Camera con vista

di Laus
 
Prologo
Parte I
Parte II
Parte III
Parte IV
Parte V
Parte VI
Parte VII
Parte VIII
Parte IX
Parte X
Parte XI
Parte XII
Epilogo

 

Prologo

 

Joe non riusciva a dormire. Guardò per l’ennesima volta la sveglia posta sul suo comodino. Segnava le 4:26. I due puntini che, lampeggiando tra le ore e i minuti, battevano i secondi, erano diventati insopportabili. Fuori cominciava a schiarire, anche se il sole non si era ancora levato. Restò ancora qualche minuto nel letto, sperando che il sonno arrivasse di colpo, dopo una notte passata interamente in bianco. Ma non fu così. L’attesa aumentava solo il nervoso.

Appurato che non era proprio possibile addormentarsi, Joe decise di alzarsi. Accese la luce e si levò dal letto. Si avvicinò alla finestra. Il cielo chiaro prometteva una bella giornata. Joe si tolse il pigiama e si vestì. Uscì dalla stanza. Sembrava che tutti stessero beatamente dormendo. Joe sentì un po’ di invidia al rumore del profondo russare di Chang e Bretagna.

Scese le scale e fece per recarsi in cucina, quando la luce che filtrava da sotto la porta chiusa gli indicò che c’era già qualcuno. Aprì la porta lentamente e fu colpito dall’odore di caffè appena fatto e un altro odore, qualcosa di caldo e dolce.

<<Buongiorno>>, lo salutò Françoise con un sorriso. Era già vestita e stava appena  appoggiata a un ripiano della cucina, sorseggiando il caffè da una tazza.

<<Buon… buongiorno. Cosa ci fai già sveglia?>>

Françoise alzò le spalle: <<Non riuscivo più a dormire. Vuoi del caffè?>>

<<Sì, con piacere… anzi, credo proprio che farò colazione.>>

<<Ho preparato una crostata, ne vuoi?>>

Joe la guardò sorpreso: <<Certo ma… da quant’è che sei alzata?>>

<<Un’oretta. Sarà pronta fra pochi minuti. Intanto che ne dici di apparecchiare?>>

<<Certo.>>

Joe cominciò ad apparecchiare la tavola, mentre Françoise sfornava il dolce.

<<Spero che sia venuta bene. E’ molto tempo che non ne faccio una.>>

<<Sarà sicuramente buonissima. L’odore promette bene.>>

Françoise portò il caffè e, prima di posare il bricco, versò la bevanda nella tazza di Joe, che era già seduto a capotavola.

<<Grazie.>>

Françoise si limitò a sorridergli, mentre posava anche la crostata in tavola. Joe annusò a fondo l’odore del caffè.

<<Lo fai sempre.>>

<<Cosa?>>, chiese Joe.

<<Annusi il caffè profondamente, prima di berlo.>>

<<Mi piace molto l’odore del caffè. Di prima mattina soprattutto. E poi questo è veramente buono.>>, rispose Joe sorseggiando la bevanda.

Françoise tagliò una fetta di crostata e la mise in un piattino. Quindi la porse a Joe. Poi ne tagliò un piccola fetta anche per lei e si sedette alla destra di Joe.

Joe aveva già mangiato un boccone della sua porzione: <<E’ buonissima. Non sapevo tu fossi così brava.>>

<<Esageri.>>

<<No, dico sul serio… credo che sia la prima volta che mangio qualcosa fatto da te.>>

Françoise sorrise: <<Uhm, non ci avevo mai pensato. Forse dovrei prenderti di più per la gola…>>

<<Cosa?>>

<<Nulla, parlavo fra me e me.>>

Joe continuò a mangiare, quando si fermò, resosi conto che Françoise lo stava osservando praticamente immobile.

<<Qualcosa non va?>>

<<Uhm… no, niente>>, disse la ragazza scuotendo la testa, <<stavo solo pensando che… così… sembriamo quasi…>>

<<Quasi?>>

<<Sembrate proprio una coppia di sposi!!>>

I due si voltarono sorpresi verso il nuovo venuto.

<<Buongiorno professore.>>, disse Joe, guardando con gli occhi sbarrati l’anziano scienziato.

<<Posso unirmi a voi? Quella crostata sembra invitante.>>

<<Certo professore, le apparecchio subito.>>, rispose Françoise, più che lieta di avere una scusa per alzarsi dal tavolo e fare in modo che non ci si accorgesse troppo del suo rossore.

<<Professore, perché già sveglio?>>, chiese Joe.

<<Sono preoccupato per una telefonata che ho ricevuto ieri dal professor Hewson, un mio vecchio allievo dei tempi in cui insegnavo all’università.>>, rispose Gilmore, mentre Françoise gli versava il caffè.

<<Non sapevo che lei avesse insegnato all’università?>>, disse Joe.

<<Per un breve periodo…>>

<<Brutte notizie?>>, chiese la ragazza.

<<No, non esattamente.>>

Gilmore versò due cucchiaini di zucchero nel caffè e cominciò a mescolare, continuando a parlare: <<Hewson è un luminare per quanto riguarda la ricerca su forme alternative di energia. Ultimamente ha elaborato un nuovo tipo di carburante, realizzabile artificialmente e a basso costo.>>

<<E allora?>>, chiese Joe

Gilmore sorseggiò il suo caffè: <<Recentemente ha ricevuto strane minacce, che lo invitavano chiaramente a lasciar perdere se ci teneva alla vita.>>

<<Beh, immagino che un nuovo carburante riproducibile artificialmente e a basso costo possa dar noia a parecchie persone. Non sono pochi gli interessi in palio. Basta pensare a tutti le maggiori multinazionali che operano in questo campo>>, disse Françoise.

<<Esattamente. Hewson ha ragione di credere che siano stati proprio alcuni grandi magnati petroliferi a far inviare quei messaggi. Questo fine settimana Hewson sarà in Italia, a Firenze, per presentare la sua invenzione alla Conferenza Mondiale sulle Nuove Forme di Energia ed è seriamente preoccupato per la sua incolumità. Ha assoldato delle guardie del corpo, ma non si sente al sicuro.>>

<<Potremmo andare noi.>>, propose Joe.

<<Hewson sa di voi, anche se non vi conosce di persona e anch’io gli ho proposto la stessa cosa ma ha detto che non vuole procurarmi fastidi.>>

<<Beh, potremmo andare là come semplici turisti e controllarlo. Sa in quale albergo alloggerà?>>, disse Joe

Gilmore restò in silenzio per qualche secondo, soppesando le parole del ragazzo. Poi tirò un grosso sospiro e rispose: <<In questo caso sarebbe meglio se andaste al massimo in due, per non dare troppo nell’occhio. Credo che alloggi al Pantheon, un grosso e importante albergo del centro.>>

Joe si rivolse a Françoise: <<Mademoiselle, le va di passare un week – end a Firenze con me?>>

Françoise per poco non si mise a ridere. Glielo aveva chiesto in un modo così serio che sembrava quasi un vero invito: <<Certamente, monsieur>>.

