare poi, del lento scorrere dei corpi mucosi
nelle notti umide di chiocciole, lumache e lombrichi. Mentre il mondo dorme,
loro lavorano per noi, restituendo alla terra ed alla nostra tavola nutrienti
essenziali e decomponendo i nostri rifiuti organici. In alcuni dei pochi orti
rimasti in città si osservano le scie di questi esseri intenti in un lento e
preciso lavoro.
Come non parlare, infine, del più rappresentativo rapace
dei nostri cieli. Con colonie stabili presso il Castello Svevo e l’antenna
Telecom, il falco grillaio si invola nei cieli gioiesi riducendo, con grande
utilità, la popolazione estiva di cavallette e altri ortotteri. Lo si ammira
nella posizione dello “spirito santo” fermo nell’aria dopo aver imboccato la
corrente d’aria giusta , ad osservare il terreno in cerca di prede in movimento.
Ma se proprio l’osservazione esterna vi riuscisse
difficile, provate ad osservare nei luoghi umidi il corteggiamento con consegna
di doni e lotte, tra gli opilioni, sottili ragni dalle zampe gracili i cui
maschi proteggono le uova che le femmine depongono nelle loro tele in base alla
miglior fattura.
E le piante, verdi creature dalla vita nascosta…ma
questo è un’altra affascinante mondo di cui parleremo la prossima volta.
Per adesso godete la bellezza che è sotto i nostri
occhi, perché soltanto cercandola, soltanto la consapevolezza dello spettacolo
della Natura, può allontanarci dallo stato di “civile” frustrazione in cui ci
svegliamo ogni mattina vivendo in città.
Roberto Cazzolla
(da Gioia News)
La cultura della salsiccia
Analisi del pensiero
dominate a Gioia e dintorni
Pensare
di sabato sera al muro in costruzione a Gaza, pare a dir poco ridicolo, dinanzi
al ben più pressante impegno di gustare in una delle tante “arrostisci-pensieri”
una sugosa di lardo e di budello, salsiccia. Sia chiaro, nessuno vuole che
sconfini la tristezza, dal momento in cui ogni evento quotidiano del singolo si
contorce tra noia e frustrazione. Figurarsi del meditare dei problemi altrui.
Peccato che l’oltranza nel negare l’esistenza del resto del mondo sta portando
nel tempo a capovolgere il concetto di mio, sud e problema suo. Problema tuo,
risponderei, che prima o poi incocci come quando per errore mordi la forchetta e
non la salsiccia. Stride come un dente preparato all’assaggio di quel muscolo
insaccato altrui, che stupito s’accorge che lo scontato è diventato gracchiante
dolore per i suoi nervi dentali.
Ora che il
polo si sciolga ed io non abito sul polo, se ho la salsiccia, tutto è
irrilevante. Nell’era della globalizzazione si pensa più a casa propria che al
resto della Terra. Come se, poi, la Terra non sia proprio casa nostra.
Così la
cultura dominante, che investe il gioiese medio, non è altro che uno stizzito
“penso per me”, uno sguaiato sguardo diritto che osserva una strada sfocata e
dimentica i fiori che la costeggiano.
Evviva
dunque la cultura della salsiccia, primo pensiero dominante nell’agenda
soprattutto dei ragazzi sempre più distratti e disattenti, avvinghiati
all’onirica ed irritante perfezione televisiva; ammantati e assuefatti dal
catodico imbroglio di una mamma di riserva.
Ma si sa.
Televisione specchio della società.
E allora ti
capita d’osservare qualcuno intento a promuovere campagne a favore di
chicchessia, prossimo mio, tuo, suo, indegno persino di uno sguardo di sana
curiosità da parte del gruppetto della domenica che dalla Chiesa Madre passeggia
tra la Piazza e Via Roma. Spesso mi chiedo cosa dicano in chiesa che possa
prosciugare in tal modo la mente dei giovani. Probabilmente, non è neanche tutta
colpa della TV o della Chiesa, è che ormai incalza la filosofia del diritto
privato. Il bene comune, la risorsa di tutti diventa merce da spartire tra i
singoli ed, allora, appare ovvio che di sabato sera si pensi alla disco, alla
scarpa, alla salsiccia.
Non va,
però, frainteso che il bigottismo pro terzi ha lo stesso effetto
dell’indiscriminata indifferenza. E’ solo che stupisce come l’antropocentrismo
stucchevole e dannoso per il globo, si sia trasformato in questi anni, e i
gioiesi ne sono espressione dominante, nell’alquanto più deplorevole
egocentrismo. Naturalmente, non tutti ci son cascati. Ma si sentano offesi
quelli che tiran dritto quando vedono qualcosa che non va. Quelli che “tanto lo
farà qualcun altro”. Quelli che…insomma quelli della cultura della salsiccia.
Un tale
assopimento cerebrale lo si riscontra anche nella classe dirigente del paese.
Anche l’Amministrazione pubblica è specchio della società che la elegge. E così
ti accorgi che un Sindaco che di rado partecipa ad eventi pubblici della sua
città, è andato a festeggiare un matrimonio tra rumeni in Romania. Perché, i più
non lo sapranno, Gioia del Colle è gemellata con una città rumena. Forse anche
con una araba ed una turca, ma i nostri amministratori ci tengono bene a non
diffondere molto la notizia, altrimenti come si fa a far partecipare tutti ai
matrimoni?!
Peccato che
nel frattempo, il paese assomiglia ad una groviera, con strade che sembrano
grattugie, il verde che continua a sparire e le perdite d’acqua che non si
contano più. Ma anche negli Alti Palazzi viene prima la salsiccia.
Quindi, che
gli alberi dell’Amazzonia se li sia presi tutti l’Ikea per aprire il megastore a
Bari, che l’effetto serra stia opprimendo due miliardi e mezzo di persone, che
l’acqua potabile scarseggi al punto da lasciare a secco mezzo mondo, è cosa di
più banale rilevanza rispetto ai problemi di molti.
Ad esempio,
in quanti almeno una volta al giorno non si chiedono se il cellulare appena
acquistato sia già passato di moda? E in quanti non si pongono l’atroce dilemma
se fa più trend l’ultima di Prada o quella argentata di Paciotti? E se stasera
invece che andare a mangiare carne di cavallo andassimo a mangiare quella di
vitello, così tanto per cambiare? E così via…
Adesso,
però, questo atteggiamento ha stufato. Si parta dai bambini, gli si insegnino i
veri valori. Il rispetto della Terra su cui vivono e di tutti gli altri esseri
viventi. Gli si insegni che aiutare gli altri è fonte di ben più grande
soddisfazione che sfoggiare la scarpa all’ultimo grido. E che quando hai la
schiena in pezzi per aver destinato le forze rimaste dopo il lavoro, a qualcuno
che non sia tu e magari neanche conosci, è ancora più gratificante riposarsi
mangiando una pizza in compagnia.
Nella
speranza che i bambini possano insegnare tutto questo agli adulti e spodestare
per sempre la cultura della salsiccia.
Roberto Cazzolla
(da Gioia News)
Quel grande vuoto nella testa
Perché i giovani gioiesi appaiono distratti nei confronti del mondo circostante?
A scuola
contro voglia di lunedì e poi giù tutta la settimana. Pomeriggio, nel tempo
libero la palestra, la piscina o la danza. La sera il cinema o la “sfilata” a
via Roma. Per il resto, nulla più. La massima ambizione? Sfondare nel mondo con
successo e tanti soldi. Belle macchine, grande casa, graziosa famiglia. Il
traguardo imminente? L’ultimo cellulare alla moda, l’ultima scarpina griffata.
Una variante? Lo shopping nel centro commerciale.
Eccolo il ritratto della stragrande maggioranza dei gioiesi. Nessuno si senta
offeso, perché in molti, confessandolo a sé stessi, si rivedono in questa
descrizione. Nulla di male, per carità. E’ solo che il vuoto preoccupante che si
fa largo nella mente dei ragazzi gioiesi, desta serie preoccupazioni. E sì
perché se la fiducia è nelle giovani menti, dobbiamo seriamente rabbrividire. Su
20 lettori gioiesi di quotidiani solo 1 è un giovane sotto i 25 anni. La
politica non interessa ai più. Tantomeno ciò che accade nel mondo. “Non riesco
ancora a comprare l’ultimo pantalone Cavalli, vedi tu se devo pensare alla
povertà nel mondo!”, questo ti rispondono se gli parli di ciò che accade
intorno. Ormai, questa nuova deludente generazione, la si divide in due
categorie: gli indifferenti a tutto e i contestatori di tutto. Mai un pensiero
originale, lo sviluppo di uno spirito critico. Sono svaniti nel nulla gli
ideali, spappolati dai figli del post ’68, che a loro volta han formato
generazioni di figli privi di qualunque impegno morale, interessati solo ad
apparire, nella nebbia profonda della loro mente.
Il
vuoto cerebrale lo verifichi tu stesso quando vedi orde di ragazzi, magari
appena usciti da una chiesa (a messa non per la fede ma, tanto per non pensare
molto) attraversano, in una soleggiata domenica mattina, la piazza Plebiscito o
via Roma, e come muli sellati, con i paraocchi, non voltano lo sguardo per
osservare e porre alla propria mente la domanda “Che stanno facendo quelli?”,
“Forse mi interessa?”, a qualunque associazione sia da ore con un banchetto a
tentare di rimuovere la polvere dagli scaffali delle giovani menti. Nulla,
neanche uno sguardo di sfuggita, si tengono a debita distanza come se non
volessero riempire la testa di troppi pensieri. Tirano dritto, quasi scansando
il fastoso gazebo, ignari del mondo e della vita.
