la
Controvoce
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FRONTE PATRIOTTICO BELLI E RIBELLI |
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FASCISMO, COMUNISMO, SINTESI di M. Pistilli Sono
decenni che gli osservatori e gli studiosi più illuminati ci fanno
riflettere sul significato dei concetti di “destra” e
“sinistra”. O meglio, sulla loro totale perdita di significato. Alla
luce delle odierne concezioni politiche infatti, i due termini mostrano
tutta la loro inadeguatezza non essendo più minimamente capaci di
descrivere la realtà politica contemporanea; qualunque sia il senso in
cui si voglia definirli, si finisce sempre alla stessa e fatale
conclusione, cioè alla necessità di abbandonarli e cercare nuove
strade. Se consideriamo “destra” e “sinistra” non come ideologie
politiche, ma come descrizioni strategiche di chi vuole o non vuole
conservare un determinato sistema politico, subito ci troviamo di fronte
a contraddizioni: forse oggi nel panorama politico istituzionale (ma
anche fuori) esiste qualche forza che non accetta l’attuale sistema e
lo vuole cambiare? La nostra risposta è no, quindi ne deriverebbe che
oggi il panorama politico è esclusivamente animato da forza di
“destra”. Anche ritenendo accettabile tale definizione ci troveremmo
dinanzi alla stessa conclusione di inadeguatezza della distinzione:
infatti non esistendo affatto l’altro concetto “sinistra” non c’è
nemmeno logica a ragionare ancora in termini di tale contrapposizione.
Volendo invece fare della questione un confronto di ideologie, ci si
ritrova ancora una volta in una situazione ambigua: come definire
l’ideologia di “destra” e “sinistra”? Chiederlo ai militanti
sarebbe inutile, visto che la risposta apparirebbe di parte ed
abbastanza infantile: i nostri (chiunque essi siano) sono i buoni e
onesti gli altri i cattivi e corrotti. Quindi cercando un po’ più in
profondità le differenze, ci troviamo comunque davanti ad un muro di
complicazioni, contraddizioni. Il sistema politico sostenuto dai
rappresentanti e
gli ideologi di chi propugna tali concetti è lo stesso, cioè la
liberaldemocrazia; Il sistema economico sostenuto è lo stesso cioè
liberismo, finanziarismo; il sistema culturale ancora lo stesso
essendoci uniformità nell’accettare la cultura anglosassone come
guida della civiltà. Questo solo per notare sinteticamente e
superficialmente che sui grandi temi differenze non ce ne sono. E su
cosa dovrebbero esserci allora? Visti gli stessi poteri ai quali si
inchinano, le stesse oligarchie che animano e frequentano, comunque, i
propugnatori dei concetti di “destra” e “sinistra” sono identici
anche nei piccoli temi, nelle sfumature. Inutile fare esempi e nomi,
tutti con un po’ di coraggio devono ammettere che oltre la solita
propaganda mediatica, troviamo una classe politica omogenea e fedele a
se stessa. Ciò che diciamo oggi sulle categorie da sorpassare viene in
realtà sostenuto da oltre un secolo; infatti senza voler citare periodi
ed ideologi che potrebbero far sorgere polemiche inutili, è abbastanza
facile ritrovare tali concezioni anche durante il periodo cosiddetto
giolittiano. E’ dall’inizio del novecento infatti che i critici più
attenti iniziano a parlare di superamento dei concetti (datati fine
ottocento) di “destra” e “sinistra”. Un esempio potrebbe essere
il programma politico del “conservatore” Sidney Sonnino, considerato
quindi uomo di destra, programma socialmente assai più avanzato, tanto
da proporre una sorta di socializzazione delle fabbriche, di quello del
