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L'EUROPA
MUSULMANA
di
Claudio Mutti
A Dio appartengono l’Oriente e l’Occidente; in
qualunque direzione vi volgiate, ivi è il Volto di Dio; in verità
Iddio tutto abbraccia e tutto sa.
(Corano, II, 115)
Gottes ist der Orient!
Gottes ist der Okzident!
Nord- und südliches Gelände
Ruht im Frieden seiner Hände.
(J. W. Goethe)
Europa cristiana ed Europa musulmana
“Erano tempi belli, splendidi, quelli dell’Europa cristiana,
quando un’unica cristianità abitava questo continente di forma umana,
e un grande e comune disegno univa le più lontane province di questo
ampio regno spirituale”. Così esordisce quel celebre frammento
che Novalis scrisse nel 1799 e intitolò Die Christenheit oder
Europa, enunciando una sinonimia che già allora appariva poco
fondata.
Nella realtà, l’”unica cristianità” idealizzata dal poeta
romantico non è mai esistita; tanto meno è esistita una cristianità
coincidente con l’umanità europea. Nel cristianesimo, infatti, gli
scismi sono stati numerosi, fin dai tempi apostolici: già San Paolo,
nella prima Lettera ai Corinzi, lamentava le divisioni della Chiesa. Ma
il primo grande scisma, lo scisma d’Oriente, avvenne nel 1054, quando
Leone IX scomunicò il Patriarca Michele Cerulario e tutta la Chiesa
d’Oriente: questa rottura fu il risultato di oltre mezzo millennio di
attriti, di gelosie e divisioni che avevano scavato un fossato tra la
Chiesa d’Oriente e quella d’Occidente. Compito della Chiesa greca
era stato di formulare i dogmi relativi a Dio e al Cristo, mentre la
Chiesa romana aveva definito la dottrina concernente la natura e i
bisogni dell’uomo. La prima, erede della filosofia e della retorica
dei Greci, aveva esteso la sua giurisdizione agli Slavi e ai Latini
d’Oriente; la seconda, erede della sapienza giuridica romana, era
diventata la religione dei popoli latini d’Occidente e dei popoli
germanici. I motivi immediati dello scisma furono alcune innovazioni
occidentali, come l’aggiunta del “filioque” al testo del Credo e
le norme sul celibato del clero.
Lo scisma d’Occidente ebbe luogo nel 1378, in seguito all’elezione
di due diversi papi: Urbano VI e Clemente VII. Quest’ultimo, che venne
riconosciuto da una parte degli Stati cattolici, si stabilì ad Avignone
e usò le armi per tentare di togliere al rivale lo Stato pontificio.
Tale divisione turbò la Chiesa occidentale, finché l’unità venne
ricomposta nel 1447 sotto Nicolò V.
Nel secolo successivo, però, la Riforma protestante provocò il
distacco della maggior parte delle popolazioni germaniche – e non solo
germaniche – dalla Chiesa di Roma, nonché la nascita di tutta una
serie di chiese nazionali.
In questo panorama europeo, caratterizzato dalla frantumazione della
cristianità e dalla presenza di due, poi di tre grandi confessioni
cristiane ostili e in lotta fra loro, si era inserito, fin dall’VIII
secolo d. C., l’Islam. Accanto all’Europa ortodossa, a quella
cattolica e a quella protestante prese dunque forma, su un’area
territoriale più ridotta, un’Europa musulmana.
La Spagna musulmana
L’Islam europeo si manifestò inizialmente nella penisola iberica. Su
un preesistente fondo germanico (visigotico) e romanzo (ibero-latino)
ebbe luogo l’”unico trapianto in grande stile della civiltà
arabo-musulmana su suolo europeo” (1). Si trattò
di un trapianto più culturale che etnico, perché “i musulmani di
Spagna, se discendenti di convertiti alla religione dei conquistatori,
erano Spagnoli puri; altrimenti, per via dei frequenti incroci,
prevaleva nelle loro vene l’antico sangue ispanico” (2).
Veicoli dell’Islam in Spagna furono inizialmente i Berberi, i quali,
dopo che gli Arabi di Mu’awiya ebbero fallito nel tentativo di forzare
la porta orientale dell’Europa, riuscirono ad entrarvi dal versante
opposto. Nel 711 un luogotenente del governatore dell’Ifriqiyya
immortalò il proprio nome, Târiq, nella montagna che da lui prese il
nome: Gibilterra (Gebel Târiq = “Monte di Târiq”). La spedizione
contro il regno dei Visigoti, che in Ispagna avevano preso stanza nel V
secolo, nel giro di sei anni diede luogo a un’occupazione stabile del
territorio. Al-Andalus – questo il nuovo nome del paese – nel 756 si
sottrasse alla sovranità del califfo omayyade di Damasco e diventò
indipendente.