Li
vedi perennemente soffocati da una musica assordante, vagare per le strade con
le cuffie, che ti viene di pensare: sarà un modo per evitare di riflettere
troppo. Questi ragazzi non sanno più ascoltare, non leggono ciò che accade nel
mondo, si rintanano nel loro piccolo ed effimero mondo di bazzecole. Sono, senza
timore nel dirlo, il pericolo più grande per l’umanità. Per retorica, aforisma
quanto mai azzeccato, è l’indifferenza la peggior cosa. Come si può a 18 anni
essere già cementati in una forma incoerente priva d’identità e di libero
pensiero, carente del più basso spirito critico, orfana dell’osservazione, della
lettura, della scrittura. Non si offenda una generazione, tanto certamente
neanche lo leggerà questo tentativo di fare da sveglia a cervelli appisolati. Si
offendano, invece, i pochi che si sentono esclusi da questa categoria, perché ne
pagano le conseguenze. Se si pensa che molti dei giovani cervelli in disuso
saranno chiamati a votare ancora molte volte ci si spiega perché la nostra
classe dirigente fa acqua da tutte le parti. E non importa se si voti a destra o
a sinistra, il problema sta nel fatto che spesso si vota la faccia simpatica,
colui che ha promesso un impiego statale (dove lavori poco e, spesso, fai meno)
o chi rappresenta l’immane cratere creatosi
nel
futile pensiero di ognuno di loro.
Ma
questa non è una speculazione. La puoi facilmente toccare con mano sondando su
fatti di notevole importanza. Chiedi per esempio che cos’è l’effetto serra.
Chiedilo a un politico e poi ad un ragazzo. La risposta è la stessa ignobile
sciocchezza. Chiedi chi è il capo di Stato iraniano che sta minacciando il mondo
col nuclerare, o quello russo che stermina in silenzio e 1 su 30 forse lo sa.
Chiedi perché se mangi più carne puoi nutrire un numero inferiore di persone (e
quindi aumenta la fame nel mondo, la deforestazione, oltre alle emissioni di
CO2) che se mangiassi in prevalenza cibi di origine vegetale, ed a metà discorso
li vedi che già giocano con la mente alla Play Station.
Ed
allora un brivido freddo ti corre dietro la schiena. Se il passato appartiene ai
figli dei figli del ’68, che lasciano un buco storico per quello che riguarda
valori etici e morali, ideali ed azione, ed il futuro ai nipoti dei nonni del
’68, il cui motivo di vita è che l’Inter vinca lo scudetto con due giornate
d’anticipo, e di affermarlo anche a costo di fracassare con una spranga di ferro
il cranio ad un tifoso “avversario”, chi salverà il mondo dal crescente effetto
serra? Chi darà una speranza ai quei 2 miliardi di persone che non hanno accesso
all’acqua? Chi sarà così coraggioso da immolarsi per protestare contro la fame
nel mondo? Chi potrà fermare l’onda minacciosa di imballaggi che ci avvolge?
Tutelare il pensionato o sensibilizzare il lavoratore esposto alla diossina?
Forse la scuola non è capace di risanare questa profonda ferita, colma del
batterio Indifferenza, aperta nella mente dei ragazzi (non solo gioiesi), forse
la TV non è mai stata l’educatrice ideale, ed allora chi potrà salvarli e al
contempo salvare il mondo dalla distruzione che si paventa a breve termine?
Ci
riuscirà la continua, costante presenza della cooperazione tra le forze in
campo. Ci riusciranno i cittadini, le associazioni, i partiti che vorranno
colmare di nobili ideali il vuoto esistenziale dei giovani d’oggi. Ci
riusciranno coloro che riempiranno di significato il tunnel buio e senza voci,
nel quale in molti sono finiti. E se proprio nulla cambierà, prima del giorno in
cui la vita sulla terra cesserà d’esistere, potremo almeno dire: “Io ci ho
provato!”
Roberto Cazzolla
(da Il Levante del 22/12/07)
Piccoli incidenti
eco-urbanistici
Circa
10000 anni fa, al termine dell’ultima glaciazione che mise a dura prova l’Homo
di Neanderthal, la nostra specie Homo sapiens sapiens, tirò fuori
dalla sua “cassetta degli attrezzi” l’invenzione dell’agricoltura.
Il
salto evolutivo causato da una simile trovata è sotto gli occhi di tutti, ma ci
sfugge, spesso, il problema ontologico derivato da questo nuovo stile di vita.
Mi spiego.
Se sino ad
allora l’uomo di Neanderthal e il suo “cugino” prossimo, predecessore della
nostra specie, erano vissuti come cacciatori-raccoglitori, nutrendosi di quello
che la natura aveva da offrirgli, spostandosi di terra in terra alla ricerca di
nuove fonti alimentari, raminghi in territori incontaminati; dall’avvento
dell’agricoltura in poi la nostra specie iniziò a stabilire un predominio sulla
natura che si manifesta ancor oggi. Il nostro antenato immaginò, suo malgrado
(ed anche nostro) di poter soggiogare la natura ai propri interessi e decise,
come un dio, di potersi “fabbricare” da se il proprio cibo, di scegliere cosa
mangiare e quando, senza aspettare che il mondo gli fornisse le vivande. Un
simile atteggiamento, lo portò ad essere sempre più stanziale e ad istituire
quella che oggi chiameremmo la “proprietà privata”. Ci sono molte ipotesi che
suggeriscono che la causa dell’estinzione dell’uomo di Neanderthal sia stata
l’incontro con l’uomo Sapiens. Questi, nel timore di non poter più governare in
maniera esclusiva il territorio nel quale instaurava l’agricoltura, eliminava i
concorrenti nomadi che incontrava nelle varie parti del mondo.
Da qui
nasce l’idea di dominio che ci portiamo sul groppone come retaggio del passato e
che, purtroppo, ci ostiniamo ad ignorare. Quest’aspetto, però, ci fa considerare
sotto un’altra luce eventi quotidiani di conflitto tra chi dovrebbe governare e
chi dovrebbe decidere da chi essere governato.
Si discute
molto in questi giorni a Gioia del Colle del problema Traffico e Urbanizzazione,
con corollari annessi.
Partiamo
dai passaggi a livello. L’essere diventati stanziali ormai da tempo ci
porta a scegliere vie preferenziali da e verso la nostra dimora. La chiusura di
un passaggio a livello e l’apertura di un sottovia è di gran lunga un ottimo
intervento per ridurre il traffico urbano, l’inquinamento automobilistico, i
ritardi dei treni e l’attesa della società incalzante. Ben lungi, al contempo,
da pensare che una scalinata in catacomba possa garantire sicurezza al residente
dell’altra parte del divisorio ferroviario. Allora, invece di utopistici,
costosissimi, interessati progetti di interramento di un intero tratto
ferroviario, perché non garantire la sicurezza al residente d’oltrelivello con
un sopravia con sbarre di metallo, che consenta di poter verificare dal
basso, prima di salirci, la presenza di malintenzionati, di certo meno costoso
del progetto prima citato (e ormai soluzione comune in molte città)?
Ma
ritornando alle ragioni di conflitto derivate, più o meno direttamente,
dall’invenzione dell’agricoltura, ci troviamo in questi giorni dinanzi ad un
nuovo dilemma shakespeariano: il piano traffico.
I
commercianti montano polemiche per le possibili perdite economiche derivate dai
sensi unici e dai parcheggi a pagamento, i residenti sono furiosi per i costi
esagerati dei posteggi, ma mettere d’accordo tutti è davvero difficile. Si
potrebbe però trarre qualche insegnamento dalla vita naturale. Nel mondo delle
formiche vi sono numerose vie preferenziali di accesso ai nidi ed al cibo,
rapportandoli all’umana questio “alle abitazioni” e “ai luoghi di
lavoro”. Nel loro microcosmo non ci sono semafori a governarle eppure gli
incidenti sono pochissimi. Come fanno. Primo: vanno a piedi, ingombrano poco,
inquinano poco e non hanno bisogno di parcheggiare! Da questo ci arriva il primo
insegnamento: se non vogliamo code, ingorghi e parcheggi a pagamento, quando
possiamo andiamo a piedi, in bici o coi mezzi pubblici. Ma se proprio l’auto ci
serve, prendiamo nuovamente spunto dalle formiche; secondo: nei percorsi larghi
esistono sempre vie d’andata e di ritorno, in quelli stretti, sensi unici con
zone di sosta solo su di un lato delle vie grandi e in grandi gruppi, in alcune
aree, di quelle strette. Adesso, applicato al problema umano questo cosa ci
dice: non ha senso rendere strade grandi a senso unico per poter parcheggiare a
sinistra e destra. Quelle larghe andrebbero lasciate a doppio senso con
parcheggi solo su di un lato, e quelle strette a senso unico (rotatorio, cioè
seguendo un percorso cittadino unidirezionale) con zone di sosta raggruppate
(grandi parcheggi). Ad esempio, è completamente inutile rendere a senso unico
via G. Di Vittorio per sbloccare il nodo con Corso Vittorio Emanuele, perché il
traffico raddoppierà sulla ex Statale 100 per poi ritornare dalle vie d’accesso
secondare tipo via Mazzini. Ma anche quando si parla di strade, tutto è
relativo. Ognuno ha la sua idea. Potremmo sempre imparare dalle formiche. Ah, a
proposito, i rondò sono un’ottima cosa rispetto ai semafori, ed anche le
formiche hanno i loro, possono essere cespugli o alberi…questo ci dice “ok ai
rondò” ma con del verde piantato all’interno.
Tra i
problemi eco-urbanistici che ci troviamo ad affrontare ultimamente c’è anche
quello dell’edilizia selvaggia che a Gioia sembra fare da padrona.
Purtroppo abbiamo perso l’antico legame con il concetto di casa. Prima
dell’agricoltura era il mondo la nostra casa. Poi lo è diventata il campo
coltivato, la capanna, il villaggio, la città, il condominio e…l’appartamento.
Il concetto di ecologia deriva proprio dal ragionamento intorno all’eco
da eikos, che in greco vuol dire “CASA”. Tutti tengono alla propria casa.
Ma prima la casa era il mondo, ora è l’appartamento. Ecco perché a molti
interessano le piante del salotto ma se ne fregano degli alberi disboscati nelle
foreste pluviali che toccano, ormai morti, quando aprono le ante del proprio
armadio Ikea.
Perciò non
sorprende l’onda distruttiva che sta coinvolgendo la periferia di Gioia così
come quella di altre città. I campi e i boschi stanno lasciando il passo
all’iracondo ingegnere o al beffardo architetto che ciechi disegnano muraglie di
cemento laddove un giorno beava la natura. Ma oltre l’amore materno, c’è un
altro motivo per cui tutti dobbiamo risentirci della distruzione edilizia
indiscriminata. Le città sono avamposti di energia, la fagocitano ma non la
producono, o meglio non la esportano. In città noi importiamo petrolio dal mare
per l’elettricità, il riscaldamento, le automobili e l’agricoltrura, ma non
restituiamo nulla al mare, se si escludono le feci dagli scarichi domestici.
