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L'Aquila ( Storia ) · Libri-documenti · MANOR

 

       

                           

traduzione di MassimoConsoli[diama@tin.it]

 

 

                                                                                 

 

 

 

 

                MANOR il vampiro  nato in Abruzzo compie 123 anni.

 

                    di Giorgio Piccinini   (Luglio 04/06/07)

Le origini mitiche delle ritualità legate al sangue e all’ emofagia si perdono nella notte dei tempi, sacrifici umani e animali da sempre hanno accompagnato il percorso storico e religioso dell’uomo. Lo "scorrere del sangue "con valenze a volte penitenziali, più spesso salvifiche si è intrecciato simbolicamente nelle tradizioni e credenze popolari, tramandate attraverso testimonianze, aneddoti o vere e proprio storie volte attraverso il mistero e l’orrore ad esorcizzare un male o "il male", quotidiano, intangibile, la paura più ancestrale ed "eterna" quella della morte. IL sangue, liquido rosso, tanto vitale quanto temuto alla vista, rinchiuso, occultato nel nostro corpo, la sua fuoriuscita rappresenta di per sé, il dolore, la vicinanza della morte; specularmente assumerne diventa nutrimento di anima e corpo, di ri-nascita e forza.  Proprio da questo sapere che  nell’ottocento "la visione" si formalizza nella figura letteraria prettamente europea del "vampiro" il non-morto, il maledetto che non trova la pace dell’anima, condannato in un limbo esistenziale, nell’oscurità e alla perenne ricerca di sangue umano, direttamente succhiato dalla vittima di turno. Nell’arco degli ultimi due secoli sono molti gli autori che si sono cimentati letterariamente su quello che è diventato un vero e proprio genere, con innumerevoli varianti sul tema, ma rimangono costanti delle componenti emotive molto forti, che conducono il lettore ad una sorte di romantica-fascinazione per il male, idealizzata e interpretata da questa figura cupa, tenebrosa a volte malinconica nella sua solitudine, ma nello stesso tempo sprigionante una forte sensualità.   

                                                                                                    

Nel 1816 vede la luce il racconto "The Vampire" e pubblicato nel 1819 in Inghilterra, scritto da John William Polidori (morto suicida a 26 anni) da un ’ idea del poeta Byron, al quale lo scrittore era legato professionalmente come medico di fiducia, ma anche da una morbosa e conflittuale amicizia. Possiamo considerare questo personaggio di nome Ruthven l’archetipo del "vampiro", uomo serio, enigmatico, vestito di nero, occhi cerulei, penetranti ma impenetrabili, privi di "anima", una sorte di "bel tenebroso" o se vogliamo "uomo fatale" che fa strage (in senso letterale) di donne. La figura del vampiro è molto complessa, un analisi storica e sociale delle fobie che può aver impersonato in varie epoche ci porterebbe molto lontano, basti accennare che Ruthven agli inizi dell’ottocento rappresenta le paure della classe media, un personaggio moralmente trasgressivo e quindi aderente ad una logica "politica" insofferente ad un ordine precostituito imposto; circa cento anni dopo il più famoso "Dracula" di Bram Stoker è l’immagine del disfacimento dell’aristocrazia, è un Conte e quindi appartenente ad una classe sociale che faceva del sangue (blu) dinastico la propria fonte di potere, Dracula per rimanere nella non-vita è costretto a berne a prescinderne dalla casata di provenienza…. Ma per quanto distanti temporalmente nella loro nascita entrambi sono sempre la rappresentazione della dualità umana e l’inversione dei ruoli, l’unione degli opposti, il vivo e il morto, il giorno nel sonno e la notte nel risveglio, donano alla vittima la morte, (a volte la non-morte) per la loro non-vita. La sensualità precedentemente mensionata si dipana nei percorsi più fantasiosi, non in maniera estrema e radicale come nel romanzo libertino del settecento, ma sicuramente in una forma esplicita.                                     

Joseph Sheridan Le Fanu nel1872, nel suo "Carmilla" scrive di vampirismo al femminile in storie inconfutabilmente lesbiche, giocando molto sull’immaginario erotico del lettore maschile; se Bram Stoker dona al suo Dracula l’interpretazione per una sottile e sottaciuta lettura in chiave omosessuale, nel  racconto  breve del  tedesco Karl Heinrich Ulrichs dal titolo "Manor", il vampiro è "orgogliosamente gay".      