Nel 752 truppe arabe e berbere, che si erano concentrate a Pamplona per
varcare i Pirenei attraverso il passo di Roncisvalle, furono bloccate
tra Poitiers e Tours. Gli storici occidentali hanno spesso attribuito
un’importanza eccessiva a questa battaglia e hanno voluto vedere in
essa l’evento decisivo da cui dipese nei secoli avvenire la civiltà
cristiana. Per i cronisti musulmani, si trattò semplicemente di un
episodio sfortunato, che però non impedì ulteriori incursioni in
territorio cristiano. Fatto sta che nel giro di pochi anni Carlo
Martello e Pipino il breve riuscirono a strappare ai musulmani la
Settimania, sicché l’Europa musulmana dovette fissare i propri
confini settentrionali in corrispondenza dei Pirenei.
Sotto la dinastia degli Omayyadi (755-1031) la Spagna conobbe un periodo
di grande splendore: il sovrano più importante fu l’emiro ‘Abd
ar-Rahmân III (912-961), che consolidò il suo potere e assume il
titolo di califfo (929); ma dopo al-Mansûr (Ibn Abî Amir, 977-1002),
che ristabilì la signoria araba su tutta la Spagna, scoppiò una serie
di contese dinastiche (1008-1031), sicché l’Andalusia si frazionò in
piccoli regni autonomi (i reinos de taifas, 1031-1086). Contro Alfonso
VII di Castiglia, che riprese l’offensiva cristiana, vennero chiamati
in Spagna gli Almoravidi berberi (1086-1147), ai quali succedettero gli
Almohadi (1150-1250). L’emirato di Granada (1246-1492), ultimo
baluardo dell’Islam nell’Europa occidentale, cadde con la conquista
della città da parte di Ferdinando e Isabella di Castiglia.
Per un bilancio della presenza dell’Islam in Spagna, possono valere
queste poche parole di Sigrid Hunke: “L’esempio della Spagna
mostra che duecento anni di sovranità musulmana furono sufficienti
perché un paese impoverito, desolato e asservito venisse a trovarsi
alla testa dell’Europa e del mondo occidentale, e ciò grazie ad una
cultura diffusa in tutti i ceti della popolazione e grazie al fiorire
delle scienze e delle arti. Questo primato, la Spagna lo conservò per
cinque secoli, finché l’Islam non venne estromesso” (3).
L’Italia musulmana
L’Italia cominciò ad attrarre l’interesse dei Saraceni (si trattava
soprattutto di Berberi) verso la metà del VII secolo, cioè in un
periodo in cui la penisola era politicamente divisa tra i Longobardi, i
Bizantini e il Papa. La prima incursione ebbe luogo in Sicilia nel 652,
durante il califfato di ‘Othmân, che ne affidò l’esecuzione a
Mu’awiya ibn Hudaig. La Sardegna e la Corsica furono assalite nel
primo decennio dell’VIII secolo, nel contesto di quella grande ondata
espansiva che, a cavallo dei secoli VII e VIII, sottomise all’impero
omayyade l’Egitto, il Nordafrica e la penisola iberica. Anche se non
ci è dato di sapere con precisione quando le due isole siano cadute in
potere dei musulmani, pare che questi si siano impadroniti totalmente
della Corsica verso la metà del secolo IX e della Sardegna cinquant’anni
più tardi. In seguito, all’inizio del secolo XI, un condottiero di
nome Mujâhid (Mugetto per le cronache italiane), proveniente dalla
Spagna o dalle Baleari, sbarcò in Sardegna e riconquistò Cagliari, che
i Saraceni avevano perduta. Ripresa la Sardegna e aspirando a più ampie
conquiste, Mujâhid occupò la Lunigiana, restaurò Luni e vi si insediò.
Perduta e quindi ripresa la Sardegna, i musulmani dovettero abbandonarla
definitivamente nel 1050, dopo averla occupata, tutta o in parte, per più
di tre secoli. Quanto alla Corsica, su di essa avrebbero regnato sei
sovrani mori, finché il patrizio romano Ugo Colonna la conquistò verso
l’anno 800 per conto del Papa.
Più lunga fu la presenza dell’Islam in Sicilia, e più gloriosa: “non
può rincrescerci il conquisto musulmano che la scosse e rinnovò”
(4), scriveva nell’Ottocento Michele Amari,
insuperato storico della Sicilia musulmana. La conquista dell’isola,
cui parteciparono Arabi, Berberi e Andalusi guidati dal settantenne Asad
ibn al-Furât, fu iniziata nell’827 da quella dinastia aghlabide che,
insediatasi nell’Ifriqiya e acquisito il controllo del Mediterraneo
centro-orientale, nell’813 aveva organizzato una scorreria in Calabria
e aveva sbarcato un contingente di armati a Civitavecchia. Nell’831 fu
espugnata Palermo, che diventò la capitale della nuova provincia
aghlabide; nell’843 fu la volta di Messina; poi toccò a
Castrogiovanni e a Siracusa, finché nel 902 la presa di Taormina
completò la conquista dell’isola, che diventò la base per ulteriori
spedizioni, sia verso le coste calabresi sia verso quelle adriatiche.
