Buon compleanno, Joe

di Laus

 

(n.d.Laus: in questa fanfic non troverete un briciolo d'azione. E' stato un qualcosa che ho scritto per divertimento, principalmente. Spero che sia ugualmente di vostro gradimento ^______________^.)

 

Prologo
Parte I
Parte II
Parte III
Parte IV
Parte V
Epilogo

 

Prologo

 

Joe si svegliò quando il sole era già alto e entrava prepotentemente dalla sua finestra, nonostante le tende chiuse. Dette un’occhiata alla sveglia sul suo comodino. Erano già passate le 9. Si mise a sedere sul letto e si strofinò le mani contro il volto, cercando di svegliarsi del tutto.

Si alzò e si stirò per qualche istante. Si vestì e andò ad aprire la finestra, per far entrare un po’ d’aria. Era una bella giornata. Il cielo era terso e senza nuvole, il sole caldo e tirava una piacevole brezza. Era una classica giornata di metà maggio. Già, un classico 16 maggio. Uno in più. Un anno in più.

Guardò il mare poco lontano e ne sentiva il rumore quando si infrangeva alla base della scogliera. Alcuni gabbiani volarono basso e poi risalirono non appena ebbero afferrato la loro preda. Joe li osservò volare via lontano, sorridendo quasi senza accorgersene.

Dopo qualche minuto in cui restò immobile a guardare l’immensa distesa azzurra davanti a sé, si allontanò dalla finestra, lasciandola aperta e uscendo dalla stanza.

Camminò lungo il corridoio e scese le scale fino al salone al pian terreno. Trvò Albert e Bretagna seduti su un divano. Il primo stava pulendo la sua mano destra. L’altro stava leggendo un giornale. Li salutò e si diresse in cucina.

Trovò Françoise e Jet che stavano parlando seduti al tavolo in mezzo alla stanza. Entrambi lo guardarono quando aprì la porta.

<<Buongiorno.>>, disse Joe.

<<Ben svegliato.>>, disse Françoise sorridendo <<Vuoi un po’ di caffè?>>

<<Volentieri, grazie.>>

<<Era ora che ti svegliassi.>>, disse Jet reggendosi il mento con la mano destra.

Joe si mise a sedere su una sedia libera e gli sorrise: <<Beh, è un periodo di calma piatta. Me ne approfitto finché posso.>>

<<Non hai tutti i torti.>>, commentò Françoise mettendo a preparare il caffè.

Joe prese un biscotto da un cestino in mezzo al tavolo e lo sgranocchiò: <<Di cosa stavate parlando?>>

<<Oh…beh, del più e del meno.>>, rispose Jet giocherellando con un pezzo di carta che teneva fra le mani.

<<Dove sono tutti gli altri? Di là c’erano solo Albert e Bretagna.>>

<<Punma è in laboratorio col dottor Gilmour. Credo che dovessero dare un’occhiata alle armi del Dolphin.>>, disse Françoise <<Chang e Geronimo sono andati a fare provvista in città. La dispensa era vuota.>>

<<Capisco.>>, disse Joe sgranocchiando un altro biscotto.

Punma entrò nella stanza: <<Oh, c’è un po’ di caffè anche per me? Lo riprendo volentieri.>>

<<Certo Punma. Quanto ne vuoi.>>, disse Françoise alzandosi dalla sedia e andando a togliere il caffè che era ormai passato.

Prese due tazze e versò dentro di esse un po’ di liquido nero e fumante e lo porse ai due, mentre anche Punma si era seduto al tavolo.

<<Tutto a posto con il Dolphin?>>, chiese Joe dopo aver bevuto un lungo sorso di caffè.

<<Sì. Era solo una revisione. Dobbiamo approfittare di questi momenti di calma per farle ogni tanto.>>

La porta si aprì e Bretagna entrò, tenendo il giornale ripiegato in mano.

<<Il richiamo della caffeina ha guidato le mie narici fino a qui.>>, disse Bretagna allargando le braccia manco fosse a teatro.

Joe si trovò il giornale a portata di mano e lo prese. Bretagna non disse nulla, ma continuò nella sua sceneggiata, mentre Joe andò a cercare un pagina dentro al giornale.

<<Mademoiselle, potrebbe gentilmente versare del caffè a questo gentiluomo inglese?>>, disse il “gentleman” inglese finendo la sua interpretazione con un inchino.

Françoise si dovette trattenere per non ridere, mettendosi una mano di fronte alla bocca: <<Bretagna, visto che sei già in piedi puoi anche versartelo da solo il caffè.>>

Anche gli altri stavano ridendo. Bretagna si eresse e li guardò con uno sguardo un po’ falsamente irritato: <<Ragazzi, sapete che potrei essere vostro padre. Dovreste portarmi più rispetto.>>

Françoise stava ancora cercando di trattenere il riso: <<Bretagna, al massimo tu potresti essere nostro zio. Il fratello zuzzurellone di nostro padre o nostra madre.>>

<<Va bene. Ho capito.>> disse l’uomo rassegnato e andando a versarsi una tazza di caffè <<Ma uno zio come me lo vorrebbero tutti.>>

Joe tornò a guardare il giornale: <<Françoise, ti va di andare al cinema oggi pomeriggio?>>

Françoise trasalì: <<Proprio oggi?>>

Joe distolse lo sguardo dal giornale e la guardò perplesso. Pensava che sarebbe stata felice di andare: <<Beh, c’è quel film che volevi vedere da tanto tempo…>>

<<Ti ringrazio… ma devo accompagnare Jet in un posto oggi pomeriggio.>>

Joe guardò prima lei e poi lui. Poi di nuovo lei: <<E dov’è che dovreste andare?>>

<<Ehm..>>

<<A guardare quel film.>>, disse Jet <<Anch’io volevo vederlo da tanto tempo.>>

Joe lo guardò non proprio convinto: <<Jet, è un film romantico. Da quando in qua ti piace il genere?>>

<<Ehm,>> intervenne Françoise <<lui mi ha chiesto un favore e io in cambio gli ho chiesto di portarmi a vedere quel film.>>

<<Hai chiesto a lui di portarti a vedere quel film?!>>, le chiese Joe aggrottando la fronte.

