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Tratto da "Confessioni"

Annotazioni sulla Germania

di Pierre Drieu La Rochelle

Sono stato stupito oltre ogni misura dall'incapacità politica di cui hanno dato prova i Tedeschi nel 1939, '40 e '41, dopo le loro vittorie. È stato in quel momento che, con i loro errori politici, hanno siglato le loro future sconfitte militari.

Questi errori sembrano ancora più grandi di quelli commessi dai Francesi al tempo di Napoleone; sarebbe andata così per il semplice fatto che i Tedeschi non hanno saputo imparare la lezione dell'avventura francese.

Bisogna vedere dietro l'incapacità tedesca l'incapacità "fascista" in generale? O c'è in essa qualcosa di specifico? Entrambe le spiegazioni sono buone, in media.

La massima idiota portata avanti da Hitler, era: «Per prima cosa, faccio e vinco la guerra; poi, regolerò la politica interna dell'Europa». Questa massima era contraria a tutti gli insegnamenti della storia, a tutte le regole stabilite dai politici migliori, in particolare i Tedeschi: Frédéric e Bismarck. Clausexvitz aveva detto: «La guerra è solo una parte della politica».

Ma se si accetta, per un attimo, la massima hitleriana, allora si vedrà che il dittatore tedesco ha incominciato col fare degli errori militari.

1.       Perché ha aspettato sei mesi tra la campagna di Polonia e quella di Francia?

2.    Perché ha perso altri dieci mesi dopo la campagna di Francia?

3.    Perché durante l'inverno '40-41 si è accontentato dell'offensiva aerea sull'Inghilterra, che era un fallimento fin da settembre, al posto di colpire l'Impero inglese nel suo punto veramente accessibile, Gibilterra?

Fin dal giugno 1940, doveva attraversare la Spagna , per amore o per forza, distruggere la base navale di Gibilterra (il che era facile), tenere in scacco la rocca ormai inutile, impadronirsi di Tangeri e chiudere il Mediterraneo.

L'armistizio con Pétain è stato un disastro per i Tedeschi. Se i Francesi avessero seguito la politica di Reynaud, continuando la guerra in Africa, avrebbero costretto i Tedeschi a fare quanto bastava a fargli vincere la guerra. Padrone dello stretto di Gibilterra, Hitler avrebbe reso inutile Malta, le sciocchezze italiane nei Balcani e si sarebbe assicurato la possibilità di cominciare subito e con poca spesa la campagna d'Egitto. Al posto di bombardare Londra, bisognava impadronirsi del Cairo, di Alessandria e di Suez, prima della primavera 1941. Significava assicurarsi la pace nei Balcani, evitare le stremanti occupazioni della Jugoslavia e della Grecia.

Questi errori militari si spiegano con la totale mancanza di immaginazione di cui Hitler ha dato prova al di fuori della Germania. Egli era solo un politico tedesco, buono per la Germania ; lì era geniale, ma non lo era che lì. Senza cultura politica, senza educazione né tradizione di ambiente, senza aver mai viaggiato, xenofobo come sono spesso i demagoghi usciti dal popolo, ha perso fin da quando ha dovuto portare la sua strategia e la sua politica fuori dalle frontiere del suo paese. Tutto il suo sogno, tutta la sua capacità, stavano nel vincere la guerra del 1914, ma alle condizioni del 1914. Ha potuto soltanto migliorare la macchina tedesca a partire dai dati del 1914. Ma non ha previsto né assimilato le condizioni del 1940. E anzi, è già dir molto, perché pur non avendo sottovalutato che a metà i progressi della Russia, non ha per nulla tenuto conto delle indicazioni di potenza fornite dall'America già nel 1918.

Ha capito l'importanza del carro e dell'aviazione, ma in misura insufficiente, rispetto alle esagerazioni industria­li dell'America e della Russia. Ha trascurato l'artiglieria e, rispetto al 1916-18, era una regressione. Quello che si dovrebbe rimproverargli meno è la sottovalutazione dell'arma sottomarina, benché la lezione del '18 fosse già chiara. Ma lì, veramente, gli Anglosassoni hanno dispiegato il loro genio marittimo in una maniera che non può essere abbracciata da un continentale.

