la
Controvoce
|
|||||
FRONTE PATRIOTTICO COMUNITA' |
|||||
|
|||||
|
Alexander Dugin IL PARADIGMA DELLA FINE La guerra delle nazioni Un
altro modello storico interpretativo è costituito dalla varie teorie
etniche, che considerano le nazioni, talvolta le razze, a volte una sola
nazione in opposizione a tutte le altre, come principale soggetto della
storia. In questa sfera la varietà delle versioni è innumerevole. Un
tedesco, Herder, fu il più illustre teorico dell'approccio etnico; le
sue idee furono sviluppate dai Romantici tedeschi, poi in parte prese a
prestito da Hegel, infine applicate dai rappresentanti della
"Rivoluzione Conservatrice" tedesca, specie dall'esponente più
autorevole il giurista Karl Schmitt. L’approccio
razziale è in generale tratteggiato nelle opere del conte Gobineau, in
seguito ripreso dai nazionalsocialisti tedeschi. Ma i rappresentanti
maggiori dell'idea che considera la storia alla luce di una sola nazione
furono i circoli giudaici, sionisti, che si fondarono sulla particolarità
della religione ebraica. A parte ciò, quasi in tutte le nazioni possono
essere individuati - durante il periodo dell'entusiasmo patriottico -
tendenze prossime all'idea dell'esclusività nazionale; ma la differenza
è che quasi mai queste teorie acquistano un'esplicita connotazione
religiosa, possiedono una tale stabilità e sviluppo, presentano una così
antica tradizione storica, e raggiungono un consenso quasi unanime, come
è stato fra gli Ebrei. Esiste
un certo numero di teorie etniche eterodosse ma estremamente
convincenti, che mancano di tutti i caratteri ora menzionati. Una, ad
esempio, è la teoria della “passionarietà” e della “genesi
etnica” avanzata dal geniale scienziato russo Lev Gumiljov. Questa
teoria permette di interpretare la storia mondiale come esito della
crescita di un organismo vivente, dalla nascita alla vecchiaia e alla
morte. A dispetto del suo estremo interesse e della sua capacità di
rivelare molte enigmatiche leggi naturali delle civiltà, questa teoria
non presenta il grado di riduzionismo escatologico che a noi interessa.
Il punto di vista di Gumiljov non rivendica lo status di ultima
generalizzazione. Inoltre, Gumiljov stesso era incline a considerare il
punto di vista escatologico (palese o latente) come indice di uno stadio
nazionale culturale decadente, come una chimera, che sorge in un
paesaggio di culture e nazioni decadenti, private ormai della
passionarietà, prossime alla soglia della morte. Conseguentemente,
il fatto stesso di porre la questione che a noi preme - le varie
versioni dell'interpretazione della "fine della storia" - non
sarebbe altro che l'espressione di una profonda decadenza. Per questa
ragione, dobbiamo abbandonare Gumiljov. In
base a questo esempio, possiamo stabilire un primo criterio e
suddividere le teorie della nazione quale soggetto della storia in due
parti - alcune presentano una dimensione escatologica, altre ne sono
prive. Cosa vogliamo dire? Esistono concezioni storiche etiche che
considerano il destino di una nazione (o di molte nazioni o razze) come
la riverberazione dell'intero senso del processo storico; quindi, il
trionfo finale, la rinascita, o viceversa la sconfitta, l'umiliazione,
la scomparsa di una nazione è considerata come un esito della storia,
l'espressione definitiva del suo senso segreto. Queste
teorie etiche, quelle ad orientamento escatologico, sono quelle che ci
interessano al di sopra di tutto. Le altre teorie, anche le più
stravaganti ed interessanti, ma prive di dimensione teleologica, non
offrono alcun contributo alla comprensione del problema che stiamo
studiando. Così, ad esempio, i nazionalismi russo, americano, ebraico,
curdo, inglese, il razzismo tedesco, tendono a porre la questione in
termini escatologici. I nazionalismi polacco, ungherese, arabo, serbo,
italiano o armeno no, sebbene possano essere altrettanto originali e
pervasivi. Essi sono evidentemente passivi, in senso teleologico. Il
primo gruppo presuppone che una data nazione sia il soggetto primario
della storia, che le sue peripezie formino il contenuto del processo
storico, e che il trionfo finale, insieme con la disfatta delle nazioni
ostili, ponga termine alla storia. Il secondo gruppo non presenta punti
di vista su scala così globale, e si accontenta di insistere
pragmaticamente sul rafforzamento della particolarità nazionale,
culturale e statuale di fronte alle nazioni ed alle culture circostanti.
