Amore e disperazione

di Laus
 
Prologo
Parte I
Parte II
Parte III
Parte IV
Parte V
Parte VI
Parte VII
Parte VIII
Epilogo
 

Prologo 

 

Si sentiva piuttosto stanco. Il campionato era vicino e le prove in vista dell’inizio si erano intensificate. I viaggi tra Bologna e Parigi erano diventati sempre più frequenti. Sarebbe voluto essere già a casa, essersi fatto una bella doccia calda. Avrebbe voluto essere sdraiato sul divano di casa, davanti al caminetto acceso, ascoltando un po’ di buona musica, magari con la testa appoggiata sulle gambe di Françoise, lasciandosi accarezzare i capelli da lei. L’idea lo fece sorridere per un attimo… solo un attimo. Alzò gli occhi per aria e si rese conto di essere nell’atrio freddo di luce al neon dell’aeroporto.

<<Joe… Joe sei proprio tu?>>

Joe, sentendosi essere chiamato in giapponese, si voltò, cominciando a guardarsi intorno. I suoi occhi sgranarono quando videro chi lo aveva chiamato.

<<Ma… Mayumi?!>>

Lei gli sorrise e si avvicinò a lui.

<<Che ci fai qui a Parigi?>>, le chiese ancora sbigottito, rimanendo immobile.

<<Potrei farti la stessa domanda…>>, gli disse lei inclinando la testa da una parte.

<<Beh…>>, disse Joe prendendo un grosso respiro <<Io ci vivo, adesso.>>

Mayumi aggrottò la fronte: <<Ci vivi?!>>

Joe  annuì facendo un mezzo sorriso: <<Strano… pensavo che ormai lo sapesse tutto il mondo… Non mi fa piacere che la mia vita privata vada sui rotocalchi, ma è il prezzo della popolarità.>>

Lei aggrottò nuovamente la fronte, poi alzò le ciglia e Joe comprese che aveva capito a cosa si riferisse.

<<Ho capito…>>, disse lei abbassando gli occhi <<Devo averlo letto da qualche parte, effettivamente… ma pensavo che fossero i soliti pettegolezzi… che foste solo…>>

<<No.>>, la interruppe lui <<E’ la verità.>>

<<E vivete anche insieme… immagino.>>

Joe sospirò annuendo: <<Sì.>>

Mayumi strinse le labbra e fece una specie di segno d’assenso: <<Capisco… beh, in fondo siete simili…>>

Joe aggrottò la fronte: <<Cosa?>>

<<Niente…>>, rispose lei scuotendo la testa <<Niente di importante… posso offrirti qualcosa? In ricordo dei vecchi tempi…>>

Lui sorrise appena. Avrebbe voluto dirle che, in realtà, i vecchi tempi proprio non li voleva ricordare. Già il solo rivedere lei aveva cominciato a stringergli delle tenaglie intorno allo stomaco. Cercò di trovare un modo gentile di rifiutare…

<<Per favore, Joe.>>, cercò di convincerlo lei con un sorriso <<Non ti mangio mica.>>

Lui sospirò profondamente, facendo poi una lieve smorfia con le labbra.

<<Va bene.>>, disse infine <<Ma… solo per poco. Sono molto stanco.>>

 

<<... I was dreaming, but you woke up. And I am gonna miss you but I am gonna be all right. ‘Cause if I can’t make you love me you’re out of reasons to stay. Make it easy on yourself. Don’t worry about me. If I can’t make you love me you’re not the one here to blame. I will it make it on my own. Don’t worry about me..>>  (“I’m stupid” – Prime STH)[1]

 

Parte I

 

<<Non mi hai ancora detto cosa sei venuta a fare in Francia.>>, gli disse Joe dopo che si furono seduti a un tavolo di un bar dell’aeroporto.

In sottofondo la radio cominciò a far volare nell’aria le note di un’altra canzone. Mayumi prese la bustina di tè nella sua tazza per il filo e la face muovere dentro l’acqua bollente in modo circolatorio.

Tell me a story where we all change. And we’d live our lives together, and not estranged.[2]

<<Per lavoro.>>, rispose finalmente <<Un servizio fotografico... per una rivista.>>

I didn't lose my mind, it was mine to give away. Couldn’t stay to watch me cry. You didn’t have the time. So i softly slip away...

Joe bevve un sorso del suo caffè: <<Hai fatto carriera dall’ultima volta che...>>, si fermò e il suo sguardo si rannuvolò per una frazione di secondo <<Mi fa piacere per te, veramente.>>

No regrets, they don't work. No regrets now, they only hurt. Sing me a love song. Drop me a line. Suppose it's just a point of view. But they tell me I'm doing fine.

Mayumi comiciò a girare con il cucchiaino il tè, guardando il fumo che si levava leggero dalla tazza: <<Sì, le cose vanno abbastanza bene… Almeno per quanto riguarda il lavoro.>>

I know from the outside. We looked good for eachother. Felt things were going wrong. When you didn't like my mother.

Joe la guardò perplesso, timoroso se fare la domanda che gli era balenata in mente: <<Almeno? Perché? Qualcos’altro non va?>>

I don't want to hate but that's all you've left me with. A bitter aftertaste and a fantasy of how we all could live.

<<No.>>, disse lei scuotendo la testa e continuando a mescolare il tè <<Niente di particolare... Però alcune cose… lo ammetto… potrebbero andare meglio…>>

No regrets, they don't work. No regrets, they only hurt. (We've been told you stay up late). I know they're still talking (You're far too short to carry weight) the demons in your head. (Return the videos they're late). If I could just stop hating you. (Goodbye). I'd feel sorry for us instead.

 Joe posò la sua tazzina di caffè ormai vuota: <<Beh, non può sempre andare tutto bene nella vita.>>, disse facendo girare la tazzina sul piattino spingendola per il manico <<Stai sempre insieme a quell’uomo?>>

Remember the photographs (insane). The ones where we all laugh (so lame). We were having the time of our lives. Well, thank you! It was a real blast.

Lei non sembrò sorpresa della domanda, come se se l’aspettasse da un momento all’altro. Smise finalmente di rigirare il tè, che ormai cominciava a essere tiepido e scosse la testa: <<No, non più… Ci siamo lasciati molto tempo fa…>>

No regrets, they don't work. No regrets, they only hurt. Write me a love song. Drop me a line. Suppose it's just a point of view.
But they tell me I'm doing fine.

Joe annuì, facendo uno strano sorriso che lei non capì: <<Capisco... interessante.>>

Everything I wanted to be, everytime I walked away.

Mayumi aggrottò la fronte: <<Come sarebbe a dire “interessante”?>>

Everytime you told me to leave, I just wanted to stay.

Joe fece un sorriso che gli fece uscire uno sbuffetto d’aria e cominciò a giocherellare con il cucchiaino, facendolo tamburellare sul tavolo, tenendolo fra pollice e indice: <<Interessante…>>, disse guardandola in volto e facendo un’espressione che a lei sembrò ironica <<sapere che alla fine mi sembra di aver fatto tanta fatica per nulla. Beh, in fondo non è molto giusto dire così… alla fine ho salvato due vite e quindi non è stato del tutto inutile… ma ho perso un pezzo della mia… e è stato difficile ritrovarlo. Credimi…>>

Every time you looked at me and everytime you smiled.

Mayumi abbassò lo sguardo e strinse i pugni sul tavolo: <<Joe, io…>>

I felt so vacant, you treated me like a child.

Joe la guardò con uno sguardo impassibile che la terrorizzò: <<Si è fatto tardi… devo andare. E’ stata una giornata lunga e… non vedo l’ora di tornare a casa. Vorrei essere a casa prima che Françoise ritorni.>>

I loved the way we used to laugh, I loved the way we used to smile.

Lei non disse nulla, abbassando appena lo sguardo. Vedendo che non parlava, Joe si alzò e prese la sua roba: <<Ti saluto, Mayumi. Ti auguro buona fortuna.>>, le disse.

Often I sit down and think of you for a while.

Mayumi rialzò lo sguardo e fece un timido sorriso: <<Arrivederci, Joe…>>

Then it passes by me and I think of someone else instead.

Joe si girò i tacchi cominciando a camminare verso l’uscita: <<Addio, Mayumi.>>, disse senza voltarsi e alzando appena la mano, scomparendo oltre l’uscita.

 

<<… I guess the love we once had is officially... dead!>> (“No regrets” – Robbie Williams)

 

Parte II

 

<<Sono tornata.>>

Françoise richiuse la porta dietro di sé, togliendosi poi il cappotto e appendendolo in una specie di armadietto posto accanto alla porta. L’odore le colpì immediatamente le narici e la condusse nella sala da pranzo, attigua alla cucina. Joe stava finendo di apparecchiare la tavola. Si fermò nel momento in cui lei arrivò e notò la tavola apparecchiata con cura, le candele e il buon odore che proveniva dalla cucina.

Restò immobile sulla porta, guardando poi Joe con un’espressione interrogativa. Poi si appoggiò con una spalla allo stipite, senza smettere di guardarlo: <<Dunque, non c’è  nessuna ricorrenza da festeggiare… Ti devi forse far perdonare qualcosa?>>

Joe sorrise, scuotendo la testa e ritornando in cucina: <<Nulla di tutto questo.>>, disse.

Françoise passò dalla porta del tinello al bancone della cucina, sedendosi su uno sgabello, con i gomiti appoggiati sul bancone e le mani a reggersi il volto e guardando Joe che le dava le spalle mentre armeggiava ai fornelli, rimescolando qualcosa in una pentola.