Rimasta legata agli Aghlabidi fino al tramonto della loro fortuna
politica, nel 910 la Sicilia passò nell’orbita dei Fatimidi sciiti,
che si erano insediati nel Nordafrica. Su mandato fatimide i Kalbidi
assunsero il governo dell’isola, che sotto di loro conobbe un periodo
di grande prosperità. “L’agricoltura e il commercio
ridiventarono fiorenti; le conversioni si moltiplicarono, non per
costrizione, ma per il desiderio spontaneo suscitato dagli uomini pii e
per l’ammirazione destata dal superiore livello di civiltà degli
occupanti. La prosperità e le raffinatezze dell’Oriente, la vita
culturale di Baghdad, di Cordova e del Cairo si riflettevano anche a
Palermo” (5). Tra autoctoni, berberi e persiani
(numerosi questi ultimi nell’esercito e nella burocrazia), la
popolazione palermitana superava i 300.000 abitanti; col suo mezzo
migliaio di moschee, nella più grande delle quali venivano custoditi i
presunti resti mortali di Aristotele, la metropoli siciliana poteva
benissimo reggere il confronto con Cordova.
I musulmani di Sicilia si inserirono ben presto nella politica italiana,
stringendo frequenti alleanze coi signori longobardi. Nell’835 la
repubblica di Napoli fece ricorso all’aiuto dei Saraceni contro i
Beneventani; nell’842 i Napoletani restituirono il favore aiutando i
musulmani che attaccavano Messina. Nell’agosto dell’846 un gruppo di
Berberi, forse proveniente da una base sarda, sbarcò ad Ostia e arrivò
a Roma, dove penetrò in San Pietro e ne saccheggiò i tesori. Nel
secolo IX il basso Tirreno era così entrato nella sfera d’azione dei
musulmani, che nell’848 occuparono anche Cuma; rimasta in loro
possesso per un paio di secoli, questa città fu un importante scalo
commerciale che godette della protezione delle vicine repubbliche di
Napoli, Amalfi e Gaeta.
Quanto al litorale adriatico, nell’847 il berbero Khalfûn conquistò
Bari. Sei anni più tardi il suo successore chiese al califfo di Bagdad
di legittimare il suo potere, ma l’investitura arrivò solo a Sawdân,
che fu titolare dell’emirato di Bari fino all’871 (6).
Non solo Bari, ma anche Taranto si trovò in quel periodo sotto il
dominio musulmano e diventò anch’essa un fiorente centro commerciale;
d’altronde, “le vie di comunicazione fra il Mediterraneo
occidentale e quello orientale sia pure controllate dai musulmani non
furono mai interrotte completamente, almeno per quello che interessava
le città costiere italiane” (7).
Con la caduta dei Kalbidi, la controversia tra i due signorotti rivali
di Catania e di Girgenti favorì l’ingresso dei Normanni in Sicilia,
sicché alla fine del secolo XI l’egemonia musulmana sull’isola era
terminata. Nel regno normanno i musulmani non assommavano a più di
100.000 persone, alle quali fu concessa la possibilità di
autogovernarsi; tuttavia l’esodo verso l’Africa ridusse
ulteriormente il loro numero. In ogni caso, l’impronta culturale che
l’Islam aveva impressa alla Sicilia caratterizzò anche l’epoca
normanna: “i Ruggeri e i Guglielmi, a differenza degli Asburgo in
Spagna, seppero raccogliere ogni positivo elemento dell’eredità
musulmana, e incorporarla alla composita cultura del loro Stato: onde
proprio quell’età normanna ci ha serbato i più vivi ricordi della
presenza degli Arabi in Sicilia, in istituzioni, titoli, documenti,
iscrizioni, monete, opere di scienza come la Geografia di Edrisi, e
versi di poeti di corte” (8). Parafrasando il
poeta latino, si potrebbe dire: Sicilia capta ferum victorem cepit.
Ma l’impronta islamica non scomparve nemmeno nel periodo successivo;
anzi, fu proprio nel periodo svevo che essa acquisì un ulteriore
risalto.