                                                                                                                       La sua immagine è vicina a quella della tradizione popolare e delle leggende nordiche; è bello e fascinoso ma non ha niente a che fare col mondo aristocratico e i salotti frequentati da gente di classe a Budapest, Praga, o Londra.  Manor è un pescatore-marinaio, in un villaggio del mare del Nord, e proprio quel mare lo strapperà all’amore di un giovane, talmente desiderato da tornare in vita con spoglie di vampiro pur di poter stare tutte le notti accanto all’amato, il quale travolto dalla passione donerà tutto il suo sangue al compagno nel ricongiungimento che lo condurrà alla morte, un vero e proprio romantico dramma d’amore. Oltre all’originalità (e pericolosità dato il periodo) di un soggetto cosi esplicito, Manor ha una particolarità non indifferente, succhia il sangue al suo amato dal capezzolo, una pratica aliena alla norma per un vampiro, forse a sottolineare l’aspetto materno di ri-nascita nel nutrirsi di plasma-vitale. Questa storia fa parte di una raccolta di racconti brevi dal titolo " Storie di marinai" ( Matrosengeschichten ) e pubblicata in Germania nel 1885 ma scritta in Italia, in Abruzzo nella città dell’Aquila, dove lo studioso e scrittore vive in esilio gli ultimi anni della sua vita, inviso alla classe dirigente della sua terra in quanto oppositore politico e omosessuale dichiarato. "Manor" viene scritto tra il 22 e 30 luglio nell’estate del 1884, chissà forse sulle rive del fiume Aterno ai piedi del colle dove si erge il capoluogo abruzzese e dove Ulrichs come era abitudine dell’epoca, si soleva fare i bagni, unica "spiaggia" di una piccola città di montagna. La versione italiana viene pubblicata per la prima volta nel 2002 sulla rivista "GuideMagazine"  con la traduzione di  Massimo Consoli,  utilizzando un  linguaggio sintetico e scarno che non da spazio ad eventuali (forse...) sfumature emotive.

Per chi si fosse un po incuriosito, con una decina di minuti o poco più...  puo leggere direttamente il racconto "Manor" di K.H.Ulrichs, e una intrigante  introduzione (grondante sangue)  di Massimo Consoli direttamente a seguire, buona lettura.... 

Testi consigliati:

Hubert Kennedy, ULRICHS,(biografia) traduzione di Roberto Cruciani;

Massari Editore, 2005

John William Polidori, IL VAMPIRO ; traduzione di Erberto G. Petoia;

Newton Compton editori, prima edizione 1993.

Le Fanu Joesph Sheridan, CARMILLA (1871);

Edizioni Marsilio 1999.

Vito Teti, LA MELANCONIA DEL VAMPIRO (Mito,Storia,Immaginario)

Edizioni Manifestolibri 1994.

Massimo Consoli, OMOSESSUALITA'  E VAMPIRISMO;

Edizione Del Giano 2006

 

 

 

Introduzione

 

Omosessualità e Vampirismo: "Dracula" e "Manor"


di Massimo Consoli

 

 Oltre ad essere il "nonno" del movimento gay contemporaneo, ed un grande latinista e combattente politico e poeta in proprio e tante altre cose ancora, Karl Heinrich Ulrichs era anche scrittore di racconti. Nel 1885, già in Italia da 5 anni, pubblicò una prima antologia di brevi Matrosengeschichten (Storie di Marinai), sinteticamente commentate da Hubert Kennedy su Ulrichs: the Life and Works of Karl Heinrich Ulrichs, Pioneer of the Modern Gay Movement, Alyson Books, Boston, 1988. Quello che vi riproponiamo qui è il secondo racconto, "Manor", una vicenda curiosa nella quale omosessualità e vampirismo si intrecciano in maniera inestricabile.

E fin qui non c'è niente di particolarmente degno di nota, fin quando, in realtà, non veniamo a sapere che "Manor" è stato scritto all'Aquila tra il 22 ed il 30 luglio del 1884, tredici anni prima che un'altra storia nella quale omosessualità e vampirismo si aggrovigliano in maniera altrettanto inestricabile, anche se più subdola, venisse pubblicata in un altro paese, in Inghilterra: Dracula.

Bram Stoker cominciò a raccogliere materiali per il suo libro nel 1890. Ce ne vollero sette per vederlo stampato da Constable, con la sua copertina gialla che andava tanto di moda all'epoca (ricordate lo Yellow Book di Oscar Wilde?), in tremila copie ed al prezzo di sei scellini.

Ulrichs era stato un combattente per la libertà degli Urninghi. Per buona parte della sua vita fu il primo militante gay della storia e l'unico a identificarsi pubblicamente come tale. Tutta la sua avventura umana, insomma, fu l'apologia del "coming out".

La vita di Stoker, invece, fu all'insegna della repressione più totale. Bram era segretamente innamorato di Henry Irving, il più grande attore teatrale dell'Inghilterra Vittoriana, per il quale lavorò anche come manager, ma non riuscì mai ad ammetterlo.

All'età di 31 anni pensò giunto il momento di sposarsi e lo fece con la 19enne Florence Balcombe, che era già stata impegnata con Oscar Wilde. Stoker era stato talmente influenzato dal suo connazionale irlandese che, per un certo periodo pensò di introdurre tra i personaggi di una certa importanza del suo "Dracula", anche un pittore che cercava di fare il ritratto al Conte ma inutilmente: l'immagine non poteva essere imprigionata sulla tela. Chiaro riferimento al Dorian Gray di Oscar, il cui substrato omosessuale non è più un mistero per nessuno, ormai. Per capire quanti problemi di accettazione avesse Stoker basti pensare che, il 18 febbraio 1872 si decise, infine, a scrivere una lettera al poeta americano Walt Whitman, le cui poesie sul cameratismo tra maschi lo avevano profondamente colpito. Eppure, avrà il coraggio di spedirgliela solo quattro anni più tardi!