<<Cos’hai preparato di buono?>>, gli chiese.

Joe si voltò, lasciando il mestolo su un ripiano e appoggiandosi con al ripiano: <<Potresti andarti a cambiare e scoprirlo dopo.>>, le disse dandole un buffetto su una guancia <<Magari l’effetto sorpresa lo rende anche migliore.>>

<<Aspetta… vediamo se indovino.>>, disse riempiendosi le narici dell’odore del cibo <<Pasta agli aromi e… roast beef. Ci ho indovinato?>>

Joe sorrise: <<Vatti a cambiare o fai scuocere la pasta.>>

Françoise si alzò fulmineamente: <<Non sia mai. Lo sai che la amo al dente.>>, disse <<Vado, mi cambio e torno.>>

Poi scomparve verso le scale che davano al piano di sopra.

Joe restò un attimo fermo, guardando nella direzione in cui si era dileguata. Gli si disegnò un linea sorridente sulle labbra.

“Oggi sembra un po’ più serena… almeno spero.”, pensò andando a prendere il vino e l’acqua dal frigo per poi metterli in tavola “Forse…”

Cercò sul tavolo per vedere dove fosse il cavatappi. Poi si accorse di averlo lasciato in cucina, accanto al fornello. Portò la bottiglia con sé e lo raggiunse, cominciandolo a usare sul tappo della bottiglia. Qualcosa attirò la sua attenzione, sul pavimento. Qualcosa di che brillava di luce riflessa. Finì di stappare la bottiglia e si avvicinò, piegandosi poi sulle ginocchia e raccogliendo l’oggetto. Era un frammento di vetro minuscolo. E sapeva bene da dove saltava fuori. Si stupiva solo che fosse ancora lì

Joe era affacciato al balcone, guardando le luci della Torre Eiffel, in lontananza. Sembrava così piccola a vederla da lì… Ma erano altri i pensieri che gli passavano per la testa. Non si era nemmeno accorto delle piccole e primissime gocce di pioggia che erano cominciate a cadere. L’aria gelida delle notti parigine di metà febbraio sembrava non sfiorarlo neppure, sebbene avesse addosso appena il pigiama. Non riusciva a togliersi dalla testa quelle parole ( “<<No, Joe… per… per favore…>>”), ma soprattutto non riusciva a togliersi davanti agli occhi la sua espressione impaurita. Scosse violentemente la testa per l’ennesima volta, come se sperasse di staccare tutto questo dal suo cervello, di poterlo far volare via, il più lontano possibile… ma non servì a nulla. Si prese la testa fra le mani, come se improvvisamente fosse diventata incredibilmente pesante.

CRASH!!!

Il rumore lo fece trasalire: <<Françoise!>>

Corse fuori dalla camera come un razzo, fiondandosi giù per le scale. La trovò seduta in un angolo della cucina sul pavimento, al buio trafitto appena dalle luci della sala da pranzo che lui aveva acceso. Aveva la testa appoggiata sulle ginocchia. Sul pavimento, da una parte, poco lontano, frammenti sparsi di vetro e una piccola pozza d’acqua.

Restò immobile a guardarla per qualche istante, senza sapere cosa fare. Poi cominciò ad avvicinarsele, lentamente, inginocchiandosi con delicatezza davanti a lei e sfiorandole appena i capelli. Fu un sollievo vedere che non lo respingeva. Ma fu un altro colpo vedere le scie delle lacrime che le rigavano il volto quando alzò la testa verso di lui.

Si guardarono un attimo, restando in silenzio. Poi, Françoise afferrò dolcemente la mano di Joe che le stava accarezzando una guancia e la strinse delicatamente.

<<Joe… mi dispiace…>>

<<Françoise… non…>>, cercò di interromperla scuotendo la testa.

<<Io non volevo… non volevo respingerti.... ma quando stavi per entrare io… non so cosa mi sia successo....>>

<<Fran…>>

<<… E’ stato più forte di me…>>

<<Françoise!>>, le disse con tono deciso, ma delicato <<Non importa, non è successo niente di grave.>>

<<Io… non voglio che tu pensi che io abbia paura di te…>>

Joe scosse la testa: <<Non lo penso affatto.>>, le disse <<Sennò non mi faresti stare così vicino a te. Dico bene?>>

Lei annuì, stringendo le labbra.

<<Adesso vai su e ti fai una bella dormita, va bene?>>

Françoise annuì di nuovo: <<Va bene… ma qui…>>

<<Ci penso io.>>, le disse aiutandola ad alzarsi con entrambe le mani <<Tu non preoccuparti.>>

<<Ok.>>, disse annuendo nuovamente.

Lui fece per lasciarle le mani, ma lei le tenne strette.

<<Joe…>>

<<Dimmi…>>

Françoise strinse le labbra: <<Io… non vorrei che tu pensassi di dormire da qualche altra parte per quello che è successo.>>, alzò lo sguardo verso di lui <<Promettimi che torni da me.>>

Joe annuì. A dire il vero, inizialmente, prima di tutto questo, su quel balcone, aveva pensato proprio una cosa del genere. Ma gliel’aveva chiesto in un modo tale che non poteva dirle di no. E poi lei continuava ad avere quegli incubi… a questo non aveva pensato.

<<Va bene, Françoise. Adesso vai.>>, le disse baciandole la fronte <<Giuro che pulisco qui e ti raggiungo.>>

Gli lasciò le mani e, dopo aver esitato ancora un istante, si era allontanata su per le scale, voltandosi spesso verso di lui prima di scomparire dalla sua vista. Intanto, fuori, la pioggia aveva aumentato la sua intensità.

<<Tutto bene?>>

La voce di Françoise lo riportò al presente. Stava scolando la pasta. Non si era nemmeno accorto veramente di farlo.

<<Sì, tutto a posto.>>, le rispose fingendo un sorriso <<Mettiti pure comoda.>>

 

<<… This winter's song I'll sing alone, I've searched its still refrain. I'll walk alone If given this, take wing, and celebrate the rain... I used to think as birds take wing. They sing through life, so why can't we? We cling to this, and claim the best. If this is what you're offering
I'll take the rain, I'll take the rain, I'll take the rain.>> (“I’ll take the rain” – REM)[3]

 

Parte III

 

<<A che stai pensando?>>

Joe era seduto sul divano, nella sala quasi completamente al buio, illuminata solo dal fuoco acceso nel caminetto. Distolse lo sguardo dalle fiamme che danzavano davanti a lui e volse gli occhi verso Françoise, che intanto si stava sedendo, accanto a lui.

<<Niente di particolare.>>, rispose lui incurvando le labbra.

<<Come sono andati i test?>>, gli chiese appoggiandosi allo schienale del divano <<Sei stato via tre giorni e non mi hai raccontato nulla.>>

<<Bene… nessun problema in particolare.>>, rispose lui guardando un punto impreciso del tappeto davanti a loro <<La macchina va benone. E a te come sono andate le prove?>>

Françoise si aggiustò i capelli con un gesto della mano: <<Bene… hanno messo su un ottimo gruppo. Senti…>>, disse avvicinandosi un po’ a lui.

<<Beh,>>, disse Joe alzandosi e andando a riattizzare il fuoco <<dovevano allestire un cast che ti potesse tener testa. Non era facile…>>

Françoise sospirò guardandogli le spalle e mordendosi un labbro. Cadde un velo di silenzio durante il quale si sentì solo lo strepitare della legna sotto le fiamme.

<<Joe,>>, gli disse dopo un bel po’ <<dobbiamo parlare di quello che è successo la scorsa notte… e lo sai bene.>>

Joe, invece di tornare a sedersi sul divano, si mise a sedere sul ripiano in pietra davanti al caminetto, appoggiando i gomiti sulle ginocchia e incrociando le braccia: <<Ti ho già detto che non è successo niente di grave.>>, le disse con un’espressione scura sul volto.

Lei fece un profondo respiro: <<Se non è successo niente di grave perché continui a evitarmi?>>

Joe aggrottò la fronte: <<Io non ti sto evitando.>>

Françoise, scosse la testa sorridendo amaramente: <<Non mi hai nemmeno sfiorato con un dito da quando sono tornata.>>, gli disse <<Anche adesso ti sei spostato lì per non starmi… per stare a “distanza di sicurezza”. Credi che non me ne sia accorta?>>

Joe serrò le labbra, massaggiandosi le tempie con una mano: <<Françoise… io… è stata una cosa che preferirei dimenticare il prima possibile…>>

<<E pensi di riuscirci in questo modo?>>, lo interruppe bruscamente <<Evitando di toccarmi?>>

Joe sospirò al limite dell’esasperato. Sapeva che avrebbero dovuto affrontare l’argomento… ma quella ferita gli bruciava ancora. Troppo. Quella scena gli ripassò di fronte agli occhi.

Scosse la testa violentemente, prendendosela tra le mani: <<Françoise, tu non hai idea. Non hai visto…>>, si fermò, senza riuscire ad andare avanti, nascondendosi la faccia fra le mani.

Lei aspettò qualche istante, sperando che finisse il discorso, ma inutilmente.

<<Che cosa intendi dire? Cos’è che non ho visto?>>, gli chiese finalmente.

Lui fece scivolare le mani sul volto, fino a farle rimanere congiunte davanti alle sue labbra, guardandola. Indeciso se risponderle o meno. Poi intrecciò le mani sotto il mento, appoggiando i gomiti sulle gambe.