Importiamo cibo dai coltivi e dai pascoli ma non gli restituiamo nulla , se si
escludono frigoriferi e lavatrici rotte. Importiamo acqua dai fiumi e non gli
restituiamo nulla, se si escludono i detersivi e i sacchetti in plastica.
Importiamo ossigeno e aria pura dai boschi e non gli restituiamo nulla, se si
escludono bracconieri e disboscatori . Insomma, abbiamo necessità vitale della
periferia, dei campi e dei boschi e l’espansione urbana mette a serio rischio
non solo la natura, ma tutti noi. In un modello di città sostenibile, ogni
gruppo di case dovrebbe essere circondato da giardini, campi coltivati e
ambienti naturali collegati tra loro per mezzo di corridoi. Basterebbe una
semplice ordinanza che obblighi i nuovi costruttori a prevedere spazi
verdi intorno alle nuove abitazioni, e magari pannelli solari su ogni tetto. A
proposito, il nuovo PUG (Piano Urbanistico Generale) che sta per essere
approvato dal Comune di Gioia del Colle ha dimenticato di includere nei vincoli
di protezione alcune lame e grotte, miracolosamente sparite dal territorio
(starebbe a dire, cancellate con il bianchetto da qualche funzionario). Ne
abbiamo informato l’Ufficio Tecnico con una lunga nota, speriamo che nessuno la
cancelli col bianchetto…
Roberto
Cazzolla
(da Gioia News)
Perché siamo contrari al DISMO
Il DISMO è a tutti gli effetti un
macchinario per la distruzione dei rifiuti, siano essi industriali o urbani, e
quindi al pari degli inceneritori elimina materia prima prodotta con utilizzo di
energia e non favorisce il recupero ed il riciclaggio dei materiali.
Il DISMO è stato concepito per la
distruzione dei rifiuti chimici e tossici. Questo darebbe una via d'uscita a
tutte quelle compagnie chimiche e petrolchimiche, che riempiono di composti
tossici i materiali di uso quotidiano (ftalati nei giocattoli e nei pigiami,
diossine nelle confezioni), che non avrebbero più interesse ad eliminare dai
loro prodotti le sostanze pericolose. Inoltre, sarà difficile emanare nuove
leggi sulla limitazione dei composti chimici tossico-nocivi in quei Paesi dove
il DISMO è molto diffuso, in quanto nell'opinione pubblica si sarà radicata la
falsa convinzione di aver risolto il problema dei composti chimici pericolosi.
Il DISMO non elimina la necessità di una
discarica in quanto produce ceneri vetrose che dovrebbero comunque essere
smaltite. Le ceneri sono formate per la maggior parte dai composti incombusti
(metalli pesanti, alogeni, etc.) e rivestiti di una struttura silicea. Questo
non esclude la possibilità che nel corso degli anni, a contatto con altre
sostanze, queste particelle silicee possano rilasciare componenti nell'ambiente
circostante.
Nonostante le contenute emissioni di ossidi di azoto, ossidi
di zolfo, diossine e furani, IPA e COV, una recente nota (vedi volantino sotto)
dell'unione dei medici generici conferma che all'aumentare della temperatura con
cui si trattano i rifiuti aumentano le quantità di polveri sottilissime
(dimensioni inferiori ai 10 nm) emesse che, entrano nell'organismo e permangono
a vita provocando tumori. Tali polveri non possono essere rilevate dagli attuali
strumenti di misurazione in quanto simili tecnologie non sono state ancora
sviluppate, ma il loro potenziale cancerogeno è stato accertato.
Nessuno potrà assicurare un controllo adeguato delle
emissioni in quanto l'ARPA/p ha dichiarato di non avere personale e fondi a
sufficienza per effettuare monitoraggi (vedi articolo sotto).
Gioia, la Sofinter e l'Ansaldo si fanno esportatori di un
MODO DI FARE che va nella direzione della distruzione e non del recupero e del
riciclo. E' ormai comprovato che i Paesi che non attuano una buona raccolta
differenziata, prima o poi si trovano di fronte a traffici di rifiuti, terreni
contaminati ed emergenze per il sovraccarico delle discariche.
L'obiettivo che si deve raggiungere, non è quello di fornire
alle aziende del settore chimico il modo per illudere l'opinione pubblica che
con il DISMO si eliminano le sostanze pericolose, ma la messe al bando di tutti
quei composti pericolosi per la salute umana e per l'ambiente.
Il DISMO assicura un limitato recupero
energetico, inferiore a quello che si otterrebbe con un adeguato sistema di
recupero e riciclaggio delle sostanze alla fine del loro ciclo di produzione (ad
esempio: per riciclare la plastica occorrono 22 MJ/Kg, per produrne di nuove 86
MJ/Kg= 64 MJ/Kg di energia risparmiata col riciclo. L'energia teorica
recuperabile dalla combustione della plastica è 48 MJ/Kg ma quella reale con un
efficienza ottimistica del DISMO del 50%=24 MJ/Kg). Si deduce che conviene, da
ogni punto di vista, riciclare invece che bruciare.
Attualmente esistono tecniche naturali per smaltire i rifiuti
industriali (vedi articolo sotto).
Il DISMO assicura meno posti di lavoro che
se si creassero dei consorzi per il recupero dei materiali di scarto
industriali.
E poi, siamo così sicuri che in caso di nuova emergenza
rifiuti, il DISMO non sarà nuovamente la scusa pronta per non effettuare la
raccolta differenziata e distruggere tutto ciò che capita a tiro?
da un comunicato del WWF Gioia del Colle - Acquaviva
delle Fonti
Perchè siamo ancora
più contrari al DISMO
Secondo la Direttiva 1999/31/CE per rifiuti inerti si
intendono: "i rifiuti che non subiscono alcuna trasformazione fisica, chimica o
biologica significativa. I rifiuti inerti non si dissolvono, non bruciano né
sono soggetti ad altre reazioni fisiche o chimiche, non sono biodegradabili e,
in caso di contatto con altre materie, non comportano effetti nocivi tali da
provocare inquinamento ambientale o danno alla salute umana. La tendenza a dar
luogo a colaticci e la percentuale inquinante globale dei rifiuti nonché l'ecotossicità
dei colaticci devono essere trascurabili e in particolare, non
danneggiare la qualità delle acque superficiali e/o freatiche".I rifiuti inerti
sono trattati al paragrafo 2 della decisione. Una delle indicazioni più concrete
riguarda la preoccupazione di evitare l'arrivo in discarica di rifiuti
apparentemente
inerti, quando invece vi è anche solo il sospetto di una contaminazione:
"Quando si sospetti una contaminazione (o da un esame visivo
o perché se ne conosce l'origine) i rifiuti sono sottoposti a prove o
semplicemente respinti. Se i rifiuti elencati sono contaminati o contengono
altri materiali o sostanze come metallo, amianto, plastica, sostanze chimiche
eccetera in quantità tale da aumentare il rischio legato ai rifiuti in misura
sufficiente da giustificare il loro smaltimento in una discarica appartenente ad
una categorie diversa, essi non possono essere ammessi in una discarica per
rifiuti inerti."
Due cose quindi. Per un ovvio e condivisibile principio di
cautela è sufficiente il sospetto di una contaminazione per rimandare indietro i
carichi. Come per le discariche di rifiuti pericolosi e non, la UE acconsente a
derogare dagli obblighi analitici pre-accettazione per un limitato numero di
rifiuti che rientrano nelle relative tabelle dell'allegato alla decisione.
Per i rifiuti inerti è la tabella che segue che presenta un
codice EER, una descrizione ed una restrizione:
1011 03: Materiali di scarto a base di vetro (Restrizioni:
Solo se privi di leganti organici)
1501 07: Imballaggi in vetro
701 01: Cemento (Restrizioni: Solo rifiuti selezionati
prodotti dall'edilizia e dalla demolizione)
1701 02: Mattoni (Restrizioni: Solo rifiuti selezionati
prodotti dall'edilizia e dalla demolizione)
1701 03: Mattonelle e ceramica (Restrizioni: Solo
rifiuti selezionati prodotti dall'edilizia e dalla demolizione)
1701 07: Miscellanea di cemento,mattoni, mattonelle e
ceramica (Restrizioni: Solo rifiuti selezionati prodotti dall'edilizia e
dalla demolizione)
1702 02: Vetro (Restrizioni: puro, ndr)
1705 04: Terra e rocce (Restrizioni: Eccetto lo strato
vegetale e la torba; eccetto terra e rocce di siti contaminati)
1912 05: Vetro (Restrizioni: puro, ndr)
2001 02: Vetro (Restrizioni: Solo vetro raccolto
separatamente)
2002 02: Terra e rocce (Restrizioni: Solo rifiuti di
giardini e parchi; eccetto terra vegetale e torba)
Risulta, quindi, evidente che il vetro pur essendo in linea
di principio INERTE, viene inserito nella classificazione della UE riguardante
"gli inerti" come materiale in deroga e a particolari condizioni (solo se privo
di leganti organici, solo se raccolto separatamente).
E', dunque, ovvio che le ceneri vetrose prodotte dal DISMO al
cui interno sono inglobati metalli pesanti ed altri composti tossici NON POSSONO
ESSERE CONSIDERATE INERTI! Perciò, non potranno essere smaltiti in una discarica
per inerti o utilizzati come materiale per l'edilizia ed i fondi stradali, come
vorrebbero fare i tecnici dell'ITEA (vedi dichiarazione della dott. Di Salvia a
Radio Planet). Infatti, se il vetro puro grazie all'erosione dell'acqua o al
lento sgretolamento per attrito con altri materiali, rilascia solo particelle di
silicio (quindi altro vetro), le ceneri prodotte dal DISMO, sgretolandosi o
erodendosi rilascerebbero oltre alla silice che le riveste, tutti i composti
pericolosi inglobati al loro interno. Immaginate una cenere del DISMO che
finisce nella falda e quindi in mare, dopo quanto tempo credete che si sgretoli?