Ecco l'importante linea divisoria. Lo studio del secondo gruppo di
dottrine etniche non ci è di alcun aiuto nell’esporre un paradigma
storico, anche perché fin dall’inizio la scala storica è stata di
dimensioni troppo ridotte. Viceversa, il primo gruppo soddisfa i nostri
requisiti. Anche qui, peraltro, dobbiamo separare il "globalismo
del desiderio" dal "globalismo reale": una data nazione
deve possedere una grande dimensione storica (in senso sia spaziale sia
temporale) per poterne considerare, anche solo in via teoretica,
l'interpretazione etica della storia - altrimenti il quadro tende al
ridicolo. Ma,
quando anche abbiamo ridotto l'oggetto dell'analisi al
"nazionalismo teleologico", non disponiamo ancora di un quadro
evidente, analogo a quelli ottenuti con i due precedenti paradigmi. E
poiché là sussisteva un'analogia perfetta, di evidenza sorprendente,
fra economia politica e geopolitica, tenteremo - un po' artificiosamente
- di estendere lo stesso modello alla storia etnica. E soltanto allora
vedremo di verificare se una simile identità fosse o meno giustificata.
La
geopolitica ci consente qui di compiere il primo passo. Se
Mare=Occidente, la “nazione dell’Occidente” è il portatore delle
tendenze talassocratiche sotto il profilo etnico. E, poiché abbiamo già
nella nostra equazione la formula Mare = Capitale, l'ipotetica (tuttora)
"nazione dell'Occidente" diventa il terzo membro dell'identità:
Mare = "nazione dell'Occidente" = Capitale. E' facile
costruire l'equazione del polo opposto: Terra = "nazione
dell'Oriente" = Lavoro. Ora poniamo in correlazione entrambe le
nozioni di "nazione dell'Occidente" e di "nazione
dell'Oriente" con alcune realtà storiche definite, e scopriremo la
presenza delle corrispondenti dottrine escatologiche. Qui
vengono in soccorso gli Eurasisti russi (Trubetskoij, Savitskij e
altri). Essi, seguendo Danilevskij, hanno identificato la “nazione
dell’Occidente” nelle nazioni "Romano-Germaniche" e,
correlativamente, la “nazione dell’Oriente” con gli
"Eurasiatici" – al cui centro sono i Russi, sintesi unica
delle nazioni Slave, Turche, Ugro-finniche, Germaniche e Iraniche.
Certamente, parlare di "Romano-Germanici" in termini di
nazione non è del tutto accurato; tuttavia vi sono anche qui delle
evidenti caratteristiche comuni a livello di civiltà e di storia che
richiede una precisazione. L’Impero Romano d'Occidente e in seguito il
"Sacro Romano Impero delle nazioni germaniche" (che in realtà
non fu affatto sacro) è stato generalmente considerato la culla di
quella che si può definire "civiltà romano-germanica".
L'unità nazionale e culturale è presente: ma è lecito parlare di
concezione escatologica unitaria, considerare il destino di quel gruppo
etnico come il paradigma della storia? Se osserviamo attentamente la
logica dello sviluppo mondiale romano-germanico, vediamo che questo
mondo ha sin dall’inizio usurpato ed usato per se stesso il concetto
di "ecumene", cioè "universo", che caratterizza
ancora prima nell’impero Ortodosso l’Aggregato di tutte le parti. Ma
dopo la scissione da Bisanzio, l’Occidente ha limitato a sé solo il
concetto di "ecumene", riducendo la storia universale a storia
dell’Occidente e lasciando fuori non solo il mondo non cristiano, ma
anche le nazioni cristiano-ortodosse e, per di più, l'asse stesso della
genuina Cristianità - Bisanzio. Così, il centro stesso dell'autentica
Cristianità – l’Oriente Cristiano-Ortodosso – è scivolato al di
fuori dei confini del “mondo cristiano" dei romano-germanici. E
inoltre, il concetto di “ecumene europeo” è stato ereditato dalle
nazioni dell’Occidente, sia dopo la rottura dell’unità religiosa
cattolica, sia dopo la definitiva secolarizzazione. Il mondo
romano-germanico ha identificato la propria storia etnica con la storia
dell'umanità: questo ha offerto a Trubetskoij il fondamento per
intitolare il suo splendido libro “Europa e Umanità”, dove egli