<<Tu non hai visto…>>, esitò ancora un attimo <<la tua espressione in quel momento… gli occhi che avevi. Non li hai visti. Paura allo stato puro. Solo e nient’altro che paura.>>

Françoise annuì. Poi abbassò lo sguardo a terra: <<Io ti ho già detto che non avevo paura di te…>>

<<E di cos’altro allora?!>>, le chiese quasi indispettito, sbattendo i pugni sulle sue gambe.

Lei alzò lo sguardo e lo fissò chiedendogli di starla ad ascoltare con gli occhi: <<Joe, tu sei l’ultima persona di cui potrei aver paura. Credimi, ci ho pensato tanto in questi giorni… a quello che poteva essermi scattato dentro… lo so di averti ferito… ma, credimi, io avevo paura… ma non di te.>>

Joe restò in silenzio, senza dire nulla, senza capire se dicesse la verità o gli dicesse quello cose solo per farlo sentire un po’ meglio.

Lei sospirò nuovamente, raccogliendo il respiro e le idee. Si era chiesta tante volte come avrebbe potuto spiegargli com’erano andate le cose. Cos’era successo dentro di lei in quel momento. Ma adesso stava andando avanti solo con l’istinto, senza una traccia, senza ricordare nessuna di tutte quelle conversazioni che aveva tenuto con lui solo nella sua testa, soprattutto in quelle due notti praticamente insonni, passate da sola in un letto che mai avrebbe immaginato poter essere così grande. Sapeva di averlo scosso, ferito. Immaginava che per lui non doveva essere facile quella situazione, capire il perché fosse successo. Anche lei aveva dovuto rifletterci molto,  arrivando fino al suo inconscio più profondo per riuscire a capire cosa poteva essere scattato in quel momento. Lo aveva capito… ma adesso doveva farlo capire a lui. E doveva fargli capire che lei non aveva voluto rifiutare lui, ma…

Il telefono squillò infrangendo bruscamente il silenzio che era scivolato nella stanza, facendoli sobbalzare entrambi sui loro posti. Joe, che stava guardando per terra, alzò la testa di scatto e aggrottò la fronte. Françoise fece altrettanto, guardandolo perplessa, magari aspettandosi che Joe gli facesse un cenno come per dire che stava aspettando una telefonata e forse era per lui. Erano quasi le 11. Chi poteva essere a quell’ora?

Il telefono fece il suo secondo squillo. Françoise alzò la cornetta che era proprio accanto a lei.

<<Allô?... Sì, glielo passo subito.>>, protese la cornetta verso Joe <<E’ la polizia.>>

Joe aggrottò ancora di più la fronte e si alzò, prendendo la cornetta dalla mano di Françoise.

<<Pronto?>>

<<Lei è il signor Joe Shimamura?>>, gli chiese un’atona voce maschile dall’altro capo del telefono.

<<Sì, sono io.>>

<<Proprio il pilota di formula 1?>>

Joe fece un sorriso che denotava che stava cominciando a spazientirsi. Françoise stava quasi per scoppiare a ridere. Joe si chiese se era per la sua espressione che doveva essere piuttosto esplicativa o perché stesse ascoltando la conversazione.

<<Quanti Joe Shimamura vuole che ci siano a Parigi e dintorni?>>, disse mettendosi pesantemente a sedere sul divano, accanto a Françoise, che stava ascoltando divertita.

<<Ehm… sì, ha ragione. Mi scusi.>>, disse il poliziotto <<E’ che…Lei conosce la signorina Mayumi Izuki?>>

<<Certo…>>, chiese Joe aggrottando la fronte e guardando Françoise che era trasalita. Lei, pensando di essere di troppo, fece per alzarsi. Ma Joe le mise una mano su un braccio, fermandola. Françoise lo guardò sorpresa, non aspettandosi quel gesto. Si riappoggiò allo schienale del divano, guardando il fuoco. Ma non riuscì a smettere di ascoltare.

<<La signorina Izuki è stata aggredita, signor Shimamura.>>, disse il poliziotto facendo trasalire Joe <<Ha chiesto di contattarla perché è l’unica persona che conosce qui a Parigi.>>, concluse dopo qualche secondo.

<<Capisco…>>, disse Joe dopo un po’ <<Vengo subito… che commissariato siete?>>

<<Glielo dico subito, signore.>>

Joe annotò un indirizzo su un pezzo di carta.

<<Grazie e arrivederci.>>, disse quando ebbe finito.

<<Arrivederci signore.>>

Joe tirò giù la cornetta e poi prese il foglietto su cui aveva annotato l’indirizzo del commissariato tra il pollice e l’indice, guardandolo qualche istante e poi piegandolo e mettendoselo in una tasca dei jeans.

Poi si voltò verso Françoise, che a sua volta girò gli occhi verso di lui, tenendo le braccia incrociate sul petto.

<<Non vai?>>, gli chiese.

Joe annuì: <<Però… forse sarebbe meglio che venissi con me… non saprei cosa dire a una donna che è stata appena aggredita.>>, disse <<Non sono molto bravo a entrare nel vostro modo di pensare… non vorrei dire qualcosa di sbagliato.>>

Françoise ci pensò qualche istante, inclinando la testa di lato e muovendo appena le pupille dentro gli occhi e mordendosi leggermente il labbro inferiore..

<<Va bene.>, gli disse alzando le spalle.

 

 

<<... I never meant to cause you a trouble and I never meant to do you wrong. And I, well if I ever caused you a trouble, although I never meant to do you harm.>> (“Trouble” – Coldplay)[4]  

 

Parte IV

 

Françoise parcheggiò l’auto in un garage parking poco lontano dal commissariato, che era in pieno centro. Scesero entrambi dall’auto e cominciarono a incamminarsi. Nel garage era piuttosto freddo e umido e si sentivano appena i loro passi e, ogni tanto il rumore di qualche motore che si aggirava per il garage o che si accendeva.

<<Françoise…>>, disse improvvisamente Joe fermandosi poco lontano dall’uscita.

Lei fece qualche passo prima di accorgersi che Joe si era fermato e voltarsi: <<Sì?>>

Joe strinse le labbra, poi si decise: <<Io sapevo già che Mayumi era a Parigi. L'ho incontrata oggi all’aeroporto… per caso.>>

Lei annuì: <<Ci hai fatto qualcosa di più che una semplice chiacchierata tra vecchi amici?>>, gli chiese.

<<Certo che no!>>, disse lui con un’espressione che da sola negava tutto.

Lei alzò le spalle: <<E allora? Non ci vedo niente di male.>>

Joe sembrò colpito dall’evidenza semplice di quello che gli aveva appena detto. Si sentiva in colpa per non averle detto niente del suo incontro con Mayumi, ma effettivamente non c’era niente di cui sentirsi in colpa.

<<Andiamo?>>, lo spronò lei accompagnando la voce con un gesto del capo.

Joe annuì e si rincamminarono. All’esterno c’era ancora più freddo. Camminarono a passo svelto verso il commissariato, che era proprio dall’altro lato della strada, poco più in là. Quando entrarono, una donna e un uomo in divisa in piedi dietro di lei in divisa alzarono gli occhi verso di loro.

<<Desiderano?>>

Joe si avvicinò: <<Buona sera. Sono Joe Shimamura. Sono qui per la signorina Mayumi Izuki. E’ una mia… amica.>>

La donna annuì: <<Sì, ho capito di chi parlate. Aspetti un attimo.>>

Joe annuì e la donna si portò la cornetta del suo telefono all’orecchio e compose un breve numero.

Dopo pochi secondi cominciò a parlare a qualcuno all’altro capo del filo: <<Fabiàn, c’è qui il signor Shimamura… per quella ragazza giapponese… va bene. Allora li faccio portare da te.>>

Riattaccò e si alzò: <<Venite, vi porto da lei. Tu, Roland>>, disse all’uomo <<pensa a qui.>>

L’uomo annuì e la donna li condusse oltre una porta, in un corridoio. Passarono alcuni uffici, all’interno dei quali alcuni poliziotti stavano lavorando. Arrivarono a una porta chiusa. La donna bussò sotto la targhetta “Capitano Fabiàn Delacroix”.

<<Avanti.>>, rispose una voce all’interno.

La donna aprì la porta e fece entrare Joe e Françoise.

<<Grazie.>>, disse lei alla donna che li aveva accompagnati.

La donna annuì sorridendo, poi salutò il capitano e chiuse la porta.

L’uomo allora si alzò dalla sua scrivania: <<Buonasera, io sono il capitano Delacroix. Piacere di conoscervi.>>, disse porgendo loro la mano.

Joe e Françoise gliela strinsero: <<Buonasera.>>

<<Buonasera.>>

<<Accomodatevi pure.>>, disse il capitano mettendosi di nuovo a sedere e facendosi un po’ di posto avanti a sé, spostando qualche incartamento <<E non badate al disordine.>>

<<Si figuri.>>, disse Françoise sorridendo e mettendosi a sedere su una sedia davanti alla scrivania. Anche Joe fece altrettanto.