<<Visto che dovevamo andare in città ho pensato di cogliere l’occasione.>>

Joe annuì, come a dire che aveva capito. La sua espressione era un misto di sorpresa e delusione: <<Vabbé. Grazie per il caffè. Era ottimo. Io torno di sopra.>>

Detto questo si alzò e lasciò la stanza.

Il gruppo restò un po’ in silenzio, lasciando che quel minimo di tensione che si era creata si volatilizzasse.

Poi Françoise dette un’occhiata all’ora: <<Scusate, mi sono ricordata di avere una cosa da fare.>>

Quando la ragazza fu uscita, i tre uomini rimasti rimasero in silenzio ancora qualche istante, con Punma e Bretagna che sorseggiavano i loro caffè.

<<Jet>> disse Bretagna improvvisamente con un tono solenne <<sei un uomo morto.>>

<<Effettivamente non mi sembra che Joe l’abbia presa molto bene.>>, disse Punma.

<<Infatti spero di arrivare almeno fino a stasera.>>, commentò Jet grattandosi la testa.

 

Parte I

 

Joe rientrò in camera sua e sbatté la porta dietro di sé.

<<Cose da pazzi.>>, disse sdraiandosi sul letto con le mani dietro la nuca.

Dopo qualche istante in cui restò immobile a guardare il soffitto, si alzò improvvisamente. Prese la giacca attaccata a una parete e se la infilò. Come si aspettava, dentro c’erano le chiavi della macchina.

Uscì dalla stanza e si diresse verso le scale.

<<Dove stai andando?>>

Si fermò al quarto gradino e si voltò verso Françoise che lo stava guardando incuriosita dal corridoio.

<<A fare un giro. Non credo che tornerò a pranzo.>> disse Joe facendo un altro paio di gradini. Poi si fermò di nuovo e si rivolse di nuovo a lei: <<Ah, divertitevi tu e Jet.>>

<<Joe!>>

Non si voltò nemmeno. Scese tutte le scale e uscì dalla casa. Si diresse alla sua macchina, mise in moto e scattò a tutta velocità, cominciando a guidare verso la città.

Guidare però non l’aiutava a non pensarci.

“Con Jet… uscirà con Jet”, pensò sbattendo una mano sul volante e agendo piuttosto decisamente sulla leva del cambio “Che diavolo hanno da dirsi due come loro?... Assolutamente niente. Ed esce con lui?! Proprio oggi?! Ma non lo sa che giorno è?!”

Dovette fermare l’auto a un passaggio a livello. Spense la macchina, aspettando che il treno passasse. Mentre era in attesa pensieri simili a quello di prima continuarono a mulinargli per la testa.

Il treno passò e lui rimise in moto mentre i vagoni gli passavano rimise in moto e quando le sbarre si alzarono sgommò e ripartì come un razzo, neanche fosse stato alla partenza di un gran premio.

Era ancora molto fuori dalla città. Per le strade non c’era quasi nessuno, quindi sfogava la rabbia repressa con la guida, sfruttando al massimo possibile il potente motore della sua auto. Ma un certo punto si accorse che qualcosa non andava. La macchina non era più equilibrata, ma pendeva a destra.

<<Fa’ che non sia quello che penso.>> disse alzando gli occhi al cielo.

Accostò in una piazzola e scese dalla macchina. Appena sceso lo vide subito. Gli bastò voltare gli occhi.[1] E purtroppo era proprio quello che pensava: la gomma posteriore destra era molto sgonfia. Aveva forato.

Alzò di nuovo gli occhi al cielo e poi tirò un calcio contro l’altra gomma. Si tolse la giacca e la lanciò sul sedile. Poi aprì il cofano anteriore, dove era riposta la ruota di scorta e gli attrezzi. Fece salire l’auto col cric, smontò la ruota sgonfia e montò quella nuova. Quindi riabbassò la macchina e ripose gli attrezzi e la ruota forata a posto. Chiuse il portellone e istintivamente si pulì le mani alla camicia, accorgendosene troppo tardi.

<<No, maledizione!>>

Di solito quando lavorava attorno a una macchina aveva sempre una di quelle magliette vecchie e consunte. Per cui non gliene fregava niente di sporcarle. Ma quella che aveva addosso adesso era una camicia, e, per giunta, anche piuttosto buona.

Riaprì il portello e smise di pulirsi alla meglio le mani con un panno. Poi risalì in macchina e rimise in moto. Si riavviò lungo la strada pensando che non aveva nessunissima voglia di tornare a casa a cambiarsi. Ma non poteva nemmeno andare in giro con la camicia in quelle condizioni.

“Dovrebbe esserci un centro commerciale da queste parti.”, pensò “Ne comprerò un’altra.

In pochi minuti arrivò al centro commerciale. Era piuttosto grande, costruito su due piani. All’interno c’erano parecchi negozi, tra cui parecchi negozi di abbigliamento e boutique.

Parcheggiò la macchina e si avviò verso una delle entrate, chiudendosi bene la giacca davanti, in modo da nascondere le macchie nere sulla camicia il più possibile. Entrò dentro il centro e si guardò intorno. C’era parecchia gente in giro. D’altronde era sabato pomeriggio. Molte erano famiglie di padre, madre e figlio. Tante altre erano coppie venute a fare shopping. Joe si mise a fare un giro, guardando le vetrine dei negozi di abbigliamento maschile. C’era una marca italiana in particolare che gli piaceva e sperava di trovarne il negozio.

Gli ci volle un po’, però alla fine vide l’insegna e fu quasi un sollievo. Dette un’occhiata alla vetrina, poi entrò.

Una commessa gli si avvicinò subito: <<Posso esserle utile, signore?>>

Joe si voltò verso di lei e le sorrise: <<Vorrei vedere quel modello di camicia che ho visto in vetrina. Quella di colore blu scuro…>>

<<Lei ha buon gusto, signore. Che taglia ha?>>

Joe le rispose, sperando che ne avesse della sua taglia. Purtroppo rispetto alla media giapponese era molto più alto e aveva spalle e torace più larghi. Era un’altra delle eredità che doveva avergli lasciato suo padre. Quindi faceva un po’ fatica a trovare l’abbigliamento adatto a lui.