Pochissimi anni. Ed ora immaginate queste ceneri inglobate in un asfalto.
L'attrito del passaggio delle auto o l'erosione dovuta alle frenate
libererebbero tutti i composti tossici inglobati in atmosfera ed in una forma
invisibile all'occhio umano e più pericolosa.
Bella fregatura!
Così noi continueremo a respirare sostanze pericolose con
l'illusione che il DISMO ci abbia liberati in maniera "ecologica" dai rifiuti
tossico-nocivi.
da un comunicato del WWF ITALIA sezione di Gioia del
Colle e Acquaviva delle Fonti
Distributori ad orologeria
Sarà che ormai ci siamo abituati allo smog ma quello che sta
accedendo a Gioia del Colle, così come in molti altri comuni d’Italia è davvero
paradossale. Si autorizza la costruzione di distributori di
benzina
all’interno dei centri urbani o, come nel caso del distributore che sorgerà
dinanzi alla scuola “Via Eva”, in una zona di comprovata espansione antropica.
Questo vuol dire fregarsene dei cittadini. Se si permette ad una compagnia come
la Petrol Walsh (nomignolo usato da una grande multinazionale del petrolio) di
costruire al centro di un triangolo formato da due scuole ed un supermercato,
significa che vi è una netta ed inequivocabile responsabilità sugli effetti
futuri di chi elargisce permessi a raffica. E siccome in questo caso il soggetto
autorizzante è il Comune di Gioia del Colle, desta ancor più stupore che per non
risarcire i danni di un’autorizzazione sbagliata per una costruzione che ancora
non c’è, si mette a repentaglio la salute e la sicurezza dei cittadini e
soprattutto dei bambini. I danni causati dallo smog fotochimico sono confermati
da anni all’interno del mondo accademico e la formazione di COV (composti
organici volatili, tra chi il benzene è uno dei più persistenti) aumenta
esponenzialmente la possibilità di formazione di ozono e polveri sottili
estremamente pericolose. Se si considera, inoltre, che la ex Statale 100 è una
zona ad intenso traffico veicolare, è facile comprendere come gli NOx, quei gas
dell’azoto prodotti in seguito alle combustioni e quindi dai tubi di scappamento
che reagiscono con i COV, possano essere un serio pericolo per la salute. Ed il
rischio di esplosione chi lo esclude? Forse la centralina ridicola che
l’amministrazione ha intenzione di piazzare vicino alla pompa di benzina? Ma il
problema è che già altri distributori sono seriamente pericolosi. Pensate all’Agip.
Ha chiuso per un po’ i battenti, ha lasciato che affianco ci costruissero un
palazzo ed ha riaperto esattamente lì, o giù di lì, dov’era. Se si continua di
questo passo potremo considerarci accerchiati da benzinai ad orologeria.
Se la chiesa di S. Rocco ha bisogno di noi...
GIOIA_ Udite fedeli. La chiesa ha in serbo per voi un nuovo
lavaggio del cervello. Non solo crociate, persecuzioni, papato e lotte di potere
adesso per essere un buon cristiano c’è bisogno di un gran portafoglio. Perché
per salvare la chiesa di San Rocco a Gioia del Colle
dall’anzianità
non bastano le casse senza fondo del Vaticano, organo dal potere illimitato che
potrebbe fermare le guerre in un istante, servono i soldi dei cittadini. Soldi
che, per aiutare un santo morto da secoli, per rimettere a nuovo un luogo dove i
buoni propositi tracollano e le buone azioni si smarriscono, vengono sottratti
alle reali cause per cui la Chiesa dovrebbe battersi: fame nel mondo, malattie,
paesi sottosviluppati, carenze idriche, guerre, poveri e disabili. Così accadrà
come per l’ospedale di San Giovanni Rotondo che, per aumentarne l’efficienza,
necessita di fondi per l’ampliamento ed il rimodernamento, ma si è visto sfumare
il finanziamento affinché Renzo Piano potesse tirar su una nuova basilica per
San Pio. Costo totale circa 600000 euro, soldi che l’architetto poteva destinare
alla clinica invece che alle false preghiere dei fedeli.
Torna il lupo in Italia ed un cane può salvarlo
E’ di banco
in questi giorni il ritorno del lupo sui promontori italiani. In molti parlano
dell’inaspettata presenza del canide selvatico nel territorio pugliese
mescolando sensazioni di euforia e scetticismo. Gli ambientalisti salutano
entusiasti l’arrivo di un esemplare che da tempo si dava per scomparso dai
boschi e dalle campagne del mezzogiorno, mentre allevatori e pastori manifestano
tutta la loro preoccupazione per aver già ritrovato carcasse di ovini sbranati
nei campi. Ritorna così quel falso mito che vede il lupo come il feroce
predatore fiabesco che da tempo si utilizza per insinuare nei bambini l’immagine
negativa di quello che invece è un meraviglioso animale sociale, dai
comportamenti di cooperazione e di cura della prole allo sviluppo di gerarchie
stratificate degne della più raffinata civiltà. Ma la lealtà e la riservatezza
del lupo si conoscono ormai da tempo, anche se di lui permane la falsa ombra
scura e minacciosa, quello che invece si sta ancora cercando di capire è come
conciliare le sue esigenze con quelle umane. Spesso, spinto dalla fame, dagli
spazi ristretti causati dalle numerose costruzioni abitative, e dalla carenza di
risorse alimentari (volatili, lepri, piccoli mammiferi), decimati negli ultimi
anni dall’utilizzo intensivo dei pesticidi, dall’inquinamento dei boschi e delle
falde, dal sovrasfruttamento della vegetazione del sottobosco da parte dei
bovini e dal bracconaggio indiscriminato, il lupo si avvicina ai pascoli ed alle
abitazioni rurali, attaccando pecore e capre. Gli allevatori non sono disposti a
subire simili danni economici e così invitano a cercare una soluzione al più
presto. Il rischio è che ci siano nuovi attacchi e gli allevatori decidano di
farsi giustizia da soli. La risoluzione della questione non appare poi tanto
complicata. Nel 1998 il WWF ha lanciato in Abruzzo un programma di adozione, da
parte degli allevatori di bestiame, di cuccioli di cane da pastore maremmano,
che potrebbe facilmente essere riproposto in Puglia. Infatti, dopo poche
settimane di addestramento, i cuccioli dai 4 agli 8 mesi imparano a difendere le
greggi dagli attacchi in sordina dei loro cugini più stretti. I lupi, così, al
cospetto di due o tre maremmani dall’aria minacciosa decidono di ritirarsi da un
potenziale assalto alle pecore e non corrono il rischio di essere impallinati. I
cani da pastore sarebbero il rimedio più compatibile del problema. Lasciati
liberi a sorvegliare i ruminanti, questi cani riporterebbero, senza ferirlo, il
lupo nelle zone inabitate contribuendo al suo riadattamento trofico di specie
autoctone. Inoltre, l’adozione dei cuccioli di maremmano, potrebbe avvenire dai
canili e dai rifugi per cani, dove la loro presenza è elevata, donando la
possibilità di vivere in libertà a cani altrimenti forzati a trascorrere il
resto della loro vita in gabbia. A tal proposito durante le prossime riunioni
del “tavolo tecnico” potranno essere individuate le giuste modalità tecniche per
la realizzazione del progetto e la risoluzione ecocompatibile del problema, allo
scopo di conciliare le esigenze di allevatori e ambientalisti e minimizzare la
spesa economica della Provincia. La speranza è che alle prossime discussioni
siano invitate le associazioni ambientaliste per poter concretizzare idee quali
la “Banca della Pecora” istituibile per risarcire gli allevatori dalle perdite
di capi di bestiame sfuggiti al controllo dei cani da pastore maremmano.
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Dossier: Come sta’ la mia città?
L’incoerenza ragionata
Ed eccoci, alla fine
dell’estate, a tirare le somme della politica ecologista dell’amministrazione
gioiese.
Quello che
si è concluso, è forse, stato l’inverno più caldo degli ultimi anni, non solo
per l’innalzamento della colonnina di mercurio. Solo per rispolverarlo a coloro
che dopo tanta bagarre hanno già dimenticato, l’operazione “tutti contro
la discarica”, è stata l’evento che ha, più di altri, provocato una gran mole di
incoerenza e falsità.
Sono
convinto che la vicenda di per sé si sarebbe risolta velocemente applicando un
po’ di buon senso e aristotelica ragione all’insolito progetto. Ma ancora
una volta la res cogitans, sostanza pensante o “uomo” in quanto
ragionevole, è stata dissotterrata a favore di una pragmatica ed accomodante
economia spicciola. Chi può biasimare l’amministrazione, il sindaco e chissà chi
altro, per il loro atteggiamento liberale… Certo, è insito nella natura umana
cercare di trarre vantaggio per sé dalle situazioni. E’, pero’, considerato
radicato nell’intelligenza non danneggiare la comunità con i propri
comportamenti. Soprattutto se, di quella comunità, si è i rappresentanti.
Liyn
Margulis, uno dei pionieri dell’idea che la vita sia basata sulla cooperazione
tra gli esseri, viventi e non viventi, definiva così il concetto di civiltà
ecologicamente educata: “Un essere vivente in grado di trarre vantaggio delle
occasioni e delle opportunità che la vita gli presenta, senza limitare le
opportunità e le possibilità di scelta delle generazioni future, è un essere
ecologicamente consapevole”.
Chissà se,
osservando l’operato dei nostri assessori, il povero Margulis giudicherebbe la
nostra cittadina ecologicamente consapevole. Io credo proprio di no.
D’altra
parte, non si può dire che nessuno si sia mosso a fronteggiare l’irrazionale
pensata. Peccato che da lotta di quartiere, la contesa, si sia trasformata in
lotta di fazione. Ma, d’altronde, si sa come va a finire quando gli interessi
economici sono forti. Tutti per uno, uno per tutto.
Il 29
luglio una ventina di attivisti del WWF hanno protestato pacificamente,
esponendo alcuni striscioni, durante il consiglio comunale convocato per
decidere del problema discarica e inceneritore. Risultato: rinvio della
decisione a settembre. E’ già qualcosa. Il gruppo ambientalista gioiese ha anche
invitato il sindaco a partecipare ad un pubblico dibattito. Chissà se, quest’incontro,
non sia utile a tramutare l’irrazionalità in ragione?