E non possiamo dimenticare che uno dei suoi ultimi libri, Famous Imposters (1910), è tutto un susseguirsi di uomini che si travestono da donne e donne che si travestono da uomini, fino ad arrivare alla "rivelazione" che perfino la regina Elisabetta I, in realtà, era di sesso maschile!

Questa sua insicurezza sulla propria affettività, Bram la trasferì ampiamente nel romanzo. Dapprima la "pruderie" vittoriana e più tardi la permalosità hollywoodiana, tutto ha congiurato per cancellare ogni velato indizio di omosessualità, ma i riferimenti sono ancora là, nel testo originale, come ha cercato di dimostrare con molta convinzione anche Christopher Craft (Another Kind of Love: Male Homosexual Desire in English Discourse, Berkeley, University of California Press, 1994). Un brano del Dracula aiuterà a capire meglio quanto sto dicendo. Ad un certo punto tre donne lascive tentano di circuire Jonathan Harker, il personaggio principale del racconto, quando, infuriato, il Conte fa il suo ingresso protestando: "Come osate toccarlo, voialtre? Vi avverto! Quest'uomo mi appartiene!"

E quando le tre mogli rispondono con un tono di rimprovero e quasi a voler difendere la loro preda: "Tu non hai mai amato. Tu non ami mai!", Dracula si volta verso Jonathan, guardandolo fisso negli occhi e dice: "Si, anch'io sono capace di amore... Ebbene, vi prometto che quando avrò finito con lui, potrete baciarlo come meglio vi parrà". E come sottolinea Leonard Wolf, "quando avrò finito con lui" "è un riferimento molto blando alle delizie omoerotiche che Dracula ha riservato a se stesso ed a Jonathan Harker" (Dracula. The Connoisseur's Guide, Broadway Books, New York, 1997, pag. 157).

I rapporti tra omosessualità e vampirismo, del resto, non sono una novità. Già nel 1993 ho cercato di dimostrare come il vero modello ispirativo del Dracula di Bram Stoker sia stato più l'ungherese Erzsébet Bàthory che Vlad Tepes ("I Mostri Sono Tra Noi - La Contessa Sanguinaria - Il Macellaio di Hannover", Ompo N. 65 supplemento, Ottobre 1993). Ma prima di me lo avevano sostenuto Raymond McNally (Dracula Was a Woman. In Search of the Blood Countess of Transylvania, 1983). Le prove? Il Dracula del romanzo era uno székely della Transilvania, popolazione magiara, cioè ungherese, e non valacca, cioè rumena, com'era il caso di Vlad. Era un conte, come la contessa Bàthory, appunto, mentre Vlad Tepes era un principe. Bàthory beveva il sangue delle sue 610 vittime, come farà Dracula, mentre Tepes era soprannominato "l'Impalatore" perché questa era la sua favorita forma di condanna a morte. E la storia della Bàthory, sia detto per inciso, è un'altra storia di omosessualità vissuta un po', come dire, malino. Certo, ci fosse stato il "gruppo accoglienza del circolo Mario Mieli", all'epoca, la contessa non sarebbe stata "convinta che il sangue delle fanciulle avesse un potere cosmetico sulla sua pelle un tempo famosa per tutta l'Ungheria. Così, le ragazze venivano incatenate nei labirinti del castello e ingozzate di cibo perché "più grasse erano, più sangue avrebbero avuto a disposizione per gli usi della nobildonna quando fosse venuto il loro momento di essere munte"! La contessa teneva tanto alla sua pelle che, dopo essersi immersa nella vasca colma del sangue fresco di queste disgraziate, non si sognava affatto di asciugarsi con un ruvido accappatoio. C'erano, infatti, altre ragazze (quelle ancora all'ingrasso!) che avevano la precisa funzione di leccarla tutta, da capo a piedi. Chi si rifiutava, o dimostrava di provare un (comprensibile) disgusto, veniva torturata a lungo ed infine sgozzata: il suo sangue serviva per altre abluzioni." Vlad Tepes, soprannominato "Dracul" (lo aggiungo per il piacere della completezza storica), si trovò più volte a combattere contro il fratello Radu, detto "il Bello", che era stato a lungo l'amante di Maometto, figlio del sultano Murad e poi suo successore sul trono ottomano. Ma torniamo ad Ulrichs che già nel 1869, scrivendo il suo ottavo saggio intitolato Incubus: Amore Uraniano e Sete di Sangue (Incubus: Urningsliebe und Blutgier) aveva affrontato un argomento simile. C'era stato un uomo, il tenente von Zastrow, di Berlino, che aveva aggredito due bambini. In particolare, era accusato di aver violentato il giovane Emil Hanke, di sei anni, di averlo morso sulla faccia, di avergli tagliato i testicoli, di aver tentato di strangolarlo, di avergli attaccato la testa ad un tubo di termosifone e di averlo lasciato gravemente ferito, ma ancora vivo. Poi, era accusato di aver violentato il 15enne Corny, di averne mutilato il corpo tagliandogli i genitali ed altre parti, di avergli inserito un bastone dentro il retto e di averglielo spinto fino ai polmoni, e poi di averlo ucciso. Il paletto che gli attraversava il corpo, in particolare, aveva acceso la fantasia popolare, che vi aveva visto una sorta di rito satanico o, meglio ancora, di attività vampiresca. Secondo Ulrichs, questo non poteva essere considerato un caso di omosessualità, ma di pazzia. Secondo lui era giusto l'intervento della legge nelle cose sessuali quando c'era la minaccia di usare la forza, l'uso della forza stessa o il coinvolgimento di bambini, ma nel caso di vera e propria insanità mentale erano i medici a dover intervenire, e non i giudici. All'epoca, i riferimenti al vampirismo furono insistenti e forse fu proprio questo fatto che, più tardi, lo spinse ad intervenire ancora una volta sull'argomento, ma in maniera romanzata, romantica e, in ogni caso, con molti distinguo.