Con Federico II di Svevia il baricentro del Sacro Romano Impero si spostò
nel Mediterraneo; nel 1229, in seguito all’intesa col Sultano,
l’Imperatore estese la sua autorità a Gerusalemme e ad altri luoghi
della Palestina, sicché l’impero federiciano sembrò recuperare,
anche se in misura poco più che simbolica, quella dimensione
mediterranea ed eurasiatica che aveva caratterizzato le grandi sintesi
imperiali a partire dal tentativo di Alessandro Magno (al quale
d’altronde Federico II venne paragonato dai musulmani; e si tenga
presente l’importanza che ha per l’Islam Alessandro Magno, il
“Bicorne” di cui parla la coranica Sura della Caverna). In quanto
sovrano dei regni di Sicilia e di Gerusalemme, in un’epoca in cui
l’impero bizantino era crollato sotto i colpi della IV Crociata e i
poli geopolitici del Mediterraneo erano il Califfato di Bagdad e il
Sultanato d’Egitto, il grande Svevo fu costruttore di una politica di
pace e di convivenza, mediatore fra culture e fedi religiose diverse. Se
il panorama germanico era un’immagine dell’imperium ideale, in
quanto comprendeva una comunità di stirpi diverse (Sassoni, Franchi,
Svevi), il versante mediterraneo dell’impero federiciano presentava un
quadro di differenze molto più profonde. Per quanto concerne
l’aspetto etnico, nell’Italia meridionale e insulare troviamo
infatti popolazioni di origine latina, greca, longobarda, araba e
berbera, normanna, sveva, ebraica. La situazione linguistica è ben
rappresentata non solo trilinguismo della cancelleria imperiale, coi
suoi notarii greci, saraceni, latini, ma anche dal poliglottismo di
Federico II, il quale, oltre a parlare latino, tedesco, greco, arabo e
provenzale, scrisse poesie nel volgare siciliano, recando un contributo
anche personale alla nascita della letteratura italiana. Dal punto di
vista religioso, nell’impero federiciano convivevano cattolici,
ortodossi, musulmani e anche ebrei. Federico II volle che i musulmani
vivessero in maniera conforme alla loro tradizione, in comunità
cittadine governate da organismi autonomi: a Lucera, Aderenza, Girifalco
ed altrove.
L’Islam nei Balcani
Nel 1492, quando Granada cadde nelle mani dei Re cattolicissimi, il
numero dei musulmani spagnoli si aggirava intorno ai due milioni.
Centoventi anni più tardi, Filippo III espulse dalla Spagna gli ultimi
moriscos, mezzo milione all’incirca. I loro discendenti abitano oggi
nel Maghreb e talvolta recano cognomi che rivelano l’origine spagnola:
Ibn Qûtî (“Figlio della Visigota”), Ibn Qûtiyyah (“Figlio della
Visigota”) ecc.
Ma il medesimo secolo che vedeva tramontare la stella dell’Islam
all’estremità occidentale dell’Europa, assisteva al sorgere della
Mezzaluna sull’Est europeo.
Nell’Europa balcanica, l’Impero ottomano ereditò i territori che
erano stati precedentemente soggetti a Roma e a Bisanzio. Il limes
danubiano, che aveva separato i territori dell’Impero romano dallo
spazio abitato dai barbari, costituì per tutto il XV secolo la linea di
demarcazione tra il dâr al-islâm e il dâr al-kufr.
Poi, come Traiano si era spinto a nord del Danubio e aveva acquisito
all’Impero di Roma la Dacia, così Solimano I conquistò la regione
danubiana tra Belgrado e Buda, rinsaldando l’influenza della Sublime
Porta su Valacchia, Moldavia e Transilvania. Come ai tempi di Roma, così
pure allora rientravano in un unico spazio imperiale, oltre alla regione
balcanico-danubiana, anche il Mar Nero e le sponde circostanti,
l’Armenia e la Mesopotamia, l’Anatolia, la Siria e la Palestina,
l’Egitto e tutto il Nordafrica fino ai confini del Marocco.
Conquistata Rodi nel 1522, Cipro nel 1571 e Creta fra il 1645 e il 1669,
l’egemonia della Porta si estendeva sulla metà orientale del Mar
Mediterraneo; nell’altra metà, le acque a sud della Sicilia e di
Malta, della Sardegna e delle Baleari erano anch’esse sotto il
controllo ottomano.
La sconfitta subita a Lepanto nel 1571 non fu quell’evento epocale che
ancor oggi molti tendono a vedervi, tant’è vero gli Ottomani, oltre a
conservare Cipro, passarono al contrattacco e tre anni più tardi
riconquistarono Tunisi. Più che non Lepanto, fu la sconfitta subita nel
1683 dal gran visir Qara Mustafa a Kahlenberg, nei pressi di Vienna, il
fatto d’armi decisivo che segnò l’espansione massima della potenza
ottomana. In seguito, la perdita di Buda nel 1686 e la sconfitta subita
a Zenta nel 1697 determinarono la situazione che venne sancita nel 1699
con la pace di Karlowitz: la regione del Temes, compresa tra la
Transilvania, il Maros, il Tibisco e il Danubio, rimaneva sotto la
sovranità ottomana, come pure la parte meridionale del Sirmio, tra
Belgrado e il fiume Bosut, ma la Porta doveva rinunciare ai territori
ungheresi conquistati da Solimano un secolo e mezzo prima. Ciononostante
l’Impero ottomano sarà un fattore di stabilità nell’Europa
balcanico-danubiana anche nel secolo XVIII.