Ma
tralasciamo la vicenda discarica, Freud sarebbe impazzito leggendo tutto ciò che
è stato scritto, perché ne abbiamo piene la tasche un po’ tutti e passiamo in
rassegna altri paradossali avvenimenti.
Le
domeniche ecologiche. “Wow”,
commenterebbe il forestiero giungendo una fortunata domenica a Gioia e
osservando le strade senza traffico. “Ma che” ribatterebbe il povero indigeno,
consapevole della farsa. Perché proprio di farsa si tratta. Senza estendere la
polemica al Ministro dell’Ambiente per la “geniale idea”, valutiamo l’operato
nostrano. Chiudere il traffico nel centro della città, a giorni alterni o
perlomeno nei festivi, è un segnale di sensibilità al problema inquinamento.
Chiudere il circondario di piazza Plebiscito, di domenica, una ogni tre mesi,
per due o tre ore, quando il 70% della popolazione è nelle braccia di Morfeo,
stremata dalla febbre del sabato sera, è la più grande assurdità che
un’Amministrazione potesse commettere. Prive di alcuna campagna informativa,
Bari con tutto ciò che ha da risolvere è più organizzata, l’iniziativa perde di
significato.
Troppo
comodo, pero’, ottimizzare gli incentivi alle città per l’attuazione del
progetto e relegare in secondo piano lo scopo dell’iniziativa o tanto peggio
attuare, come conferma evidente, il blocco del traffico una domenica ogni
tre-quattro mesi.
C’è da
chiedersi perché ogni tanto, anche per errore non si facciano gli interessi
dell’ambiente. Quali gravi malefici si catapulterebbero sui cittadini gioiesi se
il blocco del traffico fosse effettuato a giorni alterni o nei week-end con la
chiusura totale di tutte le strade? Forse ci sarebbero meno leucemici (avanti
Admo fatevi sentire), meno malati di cancro (anche voi Ant), più aria
respirabile e meno caldo afoso (tocca a voi Legambiente, WWF, Italia Nostra) ma
ciò che diminuirebbe di certo, sarebbero alcuni stipendi.
Altro
scomodo capitolo. Il verde cittadino. Possibile, chiedo a voi lettori,
che le uniche aree dove una famigliola può passeggiare liberamente siano il
clone Piazza Pinto e il covo Paolo VI? Andiamo per ordine; il clone Piazza Pinto,
così come l’ho definito, prende il suo nomignolo dallo scempio compiuto in
quell’area. Nessuno si permetterebbe mai di dire che prima la “Villa” vivesse
tempi felici, ma nessuno può, di certo, asserire che ciò che è stato fatto in
quello che appariva un giardino botanico, non sia uno sfacelo. Enormi Pioppi,
Platani, Salici, Lecci e Betulle sono stati spiantati, per non dire macabramente
tagliati, per lasciar posto ad aiuole in pietra contenenti steli secchi di
chissà quali specie, che persino quelli di Uno Mattina sanno che alberi degni di
questo nome, hanno bisogno di spazio per affondare le proprie radici. Ma nessuno
ha mai preteso che il sindaco abbia il pollice verde. Nessuno, però, lascia
aggiustare qualcosa a chi non ne ha le competenze. Noi sì!
Ok.
Questione Piazza Pinto accantonata, venga avanti Paolo VI. Una delle migliori
opere realizzate a Gioia negli ultimi tempi, non c’è dubbio. Peccato per i dieci
alberi che conta e per l’ambiente poco affidabile nel quale far giocare i propri
figli.
Quanto
alla presenza di alberi lungo le strade cittadine è pressoché nulla. Troppo
costoso forse piantare alberi, peccato che i soldi si spendano per
l’illuminazione della festa patronale, peccato che l’illuminazione duri cinque
giorni mentre la CO2 nell’atmosfera si sia duplicata negli ultimi 100 anni,
peccato che l’impiego energetico sia stato pari a quello utile per illuminare
per tre giorni 10000 monolocali. In compenso ogni cittadino è rimasto
affascinato dallo spettacolo luminoso di quelle lampadine.
Arriviamo,
quindi, alla questione rifiuti con le innumerevoli vicende che
l’attraversano trasversalmente. E’ da tempo che si sente parlare di isole
ecologiche, ma serviranno? Il problema più grave del dilemma rifiuti è che non è
fondata nei cittadini la necessità di riciclare, forse per la scarsa importanza
che ne danno i media. Sta’ il fatto che parlare di isole ecologiche significa
allo stesso tempo, parlare di riciclaggio e abolizione degli inceneritori. Ma
anche qui l’incoerenza ragionata prevale. Perché rimetterci, anche se
provvisoriamente, in una campagna a favore del riciclo dei materiali, quando il
guadagno dalla possibile costruzione di un inceneritore supera di gran lunga le
aspettative? Perché invitare i cittadini a riutilizzare i materiali quando un
enorme forno è pronto a sputare diossine e anidride carbonica con notevole
profitto? A chi interessa che, magari, tra 20 anni gli abitanti dell’area in cui
è ubicato l’inceneritore, soffrano di intossicazioni e bronchiti croniche? Lo
stesso sindaco ha confermato la totale assenza a Gioia di differenziazione dei
rifiuti. In questo caso, però, l’incoerenza non c’è. A cosa serve riciclare
quando è in progetto la costruzione della, come amo definirla, “catena della
morte”. E già, discarica e poi termovalorizzatore o inceneritore
(l’amministrazione odia quest’ultimo termine, forse perché pensa alla possibile
sorte delle prossime schede elettorali) e poi ancora impianto di compostaggio e
poi ancora il 20% della popolazione in lista d’attesa per mal di testa insoliti
o difficoltà respiratorie. Ho la strana sensazione che tutto torni. In questi
giorni, infatti, è di scena la questione ospedali. Il nostro caro “Paradiso”,
tutt’altro che dantesco, rischia di essere smembrato dei suoi reparti migliori e
ridotto a semplice pronto soccorso. Ed ecco che insorge il primo cittadino,
insieme a tanti altri Don Chisciotte,: “L’ospedale resta dov’è”. Certo, se 15000
abitanti su 27000 rischiano tumori e intossicazioni a causa della “catena della
morte”, ci dovrà pur essere un luogo dove “curarli”. Ora mi salta in mente il
grande filosofo Parmenide che con glaciale sicurezza affermava: Panta Rei,
tutto scorre!!! Ha inconfutabilmente ragione.
E l’elettrosmog?
Altro baluardo dell’uomo moderno. Antenne a tutto spiano. Paradossale è che la
più imponente sia localizzata a pochi metri dalla scuola elementare “S. Filippo
Neri”, e sì sempre lui il patrono dalle luci. Ma povero santo, che colpa ha se a
nessuno interessa il futuro dei propri figli.
Sono
consapevole di aver fornito in questo mio breve resoconto, più interrogativi che
soluzioni, e sono anche al corrente del fatto che non tutto può essere risolto
in un batter d’occhio, ma sono altrettanto sicuro che la cooperazione tra gli
uomini sia fondamentale e che ogni cittadino debba esprimere il proprio dissenso
di fronte ad eventi simili, perché solo così prima o poi si abolirà la furba
incoerenza ragionata. Concludo con una citazione che racchiude il radicato
espressionismo della vita: “L’uomo appartiene alla terra, così come tutti gli
altri esseri viventi e non, la abita, ne è parte integrante e svolge una
funzione essenziale su di essa, ma la terra non appartiene all’uomo”.
Roberto Cazzolla
(da La Piazza)
L’ultima boccata d’ossigeno
Così ci lamentiamo dell’assenza di
verde nelle nostre città, dei ridotti spazi dove essere in contatto con la
natura e dell’aria cattiva che respiriamo quotidianamente.
Durante ogni campagna elettorale, false
promesse e utopistici propositi per migliorare la qualità dell’ambiente
tappezzano i muri di ogni strada, quasi volessero dirci “è più facile parlare ai
muri!”. Nostro malgrado ci illudiamo che per una volta qualcosa possa
migliorare, fantastichiamo trascinati dal soave odore dell’aspettativa. Crediamo
già di essere con i nostri nipoti a giocare in un bel parco verde e fiorito, ci
immaginiamo con i nostri figli durante una passeggiata in campagna o all’ombra
di una quercia secolare, mentre graziosi uccelletti danzano gioiosi su di un
caratteristico muretto a secco. Ma i sogni finiscono all’alba ed al
risveglio il mondo torna ad essere così com’è e non come lo vorremmo. Può
succedere, per esempio, che il boschetto dove eravamo soliti andare a giocare da
bambini, con alberi che ci hanno riparato dal cocente sole o dalla pioggia
battente, in una notte si trasformi in un altro luogo, tanto da apparirci
completamente estraneo. E’ quello che è accaduto ad un appezzamento situato
sulla via di Acquaviva, a circa cinque chilometri dal centro abitato, dal quale,
di notte per “non fare troppo rumore”, sono stati estirpati una ventina
esemplari di querce (quercus ilex). Il mattino dopo degli alberi non
c’era più traccia ed il muretto a secco che delimitava il terreno era stato
abbattuto per metà. Pur trattandosi di un possedimento privato, non vi è alcuna
normativa che preveda l’abbattimento indisturbato di alberi e di muretti a
secco. Per di più, gli articoli 3.05, 3.10, 3.14 e 5.01 del Putt/p vietano
categoricamente “l’abbattimento e il danneggiamento di piante isolate o a
gruppi, alberature stradali e poderali e muretti a secco” considerandoli come
“beni diffusi nel paesaggio e quindi da salvaguardare”. In questo caso, oltre
allo scempio ambientale, si deve considerare una vera e propria azione illegale
e del tutto arbitraria. L’autorizzazione firmata dal responsabile dell’Ufficio
Tecnico di Gioia del Colle è, quindi, impropria considerando i vincoli esistenti
su quel territorio (il terreno, molto probabilmente da destinarsi a piantagioni
di ciliege, è un’appendice del bosco naturale limitrofo) e la prassi legislativa
da intraprendere per questo tipo di opere. Siamo dinanzi ad un altro abuso
ambientale contro il quale alcuni partiti d’opposizione, primo tra tutti la
Margherita, hanno già alzato la voce. Coro a cui faranno seguito altre proteste
ed azioni legali. Secondo indiscrezioni, gli organi competenti si sono già
appellati al Tar, per denunciare la situazione.