La commessa fu da lui dopo pochi minuti: <<E’ fortunato, signore. Ce ne è rimasta solo una della sua misura. Se vuole provarla, le cabine di prova sono da quella parte.>>

<<Grazie.>>, disse Joe sorridendole e prendendo la scatola con la camicia dalle sue mani.

Si chiuse in un camerino e si tolse la cravatta e la camicia che portava addosso. Si infilò quella nuova e… che dire… era perfetta. Sembrava disegnata addosso a lui.

Tolse la marchetta e si rimise la cravatta addosso alla camicia nuova e uscì dal camerino.

<<La prendo e la indosso subito.>> disse alla commessa porgendole la scatola.

<<Ottima scelta, signore. Devo dire che le sta a pennello.>>, disse lei prendendo la scatola e dirigendosi alla cassa.

Joe si infilò anche la giacca e la seguì, tenendo in mano la camicia che aveva portato fino a poco fa. La commessa gli porse lo scontrino.

Joe prese il portafoglio e pagò.

<<Grazie, signore.>>, disse la commessa sorridendogli e porgendogli una sporta con la scatola vuota dentro.

Joe la prese e vi buttò dentro la camicia sporca. Quindi salutò con un cenno del capo e uscì dal negozio. Guardò l’orologio. Era mezzogiorno passato e aveva un po’ fame. Nel centro commerciale c’erano parecchi buoni ristoranti. Portò la camicia in macchina e poi tornò dentro, entrando in uno di questi.

 

Parte II

 

Finito di mangiare, restò un po’ seduto al tavolo a guardare la gente che passava nel corridoio e bevendo un caffè. A un certo punto vide…

“Cosa ci fanno quei due qui?”

Jet e Françoise si stavano incamminando lungo il corridoio, parlottando tra di loro. Sembrava si divertissero.

Si voltò dall’altra parte quando passarono davanti alla vetrina del ristorante e poi tornò a guardarli. Non si erano accorti di niente.

Chiamò il cameriere con un cenno chiedendogli il conto. Pagò e uscì, cominciando a inseguirli da lontano. Françoise non sembrò essersi accorta di lui nemmeno dopo che li ebbe seguiti a lungo. Doveva essere veramente molto assorta.

A un certo punto Françoise indicò un negozio da una parte e Jet la seguì. Si avvicinò anche Joe, facendo in modo di non farsi notare. Era lo stesso negozio nel quale aveva comprato la camicia poco prima. Françoise stava parlando con una commessa, la stessa che aveva servito lui. Quest’ultima scosse la testa e allargò le braccia a un certo punto.

Françoise a quel punto annuì con un’espressione un po’ sconsolata e poi salutò la commessa con un sorriso. Uscirono dal negozio e Joe si nascose nuovamente. Li vide scambiarsi alcune parole. Lei sembrava piuttosto giù. Jet dopo un po’ le sorrise e le mise una mano su una spalla, sorridendole e dicendole qualcosa.

Françoise a quel punto annuì, ma Joe quasi non se ne accorse perché vedeva solo la mano di Jet sulla sua spalla. Tuttavia ricominciarono a camminare e Jet si rimise tutte e due le mani in tasca. Joe provò un senso di sollievo e ricominciò a seguirli.

Cominciarono a entrare in alcuni negozi uno per volta. In alcuni rimanevano un po’ di più, in altri meno. Joe continuava a seguirli tenendosi piuttosto lontano. Quando entrarono nell’ennesimo negozio Joe rimase defilato in un angolo aspettando che uscissero.

A un certo punto, mentre aspettava, Joe fu attirato da una bambina che stava giocando seduta su una panchina in mezzo al corridoio. Aveva una bambola in mano e le stava accarezzando i capelli. Improvvisamente si sentirono dei rumori strani provenienti dal soffitto. Joe guardò in alto.

<<Mio Dio!>>

Il tempo solo di pensarlo, e un grosso lampadario si staccò dal soffitto e stava per cadere proprio sulla testa della bambina. Joe non ci pensò due volte e azionò l’acceleratore, portando in salvo la bambina prima che il lampadario le cadesse in testa.

<<Stai bene piccola?>>, le chiese.

La bambina lo guardò con i suoi occhi innocenti, colmi di paura: <<Sì… sì, signore.>>

<<Kyoko… Kyoko.>>

<<Mamma!>>

La piccola si diresse verso la madre che l’aveva chiamata e che la abbracciò.

<<Grazie al cielo sei viva.>>

Joe le guardò sorridente. Per quanto riguardava gli altri, nessuno sembrava averlo notato. Poi, improvvisamente si ricordò dei due…

<<Accidenti!>>

Corse verso il negozio, ma i due non c’erano più. Si guardò intorno ma non li vide. Li aveva persi.

Guardò l’orologio. Le 3. Forse erano già partiti per andare al cinema.

Uscì camminando in fretta e poi si diresse verso la macchina. Quando fu nelle vicinanze rallentò il passo, guardando la persona che lo stava aspettando appoggiata all’auto.

<<Ciao, che coincidenza.>>, gli disse Françoise quando fu a portata di voce.

<<Non è come pensi…>>

<<E cos’è che penso?>>, gli chiese inclinando la testa su un lato, con un’espressione sul viso niente affatto conciliante.

<<Non vi ho seguito… Cioè, ero anch’io in questo centro commerciale e vi ho visti passare e…>>

<<E ci hai seguito.>>, concluse lei <<Joe, io non sono forte come te, ma sicuramente ci vedo e ci sento meglio.>>

<<Ti eri già accorta…>>

<<Non avevo capito che eri tu, ma avevo l’impressione che qualcuno ci stesse seguendo. Pensavo chissà chi, e invece quando ho visto te dopo che hai salvato quella bambina mi sono sentita sollevata.>>

Lui non rispose, per non peggiorare la situazione.

<<E’ sempre valido l’invito per il cinema?>> disse lei dopo un lungo silenzio che stava iniziando a diventare imbarazzante.

<<E Jet?>>, chiese lui perplesso.

<<Ha detto che visto che c’eri tu, tanto valeva che mi facessi accompagnare da te.>>, rispose lei con un tono ironico.