L'errore politico è stato più completo e peggiore dell'errore militare da parte di Hitler; non un istante, egli ha mostrato il minimo barlume di comprensione del problema. Era rimasto rigorosamente, in quest'ambito, ai punti di vista anteriori al 1914: la forza più o meno maschera­ta dalla diplomazia, la ragion di Stato puramente nazionale, una politica di gabinetto e di cancelleria. Ha persine mostrato un senso dell'Europa minore di quello che avevano vecchi aristocratici come Bismarck e Guglielmo II di Hohenzollern; loro non avevano dimenticato la tradizione di solidarietà tra dinastie, corti e nobiltà e il rispetto di un certo statu quo spirituale e morale.

È curioso che quest'uomo che sapeva, nel proprio pae­se, manipolare le masse, che sapeva mantenere il contatto con il popolo, non abbia, neppure per un secondo, seria­mente concepito la necessità di trasporre il metodo della politica tedesca all'Europa. Non ha capito che gli era necessario, in Europa, fare della politica interna e non della politica estera. L'ultima parola non era più dei capi servizio della Wilhelmstrasse, degli ambasciatori e di una pro­paganda - stampa e radio - che era semplicemente un mezzo di amplificazione dei comunicati diplomatici; essa era di agenti politici che contaminassero le masse europee da sedurre, di quegli stessi mezzi diretti e pazienti di seduzione sociale che avevano avuto successo in Germania e avrebbero potuto aver successo altrove.

Quel che è mancato a Hitler, è stato non osar fare una vera politica di penetrazione. Entrato in Polonia, in Francia o altrove con le sue armate, non ha pensato di stabilirvisi con i mezzi sociali e politici della sua politica interna. Ha semplicemente ricoperto i paesi occupati di soldati e di poliziotti come nel buon tempo andato. Ma nel buon tempo andato, i popoli occupati non reagivano affatto, perché non temevano l'autentica conquista e non si era ancora sviluppata la possente concezione di politica illegale che la Russia ha messo a punto e di cui ha fornito il modello all'Europa. Bisognava prendere delle misure politiche e sociali che stabilissero una solidarietà di fatto tra i paesi occupati e il paese occupante. Bisognava:

1.       Mettere da parte tutto l'apparato delle antiche guerre di conquista, tutto quello che significava vittoria degli uni e sconfitta degli altri; insomma, niente bandiere tedesche, niente cambio della guardia, liberazione dei prigionieri, mantenimento delle bandiere nazionali e di
un minimo di eserciti nazionali.

2.       Scatenare plebisciti per far ratificare i trattati di pace ma come accordi da popolo a popolo sul principio della federazione europea e della difesa continentale contro i differenti intrusi ed eccentrici.

3- Abolire le frontiere doganali, non abbandonarsi a alcuna malversazione capitalistica o finanziaria, ecc.

4. Non abbozzare alcuna conquista territoriale. Tutto ciò che in questo ambito, avrebbe rischiato, ciò di cui si sarebbe privato, l'avrebbe ritrovato centuplicato poi.

Ci si chiede se i Russi saranno più smaliziati dei Tedeschi, è molto dubbio. Quest'osservazione mi induce a chiedermi se tutto quello che giustamente si rimprovera ai Tedeschi in fatto di stupidità politica, non dipenda da tutt'altra giurisdizione. Non è forse colpa del "fascismo", nel senso ampio della parola, in quanto sistema politico e sociale intermedio, compromesso, tra la democrazia liberale e il totalitarismo comunista?        

Non c'è in questo sistema un certo che di "giusto mezzo" che non poteva se non risolversi nel miserabile scacco tedesco?

I  Tedeschi non hanno tradizione politica. La maggior parte di loro è appartenuta per secoli a sfere di potenza e di azione un po' troppo ristrette, a principati o città, in cui non si poteva prendere l'abitudine a concepire e a maneggiare grandi interessi. Tuttavia, c'erano Vienna e Berlino. Ma in queste due capitali, gli affari erano nelle mani di caste ridottissime, e gli eventi del 1918 hanno infranto queste caste troppo all'improvviso perché avessero il tempo di comunicare, attraverso una lenta degenerazione, qualcosa della loro abilità alle nuove classi politiche.

È successo tutto, in questi ultimi anni, come se il Tedesco fosse rimasto quello che era nel XVIII secolo, da una parte uno speculativo e, dall'altra, un uomo di guerra, che faceva la guerra come un mercenario o un fanatico, senza riuscire a legare la propria attitudine e virtù guerriera a un principio di fecondazione politica. L'uomo tedesco ha due mezzi di sviluppo sociale che si riducono a uno, il suo merito di studioso e il merito militare; ne risulta una pos­sente organizzazione. Ma questa organizzazione non raggiunge il livello della sfera politica, in cui sarebbe fecon­data dall'attività psicologica di un ambiente capace di duttilità nel rapporto con gli stranieri e di immaginazione nel­la manipolazione delle forze morali sparse tra la gente.