 

Parte I

 

Partirono giovedì, nel tardo pomeriggio. Sarebbero sbarcati a Roma la mattina dopo. Lì avrebbero noleggiato un auto, e quindi sarebbero arrivati a Firenze nel primo pomeriggio di venerdì.

<<Con l’albergo hai messo tutto a posto, vero?>>, chiese Françoise, mentre leggeva una rivista di moda.

<<Ehm, c’è una cosa che non ti ho detto.>>, disse Joe continuando a guardare fuori dal finestrino.

<<Sarebbe?>>, chiese Françoise distogliendo lo sguardo dalla rivista e cercando gli occhi del ragazzo.

<<Vedi,>> disse Joe, girandosi verso di lei, <<l’albergo era al completo a causa della conferenza. Gran parte dei luminari e dei giornalisti al seguito alloggiano lì. C’era rimasta solo una stanza libera vicino al professor Hewson.>>

<<Almeno è una doppia?>>

Joe non rispose. Si limitò ad annuire.

<<Capisco.>> disse lei guardandolo perplessa. Poi un piccolo sorriso le si disegnò sulle labbra: <<Quantomeno spero che tu non russi la notte.>>, e ritornò a leggere la sua rivista.

Joe sorrise. Non sapeva come l’avrebbe presa la ragazza. Per fortuna bene, a quanto sembrava.

Il viaggio era lungo. Verso le 11 di sera, ora giapponese, Joe sentì la testa di Françoise appoggiarsi sulla sua spalla sinistra. Si voltò a guardarla. Stava dormendo beatamente. Sembrava il ritratto della tranquillità. Cercò di muoversi il meno possibile, per evitare di svegliarla, e di addormentarsi anche lui. Avevano ancora molte ore di viaggio davanti. Appoggiò la testa indietro e solo allora si accorse del ragazzino che lo stava guardando dal posto davanti. Joe lo guardò con aria interrogativa. Era un bambino giapponese che non avrà avuto più di 10 anni. Portava un cappellino dei Tokyo Giants in  testa.

<<E’ molto bella la tua ragazza. E’ straniera?>>

Joe rimase un po’ interdetto. Non sapeva se negare o meno che Françoise fosse la sua ragazza.

<<Sembra straniera.>>, incalzò il ragazzino.

<<Lo è. E’ francese.>>, rispose finalmente Joe.

<<Anche tu sembri un po’ straniero.>>, disse il bambino squadrandolo.

Joe rimase ancora più interdetto di prima. Era sempre così quando gli facevano notare le sue origini miste: <<Beh, sì. Un po’ lo sono.>>

<<Sei mezzo italiano?>>

<<Cosa? No no… sono mezzo americano.>>

<<E allora perché vai in Italia?>>

Joe pensò alla risposta da dare: <<Per turismo. Non è lo stesso motivo per cui ci vai tu?>>

<<No.>>

<<E allora perché vai in Italia?>>

<<Dicono che là c’è un bravo medico che potrebbe farmi guarire.>>

<<Guarire?>>

<<Sì, ho la licemia.>>

“Ha la leucemia”, pensò Joe notando solo adesso che sotto il cappellino non si vedevano capelli.

<<Spero che tu guarisca.>>

<<Non è facile. Potrei morire tra non molto tempo. Io non vorrei, ma so che non è facile guarire.>>

La franchezza e incredibile naturalezza con cui quel ragazzino aveva detto del suo più che probabile destino lo colpì profondamente. Ancora forse non aveva capito quello che aveva, lo prendeva come un gioco.

<<A volte però vorrei morire.>>, continuò il ragazzino con lo stesso tono naturale e quasi distaccato di prima.

Joe rimase scioccato:<<Perché dici così?>>

<<Perché così mio padre e mia madre non soffrirebbero più.>>, disse lui voltandosi verso il sedile accanto al suo, dove era evidentemente seduto uno dei suoi genitori, magari addormentato. Altrimenti non avrebbe permesso che dicesse una cosa del genere <<E poi, anche se sopravvivessi, che vita mi aspetterebbe?>>

<<Non dire così. La vita è un bene molto prezioso. Finché è possibile, merita sempre di essere vissuta.>> (“Ma lo sto dicendo davvero?”)

Il ragazzino guardò Joe perplesso: <<Tu che ne sai?>>

Joe cercò una risposta che sembrasse convincente: <<Abbastanza. C’è sempre qualcosa per cui continuare a vivere. Per esempio non credo che tuo padre e tua madre sarebbero molto contenti se tu morissi. Soffrirebbero ancora di più.>>

Il ragazzino sembrò pensarci su: <<Forse hai ragione… Ora ho sonno. Buonanotte, straniero.>>

Joe fu per dire qualcosa, ma il ragazzino scomparve di nuovo nel suo sedile: <<Buonanotte>>, si limitò a sussurrare Joe.

Solo allora si accorse che Françoise, nel sonno, gli aveva messo una mano sopra la sua. Joe sorrise e cercò di nuovo di mettersi a dormire.

 

Parte II

 

L’aereo atterrò a Roma in perfetto orario. Era una bellissima giornata di primavera. Mentre Joe e Françoise erano a ritirare i bagagli, Françoise fece notare a Joe un bambino che lo salutava:

<<Lo conosci?>>

Joe riconobbe il ragazzino della notte prima: <<Più o meno.>>

Ritirarono i bagagli e andarono a noleggiare un automobile. Quindi si misero in viaggio.

<<Sei mai stata a Firenze?>>

Françoise distolse gli occhi dal finestrino e guardò Joe: <<Sì, una volta. Perché?>>

<<Curiosità. Io non ci sono mai stato.>>

<<Beh, è una città molto bella.>>

<<Più bella di Parigi?>>

Françoise rise: <<E’ una domanda assurda. Nessuna città è più bella di Parigi.>>

<<Uhm, immagino che se facessi la stessa domanda a un fiorentino mi risponderebbe il contrario.>>

<<Tu mi hai sempre detto che Parigi è molto più bella di Tokyo.>>

<<Noi giapponesi andiamo matti per le città europee.>>

<<Va bene, come vuoi tu. Parlando di cose serie, il professor Hewson arriverà domattina, vero?>>

<<Sì, anche se parlerà dopodomani alla conferenza, e poi ancora il giorno dopo.>>

<<Abbiamo il tempo di fare un giretto allora.>>

Joe aggrottò un po’ la fronte: <<Non sei stanca per il viaggio?>>

<<No, ho dormito piuttosto bene stanotte.>>

<<La mia spalla è così comoda?>>

<<Vero, non l’avrei mai detto.>>

<<Ma se ci avevi già dormito sopra!>>

Françoise fece un viso perplesso, facendo finta di non ricordare: <<Ah sì? Quando? Non ricordo.>>

<<Quando andammo a dare la caccia a quello pseudodinosauro.>>

Françoise finalmente si ricordò: <<Ah, è vero. Ci eravamo messi a guardare le stelle e poi io mi sono addormentata.>>

<<Non ricordavi?>>, chiese Joe con un’aria un po’ delusa.