Nicolae Iorga, autore di una monumentale Geschichte des osmanischen
Reiches, ha visto nell’Impero ottomano la “Roma musulmana dei
Turchi” (9), ovvero “l’ultima ipostasi di
Roma” (10), in quanto “il dominio ottomano
non significava altro che una nuova Bisanzio, con un altro carattere
religioso per la dinastia e per l’esercito” (11);
analogamente, Arnold Toynbee ha parlato di “Impero Romano
turco-musulmano” (12), mentre Franz Babinger ha
potuto scrivere: “Pareva veramente che al tempo del Conquistatore
fosse tornata la sicurezza bizantina del glorioso passato, la pax
Romana, e che tutti potessero goderne” (13).
D’altronde lo storico tedesco ha fatto notare come nell’Impero
ottomano fossero presenti istituzioni molto simili ad analoghe realtà
della Roma antica (14).
L’Islam in Russia
Alla morte di Gengis Khan, nel 1227, gli eredi si divisero il compito di
proseguire l’espansione dell’impero mongolo. La conquista
dell’occidente toccò a Batu, il quale, varcato l’Ural e abbattuto
il regno dei Bulgari bianchi della Volga (islamizzati fin dal sec. X),
attaccò i principati della Rus’ nordorientale. Prese e distrutte
numerose città, nel 1240 Batu espugnò la capitale stessa, Kiev. Quindi
i Tartari (così venivano chiamati i conquistatori, ché tatara era la
truppa agli ordini dei Mongoli) investirono la Polonia meridionale, la
Germania e l’Ungheria: l’impero dell’Orda d’Oro venne così ad
estendersi dall’Irtysh al Danubio e dal nord della Rus’ al Caucaso.
Al di qua degli Urali, i Tartari si insediarono nella regione della
media Volga e della Kama, nella penisola di Crimea e nella soprastante
steppa dei Qipciaq, compresa tra l’Ural e il Dnestr. Successivamente
l’Orda d’Oro si sarebbe divisa a causa dei contrasti interni e nel
XV secolo avrebbe dato nascita a nuovi canati: quello di Kazan’,
quello di Astrakan e quello di Crimea. Su quest’ultimo regnò la
famiglia gengiskhanide dei Ghiray, la quale, per quanto nominalmente
vassalla della Sublime Porta, agì spesso in maniera autonoma,
volgendosi verso la Polonia o verso Mosca. Nel 1571 Mosca fu
saccheggiata e Ivan il Terribile fu costretto a versare un tributo che
sarebbe rimasto in vigore fino a Pietro il Grande. Nel 1577 i Tartari
assediarono Tallinn, che allora era svedese come tutta l’Estonia:
risale a quel periodo la presenza di gruppi tartari in Scandinavia e in
Finlandia (15), oltre che in Polonia. Ma i rapporti fra
i Tartari e il nord dell’Europa non furono improntati esclusivamente
all’ostilità. Una volta costituito il loro stato, i Tartari avevano
imposto il vassallaggio ad alcuni principi cristiani e quindi avevano
permesso alla Chiesa ortodossa di mantenere la cultura locale tra le
popolazioni slave a loro assoggettate. In relazione alla dinastia dei
Ghiray, va detto a questo proposito che il suo fondatore era nato in
Lituania e che a Vilna furono educati molti esponenti
dell’aristocrazia tartara. Nel XVIII secolo i Tartari di Crimea si
allearono coi Polacchi e coi Cosacchi del Dnepr, finché nel 1783
diventarono sudditi di Caterina II. Deportati in Kazachistan e in
Usbechistan dopo la seconda guerra mondiale, oggi i Tartari di Crimea
ritornano a casa.
Attualmente i Tartari (circa tre milioni) sono il più numeroso dei
popoli di lingua turco-tatara insediati tra la Volga, la Kama e la
Belaja; dopo di loro vengono i Ciuvasci, che però sono quasi tutti
cristiani ortodossi, e i Baschiri (un milione e quattrocentomila). Anche
se l’etnogenesi dei Baschiri costituisce tuttora un problema, pare
certo che si tratti di un popolo ugrico rimasto nell’area originaria,
mentre nel IX secolo un popolo a loro affine, i Magiari, si spostava
verso occidente. Nel XIII secolo i Baschiri erano comunque già
turchizzati e nel XVIII secolo erano ormai praticamente islamizzati.