<<Allora…>>, disse il capitano prendendo in mano un fascicolo e aprendolo davanti a sé <<la vostra amica è stata sentita urlare da alcuni passanti ed è stata soccorsa da alcuni di questi che hanno evidentemente messo in fuga gli aggressori. Era in un vicolo ed è stata trovata con i vestiti strappati… tuttavia dalla visita medica non risulta che… come dire… siano riusciti ad andare fino in fondo.>>, disse chiudendo il fascicolo <<Non siamo riusciti a sapere di più… anche perché la ragazza è piuttosto sotto shock e non riesce a dire nulla in qualunque altra lingua che non sia il giapponese. L’unica cosa che è riuscita a dire è stato il suo nome, signor Shimamura.>>

Joe annuì: <<Capisco… e adesso dov’è?>>

<<In un’altra stanza, insieme a una mia collega.>>, disse alzandosi in piedi <<Vi ci porto subito.>>

Uscirono dall’ufficio e fecero qualche altro metro nel corridoio. Arrivati a una porta il capitano si fermò e bussò, aprendola.

<<Sono arrivati i suoi amici.>>, disse l’uomo rivolgendosi alla collega seduta davanti al divano dove Mayumi era stata sdraiata.

<<Joe…>>, disse Mayumi alzando il capo, vedendo il ragazzo dietro il capitano. Poi vide anche Françoise: <<Ah, ciao Françoise.>>

<<Vado a prendere i documenti per fare il verbale.>>, disse la poliziotta alzandosi.

Joe e Françoise annuirono, aspettando che la donna fosse uscita. Poi Joe si avvicinò al divano. Françoise rimase vicino alla porta, in piedi.

<<Come ti senti?>>, chiese Joe a Mayumi, guardandola preoccupato.

<<Joe, mi dispiace di averti fatto chiamare.>>, disse lei mettendosi a sedere e stringendosi nella coperta che aveva indosso <<Non sapevo proprio a chi rivolgermi.>>

<<Non ti preoccupare… capisco benissimo.>>, rispose lui <<Ma come è potuto succedere?>>

Mayumi si appoggiò allo schienale del divano, posandovi anche la nuca e chiudendo gli occhi, come se dovesse raccogliere le idee: <<Stavo camminando per tornare in albergo. Ero stata a fare un giro fuori, e poi a bere qualcosa in un locale. L’albergo non era lontano e così ho deciso di tornare a piedi. Poi, improvvisamente, mi sono accorta che ero seguita da due tipi… così ho allungato il passo… loro se ne sono accorti e mi hanno…>> Mayumi esitò un attimo <<Poi mi hanno preso di forza e mi hanno portata in quel vicolo… non mi ricordo altro… ero troppo spaventata.>>, disse cominciando a massaggiarsi le tempie con una mano <<Adesso vorrei solo tornare in albergo, farmi una bella doccia e mettermi a dormire.>>

La poliziotta rientrò con in mano un fascicolo e una penna, seguita dal capitano Delacroix. Si mise a sedere di fronte al grande tavolo che c’era nella stanza: <<Ci aiuta lei a fare la deposizione?>>, chiese la poliziotta rivolgendosi a Joe.

<<Certo.>>, disse Joe.

<<Bene.>>, disse Delacroix appoggiandosi con un gomito a uno schedario e restando in piedi in un angolo in penombra <<Allora cominciate a raccontare.>>

Mayumi cominciò il suo racconto, mentre Joe via via traduceva. Quando ebbe finito, Delacroix cominciò a farle qualche domanda più precisa.

<<Non si ricorda niente dei suoi aggressori? Qualche particolare fisico… qualunque cosa… Sarebbe importante.>>

Joe tradusse la domanda a Mayumi, la quale scosse la testa: <<Era troppo buio ed io ero troppo terrorizzata. Non ricordo assolutamente nulla… Adesso sono solo molto stanca.>>

Joe tradusse al capitano, il quale annuì e si scostò dallo schedario e si avvicinò alla sua collega: <<Faglielo firmare e poi, per me può andare.>>, disse rivolgendosi poi a Mayumi <<Se le viene in mente qualcosa torni pure.>>

Mayumi annuì e firmò il foglio di carta che la poliziotta le porgeva.

Uscirono dal commissariato e si diressero tutti e tre verso il garage.

<<Dove alloggi, Mayumi?>>, le chiese Françoise sulla strada.

<<Eh… ah… all’hotel Alexander, in Avenue Victor Hugo.>>

Françoise annuì: <<Uhm... sì, ho capito dov’è.>>, disse <<Non è molto lontano da qui…>>

Entrarono nel garage e si diressero alla macchina. Françoise e Joe si misero davanti, mentre Mayumi si accomodò di dietro.

La macchina si mise in moto e in pochi attimi furono all’esterno. Effettivamente non ci volle molto dal garage fino all’albergo, che si trovava in una via molto vicina agli Champs Elysées. Era una zona parecchio affollata, anche se l’ora era tarda. Françoise fermò la macchina davanti all’albergo, ma in divieto di sosta.

<<Cos’hai, Mayumi. Non hai per niente una bella faccia?>>, le disse Françoise voltandosi verso di lei.

Mayumi sorrise appena: <<Ho solo un gran mal di testa… Niente di grave.>>

<<Vuoi che ti vada a prendere qualcosa in farmacia?>>

Mayumi le sorrise: <<Te ne sarei grata, Françoise… davvero.>>

<<Posso andare io, se vuoi...>>, intervenne Joe.

<<Noooo… non conosci Parigi così bene da saperti addentrare in questi vicoli. Ci metterò un attimo. Tu accompagnala in camera.>>

Joe la guardò un po’  perplesso, poi annuì e uscì dalla macchina insieme a Mayumi. Françoise li guardò allontanarsi verso l’entrata e poi rimise in moto, avviandosi per le strade. Le sembrava di ricordare che ci fosse una farmacia da quelle parti che stava aperta anche la notte. E infatti, dopo pochi minuti la trovò.

Parcheggiò l’auto e andò a comprare una scatola di aspirine. Quindi tornò in macchina e rimise nuovamente in moto, riavviandosi verso l’albergo. Si dovette fermare a un semaforo rosso e allora appoggiò la testa al sedile, chiudendo gli occhi in quei pochi attimi in cui il mondo si era fermato.

C’era qualcosa che non tornava in quella storia. Le sembrava tutto troppo… strano. Ma come dirlo a Joe e non sentirsi ribattere che la sua era solo stupida gelosia.

Un suono di clacson la riportò alla realtà. Si accorse che il semaforo era verde. Fece un cenno di scuse alla macchina dietro e si rimise in marcia. In pochi minuti fu nei pressi dell’albergo. Ebbe la fortuna di trovare  una macchina che se ne andava e si infilò al suo posto. Scese dall’auto portando con sé il pacchetto della farmacia. Entrò nell’albergo e chiese al portiere quale fosse la camera di Mayumi. Prese l’ascensore. Mentre saliva sentiva una strana sensazione montarle dentro. Cercò di non pensarci e si incamminò lungo il corridoio una volta che la porta dell’ascensore si riaprì davanti a lei.

Arrivò alla porta e stava per bussare quando, proprio mentre era sul punto di appoggiare il pugno chiuso alla porta chiusa…

<<Mayumi, non scherzare! Non posso farle una cosa simile!>>

<<Perché?! Tu non la ami! Stai con lei solo perché siete simili, no? Perché è un cyborg come te! A me non importa di quello che sei. Io ti amo lo stesso Joe!>>

Il pacchetto le scivolò fra le mani e prima che fosse caduto per terra Françoise era già corsa lontano da lì, da quella stanza, da quella conversazione, da quelle coltellate dritte al cuore. Rientrò nell’ascensore e spinse il bottone per tornare al piano terra. Si appoggiò alla parete cercando di non crollare. Sentiva le gambe che non la reggevano più. Sperava solo di riuscire ad arrivare fino alla macchina, di riuscire ad andarsene lontano da lì.

L’ascensore sembrò metterci una vita per arrivare a terra. Quando le porte si aprirono, uscì di corsa fuori e quasi investì un ragazzino che stava correndo nella hall, facendolo cadere. Il bambino si mise a piangere, allora Françoise tornò indietro e lo aiutò a rialzarsi porgendogli una mano: <<Scusa piccolo. Tutto bene?>>

IL bambino smise di piangere e la guardò perplesso, mentre si rialzava in piedi: <<Sì… sì, signorina.>>

<<Scusami ancora.>>, disse andandosene in fretta e attraversando la hall come un fulmine, senza nemmeno accorgersi degli occhi che la guardavano incuriositi.

Una donna si avvicinò di corsa al bambino che era rimasto immobile, guardando nella direzione in cui Françoise era ormai scomparsa.

<<Tutto bene, Michel?>>, chiese la donna inginocchiandosi preoccupata accanto al bambino.

Il bambino non la guardò nemmeno: <<Piangeva…>>, disse guardando sempre nella stessa direzione.

<<… I gave all I could but it left me so sore... And the thing that makes me mad is the one thing that I had. I knew... I knew I’d lose you…>> (“No need to argue” – Cranberries)[5]

 

Parte V

 

In qualche modo era riuscita a tornare a casa. Ma una volta varcata la soglia, Françoise era crollata come una colonna che per troppo tempo avesse sostenuto un peso eccessivo. Aveva chiuso l’uscio ed era scivolata appoggiandosi con la schiena alla porta, giù, fino a sedersi per terra, nascondendosi la testa fra le ginocchia e lasciando libero sfogo alle lacrime che aveva cercato di trattenere inutilmente fino ad allora. Sentiva il cuore scoppiargli, come se fosse nella morsa di tanti cerchi di ferro che piano piano gli si stringevano inesorabilmente attorno, fino al punto in cui sarebbe scoppiato.