<<Ti dispiace?>>

Fu Joe stavolta a fare un viso perplesso.

<<Nulla, lascia perdere.>>, concluse Françoise, sospirando

“Certo che mi ricordo di quella sera… e come potrei dimenticare?”, pensava mentre ritornava a guardare fuori dal finestrino.

Erano circa le 13, ora italiana, quando arrivarono a Firenze. Giunsero in albergo e Joe si avvicinò alla reception. Chiamò il portiere col campanellino. Un uomo sulla cinquantina apparve subito dietro il bancone, con il solito sorriso artificiale dei receptionists. Intanto anche Françoise si avvicinò al banco. Joe si rivolse all’uomo: <<Avevo prenotato una doppia a nome di Joe Shimamura.>>

<<Vediamo subito, signore.>>, rispose il portiere armeggiando con un computer.

Dopo qualche secondo l’uomo aggrottò la fronte e si rivolse di nuovo a Joe: <<Lei è il signor Joe Shimamura, ha detto.>>

<<Sì…>>

<<Ci dev’essere stato un equivoco… qui risulta una matrimoniale, non una doppia.>>

<<E’ impossibile!>>

<<Ne è sicuro?>>, chiese Françoise rivolgendosi all’uomo. 

L’uomo sorrise alla ragazza: <<Sì, signorina. E purtroppo siamo pieni questo week – end. Non posso cambiarvela.>>

Joe si limitava a restare in silenzio. Tra europei forse si sarebbero intesi meglio.

Françoise rimase in silenzio qualche secondo, torcendo le labbra in una specie di smorfia: <<Va bene, non importa. Andrà benissimo. Spero almeno, visto l’equivoco, che verremo trattati bene.>>

L'uomo sorrise: <<Certamente, signorina. Aspetti che le prendo la chiave.>>, rispose l’uomo sorridendo e girandosi verso il deposito di chiavi che aveva alle sue spalle.

Françoise intanto si rivolse nuovamente a Joe, con uno sguardo che lui non riuscì a capire quanto fosse irritato e quanto divertito: <<Sei abbastanza gentiluomo da non approfittare di questa situazione. Dico bene, no?>>, disse lei tornando al giapponese.

<<Posso dormire sul pavimento.>>

<<Non scherziamo. Solo che io mi prendo la destra.>>

<<Come vuoi… Se ti fidi…>>

Françoise gli dette una gomitata nel fianco, senza metterci troppa forza: <<Come se!?>>

<<Scherzavo.>>, rispose Joe sorridendole appena.

Il portiere dette loro le chiavi della stanza, la 264: <<Ecco a voi. Spero che avrete un buon soggiorno... nonostante l'equivoco.>>, disse loro l'uomo <<Aspettate… Giovanni!>>, l’uomo si sporse un po’ e fece un gesto con una mano. Immediatamente un fattorino fu da loro e prese le valige.

<<Vi auguro un buon soggiorno.>>, disse infine il portiere.

<<Grazie.>>, rispose Françoise.

 

Parte III

 

Quando furono davanti alla porta Joe le indicò la stanza immediatamente successiva: <<Quella è la stanza di Hewson. In fondo siamo stati fortunati.>>

Joe aprì la porta e fece entrare Françoise. Quindi dette la mancia al fattorino, che ringraziò con un gesto del capo e gli augurò un buon soggiorno in inglese.

<<Perché non ti fai una doccia, mentre io disfò i bagagli?>>, disse Françoise.

<<Non vuoi farla prima tu?>>

<<No, la farò dopo di te.>>

<<Va bene.>>

Joe si tolse la cravatta e la giacca e quindi si diresse in bagno.

Françoise cominciò a disfare le valigie, mentre sentiva l’acqua della doccia che cominciava a scrosciare. La stanza era piuttosto grande, ed arredata con gusto. Si vedeva che era un albergo a 5 stelle. Accese il televisore e si sorprese nel vedere che lì si vedeva anche Anténne 2, un canale francese. Sentire la sua lingua dopo tanto tempo la fece sentire un po’ a casa. Stavano trasmettendo una specie di talk show.

La doccia smise di andare. Poco dopo si sentì il rumore dell’asciugacapelli.

Françoise finì di disfare i bagagli, anche quelli di Joe, e di mettere a posto le proprie cose personali. Aprì la finestra e si affacciò al balcone, che dava proprio sull’Arno. Dei canottieri si stavano allenando sul fiume, lasciando una flebile scia al loro passaggio. Anche sulla Senna si vedevano cose del genere. Il ricordo le fece affiorare un piccolo sorriso sul viso. Non molto lontano, sulla destra si vedeva quello che doveva essere Ponte Vecchio. Sul lungarno parecchie persone camminavano, in un senso e nell’altro. Alcuni di loro sembravano delle coppie. Françoise provò un po’ di invidia. Restò sul balcone fino a quando la voce di Joe non attirò la sua attenzione.

<<La doccia è libera.>>

Françoise si voltò. Joe era già vestito. Si stava abbottonando le maniche della camicia: <<Hai già fatto?>>

<<Beh, non sono mica una donna.>>

<<Stupido… C’è una bella vista da qui.>>

<<Ah sì?>>, disse Joe, che intanto stava litigando con la sua cravatta.

Françoise lo guardò divertita. Ora capiva perché spesso e volentieri la lasciava un po’ lenta: <<Vieni qua.>>

Joe la guardò con uno sguardo un po’ perplesso, ma raccolse comunque l’invito della ragazza e andò sul balcone.

Françoise cominciò ad armeggiare con la cravatta, mentre Joe dava uno sguardo a tutto quello che la ragazza aveva visto prima: <<Hai ragione, c’è una bella vista da qui.>>

<<Fatto.>>, disse Françoise dando una leggera pacca sul petto di Joe con entrambe le mani.

Joe la guardò stupito per la velocità con cui aveva eseguito, e poi guardò il nodo alla cravatta: <<Chi ti ha insegnato?>>

<<Mio padre era assolutamente incapace di farlo. Così glieli faceva sempre mia madre. L’ho imparato a forza di osservarla mentre lo faceva. Gli faceva il nodo alla cravatta, tutte le mattine. E poi…>>

Françoise si accorse solo allora di avere ancora le mani sul petto del ragazzo. Le tolse immediatamente e si voltò di nuovo verso il fiume.

