G. Parini
Or le sovviene il giorno,
Ahi fero giorno ! allor che la sua bella
Vergine cuccia de le Grazie alunna,
Giovenilmente vezzegiando, il piede
Villan del servo con l’eburneo dente
Segnò di lieve nota: ed egli audace
Con sacrilego piè lanciolla: e quella
Tre volte rotolò; tre volte scosse
Gli scompigliati peli, e da le molli
Nari soffiò la polvere rodente.
Indi i gemiti alzando: aita aita
Parea dicesse; e da le aurate volte
A lei l’impietosita Eco rispose:
E dagl’infimi chiostri i mesti servi
Asceser tutti; e da le somme stanze
Le damigelle pallide tremanti
Precipitarò. Accorse ognuno ; il volto
Fu spruzzato d’essenze a la tua dama;
Ella rinvenne alfin: l’ira, il dolore
L’agitavano ancor; fulminei sguardi
Gettò sul servo, e con languida voce
Chiamò tre volte la sua cuccia: e questa
Al sen le corse; in suo tenor vendetta
Chieder sembrolle: e tu vendetta avesti
Vergine cuccia de le grazie alunna.
L’empio servo tremò; con gli occhi al
suolo
Udì la sua condanna. A lui non valse
Merito quadrilustre; a lui non valse
Zelo d’arcani uficj: invan per lui
Fu pregtato e promesso; ei nudo andonne
Dell’assisa spogliato ond’era un giorno
Venerabile al vulgo. In van novello
Signor sperò; che le pietose dame
Inorridirò, e del misfatto atroce
Odiar l’autore. Il misero si giacque
Con la squallida prole, e con la nuda
Consorte a lato su la via spargendo
Al passegiere inutile lamento:
E tu vergine cuccia, idol placato
Da le vittime umane, isti superba.