Il Tedesco essenzialmente non è psicologo. È troppo teorico, troppo intellettualmente speculativo per esserlo. Manca di psicologia come ne manca un matematico o un metafisico. La letteratura tedesca è raramente psicologica; sviluppa idee, non caratteri. Il solo psicologo che cono­sciamo è Nietzsche. Sapeva di essere il solo della sua specie, l'ha detto a sufficienza e se n'è abbastanza vantato, al­le spalle dei suoi compatrioti. Lo attribuiva alla sua origine, che supponeva slava. In ogni caso, ha saputo darsi un'educazione da psicologo vivendo fuori dalla Germania, in Italia, e imbevendosi di letteratura francese.

In questo ambito, i Francesi hanno in parte i difetti dei Tedeschi. Politicamente, sono molto meno plastici degli Inglesi e dei Russi, che hanno la migliore letteratura psicologica e dunque la miglior diplomazia e politica. Non si sa cosa siano gli Americani; dal momento che non sono qua­si più inglesi e non si sa cosa stiano per diventare.

Senza dubbio, i Francesi, al culmine della loro potenza, non hanno saputo mostrare, sotto Luigi XIV, la Convenzio ­ne, il Direttorio e Napoleone, molta più destrezza dei Tedeschi nel maneggiare l'Europa. Gli Inglesi hanno acquisito una grande scienza diplomatica a maneggiare le diverse razze presenti nel loro impero, dal contatto con l'Oriente e da una continua attività mercantile. Lo stesso vale per i Russi. Ecco quel che è soprattutto mancato ai Tedeschi, e in parte ai Francesi, non solo l'abitudine a guidare un grande Stato imperiale dagli interessi complessi e contraddittori, ma soprattutto non avere per secoli amministrato razze straniere, molto diverse. La classe politica hitleriana non era differente, come origine, dalla classe weimariana: era una classe piccolo-borghese, giunta d'improvviso al potere dopo secoli di servitù nei confronti dei principi e dei nobi­li, e si è trovata senza alcuna disposizione e senza appoggio sufficiente da parte degli elementi decaduti.

Hitler non ha potuto fare l'amalgama che si è prodotto, bene o male, in Francia alla fine del XVIII secolo tra il personale del vecchio regime e quello del nuovo: è ar­rivato troppo tardi; in Germania, come nel resto d'Europa, le forze sociali erano troppo logore per sopportare la rottura del '18 e superarla.

In Russia, l'educazione imperiale dei Moscoviti, doven­do dominare venti razze, ha continuato il proprio sforzo. E poi, tramite ciò, il mondo sociale risulta molto più gio-vane, molto più fresco. E alcune razze orientali hanno portato le loro disposizioni: gli Ebrei, i Georgiani, i Tartari. Il comportamento di Hitler è molto significativo della situazione arretrata del comportamento tedesco e, per soprappiù, di quello europeo. Questo figlio di doganiere austriaco ha ereditato tutti i pregiudizi della generazione che lo ha preceduto. È stato così anche per Napoleone Bonaparte, incurabilmente segnato dall’Ancien Regime. Hitler aveva un rispetto inalienabile per l'esercito tedesco e l'ari­stocrazia prussiana, come ogni Austriaco del partito all-deutsch, il partito germanofilo. Per questo, a dispetto di tutto ciò che l'ha opposto a loro, è sempre rimasto, in fondo, il vecchio agente politico della Reichswehr che era a Monaco nel 1910. Il fatto che non sia mai stato clericale, anzi il contrario, era pure tipico del partito all-deutsch, che si distingueva in questo dal partito cristiano-sociale, che era il partito clericale dell'Austria. Se è entrato in un partito socialista - di cui è prontamente diventato il capo - fu soprattutto perché questo partito era al contempo nazionalista. Il fenomeno nazionalista è sempre stato più importante per lui del fenomeno socialista. Eppure gli anni di miseria che ha conosciuto avrebbero dovuto inclinarlo altrimenti. Ma per molti piccolo-borghesi di ogni paese la passione nazionale è più forte della passione sociale. Il padre di Hitler era un piccolo funzionario che voleva uscire dalla condizione popolare e voleva che il figlio ne uscisse. La gente del popolo che entra nella piccola borghesia è più piccolo-borghese degli altri. Ora, un tratto della piccola borghesia, soprattutto in un paese a forte gerarchia come era allora ancora l'Austria, è la reverenza segreta o aperta per le virtù aristocratiche: spirito guerriero e spirito d'autorità.

