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Controvoce
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FRONTE PATRIOTTICO COMUNITA' |
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STALIN E GLI EBREI Claudio Veltri
Gli ebrei nell'Unione
Sovietica Di ritorno dall'Unione
Sovietica, dove aveva condotto un'inchiesta sulla demografia ebraica, lo
scrittore ebreo Joël Cang valutava che gli ebrei viventi nelle quindici
repubbliche dell'URSS ammontassero, nel 1959, a una cifra pari a quella
dell'anteguerra, vale a dire ad una cifra che andava dai tre milioni ai
tre milioni e mezzo: più del doppio della popolazione d'Israele (Soviet
Jewry: A new Estimate, "Jewish Chronicle", 23 ottobre 1959). Il censimento del 1939 aveva
stabilito una minoranza ebraica di 3.100.000 su una popolazione totale
di circa 200 milioni. A questa cifra (che evidentemente non comprendeva
i 300.000 ebrei assimilati o che tali si consideravano) bisogna
aggiungere i due milioni di ebrei che vivevano sui territori annessi
della Polonia orientale, dei tre paesi baltici, della Bucovina e della
Bessarabia. Il censimento del 1959 parla
di 2.268.000 ebrei, dei quali il 20,8% ha dichiarato che lo jiddish e la
loro lingua materna. Numero degli ebrei per repubblica: 875.000 nella
Repubblica Federativa Russa, 840.000 in Ucraina, 15.000 in Bielorussia,
94.000 in Uzbekistan, 52.000 in Georgia, 25.000 in Lituania, 95.000 in
Moldavia (Bessarabia), 37.000 in Lettonia, 5.000 in Estonia. Il
censimento non indica il numero degli ebrei nelle repubbliche del
Kazakhstan, Azerbaigian, Kirghisistan, Tagikistan, Armenia,
Turkmenistan, per il motivo che il numero degli ebrei in queste
repubbliche non raggiunge la soglia minima perché la minoranza sia
menzionata. La maggior parte degli ebrei
sovietici era concentrata nelle grandi città. Così, secondo Cang,
circa 700.000 ebrei vivevano a Mosca, 300.000 a Leningrado, 250.000 a
Kiev, 250.000 a Odessa, 70-80.000 a Dnepropetrovsk e a Cernovits;
40-50.000 in ciscuna delle seguenti città: Minsk, Bobrojsk, Riga,
Vilna, Kishinev, Lvov e Alma Ata. Per quanto riguarda le
attività lavorative degli ebrei dell'Unione Sovietica, nel 1939 il 70%
avrebbe lavorato come operai o impiegati nelle aziende dello Stato; il
20% erano artigiani (specialmente sarti), il 6% agricoltori (220.000
famiglie che coltivavano, soprattutto in Crimea e nel Birobidzan,
1.500.000 acri di terra). Dopo il 1939 le colonie agricole ebraiche sono
scomparse e, nell'insieme, il numero degli ebrei che esercitano un
lavoro manuale è diminuito in favore di quelli che esercitano un lavoro
non manuale. Così si hanno 30.000 scienziati ebrei, 2.000 architetti,
numerosi musicisti (un quarto dei musicisti dell'orchestra del Bolscioi),
artisti cinematografici, tecnici dell'industria chimica ecc. Dalle grandi purghe alla
seconda guerra mondiale Durante il Grande Terrore,
tra i dieci milioni di vittime delle purghe, fu eliminato circa mezzo
milione di ebrei. Tra i più rilevanti, fu ucciso Lev Borisovic Kamenev,
uno dei cinque massimi dirigenti bolscevichi, cognato di Trotzkij, che
dopo la morte di Lenin aveva fatto parte con Stalin della trojka al
governo. Assieme a lui, dopo un grande processo pubblico, fu giustiziato
l'ex capo del Comintern Grigorij Evseevic Zinov'ev, il cui vero cognome
era Radomyl'skij, anche lui ex membro della trojka. Nikolaj Ivanovic
Bucharin, il "beniamino di tutto il Partito" Lenin), che aveva
appoggiato Stalin contro Zinov'ev e Kamenev, come già lo aveva
appoggiato contro Trockij, per ironia della sorte fu accusato di
trotzkismo e giustiziato nel 1938. Questa operazione continuò
anche negli anni Quaranta. "Un'intera generazione di sionisti ha
trovato la morte nelle prigioni sovietiche, nei campi, in esilio",
ha scritto il dottor Julius Margolin, che venne detenuto in vari campi
di concentramento nella regione del Baltico e del Mar Bianco dal 1940 in
poi. Margolin ha anche detto che nel mondo esterno nessuno, nemmeno i
sionisti, hanno fatto alcunché per salvarli. (David Dallin e Boris
Nikolaevskij, Il lavoro forzato nella Russia sovietica, Sapi, Roma
1949). Il fatto che gli ebrei
epurati fossero così numerosi non passò inosservato nell'Unione
Sovietica. Un vecchio ufficiale zarista avrebbe detto al suo compagno di
cella: "Finalmente i sogni del nostro amato Nicola [II], che egli
era personalmente troppo debole per tradurre in realtà, si sono
realizzati. Le prigioni sono piene di ebrei e bolscevichi" (Roy A.
Medvedev, Lo stalinismo, Mondadori, Milano 1972, p. 436). Un anno prima dell'inizio
della seconda guerra mondiale, il direttore dei campi di concentramento
sovietici, Genrich Jagoda, venne giustiziato assieme a Nikolaj Ivanovic
Bucharin, a Rykov, a Lev Grigor'evic Levin e agli altri imputati degli
ultimi processi pubblici della purga. Erano quasi tutti ebrei. A Jagoda
succedette N. Ezhov, che gestì il terrore per quattro anni. A Ezhov succedette Lavrentij
Pavlovic Berija. Era nato il 29 marzo 1899 a Mercheuli (ad alcuni
chilometri dal Mar Nero), un villaggio i cui abitanti appartenevano alla
popolazione dei Mingreli. Ma la madre di Berija proveniva da Tekle, un
villaggio abitato soprattutto da ebrei e da un popolo affine, i caraiti.
Secondo Georges Bortoli (The Death of Stalin, Phaedon, London 1975, p.
193) Berija era ebreo per parte di padre. Quando Berija assunse
l'incarico di capo della polizia segreta, che contava un milione e mezzo
di agenti, erano ormai pochi gli ebrei di rilievo che rimanevano nelle
gerarchie del partito, delle forze armate e degli organi di sicurezza.