Non è comunque la prima volta che a Gioia
saltino fuori casi di abusi indisturbati. La vicenda del “campetto di S.Lucia”,
già documentata dal nostro giornale, nasconde un altro inquietante particolare,
che forse non tutti hanno carpito. Adiacente all’area in cemento vi era una
piccola pineta (nella quale l’ACR svolgeva buona parte della sua attività),
unica zona di quel quartiere con rilevante presenza di verde. Che fine ha fatto?
Non ci sarà, per caso, bisogno di ricordare a coloro che intascano parecchi
quattrini autorizzando simili scempi, che i cittadini sono stanchi di promesse
non mantenute e che a nulla servono uffici, mele e ciliege se ci viene tolta
persino l’ultima boccata d’ossigeno?!?
Roberto Cazzolla
(da La Piazza)
DOSSIER ESCLUSIVO
"L’inceneritore della Termosud, è
dannoso!"
Parla la gente residente nei pressi
dell’impianto dell’Ansaldo
“Abitiamo qui da vent’anni e abbiamo imparato a convivere
con la puzza di petrolio e carburante che arriva tutti i giorni dalla canna
fumaria là giù, e poi i rumori non smettono mai di assillarci”. Ci accoglie con
queste parole la signora
Grazia, residente a pochi passi dalla canna fumaria dell’inceneritore
dell’Ansaldo Termosud.
Si discute da anni sulla pericolosità degli impianti da
incenerimento, spesso senza interpellare i veri interessati dai pericoli di
simili costruzioni. Si parla di diossine, furani, cloro, ma senza fare chiarezza
sul perché e sul come essi potrebbero rappresentare un pericolo considerevole
per uomo e ambiente.
La combustione che avviene nelle camere
rivestite dei termovalorizzatori (termine con il quale si cerca di addolcire la
definizione di “inceneritore” per riproporlo sotto la veste del recupero
energetico che non arriva neanche al 30% di quello ottenuto dal riciclo dei
materiali), prevede l’utilizzo di CDR (combustibile da rifiuto). Per garantire
la massima salubrità delle emissioni, dopo anni di ricerche scientifiche, è
stato individuato il parametro di combustione non inferiore ai 1500-1600 °C, che
però quasi mai viene rispettato. La quota standard di sicurezza rappresenta un
fattore limite per il recupero economico ed energetico effettivo. Bruciare a
simili temperature vuol dire utilizzare grandi quantità di combustibile e
notevole dispendio calorico. Per questa ragione, e per un non adeguato controllo
dei materiali da “termovalorizzare”, i fumi e le ceneri derivanti dagli
inceneritori risultano notevolmente dannosi. Infatti, il privato che gestisce
l’impianto non certo è disposto a scendere a compromessi economici e, il più
delle volte, decide di abbassare le temperature di combustine per limitare le
spese a 700-800 °C, un valore di gran lunga inferiore rispetto a quello
consigliato e che permette la formazione di diossine (molecola a doppia catena
esagonale aromatica, formata da benzene al quale si legano ioni cloro Cl) e
furani che, a lungo termine, determinano nell’uomo, la comparsa di cloracne,
pleuriti e malattie tumorali.
Da tempo la Pirelli sta sperimentando
nell’impianto dell’Ansaldo, che in realtà dovrebbe essere utilizzato solo per la
combustione degli scarti prodotti dalla ditta stessa, un nuovo tipo di CDR
potenziato. Simili sperimentazioni sono in grado di trattare 500 tonnellate al
giorno di rifiuti tal quale ai quali vengono aggiunti dopo la separazione dei
metalli, 60 tonnellate di pneumatici fuori uso e 50 tonnellate di plastica non
riciclabile. Archiviazioni della Pirelli mostrano, come nel complesso
industriale di Gioia del Colle siano state effettuate prove sperimentali, in cui
il 30% di CDR è stato mescolato a 70% di carbone. Di questi esperimenti nessuno,
tranne gli addetti ai lavori, era al corrente. Ma la gente che vive da anni nel
raggio di 2-3 Km dalla Termosud, ha incubato in silenzio ed ora ha deciso di
parlare.
“Ogni giorno una puzza impossibile ci
inonda e spesso ci capita di risvegliarci al mattino e trovare residui di ceneri
sulle auto – ci dice Franco R., proprietario di un villino che affaccia
sull’ineneritore- Abbiamo fatto, in tempi scorsi, richieste ai carabinieri di
monitoraggio acustico per l’insopportabile rumore al quale siamo sottoposti, ma
non abbiamo avuto nessuna risposta. Spesso in famiglia soffriamo di disturbi
respiratori e c’è anche un caso di cloracne che sino ad ora non riuscivamo a
spiegarci. Ma adesso iniziamo a collegare un po’ le cose. Inoltre, tutti i miei
parenti soffrono di allergie e irritazioni epidermiche. Quando corro di mattina
nel vialetto qui vicino, spesso mi manca il fiato a causa dell’aria pesante che
si respira”.
Ma non è il solo. Giuseppe G.,
agricoltore da sempre, abita da quand’era bambino nella zona dell’industria, ci
dice con un velo di rassegnazione ed indicandoci una vigna a cinque metri dalla
base della canna fumaria: “Ci sono problemi di cui non sono certo al cento per
cento, ma che molto probabilmente derivano dai fumi e dalle ceneri. In quel
pezzo di vigna che ho, un tendone di primitivo, nel periodo della vendemmia il
mosto puzza di acidità. Potrebbe essere colpa dei residui che cadono dal camino.
Una volta- incalza- è scoppiato un tubo e sono stato invaso di cenere. Ogni
tanto, poi, io e mia moglie accusiamo bruciori di gola e mio figlio, dalla
nascita, soffre di acne. I rumori ultimamente sono diminuiti, ma quando fanno
sfiatare le caldaie, arrivano improvvise ondate di calore. Bruciano sempre,
senza orari precisi, di giorno e di notte e la puzza di naftalina, carbone e gas
è enorme”.
Ma spesso le voci di chi vede
compromettere l’attività per cui ha dedicato la vita, ritrovandosi inoltre con i
famigliari affetti da sintomi patologici di indubbia derivazione, per paura o
per rassegnazione non sono abbastanza forti da richiamare l’attenzione su
problemi, che mai come oggi, tornano alla ribalta sul tavolo delle discussioni
politiche.
“Anche se volessi- prosegue Giuseppe G.-
non avrei la possibilità economica per far analizzare le mie colture e portare
qualcosa di scritto a chi ci riduce in queste condizioni”.
“Tutte le volte che c’è vento di
scirocco- ci conferma Pasquale C. residente sul versante nord rispetto al
bruciatore- arrivano grandi quantità di puzza e ceneri. E’ significativo che da
qualche anno non si produce più nessun foraggio e i prodotti dei campi non
crescono più o sono malformati”.
E’ possibile ignorare i rapporti di
illustri scienziati, le preoccupazioni dei cittadini, le proteste degli
ambientalisti, ma come si può sorvolare sulle testimonianze di chi, anno dopo
anno, si trova a dover convivere con i danni provocati dall’utilizzo improprio
delle tecnologie? Gli industriali, con il fumo negli occhi, non possono più fare
orecchie da mercante dinanzi alle richieste di aiuto di gente umile, che ha
l’unica pretesa di vivere in pace, con il desiderio di svegliarsi al mattino e
sentire la frescura della brezza all’alba, senza dover per questo, iniziare a
tossire.
Misure di sicurezza adeguate, limiti da
rispettare, controlli frequenti sono l’unico rimedio possibile, affinché
disastri come quelli di porto Marghera o Dow Chemical, rimangano eventi del
passato e non mietano altre innocenti vittime. E, poi, un netto cambiamento di
rotta che deve espandersi dalla voce dei cittadini. Che deve ribadire un secco
no alla politica degli inceneritori di qualunque tipo, da quelli per i rifiuti a
quelli delle industrie, opponendosi con tutti i mezzi a partire dai politici
che, come il vicino Raffaele Fitto, si lavano le mani dalle responsabilità che
gli competono e autorizzano attività disastrose in termini ecologici e
umanitari, sino ad arrivare agli industriali senza scrupoli che, se pur
consegnano centinaia di posti di lavoro, causano danni irreversibili ad
altrettante attività produttive e spesso all’uomo stesso.
Roberto Cazzolla
(da Il Giornale del Territorio Murgiano)
DOSSIER MONTE SANNACE: LA FAUNA
Gheppi e grillai salutano in volo volpi, tassi e rospi, mentre macaoni colorano
il paesaggio
Si librano in un volo planato, sbattendo le ali solo in
ascensione, si catapultano su insetti e piccoli roditori con precisione
fenomenale. Volteggia nell’aria con soave maestria, costruisce nidi negli
anfratti di roccia carsica come fosse un perfetto architetto. Amorevolmente
nutre i piccoli dalla schiusa sino al primo volo. Pur essendo indicato come il
più comune
rapace diurno d’Italia, il gheppio,
lungo poco più di 34 cm, testa grigia, dorso rossiccio macchiato, coda con banda
nera nel maschio, testa rossiccia striata, dorso e coda barrati nella femmina, è
un esemplare in netta diminuzione ed in serio pericolo. Minacciato da pesticidi
e cacciatori, ravviva l’ambiente collinare dell’agro gioiese, con particolare
presenza nella zona Monte Sannace, Monte Rotondo. Nidifica con una popolazione
di circa 100 esemplari negli anfratti di roccia della cava, dove costruisce il
nido dopo lo svernamento e dà vita ad una nuova generazione figliare.
Il corpo bruno-rossastro, una vistosa macchia bianca sulle
ali, remiganti nere e blu, groppa bianca e coda nera. La
ghiandaia è facilmente riconoscibile per la cresta bianca e nera e
l’iride celeste. Vive in zone boscose e risiede, ormai stabilmente, nel bosco
Romanazzi, dove si nutre di ghiande, nocciole, piccoli animali. Il suo canto
acuto echeggia nel vuoto; vive a volte in gruppo e costruisce nidi emisferici
nei quali depone, da aprile a maggio, 5-6 uova grigio verdognole macchiate. A
lungo minacciata per la fama di specie nociva per l’agricoltura, è una gran
conservatrice, come le gazze, di oggetti luccicanti.