Hitler ha rappresentato riguardo all'aristocrazia militare i risultati incresciosi della rivoluzione del '18 e tuttavia sperava di salvare il più possibile di quella classe. Voleva salvar­ne lo spirito compiendone la distruzione come classe. Così Napoleone rispetto alle classi dell'Ancien Regime. I salvatori sono più detestati e più odiati dei distruttori anche perché, se da un lato si oppongono ai distruttori, sono poi costretti a confermare le distruzioni operate e partecipano delle stesse ignoranze e delle stesse nuove conoscenze dei distruttori. Napoleone voleva conciliare Giacobini e emigrati costringendoli a concessioni reciproche; Hitler voleva conciliare i guglielmini e i weimariani. Alla fine sono stati odiati entrambi, soprattutto dai sostenitori del vecchio regime.

C'era del nuovo in Hitler; era che rappresentava la piccola borghesia giunta al potere sotto un aspetto diverso ma vicino alla socialdemocrazia e al Centro; e questo fat­to, a dispetto delle preoccupazioni che lo dominavano, si è concretizzato nella relativa realtà del suo socialismo. Ma per conciliarsi le vecchie classi - di cui credeva di aver bi­sogno per fare la guerra — ha rinunciato al pieno dinamismo che era in questo socialismo. Il fatto è che, così come lo si è visto, quel socialismo non era molto dinamico né in lui né negli altri piccolo-borghesi della sua specie. Appena un po' di più che nei piccolo-borghesi o operai qualificati della vecchia socialdemocrazia.

Un Hitler o un Mussolini non avevano in sé il bisogno appassionato di realizzare il socialismo. Invece tale senti­mento era forte in Lenin o in Stalin, perché per i Russi il socialismo era l'elemento in vista della loro nuova cultura appresa dall'Europa. I Russi si sono buttati sulla teoria socialista, come un tempo i barbari sul cristianesimo ariano, e i neri sull'alcol.

È per questo che Hitler ha sacrificato così facilmente il vero dinamismo del suo movimento alle concessioni da fare all'aristocrazia della Wehrmacht e dell'industria pesante. Credeva che solo quest'ultima potesse fornirgli i tecnici per la sua guerra di conquista in Europa. Di fatto, gli ha portato una concezione logora, ristretta, poco rinnovata -che ha coinciso, pressappoco, con le sue stesse concezioni di vecchio caporale veneratore della gerarchia e della tradizione dall'alto. O piuttosto, si è prodotta un'incresciosa interferenza tra Hitler e lo Stato Maggiore. Lui ha avuto alcune intuizioni (l'affare di Norvegia) che hanno sconvolto le abitudini dello Stato Maggiore, e hanno impedito loro di funzionare secondo certe norme di prudenza che, seguite fedelmente, avrebbero forse dato buoni risultati. In compenso, quelle intuizioni, venendo applicate da degli abitudinari, si sono impantanate cammin facendo, e in fin dei conti sono state soltanto sporadiche.

Avrebbe fatto meglio a cominciare con una purga, come Stalin, e uccidere i suoi vecchi generali rimpiazzandoli con capitani e colonnelli, prima di iniziare la guerra. Ma i subalterni erano dello stesso stampo dei superiori. Si è tutto sommato scontrato, negli altri e in se stesso, con l'invecchiamento della Germania e dell'Europa.

Mentre Russi e Americani, per esperti e probabilmente mediocri che siano, sono trascinati dalla corrente di grandezza scatenata dalla potenza della loro base geografica e geologica, e dall'ampiezza del loro impero e della loro industria.