dimostra in modo convincente che l’identificazione dell’Occidente
con l’umanità fa di quello il nemico della vera Umanità, nel senso
pieno e normale del concetto. In
questa prospettiva, l’attuale autoidentificazione dell’Europa e
degli Europei con il soggetto etnico della storia incomincia a farsi
percettibile; sempre in questa prospettiva, e quindi la conclusione
positiva (nella mente dei romano-germanici) della storia equivale al
trionfo finale dell’Occidente, del suo "ecumene" culturale e
politico, sopra tutte le restanti nazioni del pianeta. Ciò, in
particolare, presuppone che gli imperativi politici, etnici, culturali
ed economici romano-germanici, generatisi nel corso del processo
storico, divengano quelli universali ed ovunque accettati, e che ogni
resistenza da parte di nazioni e culture autoctone venga spezzata. Questo
escatologismo concettuale delle nazioni europee ha attraversato diverse
fasi di sviluppo. Prima, trovò la sua espressione cattolica e
scolastica, parallela alle dottrine puramente mistiche quali la
concezione del “Terzo Regno” di Gioacchino da Fiore: in sostanza, il
mondo romano-germanico avrebbe completato l'"evangelizzazione"
dei barbari e degli eretici (inclusi i Cristiani Ortodossi!) e sarebbe
venuta l'ora del "paradiso in terra", per molti aspetti
analogo alla dominazione universale del Vaticano, ma condotta al suo
stadio assoluto. Nell'Europa del secolo XVI, l'escatologismo europeo ha
trovato espressione nella Riforma. Più tardi, ha ricevuto la sua
formulazione definitiva nella dottrina anglosassone protestante delle
“tribù perdute” di Israele. Questa dottrina considera le nazioni
anglosassoni come i discendenti etnici delle dieci tribù perdute di
Israele, quelle che - secondo la storia biblica - non fecero ritorno
dalla cattività babilonese. Pertanto, i veri Ebrei, gli Israeliti, la
"nazione eletta”, sono gli Anglosassoni, il "grano
d'oro" del mondo romano-germanico, che alla fine dei tempi dovranno
instaurare il loro dominio su tutte le nazioni della Terra. Nella
formulazione estrema di questa dottrina, affermata nel secolo XVII dai
seguaci di Cromwell, l'intera logica della storia etnica europea è
espressa nella sua forma più concentrata; l’universalismo etico e
culturale dell’Occidente rivendica apertamente, oltre ogni dubbio, la
dominazione mondiale. Così,
giungiamo alla specificazione del soggetto etnico del mondo
romano-germanico. Gli Anglosassoni, i fondamentalisti protestanti di
orientamento escatologico, gradualmente, ma sempre più apertamente, ne
assumono le vesti. Le radici di questa dottrina vanno tuttavia ricercate
nel Medioevo cattolico, nel Vaticano: al riguardo, Werner Sombart offrì
una brillante analisi nella sua opera “Il borghese”. Gli
Anglosassoni, in parallelo al formarsi della concezione che li vedeva
come etnia eletta, furono i primi ad avviare due processi decisivi sul
moderno piano economico e geopolitico. L’Inghilterra fece il balzo
industriale, prima fra le potenze europee entrò nella rivoluzione
industriale, la quale a sua volta innestò un’accelerazione dei ritmi
del capitalismo verso la sua maturazione; contemporaneamente, divenne
padrona dello spazio marittimo planetario, vincendo il duello
geopolitico con i più arcaici, “continentali” e tradizionalisti
Spagnoli. L’interrelazione
fra questi due punti di svolta della storia moderna è dimostrata
chiaramente da Karl Schmitt. Gradualmente, l’iniziativa è passata
dall’Inghilterra ad un altro stato "figlio" - gli Stati
Uniti d'America, poggianti dall'inizio sui princìpi del "fondamentalismo
protestante" e considerati dai fondatori come "lo spazio
dell'utopia", la "terra promessa" dove la storia deve
avere termine con il trionfo planetario delle "dieci tribù
perdute". L’idea si è incarnata nella concezione Americana del
“Manifest destiny”, che vede la "nazione Americana" quale
comunità umana ideale, quale apoteosi della storia mondiale dei popoli.