Tra costoro, Berija ebbe il compito di liquidare Béla Kun (Kohen), il
capo della rivoluzione comunista ungherese del 1919, poi esecutore del
terrore in Crimea. Béla Kun, che era in prigione dal 1937, fu ucciso il
30 novembre 1939. Stalin epurò anche tutti i
capi delle sezioni ebraiche che si erano adoperati sotto la sua
direzione per cancellare la vita ebraica organizzata. Quasi tutte le
istituzioni culturali ebraiche che rimanevano in vita - comprese 750
scuole in cui si insegnava in yiddish - furono chiuse tra il 1934 e il
1939. Il principale strumento di Stalin in tale operazione fu Samuel
Agurskij, già anarchico e membro del Bund ebraico, che aveva diretto la
prima campagna di Stalin contro le organizzazioni politiche, religiose e
culturali ebraiche. Costui venne gettato in una cella e accusato di far
parte della "clandestinità ebraica fascista", alcuni membri
della quale, come Moishe Litvakov e Esther Fromkin, furono giustiziati. Il 3 maggio 1939 Stalin
licenziò improvvisamente il ministro degli esteri Maksim Litvinov, un
ebreo che aveva ricoperto questa carica per dieci anni, e lo sostituì
con l'ariano V.M. Molotov, che firmò di lì a poco il patto di non
aggressione tra l'URSS e il Terzo Reich. Subito dopo, a Brest Litovsk,
Stalin fece consegnare alla Germania circa seicento membri del partito
comunista tedesco, per lo più ebrei. Uno di costoro era Hans David, il
compositore di "musica degenerata". Dal settembre 1939 al luglio
successivo, in seguito alle annessioni sovietiche, due milioni di ebrei
dei tre stati baltici, della Polonia orientale, della Bessarabia e della
Bucovina passarono sotto l'URSS. I dirigenti delle società ebraiche
attive presso queste comunità furono mandati in Siberia; tutte le
organizzazioni e le istituzioni sioniste furono chiuse. Nella zona polacca occupata
dai Sovietici, a partire dal febbraio 1940 l'NKVD di Berija arrestò e
deportò circa mezzo milione di ebrei. Molti morirono durante il viaggio
per la Siberia. Arthur Koestler avrebbe definito questa azione di Stalin
e Berija "deportazioni in massa su una scala finora non riscontrata
nella storia, [deportazioni che] furono i principali metodi
amministrativi di sovietizzazione" (Il Yogi e il commissario,
Bompiani, Milano 1947, p. 282). Julius Margolin, che si trovava a
Leopoli nell'Ucraina occidentale, riferisce che nella primavera del 1940
"gli ebrei preferivano il ghetto tedesco all'uguaglianza
sovietica". Le liste di Berija erano
divise in varie categorie, una delle quali era la
"controrivoluzione nazionale ebraica", che comprendeva sia i
sionisti sia i bundisti antisionisti. Uno degli ebrei polacchi arrestati
era Menachem Begin, giovane dirigente sionista; furono arrestati anche
Henryk Ehrlich e Viktor Alter, fondatori del Bund polacco, il partito
ebraico più importante del paese. Nel 1941, dati i legami dei due
dirigenti del Bund con i sindacati americani, Berija approvò in linea
di principio che essi organizzassero un comitato ebraico antinazista con
base nell'URSS; ma Stalin scrisse sulla richiesta che gli era pervenuta
in relazione a tale progetto: "Rasstrelijat oboich" (Fucilarli
tutti e due). La loro fucilazione scatenò una tempesta nell'ebraismo
statunitense. Per controbilanciare questo
scandalo, nel 1943 furono inviati in missione negli USA l'attore e
regista teatrale Solomon Mikhoels, alias Vovsi (fondatore del Teatro
Jiddish di Mosca) e il noto poeta jiddish Icik Solomonovic Feffer, in
qualità di rappresentanti del Comitato Antifascista Ebraico. Quando
giunsero in America, furono accolti da Nahum Goldmann, Albert Einstein,
Chaim Weizmann, Marc Chagall e altre celebrità del mondo ebraico. In
settembre, i due conclusero un accordo di assistenza coi funzionari del
Joint Distribution Committee of American Funds for the Relief of the
Jewish War Sufferers, la potente organizzazione ebraica nata il 27
novembre 1914 per iniziativa di banchieri quali i Warburg (Felix M.
Warburg ne fu appunto il presidente), gli Schiff, i Kuhn, i Loeb, i
Lehmann e i Marshall, i Rosenwald. Quando i due fecero ritorno
nell' URSS, nel febbraio 1944, Mikhoels pensò di poter estendere e
sviluppare le attività del Comitato antifascista ebraico e sollevò
presso Molotov la questione dell'aiuto del Joint per la costituzione di
un insediamento di ebrei nella penisola di Crimea. Nel marzo 1944 il
Comitato indisse un'assemblea di massa, alla quale tremila ebrei
intervennero per ascoltare Solomon Mikhoels, Icik Feffer, Il'ja Erenburg
e altri. Il'ja Grigorevic Erenburg, in
particolare, aveva preparato assieme allo scrittore e giornalista ebreo
Vasilij Grossman (ex membro del Comitato Antifascista Ebraico) un Libro
nero in cui si affermava che erano stati sterminati un milione e mezzo
di ebrei sovietici. Il libro era pronto in bozze, ma il governo,
allarmato per l'intensa attività ebraica, ne proibì la pubblicazione.
Erenburg, comunque, ne pubblicò alcuni estratti sulla rivista jiddish
"Znamja" (La bandiera), sotto il titolo "Assassini di
popoli". Il titolo si riferiva ai Tedeschi, ma in esso veniva anche
vista un'allusione ai Sovietici. Nasce lo Stato d'Israele Quanto a Solomon Mikhoels, la
sua ultima impresa fu la celebrazione della nascita del defunto
scrittore jiddish Mendele Mocher Sforim, che terminò con una fragorosa
manifestazione di appoggio all'istituzione dello Stato ebraico in
Palestina. Mikhoels morì a Minsk qualche giorno dopo, il 12 gennaio
1948. Il suo cadavere, assieme a quello di un altro ebreo, fu trovato il
giorno dopo accanto alla stazione ferroviaria; "vittime di un
incidente", disse la polizia. Vent'anni dopo Svetlana Allilujeva,
la figlia prediletta di Stalin, andata sposa a un ebreo, accuserà suo
padre del duplice omicidio: "Mikhoels era stato assassinato: non
c'era stato nessun incidente [...] Conoscevo fin troppo bene
l'ossessione di mio padre, che vedeva complotti 'sionisti' in ogni
angolo" (Svetlana Alliluieva, Soltanto un anno, Mondadori, Milano
1969, pp. 164-165). Ai funerali di Mikhoels, il poeta, drammaturgo e
romanziere jiddish Perec D. Markis recitò una lunga trenodia, nella
quale faceva di Mikhoels una delle tante vittime dell'Olocausto. Un anno
dopo fu arrestato anche lui. Fu dunque la nascita di uno
Stato ebraico in Palestina a ridestare l'entusiasmo degli ebrei
sovietici. Il sostegno dato dal governo dell'URSS a Israele e il voto
favorevole espresso dall'URSS alle Nazioni Unite, vennero interpretati
dagli ebrei sovietici come un'autorizzazione ad esprimere solidarietà
all'entità politica sionista. "Per tutte queste
ragioni, negli anni 1947-1948, fra gli ebrei sovietici si levarono onde
di commozione che giunsero al culmine (nei giorni più neri di Stalin)
quando nelle strade adiacenti alla Sinagoga di Mosca, migliaia di
persone si radunarono, per singola iniziativa di ognuno, per accogliere
la prima ambasciatrice d'Israele, Golda Meir, mentre il canto di Ha-Tikvà
esplodeva tra il pubblico e grida di 'Am Israel chai' (il popolo
d'Israele vive') echeggiavano nell'aria. Oggi sappiamo pure che ci
furono ebrei tanto ingenui da presentare alle autorità sovietiche la
domanda di potersi arruolare nell'esercito di difesa di Israele per
servire quali artiglieri, carristi, marinai o aviatori, nelle sue unità
combattenti. Questo avvenimento straordinario venne a conoscenza del
dittatore e radicò in lui il terribile sospetto che in trent'anni, il
regime comunista non era riuscito a staccare, né intellettualmente né
sentimentalmente la massa degli ebrei, e neppure una notevole parte di
essi, dall'attaccamento alle proprie origini e dalla sensibilità agli
avvenimenti drammatici del mondo ebraico fuori dell'Unione Sovietica.
Allora il dittatore decise che, per spegnere la fiamma ebraica che
cominciava a riaccendersi era necessario versare sugli ebrei, e
particolarmente sulla loro cultura, e sui loro sentimenti, torrenti di
acqua gelata. Anzitutto, bisognava impedire ogni contatto tra gli ebrei
sovietici e quelli dell'Occidente" (Ariè Eliav, Tra il martello e
la falce, Barulli, Roma 1970, pp. 35-36). Il 21 novembre 1948 il
Comitato Antifascista Ebraico venne sciolto d'autorità, perché era
diventato un "centro di propaganda antisovietica". Le
pubblicazioni edite dal Comitato furono proibite, in particolare il
giornale jiddish "Einikai", al quale collaborava l'élite
intellettuale dell'ebraismo sovietico. Nelle settimane successive, tutti
quanti i membri del Comitato Ebraico Antifascista furono arrestati. Nel febbraio del 1949 la
stampa lanciò una vasta campagna anticosmopolita. I critici teatrali
ebrei furono denunciati per la loro "incapacità di capire il
carattere nazionale russo". "Quale idea possono avere un
Gurvic o uno Juzovskij del carattere nazionale dell'uomo russo
sovietico?" si chiedeva la "Pravda" del 2 febbraio 1949.