Non seppe mai quanto tempo restò in quella posizione, nell’oscurità della casa. Il tempo era un concetto lontano e insignificante in quel suo piccolo mondo illusorio che tanto faticosamente aveva trovato e che così facilmente era crollato, che così facilmente poche parole erano riuscite a distruggere.

Sentì appena il forte bussare alla porta che improvvisamente la riportò nel presente.

La voce di Joe le suonò nella testa come un campanello: <<Françoise, per favore, apri.>>

Lei non rispose, limitandosi a sprofondare a ancora di più la testa fra le ginocchia.

<<Françoise, per favore!>>

<<VATTENE!>>, urlò lei come se avesse trasformato in rabbia e voce tutto il dolore che sentiva dentro.

Joe rimase in silenzio dietro la porta. Lo sentì sbattere un pugno contro il legno massiccio, e poi un altro ancora. Voleva solo sentirne i passi che le dicessero che si stava allontanando. Ma invece fu la sua voce il rumore che le arrivò alle orecchie.

<<Françoise, ascol…>>

<<Non voglio la tua pietà, Joe. Non so che farmene della tua pietà… NON LA VOGLIO!... Per quanto il mio amore possa essere grande… non basta per tutti e due. L’ho sempre saputo… E’ sempre stato così… sempre.>>

Joe sentì la sua voce perdersi in singhiozzi sommessi. Per un attimo fu sul punto di dire qualcosa… ma dalla sua bocca semiaperta non uscì alcun suono. Appoggiò la fronte alla porta e chiuse gli occhi, respirando profondamente. Sentì la pioggia cominciare a scendere lentamente, sempre più forte. Si scostò dalla porta e ascoltò attentamente. Quando seppe che lei stava ancora piangendo, si mise una mano nella tasca della giacca e fece tintinnare le chiavi della macchina. C’erano le anche le chiavi di casa appese. Sarebbe potuto entrare… ma non se la sentì.

Si voltò e si mise il bavero della giacca sopra la testa, cominciando a correre verso il garage, sotto la pioggia battente e fredda.

Pochi attimi dopo Françoise sentì il rumore inconfondibile dell’auto di Joe che si metteva in moto e che pochi attimi dopo si stava allontanando da casa a grande velocità, con le marce tirate al loro massimo.

Poi il silenzio… e il rumore della pioggia battente.

 

 

<<… And so I walk to try to find a space where I can be alone, to live with my mistakes and the fear that will come from knowing that the one thing I had left was you...>> (“Nothing at all” – Santana feat. Musiq)[6]  

 

Parte VI

 

Si svegliò solo in tarda mattinata, verso le 12.30 sul divano, ancora vestita. Non ricordava nemmeno di essersi spostata dalla porta a lì, né tantomeno di essersi tolta il cappotto che giaceva inerme su una poltrona.

Si sentiva gli occhi gonfi e la testa pesante come un macigno. Si mise a sedere e si massaggiò le tempie. Alle 14 cominciavano le prove. Per un attimo fu tentata di telefonare e dire che aveva la febbre o qualcosa del genere, e restare a casa. Poi le venne in mente che magari avrebbe potuto distrarsi ballando. In fondo non gli rimaneva molto di più che il balletto.

Si alzò, barcollando un po’ quando fu in piedi. Quindi si diresse in camera e prese dall’armadio dei vestiti e della biancheria pulita da un cassetto del comò. Gli occhi le caddero su una fotografia incorniciata in una bellissima cornice d’argento, in bella vista sul mobile. Buttò la roba sul letto e prese la foto in mano. Era una fotografia fatta a Natale. L’aveva scattata Albert, prendendoli quasi di sorpresa. E forse proprio per quello era venuta benissimo. Aveva sentito da qualche parte che le foto vengono meglio se i soggetti non sono in posa, ma nel loro atteggiamento naturale. Erano seduti uno accanto all’altro davanti a un tavolo e stavano parlando quando Albert aveva attirato la loro attenzione e aveva scattato.

Il ricordo per un attimo le strappò un timido sorriso, ma poi sentì le lacrime tornare a chiederle di uscire e fu quasi per scaraventare la cornice per terra. Ma non ne ebbe il coraggio e si limitò a posarla sul comò, appoggiata al piano, in modo che la foto non si vedesse.

Si spogliò e si rinchiuse nella doccia, lasciando che l’acqua le scivolasse sul corpo, quasi sperando che portasse via con sé nello scarico tutta la sofferenza che sentiva dentro. Ma dopo un po’ non ne poté più. Tante, troppe volte avevano fatto la doccia insieme lì dentro. Il ricordo della mano di lui che le passava il bagno schiuma sulla pelle le dava una sensazione stupenda, e allo stesso tempo insopportabile.

Chiuse l’acqua e uscì dalla doccia. Si mise l’accappatoio addosso e si asciugò i capelli con il phon e ritornò in camera. Si vestì in tutta fretta e si dette un velo di trucco, per cercare di nascondere almeno il gonfiore degli occhi.

Voleva uscire il prima possibile da quella casa, dove ogni cosa le ricordava Joe. Sempre e soltanto Joe. Se anche aveva avuto ancora qualche piccolo dubbio se rimanere a casa o meno, adesso erano scomparsi totalmente.

Si rimise il cappotto che aveva lasciato sulla poltrona e uscì di casa, chiudendo la porta a chiave. L’odore di erba bagnata le entrò nelle narici. Percorse a grandi passi il vialetto che portava al garage e vi entrò dentro. Si fermò per un attimo a guardare il posto lasciato vuoto dall’auto di Joe.

Entrò in macchina e mise in moto, allontanandosi.

Aveva così fretta di andarsene che non si era nemmeno accorta che quella stessa macchina che mancava in quel garage era parcheggiata a pochi metri di distanza e che il suo conducente era al suo interno e che l’aveva vista allontanarsi.

Per un attimo Joe mise la mano sulla chiave, e fu quasi per mettere in moto e seguirla. Ma la chiave non girò e dopo qualche secondo Joe si appoggiò pesantemente allo schienale, sospirando profondamente e chiudendo gli occhi. Si sentiva stanco, a pezzi. La sua testa era un cumulo di frammenti, pezzi di un puzzle che non riusciva a metter in un insieme che avesse un minimo di armonia.

La radio accesa concluse la sua rassegna di notizie dell'una che Joe non aveva nemmeno ascoltato. Un deejay disse poche parole, introducendo una canzone che cominciò a farsi sentire sulle ultime sillabe dell’uomo.

Joe cercò di svuotare la testa e di riordinare le idee, chiudendo ancora di più gli occhi.

Kindness in your eyes... I guess you heard me cry. You smiled at me like Jesus to a child. I’m blessed, I know. Heaven sent and Heaven stole. You smiled at me like Jesu to a child. And what have I learned from all this pain? I thought I’d never feel the same about anyone or anything again. But now I know... When you find love, when you know that it exists, then the lover that you miss will come to you on those cold cold nights. When you’ve been loved, when you know it holds such bliss, then the lover that you kissed will comfort you when there’s no hope in sight.

La musica usciva suadente dagli altoparlanti. Françoise l’ascoltava distrattamente, chiedendosi se veramente si volesse così male da voler ascoltare quella canzone fino alla fine tanto sembrava fatta apposta per quella giornata.

Sadness in my eyes... No one guessed, well no one tried. You smiled at me like Jesus to achild. Loveless and cold, with your last breath you saved my soul. You smiled at me like Jesus to a child. And what have I learned from all these tears? I’ve waited for you all those years. Then just when it begun she[7] took your love away. But I still say... When you find love, when you know that it exists, then the lover that you miss will come to you on those cold cold nights. When you’ve been loved, when you know it holds such bliss, then the lover that you kissed will comfort you when there’s no hope in sight. So the words you could not say, I’ll sing them for two. And the love we would have made, I’ll make it for two. For every single memory has become a part of me... you will always be...

... my love

Joe riaprì gli occhi, senza muovere altro, ma continuando a guardare il tetto della macchina, colto da una calma improvvisa, come se la testa gli si fosse improvvisamente svuotata, come se il caos di poco prima non ci fosse mai stato. Quell’unica certezza gli balenò nella mente: un capitolo della sua vita si era chiuso definitivamente.

Well I’ve been loved, so I know just what love is and the lover that I kissed is always by my side...

 

<<... Oh, the lover I still miss... was Jesus to a child.>> (“Jesus to a child” – George Michael)[8]  

 

Parte VII

 

<<Va bene... per oggi può bastare.>>, disse

Il gruppo di ballo accolse con piacere le parole del regista. Françoise prese un asciugamano dalle mani di una donna, ringraziandola, e si mise a sul bordo del palco per fare qualche esercizio di allungamento, asciugandosi la fronte e bevendo un sorso d’acqua da una bottiglia. Non aveva nessuna voglia di tornare a casa.

<<Tutto a posto?>>

Alzò la testa verso la voce che sembrava essersi rivolta a lei. Gli sorrise, cercando di essere convincente: <<Sì, Michaël[9]. Non ti preoccupare. Sto benissimo.>>

<<Posso sedermi?>>, le chiese.

Lei si limitò ad annuire. Michaël si sedette accanto a lei e si mise a guardare la platea vuota. Parecchi dei ballerini si erano ritirati nei loro camerini, altri erano rimasti dietro le quinte a chiacchierare un po’. Un paio di danzatori stavano provando alcuni passi sul palco.