<<E poi?>>, chiese Joe incuriosito

Françoise fece una piccola e impercettibile smorfia con la bocca, ma poi si voltò verso Joe e sorrise: <<Poi gli dava un breve bacio. Non appassionato, perché c’ero sempre io a guardarli. Ma in quel momento mi rendevo conto di quanto si volessero bene…>>

Per qualche secondo i due rimasero in silenzio. Ricordare il passato era sempre difficile per un cyborg. Dimenticarlo impossibile: il ricordo di ciò che si era, degli esseri umani che si era stati era doloroso, ma era l’unica cosa che li legasse alla loro vita umana. Ricordarsene, ogni tanto, non era un segno di masochismo. Era una necessità.

<<Scusa,>>, disse Françoise, <<mi dimentico sempre che tu non hai avuto dei genitori.>>

Joe scosse la testa: <<Non importa. Anzi, mi fa piacere che tu mi racconti di te.>>

Françoise rimase piacevolmente stupita dalla risposta, ma non aggiunse altro sull’argomento: <<Credo che sia ora di farmi una doccia.>>

<<Va bene. Credo che andrò a prendere qualcosa da bere al bar dell’albergo. Ti aspetto lì. E poi… potremmo fare quel giretto e cenare da qualche parte… sempre se ti va ancora.>>

<<Va bene.>>, rispose Françoise sorridendo.

 

Parte IV

 

Joe stava sorseggiando un caffè, il secondo, seduto a uno dei tavolini del bar. Il caffè espresso italiano era ottimo. Sul tavolo aveva una copia del giornale, aperta sulla pagina degli spettacoli presenti in città. La televisione, accesa in un angolo, trasmetteva le notizie sportive. C’era un servizio sulla scuderia di casa la Ferrari. Sin da quando aveva cominciato a correrre in F1, il suo sogno era quello di guidare uno di quei bolidi rossi un giorno. Era il sogno di ogni pilota. E lui sarebbe stato il primo giapponese. Chissà se l’avrebbe mai realizzato. 

Il servizio finì. Guardò l’orologio. Erano quasi le 3.15 del pomeriggio. Aveva lasciato Françoise in camera da quasi un’ora. 

Poco più in là c’era un gruppo di turisti giapponesi che stavano bevendo del tè. Gli sembrò di riconoscere l’accento di Osaka. Un cameriere gli passò vicino e Joe lo chiamò con un cenno. Subito il ragazzo si avvicinò. Notando che era straniero, si rivolse a Joe in inglese: <<Desidera?>> 

<<Puoi indicarmi un buon ristorante.>> 

<<Che cosa desidera mangiare, signore?>> 

Joe ci pensò un po’: <<Non so, la cucina italiana è tutta ottima. Tu cosa mi consigli?>> 

<<Beh, signore, qui in Toscana siamo famosi soprattutto per le nostre carni. Le piace la carne al sangue?>> 

<<La adoro.>> 

<<Allora le consiglierei senz’altro di andare al ristorante Latini e di prendere una fiorentina innaffiata da un buon Chianti rosso. Ma solo quella… sa, fanno delle porzioni un po’ grandi. Possiamo prenotare noi a suo nome.>>, disse il cameriere con un sorriso. 

<<Mi farebbe un piacere. E dov’è questo posto?>> 

<<Se aspetta qui le faccio una mappa e gliela porto. Come si chiama?>> 

<<Shimamura.>> 

Joe scrisse il suo nome in caratteri latini su un foglietto e lo porse al cameriere, che se lo mise in tasca. 

<<Ah… e potrebbe anche scrivermi anche dov’è questo posto? Su un altro foglietto però.>>, chiese Joe, puntando un dito sulla pagina degli spettacoli. 

Il cameriere dette uno sguardo: <<Certo. Ci metto un min…>> 

Il cameriere si fermò mentre stava prendendo la tazzina dal tavolo. Joe lo guardò sorpreso. Il cameriere era con la bocca leggermente aperta, come incantato da qualcosa. Joe seguì la direzione dei suoi occhi e… 

<<Françoise…>> 

La ragazza si avvicinò al tavolo e Joe si alzò in piedi. Aveva un elegantissimo vestito blu, che le stava veramente bene. Uno scialle bianco le copriva le spalle. I capelli erano accuratamente raccolti, in modo che qualche boccolo rimanesse libero, lasciando in risalto il suo collo. Il trucco era leggero, ma perfetto. 

<<Sei bellissima. Mi sento a disagio. Pensavo dovessimo solo andare a fare un giro.>> 

<<Sei un adulatore… e…>> 

Gli occhi della ragazza si spostarono sul cameriere, e solo allora Joe si accorse che non si era mosso. Lo guardò con uno sguardo eloquente, ma il ragazzo non sembrò accorgersi di lui. 

<<Eheem.>> 

Il cameriere si accorse finalmente di Joe e capì che forse era meglio sloggiare. 

<<Le porto subito quello che mi ha chiesto. E penserò alla prenotazione.>> 

<<Bene.>> 

Intanto Françoise stava guardando la scena divertita. 

Il cameriere fu di ritorno un attimo dopo e porse a Joe un paio di foglietti. 

<<Andiamo?>>, disse Joe porgendo il braccio a Françoise. 

Françoise prese il braccio di Joe e si incamminarono verso l’uscita. 

Il cameriere intanto si era spostato verso il bancone, ma continuava a guardare la coppia mentre usciva. La barista, da dietro il bancone stava facendo altrettanto. Ma più che altro era divertita dall’atteggiamento del cameriere. Gli mosse la mano davanti, ma lui non sembrò accorgersene. La ragazza scosse la testa e sorrise: <<Bastano un paio di belle gambe che voi uomini andate subito in tilt.>> 

<<Ma era una visione o era vera?>> 

<<Scordatela Lapo. Quella è già impegnata.>> 

<<Stanno insieme secondo te?>> 

<<E c’è da chiederlo? Hai visto come si sono illuminati gli occhi di tutti e due quando si sono visti. Solo un cieco non si accorgerebbe che quei due non siano innamorati.>> 

<<Sognare non costa nulla…>> 

 

Parte V

 

Firenze era veramente una città bellissima. Era una sera di maggio. La temperatura era tiepida e tirava una brezza piacevole. I due camminarono a lungo: Ponte Vecchio; passarono davanti agli Uffizi; Piazza della Signoria si fermarono a prendere un caffè da Pazkowszki, in Piazza della Repubblica; Piazza del Duomo; Santa Croce; Palazzo Pitti. Erano appena le 5.30. Decisero di fare un giro per Boboli.