Manor, in effetti, rispetta molti dei luoghi comuni sul vampirismo, ma, come ha fatto notare Michael Lombardi nel commento alla sua traduzione, ad un certo punto se ne distacca. Infatti, ... Manor è un cadavere che si rianima ed abbandona la sua tomba di notte per succhiare il sangue ad una persona addormentata. Il suo aspetto è cadaverico: pallido come la morte e gelido al tocco. Appare ben nutrito ed è eccezionalmente forte. Agisce solo al calar delle tenebre mentre di giorno riposa nel suo sepolcro. La comunità pratica il tradizionale atto di conficcargli un paletto attraverso il cuore non appena si accorge del pericolo, e gli abitanti si recano al cimitero per controllare le tombe alla ricerca di un cadavere che non si sia ancora decomposto già sapendo, comunque, dove cercare... Questi sono i punti in comune con la tradizione dei morti viventi, ma poi la storia prende un altro verso ed assume un carattere originale, affrontando l'amore di due ragazzi, due maschi, che nell'Inghilterra vittoriana sarebbe stato impossibile anche solo da pensare. Inoltre, come continua a sottolineare Lombardi, Manor è rianimato da Urda, che per i popoli del Nord era la concettualizzazione del fato, idea del tutto estranea alla tradizione balcanica. Ancora, il primo tentativo di uccidere definitivamente il morto vivente fallisce e Manor riesce a liberarsi piuttosto facilmente del paletto con il quale lo hanno inchiodato nella tomba. Infine, originale è il modo in cui il vampiro succhia il sangue di Har, non mordendolo sul collo, ma ciucciandogli il capezzolo.

Con questa narrazione, Ulrichs si conferma anche come scrittore di fiction. La sua storia, come sottolinea Paul Nash commentando la traduzione di Lombardi, rientra a pieno titolo nelle regole del racconto breve così come sono state formulate proprio nel 19° secolo: ha una solida impalcatura, unità di trama, carattere, tono, umore e stile, con un inizio, uno svolgimento, una fine. Anche lo sfondo in cui si svolge la storia viene usato con sapienza da Ulrichs: la terra è "nuda", "rocciosa", "melanconica", il mare è "selvaggio", "sballottato in vortici e rapide", "una marea di onde", ed è calmo solo quando i due giovani sono insieme a nuotare. Insomma, un racconto da non perdere, dopo che per così tanto tempo è stato quasi sconosciuto.

 

 

 

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MANOR

 

 

 

Capitolo I

 

Nel centro morto del Mar di Norvegia si trova un gruppo di trentacinque isole solitarie e desolate. Situate alla stessa distanza da Scozia, Islanda e Norvegia, le Isole Faeroe sono nude, rocciose e coperte dalla nebbia. Dappertutto si sente il grido melanconico dei gabbiani inquieti. Fin dove si spinge lo sguardo, tutto sembra eccitato dalle onde ingrossate che escono da una pesante foschia. Le montagne raggiungono i 550 e perfino i 600 metri sul livello del mare. Sopra si profilano ruvide scogliere, e sotto declinano le gole. Ci sono estese foreste di pini, e migliaia di cascate sgorgano da grandi altezze schiantandosi sulle rocce. Le rive del fiume, profondamente scolpite da ruscelli e fiordi, sono rese quasi inaccessibili da torreggianti scogliere. Il mare, trattenuto da rocce e scogli e completamente bloccato qua e là, è sballottato violentemente in vortici e rapide lungo il suo cammino in discesa.

Le isole abitate sono diciassette. Due di queste, Stromo e Wago, sono separate solo da un braccio di mare stretto e calmo abbastanza da essere facilmente attraversato da un bravo nuotatore. Parecchi nomi di località ricordano il passato, prima che la Chiesa vi si affermasse. Thorshavn, per esempio, sulla spiaggia di Stromo, è stata così battezzata in onore del dio del tuono che nella mitologia nordica è rappresentato armato di martello.