L’altra grande area di diffusione dell’Islam russo al di qua degli
Urali è quella caucasica. In tale area, la prima regione che abbracciò
l’Islam fu quella sudorientale, corrispondente all’Azerbaigian
persiano: essa venne conquistata dagli Arabi nel 643 assieme al resto
della Transcaucasia, dove però Armeni e Georgiani rimasero cristiani.
Nel sec. XI l’Azerbaigian fu turchizzato dai Selgiuchidi; nel sec. XVI
optò per l’Islam sciita. Nel 651 gli Arabi introdussero l’Islam
anche nella parte meridionale del Daghestan, mentre la parte
settentrionale si convertì verso il XIII secolo. In Cecenia, l’Islam
si diffuse a partire dal XVII secolo, ma l’islamizzazione del paese fu
portata a termine nell’Ottocento, da alcune confraternite sufiche. La
parte occidentale della Cecenia, che assunse il nome di Inguscezia, aderì
all’Islam intorno al 1870, sempre per effetto dell’azione delle
confraternite. Nel settore nordoccidentale del Caucaso (Caraciaia-Circassia
e Ossezia) l’Islam cominciò a diffondersi verso la fine del XVI
secolo, per influenza del canato di Crimea; oggi però la maggioranza
degli Osseti, anche nell’Ossezia meridionale, si dichiara atea.
Armenia e Georgia, come si è detto, sono rimaste cristiane, con
minoranze musulmane di Azeri e di Curdi; invece l’Agiaria (ex Gurelia)
diventò musulmana nel XVI secolo e l’Abcasia a partire dal XVII. In
totale, nel Caucaso del nord e nella Transcaucasia vivono attualmente
oltre nove milioni di musulmani. Il gruppo maggioritario è quello turco
e sciita degli Azeri, che assomma a cinque milioni e mezzo di anime;
seguono tre milioni di sunniti appartenenti a vari gruppi della famiglia
ibero-caucasica (Daghestani, Ceceni, Cabardi, Ingusci, Abcasi ecc.), un
mezzo milione di sunniti appartenenti a varie etnie turche, qualche
centinaio di migliaia di iranici sia sunniti (Osseti e Curdi) sia sciiti
(Talisci e Tati).
L’URSS, coi suoi cinquanta milioni di cittadini musulmani, era la
quinta potenza musulmana del mondo, dopo l’Indonesia, il Pakistan, il
Bangladesh e l’India. C’erano più musulmani nell’Unione Sovietica
che in Egitto o in tutta la penisola arabica. Gli osservatori più
attenti avevano cominciato ad avvertire il peso politico dell’Islam
“sovietico” già una decina d’anni prima del crollo
dell’URSS, quando Hélène Carrère d’Encausse dava alle stampe L’empire
éclaté (10) e scriveva su “Le Monde” che la rinascita
islamica nel Caucaso e nell’Asia centrale avrebbe determinato in
maniera decisiva le scelte del Cremlino (16). Nello
stesso periodo, di fronte alle fortune politiche di Aliev, Kunaev e
Rashidov, sembrava lecito ai corrispondenti da Mosca domandarsi se
l’elemento musulmano, così fortemente rappresentato fra le massime
gerarchie sovietiche, sarebbe riuscito un giorno “ad affermarsi al
vertice, come riuscì in passato un’altra minoranza, quella georgiana”
(17), con Stalin. Non è inverosimile che il progetto
di distruzione dell’URSS abbia tratto origine anche dalla volontà
politica di impedire che si realizzasse una eventualità di questo
genere: lo scenario di un impero eurasiatico imperniato su quasi
settanta milioni di musulmani (tanti ne prevedevano le indagini
demografiche per l’inizio del XXI secolo) avrebbe impresso una ben
diversa direzione alla storia del mondo. Non sono fantasie: fu un
personaggio come Sergej Kurginian (consigliere dell’ex premier Pavlov
e dell’ex segretario moscovita del PCUS Prokofiev) a dichiarare
esplicitamente che l’obiettivo di Eltsin era “la liquidazione di
questo Stato russo-turco (…) in cui ben presto i popoli di
stirpe turca cominceranno a prevalere” (18).
L’eventualità temuta da Eltsin è stata scongiurata. Tuttavia
l’Islam continua ad essere una componente fondamentale della realtà
socioculturale russa. “I musulmani censiti nel 2003 sono 14
milioni e mezzo, ma stime ufficiose, talvolta echeggiate dallo stesso
presidente Vladimir Putin, optano per un totale di 20 milioni. Alla fine
del 2000, nella Federazione Russa si contavano 4.658 moschee. (Si
intendono qui solo gli edifici di culto registrati. In effetti, le
moschee in Russia sono alcune centinaia di più. N.d.A.). Il sistema
di istruzione religiosa musulmana è basato su oltre cento tra istituti
e madrase. Solidi contatti sono stati stabiliti con i correligionari
degli altri paesi, e nella coscienza dei musulmani russi la componente
religiosa si è ormai notevolmente rafforzata” (19).