Nei primi mesi del 1949 centinaia di ebrei furono arrestati, soprattutto
a Leningrado e a Mosca. Il 7 luglio 1949 il tribunale
di Leningrado condannò Akila Grigor'evic Leniton, Il'ja Zejlkovic
Serman e Rul'f Aleksandrovna Zevina a dieci anni di internamento nel
Gulag. Gli imputati furono riconosciuti colpevoli di aver "lodato
gli scrittori cosmopoliti" e di aver "calunniato la politica
governativa sovietica sulla questione delle nazionalità". In
appello, gl'imputati furono condannati a venticinque anni dalla Corte
Suprema, che riconobbe gl'imputati colpevoli di aver "condotto
agitazione controrivoluzionaria basandosi su pregiudizi nazionalistici e
affermando la superiorità di una nazione sulle altre nazioni
dell'Unione Sovietica". Il siluramento degli ebrei fu
eseguito in maniera sistematica, soprattutto negli ambienti della
cultura, della stampa, della medicina. Ma gli arresti ebbero luogo anche
in altri settori: nel complesso industriale metallurgico fu arrestato un
gruppo di "ingegneri sabotatori", che furono condannati a
morte e quindi giustiziati il 12 agosto 1952. Il 21 gennaio 1949 venne
arrestata e internata nel Gulag la moglie di Molotov, Pavlina Zemcuzina,
dirigente superiore nell'industria tessile. Nel luglio 1952 fu arrestata
per spionaggio e quindi fucilata la moglie di Aleksandr Poskrebysev,
segretario personale di Stalin. Il 1948 vide l'inizio della
fine dell'attività del Joint in varie democrazie popolari. In Unione
Sovietica il Joint non operava più dal 1938; solo fra il 1943 e il 1945
era stato consentito l'invio di pacchi in territorio sovietico. Nel 1949
la Polonia espulse i rappresentanti del Joint e la Cecoslovacchia fece
lo stesso. L'Ungheria permise solo la somministrazione di aiuti
attraverso la Comunità ebraica locale; anzi, nel 1949 il capo del Joint
in Ungheria, Israel Jakobson, venne arrestato. In quel medesimo anno, in
Ungheria veniva condannato e giustiziato, assieme ad altri, l'ex
ministro degli Esteri László Rajk. Il complotto dei medici Nel 1951 c'erano in URSS
215.000 medici. Circa 35.000 erano ebrei. Al grado supremo della
categoria dei medici sovietici si trovava il gruppo dei medici del
Cremlino. L'élite della medicina sovietica lavorava nell'ospedale del
Cremlino, dove venivano curati i dignitari del PCUS e dei partiti
comunisti "fratelli". Alla fine dell'agosto 1948
morì, nell'ospedale del Cremlino, Andrej Aleksandrovic Zdanov, che
aveva diretto la campagna ufficiale contro la cultura formalista e
cosmopolita. Un rapporto stilato per gli organi di sicurezza affermò,
sulla base degli elettrocardiogrammi di Zdanov, che la malattia di
quest'ultimo non era stata diagnosticata correttamente. Il reparto
elettrocardiografico era diretto da un'ebrea, Sofija Karpaj. Fu solo nel
1951, però, che venne arrestato il primo medico del Cremlino, il
professor Jacov Etinger, membro del Comitato antifascista ebraico. Il
secondo arresto fu quello dell'elettrocardiologa Sofija Karpaj. Sia
Etinger sia la Karpaj erano accusati di avere deliberatamente
falsificato la diagnosi dell'elettrocardiogramma di Zdanov. Nei diciotto
mesi successivi furono arrestati il cardiologo Binijamin Nezlin, suo
fratello il dottor Solomon Nezlin e altri celebri medici ebrei. Il
complotto dei medici sarebbe stato denunciato pubblicamente il 13
gennaio 1953. Nell'ottobre 1952, Stalin
convocò il XIX Congresso del PCUS. Circa milletrecento delegati, in
rappresentanza di sette milioni di iscritti, registrarono il proprio
nome sotto trentasette nazionalità, tra le quali non figuravano gli
ebrei. (Kaganovic e Mechlis erano semipensionati). Si realizzò così
una battuta che già circolava: "Mosè ha fatto uscire gli ebrei
dall'Egitto, Stalin li ha fatti uscire dal Comitato Centrale". Al
congresso, Malenkov disse che agenti stranieri stavano tentando di
"sfruttare elementi instabili della società sovietica per i propri
obiettivi infami". Poskrebysev collegò i crimini economici, come
quelli denunciati a Kiev o nell'organizzazione del partito in Ucraina,
con lo spionaggio e l'accerchiamento capitalistico. Tutti sapevano che i
funzionari economici e politici epurati in Ucraina erano ebrei ormai in
procinto di essere giustiziati. (La prima moglie di
Poskrebysev era un'ebrea e nel 1949 Stalin lo aveva invitato a
divorziare. Una notte, tornato a casa, non trovò più la moglie. Si
rivolse a Stalin, il quale gli disse: "Hai bisogno di una moglie?
Ne avrai una nuova". Rientrato a casa quella sera, Poskrebysev
aveva trovato ad attenderlo quella che sarebbe diventata la sua seconda
moglie, una russa autentica). Dopo la fine del XIX
Congresso, si intensificarono le nuove purghe, con una campagna mirante
al rafforzamento della disciplina di partito e con una serie di condanne
a morte emesse contro funzionari dell'industria tessile ucraina: H.A.
Khain, J.E. Jaroseckij, D.I. Gerson, tutti ebrei. Nel medesimo periodo
in cui gli ebrei del partito comunista ucraino venivano epurati, molti
dei più importanti dirigenti comunisti dei paesi dell'Europa orientale
- per la maggior parte ebrei - erano in carcere e stavano per essere
giustiziati. A Mosca, circa una dozzina di
medici del Cremlino andò a raggiungere i dottori Etinger, Kogan e
Karpaj. Nel frattempo, veniva allestito a Praga il processo Slansky,
"un modello pilota della purga ai vertici moscoviti che Stalin
andava preparando" (Robert Conquest, Power and Policy in the USSR.
The Study of Soviet Dynastics, Phaeton, New York 1975, p. 173). Alla
fine del 1951 Stalin aveva ordinato al presidente cecoslovacco Klement
Gottwald di arrestare il presidente di quel partito comunista, Rudolf
Slansky, come agente di Israele e del sionismo. Tra il 20 e il 27
novembre 1952, quattordici dirigenti di primo piano del partito
comunista e del governo cecoslovacchi, undici dei quali ebrei, furono
processati con l'imputazione di aver tentato di complottare con i
sionisti per assassinare il presidente Gottwald, rovesciare il governo
popolare e restaurare il capitalismo. L'atto d'accusa letto dal pubblico
ministero puntava il dito contro il Joint, "gli avventuristi
sionisti", "Israele e l'America", i
"cosmopoliti", i "nazionalisti borghesi ebrei", i
"trotzkisti, i lacchè della borghesia e altri nemici del popolo
ceco". Appena ebbe inizio il processo, su case e negozi di ebrei
apparvero scritte di questo tenore: "Via gli ebrei!",
"Abbasso gli ebrei capitalisti!" Si continuavano ad arrestare
ebrei di spicco, tra i quali Eduard Goldsucker, ministro
plenipotenziario cecoslovacco in Israele. Quest'ultimo sarebbe riemerso,
ai vertici dello Stato cecoslovacco, nel corso della breve
"primavera di Praga", assieme ad altri ebrei come Ota Sik.