Un giorno, un pescatore lasciò Thorshavn con il figlio di 15 anni su di una barca a remi. Il battello si rovesciò davanti alle coste di Wago durante una tempesta, ed il ragazzo fu sbattuto tra gli scogli. Un giovane marinaio lo vide, si tuffò tra le onde infuriate e nuotò in mezzo ai frangenti. Dopo averlo salvato, lo depose su di una roccia. Sollevò il corpo semi cosciente per metterselo in grembo e lo tenne tra le sue braccia, finché il ragazzo aprì gli occhi.

Il marinaio chiese: "Come ti chiami?"

"Har. Sono di Stromo", rispose.

Il marinaio lo portò indietro attraverso lo stretto fino a Stromo e lo consegnò a Lara, la madre di Har. Riconoscente, il ragazzo abbracciò il suo salvatore, proprio mentre stava per andarsene. Più tardi, l'acqua portò a riva anche il corpo senza vita del padre.

Il nome del pescatore era Manor. Era orfano, ed aveva quattro anni più di Har. Manor si affezionò al ragazzo. Non vedeva mai l'ora di incontrarlo. Di tanto in tanto remava verso Stromo o, durante le sere d'estate, dopo il lavoro, attraversava a nuovo l'acqua calda dello stretto. Har lo aspettava sulla riva, arrampicandosi sugli scogli e agitando un fazzoletto non appena vedeva da lontano la sua barca a remi che si stava avvicinando. Insieme, trascorrevano una o due ore sul battello, cantando le canzoni dei marinai, remando fino ad uscire fuori sul mare calmo. Oppure si spogliavano, si tuffavano tra le onde e nuotavano fino alla più vicina spiaggia sabbiosa per vedere le foche. Qualche volta si addentravano nel buio della foresta di grossi pini verdi, le cui cime fruscianti annunciavano la voce di Thor, o almeno così si diceva. Qualche altra volta trovavano una roccia sotto un faggio, dove si riposavano chiacchierando e facendo piani per il futuro.

Per esempio, ogni volta che vedevano una baleniera attraversare lo stretto, progettavano di salire a bordo insieme, e Manor metteva il braccio attorno alle spalle di Har, e lo chiamava il suo 'Min Jong'. Ed il ragazzo non era mai così contento come quando Manor lo abbracciava in quel modo. E se qualche volta Manor arrivava tardi, s'infilava all'ombra del cespuglio di lilla e bussava al vetro della finestra di Har. Har si svegliava e sgattaiolava fuori della casa per incontrarlo. In effetti, solo in presenza di Manor riusciva ad essere felice.

 

 

 

 

 

 

Capitolo II

 

Un bel giorno, una goletta danese a tre alberi venne a gettare l'ancora nel tranquillo porto di Wago e a reclutare marinai per una caccia alla balena che sarebbe durata due mesi. Manor salì sul battello ed il capitano assunse immediatamente quel giovane magro e svelto. Anche Har si offrì di lavorare, come mozzo. Quando Lara lo venne a sapere, si lamentò: "Tu sei il mio unico figlio. Il mare si è preso tuo padre ed anche tu, ora, vuoi lasciarmi?" Fu così che Har decise di non partire mentre Manor saliva sul tre alberi.I due mesi erano ormai trascorsi, ed il nuovo inverno era già nell'aria. Come al solito, Har continuava ad arrampicarsi sullo scoglio per guardare lontano, sul mare. Un mattino vide un battello che si avvicinava. Pieno di contentezza, si mise ad agitare il fazzoletto. Ma il tempo era burrascoso e alta la schiuma dell'onda. La goletta sterzò verso il porto di Wago. Incapace di raggiungere l'isola, prese pericolosamente la direzione sbagliata verso la scogliera di Stromo, e si arenò proprio davanti agli occhi di Har. Il ragazzo poteva perfino vedere i naufraghi che si dibattevano tra le onde. Vide un braccio muscoloso impossessarsi d'una tavola. Ma subito dopo, la tavola e l'uomo scomparvero sotto una marea di onde. Aveva capito di chi si trattava. Era Manor. Parecchi corpi senza vita vennero sbattuti sulla spiaggia. Qualcuno li mise uno accanto all'altro, sulla paglia. Har aiutò a riconoscere i cadaveri. Finalmente, anche il corpo di Manor venne a riva. Har vide i suoi capelli bagnati e gocciolanti. Gli occhi erano chiusi, le labbra e le guance, pallide. Il suo corpo snello e freddo, anche nella morte, faceva sempre un bell'effetto. "Bene, Manor, questo è tutto quello che ci dobbiamo aspettare, alla fin fine", gridò, buttandosi su quel corpo che aveva amato. Per un istante, singhiozzando, assaporò la gioia del suo ultimo abbraccio.