Lui sembrò pensarci un po’, poi sorrise e annuì: <<Va bene.>>

Si diresse verso la portiera della macchina e aprì.

Françoise montò su: <<Guarda che questo non vuol dire che ti abbia perdonato per averci seguito.>>

Joe strinse le labbra in una specie di sorriso e mise in moto: <<Ricevuto forte e chiaro.>>

 

Parte III

 

Lo spettacolo cominciava alle 5 e mezzo.

<<Dobbiamo aspettare un bel po’.>> disse Joe distogliendo gli occhi dalla locandina con gli orari.

Françoise era in piedi accanto a lui: <<Potremmo andare a prendere qualcosa.>>

<<Ottima idea.>>

Cominciarono a camminare lungo la strada. Era sabato pomeriggio e in giro c’erano parecchie persone. Soprattutto coppie di fidanzati.

Joe guardò Françoise che gli camminava accanto e si chiese se l’avesse notato anche lei.

<<Che cosa ti andrebbe di prendere?>>, le chiese dopo un po’ che camminavano.

<<Fa un po’ caldo. Mi andrebbe qualcosa di fresco…>>, disse lei.

<<Un gelato?>> suggerì Joe guardandola con la coda dell’occhio.

<<Va bene anche qualcosa di più leggero. Non posso permettermi di mettere su peso.>>

Lui alzò le ciglia perplesso: <<Stai scherzando?>>

<<No, ero seria.>> disse lei aggrottando la fronte <<Sai benissimo che faccio un lavoro per cui non posso trascurare certi aspetti. Non è certo vanità.>>

Era vestita con un abito di un azzurro chiaro che le donava molto e ne metteva in mostra il corpo snello e slanciato. Joe la squadrò un attimo.

<<Sei in forma perfetta. Puoi permetterti qualche peccatuccio di gola. E poi…>>

Joe esitò un istante, smettendo di camminare.

<<E poi cosa?>>, chiese Françoise fermandosi anche lei.

<<Beh, qualche etto in più non ti starebbe male.>>

Françoise arrossì violentemente, e poi sorrise: <<Sì, e poi ci vorrà Geronimo per alzarmi da terra mentre ballo.>>

<<Geronimo a fare Albrecht[2]… non me lo vorrei perdere per niente al mondo.>>, disse Joe scoppiando a ridere.

Françoise scosse la testa, sorridendo senza aprire le labbra. Joe smise di ridere gradatamente tornò a guardarla quasi studiandola.

<<Joe, potresti smetterla di guardarmi così.>>, gli disse lei arrossendo nuovamente <<Mi stai mettendo in imbarazzo.>>

Joe sembrò ignorarla e si avvicinò a lei di scatto e con fare deciso.

<<Scusa un attimo.>>, le disse mentre le prendeva i fianchi con le mani.

<<Che cosa… Ah, Joe. Mettimi giù!>>

Joe la sollevò da terra e la tenne alzata per qualche secondo. Quindi la ripose delicatamente a terra. <<Ti è dato di volta il cervello?!>>, gli disse quando ebbe rimesso i piedi per terra.

<<Sei leggera come una piuma. Ti alzerebbe anche un bambino.>>, le disse sorridendole.

<<Ehm… potresti togliermi le mani dai fianchi, però…>>, gli disse imbarazzata.

<<Oh…>> disse lui ancora più imbarazzato di lei e ritirando le mani.

Solo allora si accorse che la gente li stava guardando incuriosita.

<<Abbiamo dato spettacolo.>>, commentò lei a bassa voce guardandosi intorno.

<<Tanto sembriamo stranieri e non ci daranno tanto peso[3].>>, disse Joe quasi a rassicurarla.

<<Joe, tu non sei straniero.>>, gli fece notare lei mentre ricominciavano a camminare.

<<Per metà sì.>>, rispose Joe rattristandosi un po’ <<E credo che si veda pure, no? Al limite avranno pensato che sono un ragazzo nato in occidente con un genitore giapponese e cresciuto lontano da qui… che magari è venuto in Giappone in vacanza con la sua ragazza. Tutto qui.>>

Joe la guardò per vedere la sua reazione, ma Françoise si limitò a continuare a camminare in silenzio con lo sguardo basso.

<<Fermiamoci lì.> disse Joe indicando un locale.

Françoise annuì e andarono a sedersi a un tavolo posto fuori dal locale. Un cameriere venne subito da loro, porgendo loro due menù.

<<Che cosa vi porto signori?>>

Françoise dette un’occhiata al menù e poi lo richiuse subito: <<Una coppa “Esotica”, grazie.>>

Joe la guardò con senza muovere la testa: <<A me un affogato al caffè.>>

Il cameriere annotò le ordinazioni e riprese i menù.

Quando se ne fu andato, Joe si rivolse a Françoise: <<E tutti quei discorsi sulla linea, il peso…>>

<<Colpa tua… mi hai fatto venire voglia.>>, gli rispose facendogli anche una breve linguaccia.

Joe sorrise, e poi ritornò serio: <<Scusami per prima, non volevo metterti in imbarazzo.>> le disse dopo qualche istante <<Sono stato uno sciocco. Però tu stai cominciando ad abituarti troppo a questo Paese.>>

<<In Europa gira un detto che più o meno dice che quando sei a Roma devi comportarti come i romani[4].>> disse lei tamburellando le dita sul tavolino <<Se fossimo stati a Parigi non mi sarei sentita così in imbarazzo. Ma non è stato quello…>>

<<Cosa intendi dire?>>, chiese lui perplesso.

Lei sospirò esitando e lo guardò per qualche secondo: <<Pensi che riuscirai mai ad accettare le tue origini?>>

Joe non cambiò espressione, quasi si fosse aspettato la domanda. La guardò per qualche secondo in silenzio. Poi sorrise: <<Mi piacerebbe, anzi… lo vorrei. Ma… non è facile quando sai che tuo padre è fuggito dall’altra parte dell’oceano e che non si è più fatto vivo; quando fin da piccolo sei sempre stato messo da parte perché sei per metà americano…>>

Joe voltò la testa verso una famigliola, padre, madre e figlio, che stavano seduti a un tavolo accanto al loro. Il bambino si era sporcato la bocca con il gelato e la madre gliela stava pulendo con un sorriso dolcissimo sulle labbra, mentre il padre gli accarezzava la testa.