<<Sapevo che era un bel giardino, ma non lo immaginavo così.>>, commentò Françoise quando si fermarono su una panchina alla grossa fontana che avevano visto all’entrata. 

<<Nemmeno io. Dà un senso di pace. Però comincio ad avere una certa fame.>> 

<<Uhm… pensandoci bene anch’io. Oggi non abbiamo pranzato.>> 

<<Bene.>> 

Uscirono dal giardino e chiamarono un taxi. Joe dette al tassista le indicazioni e quest'ultimo annuì, avviandosi.

Il maitre li condusse al loro tavolo. 

Il cameriere li aveva consigliati bene. La carne era veramente buona e tenera, nonostante fosse alta almeno due dita. E fu più che sufficiente a sfamarli. 

<<Quel cameriere ti ha consigliato bene.>> 

<<Direi di sì.>>, rispose Joe mentre lasciava a un cameriere la sua carta di credito. 

<<E’ stata una bella serata. Peccato sia finita. E da domani ci aspetta il lavoro.>> 

<<Chi ha detto che è finita?>> 

Françoise lo guardò interdetta. 

<<Innanzitutto,>>, continuò Joe frugando in una tasca interna della giacca, <<vorrei che tu mettessi questo.>> 

Tirò fuori un piccolo astuccio quadrato e lo aprì. Dentro c’era un fantastico collier. 

La ragazza guardò il gioiello meravigliata: <<Joe, non posso accettare… ma quando l’hai preso?>> 

<<Oggi, in una gioielleria, mentre tu eri distratta. Non ti ho mai regalato niente per il tuo compleanno. Ho pensato di rimediare.>> 

<<Ma il mio compleanno è a gennaio.>> 

<<Particolare senza importanza.>> 

Joe si alzò dal tavolo e si portò dietro di lei e le mise il collier al collo. 

<<Direi che sembra fatto apposta per te.>> 

<<Io… io non so che dire.>>, disse Françoise guardando il suo riflesso nel vetro della finestra accanto a lei. 

<<E allora non dire niente.>> 

I due uscirono dal ristorante e Joe chiamò nuovamente un taxi. Stavolta fu lui stesso a indicare al tassista il luogo in cui voleva andare. Il tassista annuì. 

<<Non stiamo andando verso l’albergo.>>, notò Françoise dopo un po’. 

<<No, infatti.>> 

<<E dove allora?>> 

<<Dovremmo essere quasi arrivati. Un po’ di pazienza.>> 

Il taxi si fermò davanti a un teatro. I due scesero. 

<<Aspettami qui.>>, disse Joe allontanandosi. 

Fu di ritorno pochi minuti dopo. 

<<Entriamo? Restano pochi minuti.>> 

Françoise si limitò a seguirlo perplessa. Che cosa stavano andando a vedere? 

Presero posto in platea. Joe si avvicinò all’orecchio della sua compagna e le sussurrò: <<C’erano anche dei palchi liberi, ma ho pensato che ti sarebbe piaciuto di più vedere da vicino… ma ora che ci penso per te non fa tutta questa differenza.>> 

Françoise fu quasi per ridere: <<Stupido. Ma si può sapere almeno che cos’è?>> 

<<Scusa, la battuta era pessima. Comunque aspetta e vedrai.>> 

Le luci si abbassarono, il sipario si aprì e cominciò la musica. 

<<Giselle…>>, sussurrò Françoise. 

<<Immaginavo che avresti indovinato subito.>> 

 

Parte VI

 

<<Sono stanchissima.>>, disse Françoise appena furono entrati nella loro camera. Joe richiuse la porta dietro di sé.

<<Faremmo meglio a riposare. I prossimi giorni non saranno affatto riposanti.>>, disse Joe.

<<Perché, cos’altro vorresti fare?>>, chiese Françoise mentre si toglieva gli orecchini e li metteva a posto.

Joe rimase un po’ interdetto. Françoise se ne accorse. Effettivamente era stata un po’ ambigua: <<Scusa, non intendevo metterti in difficoltà. Voglio dire: siamo arrivati stamattina dal Giappone, abbiamo fatto un giro per la città, abbiamo mangiato in un ottimo ristorante, siamo stati a teatro… Cos’altro vorresti fare adesso se non dormire?>>

Joe annuì, con una specie di sorriso: <<Certo, hai ragione… Vado in bagno a cambiarmi.>>

Quando tornò in camera Françoise si era già cambiata. Joe si infilò a letto, restando però seduto con la schiena appoggiata alla spalliera. Françoise andò in bagno e Joe la seguì con lo sguardo fino a che non ebbe chiuso la porta dietro di sé. Poi guardò il posto vuoto accanto a lui. Incrociò le braccia sul petto e l’indice della mano destra cominciò a battere aritmicamente sul bicipite sinistro. Si sentiva un po’ nervoso.

Françoise fu di ritorno dopo cinque minuti. Entrò nel letto e anche lei rimase seduta come Joe: <<Sembri pensieroso? Qualcosa non va?>>

(“Come diavolo fa a essere così calma?”) <<No, tutto bene.>>

<<Pensavo che ti devo ringraziare per la bellissima serata.>>

<<E’ stato un piacere. Mi sono divertito anch’io.>>

<<I letti francesi sono un po’ più piccoli.>>

<<Cosa?>>

<<In Francia i letti matrimoniali sono un po’ più piccoli di questo. Ci stavo pensando… Beh, buonanotte.>>

Françoise spense la luce e si ritirò sotto le coperte.

<<E con questo cosa vorresti dire?>>

Françoise, che era girata dall’altra parte, non si voltò verso di lui, ma si limitò a rispondere: <<Solo che forse li hanno fatti così per creare più intimità. Buonanotte.>>

Anche Joe spense la luce si infilò sotto le coperte, sdraiato: <<Buonanotte anche a te.>>

Nella stanza cadde il silenzio.

<<Ti sei mai chiesta quanto sia buffo?>>

Françoise si voltò verso di lui, con la testa: <<Buffo che cosa?>>

Joe girò la testa verso di lei: <<Insomma, noi non siamo comuni esseri umani, eppure abbiamo bisogno di dormire, di mangiare. Non è buffo?>>

<<Beh, abbiamo il nostro cervello umano, e il nostro cervello ha bisogno di tutto questo per funzionare al meglio. Non lo trovo tanto strano. E’ quasi… come dire… rassicurante.>>

<<Rassicurante?>>

<<Sì, vuol dire che non siamo semplici robot. Mi ricorda che non sono un robot.>>, disse Françoise, voltandosi stavolta con tutto il corpo.