“progressista” Giolitti. Ciò non perché chi scrive è un
appassionato sostenitore di Sonnino (giammai), ma per dire, come dissero
allora, che i concetti delle classiche divisioni erano superati. Da
questa situazione politica ormai inadeguata, all’inizio del secolo,
nacquero i partiti di massa (socialista e cattolico), e ci fu un
fermento tanto incomprensibile quanto necessario, ben poco concepibile
se non ci si pone in un’ottica diversa da quella classica (vedi
Mussolini socialista rivoluzionario, i sindacalisti come Corridoni o De
Ambris, gli anarchici divenuti fascisti e tanti altri esempi). Ora ci
troviamo di nuovo di fronte ad una situazione politica totalmente
inadeguata e cominciano a manifestarsi i segni di cambiamenti radicali
nelle concezioni politiche. “Scrivere oggi dei partiti italiani riesce
ancor più difficile, perché di essi, da un certo punto di vista, si può
fare la storia delle cose che furono, anziché la fotografia istantanea
delle cose viventi” essi sono “in continua trasformazione, per non
dire più rudemente, che sono in putrefazione”; questa frase fu del
repubblicano (quindi un moderato) Colajanni nel 1912, è una delle
infinite frasi che potrebbero essere state scritte da un nostro
contemporaneo. In
verità questa situazione politicamente inadeguata ha radici lontane e
deriva direttamente dall’idea e l’esercizio ed i significati della
liberal-democrazia. Ma se ciò non bastasse, non si può far finta di
non rendersi conto che da cinquant’anni addietro ad oggi (per non
andare troppo lontano nel tempo), molto, quasi tutto è cambiato. Oggi
ci troviamo in una nuova era, un’era post-industriale, conosciamo
tecnologie e quindi esigenze che pochi decenni fa non erano nemmeno
immaginabili. Le ideologie politiche invece ( per non parlare dei
politici!), sono rimaste immutate passando come se niente fosse
attraverso situazioni e tempi totalmente diversi. Questo, per chi si
interessa di politica, è chiaramente un’infamia, visto che gli ideali
politici devono sempre tener conto di che tipo di società si vuole
costruire e in che tipo di società ci si trova ad operare. Le categorie
politiche nate nell’era passata non possono minimamente corrispondere
alle esigenze odierne e future; e qui non si sta facendo soltanto un
riferimento alla strategia, non si vuole solo dire che oggi per
raggiungere determinati obiettivi minimi bisogna rimettersi in gioco, ma
si vuole dire più basilarmente, che le fondamenta delle ideologie
politiche vanno ridisegnate, che il sistema politico liberal-democratico
deve essere affrontato con nuovi strumenti politici. Sembrerà
improduttivo parlare in questi termini in un periodo di grande
conformismo come quello che stiamo vivendo, ma ormai non è più tempo
di tacere. Ogni
discorso (anche il più insignificante) deve avere alla base presupposti
seri e soprattutto deve sapere a chi vuole rivolgersi. Il problema è
che il bisogno di rinnovamento di categorie, ideologie, strategie
politiche è ormai una necessità comune, comune cioè a diverse
categorie di persone. Quelle che vogliamo affrontare qui, quindi, sono
soltanto due (almeno esteriormente, visto che poi in se stesse portano
mille anime diverse) di una più vasta “platea” di individui e
comunità pronte e bisognose di ridefinire in confini certi e innovativi
la lotta politica. Vogliamo
infatti rivolgere l’attenzione, per ora, nei confronti di gruppi che
storicamente sono considerati acerrimi nemici, ma che alla luce (anzi
all’ombra) del presente e del futuro non possono che riavvicinarsi.