 

 

 

 

 

 

Capitolo III

 

Ormai calmo, Har trascorse la sera nella sua capanna. Era triste, e Lara cercava di consolarlo. Ma non ci riusciva. Maledisse gli dei e si mise a letto, dove passò una notte insonne. Verso mezzanotte stava quasi per addormentarsi, quando venne ridestato all'improvviso da un rumore. Guardò intorno. Veniva da fuori la finestra. I rami del cespuglio di lilla si spezzarono, e le sue foglie secche cominciarono a stormire. La finestra si spalancò e qualcuno entrò dentro la stanza. Har tremava fin quasi a credere d'essere impazzito. Lo riconobbe dalla forma. A dispetto del buio, sapeva chi era. L'immagine gli si avvicinò lentamente, poi s'infilò nel letto accanto a lui. Il ragazzo tremava, ma non aveva il coraggio di fare un movimento. Una mano fredda lo colpì sulla guancia. Oh, era così fredda, ma così fredda...! Un brivido gli attraversò la spina dorsale. Le sue labbra calde, tremanti, vennero baciate da altre labbra, gelide. Il giovane poteva sentire gli abiti bagnati dell'amato, e poteva vederne i capelli che gli scendevano dalla fronte. Fu preso dalla paura, una paura mischiata a gioia. L'immagine sospirò un attimo, quasi per dire: "Un desiderio struggente mi ha spinto qui da te. Non ho pace nella mia tomba". Har non osava pronunciare una parola, tanto meno si arrischiava a respirare. Allora Manor si alzò e mormorò qualcosa: "Ora devo tornare". Scavalcò la finestra e se ne andò, proprio come era arrivato. "Quello era Manor", Har bisbigliò tra sé e sé. Quella stessa notte, un pescatore di Stromo remava nello stretto. Il mare era brillante. Dai suoi remi sembravano radiare piccole scintille. Poi, subito prima di mezzanotte, gli capitò di sentire alcuni strani suoni. Vide qualcosa sfrecciare attraverso l'acqua scintillante. Non riuscì a distinguerne la forma perché si muoveva con la rapidità di un grosso pesce. Ma, a dispetto del buio, aveva capito che non si trattava di un pesce. Manor non apparve mai quando la luna era piena. Ritornò la sera seguente. Era freddo come il ghiaccio, proprio come nella visita precedente, ed anche più esigente. Abbracciò il ragazzo, baciandolo sulle guance e sulle labbra, poi mise la testa sul suo tenero grembo. Har tremò di terrore. Il cuore gli batteva nel petto tenuto così stretto. Manor adagiò la testa proprio lì, in quel punto in cui palpitava il cuore di Har. Le sue labbra gelide cercavano il morbido seno gonfio sopra il cuore di Har. Tutto il suo corpo fremette nell'ascoltarne il battito. Manor cominciò a succhiare un capezzolo, pieno di struggimento e di brama, come un bimbo fa con la tetta della mamma. Tuttavia, prima che passasse troppo tempo, smise, si alzò e se ne andò. Har si sentiva come se un animale lo avesse succhiato fino a prosciugarlo. Anche quella sera il pescatore era al lavoro sullo stretto. Esattamente alla stessa ora della notte precedente, sentì gli stessi suoni. Ma questa volta venivano da molto più vicino. Alla pallida luce della luna riconobbe che quello che stava nell'acqua era un uomo. Nuotava come nuotano i marinai, sul lato destro, ma indossava gli abiti dei morti. Sembrava quasi che il nuotatore stesse guardando dritto attraverso di lui, poiché verso di lui aveva girata la faccia.E nuotava con gli occhi chiusi. Quella vista spaventò tanto il pescatore che ritirò su la rete e girò la barca verso la riva. Manor continuò a tornare anche nelle notti seguenti. Abbracciò anche il giovane mentre dormiva. Infatti, di tanto in tanto Har era sopraffatto dal sonno, nell'attesa dell'amico. Allora, si svegliava e si trovava tra le sue braccia. Ogni volta le labbra di Manor esploravano il tenero gonfiore sopra il suo cuore. Allo spuntar del giorno Har notava una macchiolina di sangue che gli gocciolava dal capezzolo sinistro. La puliva con la camicia. Talvolta si accorgeva che la goccia aveva già macchiato la camicia. Gli abitanti delle isole Faeroe credono che i morti spesso sono spinti da un incontrollabile desiderio ardente di visitare alcuni dei loro amati sopravvissuti. La spinta può essere così forte che questi abbandonano le loro tombe, di notte, per poterli visitare. C'è anche un'antica convinzione che Urda, che possiede strani poteri demoniaci, sia responsabile del breve periodo di vita concesso ai morti viventi. Urda si occupa in particolar modo di coloro la cui esistenza è stata bruscamente interrotta da una morte amara in un'età troppo giovane. Si dice che un irresistibile bisogno di vita e di calore riempia il cuore di quelli che ritornano. Questi si nutrono del sangue dei vivi e, come un amante, bramano fortemente i loro abbracci. Ma il loro forte desiderio è causa per tutti di nient'altro che dolore. Così accadde in questo caso. Per tutto il giorno Har fu tormentato e languì di desiderio. Ma attese la notte con impazienza e aspettando ardentemente quel brivido delizioso dell'abbraccio di mezzanotte.