Una
volta raffrontata l'astratta teoria della "natura eletta"
dell'etnia Anglosassone con la realtà storica, possiamo valutare quanto
enorme sia l'effettiva influenza dell'Inghilterra, avanguardia del mondo
romano-germanico, sull'Europa stessa e, su scala più ampia, sul mondo
intero e sulla storia mondiale. E nella seconda metà del XX secolo,
quando gli USA divennero de facto sinonimo del concetto di "nazioni
occidentali" e simbolo della validità del nazionalismo
escatologico anglosassone, nessuno più può dubitare del "Manifest
Destiny". Ad esempio, mentre il nazionalismo massone-cattolico dei
Francesi, a dispetto del nobile mito dell'"ultimo re", si
dimostrò alla fine regionale e relativo, la concezione anglosassone del
fondamentalismo protestante è confermata non soltanto dagli
schiaccianti successi della "signora dei mari"
(l'Inghilterra), ma anche dalla superpotenza gigante, la sola nel mondo
contemporaneo. Ora
volgiamoci alla "nazione dell'Oriente", agli Eurasiatici. Qui
occorre prestare attenzione, prima di tutto, alle nazioni che hanno
dimostrato di possedere le maggiori dimensioni in senso storico. E
naturalmente, non vi è dubbio che i Russi siano la sola comunità
etnica nel mondo moderno dimostratasi all’altezza della storia, la
sola capace di affermare il proprio escatologismo nazionale su scala
vastissima. Non sempre è stato così: durante alcuni periodi della
storia dell’Oriente i Russi sono stati niente più che una nazione fra
le altre, una nazione che ha visto crescere o decrescere la propria area
di presenza culturale, politica e geografica con sorti alterne. Le due
nazioni più antiche e di civiltà tradizionale più elevata, Cina e
India, nonostante le loro dimensioni ed il loro significato spirituale,
non hanno mai avanzato rivendicazioni di nazionalismo escatologico, né
attribuito alcun senso drammatico ai conflitti e alle relazioni
internazionali. Inoltre, né la tradizione cinese né quella induista
furono degne di nota per il loro “messianismo”, per l’affermazione
di un paradigma universale religioso o etnico. Così è l’Oriente –
statico, “permanente”, profondamente “conservatore”, né capace
né desideroso di accettare la sfida dell’Occidente. Né in Cina né
in India esistettero mai teorie nazionali secondo le quali i Cinesi o
gli Indiani dovessero, alla fine dei tempi, governare il mondo. Solo gli
Iraniani e gli Arabi possedettero teorie nazionali e razziali ad
orientamento escatologico. Ma la storia degli ultimi secoli ha
dimostrato che la componente religiosa islamica, nella sua espressione
effettiva, non è sufficiente a far considerare questa teleologia come
una seria concorrente di quella delle “nazioni dell’Occidente”. Il
compito di avanguardia della “nazione dell’Oriente” ricade
indubbiamente sui Russi, che seppero generare quell’ideale messianico
ed universalistico – comparabile, per dimensione, dapprima con quello
anglosassone, poi con quello americano – e lo incarnarono in una realtà
storica imponente. L’idea escatologica del regno cristiano-ortodosso
– “Mosca, Il
fatto che i protestanti americani, per comune consenso, identificarono Rivoluzione
Bolscevica, creazione dello stato di Israele e guerra fredda collimarono
pienamente con le concezioni “profetiche” dei “dispensazionisti”,
e ne rafforzarono la fede nella loro giustezza. Esaminiamo
ora rapidamente altre due varianti della teleologia etnica e cerchiamo
di giungere ad una conclusione – probabilmente già chiara al lettore
attento. Questo
dualismo etnico da noi svelato, facilmente verificabile nella storia –
“nazione dell’Occidente” (nucleo: gli Anglosassoni) e “nazione
dell’Oriente” (nucleo: i Russi) – trascura due famose dottrine
etniche, le prime che vengono alla mente ogniqualvolta si ponga la
questione del “nazionalismo escatologico”. Ci riferiamo al
“razzismo” dei nazionalsocialisti tedeschi e alle concezioni
sioniste degli Ebrei. Su quali basi abbiamo tralasciato queste realtà,
esaminando in prima istanza i “nazionalismi” americano e
russo-sovietico – ambedue né tanto evidenti né tanto radicali quanto
il Nazismo, confinante con la barbarie, o quanto l’estremo dualismo
antropologico degli Ebrei, che rifiuta di concedere l’appartenenza al
genere umano ai “goi”(pagani)? Più
avanti daremo risposta a questa domanda. Ora ricordiamo brevemente in
che consistono queste due varianti dell’escatologia nazionale. Il
razzismo germanico riduce la storia intera all’opposizione razziale
degli Arii, Indoeuropei, a tutte le altre nazioni e razze, considerate
“inferiori”. Alla base di questo approccio vi è la concezione
mitologica degli “antichi Arii”, i primi abitatori civilizzati della
terra, la magica stirpe di re ed eroi del profondo Nord. Questa “razza
Nordica” eccelse in ogni genere di virtù, e ad essa risale ogni
innovazione culturale. Gradualmente la razza bianca si spostò verso sud
e si mescolò con le nazioni selvagge, rozze, semi-animali e sensuali.
Da qui ebbero origine le forme culturali miste, le moderne nazioni.