Stiamo parlando di tutti coloro che nel corso della loro vita hanno
sentito il bisogno, o meglio il dovere di difendere gli ideali
comunitari, contro quelli dell’omologazione. Infatti una grande lotta
si è manifestata e si manifesta ancora in ogni parte del globo: è la
lotta fra i sostenitori della comunità come tutto e i sostenitori delle
forze dell’individualismo. L’Olismo cioè l’idea che vede una
parte esclusivamente come porzione di un’unità più grande ed
organica, è stato la base comune di passate esperienze storiche,
esperienze trovatesi a volte in conflitto tra loro a causa dei
particolari momenti storici e geopolitici in cui si sono manifestate. Ma
sempre, nella storia, l’Olismo ha avuto il suo acerrimo nemico
nell’individualismo di matrice anglosassone, oggi impersonato dagli
Stati Uniti d’America, che ha sempre trovato il modo di combattere e
temporaneamente sconfiggere gli ideali comunitari. Avvicinare questi
Stati e le idee oliste oggi non riscuote molto successo; anche coloro
che in passato (non sappiamo se lealmente o per propaganda) hanno
tentato ad avanzare proposte del genere oggi vi risponderanno che non è
più tempo di simili alambicchi. Per noi non è così anche perchè
,ripetiamo, vediamo in un’operazione del genere soltanto un aspetto di
un generale rinnovamento delle categorie politiche, rivolto anche a chi
non è mai stato affascinato dai grandi Stati etici. Infatti l’ideale
olista si è sempre manifestato attraverso la volontà di dare vita a
realtà organiche con alla base un’etica, una filosofia capace di fare
da guida alla società nel suo complesso; proprio per la comune matrice
olistica di tale filosofie, crediamo sia più giusto considerarle affini
che non, come ci hanno sempre voluto far credere, ostili. Divide et
impera, una delle strategie più vecchie del mondo, è infatti il nome
del virus usato dagli individualisti per infiltrarsi nei cuori degli
amanti della comunità. Eppure esempi di realtà, idee, esperienze che
procedono nel senso di “unione degli olisti” ce ne sono state. Per
non creare inutili incomprensioni citiamo alcune di quelle lontane nel
tempo, così da tenerci distanti da inutili possibili polemiche. Chandra
Bose eroe dell’indipendenza indiana, potrebbe essere un esempio;
combattente insieme al Mahatma Gandhi contro l’imperialismo inglese,
ha avuto contatti con Italia, Germania, Giappone, Urss ecc. e questo
partendo da genuini ideali socialisti. Nella sua affascinante vita, ha
avuto modo di conoscere da vicino le esperienze, le ideologie, i
guerrieri dell’olismo ed è giunto naturalmente ad elaborare la
concezione di Samayavada e cioè “sintesi” o “eguaglianza”,
concezione che auspica appunto una sintesi fra fascismo e comunismo come
superamento della democrazia occidentale individualista. Altri esempi di
ideologie capaci di superare le differenze fittizie delle grandi
filosofie comunitarie sono quelle che possono essere fatte risalire al
fondatore del Partito Comunista d’Italia Nicola Bombacci e il nazional
bolscevico Ernest Niekisch. Senza addentrarci troppo diciamo solo che
Bombacci finì impiccato a piazzale Loreto, dopo aver propugnato per
tutta la vita un avvicinamento fra l’Italia Fascista ed il comunismo
sovietico, l’altro propugnava, con largo seguito, prima della seconda
guerra mondiale, un avvicinamento fra la Germania e l’Urss, per poi
finire la propria vita da parlamentare della Germania dell’est. Tali
esempi, perlopiù trattati superficialmente non sono la dimostrazione
completa delle idee espresse in questo scritto, ma sono esempi troppo
censurati che devono essere sempre tenuti in considerazione quando si
parla di ideologie politiche e soprattutto di Fascismo e Comunismo. Volendo
quindi prendere in considerazione queste due grandi categorie/esperienze
politiche del novecento, cerchiamo superficialmente i valori ancora
validi presenti in esse e di conseguenza quelli da abbandonare
definitivamente. Il
Fascismo è da sempre una questione spinosa per chiunque; come molte
ideologie, è stato interpretato in modi molto diversi, anche in
contraddizione fra loro, e solo questo dovrebbe far capire che, rimanere
vincolati ed aggrappati ad una purezza poco definibile è piuttosto
inutile. In più, come sappiamo, il Fascismo non si è mai dato una vera
e propria ideologia, lo stesso Mussolini, uno dei maggiori interpreti di
esso, faceva notare la natura pragmatica di questa realtà politica, che
quindi è soprattutto prassi. Ma certamente alcune linee etiche ci sono
eccome, c’è una filosofia centrale che possiamo riconoscere nella
volontà di un approccio organico nei confronti della società. La lotta
alle divisioni e agli scontri sociali è stato uno dei leit motiv
dell’esperienza storica fascista. La socializzazione è
l’incarnazione economica di questa filosofia, incarnazione che auspica
una più vicinanza fra tutte le forze produttive; certo il periodo
storico turbolento ha spesso fatto deviare dagli obiettivi centrali,
portando spesso a scelte sbagliate di sottomissione ai poteri borghesi.