<<Vedi, Françoise,>> disse volgendosi verso di lei, ma senza guardarla negli occhi <<gli Americani hanno fatto la guerra con il Giappone. Ci hanno buttato due bombe sopra che hanno spazzato via due città nel giro di pochi secondi. I bambini che vivevano nel mio orfanotrofio erano quasi tutti orfani di guerra convinti che gli Americani fossero la causa di tutti i loro problemi. E’ logico che odiassero quella metà di me che faceva parte del “nemico”. Col tempo l’hanno fatta odiare anche a me…>>

<<Joe…>>

<<Però poi ho incontrato voi e ho capito che era sciocco odiare qualcuno solo perché appartiene a un altro popolo.>> disse guardandola finalmente in volto <<E’ per questo che odio la guerra: divide i popoli per motivi stupidi e per la sete di potere. Chi ci rimette sono sempre la gente comune e i buoni sentimenti. In fondo siamo tutti esseri um…>> esitò <<in fondo tutti i popoli appartengono alla stessa razza: quella umana.>>

Françoise gli sorrise: <<Sono parole molto belle quelle che dici… ma allora perché continui ad intristirti quando ti ricordi di…>>

<<… essere per metà americano?>> completò Joe per lei <<Forse perché mi sarebbe piaciuto conoscere meglio questa mia metà. Se potessi, forse l’accetterei come qualcosa che effettivamente mi appartiene. E non come un’entità estranea…>>

Il cameriere arrivò con le loro coppe e le pose sul tavolo. Quindi se ne andò di nuovo.

<<Non avrei dovuto introdurre l’argomento.>> disse Françoise assaggiando il suo gelato <<Scusami… so solo renderti malinconico.>>

<<Questo non è vero.>>, disse lui sorridendo <<Non hai niente di cui scusarti. Se fossi stata un’altra persona mi sarei rifiutato di parlarne.>>

<<Che cosa… cosa vuoi dire?>>, gli chiese un po’ colta di sorpresa.

Joe sorrise come se avesse detto la cosa più ovvia del mondo: <<Beh, che sei l’unica persona con cui riesca ad aprirmi un po’.>>

Lei abbassò lo sguardo imbarazzata: “E pensare che io vorrei che ti aprissi un po’ di più.”  

 

Parte IV

 

Il film finì verso le 7 e mezzo. Tornarono alla macchina e si diressero verso casa.

<<Ti ringrazio di avermi portato a vederlo. Per te sarà stata una noia mortale.>>, disse Françoise mentre erano in viaggio.

<<No, non è vero. Mi è piaciuto.>>, rispose Joe continuando a guardare la strada <<E poi mi ha fatto piacere accompagnarti. Io sono un tipo romantico, lo sai, no?>>

<<Perché vuoi far piovere? E’ una giornata così bella…>>

<<Che accidenti vuoi dire?>>

<<Tu un tipo romantico?>>

Joe la guardò un secondo con la coda dell’occhio. Lo stava fissando, sorridendo.

<<Pensavo tu mi conoscessi bene.>>, le disse scuotendo la testa.

<<Appunto per questo…>>

<<Sentiamo, mademoiselle.>> disse lui <<qual è il tuo concetto di romanticismo?>>

<<Tsk tsk… ti piacerebbe saperlo, eh?>>

<<Ok, rinuncio. Tanto siamo arrivati…>>

Joe parcheggiò la macchina nel garage. Entrambi scesero dalla macchina ed entrarono in casa. Sembrava deserta.

<<Dove sono finiti tutti?>>, chiese Joe come se Françoise potesse saperlo.

<<Non lo so.>> rispose lei <<Ho un po’ di fame. Andiamo in cucina?>>

Joe alzò le spalle e si diresse verso la cucina seguito da lei. Aprì la porta e…

<<BUON COMPLEANNO!>>

La luce si era accesa improvvisamente. Tutti gli altri erano in piedi intorno al tavolo, imbandito a festa, con un’enorme torta al centro con una le candeline sopra.

Joe li guardò esterrefatto per qualche secondo: <<Io non so cosa… dire. E’ veramente una sorpresa questa.>>

<<Avevi paura che ci fossimo dimenticati, eh?>>, gli disse Françoise che era rimasta dietro di lui e lo stava guardando sorridendo.

<<A dire il vero… sì.>> ammise lui abbracciandola istintivamente e dandole un bacio sulla guancia.

Françoise non se l’aspettava assolutamente, ma dopo qualche secondo di incertezza ricambiò.

<<Ehi, guarda che abbiamo preparato la sorpresa anche noi.>> si fece sentire Jet dopo un po’ <<E io ho rischiato pure di prendermi qualche pugno da te!>>

<<Cosa sei? Geloso?>> gli chiese Albert <<Non ti sarai mica montato la testa perché Françoise è uscita con te un pomeriggio… che, tra parentesi, ti ha pure scaricato. Oppure vorresti un abbraccio di Joe anche tu? Non sapevo avessi certe tendenze.>>

<<Che cavolo farnetichi?!>>, gli urlò Jet con gli occhi sgranati.

Si misero tutti a ridere di gusto.

<<Ehi, perché non vieni a spegnere queste candeline prima che la cera diventi tutt’uno con la torta? Françoise ci ha messo tanto amore nel farla. Sarebbe un peccato…>> disse Chang a Joe.

<<Chang!>> esclamò lei rossa in volto  <<Io ti…>>

<<L’hai fatta veramente tu?>>, le chiese Joe guardandola sorpreso.

<<Eh… sì.>>, ammise lui abbassando lo sguardo.

<<Beh… ora sì che non vedo l’ora di mangiarla>> disse Joe avvicinandosi al tavolo <<Accidenti quante sono…>>, disse contando mentalmente le candeline.

<<Come? Ma se non sono neanche la metà dei miei anni!>>

<<Infatti, sto diventando vecchio.>>, disse Joe preparandosi a soffiare.

<<In poche parole sta dando di vecchiardo a mezza squadra, compreso te Albert.>>, disse Jet, cogliendo la palla al balzo per prendersi una piccola vendetta.