Nella prima giornata del processo, Slansky confessò tutto: i rapporti
coi Rothschild, con Ben Gurion, con Bernard Baruch, con Henry Morgenthau.
Avevano orchestrato un complotto sionista per distruggere la
Cecoslovacchia: "Il movimento sionista del mondo intero - disse
alla corte - è di fatto il mondo degli imperialisti, soprattutto di
quelli americani". Slansky e gli altri confessarono che nel
complotto erano coinvolti i massoni ebrei, il Joint, le spie israeliane
e americane. (Cfr. Claudio Veltri, Cecoslovacchia e lobby sionista,
Barbarossa, Saluzzo 1988). Il più grande scrittore
cecoslovacco, Ivan Ulbrecht, scrisse: "Davanti alla corte siedono
undici ebrei cosmopoliti, uomini senza onore, senza carattere, senza
patria, gente che ama soltanto la carriera, l'iniziativa privata e il
denaro". Le accuse contro il Joint,
che fin dal 1950 era impegnato in interventi in Cecoslovacchia,
sarebbero state ripetute a Mosca sei settimane più tardi, nel contesto
del complotto dei medici. Gli accusatori dissero che il Joint era un
"ramo segreto del servizio di spionaggio americano", che
operava sotto la copertura dell'organizzazione assistenziale. Dissero
che "lo spregevole traditore Slansky" (nato Salzman) era
sempre rimasto "un lacchè della borghesia" e del sionismo
internazionale e che aveva legami diretti con il diplomatico israeliano
Ehud Avriel. "Rude Pravo" (quotidiano del PC cecoslovacco)
descrisse gli "occhi insolenti e perfidi" e la "faccia da
Giuda" di Slansky e scrisse che era un "serpente
calpestato", un "cannibale" che sarebbe stato ripagato
con la sua stessa moneta. Slansky fu accusato di aver cercato di
assassinare il presidente servendosi di medici come "il massone
dottor Haskovec". Slansky ammise che lui e il medico massone
avevano effettivamente tramato per far morire Gottwald, al quale sarebbe
dovuto subentrare Slansky stesso. Al processo testimoniarono
due cittadini israeliani che si trovavano in carcere da un anno: i
cugini Mordechai Oren e Shimon Ohrenstein. Oren era un dirigente del
partito comunista israeliano, il Mapam, mentre Ohrenstein era stato un
funzionario dell'ufficio commerciale della legazione israeliana a Praga.
Oren confessò di essere stato in Russia e di avervi incontrato dei
medici ebrei, nonché il defunto caporione sionista Solomon Mikhoels. Il 4 dicembre 1952, qualche
giorno dopo la fine del processo, undici condannati furono impiccati. I
loro cadaveri furono cremati nel carcere di Ruzyn e le ceneri furono
raccolte in un sacco di patate. Un autista, con due agenti della polizia
segreta, portò il sacco alla periferia di Praga, dove le ceneri furono
disperse sulla strada ghiacciata. Tre imputati, tra cui l'ex
sottosegretario agli esteri, Arthur London, furono condannati
all'ergastolo. I giornali israeliani e
statunitensi, come "New Republic" del 27 novembre 1952,
collegarono le accuse formulate nel corso del processo ai Protocolli dei
Savi di Sion. Il "New York Times" del 23 novembre 1952 scrisse
che la vasta cospirazione ebraica evocata dal processo di Praga
riecheggiava "ancora una volta gli infami Protocolli dei Savi di
Sion (...), ma in una versione stalinista alla quale il terreno fu
preparato quattro anni or sono dalla campagna contro il 'cosmopolitismo'
scatenata nella stessa Russia sovietica (...) le cui vittime furono
prevalentemente ebrei". L'affare Slansky, concludeva il "New
York Times", "può segnare l'iniziare l'inizio di una grande
tragedia, mentre il Cremlino tende sempre di più verso un antisemitismo
mascherato da antisionismo". In Romania, dove la
popolazione ebraica assommava a 400.000 individui (i quali avevano
accolto entusiasticamente l'Armata Rossa e in moltissimi casi avevano
aderito al partito comunista, entrando così nell'amministrazione
statale e accedendo rapidamente agli uffici dei ministeri, della polizia
e dei quadri dirigenti del Partito) l'eliminazione degli ebrei
dall'amministrazione statale e soprattutto dalla polizia cominciò nel
1947. Furono anche epurati i quadri superiori del Partito, perché non
si volevano indisporre gli elementi cristiani che vi si trovavano e che
già avanzavano riserve sulla presenza di Anna Pauker e di altri ebrei
alla testa del movimento. Le sedi delle organizzazioni sioniste di
Bucarest furono assaltate da militanti comunisti. Ma questi ultimi
trovarono gli ebrei muniti di armi bianche e preparati a difendersi. Fu
il solo caso di resistenza attiva dell'ebraismo esteuropeo negli anni
del socialismo reale. Alla fine, tra gli ebrei
arrestati vi fu la stessa Anna Pauker, figlia di un rabbino, diventata
dirigente del Komintern e ministro degli esteri di Romania nonché
eminente "pensatrice" marxista-leninista. Radio Bucarest
annunciò: "Anche tra noi ci sono criminali, agenti sionisti e
agenti del capitale internazionale ebraico. Li smaschereremo ed è
nostro dovere distruggerli" (Meir Cotic, The Prague Trial: The
First Anti-Zionist Show Trial in the Communist Bloc, Herzl Press, New
York 1987, p. 144). Secondo un dossier che fu
consegnato a un emissario di Berija, Anna Rabinsohn Pauker, "figlia
di un piccolo borghese, era istitutrice in una scuola ebrea di Bucarest
e insegnava lingua ebraica. Si innamorò del suo direttore e ne divenne
l'amante (...) Conobbe Marcel Pauker, traditore della classe operaia e
che doveva poco dopo sposare. Introdotta da lui nel movimento
socialista, ella nutriva per il proletariato la stessa ostilità del
marito, ma seppe meglio nascondere il proprio gioco. Ritornò in
Romania, dove le condizioni di lotta erano tali ch'ella poté usurpare
un posto direttivo nel partito, dopo aver denunciato alla polizia i
militanti che si erano opposti alla sua ascesa. Dopo il 1930, Anna
lascia il paese e si stabilisce dapprima a Parigi, dove conduce una vita
poco conforme alle regole della morale comunista e del semplice
buonsenso. Al suo ritorno, la polizia l'arresta in condizioni che non
abbiamo ancora potuto chiarire. Comunque il suo arresto fu seguito da
quello di numerosi membri del partito, allora clandestino. In prigione
Anna Pauker ebbe una vita facile. Era, tra l'altro, rifornita di viveri
da suo zio, proprietario d'un giornale borghese di Bucarest, mentre gli
altri prigionieri morivan di fame" (Camil Ring, Stalin le aveva
detto, ma..., Mondadori, Milano 1953, pp. 221-222). Abbiamo visto che dopo il XIX
Congresso del Pcus fu arrestata una quindicina di medici ebrei, tra i
quali il dottor M. B. Kogan. Suo cugino, il cardiologo e internista
Boris B. Kogan, aveva avuto in cura sia Dimitrov e Zdanov, che erano
morti entrambi: la dottoressa Lidija Timasuk sosteneva che la morte di
Zdanov era un caso di omicidio medico. Boris Kogan era l'aiuto di
Vladimir N. Vinogradov, direttore dell'ospedale del Cremlino e medico
personale di Stalin. Questi fu arrestato il 9 novembre 1952, con
l'accusa di aver deliberatamente prescritto cure sbagliate a dirigenti
del partito e del governo e di avere "svolto azione di spionaggio
per conto della Gran Bretagna". Due giorni dopo fu arrestato uno
stretto collaboratore di Vinogradov: Miron Semionovic Vovsi, consulente
del consiglio terapeutico e sanitario del Cremlino, cugino di Solomon
Mikhoels, col quale aveva lavorato nell'ormai disciolto Comitato
Antifascista Ebraico. Dopo Vovsi e Vinogradov,
nella seconda settimana di novembre furono arrestati altri nove medici
del Cremlino, tra i quali Boris B. Kogan. Poco dopo gli arresti dei
medici, il maresciallo I.S. Konev, comandante in capo delle forze di
terra nonché ispettore generale dell'Armata Rossa, scrisse a Stalin una
lettera in cui lo avvertiva che stavano avvelenando anche lui, con
"le stesse medicine usate per ammazzare Zdanov". Il 13 gennaio 1953 la "Pravda"
uscì con un titolo a tutta pagina: "Arrestato un gruppo di medici
sabotatori", sotto il quale veniva riportato un comunicato della
Tass di dieci capoversi.. L'editoriale che accompagnava l'annuncio era
intitolato: "Miserabili spie e assassini con la maschera di
professori e medici". Il comunicato menzionava nove medici che
avevano partecipato al complotto terroristico, i cognomi dei quali
rivelavano l'appartenenza ebraica: Vovsi, Vinogradov, Egorov, Feldman,
Etinger, Grinstein, Majorov, M. B. Kogan, B.B. Kogan. Costoro, secondo
la "Pravda", erano "collegati con l'organizzazione
nazionalista borghese ebraica internazionale Joint, creata dallo
spionaggio americano col falso scopo di fornire aiuti materiali a ebrei
di altri paesi". Vovsi, in particolare, aveva confessato di aver
ricevuto dagli Stati Uniti, tramite il Joint e "il noto
nazionalista borghese ebreo Mikhoels, l'ordine di eliminare i massimi
quadri dell'URSS". Il comunicato aggiungeva che Vinogradov, M.B.
