A. Manzoni
Soffermati
sull’arida sponda,
volti i
guardi al varcato Ticino,
tutti
assorti nel nuovo destino,
certi in
cor dell’antica virtù,
han giurato:
Non fia che quest ‘onda
scorra più
tra due rive straniere;
non fia
loco ove sorgan barriere
tra l’
Italia e l’ Italia, mai più !
L’han
giurato:altri forti a quel giuro
Rispondean
da fraterne contrade,
affilando
nell’ombra le spade
che or
levate scintillano al sol.
Già le destre
hanno strette le destre;
già le
sacre parole son porte.
O compagni
sul letto di morte,
o fratelli
su libero suol .
Chi potrà
della gemina Dora ,
della
Bormida al Tanaro sposa,
del Ticino
e dell’ Orba selvosa
scerner
l’onde confuse del Po;
chi
stornargli del rapido Mella
e dell’
Oglio le miste correnti,
chi
ritogliergli i mille torrenti,
che la
foce dell’ Adda versò,
quello
ancora una gente risorta
potrà
scindere in volghi spregiati,
e a
ritroso degli anni e dei fati,
risospingerla
ai prischi dolor:
una gente
che libera tutta,
o fia
serva tra l’Alpe ed il mare ;
una
d’ arme, di lingua , d’altare ,
di memorie,
di sangue e di cor .
Con quel
volto sfidato e dimesso,
con quel
guardo atterrato ed incerto,
con che
stassi un mendico sofferto
per mercede
nel suolo stranier,
star doveva
in sua terra il Lombardo;
l’ altrui
voglia era legge per lui;
il suo
fato, un segreto d’altrui;
la sua
parte, servire e tacer.
O stranieri,
nel proprio retaggio
torna
Italia, e il suolo riprende;
o stranieri,
strappate le tende
da una
terra che madre non v’ è.
Non vedete
che tutta si scuote,
dal Cinisio
alla balza di Scilla?
Non sentite
che infida vacilla
Sotto il peso
de’ barbari piè?
O
stranieri ! sui vostri stendardi
sta l’
obbrobrio d’ un giuro tradito;
un giudizio
da voi proferito
v’ accompagna
all’ iniqua terzon;
voi che
allo stormo gridaste in quei giorni :
Dio rigetta
la forza straniera;
ogni gente
sia libera e pèra
della spada
l’ iniqua ragion .
Se la
terra ove oppressi gemeste,
preme i
corpi de’ vostri oppressori,
se la
faccia d’ estranei signori
tanto amara
vi pare in quei dì,
chi v’ ha
detto che sterile, eterno
saria
il lutto dell’ itale genti?
Chi v’ ha
detto che ai nostri lamenti
saria sordo
quel Dio che v’udì?
Si: quel Dio
che nell’onda vermiglia
chiuse il
rio che inseguiva Israele,
quel che
il pugno alla maschia Giaele
pose il
maglio ed il colpo guidò:
quel che
è padre di tutte le genti,
che non
disse al Germano giammai:
Va’ ,
raccoglie ove arato non hai;
spiega l’ugne;
l’ Italia ti do.
Cara Italia!
Dovunque il dolente
Grido uscì
del tuo lungo servaggio,
dove ancor
dell’umano lignaggio
ogni speme
deserta non è,
dove già
libertade è fiorita,
dove ancor
nel deserto matura,
dove ha
lacrime un ‘altra sventura,
non
c’è cor che non batta per te.
Quante volte
sull’Ape spiasti
L’apparir d’un
amico stendardo!
Quante volte intendesti lo sguardo
Ne’
deserti del duplice mar !
Ecco alfin
dal tuo seno sbocciati,
stretti
intorno a’ tuoi santi colori,
forti , armati
de’ propri colori,
i tuoi
figli son sorti a pugnar.
Oggi , o
forti , sui volti baleni
il furor
delle menti segrete:
per
l’Italia si pugna , vincete!
Il suo
fato sui brandi vi sta.
O risorta
per voi la vedremo
al convito
de’ popoli assisa ,
o più
serva , più vil , più derisa
sotto l’
orrida verga starà.
Oh giornate
del nostro riscatto!
O dolente
per sempre colui
che da
lunghe ,dal labbro d’altrui,
come un
uomo straniero, le udrà !
che a’
suoi figli narrandole un giorno
dovrà
dir sospirando : io non c’ era;
che la
santa vittrice bandiera
salutata
quel dì non avrà .