I due rimasero in silenzio per qualche secondo. Poi Joe si girò col corpo verso di lei: <<Non l’avevo mai vista da questo punto di vista… Cioè, mi sono sempre considerato qualcosa di più di un robot, anzi molto di più, ma non avrei mai saputo dire esattamente il perché.>>

<<I nostri sentimenti, il nostro modo di pensare, di agire… siamo molto diversi dai robot.>>

<<Già, ma vallo a spiegare alla gente.>>

Françoise sorrise, anche se lo seppe solo lei, visto che Joe non poteva vederla nelle sue espressioni: <<Mi sono abituata all’idea che in fondo quello che pensano gli altri non abbia tutta questa importanza.>>

<<Forse hai ragione… come al solito.>>

Continuarono a parlare a lungo, del più e del meno, finché non si addormentarono. In fondo era stato un bene dover condividere la stessa stanza.

 

Parte VII

 

Hewson arrivò al mattino presto in albergo, come da programma. Portò le sue cose in camera e subito andò a fare colazione. Joe e Françoise lo seguirono, cercando di non farsi notare troppo. 

Hewson era attorniato da due gorilla, che lo seguivano anche in bagno. 

Al ristorante dell’albergo, si sedettero a un tavolo poco lontano, ma non troppo vicino a quello di Hewson. Il professore si mise a confabulare con uno che doveva essere un suo assistente. 

<<003, riesci a sentire quello che si dicono?>>. 

Françoise trasalì. Il fatto che l’avesse chiamata col numero indicava chiaramente che era ora di mettersi a lavorare: <<Certamente.>> 

003 azionò i suoi sensori uditivi. Quando il professore e l’assistente ebbero finito di parlare fra di loro, 003 riferì: <<Gli ha fatto il programma del giorno: oggi alle 11 si recheranno nella sala congressi, per l’inizio della Conferenza. Alle 13 saranno di nuovo qui per il pranzo, e alle 15.30 comincerà la seconda parte della Conferenza. Hewson assisterà a tutti gli interventi, sia oggi che domani. E a cena verrà a mangiare qui.>> 

<<Lui farà domani il suo intervento, se non sbaglio.>> 

<<Sì, domani alle 16.>> 

<<Credo che cercheranno di colpirlo prima che parli.>> 

<<Perché?>> 

Joe bevve un sorso del suo caffè: <<Perché non vogliono che presenti la sua invenzione.>> 

<<Uhm… forse hai ragione.>> 

<<Sono tutti umani qui dentro?>> 

003 si guardò intorno con attenzione: <<Sembrerebbe di sì. E a parte le guardie del corpo di Hewson nessuno porta armi.>> 

009 guardò l’orologio. Erano le 9.15. 

Hewson si alzò dal proprio tavolo e si diresse verso l’uscita della stanza di ristorazione. I due cyborgs aspettarono che Hewson e il suo seguito fossero usciti. Quindi si alzarono e li seguirono. Dovevano cercare di non insospettire le guardie del corpo di Hewson. Il professore salì in camera sua. I due cyborgs entrarono nella loro stanza, che era proprio quella accanto. 

<<Tieni sempre sott’occhio e sott’orecchio quello che fa e quello che dice.>>, ordinò 009. 

<<Va bene.>> 

Restarono in silenzio, mentre 003 captava ogni minimo rumore proveniente dalla stanza accanto. Passarono parecchi minuti. Poi 003 sentì finalmente qualcosa di interessante: <<Uhm, ha ricevuto una telefonata da un certo Mullen. Sembra che stasera invece di venire in albergo andrà a mangiare fuori, in un ristorante del centro.>> 

<<Bene.>> 

Alle 10.30 Hewson uscì dalla stanza, seguito dalle guardie, e si avviò verso la sala conferenze. 

003 si era già recata là per fare un sopralluogo. 009 seguì il professore da lontano. 

La Conferenza si teneva in una sala conferenze al piano sotterraneo dell’albergo. Vi erano presenti i più importanti luminari nel campo della ricerca sulle nuove energie. Arrivato nella stanza, 009 trovò subito la compagna: <<Tutto a posto?>> 

<<Sì, sembra che non ci sia niente di strano.>> 

<<Speriamo che sia vero.>> 

<<Ne devo dedurre che non si fida delle mie capacità, signore?>> 

<<No, solo che spero che non succeda nulla e che si sia trattato solo di minacce. Io vado dall’altra parte della stanza.>> 

Ed effettivamente non successe nulla. Da allora fino all’ora di pausa e anche nella seconda tranche. Tutto tranquillo. 

 

Parte VIII

 

La seconda parte della prima giornata si concluse alle 18.30. Hewson passò un attimo in albergo, e poi si diresse immediatamente al ristorante in cui si doveva incontrare con Mullen. Era tra gli invitati alla Conferenza. Era anch’egli uno scienziato interessato alle nuove forme di energia. 

Anche al ristorante i due cyborgs cercarono di tenersi a debita distanza dal tavolo di Hewson, sperando che le guardie del corpo prima o poi non si insospettissero nei loro riguardi. Al tavolo erano seduti in 4. Hewson, Mullen e i loro due assistenti. Anche stavolta 003 non si perse una parola di quello che diceva Hewson. 

<<Non ho assolutamente intenzione di tirarmi indietro, Larry.>>, stava dicendo Hewson. 

<<Ma David, ti hanno minacciato. Se morirai a cosa servirà?>> 

<<Non importa. Ho lavorato una vita su questo composto. Non mi faccio spaventare da due minacce.>> 

<<Ah sì, e allora perché vai in giro con questi energumeni?>> 

<<Larry, non mi fermerai.>> 

<<Come vuoi. Tanto lo so che è inutile cercare di convincerti.>> 

<<Professor Hewson,>> li interruppe l’assistente di Hewson, <<col suo permesso io mi ritirerei in albergo. Ho un gran cerchio alla testa.>> 

<<Certo Frank, vai pure. Ci vediamo domattina.>> 

L’assistente salutò e si diresse verso l’uscita del ristorante. 

009 guardava i due con la coda dell’occhio. Hewson doveva essere uno molto testardo. Non gli importava di morire pur di portare aventi quello in cui credeva. 

<<Mio Dio!>>, esclamò improvvisamente 003. 

<<Cosa?>> 

<<C’è una bomba.>> 

<<Come mai non te ne sei accorta prima?!>> 

<<Non lo so!>> 

<<Dov’è? Riesci a identificarla.>> 

003 si concentrò unicamente sul ticchettio dell’ordigno. 

<<E’ proprio sotto il tavolo di Hewson.>> 

003 si voltò verso il tavolo del professore: <<Mancano 3 minuti e 4 secondi. E’ un ordigno minuscolo.>> 

009 si guardò intorno confuso. Se avesse provato ad avvicinarsi le guardie del corpo lo avrebbero fermato. Doveva escogitare qualcosa. Un piccolo bottone rosso al lato della porta della cucina gli fece venire un’idea. 