Tutto ciò che vi è di buono nelle civiltà moderne è eredità dei
bianchi. Tutto ciò che vi è di cattivo è il prodotto della
mescolanza, dell’influsso delle razze di colore. L’avanguardia della
razza bianca sono i Germani, che preservarono la purezza del sangue e
dei valori culturali ed etnici. L’avanguardia delle nazioni di colore
sono gli Ebrei, i maggiori nemici della razza bianca, contro la quale
tramano senza sosta. L’escatologia
razziale sta nell’idea che i Germani dovrebbero collocarsi alla testa
della razza bianca ed iniziarne la purificazione del sangue, separando
le nazioni di colore dalle altre e conquistando il dominio mondiale –
riproduzione, allo stadio attuale, della primordiale supremazia dei re
Arii. Il razzismo germanico è ovviamente una dottrina eterodossa, del
tutto artificiale ed assolutamente moderna, sebbene si fondi su antichi
miti ed insegnamenti religiosi realmente esistiti. Nella stessa Germania
il razzismo si diffuse grazie all’influenza di circoli occultistici,
in certa misura associati al teosofismo. Il
messianismo ebraico è l’archetipo di tutte le restanti varianti di
escatologie nazionali. E' esposto in forma esaustiva nel “Vecchio
Testamento”, decifrato nel Talmud e nella Qabbala. Gli
Ebrei sono considerati nella più parte come la nazione eletta, e la
nazione ebraica è il soggetto principale della storia mondiale. Al lato
opposto del modello stanno i “non Ebrei”, “i goi”, “le
nazioni”, “i pagani”, “gli idolatri”, “le forze del lato
sinistro” (secondo lo Zohar). Secondo l’interpretazione esoterica
della Qabbala, i “goi” non sono uomini, sono “spiriti maligni che
hanno assunto sembianza umana”, e pertanto neppure teoricamente
possono aspirare alla salvezza o alla spiritualizzazione. Ma gli ebrei
stessi, nonostante la loro natura eletta, spesso deviano dal retto
cammino, vanno errando sul sentiero del Male, seguono la via dei
“goi” e dei loro “falsi dèi”. Colui
che ha quattro lettere (cioè il cui nome consiste di quattro lettere
ebraiche, Jahvè) infligge per questo motivo punizioni alla sua nazione,
disperdendola fra i “goi” che disprezzano in ogni modo gli Ebrei e
causano loro umiliazione, dolore e offesa. Dopo la seconda distruzione
del Tempio da parte di Tito Flavio nel Il
nazismo tedesco e il messianismo ebraico sono forme molto accentuate,
rilevanti e potenti di escatologismo etnico, che hanno dimostrato le
loro vaste dimensioni nell’effettivo coinvolgimento nel processo della
storia mondiale. E tuttavia, né il nazismo hitleriano, né il sionismo
incarnavano le tendenze della storia mondiale con altrettanta evidenza,
ovvietà e chiarezza storica dell’Americanismo e del Sovietismo. E’
inoltre interessante anche la semplice disposizione geografica – il
nazismo si diffuse in Europa, lo Stato di Israele è in Medio Oriente.
Pare quasi che stiano in reciproca opposizione lungo una linea
verticale. Quanto ai mondi Anglosassone ed Eurasiatico, questi si
oppongono l’uno all’altro secondo una linea orizzontale. Se il
razzismo di Hitler fece appello al “Nordismo”, l’Ebraismo accentua
il “sud”, l’orientamento “Mediterraneo”, “africano”. L’Eurasiatismo,
ovviamente, si ricollega all’Oriente; l’Atlantismo all’Occidente. Inoltre,
la scala storica della coppia Anglosassoni – Russi è ben più
significativa e ponderosa rispetto alla coppia verticale. E, sebbene i
Nazisti siano riusciti all’epoca a conseguire significativi successi
territoriali, geopoliticamente erano destinati alla disfatta sin
dall’inizio, poiché il loro paradigma etnico ed escatologico era
chiaramente non abbastanza universale e rilevante, e la loro storia non
originava da un polo spirituale indipendente (a differenza della
Russia). Allo stesso modo, nonostante l’enorme influsso del fattore
ebraico nella politica mondiale, gli Ebrei sono ancora ben lontani dal
loro ideale messianico, ed il ruolo dello Stato di Israele è tuttora
insignificante ed esclusivamente strumentale nel contesto delle grandi
geopolitiche, dove soltanto blocchi di dimensioni paragonabili alla NATO
o all’ex Patto di Varsavia possiedono seriamente un peso reale. Non
si tratta di trascurare il razzismo tedesco (storicamente obsoleto) e
tantomeno il messianismo ebraico (che, al contrario, è andato
rafforzandosi nella seconda metà del XX secolo). Ma è necessario non
sopravvalutare la loro portata, giacché nel caso degli USA e della
Russia siamo di fronte a realtà ben più ponderose e rilevanti. In
relazione a ciò, è molto più utile effettuare la seguente operazione.