Michaël bevve un sorso d’acqua dalla sua bottiglietta: <<Sei proprio sicura che vada tutto bene?>>

Françoise si voltò vero di lui: <<C’è qualcosa per cui pensi il contrario.>>

<<Oggi sembrava quasi che ballassi per dimenticare qualcosa… Ti è riuscito particolarmente bene il personaggio… Anche le altre volte sei stata bravissima, ma oggi era… quasi come se lo avessi fatto ancora più tuo.>>

Françoise lo guardò perplessa. Poi si portò le ginocchia al petto, abbracciandole e rannicchiandosi su se stessa. Un lieve sorriso le si formò sulle labbra: <<Sogno di fare questo ruolo da quando ho cominciato a ballare.>>, disse volgendosi poi verso la platea <<E… sì, forse, se ci penso bene… un po’ assomiglio a Giselle. Riesco a capire i suoi sentimenti e credo che questo sia importante.>>, il volto le si oscurò improvvisamente <<Però io sognavo di interpretare Giselle sul palco… non pensavo di doverlo fare anche nella vita.>>

Michaël la guardava perplesso: <<Problemi con… Joe? Si chiama così vero?>>

Lei annuì: <<Sì a entrambe le domande… ma preferirei non parlarne.>>

Michaël fece schioccare le dita e si batté il palmo della mano su un ginocchio, come se avesse perso un’occasione: <<Peccato… avevo bisogno di spunti per il mio Albrecht!>>

Françoise si mise a ridere alla battuta: <<Ma il tuo Albrecht è già perfetto.>>

Lui la guardò compiaciuto: <<Finalmente ce l’ho fatta a strapparti un sorriso come si deve.>>, le disse.

<<Hai ragione.>>, disse lei ricomponendosi <<Grazie.>>

Qualcuno chiamò l’uomo da dietro le quinte.

<<Arrivo.>>, rispose Michaël volgendosi indietro. Poi si rivolse di nuovo a lei <<Beh, io vado.>>

Si rialzò in piedi e anche lei fece altrettanto.

<<Ti ringrazio Michaël. Mi hai tirato un po’ su.>>

Lui alzò le spalle: <<Di nulla. Siamo partners, no? Beh, ci vediamo domani.>>, disse allontanandosi di qualche passo e poi volgendosi ancora a lei <<Però ricordati bene che gli uomini sono un po’ tutti come Albrecht.>>

Lei corrugò la fronte: <<Che cosa intendi dire?>>

<<Spero che un giorno tu lo possa capire.>>, disse allontanandosi definitivamente.

Françoise restò immobile ancora qualche istante. Ormai sul palco era rimasta solo lei. Sospirò profondamente nel silenzio della sala. Poi si avviò a piccoli passi verso il suo camerino.

Entrata dentro, si spogliò e si fece una breve doccia, prendendosela con molto comodo. Uscì dal camerino e si avviò verso l’uscita, salutando due o tre persone che incontrò lungo la via. Uscì all’aperto, fuori dal teatro dall’uscita riservata ai membri dei cast. Erano le 18 più o  meno, ma era già buio.

<<Françoise.>>

Trasalì nel sentire la voce e le ginocchia le si fecero molli. Si voltò alla sua destra, lì da dove aveva sentito arrivare la voce. Non si sentiva la forza di parlare, non si sentiva la forza di fuggire via. Tutto quello che poté fare fu restare immobile e aspettare.

Mayumi le si avvicinò titubante. Poi abbassò lo sguardo per terra: <<Io lo so che sono l’ultima persona che vorresti vedere in questo momento… ma ti devo assolutamente parlare.>>, alzò la testa verso di lei <<Non posso tornare in Giappone con questo peso.>>

<<Mayumi, io non…>>

<<Ti devo chiedere scusa, Françoise… non avevo il diritto di dire quelle cose orribili… ma se ami Joe almeno un decimo di quanto lo amo io, credo che tu possa comprendere quello che mi ha spinto… anche se non è una giustificazione.>>

Françoise restò in silenzio… senza riuscire a trovare alcuna parola. Avrebbe voluto solo fuggire via… ma le gambe non le sentiva quasi.

<<Ho inventato tutta quella stupida storia perché volevo che Joe venisse da me, volevo una scusa per poter restare sola con lui e riprenderlo… Ma quando ho visto che aveva portato anche te… mi sono sentita morire.>, riprese un attimo fiato abbassando di nuovo lo sguardo <<Ma quello che mi ha fatto più male è stato quel suo sguardo quando mi ha respinto e… sono riuscita a farmi odiare da lui, invece che a farmi amare di nuovo.>>

Mayumi alzò gli occhi verso Françoise, sospirando nuovamente: <<Françoise, lo so che non potrai mai perdonarmi per quello che ho cercato di fare e quindi… spero solo che tu e Joe non abbiate problemi per causa mia e della mia stupidità… perché lui… si sentirebbe perso senza di te. Forse è quando ho visto quella disperazione nei suoi occhi… quando ha aperto la porta per andarsene e ha visto quel pacchetto a terra… forse è in quel momento che ho capito la stupidaggine che avevo fatto… e quanto mi fossi sbagliata. Lui non ha colpa in tutto questo… l’unica…>>

<<Che stupida…>>, disse Françoise a bassa voce <<Devo andare… devo andare a cercarlo.>>

 

<<… And you coming back to me is against all odds and that’s what I’ve got to face...>> (“Against all odds” – Phil Collins)[10]

 

Parte VIII

 

Françoise camminava sconsolata lungo la Senna. Ormai erano le 22 passate. Lo stava cercando da ore, senza risultato. Aveva cercato in tutti i luoghi in cui pensava di poterlo trovare, ma inutilmente. Aveva anche telefonato a casa, ma non le aveva risposto nessuno.

Si fermò un attimo a guardare il fiume, appoggiandosi al parapetto. Non le restava che tornare a casa.

Andò a prendere la macchina e cominciò a guidare meccanicamente verso casa. Quasi non si accorse del tragitto. Fece entrare la macchina nel vialetto d’accesso e azionò la porta del garage con il telecomando.

Parcheggiò l’auto come tante volte aveva fatto. Quando uscì fece attenzione a non colpire con lo sportello la macchina accanto…

Françoise rimase con lo sportello aperto, sul punto di uscire dall’abitacolo, fissando la macchina accanto alla sua. Scese e accarezzò la carrozzeria adesso un po’ sporca per via della pioggia presa la sera precedente, quasi volesse accertarsi che non fosse un miraggio.

Entrò in casa direttamente dal garage e si recò immediatamente in sala. Lì dove vedeva l’unica luce in tutta la casa.

A dire il vero, c’era solo il fuoco acceso. Quando entrò, Joe si voltò verso di lei e si alzò dal divano sul quale era seduto, restando poi fermo con una mano sullo schienale del divano stesso, rivolto verso di lei.

Rimasero in silenzio, guardandosi l’uno con l’altro, senza dire niente.

Poi Françoise cominciò ad avvicinarsi lentamente a lui, che invece rimase immobile al suo posto.

<<Da quando sei…>>

<<Sono tornato qualche ora fa.>>, le disse anticipando la sua domanda. Poi la guardò negli occhi, con uno sguardo serio e deciso <<Se vuoi che me ne vada e che finisca tutto qui… va bene. Ma me lo devi dire in faccia… guardandomi negli occhi.>>

Françoise scosse la testa: <<Io non voglio che tu te ne vada e non vorrei che finisca tutto qui. Ma forse… quelle erano le parole che avevo sempre avuto paura di ascoltare… è per questo che sono scappata. Non ho avuto il coraggio di restare e…>>

<<Quali parole?>>, chiese lui corrugando la fronte.

Françoise chiuse gli occhi, raccogliendo un attimo le idee: <<Che tu stessi con me solo perché sono un cyborg come te.>>

Joe rimase in silenzio e immobile per qualche secondo. Poi si mise a sedere sul bracciolo del divano, congiungendo le mani davanti alle ginocchia e tenendo lo sguardo basso.

Françoise lo guardò perplessa, senza sapere o senza voler interpretare quella reazione.

<<Sai Françoise,>>, disse Joe dopo un po’ girando i pollici tra di loro <<forse c’è stato un tempo in cui pensavo che non fosse giusto stare insieme a te… perché non ero sicuro… non sapevo come essere sicuro di non stare con te solo perché… in un certo senso… tu eri l’unica scelta possibile.>> alzò gli occhi verso di lei <<Non volevo chiamare “amore” qualcosa che magari era solo “disperazione”… Ho sempre saputo quello che provavi per me, ma non volevo illuderti… e poi scoprire di aver preso un abbaglio.>>

<<Joe…>>

Lui alzò una mano, fermandola: <<Certo… ultimamente ero più sicuro riguardo a noi due… ma forse quel dubbio è sempre rimasto un po’… dentro di me… Ma quando lei mi ha detto che mi amava nonostante… anche se sono un cyborg… io ho pensato… “Ma io… io amo Françoise.”… Forse ci voleva una prova del genere… Io non sto con te perché siamo simili, ma perché ti amo. E’ l’unica cosa di cui sono certo in questo momento e non sono mai stato più sicuro di così.>>

Françoise restò in silenzio qualche istante, andandosi a sedere sulla poltrona di fronte a lui: <<Mi dispiace, Joe. Ho frainteso tutto. Ma avevo troppa paura di perderti.>>

<<Sono io che mi devo scusare con te...>>

Françoise mise le mani avanti: <<Adesso non litighiamo su chi deve scusare chi, per favore.>>, disse <<Facciamo così. Io mi  vado a cambiare e tu… vai a chiudere la porta del garage e il cancello che ho lasciato aperti.>>

A Joe scappò un accenno di risata: <<Va bene.>>, disse annuendo e alzandosi. Le passò accanto, andando nella direzione da cui lei era venuta.