<<Tu intanto vai fuori velocemente senza farti notare troppo. Io ti raggiungo tra poco alla macchina.>> 

<<Ma Joe…>> 

<<Fai come ti ho detto.>> 

Françoise era riluttante ma acconsentì: <<Va bene.>> 

009 si alzò e si diresse verso il bottoncino rosso che aveva visto. 

003 si recò fuori dal locale, cercando di non farsi notare troppo. 

Quando fu arrivato, facendo attenzione a non essere visto da nessuno, 009 spaccò il vetro che copriva il pulsante e lo premette. Immediatamente una sirena cominciò a suonare. 

<<Mio Dio! E’ l’allarme antincendio. Tutti fuori signori!>>, urlò un cameriere. 

Il ristorante si svuotò in meno di un minuto e mezzo. Joe fu l’ultimo ad uscire. Non più di 30 secondi dopo l’ordigno esplose. Non fu un’esplosione enorme, ma sarebbe stata più che sufficiente a uccidere Hewson. 

Joe raggiunse Françoise alla macchina: <<Grazie al cielo sei vivo.>> 

<<Già, e anche Hewson. Mi chiedo soltanto chi li abbia informati che Hewson sarebbe stato qui stasera.>> 

<<E’ vero, non era previsto. Hewson avrebbe dovuto cenare in albergo. E il fatto che abbiano avuto il tempo di installare una bomba vuol dire che sapevano che Hewson avrebbe cenato qui. E addirittura sapevano a quale tavolo si sarebbe seduto!>> 

I due si guardarono in faccia perplessi. Avevano a che fare con persone furbe e ben organizzate. 

<<Aspetta un momento,>> disse 009, <<in fondo solo quattro persone oltre a noi, sapevano che Hewson avrebbe cenato in questo ristorante.>> 

<<Mullen, le due guardie del corpo e l’assistente di Hewson… ma potrebbero aver riferito a qualcuno dove si sarebbero recati stasera, per esempio alla Conferenza. In fondo noi sappiamo quello che ha fatto l’entourage di Hewson. Ma, per esempio, non sappiamo nulla di quello di Mullen.>> 

<<L’assistente di Mullen era nel ristorante con loro. Non credo che sarebbe stato lì se avesse saputo della bomba. E poi non penso che avrebbero seguito Mullen per uccidere Hewson. Troppo complicato. Tra l’altro ho saputo che Mullen ha accettato di venire qui solo all’ultimo momento, per convincere Hewson a non parlare. Potrebbe sapere qualcosa ma, come prima, non avrebbe senso che sia rimasto lì ad aspettare che la bomba esplodesse. E poi credo che chi vuole uccidere Hewson lo voglia fare che parli o meno.>> 

009 provò a spremersi le meningi. Era veramente un affare complesso. 

<<Aspetta un momento,>> disse 003 <<l’assistente di Hewson se ne è andato a un certo punto… e io ho sentito la bomba solo dopo la sua dipartita.>> 

<<E avrebbe avuto tutto il tempo di installare la bomba sotto il tavolo senza farsi notare troppo.>>, concluse 009. 

<<Già… abbiamo trovato il legame. Ma come lo smascheriamo? Non possiamo certo andare da Hewson e dirgli: “Il suo assistente ha cercato di farla fuori”.>> 

<<No,>> rispose 009, <<ma almeno sappiamo chi dobbiamo tenere d’occhio. E lui non sa che noi sappiamo… Quell’assistente dovrebbe stare nella stanza accanto a quella di Hewson. Dovremo stargli attaccati come sanguisughe.>>

 

Parte IX

 

Nessuno dei due disse niente sulla strada del ritorno verso l’albergo. Quando rientrarono nell’edificio trovarono una novità. Era all’incirca mezzanotte e notarono che Hewson era seduto al bar con un ragazzo. Non avrà avuto più di 25 anni. 

<<Chi è quello?>>, chiese Joe. 

<<Ti offro qualcosa da bere.>>, disse Françoise. 

<<Cosa?!... ma ti sembra…>> 

<<Joe…>>, disse Françoise facendo un’espressione di intesa e prendendolo per una mano. Praticamente lo trascinò dentro il bar e solo allora Joe capì: non voleva destare sospetti mettendosi ad ascoltare la conversazione di Hewson e del ragazzo in mezzo alla hall. 

Si sedettero al bancone. 

<<Cosa posso servirvi?>>, chiese il barista di turno. 

<<Cognac per me.>>, disse Françoise. 

Joe la guardò stupito. 

<<E lei ?>> gli disse il barista? 

<<Ehm… anche per me.>> 

Poi si rivolse a Françoise: <<Non ti avrei mai fatto persona da prendere un cognac a quest’ora.>> 

<<Scherzi? Sono francese. L’alcool lo reggo meglio di te. Ci scommetto. E poi ci sono molte cose di me che non conosci.>>, rispose Françoise sorridendo. Intanto stava ascoltando la conversazione tra Hewson e il ragazzo misterioso. 

<<Non saresti dovuto venire qui.>> 

<<Papà, sono preoccupato per te. Lo capisci?>> 

<<Appunto per questo. E’ pericoloso che tu stia qui. Stasera…>>. 

Hewson si fermò improvvisamente e si guardò intorno. Poi ricominciò a parlare, ma con una voce molto più bassa. Quasi avesse paura che qualcuno lo sentisse. 

<<Stasera qualcuno ha cercato di uccidermi. Sono convinto che quell’esplosione al ristorante fosse causata da una bomba e che quella bomba fosse destinata a me.>> 

<<E allora perché continui? Non sarebbe meglio lasciar perdere tutto?>> 

<<Sean, quelli mi uccideranno che io parli o meno. Perché sanno che la mia scoperta prima o poi verrebbe fuori, anche se non parlassi a questa conferenza. Ho lavorato una vita su questo progetto. Non metterlo in pratica equivarrebbe a morire.>> 

<<Sei veramente testardo.>>, urlò il ragazzo alzandosi in piedi, sbattendo le mani sul tavolo e facendo cadere la sedia a terra, <<Adesso capisco perché la mamma ti ha lasciato. Vivi solo per la tua scienza. Di noi non ti è mai importato niente. Che cosa ne sarà di me se tu muori? Neanche di questo ti frega qualcosa?!>> 

<<Sean quello che stai dicendo non è giusto!>>, disse Hewson. 

Joe e Françoise si voltarono verso di loro. Non c’era più bisogno di origliare. Stavano urlando come ossessi. Anche il barista restò immobile, fermando il panno con cui stava asciugando il bancone che aveva appena lavato e guardando padre e figlio interdetto. Sean si guardò intorno, essendosi reso conto di aver attirato l’attenzione. Guardò l’ultima volta il padre, e poi andò via. 