<<Rispetto a un bambino come te anche Ivan sembra un anziano.>>, rispose Albert senza fare una piega.

Si misero di nuovo tutti a ridere.

<<Forza Joe, spegni quelle candele prima che si debba aggiungerne un’altra.>> disse Gilmour rivolgendosi al ragazzo.

<<Beh, prima dovrei esprimere un desiderio, no?>>

<<Di solito usa così.>>, disse Jet mostrando segni di impazienza.

<<Ehm, va bene.>> Joe si guardò intorno <<Ivan sta dormendo?>>

<<Non penserai che sia così meschino da leggerti nel pensiero?>>, disse Ivan alzandosi in volo con la sua culla.

<<Perché, adesso cos’hai fatto?>>

<<Deduzione. Solo deduzione.>>, lo rassicurò Ivan.

<<Mi fiderò.>>

Joe chiuse gli occhi, rivolto alle candeline accese per qualche secondo. Espresse il suo desiderio e poi soffiò forte sulle fiammelle facendole spegnere in un colpo.

Il gruppo intonò la classica canzoncina di auguri, mentre Jet stappava una bottiglia di champagne versandolo poi nei bicchieri. Quando tutti ebbero il calice pieno, fecero un bel brindisi e cominciarono a gustare la torta che Chang aveva già tagliato.

Poi Albert tirò fuori un grosso pacco da una qualche parte e lo porse a Joe: <<Da parte di tutti noi. Spero che sia di tuo gradimento.>>

Joe posò il bicchiere e prese il pacco. Lo studiò un po’ e cominciò a scartarlo: <<Non ci posso credere… Quest’edizione di  Tetsuwan Atom[5] è introvabile. Accidenti, non potevate farmi regalo migliore.>>, disse rigirandosi i tankobon[6] tra le mani uno per uno e sfogliandoli delicatamente <<Grazie. Sono quasi commosso.>>

<<A dire il vero è stata Françoise a scegliere il regalo.>>, disse Albert sorridendo.

<<Ma c’è qualcosa che avete fatto voi in questa festa?>>, chiese Joe riponendo delicatamente i tankobon uno sopra l’altro e reincartandoli.

<<Beh, abbiamo preparato la festa.>> disse Jet <<Ti sembra poco?>>

<<Seguendo le direttive di Françoise.>>, sussurrò Joe richiudendo il pacchetto.

<<E tu come fai a saperlo?>>, intervenne Bretagna.

Joe lo guardò con la coda dell’occhio: <<Leggere manga sviluppa il senso dell’immaginazione.>>

Joe prese tutto il malloppo e andò a posarlo in camera sua. Poi tornò di sotto. Qualcuno aveva acceso la musica e tutti si erano messi a far baldoria e a scatenarsi in mezzo alla sala. Solo Françoise era appartata sul balcone. Gilmour doveva essere andato a mettere a letto Ivan.

Joe prese una bottiglia e due bicchieri e raggiunse la ragazza.

<<Joe.>>

Lui le porse un bicchiere e poi ne riempì uno per sé, riponendo la bottiglia per terra.

<<A cosa brindiamo?>>, gli chiese lei incuriosita e sorridente.

<<Vediamo… tu cosa proponi?>>, chiese lui inclinando la testa.

Françoise guardò un po’ il calice, pensierosa.

<<A te.>>, disse Joe.

<<A me?>> disse lei alzando gli occhi perplessa.

<<Devo ringraziare in gran parte te per questa sorpresa, no?>>

<<Potrei fare la modesta, ma direi che effettivamente ci ho messo molto del mio.>>, disse lei sorridendo.

<<Allora?>>, disse Joe alzando il bicchiere.

<<In fondo è il tuo compleanno. Facciamo a te e a me.>>, disse lei alzando il bicchiere e andando a farlo tintinnare con quello di Joe.

<<A te e a me.>>

 

Parte V

 

La festa era finita e Joe era stanco morto. Era salito in camera sua e si era sdraiato sul letto, già svestito e con i soli pantaloni del pigiama addosso, con la sola luce del comodino accesa.

Qualcuno bussò alla porta.

<<Avanti.>>, disse Joe mettendosi a sedere sul bordo.

La porta si aprì e Françoise entrò nella stanza. Joe sorrise vedendola.

<<Spero che non ti abbia visto nessuno entrare qui dentro a quest’ora, o domani non avremo pace.>>, disse lui scherzando.

<<Non fare il buffone!>>, disse lei arrossendo.

Restò per qualche attimo in silenzio, fissandolo. Joe non capiva molto bene il motivo di quel silenzio. Poi si ricordò di essere praticamente mezzo nudo, avendo il busto scoperto. Tuttavia gli sembrava stupido coprirsi. In fondo non era una donna e non aveva niente da nascondere in quella zona. Decise di parlare lui, incrociando le braccia sul petto.

<<Volevi dirmi qualcosa?>>

<<Sono solo venuta a darti il mio regalo.>>, disse lei

Joe la guardò sorpreso: <<Ma non mi hai regalato quella collezione di Tezuka insieme agli altri? Era già abbastanza. Vado matto per quell’autore.>>

<<Sì, ma ho voluto fartene uno personalmente.>>, gli disse avvicinandosi a lui e porgendogli un pacchetto.

Joe si alzò e per prendere il pacchetto dalle sue mani. Le loro dita si sfiorarono e le loro mani si ritrassero insieme, tanto che il pacchetto cominciò a cadere, ma Joe lo prese al volo.

Si guardarono per un istante imbarazzati, poi Joe distolse lo sguardo per studiare il pacchetto che aveva fra le mani. Era rettangolare e lungo.

<<Che cos’è?>>, chiese incuriosito.

<<I pacchetti sono fatti per essere aperti.>> rispose lei sorridendo <<Spero che ti piaccia. Avevo intenzione di regalarti quella camicia che avevi addosso oggi, ma mi hai preceduto. Quantomeno sono contenta di vedere che ci avrei indovinato.>>

Joe la guardò sorpreso: <<Veramente? Beh… mi dispiace.>>

Poi si fermò un momento e aggrottò la fronte: <<E’ per questo che avevi chiesto a Jet di accompagnarti? Per fargliela provare?>>

<<Beh, tu e lui siete fatti in modo simile. Volevo essere sicura che ti stesse bene.>>

Joe scosse la testa e sorrise: <<Mi sento un cretino. E io che ero geloso fino al midollo.>>

Lei non commentò , limitandosi ad abbassare lo sguardo.