Kogan e Egorov erano "agenti di vecchia data dello spionaggio
inglese". I criminali avevano confessato di avere ucciso Zdanov
"diagnosticando scorrettamente la sua malattia, nascondendo che
aveva avuto un infarto al miocardio" e prescrivendo "un regime
controindicato per la sua grave malattia". Allo stesso modo, i
criminali avevano fatto morire anche il compagno A.S. Scerbakov:
"gli hanno prescritto un regime che per lui era mortale e così lo
hanno portato alla morte". Inoltre, il gruppo dei medici ebrei,
"questa banda di criminali antropoidi", cercava di
"compromettere la salute di comandanti militari sovietici, per
ridurli all'inattività e indebolire la difesa del Paese". Le
vittime designate erano tre marescialli, un ammiraglio e un generale. Tutta la stampa sovietica
partecipò alla campagna contro la banda criminale. La rivista sindacale
"Trud" affermava che l'imperialismo statunitense e britannico
agiva a stretto contatto con il sionismo e in particolare con
l'organizzazione ebraica del Joint. La "Literaturnaja Gazeta"
smascherò una cellula sovversiva, annidata nel comitato scientifico
dell'Istituto della Biblioteca di Mosca, che era guidata dagli ebrei
Abramov, Levin, Fried e Eikenvolts. "Medicinski Rabotnik"
pubblicò un lungo elenco di ebrei che lavoravano alla Clinica centrale
di psichiatria legale. I medici di quella clinica avevano anche
propagato le teorie di Bergson e di Freud e avevano rifiutato di
applicare ai pazienti la psichiatria russa, optando per i metodi di
derivazione psicanalitica. Il quotidiano della Lituania metteva in
guardia contro gli "elementi nemici, nazionalisti borghesi e
sionisti ebrei" che svolgevano mansioni importanti nel ministero
della carne e del latte e che potevano avvelenare tali alimenti. "Krokodil",
la rivista satirica, scriveva: "Il nero odio per il nostro paese ha
unito in un solo campo i banchieri americani e inglesi, i colonialisti,
i re degli armamenti, i generali di Hitler che sognano la rivincita, i
rappresentanti del Vaticano e i fedeli membri del Kahal sionista".
I medici ebrei, "personificazione della bassezza e
dell'abominio", come Giuda Iscariota", avevano tutti quanti
frequentato una nota scuola: quella "diretta dall'ipocrita Mikhoels,
per il quale nulla era sacro e che aveva venduto l'anima per trenta
denari". Secondo le "Izvestija",
i processi contro i sionisti che venivano celebrati in Ungheria,
Bulgaria, Polonia e Albania costituivano la prova dell'esistenza di un
piano spionistico americano di ampia portata, un piano che vedeva
sionisti e americani collaborare in maniera solidale. In Ucraina, a Zitomir, furono
arrestati venti medici ebrei, definiti dai giornali ucraini
"assassini di bambini". La "Pravda Ukrainij" dedicò
a tre sabotatori giustiziati a Kiev un editoriale in cui si leggeva:
"Tutti questi Kohain e Jarosecki e Grinstein (...), i Kaplan e i
Poljakov (...) suscitano l'odio profondo del popolo". Quattro informatori degli
americani nella Germania occidentale dissero che le accuse contro i
medici erano il segnale di una purga imminente. L'economista Konstantin
Krylov diceva da anni che Stalin si sarebbe servito dell'antisemitismo
per una purga su vasta scala. Vjaceslav Artem'ev, ex poliziotto della
polizia segreta, disse che forse il 25% dell'MGB erano ebrei e che
certamente sarebbero stati radiati; questo comunque sarebbe stato solo
l'inizio di una vasta epurazione. Effettivamente gli ebrei dell'MGB
furono epurati e alcuni di loro, come ad esempio il tenente generale
Raichman, furono arrestati. Frattanto Berija mandò i
suoi uomini ad arrestare il medico di Mao Tse Tung, che era un ebreo
proveniente dall'URSS. S. Eliashiv, diplomatico
israeliano a Mosca, in un messaggio del 10 febbraio 1953 disse:
"L'elemento principale comune a tutti questi articoli e discorsi è
l'accerchiamento da parte di potenti nemici stranieri e la costruzione
di una quinta colonna all'interno"; tuttavia "lo Stato
d'Israele non è ancora un bersaglio primario, diretto", come lo
era stato nelle "esplicite accuse della Cecoslovacchia e della
Polonia. (...) Ciononostante, esiste una collera grave e violenta contro
i sionisti e il sionismo". Eliashiv esprimeva inoltre una grave
preoccupazione per il proliferare di denunce contro criminali ebrei,
specialmente in Ucraina, Bielorussia e Moldavia, dove vivevano numerose
comunità ebraiche. In Israele, quando la notizia
del complotto dei medici giunse via radio, il rabbino Jacob Kolmess, che
aveva lasciato Mosca nel 1933, si portò la mano al petto e morì per
una crisi cardiaca. Il 19 gennaio, il ministro degli Esteri Moshe
Sharett denunciò come calunniosa la campagna sovietica. I sovietologi
israeliani indicavano, tra i fattori della campagna antiebraica, il
tentativo dell'URSS di avvicinarsi al mondo islamico. Intanto in Unione Sovietica
la campagna di stampa dava i suoi frutti: Uljanovsk, ventisei
insegnanti, per lo più ebrei, furono espulsi dalla scuola magistrale in
cui insegnava la vedova di Mandel'stam. Duecento ebrei furono licenziati
dall'università di Odessa; tutti i laureati ebrei della facoltà di
medicina furono mandati nelle zone orientali più remote della Siberia,
come la Kamcatka e la Jacutia. Fuori dall'URSS, è da notare
che nella Repubblica Democratica Tedesca i capi delle comunità ebraiche
furono sottoposti ad interrogatorio da parte delle forze di sicurezza. A
Berlino Est, mille ebrei chiesero il visto per gli Stati Uniti. Il 15
gennaio, quattro esponenti di primo piano della comunità ebraica
tedesco-orientale, tra cui Julius Meyer, fuggirono a Berlino Ovest. In Ungheria, "Szabad Nép"
scrisse, il 15 gennaio, che il Joint era solito "nascondere veleno
e pugnali" tra i "vestiti usati" che spediva agli ebrei. In Cecoslovacchia, il 16
gennaio "Rude Pravo" affermò che i "'doni' inviati dal
Joint" erano in realtà "ordini di uccidere". Dmitrij I. Cesnokov, da poco
condirettore del "Bolsevik", capo di una nuova sezione del
Comitato Centrale e nuovo membro del Presidium, redasse un opuscolo per
spiegare perché gli ebrei dovevano essere deportati. L'opuscolo,
stampato dalla casa editrice del MVD in un milione di esemplari, era
intitolato Perché gli ebrei devono essere trasferiti dalle regioni
industriali del paese. Contemporaneamente veniva
stilato il testo di una "Dichiarazione Ebraica", destinata a
essere pubblicata sulla prima pagina della "Pravda" dopo la
celebrazione del processo contro i medici e la loro esecuzione sulla
Piazza Rossa. La "Dichiarazione Ebraica", che avrebbe recato
in calce le firme di qualche decina di ebrei "leali", sarebbe
stata adoperata, se Stalin non fosse provvidenzialmente morto nel
frattempo, per giustificare la deportazione di quasi tutti gli ebrei
sovietici nel Kazakhstan e nel Birobidzan. La "Dichiarazione",