Dividiamo la coppia razzismo hitleriano – sionismo in due componenti.
Nel significato politico-economico, il fascismo fu null’altro che un
compromesso fra capitalismo e socialismo, nel significato geopolitico i
Paesi dell’Asse furono un qualcosa di intermedio fra il chiaro
Atlantismo dell’Occidente e il chiaro Eurasiatismo dell’Oriente: così,
allo stesso modo, nel senso dell’escatologia etnica l’opposizione
nazismo–sionismo viene semplicemente a velare la ben più seria
contrapposizione fra Anglosassoni (con il loro “Manifest destiny”) e
i Russi. Ciò vuol dire che è possibile interpretare nazismo e sionismo
come combinazioni di fattori intrinsecamente eterogenei, tratti da uno o
da ambedue i più fondamentali poli etnici. Questa idea venne abbozzata
dall’eurasista Bromberg; una sua diversa versione appartiene al
notevole scrittore Arthur Koestler. Il
messianismo ebraico è anch’esso diviso in due componenti. La prima è
solidale al messianismo anglosassone. E’ la “componente
occidentalista” dell’Ebraismo. Di tale natura sono le comunità
ebraiche in Olanda, che furono sempre associate alla propaganda del
fondamentalismo protestante. Possiamo definirlo “Atlantismo
Ebraico”, o la “Destra Ebraica”. Questo settore identifica le
aspettative escatologiche degli ebrei con la vittoria della nazione
anglosassone, con gli USA, il liberalismo, il capitalismo. La
seconda componente è l'”Eurasiatismo Ebraico”. Bromberg lo chiamò
“Orientalismo Ebraico”. E’ questo, in generale, il settore
dell’Ebraismo est-europeo, soprattutto di tendenza chassidica,
solidale al messianismo russo, specie nella sua versione comunista.
Questo fatto, in particolare, spiega la così vasta partecipazione di
ebrei alla Rivoluzione d’Ottobre ed il loro massiccio coinvolgimento
nel movimento comunista, che funse da copertura alla realizzazione
dell’idea messianica russa planetaria. Genericamente parlando, si
tratta della “Sinistra Ebraica” – una realtà a tal punto costante
e diffusa, che i nazisti nella loro propaganda identificarono tout court
“comunismo” e “ebraismo”, tipologicamente associati precisamente
nel conglomerato Eurasiatico, uniti all’ideale escatologico
russo-sovietico. Molto spesso gli “eurasisti ebraici” si riferirono
alla fantastica formazione sociale “khazaro-kaganate”, nella quale
il Giudaismo si combina con il potente impero militare gerarchico,
fondato sull’elemento etnico Turco-Ario. Oltre alla ben nota
valutazione dei Khazari, estremamente negativa, estesamente esposta da
Lev Gumiljov, esistono altre versioni “revisioniste” della storia di
questa formazione, che risalta con forza - per la sua stilizzazione
continentale e la notevole distanza dal particolarismo etnico della
tradizione ebraica – rispetto ad altre forme, soprattutto occidentali,
di organizzazione sociale giudaica. Così, Koestler avanzò una
interessante versione secondo la quale gli Ebrei est-europei sarebbero
in realtà discendenti degli antichi Khazari, ed il loro carattere
diverso da quello degli Ebrei occidentali tradirebbe la loro differente
origine razziale. Non è tanto importante stabilire qui la
“scientificità” di questo punto di vista, quanto osservare come
questa concezione rifletta in senso mitologico il profondo dualismo
intraebraico. Veniamo
ora al razzismo germanico. Qui il quadro non è altrettanto ovvio, non
è altrettanto facile suddividere il fenomeno in due componenti.