 

 

 

 

 

Capitolo IV

 

Due settimane erano trascorse. Lara disse: "Sei bianco come un fantasma. Che ti succede, Har?" "Niente, mamma", gemette lui. E lei: "Sei così silenzioso". Un sospiro... In una casetta alla periferia del villaggio viveva una saggia vecchia che praticava la stregoneria. La madre di Har, sopraffatta dalla preoccupazione, l'andò a visitare.La vecchia tirò dei bastoncini con sopra delle iscrizioni runiche. "Lo visitano i morti", disse. "I morti?", chiese Lara. "La saggia donna rispose: "Sì, durante la notte, e qualcuno morirà se non si farà nulla per porvi un freno". Perplessa, Lara tornò a casa. "E' vero, Har", chiese, "che la notte ti visitano i morti?"

I suoi occhi caddero sul pavimento, mentre bisbigliava: "Sì, è Manor", e si asciugò le lacrime sul petto di lei.

"Possano gli dei aver pietà di te", disse la madre.

"Gli dei", rispose, "non significano nulla, per me. Quando lui si aggrappava disperatamente alla tavola, allora, oh, allora sarebbe stato il momento giusto per aver pietà di me. Ma lo hanno lasciato affogare senza misericordia. Oh, quanto lo amavo!"

Quando Lara scoprì le macchie di sangue sulla sua camicia, andò a parlare con gli anziani del villaggio. Insieme alla madre con il figlio, e portandosi appresso la vecchia saggia, remarono attraverso lo stretto fino a Wago. Al popolo di Wago lei parlò così: "L'insicurezza delle vostre tombe ha esposto uno di noi al pericolo. Un uomo lascia il suo sepolcro ogni notte, viene da noi e succhia a sazietà il sangue da questo povero giovane".

"Cercheremo di rendere le cose più sicure", le rispose il popolo di Wago. Da un albero di pino tagliarono un palo. Era alto come un uomo e spesso come un braccio. Con un'accetta gli piallarono la superficie squadrandola di sotto, mentre l'estremità aveva una punta lunga un piede. Andarono sulle dune dove i marinai erano stati seppelliti. Un uomo portava il palo, un altro un'ascia pesante. Aprirono la tomba di Manor. Uno della gente di Wago disse: "Guardate, non si è mosso per niente dal giorno in cui lo abbiamo sepolto". "Questo perché ogni volta che ritorna si rimette esattamente allo stesso posto", replicò la saggia donna. Un altro degli uomini di Wago aggiunse: "Quasi quasi sembra star meglio oggi che il giorno in cui lo abbiam messo sotto terra". "Nessuna meraviglia", rispose la vecchia, "è proprio per questo che Har è così pallido". Har si avvicinò e, ancora una volta, si gettò sul corpo dell'amato. "Manor, Manor", gridava, la voce tremante. "Ti stanno per infilare un palo dritto dentro il cuore. Manor, svegliati. Apri gli occhi. Sono io, il tuo Har". Ma Manor non aprì gli occhi. Giaceva immobile tra le braccia di Har, ora, come due settimane prima, sulla paglia della riva. Har si rifiutava di lasciarlo. Così, lo strapparono via da lì e appoggiarono la punta del palo sul petto di Manor. Har si girò, il cuore a pezzi. Gettò le braccia attorno al collo della madre e seppellì la faccia sulla sua spalla. "Mamma", gridò, "come puoi farmi questo?" Sentì l'ascia usata come un martello che colpiva il palo, poi lo sentì gemere sotto la botta. Una pesante mazzata seguiva a un'altra. "Questo ce la dovrebbe fare", disse un uomo di Wago. E un altro: "Se questo non lo tiene fermo al posto suo, non ci riuscirà nient'altro". Dovettero portar via Har a braccia, poiché era quasi svenuto. "Non ti darà più fastidio, ragazzo mio", gli disse Lara non appena furono tornati a casa. Addolorato, andò a letto. "Ora, non potrò mai più vederlo", disse ad alta voce, pieno di tristezza. Era stanco e si sentiva debole. Si agitò e rigirò a lungo nel suo letto. I minuti passavano così lenti che sembravano delle ore. Arrivò la mezzanotte ed il sonno ancora non gli faceva chiudere gli occhi. Ascolta. Cos'è stato? Nel cespuglio di lilla... Ma no, non è possibile, pensò. E, sì, in realtà, proprio come prima, sentì un fruscio venire dal cespuglio. La finestra si aprì come sempre. Era Manor, ancora una volta. La vista tolse il respiro ad Har. Il corpo di Manor mostrava un'apertura quadrata che gli penetrava per tutto il corpo.Si stese accanto ad Har, lo abbracciò e cominciò a succhiarlo. Lo ciucciava avidamente e perfino con un più grande ardore.

Quella notte, tuttavia, Lara si svegliò. Si mise in ascolto ed ebbe paura per la sua vita. La mattina, presto, entrò nella stanza di Har e gli si avvicinò al letto. "Povero bambino mio. Era ancora lui, non è vero?", chiese. "Si, mamma", rispose, "era lui". Il letto era imbrattato dal sangue del morto, sgorgato dalla sua profonda ferita.