secondo la ricostruzione che ne è stata fatta in base alle
testimonianze di Ilja Erenburg, sarebbe stata formulata più o meno nei
termini seguenti: "Ci appelliamo al
governo dell'URSS, e al compagno Stalin personalmente, perché salvino
la popolazione ebraica da possibili violenze conseguenti alle
rivelazioni sui medici-avvelenatori e sul coinvolgimento di cittadini
sovietici rinnegati di origine ebraica, colti in flagrante a partecipare a un
complotto americano-sionista per destabilizzare il governo sovietico. Ci
uniamo al plauso di tutti i popoli sovietici per la punizione dei medici
assassini, i cui crimini esigevano la pena capitale. I sovietici sono
naturalmente indignati di fronte al continuo ampliarsi delle trame del
tradimento e al fatto che, e ciò ci addolora, molti ebrei hanno aiutato
i nostri nemici a costituire in mezzo a noi una quinta colonna.
Cittadini semplici, fuorviati, possono essere spinti a reagire colpendo
indiscriminatamente gli ebrei. Per questa ragione, vi imploriamo di
proteggere il popolo ebraico mandandolo nei territori orientali in via
di sviluppo, dove sarà impiegato in un lavoro di utilità nazionale e
sfuggirà alla comprensibile collera suscitata dai medici-traditori.
Noi, in quanto personalità di spicco tra gli ebrei fedeli all'Unione
Sovietica, respingiamo totalmente la propaganda americana e sionista che
afferma che in questo paese c'è antisemitismo. Si tratta soltanto di
una cortina fumogena per nascondere il loro tentativo fallito di
assassinare dirigenti sovietici e deviare le critiche del mondo dalla
questione dell'antisemitismo americano del caso Rosenberg e degli
intenti genocidi americani contro la popolazione nera statunitense.
Nell'Unione Sovietica, invece, il razzismo è vietato dalla costituzione
e non esiste affatto". Tra i firmatari della
"Dichiarazione Ebraica" vi furono lo scrittore Vasilij S.
Grossman, l'accademico Isaac Mints, il fisico Lev Davidovic Landau
(Premio Nobel nel 1962), il violinista David Ojstrach, il compositore
Matveij Blanter e altri ebrei di una certa fama. A quanto si è detto, il
piano di Stalin prevedeva che i medici dovevano essere giustiziati
subito dopo l'emissione della condanna. Sarebbero stati impiccati nella
Piazza Rossa, sulla Lobnoe mesto, una piattaforma di pietra circolare
accanto al Cremlino, adoperata nel Medioevo per le esecuzioni. Poi
sarebbero scoppiati degli incidenti: violenze contro ebrei,
pubblicazione della "Dichiarazione Ebraica", pubblicazione di
lettere che chiedevano l'adozione di provvedimenti. Allora gli ebrei
dell'URSS (l'87% dei quali era concentrato nelle grandi città: Mosca,
Leningrado, Kiev, Odessa, Riga, Kharkov) sarebbero stati trasferiti in
campi a est degli Urali. Nel periodo di sei settimane
intercorso tra l'annuncio del 13 gennaio e la morte di Stalin, si
diffuse la notizia che si stavano approntando mezzi di trasporto
sufficienti a spostare intere masse di persone. Tra i pochi ebrei che
rimanevano nei gradi elevati degli organi di polizia, dei ministeri e
dell'esercito, alcuni erano a conoscenza di particolari specifici
relativi a vagoni merci vuoti che restavano fermi, in attesa, sui binari
di raccordo. Un medico di rango elevato, che durante la deportazione
delle otto nazionalità sovietiche era stato responsabile del controllo
delle condizioni sanitarie sui treni utilizzati per le evacuazioni, nel
1952 venne a conoscenza dei piani per la deportazione degli ebrei. Il
trasporto sarebbe stato organizzato con gli stessi criteri seguiti per
le deportazioni del periodo bellico. (Cfr. B. Z. Goldberg, The Jewish
Problem in the Soviet Union: Analysis and Solution, Crown, New York
1961, pp. 148-149). Comunque, lo stesso sistema dei trasporti sarebbe
stato ben presto depurato dalla presenza ebraica. Si dice che Stalin
avesse ordinato di preparare nei maggiori nodi ferroviari per il
febbraio 1953 un grande numero di carri bestiame; in realtà, data la
complessità dell'operazione, le deportazioni non potevano avere inizio
prima di aprile o maggio. Tra l'altro, erano state mobilitate squadre di
funzionari dell'MGB per inventariare i beni che gli ebrei avrebbero
abbandonato. Secondo gli ebrei che videro
i campi dopo il periodo di Stalin, erano stati costruiti baraccamenti
appositi, puliti e nuovi. Vladimir Lifshitz, un tecnico ebreo che lavorò
per la marina russa nella Siberia occidentale dieci anni dopo il
complotto dei medici, il 9 novembre 1987 raccontò a Louis Rapoport (Stalin's
War against the Jews, The Free Press, New York 1990, p. 203) di aver
visto un campo mai utilizzato con file e file di baracche. Questo campo
si trovava sugli altipiani non lontani da Barnaul, una cittadina nella
regione del Kuzbass, a nordest del Kazakhstan e a sud di Novosibirsk e
della zona petrolifera della Siberia occidentale. Quest'area, il doppio
dell'Italia, era costellata da centinaia di campi di concentramento. Il
campo che il tecnico e i suoi uomini avrebbero visitato era una città
fantasma di baracche fatiscenti, che si estendeva su un paio di
chilometri quadrati. Nel 1956 furono trovati nel
Birobidzan altri due campi simili a questo; altri baraccamenti, situati
sull'isola di Novaja Zemlja, a nordest di Arcangelo, erano stati
costruiti per diretto ordine di Stalin. Si parlò anche di un
grandioso piano di sviluppo per trasformare la Siberia in un impero
industriale. Alle schiere di lavoratori in condizioni di schiavitù si
sarebbero aggiunti circa due milioni di ebrei e altri due o tre milioni
di nuovi prigionieri politici. Tra le centinaia di migliaia
di ebrei che già si trovavano nel Gulag c'era anche Iosif Berger, uno
dei fondatori del partito comunista in Palestina, che all'inizio degli
anni Trenta era tornato nell'Unione Sovietica dove era incappato nei
rigori della Grande Purga. Berger si convinse che si stava progettando
la liquidazione degli ebrei. (J. Berger, Shipwreck of a Generation,
Harvill Press, London 1971, pp. 131-132). In ogni caso, erano già
cominciati gli arresti e le retate. Alcuni ebrei, come il dottor Jakov
Rapoport, che era stato arrestato a metà gennaio 1953, venivano
coinvolti direttamente nel caso dei medici del Cremlino. Altri, come il
dottor Solomon Nezlin, arrestato verso la fine di gennaio, furono
collegati indirettamente al complotto attraverso un parente: il fratello
era uno dei medici che avevano visto nel 1948 le cartelle cliniche di
Zdanov. Anche i familiari di ebrei giustiziati, come Perec D. Markis (il
letterato che aveva eseguito la lamentazione funebre ai funerali di
Mikhoels), furono arrestati in seguito all'annuncio del 13 gennaio. La
polizia segreta arrestò tutta quanta la famiglia Markish: David, la
madre Esther, la sorella Olga, il fratello Simon, il cugino Juri.