Ciò non deve però far dimenticare il Fascismo del 1919 e quello del
1943 come punti di partenza di questa filosofia (in Italia ovviamente).
La fedeltà allo Stato, come centro vitale dell’organismo sociale è
un altro paradigma dell’idea in questione; questo ovviamente unito al
carattere più moderno della concezione che fu fascista, e cioè la
lotta all’omologazione imperialista culturale e politica, al
mondialismo, alla globalizzazione, lotta che trova la sua forza in un
moderno tradizionalismo; quest’ultimo non può essere inteso come le
molte mode esotiche diffuse nel nostro continente, in continua ricerca
di riempire i vuoti “occidentali”, ma come profonda e spirituale
ricerca delle origini e, con queste, dell’armonia. Come
per il Fascismo non possiamo dilungarci nemmeno sull’omologo
Comunismo. Anche qui intellettuali brillanti e geniali, sono riusciti a
spiegarcelo adeguatamente, a farci vedere le sue contraddizioni e le sue
luci. Contraddizioni che troviamo soprattutto nell’ideologia marxista,
scientifica e quindi inevitabile a parole per chi ci crede (come una
religione), tanto contraddittoria da dar vita ad un’infinità di
correnti totalmente contrastanti. Ma il comunismo non è solo marxismo,
passa anche per le interpretazioni spirituali di un Sorel per esempio
(per citare un altro maestro). E quindi qual’è il Comunismo? La
risposta non possiamo che cercarla in un approccio minimale a tale
filosofia, un approccio che anche in questo caso ci riporta alla ricerca
della giustizia e della comunità organica. Anche in questo caso lo
Stato, la comunità sono al centro delle attenzioni. Come sono al centro
delle attenzioni i sentimenti di conservazione di ogni cultura, di ogni
esperienza, in aperto contrasto con l’imperialismo, la globalizzazione
economica e culturale che produce uno spietato mondo di concorrenza,
uniformato in canoni inumani. Oggi
fascisti e comunisti dovrebbero abbandonare i falsi pregiudizi che
animano gli uni contro gli altri. I tempi sono talmente cambiati dai
primi anni del novecento, che è da stolti continuare a non vedere che i
vecchi attriti, semmai ci siano stati o invece non siano attribuibili
unicamente alla situazione geopolitica del tempo, sono ormai tenuti in
vita artificiosamente da chi ancora oggi trova comoda la situazione.
“Elite” culturali, “capetti” di partitini e gruppi, oggi se
propagandano anticomunismo o antifascismo, sono da buttare. Le classiche
questioni con cui gli uni e gli altri si accusano non hanno più logica.