Anzitutto, perché le tendenze russofile e pro-sovietiche nel nazismo e,
in misura maggiore, nel movimento nazionale tedesco, furono quasi sempre
orientate in senso antirazzista. Questa Ostorientierung
positiva, caratteristica di molti esponenti della Rivoluzione
Conservatrice tedesca (Arthur Möller van der Bruck, Friedrich Georg
Junger, Oswald Spengler, e soprattutto Ernst Niekisch), si associò alla
Prussia e all’idea statalista, piuttosto che a un qualche motivo
razziale. Purtuttavia, alcune varianti di razzismo possono essere
attribuite all’Eurasiatismo. Questo “razzismo eurasico” fu senza
dubbio minoritario, non significativo, marginale. Il professor Hermann
Wirth ne fu un tipico aderente: egli ipotizzò che l’elemento “ario”,
“nordico” si potesse ritrovare nella maggioranza delle nazioni della
terra, inclusi gli Asiatici e alcuni Africani, e che i Germanici non
sono, in questo aspetto, un’eccezione, essendo una nazione mista, con
elementi sia “arii” sia “non arii”. Un simile approccio nega
qualsiasi allusione “jingoista” o “xenofoba”, ma, proprio per
questo, Wirth e i suoi seguaci si trovarono molto presto in opposizione
al regime hitleriano. Inoltre, alcuni rappresentanti di questa tendenza
sostennero che gli “Arii” dell’Asia – Hindu, Persiani, Tajiki,
Afghani, ecc. – fossero molto più prossimi alla tradizione nordica,
degli Europei o degli Anglosassoni – di conseguenza, questo tipo di
razzismo presentò ovviamente caratteri “Orientalisti”. Ma
la versione più diffusa di razzismo fu l’altra, la tendenza
“Occidentalista”, che insisteva sulla supremazia (nel senso più
immediato) della razza bianca, e specialmente sulla supremazia dei
Germani su tutte le restanti nazioni. I successi tecnologici dei
bianchi, la superiorità della loro civiltà, furono celebrati in ogni
modo. Le altre nazioni vennero demonizzate, considerate in modo
caricaturale come Untermenschen.
Nelle versioni più radicali, solo gli stessi Germanici furono
considerati “arii”; quanto ai Francesi o agli Slavi, fu loro
attribuito lo status di popoli di seconda categoria – il che già non
era più razzismo, ma la forma estrema dello sciovinismo nazionale
piccolo-tedesco. Tale razzismo volgare – fra parentesi, tipico di
Hitler personalmente – era tutt’uno, spiritualmente, con
l’escatologia etnica degli Anglosassoni, anche se suggeriva la
versione opposta, fondata sulla specificità della psicologia e della
storia tedesca. E’ significativo che ambedue le versioni di questa
escatologia etnica si fondassero sulle due branchie della tribù
germanica, anticamente unitaria (gli Anglosassoni furono in origine una
tribù dei Germani) e su due varianti del Protestantesimo (Luteranesimo
in Germania, Calvinismo in Inghilterra). Comunque, il razzismo germanico
fu notevolmente infarcito di elementi pagani, appelli alla mitologia
precristiana, barbarismo, gerarchia. A differenza degli Anglosassoni, il
razzismo dei Tedeschi fu più arcaico, stravagante e selvaggio; ma molto
spesso questo contrasto estetico, con la differenza di stile, maschera
il carattere comune dell’orientamento storico e geopolitico. Fra
l’altro, l’anglofilia di Hitler è un fatto risaputo. Così,
la coppia sionismo–nazismo si dimostra insufficientemente rilevante
per poter essere considerata l’asse del dramma escatologico nella sua
dimensione etnica. Anche se di “asse” si tratta, esso è solo quello
secondario, ausiliario, sussidiario. Aiuta a spiegare molte questioni,
ma non riveste il punto centrale del problema. In questa prospettiva,
possiamo considerare l’”orientalismo ebraico” come una delle
varietà particolari dell’Eurasiatismo (la “nazione dell’Est”),
tutt’uno, a grandi linee, con la formulazione universale dell’ideale
messianico russo-sovietico. Allo stesso conglomerato “Eurasiatico”
dovrebbero essere annesse alcune forme (minori) di razzismo
“orientalista” dei seguaci del sistema di valori “ario”. E,
viceversa, l’”occidentalismo ebraico” si inquadra perfettamente
nel progetto etnico ed escatologico Anglosassone, su cui la radicata
alleanza fra “Sionismo di destra” e fondamentalismo protestante si
basa. Le “dieci tribù perdute” rappresentate dagli Anglosassoni
(specialmente dagli Americani) si combinano con le due restanti tribù
in una comune attesa escatologica. La versione “occidentalista” del
razzismo, inneggiante alla superiorità della “civiltà dei bianchi”
– mercato, progresso tecnico, liberalismo, diritti umani – nei
confronti delle arcaiche, “barbare”, “sottosviluppate” nazioni
dell’Oriente e del Terzo Mondo, si colloca anch’esso ai confini di
quell’insieme. Ora