Condannati a dieci anni di confino, furono spediti nel Kazakhstan
settentrionale su un vagone piombato. Sul medesimo vagone viaggiava
anche Marija Iusefovic, moglie di un funzionario sindacale che aveva
svolto attività nel Comitato Antifascista Ebraico. Il 30 e il 31
gennaio furono arrestati i familiari di altre personalità del Comitato
Antifascista Ebraico: l'attore e condirettore del Teatro Jiddish di
Mosca Benjamin Zuskin, sua moglie (l'attrice Eda) e la loro figlia; la
famiglia di Leib Kvitko, scrittore ebreo, già membro del Comitato
Antifascista Ebraico; la famiglia di David Bergel'son, il poeta jiddish
che era stato membro del Comitato Antifascista Ebraico. Furono arrestate
anche le mogli dei medici del Cremlino. Secondo Roy Medvedev, Stalin
progettava di deportare la maggior parte degli ebrei non in Siberia o
nel Birobidzan, ma nelle regioni settentrionali del Kazakhstan, dove lo
spazio per i due milioni di ebrei sovietici era più che sufficiente. Il
solo campo di Karaganda, che si estendeva per più di 450 chilometri,
poteva accoglierne una gran parte. Nella zona intorno al
villaggio di Karmacij, dove arrivò la famiglia Markis, c'erano già
molti altri ebrei. Oltre a un'intera colonia di ebrei della Bessarabia,
deportati dopo l'annessione della Bessarabia all'URSS, c'erano ebrei
provenienti da Bukhara, da Kiev, da Odessa e da altre città. Dopo l'annuncio del 13
febbraio, la campagna della stampa e della radio contro i "medici
stranieri" e i "cani arrabbiati di Tel Aviv" proseguì
ininterrotta. Un lungo saggio di Ladislao Carbajal, intitolato La
questione ebraica non esiste nella società socialista, accusava il
primo ministro israeliano Ben Gurion, il ministro degli esteri Moshe
Sharett e l'ambasciatore all'ONU Abba Eban di essere gl'ispiratori di
un'attività spionistica che veniva sviluppata per conto degli USA e
dell'Inghilterra. A metà febbraio fu scoperta una rete spionistica
ebraica nella Transcarpazia. A Odessa vennero alla luce altri complotti,
anche questi alimentati da ebrei. La "Pravda" del 6
febbraio diede la notizia dell'arresto degli ebrei S.D. Gurevic e J.A.
Taratuta: il primo, già direttore di "Moscow News", era un
agente bundista-menscevico-trotzkista al servizio degli USA, mentre la
seconda era una dipendente dell'Accademia delle Scienze dell'URSS. Fu
arrestato anche il direttore del Teatro dell'Arte di Mosca, Igor Neznij,
un vecchio amico di Mikhoels accusato di far parte del centro sionista
diretto dal pianista Grigorij Ginzburg. Tutto ciò indusse l'ebraismo
statunitense a mobilitarsi in difesa degli ebrei dell'URSS. I dirigenti
del B'nai B'rith andarono al Dipartimento di Stato a esprimere i loro
timori per la situazione dell'ebraismo sovietico. Un gruppo di
quarantanove personalità ebreo-americane di grande rilievo (tra le
quali Eleanor Roosevelt, la vedova del presidente) il 12 febbraio
rivolse un appello a Eisenhower affinché parlasse pubblicamente dei
milioni di ebrei del blocco sovietico che si trovavano esposti a
"una nuova epidemia di pogrom, ad aggressioni istigate dai
comunisti"; il presidente americano veniva invitato a pronunciare
una "solenne condanna pubblica e l'avvertimento che questo attacco
contro il popolo ebraico costituisce un incitamento al massacro".
Il 16 febbraio il senatore Robert C. Hendrickson presentò la
risoluzione numero 71 del Senato, firmata da lui e da altri due
senatori, che paragonava l'antisionismo comunista all'antisemitismo
nazista. Alle parole si accompagnavano
i fatti. Il 9 febbraio una violenta esplosione scosse il centro di Tel
Aviv: un attentato distrusse la legazione dell'URSS, sicché rimasero
feriti tre cittadini sovietici. L'attentato terroristico era opera della
vecchia Banda Stern di Yitzhak Shamir. Tre giorni dopo, l'URSS ruppe le
relazioni diplomatiche con Israele. Ben Gurion dichiarò alla Knesset
che la rottura diplomatica faceva parte di una massiccia campagna
diffamatoria sovietica, nuovo atto di una storia di quattromila di odio,
calunnie, torture, distruzioni e massacri subiti dal popolo eletto. Il 14 febbraio le "Izvestija"
spiegavano che il funzionario del Dipartimento di Stato americano
William Draper, aiutato dal Joint e dagli istituti bancari Dillon, Read
e Harriman Bros., stava realizzando il piano segreto dell'ex ministro
del tesoro Henry Morgenthau, del deputato Emanuel Celler e del senatore
Jacob Javits, che consisteva nel fare di Israele la principale base
antisovietica del Vicino Oriente. Tra gli uomini del Joint e Tel Aviv,
diceva l'articolo, c'era "la feccia della società, trotzkisti,
nazionalisti borghesi e cosmopoliti sradicati d'ogni sorta, che per un
pugno di dollari hanno venduto il loro onore, il loro popolo e il loro
paese". "Ciò che provocò la
collera di Stalin contro Israele - scrive François Fejtö - non fu
tanto il naturale filoamericanismo d'Israele, quanto le tumultuose
simpatie filoisraeliane della popolazione ebraica dell'Unione Sovietica,
quella passione per Israele che si espresse in maniera così
significativa nell'accoglienza trionfale tributata al primo inviato del
nuovo stato, la signora Golda Meir. Questo stato d'Israele, non era
forse il coronamento dei lunghi e pazienti sforzi dei pionieri di Sion,
tra i quali gli ebrei russi avevano avuto un ruolo di primo piano? Il
giudaismo russo poteva giustamente considerare Israele come la
realizzazione dei propri sogni, come una creatura del suo spirito e
della sua carne. Agli occhi di Stalin, invece, questo entusiasmo, questa
solidarietà senza riserve erano una sfida intollerabile al sovietismo,
incompatibile sia con l'internazionalismo dottrinale che con la ragione
di stato dell'Unione Sovietica, tesa da quel momento allo sfruttamento
delle animosità arabe contro l'occidente, protettore d'Israele" (François
Fejtö, Gli ebrei e l'antisemitismo ne paesi comunisti, Sugar, Milano
1962, pp. 33-34). l 30 febbraio il
"Manchester Guardian" riferì che il ministro degli esteri
sovietico Visinskij aveva invitato a Mosca uno dei peggiori nemici
d'Israele, il Gran Muftì di Gerusalemme Haj Amin al-Husseyni, che si
era rifugiato al Cairo dopo essere stato condannato per crimini contro
l'umanità. L'invito venne formulato proprio il primo giorno della festa
ebraica dei Purim. Il regime di Tito organizzò
il 27 febbraio a Belgrado una grande manifestazione di protesta contro
l'antisemitismo sovietico. Gli oratori condannarono i sovietici perché
calpestavano i diritti dell'uomo e accusarono il Cremlino di far
incombere sugli ebrei dell'Europa orientale le "identiche possibili
conseguenze estreme" già verificatesi sotto il dominio nazista. A parte Lazar Moiseevic
Kaganovic, che era l'ebreo sovietico di rango più elevato, il generale
dell'NKVD Lev Zacharovic Mechlis era l'ultimo dirigente sovietico di
origine ebraica che ancora fosse presente nelle gerarchie del regime.