Il "fascismo", in senso lato, ha fallito come mezzo di organizzazione dell'Europa perché era un sistema del giusto mezzo. Era un tentativo di trovare un compromesso tra capitalismo e comunismo. I sistemi del giusto mezzo cominciano, opponendosi alla ferocia degli estremisti, col sembrare meno feroci di loro. È certo che durante i primi anni, quello che è accaduto in Italia e in Germania era molto meno sanguinoso di quanto accadeva in Russia e anche di quanto era accaduto in Inghilterra e in Francia, all'instaurazione del regime borghese da parte dei Puritani e dei Giacobini, Ma quasi subito, in una lotta che si rivela sempre più difficile per loro a causa dell'incertezza e della fragilità della loro base ideologica, i regimi del giusto mezzo si esasperano e diventano feroci, tanto quanto i regimi estremisti Si perdona meno la loro ferocia perché è meno efficace di quella estremista e da loro ci si aspettava qualcos'altro.

Il fascismo ha fallito perché non ha potuto diventare veramente socialismo. E la ristrettezza della sua base na­zionalista gli ha impedito di diventare un socialismo europeo. C'è in questo azione e reazione: la debolezza del socialismo mussoliniano e hitleriano gli ha impedito di superare le frontiere nazionali e portare irresistibilmente a un nazionalismo europeo; la ristrettezza del nazionalismo mussoliniano e hitleriano ha soffocato i germi di socialismo, riducendoli a uno statalismo militare.

Lo scacco del fascismo, ultima creazione sui generis dell'Europa, dimostra la decadenza dell'Europa, che può ricevere un sistema solo dall'esterno, dalla Russia. Infatti l'America è in piena trasformazione e non avendo trovato niente di nuovo, non può proporre niente.

L'incapacità totale della Germania ad adattarsi a una missione europea e a organizzare l'Europa viene a seguito di un'incapacità dell'Inghilterra e della Francia. Questa se­rie di carenze ha un significato pesante, vale a dire che l'Europa è incapace di costituirsi da sola e, dunque, di salvarsi. Dopo il disastro delle tre grandi potenze europee, non resta altro sbocco se non l'intervento esterno, l'intervento americano o russo. Quest'ultimo sembra più possibile e probabile del primo; entrambi hanno un inconve­niente in comune, ed è che coinvolgono imperi che hanno interessi tutt'altro che europei. L'America è a cavallo tra l'Atlantico e il Pacifico, è sollecitata dall'India, dall'Estremo Oriente, e persino dall'Africa e dal Medio Oriente. La Russia è tanto asiatica che europea.

Ne risulta che l'impero extra-europeo che dominerà l'Europa, dovendo in più dominare altre parti del mondo, sarà indotto, per soddisfare compiti così gravosi, a vedere continuamente solo regole d'urgenza e espedienti che convengano alla sua condotta, a ricorrere all'astuzia e alla violenza, alla ragion di Stato più imperialista, a trattare l'Europa come un oggetto di timore, di sospetto e di sovversione machiavellica.

L'Europa avrebbe potuto essere salvata solo da un'affermazione netta, definitiva e in tempo utile, del socialismo. In tempo utile, vale a dire prima che la Russia avesse preso, con la sua forza industriale e militare, posizioni strategiche tali, in Europa, che la sua affermazione di esser la sola rappresentante e la sola procura efficace del socialismo diventasse irresistibile.

Essendo il socialismo il solo mezzo di vita delle società di questo secolo, bisognava che l'Europa, per difendere la propria figura storica e il proprio contenuto spirituale, si affermasse e si dimostrasse socialista da sola e con forza.

Solo la pratica del socialismo poteva obbligarla a vincere e a superare i suoi dissensi interni, le sue divergenze nazionaliste. Solo il socialismo poteva darle un senso inte­riore, materiale e spirituale; con l'allusione diventata puramente teorica - dopo la fine della cristianità, dopo la fine dell'Europa monarchica e aristocratica, dopo la fine dell'Europa del liberalismo e dei Lumi, della borghesia e della massoneria - alla sua identità e alla sua unità.

Adesso è troppo tardi, e l'imperialismo russo troverà una giustificazione invincibile nella realizzazione sociali­sta che porterà all'Europa, non essendo quest'ultima riuscita a assicurarsela da sola.

È probabile, invece, che l'America avrà il tempo di ri­guadagnare il terreno perduto e fare il proprio restauro socialista, prima che le venga imposto dall'esterno. Ma che cosa potranno fare gli Stati Uniti con i loro 130 milioni di abitanti - anche incrementati dagli 80 ai 100 milioni di Sudamericani - contro i 200 milioni di Russi incrementati dai 100 milioni dell'Europa orientale - e forse di tutta o parte della Germania - dell'Italia, della Spagna così facili da rendere favorevoli al comunismo - e infine di tutta l'Europa?

 
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