è possibile individuare la stessa traiettoria storica – a noi già
nota grazie alle sezioni precedenti dell’articolo – ma stavolta al
nuovo livello etnico ed escatologico. La
storia è la rivalità, la battaglia fra due “macro-nazioni”,
tendenti all’universalizzazione del proprio ideale spirituale ed etico
nel momento culminante della storia stessa. Sono queste la “nazione
dell’Occidente” (il mondo romano-germanico) e la “nazione
dell’Oriente” (mondo eurasiatico). Gradualmente, queste due
formazioni pervengono alla più ampia, pura e raffinata espressione del
loro “destino manifesto”. Il Destino Manifesto della “nazione
dell’Occidente” è incarnato nella concezione delle “dieci tribù
perdute” dei fondamentalisti protestanti, sottintende la dominazione
planetaria dell’Inghilterra e crea le fondamenta della civiltà che,
in verità, si sta avvicinando alla realizzazione del controllo mondiale
unico. La “verità russa”, da stato nazionale ascende al rango di
impero e si incarna nel blocco sovietico, dopo aver raccolto attorno a sé
metà del mondo. In
questo duello consiste il fondamento della storia etnica (per la
precisione, macro-etnica) del XX secolo. Accanto a ciò, il fascismo
diviene l’ostacolo sostanziale sulla via che conduce alla chiara
definizione dei ruoli e delle funzioni – di nuovo (una volta di più!),
il chiaro dualismo della questione si converte nel confuso e secondario
complesso delle contraddizioni, il quale sovverte la logica evidente
della grande guerra etnica, e conduce ad innaturali alleanze, allo
spostamento del centro di gravità, all’erronea impostazione della
questione. Si
impone così, al centro dell’escatologia etnica, non già il reale
dualismo fra il campo “romano-germanico”, più tardi anglosassone,
ancora più tardi “americano”, da un lato, e il campo
russo-sovietico, dall’altro, ma una coppia di antagonisti non autonoma
e per molti aspetti artificiale – Ario-Germani ed Ebrei. I nazisti
hanno deviato la naturale linea di sviluppo, distratto l’attenzione
attorno ad una falsa trovata, stabilito la contraddizione in un punto
che, sul piano storico ed escatologico, non è né sostanziale né
centrale. Ed ancora una volta ad esserne danneggiato è stato il campo
“eurasiatico”. L’ideale
anglosassone, la “nazione dell’Occidente” ha inflitto una
disastrosa sconfitta alla “nazione dell’Oriente”.
L’universalismo “sovietico” ha ceduto di fronte a quello
anglosassone. Aggiungiamo
un livello alla nostra formula, connettendo fra loro i modelli politico,
economico, e geopolitico. Lavoro = Terra (Oriente) = nazione Russa
(Sovietica, Eurasiatica) Capitale = Mare (Occidente) = nazione
Romano-Germanica (Anglosassone, Americana) Il
duello ha luogo fra questi poli di diverso livello nel corso di epoche e
secoli, e si avvicina alla conclusione alla fine del secondo millennio
A.C. Notiamo
che il fascismo europeo svolge una funzione analoga praticamente a tutti
i livelli. Al
livello economico, rivendica la rimozione della contraddizione fra
Lavoro e Capitale; ma ciò si rivela una finzione, che indirettamente
favorisce la vittoria del Capitale. Al livello geopolitico, esso
respinge il fondamentale carattere di opposizione fra Terra e Mare,
rivendicando un proprio significato geopolitico autonomo; ma non si
dimostra all’altezza del compito ed esce di scena ingloriosamente,
ancora una volta agevolando la vittoria del Mare sulla Terra. E infine,
al livello dell’escatologia etnica, il razzismo nazista distoglie
dalla grande opposizione fra Anglosassoni e Russi a favore della falsa
alternativa fra “arii” ed “ebrei” – mentre la nazione
grande-russa viene (ingiustificatamente) classificata a pari rango degli
“untermenschen di colore”. E questo, alla fin dei conti, si rivela a
vantaggio esclusivo dei fini degli Anglosassoni. Incidentalmente,
va riconosciuto che nell’ultimo caso – al livello etnico – il
secondo polo di quel dualismo etnico (gli Ebrei) dimostra di essere per
lo più dalla parte della “nazione dell’Occidente”, mentre l’”orientalismo
ebraico” si indebolisce fin quasi a scomparire. E’ notevole che
questo declino coincida con il momento della fondazione dello Stato di
Israele – Stato per il quale, da principio, gli ebrei est-europei ad
orientamento maggioritariamente socialista (gli “ebrei eurasiatici”)
avevano combattuto – per cui anche Stalin si affrettò a riconoscerne
la legittimità – e che, in ogni caso, quasi immediatamente dopo la
fondazione, si indirizzo verso l’Occidente, diventando il vero agente
delle politiche anglosassoni (anzitutto degli USA) nel Medio Oriente. |
||||
frontefrontefr
|
****
|
|
frontefrontefr
|