Françoise sospirò e si alzò a sua volta. Già, si era dimenticata che c’era un’altra cosa da chiarire che era passata in secondo piano di fronte al viaggio senza ritorno che avevano rischiato di intraprendere.

Si alzò a sua volta e si tolse il cappotto che aveva ancora indosso. Poi salì in camera. Notò che la cornice era ancora nella posizione in cui lei l’aveva lasciata. La rimise in piedi, sfiorando poi il volto di Joe con dolcezza. Si spogliò e cercò nell’armadio qualcosa di comodo da mettersi. I suoi occhi caddero su qualcosa piegato in un angolo dell’armadio. Prese quello di cui aveva bisogno e tirò fuori quel fagottone.

<<Non ci posso credere…>>, disse capendo cos’era <<Guarda dov’era finito.>>

Scese giù, portandolo con sé.

<<E questo cosa ci faceva nell’armadio?>>, chiese a Joe che come suo solito si era seduto per con la schiena rivolta e appoggiata al caminetto.

La guardò perplesso, e solo dopo un po’ realizzò cos’aveva in mano: <<Quello non è…?>>

<<Sì, esatto.>>, disse Françoise avvicinandosi e stendendolo sul tappeto davanti al caminetto e mettendocisi sopra <<E’ il futon[11] che stavamo cercando da mesi. Ce l’avevamo sotto gli occhi e non lo vedevamo.>>

<<Soprattutto per te è grave.>>, disse Joe sorridendo.

<<Ah ah.>>, rispose Françoise sarcastica portandosi verso di lui e lasciandosi cadere nel suo abbraccio senza che lui potesse nemmeno rendersene conto.

Joe esitò qualche istante, irrigidendosi un po’. Poi si rilassò e lasciò che le sue braccia la circondassero delicatamente e che lei si adagiasse ancora di più a lui e che posasse le sue mani su quelle di lui, strette sul suo ventre.

<<Ti ricordi il primo giorno che passammo in questa casa?>>, gli chiese dopo un po’.

<<Sì, che la ditta di traslochi si era sbagliata e aveva capito che il trasloco era per il giorno dopo. Era completamente vuota.>>

<<Già e tu tirasti fuori quel futon da non mi ricordo dove e lo mettemmo esattamente dov’è adesso…>>

<<Françoise, per favore.>>, la interruppe capendo dove voleva andare a parare <<Non…>>

<<Come faccio a convincerti che non succederà mai più quello che è successo l’altra notte?>>, disse accarezzandogli i capelli con una mano <<Come faccio a convincerti che non avevo paura di te… ma delle conseguenze?>>

Joe la guardò sospirando: <<Françoise, non riesco a togliermelo dalla mente… il tuo viso in quel momento…>>

<<Joe, quella era la prima volta da quando…>>, esitò un attimo e Joe sperò che non lo dicesse ma… <<Da quando ho perso il bambino.>>

Joe lasciò cadere le parole nel silenzio di qualche istante: <<Lo abbiamo perso tutti e due… però posso capire che per te sia stato molto più difficile.>>

<<Io avevo paura che succedesse di nuovo, Joe. Avevo paura che se fosse successo lo avrei perso di nuovo… e quella paura è scattata inconsciamente in quel momento… ma non era paura di te.>>, voltò la sua testa verso il suo volto <<Come potrei avere paura di te?>>

Joe sospirò, accarezzandole i capelli e baciandole la fronte: <<Non avevo capito niente come al solito. Scusami se sono stato distaccato con te.>>

<<Per fortuna mi ci hai abituata.>>, disse lei sorridendo. Poi tornò seria e disegnò il suo profilo con un dito, fermandosi sulle sue labbra <<Fai l’amore con me, per favore.>>

Joe le prese la mano e la baciò sul dorso, sfiorandola appena: <<Sei sicura?>>

Françoise annuì e si liberò dal suo abbraccio delicatamente, spostandosi sul futon e invitandolo a seguirla, tenendolo per mano. Restarono uno di fronte all’altro a guardarsi in volto ancora per un attimo, fino a quando le loro labbra non si incontrarono.

Cominciarono a spogliarsi e ad accarezzarsi l’un l’altro come avevano fatto tante volte in passato. Ma a tutti e due sembrava che fosse un po’ come la prima volta, come se quella lunga separazione fisica avesse fatto dimenticare loro il sapore di quelle sensazioni che solo tra loro riuscivano a trasmettersi.

Joe, però, a un certo punto cominciò a sentire la sua mente andare in tutt’altra direzione rispetto al suo corpo e al suo istinto.

<<Joe…>>

Lui si fermò, guardandola in volto mentre lei gli accarezzava i capelli: <<Non devi esitare… non ho paura.>>

<<Lo so, ma…>>

Lei lo fermò, baciandolo brevemente sulla bocca: <<Vorrei… sentirti di nuovo dentro di me… diventare una sola cosa con te. Joe, ti prego…>>

Non c’era paura nella sua voce, né nel suo volto. Il rendersi conto di ciò gli tolse quella specie di freno che lo bloccava e si lasciò andare completamente, lasciandosi guidare solo da quello che provava per lei.

Amore, non disperazione.

 

 

<<… Once I had the rarest rose that ever deemed to bloom. Cruel winter chilled the bud and stole my flower too soon. Oh loneliness. Oh hopelessness to search the ends of time. For there is in all the world no greater love than mine. Love o love o.... still falls the rain. Love o love.... still falls the night Love o love o .... damned forever. Let me be the only one to keep you from the cold. Now the floor of heaven is laid, the stars are bright as gold. They shine for you they shine for you, they burn for all to see... Come into these arms again and set this spirit free .>> (“Love song for a vampire” – Annie Lennox)[12]  

 

Epilogo

 

nel suo abbraccio, con la schiena a contatto con l suo petto. Si era quasi dimenticata di quanto fosse meraviglioso quel momento. Si accoccolò nuovamente contro il suo corpo, cercando di rubargli un po’ di tepore e guardando le braci del caminetto che emanavano gli ultimi soffi di vita.  Poi, improvvisamente, le venne in mente qualcosa.

<<Joe, che ore sono?>>

<<Non ne ho la più pallida idea.>>, rispose lui bofonchiando e stringendola ancora di più a lui.

Françoise si voltò verso l’alto, dove trovò l’orologio di Joe. Lo prese e guardò l’ora.

<<Mio Dio!>> esclamò <<Joe, sono le 11 e mezza. Tra un’ora e mezzo devo essere in teatro…>>

Per quanto cercasse di liberarsi dalla sua stretta, non ci riusciva. Era uno scherzetto che le faceva spesso.

<<Joe, lasciami andare. Non ti mettere a fare il bambino proprio adesso!>>

In tutta risposta lui la fece sdraiare sulla schiena, guardandola da sopra con il suo solito sguardo da giocherellone, ma che sapeva bene cosa voleva.

<<E se ti reclamassi per colazione?>>, le disse sorridendo beffardo.

Lei lo guardò altrettanto beffarda: <<Dunque puoi rinunciare alla colazione adesso e mangiare tutti gli altri giorni della settimana, o fare colazione adesso e non mangiare per un mese. A te la scelta.>>

Joe sbuffò e si rimise sdraiato sulla schiena lasciandola andare via. Dopo un po’ si alzò anche lui e si rimise i pantaloni, per poi andare in cucina a mettere su il caffè.

Françoise scese giù cambiata proprio mentre il caffè stava passando.

<<Com’è che quando dobbiamo andare da qualche parte mi fai sempre fare tardi e oggi ci hai messo così poco?>>, le disse porgendole una tazza di caffè.

Lei ne bevve un sorso: <<Perché tu sei uno svago, non il mio lavoro.>>

<<Io sarei uno svago?>>, disse lui guardandola non proprio convinto.

<<Ti sembra poco?>>

Joe scosse la testa, sorseggiando il caffè: <<Françoise?>>

<<Uhm…>>

<<Ci ho fatto caso stanotte.>>, le disse <<Dove hai messo l’anello?>>

Lei si guardò l’anulare sinistro, quasi stupita di non vederci l’anello sopra: <<Forse l’ho gettato da qualche parte per la rabbia.>>

<<Spero che tu non l’abbia gettato… fuori.>>, disse lui storgendo la bocca.

<<No, non credo.>>, rispose lei posando la tazza sul tavolo <<Cercalo, sarà qui da qualche parte. Io devo andare.>>, disse avviandosi verso la porta.

<<Françoise!>>

Lei si voltò spazientita: <<Cosa?>>

<<Non credi che sia meglio che tu perda cinque secondi adesso che io tutta una giornata a rivoltare casa?>>, le chiese con un sorrisetto ironico sul volto.

Françoise sbuffò, cominciando a dare un’occhiata intorno: <<Ecco,>> disse puntando il dito in una direzione <<E’ finito sotto quel divano. Au revoir.>>

Si recò a teatro, riuscendo ad arrivare appena in tempo. Fu una giornata faticosa, ma si sentiva bene stavolta e l’idea di tornare a casa non era un peso come il giorno prima.

<<Oggi stai meglio, eh?>>, le chiese Michaël porgendole l’asciugamano alla fine delle prove.

<<Già… decisamente.>>, disse lei asciugandosi mettendosi l’asciugamano intorno al collo <<Avevi ragione.>>

<<Su cosa?>>

<<Che gli uomini devono perderla una cosa per rendersi conto di quanto sia importante per loro.>>, disse sorridendo.