Aprì il pacchetto e ne tirò fuori un astuccio nero, molto elegante. La sua curiosità aumentò. Lo aprì delicatamente: <<E’ bellissimo. Ma è un Rolex. Ti sarà costato una cifra…>>

<<Guarda, che guadagno bene facendo la ballerina.>>, disse lei <<E poi non l’ho comprato.>>

Joe la guardò perplesso, con la domanda stampata in faccia.

<<Era di mio padre.>>, disse Françoise avvicinandosi alla finestra aperta.

<<Cosa?... Io non posso accettare…>>

Françoise lo guardò e scosse la testa: <<Mi fa piacere che lo tenga tu, veramente. Mio padre avrebbe voluto che fosse stato usato. Io non lo posso indossare. E’ un orologio da uomo. Addosso a te starà benissimo e sono convinta che anche lui sarebbe felice. Tu gli saresti piaciuto.>>

Joe si avvicinò a lei, alla finestra, e guardò l’orologio alla luce della luna. Era d’acciaio, con il quadrante orlato d’oro, tenuto veramente bene. Lo tolse dall’astuccio e lo rigirò tra le mani, guardando il retro del quadrante. C’era una piccola incisione in francese dietro.

<<C’è scritto: “Sempre con te”.>> lo precedette Françoise <<“F.” non sono io. Sta per Floriane. Era mia madre.>>

<<Veramente… Io non posso… non me la sento di accettare un oggetto tanto importante.>>, disse lui guardandola in volto.

<<E, veramente, io ci tengo che tu lo accetti.>>, gli disse sorridendo appena.

Joe sospirò guardandola, e poi tornò a sedere sul letto. Guardò nuovamente l’orologio che teneva in mano e posò l’astuccio sul comodino: <<Va bene. Così adesso penserò a te anche quando controllerò l’ora.>>, disse indossandolo.

Sembrava fatto su misura per lui e il suo polso. Si sdraiò guardando l’orologio tenendo il polso alto sulla sua testa.

<<Grazie, è un regalo bellissimo…>> disse mettendosi a sedere a cavalcioni del letto e voltandosi verso di lei <<Ma cosa c’è?>>

Lei lo stava guardando un po’ imbarazzata. Joe ripensò a quello che aveva detto mentre indossava l’orologio. Aveva pensato a voce alta e non se ne era nemmeno reso conto.

<<Beh,>> disse lui abbassando gli occhi <<non avrei voluto dirlo, ma era la verità… Io…>>

<<Joe, non voglio illudermi ancora. Il risveglio dal sogno diventa più brusco ogni volta in più.>>, gli disse fermandolo, guardando fuori dalla finestra.

Joe abbassò lo sguardo, chiudendo le labbra. Poi rialzò gli occhi verso di lei e cercò di far uscire a forza le parole dalla gola: <<Io non ho mai voluto illuderti… la mia era solo paura.>>

Lei lo guardò appena, e poi ritornò a guardare fuori, senza dire una parola.

Joe rimase a guardarla per qualche secondo, ammirando il profilo delicato del suo volto illuminato dalla luce lunare.

<<Quando ho saputo che oggi saresti uscita insieme a Jet, proprio oggi poi… e quando vi ho visti insieme… Françoise, ero geloso marcio. E’ per quello che vi ho seguiti. L’ho fatto quasi istintivamente…>>

<<Joe, io e Jet non saremo mai niente di più che buoni amici. Anche se volesse, lui sa…>>

<<Sì, ma io non sopporto l’idea di vederti insieme a un altro.>> la interruppe lui <<Mi fa impazz…>>

<<Non avevo finito.>>, disse lei interrompendolo a sua volta.

Joe abbassò lo sguardo, quasi come un bambino a cui si fosse stato fatto notare di essere stato maleducato: <<Scusa…>>

Françoise sorrise appena: <<Stavo dicendo che lui… lui sa benissimo che sono innamorata di te. La gelosia non è necessaria. La chiave di quella parte del mio cuore ce l’hai solo tu.>>

Joe rialzò lo sguardo verso di lei. Non si sentiva sorpreso per quelle parole. In fondo lo aveva sempre saputo. Le sue labbra disegnarono una sottile curva. Il suo sguardo si abbassò di nuovo per qualche secondo. Si alzò dal letto e si avvicinò a lei: <<Le persone a cui volevo bene mi hanno sempre abbandonato, in un modo o nell’altro. Avevo paura che dicendoti quelle parole avrei corso di nuovo questo rischio…>>

<<Quali parole?>>

Joe sorrise: <<Vuoi che te le dica in francese, inglese o giapponese?>>

Lei scosse la testa quasi rassegnata: <<Sei un caso irrecuperabile…>>

<<Ti amo.>>

Lei lo guardò con un’espressione indecifrabile. Un misto di sorpresa, incredulità, emozione.

Si allontanò da lui a piccoli passi, cominciando a camminare per la stanza, sotto lo sguardo interdetto di Joe che non riusciva a leggerne la reazione.

<<Françoise…>>

<<Dimmi: domattina mi sveglierò nel mio letto dopo aver fatto l’ennesimo bel sogno durato troppo poco?>>

Joe respirò profondamente. Si avvicinò a lei, guardandola fisso negli occhi. Fu questione di pochi secondi. Le cinse la vita con le braccia, in un abbraccio forte, ma delicato, e poi unì le sue labbra a quelle di lei. Françoise rimase con le braccia inerti per qualche secondo, ma poi le alzò, cingendogli il torace a muovendole su, fino a mettergliele intorno al collo. Fu un bacio lungo e intenso, quasi a riprendere tutto il tempo perduto.

Dopo un bel po’, Joe separò gradualmente le labbra da quelle di lei, restando con la fronte attaccata alla sua e sentendo il suo respiro ora un po’ affannoso sul suo volto.

<<Resta.>> disse guardandola negli occhi <<Resta qui con me… domattina vorrei che non ti svegliassi nel tuo letto.>>

Lei restò in silenzio, abbassando lo sguardo un istante.