Mechlis aveva arrestato il proprio padre, un impiegato ebreo di Odessa,
e aveva testimoniato contro di lui davanti ad un tribunale della polizia
segreta. Secondo le memorie di Khruscev, assieme a Kaganovic aveva
organizzato la morte di centinaia di migliaia, forse milioni di persone.
In particolare, aveva epurato il corpo ufficiali. Nell'ottobre del 1950
era stato sollevato dal suo ultimo incarico, quello di ministro del
controllo statale. Nell'ottobre del 1952, al XIX Congresso del PCUS, fu
eletto nel comitato centrale. Dopo l'annuncio del complotto dei medici,
Mechlis si allontanò di soppiatto da Mosca e andò a Saratov, dove si
ammalò. Portato a Mosca per essere curato nell'infermeria dell'MVD nel
carcere di Lefortovo, vi morì, stando alla "Pravda", venerdì
13 febbraio, per un attacco di cuore conseguente alla degenerazione del
cervello e dei vasi del cuore e del sistema nervoso. Il cadavere di
Mechlis venne cremato e le sue ceneri furono collocate nel muro del
Cremlino. Nel periodo del complotto dei
medici, tutti i funzionari sovietici di alto rango che erano sposati con
donne ebree furono sottoposti a pressione affinché divorziassero. Vi
furono anche casi di divorzi fittizi, attuati allo scopo di passare
indenni attraverso la tempesta. Il maresciallo Kliment
Efremovic Vorosilov (già nel 1940 sollevato dall'incarico di
commissario per la difesa), che era sposato anche lui con un'ebrea,
Ekaterina, si rifiutò di divorziare. Nel febbraio 1953 scacciò con la
pistola alla mano quattro agenti dell'MGB che si erano presentati a casa
sua (la più imponente e sontuosa tra le dacie dei grandi della
Rivoluzione) per arrestare Ekaterina. Alla fine di febbraio,
Vorosilov fu invitato a una riunione del Presidium in cui si sarebbe
dovuto discutere del trasferimento degli ebrei una riunione del
Presidium. Alla riunione, Stalin rivelò i particolari del suo piano per
combattere il complotto imperialista e sionista contro l'Unione
Sovietica e disse che si rendeva necessaria l'immediata deportazione in
massa nell'Asia centrale e nel Birobidzan. Quando ebbe terminato di
parlare, tra la ventina di persone sedute intorno al tavolo delle
riunioni cadde un silenzio totale. A un certo punto Kaganovic domandò
con voce esitante se sarebbero stati deportati tutti gli ebrei sovietici
senza eccezioni. Stalin rispose: "Un certo settore". Kaganovic
non replicò. Molotov, la cui moglie era già scomparsa in territori
lontani, osò dire che il trasferimento degli ebrei avrebbe avuto un
impatto negativo sull'opinione pubblica mondiale; Mikojan annuiva.
Intervenne allora Vorosilov, il quale affermò che un'azione del genere
avrebbe destato nel mondo la medesima reazione che già c'era stata
contro Hitler. Poi, con gesto teatrale, gettò la tessera del PCUS sul
tavolo, dicendo che il piano di trasferimento violava l'onore del
Partito e che lui non voleva appartenere a un'organizzazione come
quella. Stalin gli gridò: "Compagno Kliment, deciderò io quando
non sarai più autorizzato a tenere la tessera del Partito!" E si
infuriò a tal punto, che ebbe una crisi e crollò al suolo. Il 22 e il 23 febbraio la
campagna contro i nemici del sistema sovietico rallentò
improvvisamente. Dopo il 25 febbraio non si ebbero più notizie di
arresti di elementi ebraici. La campagna si interruppe il 1 marzo; il 2
marzo, per la prima volta dal 13 gennaio, la "Pravda" non
parlava più dei medici avvelenatori. Non meno di trentasei ore
dopo che il cuore di Stalin aveva cessato di battere, alle 7 del mattino
del 4 marzo Radio Mosca annunciò al mondo che il Padre dei popoli
dell'URSS era gravemente malato. "Il Comitato Centrale del Partito
Comunista dell'Unione Sovietica e il Consiglio dei ministri dell'Unione
Sovietica annunciano la disgrazia che ha colpito il nostro Partito e il
nostro popolo: la grave malattia del compagno Iosif Visarionovic
Stalin". L'annuncio venne letto da
Juri Levitan, un annunciatore ebreo. La dottrina ufficiale sulla
questione ebraica al tempo di Stalin Il punto di vista ufficiale
delle autorità sovietiche sul problema ebraico fu definito con
precisione nell'Enciclopedia Sovietica. Sarà utile riportare i punti
salienti dell'articolo Ebrei apparso nell'edizione del 1952 della Grande
Enciclopedia Sovietica, vol. XV, pp. 357-378. "(...) Gli Ebrei non costituiscono una nazione a sé stante, poiché non rappresentano una comunità stabile di uomini storicamente nata e sviluppata sulla base di una lingua, un territorio, una vita economica e culturale comuni. (...) Nella sua opera Il Marxismo e il problema delle nazionalità (1913) I. V. Stalin, smentendo le asserzioni del socialdemocratico austriaco Bauer, dice: '... di quale comunanza di destino e di legami nazionali si può parlare per riguarda, ad esempio, gli ebrei georgiani, russi e americani, completamente isolati gli uni dagli altri, abitanti in luoghi diversi e parlanti lingue diverse? (...)' (...) Anche tra gli ebrei esistono degli sfruttatori che tentano di conservare e incrementare il particolarismo nazionale dei giudei e a questo fine si avvalgono dell'arma che hanno a disposizione: la religione. (...) Un ruolo decisamente nocivo è stato ed è ancora svolto dal sionismo - un movimento reazionario a base nazionalistico-borghese i cui fautori lottano per l'unificazione degli ebrei sul territorio di Palestina e negano la lotta di classe (...) Il 'Bund' era un'organizzazione nazionalista ebraica iorente tra gli ebrei russi, un partito opportunista di piccoli borghesi che voleva la differenziazione dei socialdemocratici ebrei dal generale movimento socialdemocratico russo. V. I. Lenin e I. V. Stalin combatterono i principi nazionalisti che ispiravano il Bund (...) 'La cultura nazionale ebraica è una parola d'ordine dei rabbini e dei borghesi - una parola d'ordine dei nostri nemici', scriveva V. I. Lenin nel 1913. (...) Il sionismo è usato dagli imperialisti americani ed europei come arma per sventare la lotta di classe dei lavoratori ebrei. Perfino in quelle comunità che meglio delle altre si sono assimilate alle popolazioni locali (nell'Africa del nord, ad esempio) il sionismo attizza il nazionalismo ebraico e, così facendo, si conferma come un agente degli imperialisti angloamericani e come il peggiore nemico del lavoratore. Il carattere menzognero della propaganda sionista (...) è evidente ove si consideri la politica reazionaria del governo sionista d'Israele, che contribuisce a trasformare il paese in una base dell'imperialismo americano (...)". |
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