<<Sono tutti come Albrecht, no?>>, disse annuendo <<Però lui non ti ha perso.>>

<<No, ma temevo veramente che fosse finita.>>

<<Beh, allora non farlo aspettare il tuo Albrecht.>>, disse indicando verso la platea.

Sul fondo Françoise notò Joe e lo salutò con una mano.

<<Vado… grazie ancora Michaël.>>

<<Prego.>>

Françoise corse a cambiarsi e in meno di una ventina di minuti.

<<Non pensavo di trovarti qui.>>, disse a Joe raggiungendolo all’uscita.

<<Volevo farti una sorpresa… facciamo una passeggiata?>>

<<D’accordo.>>

Si fermarono un attimo, perché Françoise potesse lasciare la propria roba in macchina. Poi Joe porse il suo braccio a Françoise e cominciarono a camminare per le vie di Parigi, passando per Place de la Concorde e fermandosi a guardare la Senna davanti al Giardino delle Tuileries.

<<Mi ridai l’anello?>>, gli chiese dopo un po’ che erano fermi davanti al fiume.

Lui le sorrise: <<Stamattina sembrava quasi non te ne fregasse niente.>>

<<Avevo solo una gran fretta, Joe.>>, protestò lei <<Ma si è mai vista una prima ballerina che arriva tardi alle prove?>>

<<Vabbé.>>, alzò le spalle Joe <<Dammi la mano.>>

Françoise obbedì. Solo che Joe non gli dette il suo. Françoise lo guardò stupita: <<Ma quest’anello…>>

<<Sì, è quello che era di mia madre e che tu mi hai ridato indietro qualche tempo fa.>>, gli rispose Joe senza lasciarle la mano e abbassando lo sguardo <<Sai, quando ci siamo rimessi insieme ho promesso che quest’anello te l’avrei ridato solo quando ti avessi chiesto…>> alzò di nuovo gli occhi per guardarla in volto con un’espressione che le fece capire che non stava scherzando quando le disse: <<Françoise, mi vuoi sposare?>>

 

<<… I’m gonna love you more than life if you’ll only be my wife. I‘m love you night and day, I’m gonna try in everyday.>> (“When we dance” – Sting)[13]

 

F I N

 

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[1] Traduzione: <<… Stavo sognando, ma tu mi hai svegliato. E mi mancherai, ma starò bene. Perché se non posso fare in modo che tu mi ami, tu non sei fra le ragioni per restare. Non pensarci. Non preoccuparti per me. Se io non posso fare in modo che tu mi ami, non sei la persona a cui darne la colpa. Lo farò da solo. Non ti preoccupare per me.>>

[2] Traduzione dei pezzi in corsivo riuniti insieme e del pezzo finale (si tratta della canzone indicata tra parentesi alla fine): <<Raccontami una storia in cui tutti cambiamo. E in cui noi avremmo vissuto la nostra vita insieme. E non come estranei./ Non ho perso la testa, è stata la mia mente a rigettare. Non potevi restare a guardarmi piangere. Non ne avevi il tempo. Così sono scivolato via dolcemente…/ Niente rimpianti, non servono. Niente rimpianti adesso, fanno solo del male. Cantami una canzone d’amore. Dammi una traccia. Suppongo sia solo un punto di vista, ma dicono che io stia facendo la cosa giusta./ So che da fuori sembravamo fatti l’uno per l’altro. Ho capito che le cose stavano andando male quando a te non piacque mia madre./ Non voglio provare dell’odio, ma è tutto quello con cui mi hai lasciato. Un retrogusto amaro e la fantasia di come avremmo potuto vivere./ Niente rimpianti, non funzionano. Niente rimpianti, fanno solo del male. (Ci hanno raccontato che stai alzata fino a tardi). Lo so che stanno ancora parlando (Sei andata troppo poco lontano portando il peso) i demoni nella tua testa (Restituisci i video che sono in ritardo). Se solo potessi smettere di odiarti (Addio) mi dispiacerebbe per noi invece…/ Ricorda le fotografie (pazzo). Quelle in cui tutti noi ridiamo (così claudicante). Ci stavamo divertendo. Beh, grazie! E’ stato veramente uno sballo./ Niente rimpianti, non funzionano. Niente rimpianti, fanno solo del male. Scrivimi una canzone d’amore. Dammi una traccia. Suppongo sia solo un punto di vista, ma dicono che io stia facendo la cosa giusta./ Ogni cosa che volevo essere, ogni volta che andavo via./ Ogni volta che mi dicevi di andarmene, io volevo solo restare./ Ogni volta che mi guardavi, ogni volta che sorridevi./ Mi sentivo così libero. Tu mi trattavi come un bambino./ Amavo il modo in cui ridevamo. Amavo il modo in cui sorridevamo./ Spesso mi siedo e penso a te per un istante./ Poi mi passa e penso a qualcun altro, invece./ Penso che la storia che avevamo una volta sia ufficialmente… finita!

[3] Trad.: <<Questa canzone invernale la canterò in solitudine. Ho cercato il suo ritornello immobile. Camminerò da solo e se questo è ciò che mi viene dato, prenderò il volo e saluterò la pioggia… Ero solito pensare agli uccelli, a come prendono il volo. Essi cantano attraverso la vita. E allora perché noi non possiamo? Ci attacchiamo a questo e diciamo che è la cosa migliore. Quindi, se questo è ciò che offri, accetterò la pioggia.>>

[4] Trad: <<Non ho mai voluto darti un problema, non ho mai voluto farti un torto. E io, beh se ti ho mai dato un problema, tuttavia non ho mai voluto farti del male.>>

[5] Trad.: <<Ho dato tutto quello che ho potuto ma ne sono rimasta così ferita… E ciò che mi fa impazzire è l’unica cosa che avevo. Io sapevo… lo sapevo che ti avrei perso.>>

[6] Trad.: <<E così me ne vado a cercare un posto dove possa stare da solo, per vivere con i miei errori e con la paura che verrà dal sapere che l’unica cosa che mi era rimasta eri tu.>>

[7] Nel testo originale della canzone, la cui traduzione integrale è alla nota successiva, in questo punto c’è un he, cioè un “lui”.  Françoise, nella sua testa, ci sente una she, e credo di non dover spiegare il perché.

[8] Trad.: <<La gentilezza nei tuoi occhi… Credo che tu mi abbia sentito piangere. Mi sorridevi come Gesù a un bambino. Sono fortunato, lo so. Il Cielo ha dato e il Cielo ha portato via. Mi sorridevi come Gesù a un bambino. E che cosa ho imparato da tutto questo dolore? Pensavo che non avrei mai provato la stessa cosa per nessun’altra e per nient’altro un’altra volta. Ma adesso lo so... Quando trovi l’amore, quando sai che esiste, allora l’amante che ti manca verrà a te in quelle fredde, fredde notti. Quando sei stato amato, quando sai che ti fa sentire così bene, allora l’amante che hai baciato ti conforterà quando non c’è speranza all’orizzonte./ La tristezza nei miei occhi… Nessuno ha pensato, beh nessuno ha tentato. Mi sorridevi come Gesù a un bambino. Senza amore e freddo, col tuo ultimo respiro hai salvato la mia anima. Mi sorridevi come Gesù a un bambino. E che cosa ho imparato da tutte queste lacrime? Ti ho aspettato per tutti quegli anni, e proprio quand’è cominciato, lei ha portato via il tuo amore. Ma ancora dico… Quando trovi l’amore, quando sai che esiste, allora l’amante che ti manca verrà a te in quelle fredde, fredde notti. Quando sei stato amato, quando sai che ti fa sentire così bene, allora l’amante che hai baciato ti conforterà quando non c’è speranza all’orizzonte. Così, le parole che non sei riuscito a dire, le canterò io perte. E l’amore che avremmo fatto, lo farò io per tutti e due. Per ogni singolo ricordo che è diventato una parte di me… tu sarai sempre…/ il mio amore/ Bene, io sono stato amato. Quindi so per l’appunto cosa sia l’amore e l’amante che ho baciato è sempre al mio fianco./ Oh, l’amante che ancora mi manca... era Gesù per un bambino.

[9] In riferimento a Michaël Denard, bravo ballerino francese nato a Dresda nel 1944.

[10] Trad.: <<E per farti tornare da me devo andare contro tutto ed è ciò che devo affrontare.>>

[11] Presente quei “letti pieghevoli” che i giapponesi tirano fuori dall’armadio e stendono a terra per dormirci? Ecco quelli sono i futon.

[12] Trad.: <Una volta avevo la rosa più preziosa, che non è mai riuscita a fiorire. L’inverno crudele ne ha uccisoli bocciolo e mi ha rubato quel fiore troppo presto. Oh, solitudine. Oh, vana speranza di trovare la fine del tempo. Perché nel mondo non c’è un amore più grande del mio. Amore, oh amore… ancora cade la pioggia. Amore, oh amore… ancora cade la notte. Amore, oh amore… dannato per sempre. Lasciamo essere la sola a tenerti al sicuro dal freddo. Ora il pavimento del paradiso è posto, le stelle brillano come oro. Splendono ber te, splendono per te. Bruciano perché tutti lo vedano… Vieni di nuovo in queste braccia e libera questo spirito.>>

[13] Trad.: <<Io ti amerò più della mia vita se solo vorrai essere mia moglie. Ti amerò giorno e notte, ci proverò ogni giorno.>>