 

 

 

 

 

Capitolo V

 

Qualche ora più tardi Lara, la vecchia saggia e gli anziani di Stromo remarono di nuovo attraverso lo stretto, ma questa volta senza Har. Tornarono sulle dune e riaprirono la tomba. Il palo quadrato era ancora conficcato nel terreno, ma non attraversava più il petto di Manor. Tuttavia, egli vi stava accanto e con le ginocchia si toccava il mento. Il palo gli impediva di potersi allungare.

"Si è liberato", disse la saggia donna, "visto? il palo ha la stessa larghezza dalla punta fino alla base".

"Uno degli uomini di Wago disse: "Ha dondolato lungo tutto il palo fino a liberarsi".

"Ma deve aver richiesto una forza inumana, per poterci riuscire", disse un altro.

Dietro consiglio della vecchia saggia fecero un palo più robusto, spesso il doppio sulla punta. Come se fosse un chiodo con la testa. Tirarono via il vecchio bastone e trafissero Manor con il nuovo palo. "Ecco qui, ora è inchiodato per bene", disse l'uomo con l'ascia, dando un ultimo, finale colpo sulla capocchia.

Un altro uomo di Wago disse; "In ogni caso, non riuscirà più a lasciare la tomba, da oggi in poi".

Lara tornò da Har per dirgli quello che era successo. "E' tutto finito, ora", pensò tra sé e sé, ritirandosi nel suo lettuccio. Man mano che la mezzanotte si avvicinava, non riusciva a prender sonno. Tutto era calmo. Nulla scuoteva i rami del cespuglio di lilla fuori la finestra. Il pescatore, non più spaventato da un nuotatore cieco che gli attraversava lo stretto, continuava a pescare

Lara disse: "Ora ti lascerà in pace. Ti stava tormentando". "Mamma, cara mamma, non mi stava tormentando", si lamentava il ragazzo, affliggendosi invano. "Mamma", continuava, "non ho più ragione di vivere".

"E' perché sei così stanco e debole, figlio mio", rispose. Era diventato così emaciato che non riusciva neanche più ad alzarsi dal letto.

"Sento che mi sta chiamando", sussurrava.

Era passato un mese dal naufragio. Una mattina, Lara si mise a sedere accanto al letto del figlio ancora addormentato. Cominciò a piangere, finché lui aprì gli occhi.

"Mamma", disse con un filo di voce", "sento che sto per morire".

"No, no, figlio mio. Sei troppo giovane per andartene per sempre".

"Morirò presto. Manor è stato qui ancora una volta. Abbiamo parlato", disse, "poi siamo andati a sedere su di una roccia, come facevamo sempre, sotto il vecchio faggio, e lui mi ha messo un braccio sulle spalle e mi ha chiamato 'Min Jong'. Verrà di nuovo questa notte, per portarmi con lui. Me lo ha promesso. Non riesco a vivere senza di lui". Lei si chinò verso il ragazzo, mentre le lacrime le gonfiavano gli occhi.

"Povero figlio mio", singhiozzò, mettendole la mano sulla fronte. Quando la notte fu vicina, accese una lampada e si mise a vegliare accanto al letto.

Il ragazzo era ancora sveglio, e guardava in silenzio verso il vuoto.

"Mamma", disse.

"Che c'è, mio caro bambino?", chiese.

"Mettimi nella tomba con lui, per favore. E levagli quell'orribile palo dal petto".

Lei promise che l'avrebbe fatto, stringendogli la mano e baciandolo. "In realtà", disse il giovane, "non vedo l'ora di unirmi a lui nella sua tomba".

Suonò la mezzanotte. Improvvisamente trasfigurato, sollevò leggermente la testa, come se ascoltasse qualcosa con grande intensità. I suoi occhi risplendevano, mentre guardava al di là della finestra e dei rami del cespuglio di lilla.

"Guarda, mamma. Eccolo lì".

Queste furono le sue ultime parole. I suoi occhi rovesciarono all'indietro. Affondò nel cuscino e cadde in un sonno profondo.

E fecero quello che aveva chiesto.

 

 

 

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Note conclusive                 

 

Questo racconto di Ulrichs è stato tradotto dal testo in inglese curato da Michael Lombardi (Urania Manuscripts, Los Angeles, 1982) il quale, a sua volta, ha utilizzato un testo in tedesco pubblicato su Schwuchtel: Eine Zeitung der Schwulenbewegung ("Manor: Eine Novelle", primavera 1977). La fonte della versione in tedesco è una pubblicazione della casa editrice Wegwald del 1914. La prima edizione, curata dallo stesso Ulrichs, apparve a Lipsia nel 1885, in una antologia intitolata Matrosengeschichten (Storie di Marinai). "Manor" era il secondo di quattro racconti che componevano la raccolta (gli altri erano "Sulitelma", "Atlantis", "Il Monaco di Sumbö"), cominciata a Napoli e completata a L'Aquila nel 1884. "Manor" fu scritto tra il 22 ed il 30 luglio di quell'anno, e proprio nella città abruzzese.  

 

© 2002 by Massimo Consoli

 

 

 


      

 

 


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