FINALMENTE IL PARCO DELL’ALTA MURGIA
Nonostante le forti pressioni di agricoltori e militari, nasce il parco
murgiano
Sembrava
dovessero vincere loro, i fautori delle guerre. Le basi militari che in sinergia
con gli agricoltori avrebbero allontanato il Parco dell’Alta Murgia. Ed invece i
pacifisti e gli ambientalisti ce l’hanno fatta. Dal Ministro Matteoli il lascia
passare per l’istituzione, sormontando le polemiche nate dalla presenza di
poligoni di tiro per l’addestramento militare nel perimetro dell’istituendo
parco. I contadini impauriti dalla presenza di un’area protetta nella quale non
sarà più permessa la caccia, lo scarico di inquinanti, le colture intensive e le
azioni estrattive, non l’hanno spuntata.
E’
un traguardo notevolissimo che il meridione raggiunge dopo tante polemiche e
conferma il progresso della coscienza ambientalista del sud Italia. La zona che
sin dal 1990 è stata indicata di grande interesse dal centro studi “Torre di
Nebbia”, promotrice del parco, comprenderà i comuni di Altamura, Andria, Bitonto,
Cassano, Corato, Gravina, Grumo, Minervino, Poggiorsini, Ruvo, Santeramo,
Spinazzola e Toritto. Il territorio dell'Alta Murgia si estende per più di
centomila ettari compresi, in una forma di quadrilatero allungato, tra la Fossa
Bradanica che collega le montagne lucane e le depressioni vallive che si
adagiano verso la costa adriatica. Per questa posizione strategica, sia rispetto
al mare che alle montagne, l'altopiano murgiano, le cui quote variano da un
minimo di 340 metri ad un massimo di 679 metri, è interessato da un clima
particolare: accentuata ventilazione, estati piuttosto secche ed inverni
moderatamente rigidi; condizioni che determinano l'alternarsi di due stagioni
favorevoli alla vegetazione, quali la primavera e l'autunno. Il paesaggio è
caratterizzato da deformazioni dovuti a piegamenti e faglie che trovano
corrispondenza, rispettivamente, in rilievi, depressioni, scarpate, gradoni e
solchi torrentizi di erosione (lame). Un ambiente straordinario che vede la
presenza di
quercete, leccete, fragni, lentischi e macchia mediterranea oltre a
nicchie ambientali che permettono la vita di molte specie della fauna superiore,
di anfibi, rettili, uccelli e mammiferi. Tale varietà, insieme a vaste
estensioni di territorio poco antropizzato, fanno di quest'area
una delle più importanti a livello regionale sotto l'aspetto faunistico. Tra gli
anfibi si segnalano il tritone italico, il rospo comune e smeraldino, la rana
verde; tra i rettili (14 specie) il geco di Kotschy, il colubro leopardino, il
ramarro, la lucertola campestre, la vipera comune e il cervone; tra i mammiferi
(17 specie) la lepre, la volpe, la faina e il riccio; tra gli uccelli (circa 80
specie nidificanti) il lanario, la calandra, l'averna cinerina, il corvo
imperiale e lo zigolo capinero; a dominare il cielo dell'Alta Murgia, tra i
rapaci, è il Falco Naumanni, ovvero il grillaio di cui il territorio ospita la
più importante popolazione europea.
Insomma, c’è
tutto quello che viene richiesto per l’istituzione di un parco che si spera
possa portare serenità ad un territorio martoriato dall’abusivismo,
dall’inquinamento e dalla caccia.
Roberto Cazzolla
VIABILITA’ SOSTENIBILE
A Gioia manca un piano per l’utilizzo dei mezzi pubblici
Le domeniche ecologiche che dovrebbero
preservare i cittadini dall’inalazione di polveri sottili, di monossido di
carbonio, metano prodotti dalle auto è una confezione dorata ad un finto regalo.
Facciamo il caso di Gioia del Colle. Il
parco macchine è di certo elevatissimo, tanto da spingere gli amministratori ad
immaginare parcheggi subpiazza o a pagamento. Certo, è la soluzione più
vantaggiosa in termini di ritorno economico per il Comune, ma non quella che
risolve il problema del traffico e dell’inquinamento atmosferico e acustico. Per
le strade gioiesi si può facilmente osservare, un unico e deserto autobus che
vaga desolato in cerca di passeggeri. Ma se nessuno lo utilizza non è certo
colpa dei cittadini. E’ impossibile venire a conoscenza del tabellino di marcia
del mezzo. Gli orari non si reperiscono e sui cartelli delle fermate sono
invisibili. E poi come si può pretendere che un unico mezzo possa sopperire alle
necessità di un paese di tremila abitanti? Quei mezzi pubblici parcheggiati su
via Bari sono l’emblema della staticità amministrativa che ci governa. Perché
quegli autobus non vengono utilizzati?
Come si può pretendere di risolvere il
problema smog, senza un’adeguato pian o traffico con l’incentivo all’utilizzo
dei mezzi pubblici di trasporto? Non sarebbe male se, ad esempio, il sindaco di
Gioia utilizzasse le pagine del suo giornalino (“Bollettino comunale”) per
comunicare cose davvero interessanti alla cittadinanza, come gli orari e le
fermate degli autobus.
E per concludere, tanto per restare in
tema: ma quando finiranno (o meglio inizieranno) i lavori per il sottopassaggio
ferroviario? Le auto potranno usufruirne? Perché se così non fosse a cosa serve
un sottovia pedonale? Inoltre, perché non si trova un rimedio ai semafori, come
quello che regola il traffico sul ponte per via Laterza? Non è comprensibile un
attesa di otto minuti con il motore acceso, senza che l’ombra di un auto che
scenda dal ponte si intraveda all’orizzonte. E’ ora di smettere con i sensi
unici e iniziare con le azioni sensate.
Roberto Cazzolla
VIA ROMA:
Ristrutturazione con polemiche
Hanno sollevato le preoccupazioni di tutti,
i lavori di ristrutturazione della strada pedonale di Gioia del Colle. Cittadini
infuriati per i danni che le radici potrebbero causare alle strutture abitative
ed alle cantine, ambientalisti dispiaciuti per un nuovo incompetente lavoro di
sostituzione delle piante e il Sindaco Vito Mastrovito indispettito dalle
polemiche sorte per una questione che appariva di semplice risoluzione ed
opportuna, ricordando che il progetto è stato approvato qualche giorno prima
delle elezioni, realizzazione.
Come spesso accade nell’agro gioiese,
progetti che sembrano dover migliorare lo stato dei luoghi urbanizzati
disperdono la loro smaniosa lucentezza lungo il tragitto che li conduce a
termine. Accade così che, ancora una volta, per i lavori iniziati a maggio senza
aver richiesto alcuno specifico parere sullo stato di salute delle piante e
senza aver atteso il periodo indicato per il taglio di platani, il Comune ha
dato il via ad un taglio indiscriminato di alberi cinquantenari che abbellivano,
rinfrescavano ed allietavano la vista dell’unico tratto pedonale di un paese
forato città che è invaso dal traffico automobilistico.
C’è da dire che le piante, in alcuni casi
potevano rappresentare un pericolo per la stabilità degli appartamenti, ma
perché si è giunti ad una tale situazione? Negli anni i lavori di manutenzione
degli alberi sono stati effettuati in maniera inopportuna, con potature
selvagge, senza prevenire l’ampliamento radicale, portando così ad una
situazione difficile da gestire.
Ma a nulla sono valse le preoccupazioni
degli ambientalisti del WWF che si sono visti chiudere le porte del dialogo da
parte dell’Amministrazione, convinta da sempre delle modalità e dei criteri
d’esecuzione dei lavori. Purtroppo, quando le potature vengono affidate a mani
incompetenti o, a volte, persino all’Ufficio Tecnico, si giunge a problemi
facilmente evitabili e che avrebbero potuto risparmiare a tutti gli amanti del
verde lo scempio compiuto dalle amministrazioni che si sono avvicendate, con la
sostituzione di alberi imponenti e monumentali con arbusti di inopportuna
sistemazione.
Pertanto il problema sembra non risiedere
nel taglio o meno delle piante, nelle sostituzioni assurde realizzate sino ad
ora, ma nei metodi semplicistici con cui sono state realizzate opere che erano,
persino, direzionate da un Decreto Ministeriale del 19 aprile 1998, sulla
prevenzione del contagio da cancro del platano.
Peccato che tra ancora, pochissimi anni,
mentre si parla di effetto serra, buco dell’ozono, problema del drenaggio idrico
dovuto allo scioglimento dei ghiacciai, tutti i cittadini di gioia del colle
saranno costretti a ripararsi sotto le piante di more previste per il
rifacimento urbano del 2010.
Roberto Cazzolla
(da Il Giornale del Territorio Murgiano)
RANDAGISMO: Un problema da
risolvere
Lento e
pietoso, trascina il suo pelo intriso di parassiti lungo i marciapiedi della
città. Lo sguardo triste, pieno di rabbia, quella rabbia di chi sa di essere
nato nel posto sbagliato. Deluso da chi sembrava promettergli fedeltà eterna ed
invece, al primo svincolo, gli ha fatto conoscere quanto è ruvido l’asfalto.
Costretto a trascorrere i suoi giorni col collo alla ghigliottina di una catena
che ne imbriglia l’istinto, in una gabbia che non ha spazio neanche per la sua
coda.
Sarà
forse questa l’immagine che ogni giorno, almeno una volta, ci attraversa lo
sguardo, magari ci annusa, ci lecca, ci scodinzola. E prosegue per il suo
vagabondaggio. E’ la storia di tutti loro, cani barboni, privati anche della
propria libertà.
Se la dea
bendata della fortuna è con loro, finiscono al canile, altrimenti sotto un
Mercedes.