“Forse ho esagerato.”, pensò Joe.

<<Scusa,>> le disse <<mi sono lasciato trasportare…>>

<<Resto.>>

Lei aveva rialzato la testa e adesso lo stava di nuovo guardando negli occhi. Joe poteva leggerci dentro tutto l’amore che Françoise provava per lui.

Le loro labbra si cercarono di nuovo ed entrambi cominciarono a muoversi verso il letto e a spogliarsi.

Quando si furono sdraiati lei staccò un attimo le labbra da quelle di Joe. Lui si fermò completamente, guardandola interdetto: <<Qualcosa non va? Sto andando troppo in fretta?>>

Lei scosse la testa, accarezzandogli la guancia e poi baciandolo brevemente un’altra volta: <<Vorrei solo che spegnessi la luce.>>

Joe la guardò un po’ perplesso. Avrebbe preferito di no, ma non importava. Le sorrise e si allungò a spegnere l’abat-jour.

 

Epilogo

 

La mattina dopo Joe si svegliò verso le 8. Si guardò intorno. Era solo nella sua stanza.

“E’ già andata via?”

Si stirò e solo allora si accorse di essere ancora vestito. Si guardò addosso. Era proprio vestito come quando… Poi si guardò il polso: l’orologio era ancora lì al suo posto. Gliel’aveva regalato veramente.

<<Ma…>>

Si alzò di scatto, si vestì in fretta e furia e uscì dalla sua stanza, dirigendosi di corsa al pianterreno.

Trovò Françoise in cucina, mentre beveva il suo caffè.

Lei lo guardò un po’ perplessa: <<Buongiorno.>>

<<Ah… buongiorno.>> gli disse un po’ trafelato <<Ieri sera… tu sei stata in camera mia, vero?>>

<<Sì, non ti ricordi? Ti ho regalato l’orologio che stai portando al polso.>>, rispose lei sorseggiando il caffè e guardandolo sempre più perplessa <<Vuoi un po’ di caffè?>>

<<Ehm, sì, grazie.>> disse mettendosi a sedere.

Françoise si alzò e versò del caffè in una tazza aggiungendovi un goccio di latte. Quindi la porse a Joe.

<<Qualcosa non va?>>, gli chiese Françoise preoccupata.

<<Dopo che mi sono messo l’orologio che cosa ho fatto?>>, le chiese piuttosto ansioso.

Lei aggrottò la fronte: <<Beh, eri sdraiato sul letto. Io mi sono messa a guardare fuori dalla finestra perché…beh, non mi ricordo… comunque quando mi sono voltata ti eri addormentato.>>

Joe posò la tazza di caffè sul tavolo: <<Ma la luce era accesa?>>

<<Sì.>> disse lei annuendo anche con la testa.

<<Ma io non mi addormento mai con la luce accesa.>>, disse Joe aggrottando la fronte.

<<Beh, dovevi essere molto stanco… capita.>>

Joe si grattò la testa, facendo una smorfia con la bocca: <<E chi ha spento la luce?>>

<<Io.>>, disse lei scrollando le spalle.

Joe posò la tazza sul tavolo un po’ troppo pesantemente, tanto che un po’ di caffè schizzò fuori. Guardava in un punto imprecisato di fronte a sé.

<<Tutto a posto?>>, gli chiese Françoise interdetta.

<<E’ stato tutto un sogno…>>, disse lui.

Lei non capì se le aveva risposto o se stava farneticando. Scrollò le spalle e sorrise.

<<Cosa c’è da sorridere?>>, chiese lui con un’espressione un po’ delusa.

<<Niente.>>, disse lei scuotendo la testa.

Françoise pensò alla notte prima. Si era voltata e l’aveva trovato addormentato. Sembrava un bambino. Aveva preso una coperta piegata su una sedia e si era avvicinata al letto. Gliel’aveva posata addosso e poi aveva spento la luce.

Mentre dormiva era ancora più attraente. Era restata ferma e immobile a guardarlo per parecchi minuti. Poi gli aveva dato un leggero e veloce bacio sulle labbra, facendo attenzione a non svegliarlo.

Si era allontanata dal letto cercando di fare meno rumore possibile. Aperta la porta, si era fermata sulla soglia per guardarlo ancora una volta: <<Buonanotte.>> aveva sussurrato <<E buon compleanno, Joe.>>

 

F I N E

 

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[1] Vi ricordo che in Giappone il lato guida è sul lato opposto rispetto all’Italia. La guida è a destra, esattamente come in Gran Bretagna.

[2] Albrecht è un personaggio del balletto “Giselle”. E’ l’uomo di cui si innamora la protagonista.

[3] Secondo la cultura giapponese, non è, come dire, “buona educazione” o comunque non è visto molto bene lo scambiarsi effusioni in pubblico. I giapponesi hanno una concezione dell’intimità, soprattutto quella di coppia, molto particolare e privata. Non so se le cose si siano avvicinate a noi in questo senso negli ultimi anni (leggendo i manga più recenti non mi sembra), tuttavia ciò era sicuramente molto sentito all’epoca in cui si dovrebbe svolgere la storia (anni ’60-’70).

[4] Presente il nostro: <<Paese che vai usanza che trovi?>>. In inglese si dice: <<When you’re in Rome, do as the Romans do (Quando sei a Roma, comportati come i romani)>>. Sinceramente non so come si dica in francese ^^. Ma il significato è lo stesso.

[5] Tetsuwan Atom (“Atom dal braccio di ferro”) è un manga di Osamu Tezuka (vedi la sezione Prima e dopo Cyborg 009 sul sito). In Italia è arrivato come cartone animato con il nome di Astroboy. Si può dire, a tutti gli effetti, che sia questo il manga che pone le basi e i temi sui quali poi Shotaro Ishinomori imposterà Cyborg 009. Quindi Atom, il protagonista del manga in questione, è in tutto e per tutto, il progenitore principale dei cyborgs della serie 00.

[6] Tankobon è il termine giapponese con cui vengono chiamati i volumetti monografici dei manga. Avrei potuto utilizzare il termine italiano, ma secondo me ci sta meglio questo ^^.