Anche se la Federazione Russa non è più la quinta potenza musulmana
del mondo, è pur sempre uno Stato in cui i cittadini di appartenenza
islamica superano per numero quelli della Tunisia, della Libia, della
Giordania o della Siria. Era quindi logico che la Russia chiedesse di
aderire alla Conferenza Islamica.
La mezzaluna euroislamica
Nella storia europea, l’Islam si è manifestato secondo tre modalità
diverse, alle quali corrispondono tre diverse tipologie geopolitiche.
Tra i secoli VII e IX prese forma quello che potrebbe essere definito un
“Islam del mare”, un Islam che interessò isole e penisole
dell’Europa mediterranea: soprattutto la Spagna e la Francia
meridionale, le Baleari, la Corsica, la Sardegna, la Sicilia, alcune
zone della penisola italiana, ma anche Creta (che per circa un secolo e
mezzo fu sede di un emirato), l’Attica e l’Eubea. La sostanza etnica
di questo Islam fu germanica, latina, greca, berbera, araba e anche
persiana. Le sue lingue, accanto alla lingua di cultura rappresentata
dall’arabo, furono i volgari latini regionali che si avviavano a dare
origine alle rispettive parlate romanze. Sarà lo spagnolo, in
particolare, a ereditare dall’arabo quella grande quantità di
prestiti linguistici che esso ha integrato nel proprio vocabolario.
Fu invece un “Islam della terra” quello che, sorto nel XIII
secolo sui territori della Russia compresi tra gli Urali, il Caucaso e
il Mar Nero, si sviluppò nei secoli successivi e completò la sua
formazione addirittura nel corso del XIX secolo. Sotto il profilo
etnico, l’Islam delle pianure russe e delle montagne caucasiche ha
presentato una certa varietà. Nei territori del canato di Crimea e
nella zona compresa tra la Volga, la Kama e la Belaja, l’Islam animò
una sostanza etnica di matrice turanica (popolazioni turche, tartare,
ugriche); nel Caucaso, i musulmani (iranici, caucasici, turchi ecc.)
composero un mosaico razziale e linguistico corrispondente alla grande
diversificazione antropologica caratteristica di tutta quanta la
regione.
A una sintesi imperiale di terra e di mare corrispose invece l’Islam
ottomano, che ebbe il suo epicentro nella capitale dell’antico Impero
Romano d’Oriente. Qui l’Islam impresse la sua forma a popolazioni
d’origine illirica e greca, slava e turca. La lingua ufficiale
dell’Islam ottomano fu ovviamente il turco; ma furono anche usate,
come lingue di cultura, il persiano, l’arabo e il greco, mentre i
popoli dell’Impero parlavano parecchi altri idiomi, tra i quali
spiccavano il serbo, l’albanese, il bulgaro.
Dopo la scomparsa dell’”Islam del mare” e dopo il crollo
dell’edificio imperiale ottomano, l’Europa musulmana si presenta
geograficamente secondo una forma emblematica: quella di una mezzaluna
che attraversa regioni popolate da genti slave, turche, caucasiche e
tatare, inarcandosi tra Sarajevo e Ufa e passando per il Bosforo, il
Caucaso e l’Ural. All’estremità occidentale di questa mezzaluna, in
corrispondenza di Sarajevo, abbiamo un punto cruciale, verso il quale
convergono tre grandi aree culturali: quella cattolica, quella ortodossa
e quella musulmana; sul Bosforo si incontrano il nord slavo e il sud
mediterraneo, i Balcani e l’Anatolia; nel Caucaso vengono a contatto
l’Iran e il Turan; a Ufa, presso l’estremità orientale della
mezzaluna, l’Europa si tocca con l’Asia.
La mezzaluna euroislamica (21) ci presenta dunque
l’Islam europeo come un contrafforte meridionale dell’Europa, un
elemento di continuità culturale che attraversa l’Europa saldando in
una fascia ininterrotta una serie di regioni comprese tra la penisola
balcanica e gli Urali. Vi è poi un’ulteriore continuità geografica
ed etnico-linguistica, che lega indissolubilmente l’Islam delle zone
al di qua degli Urali con l’Islam del Bassopiano Turanico e delle
steppe transuraliche. Considerata in tale prospettiva, la mezzaluna
euroislamica non è che la porzione europea di un Islam eurasiatico che
si estende fino all’Indonesia.
1. Francesco Gabrieli, Gli Arabi, Sansoni,
Firenze 1963, p. 142.