Gioia, così
come molte altre città d’Italia, si ritrova invasa da bastardini impauriti,
senza fissa dimora. E se c’è da fare elogio al canile comunale ed a chi, con
tanto amore e dedizione, provvede alle cure ed alla pulizia di questi cani
privati della dignità, non certo si può dire che i quadrupedi siano contenti di
trascorrere gli anni che separano la nascita dalla morte, in una gabbia. Forse
qualcuno si starà chiedendo, perché tanta preoccupazione per i cani, quando c’è
gente nelle stesse condizioni? La risposta è semplice: cambiare rotta ideologica
e privare ogni essere da una sincopata esistenza terrena. Solo un radicale
mutamento concettuale, potrà alleviare le sofferenze di uomini e animali.
Non è facile
demagogia sulla politica. La soluzione c’è e la legge anche. Basterebbe
applicarla. Prescindendo che la soluzione canile sia, il male minore nella
peggiore delle ipotesi, l’anello del randagismo gioiese, ma addirittura
nazionale, si chiuderebbe con due piccoli accorgimenti.
Innanzi tutto,
è necessario inserire il chip a tutti i cani di “proprietà”, tutti quei cani
cioè, che hanno un padrone, e registrarli all’anagrafe canina. Di questo ogni
cittadino è responsabile ed il Comune di Gioia opererebbe gratuitamente. I
possessori di cani che non adempiono alla registrazione ed all’inserimento del
chip, sono perseguibili dalla legge. In questo modo, chiunque dall’animo velato
di fuliggine, ci penserebbe due volte prima di abbandonare il suo fedele
compagno, non fosse altro per il timore di essere scoperto.
Secondo
accorgimento. Tutti i cani randagi, cioè non dichiarati da nessun cittadino,
oltre all’inserimento di un apposito chip, a spese del comune gioiese,
verrebbero sterilizzati, vaccinati e curati ogni qualvolta necessitano da un
veterinario convenzionato dal Comune stesso. Così, le nascite di randagi
sarebbero bloccate e gli abbandoni, che la sprovveduta legge Sirchia ha
contribuito ad incrementare, rasenterebbero quota zero.
Per il
controllo dei trasgressori, per il censimento dei cani e per il monitoraggio
degli abbandoni, sarebbero individuati degli speciali agenti cinofili, che
fungerebbero da Polizia Municipale autorizzata.
Il
sovraffollato canile gioiese, del quale è previsto un ampliamento strutturale a
spese dell’Enpa, continuerebbe così ad accudire i cani già detenuti e pian
piano, si potrebbe trasformare in un ricovero per randagi malati.
I vantaggi
sono tre. Il genitore apprensivo, non avrebbe più timori guardando il figlio
giocare con un “cane di strada”, il fenomeno del randagismo sarebbe controllato,
stazionario e sanitariamente sicuro, i cani si riapproprierebbero della libertà
di vivere in quelle città che noi abbiamo invaso di cemento, privandoli del loro
spazio, e le sbarre del canile resterebbero solo un incubo.
Chissà se,
l’amministrazione comunale gioiese, continuerà ad ignorare il problema,
finanziando i canili degli altri comuni (1,29 euro al giorno, a cane, al Canile
di Cassano) o deciderà di prendere in seria considerazione la proposta?
Roberto Cazzolla
(da Il Giornale
del Territorio Murgiano)
QUEL VERDE
MAL DISPOSTO CHE TAGLIO E LASCIO ANDARE
Chissà cosa penserebbero i nostri avi
guardando quel semino che un tempo avevano piantato ed ora da un giorno
all’altro sta per essere tagliato. Quel seme gettato là, quasi fosse una cicca
di sigaretta, dopo decenni si è trasformato in un albero. Ma guarda un po’, non
doveva nascere lì. Perché proprio lì, nel giardino di una scuola, nella piazza
di un quartiere, sul piazzale del Municipio. Quel seme, mai avrebbe creduto di
trovarsi, un giorno, soffocato dall’asfalto e dal cemento. Quel futuro albero,
non immaginava di dover finire nel camino del pasticciere o nel forno del
pizzaiolo. Forse quand’è stato piantato, il suo scopo era di abbellire
l’ambiente, donare ossigeno ed ombra ai passanti.
Strano, che invece di apprezzarli, questi
giganti dal corpo ruvido e dalle membra coriacee, si fa di tutto per estirparli.
Perlomeno, l’Ufficio Tecnico adibito, fa di tutto per rinnovare. Si rinnova
P.zza Pinto ed essenze d’inestimabile interesse spariscono come vittime di un
incantesimo; si intravede un pericolo per la gente e si sostituisce a pini ed
abeti secolari di P.zza Don Luigi Sturzo, alberelli a basso fusto. Senza alcuna
concessione, si rade al suolo un intero querceto, per piantare alberi di
ciliegie sulla via d’Acquaviva; si giudicano secchi gli alberi del centro e si
fa piazza pulita al Municipio, all’ingresso di via Roma; si fa scempio di un
pino comune della villa comunale, ritenuto troppo vecchio e rinsecchito ed ora,
come se non bastasse, alzando lo sguardo verso il giardino della scuola media
Carano, si possono ammirare i terribili resti di pini decapitati, smembrati,
squartati, rei di essere diventati pericolo per la pubblica sicurezza.
Ma, niente paura. Ecco, pronti in
alternativa, squallidi giardini di piantine, quasi fossero basilico o
prezzemolo; aiole per tutti i gusti, tonde, quadre, romboidali, tetraedriche;
tutto fuorché alberi.
Le motivazioni come detto, lasciano a
desiderare. Il sospetto che il pretesto di piantumazioni mal disposte dai nostri
cari ed ignoranti nonni, sia da scudo all’incompetenza dei tecnici comunale che
credono che potare voglia dire “rendere gli alberi simili a tralicci telefonici”
è legittimo. Chiome troppo pesanti da poter essere rette da fusti troppo giovani
“snelliti” oltremodo, radici soprelevate dall’assenza di spazio e manutenzione,
potature selvagge e pollice verde perso in battaglia.
Premettendo che la sicurezza venga prima di
ogni altra cosa, si farebbe bene a dare giudizi competenti ed iniziare lavori
con cognitio causae, altrimenti in pochi anni saremo invasi da piantine ma
privati d’aria pura e fresco refrigerio.
Ha le sue ragioni il sindaco Povia, quando,
qualche settimana fa, insignito del premio “Bosco 2003” ha chiesto stupefatto
agli assegnatari: “Ma cosa ha fatto il Comune di Gioia del Colle per meritarlo?”
Nessuno ha risposto!
Roberto Cazzolla
La cicogna
Ricongiungersi alla natura è più facile di quello che sembra.
Soprattutto quando è la natura ad avvicinarsi agli uomini.
Maggio e Giugno, si sa, sono i mesi dell’esplosione vitale degli esseri viventi.
Gli alberi ricominciano ad attuare la fotosintesi, invogliati dai tiepidi raggi
di sole che colpiscono le giovani foglie all’alba.
I
fiori danno vita ad un intreccio effusivo di colori, segnando il paesaggio con
tinte e geometrie che difficilmente si possono ammirare in altri periodi
dell’anno.
Molti mammiferi svernano dal lungo letargo che li ha visti assopiti e inermi in
attesa del ritorno del grande caldo.
Gli uccelli, tornati dalle calde zone africane, scrutano la costa mediterranea
alla ricerca di luoghi favorevoli per nidificare. Di tanto in tanto si
addentrano nell’entroterra alla ricerca di cibo, per poi tornare al nido dove
numerose bocche, anzi becchi, attendono smaniose.
Scene di incontaminata bellezza scorrono sulla pellicola della primavera,
restituendo alla gente la fantastica sensazione di appartenenza a tutto ciò che
la natura crea. Vivendo nelle zone meridionali dell’Italia, la possibilità di
assistere alla rinascita della terra è certamente notevole. Spesso non ci si
accorge di quello che accade sotto i nostri occhi, così da ignorare d’impulso la
magnificenza del mondo. Eppure basterebbe prestare un minimo di attenzione per
accorgersi, magari, che una cicogna dalla livrea bianca e nera, quella ammirata
solo nei cartoni o nei documentari, ha fatto capolino in un campo incolto del
tuo paese.
E
così, Gioia del Colle, si sveglia una tiepida mattina di fine maggio annoverando
tra i suoi abitanti un’insolita apparizione. Su di un campo di fieno nei pressi
del parco archeologico di Monte Sannace, volava con una soave armonia tale da
apparire un angelo, una cicogna bianca (ciconia alba) adulta. In molti ora si
chiederanno quale sia la straordinarietà dell’evento. Ebbene è da anni che in
Italia la popolazione di cicogne è ridotta al minimo (100 esemplari in tutta
Italia nel 1999) a causa dell’uomo e del suo sfruttamento indisciplinato
dell’ambiente in cui vive. Utilizzo improprio di diserbanti, veleni per topi,
inquinamento delle acque e atmosferico, hanno costretto molti esemplari ad
allontanarsi dalla penisola italiana per trasferirsi in zone dove le condizioni
di vita erano migliori. Ecco, quindi, che l’insolita visita di una cicogna è
accolta dagli ambientalisti come un grande evento.
La cicogna che ha fatto visita alla collina peuceta, probabilmente un esemplare
di sesso maschile, volava alla ricerca di cibo, piccoli mammiferi o insetti,
scandagliando il terreno sottostante con le zampe distese e il lungo becco
arancione proteso in avanti. La sua visita, però, è stata fugace. Povera
cicogna, forse si aspettava di trovare un’accoglienza migliore. Molti gioiesi
erano al corrente della sua venuta ma pochi ne erano interessati, a
dimostrazione dell’assopimento ecologico della cittadina.
Eppure non capita tutti i giorni di trovarsi davanti ad un esemplare in grave
pericolo di estinzione.
Ma cara cicogna, non disperare, il tuo avvento è
stato di presagio, come una colomba bianca portatrice di pace, tu hai sostato
per un po’ in queste terre per ricordare a chi vi abita che l’armonia con la
natura e il rispetto della la vita sono la vera essenza dell’uomo.
Spesso dalla natura ci arrivano effimeri segni, richiami atti a farci
riappropriare dell’idea che facciamo parte di un tutto e, come la terra ha
bisogno dell’uomo, anche l’uomo ha bisogno della terra e di tutto ciò che la
compone.
Roberto Cazzolla
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