Uguaglianza e gerarchia
possono essere ancora oggi un metro per dividersi? O forse vogliamo far
finta di non vedere l’ideale di armonia che si pone dietro alla
formula comunista “da ciascuno secondo le capacità, ad ognuno secondo
i bisogni”? Se si seguisse questa formula ci troveremmo dinanzi alla
più vera gerarchia, quella non imposta, bensì scelta, accettata e
propugnata dai membri di una società. Oppure, si deve essere in cattiva
coscienza per non ricordare le lotte per la situazione operaia compiuta
da molti fascisti (non occorre riportare i brani delll’”Appello ai
fratelli in camicia nera” di Togliatti per sottolineare concetti così
evidenti). Classe contro unità
sociale nemmeno può essere considerata oggi una divergenza
accettabile. In una situazione in cui le classi non sono più quelle
“storiche”, dove è lo stato sociale, case, lavoro, ad essere
richiesto da entrambe le parti, come si fa a scontrarsi su tali
argomenti? La lotta di classe ha dimostrato i suoi punti deboli, ed
anche la vecchia concezione che faceva storcere la bocca a più di
qualcuno
(nell’area fascista) ad ogni sciopero, si è rivelata di parte,
sostenuta dai poteri economici che volevano il sacrificio degli
interessi personali, a senso unico in contraddizione con l’idea di
unità sociale, solo dai lavoratori e mai dalle oligarchie. Ormai la
storia li ha smascherati, ma quali fascisti, questi sono sempre rimasti
al potere, e si sono rinforzati con la liberal-democrazia. Si potrebbe
continuare a parlare di false opposizioni, smascherandole, ma studiosi
di ottimo calibro lo hanno fatto e lo faranno sempre più. Sottolineamo
solo che storicamente fascisti e comunisti si scontravano per due
concezioni che consideravano ostili: i primi contro
l’internazionalismo, i secondi contro il nemico borghese; ora è sotto
gli occhi di tutti quanto siano sorpassate tali concezioni, ma ad un più
sincero approccio non possiamo non notare che anche intorno agli anni
venti, i gruppi dirigenti del Partito Comunista d’Italia e del Partito
Fascista non erano poi così diversi da raffigurare classi in
opposizione, in quanto erano rappresentati entrambi dal ceto medio
intellettuale (insegnanti, giornalisti, impiegati, organizzatori…) che
quindi avevano ben poco su cui scontrarsi; quello che non bisogna mai
dimenticare è che l’Europa dal 1914 fino al 1945 è attraversata da
una lunga e sanguinosa guerra, un periodo quindi in cui la geopolitica
è superiore alla politica, e tutto quanto va letto con gli occhi della
situazione e del tempo. Le
persone che si rifanno alle due grandi idee del novecento hanno quindi
in comune un sentimento, un modo di essere che li differenzia dai
sostenitori della concorrenza spietata e dell’omologazione culturale e
spirituale globale. La vecchia distinzione fra sostenitori della società
aperta e sostenitori della società chiusa, ottimamente ribaltata da A.
Dugin, ha l’unico difetto di usare una formula , appunto società
chiusa, spregiativa proprio perché coniata da un liberale quale Popper.
Noi preferiamo quindi rifarci ai termini Olismo – individualismo per
definire all’incirca lo stesso argomento. Per seguire i principi del
primo, abbandonando per un attimo Comunismo e Fascismo, i comunisti e i
fascisti dovrebbero riconsiderare la loro posizione nel mondo materiale
ed in quello delle idee; dovrebbero rielaborare le proprie ideologie,
senza timore di veder sradicate le certezze di intere generazioni, perché
solo rendendo efficace la lotta si tiene alta la memoria di chi ha
combattuto. Quindi riconsiderando se stessi, riavvicinarsi uniti alle
proprie ideologie, ormai depurate dalle contraddizioni, rinnovate in
modo da rendere possibile quella sintesi rivoluzionaria oggi necessaria.
Sintesi che non contiene in se solo il dna delle due immense ideologie
del novecento, ma che è pronta a dare spazio e forza a chi per
quelle due idee non ha avuto la voglia, la possibilità di
lottare. Comunisti e fascisti non devono perdere la propria coscienza,
ma devono rinnovarla, renderla loro più affine e utile ed aprirsi a chi
vuole condividere con loro lo sforzo che condurrà ad un cambiamento di
rotta della politica e
della cultura del mondo intero. |
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