2. Claudio Sánchez-Albornoz, La España musulmana
según los autores islamitas y cristianos medievales, Espasa-Calpe,
Madrid 1978, p. 82. Per esemplificare questo fatto, lo studioso spagnolo
riporta un brano dall’opera Iftitâh al-Andalus (La conquista della
Spagna) di Ibn al-Qûtiyyah, uno storico cordovano discendente del
penultimo re visigoto, Vitiza. Da un’antenata di Ibn al-Qûtiyyah
ebbero origine alcune delle più cospicue famiglie dell’aristocrazia
ispano-musulmana; ma, prosegue Sánchez-Albornoz, “non diverso fu il
caso dei più illustri magnati della Spagna islamica. Gli antenati di
sesso maschile erano arabi o siriani, le antenate erano spagnole”
(ibidem).
3. Sigrid Hunke, Allah Sonne über dem Abendland,
Deutsche Verlags-Anstalt, Stuttgart 1960, p. 348.
4. Michele Amari, I Musulmani in Sicilia,
Bompiani, Milano 1942, p. 136. Il bilancio positivo dell’Amari è
stato confermato dagli studiosi successivi. Valga per tutti Francesco
Gabrieli, che giudica il governo islamico in Sicilia “positivo e
benefico per il rinsanguamento che operò sulla depressa compagine
etnica della Sicilia bizantina, e soprattutto per i mutamenti introdotti
nelle condizioni economiche e sociali dell’isola, dove spezzò il
latifondo, promosse la piccola proprietà rurale, rinnovò e arricchì
di nuove tecniche e culture l’agricoltura siciliana” (F. Gabrieli, Gli
Arabi nel Mediterraneo, Accademia Nazionale dei Lincei, Roma 1970,
p. 15.
5. Gabriele Crespi, L’Europe musulmane,
Zodiaque, Saint-Dié 1982, pp. 76-77.
6. Giosuè Musca, L’emirato di Bari 847-871,
Dedalo Libri, Bari 1978.
7. Maria Giovanna Stasolla, Gli Arabi nella
penisola italiana, in: AA. VV., Testimonianze degli Arabi in
Italia, Accademia Nazionale dei Lincei, Roma 1988, p. 87.
8. Francesco Gabrieli, op. cit., p. 145.
9. Nicholas Iorga, The Background of Romanian
History, Cleveland, 17 febbraio 1930; cit. in: Ioan Buga, Calea
Regelui, Sfântul Gheorghe-Vechi, Bucarest 1998, p. 38.
10. Ibidem.
11. Nicolae Iorga, Byzance après Byzance,
Balland, Paris 1992, p. 48.
12. Arnold Toynbee, A Study of History, 2a
ed., London – New York – Toronto 1948, vol. XII, p. 158.
13. Franz Babinger, Maometto il Conquistatore e il
suo tempo, Einaudi, Torino 1967, p. 470.
14. Franz Babinger, op. cit., p. 478.
15. Giorgio Pieretto, Islàm in Finlandia: i Tatari,
“Islàm. Storia e civiltà”, 21, a. VI, n. 4, ottobre-dicembre 1987,
pp. 247-251.
16. Hélène Carrère d’Encausse, Esplosione di
un impero?, Edizioni e/o, Roma, s. d. (ma:1980).
17. Hélène Carrère d’Encausse, Le renouveau de
l’Islam en URSS, “Le Monde”, 4 gennaio 1980. Dalla successiva
bibliografia concernente l’Islam “sovietico” citiamo: Alexandre
Bennigsen e Chantal Lemercier Quelquejay, L’Islam parallelo,
Marietti, Genova 1990, Sergio Salvi, La mezzaluna con la stella
rossa, Marietti, Genova 1993, Gejdar Džemal’, Tawhid.
Prospettive dell’Islam nell’ex URSS, Edizioni all’insegna del
Veltro, Parma 1993.
18. Fabio Galvano, L’Islam alla conquista delle
Russie, “La Stampa”, 19 dicembre 1982.
19. Marcello Villari, Mosca-Tokyo-Berlino, l’asse
del Duemila?, “Micromega”, 3, 1992.
20. Aleksej Malašenko, La Russia terra di
conquista, “Limes”, 1, 2004, p. 229.
21. Nel XIX secolo, Russia e Gran Bretagna elaborarono
il concetto geopolitico della “Mezzaluna islamica”, indicando con
tale termine quella fascia territoriale che dall’Asia centrale arriva
fino al Caucaso. La cosiddetta “Mezzaluna islamica” era in sostanza
una zona cuscinetto, suddivisa in due aree: un’area settentrionale
sottoposta all’influenza russa (e successivamente sovietica) e
un’area meridionale egemonizzata dagl’Inglesi (e poi dagli USA). A
disintegrare questa “Mezzaluna” furono la Rivoluzione islamica
iraniana e l’intervento sovietico in Afghanistan.
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