Hewson rimase al suo posto, gli occhi bassi sul tavolo, i pugni chiusi davanti a sé. 

Joe e Françoise si scambiarono uno sguardo perplesso. 

<<Mi fa pena.>>, sussurrò Joe. 

Françoise annuì. 

Dopo qualche minuto Hewson si alzò in piedi. Stava per dirigersi verso l’uscita, quando si fermò davanti a Joe e Françoise. 

<<Ci siamo già visti da qualche parte noi?>>, chiese il professore. 

<<Ehm… sì, stasera al ristorante e, beh, abbiamo le camere contigue. E inoltre siamo venuti alla Conferenza. Come vede sono molti i posti in cui ci può aver visto.>>, disse Françoise. 

Hewson annuì: <<Già… beh, è mio figlio.>>, disse cambiando discorso e indicando la porta dalla quale Sean era uscito poco prima, <<Mi dispiace che abbiate assistito a uno spettacolo così triste.>> 

<<Non si preoccupi. Un litigio tra padre e figlio ci sta ogni tanto.>>, disse Joe. 

<<Anche lei litigava spesso con suo padre?>> 

Joe rimase interdetto, mentre Françoise si morse il labbro inferiore. 

<<Oh, mi scusi. Non volevo essere indiscreto…>>, disse Hewson. 

<<Oh, no… non si preoccupi. Sì, litigavo spesso con mio padre… ma era perché gli volevo molto bene.>> 

Hewson annuì: <<Beh, adesso vi saluto… ma non ci siamo ancora presentati. Io sono David Hewson, molto piacere.>> 

E porse la mano a Joe che la strinse leggermente: <<Io sono Joe Shimamura, e lei è Françoise Arnoud.>> 

La ragazza strinse a sua volta la mano a Hewson: <<Molto piacere.>> 

<<Lei è un uomo fortunato. La sua ragazza è veramente incantevole.>> 

<<Veramente…>>, cercò di ribattere Joe. 

Hewson guardò l’orologio: <<Accidenti, è tardissimo. Devo proprio andare. Buonanotte.>> 

<<Buonanotte anche a lei.>>, gli disse Joe. 

Hewson si diresse verso l’uscita, ma si fermò nuovamente e si voltò di nuovo verso Joe: <<Non mi avete detto perché siete interessati alla Conferenza.>> 

<<Ehm… sono un giornalista.>>, disse Joe. 

<<Capisco… beh, buonanotte.>> 

Joe sospirò e si rivoltò verso il bancone. Françoise lo aveva già fatto da un pezzo, per nascondere il rossore provocato dalla battuta di Hewson. 

<<Perché non hai negato?>>, chiese Françoise dopo alcuni secondi di silenzio. 

<<Cosa?>> 

<<Di noi due? Noi… non stiamo insieme.>> 

<<Beh… non me ne ha dato neanche il tempo. E poi, forse è meglio così…>> 

<<Come sarebbe a dire che è meglio così?! Tu sei il giornalista e io cosa sarei?>> 

Joe ci pensò un attimo: <<Uhm, la fidanzata che mi ha accompagnato in un viaggio di lavoro?>> 

Françoise lo guardò furiosa: <<Sai cosa ti dico: vai al diavolo!>> 

E si alzò, lasciandolo lì senza dargli nemmeno il tempo di dire una parola. 

<<Françoise!>>, ma lei era già scomparsa. 

Joe si alzò per seguirla, ma il barista lo richiamò: <<Ehi!>> 

Joe si voltò verso di lui con uno sguardo che lo incenerì. Il barista dovette esserne abbastanza impaurito, perché deglutì vistosamente: <<Ehm, almeno mi dica il numero della stanza su cui devo addebitare il conto…>> 

<<La 264.>> 

<<Grazie.>>, disse il barista deglutendo nuovamente 

Joe scomparve in un attimo. 

 

Parte X

 

Joe bussò alla porta della camera: <<Françoise, apri la porta.>> 

Nessuna risposta. 

<<Françoise, so che sei lì dentro. Apri la porta o la butto giù. Sai benissimo che non mi ci vorrebbe nulla.>> 

La porta si aprì. Joe quasi non se l’aspettava e così entrò solo dopo qualche secondo. 

Françoise era sul balcone e gli dava la schiena. 

<<Che diavolo ti è preso!?>>, chiese Joe. 

<<Non urlare. Non siamo soli qui e c’è gente che dorme.>> 

Joe girò gli occhi e a grandi passi raggiunse Françoise sul balcone. 

La prese per un braccio e la costrinse a guardarlo in faccia: <<Almeno potresti…>>. 

Aveva pianto… 

<<Vuoi sapere che diavolo mi è preso?>>, chiese Françoise divincolandosi dalla presa di Joe,<<Joe, io posso stare a tutto, ma non a far finta di stare con te.>> 

<<Si tratta solo di un week – end…>> 

<<Allora non capisci! Io non sono la tua bambola!>> 

Françoise disse queste parole e fece per andarsene, ma Joe la afferrò nuovamente per un braccio: <<Io non ti ho…>> 

Non si accorse nemmeno dello schiaffo che andò a stamparsi sulla sua guancia sinistra. Joe lasciò la presa e Françoise uscì in fretta dalla stanza. 

Joe era rimasto impietrito. Il dolore alla guancia si fece man mano più forte e lentamente la sua mano destra andò a massaggiarsi la zona. Si sedette pesantemente sul letto, sempre tenendosi la mano sopra la guancia. La testa gli si era completamente svuotata. Era confuso. Ma una cose gli si fece chiara man mano che i minuti passavano. Quello schiaffo non lo aveva preso solo sulla guancia. Lo aveva colpito dentro. Chiuse gli occhi, cercando di raccogliere le idee. 

“Stava piangendo…” 

L’unica immagine che gli veniva in mente, che no riusciva a scacciare dalla mente. 

Intanto Françoise era scesa nella hall. Le lacrime erano ricominciate a scendere. Stava cominciando a pentirsi di avergli dato quello schiaffo. Ma la sua attenzione fu catturata dal suono di un pianoforte… era il Per Elisa di Mozart. Seguì il suono e arrivò in una stanza con dei tavolini e delle sedie. Sembrava una specie di ristorante. Al pianoforte stava suonando qualcuno. 

Françoise si avvicinò e riconobbe Sean, il figlio di Hewson. Lui sembrò non accorgersi di lei e continuò a suonare. Suonava veramente bene. Aveva un tocco delicato, leggero. Le sue dita sembravano danzare sulla tastiera. 

Dopo poco più di un paio di minuti si fermò e solo allora si accorse che la ragazza lo stava guardando e stava applaudendo leggermente. 

La guardò perplesso. 

<<Oh, scusa. Non volevo disturbarti.>> 

Il ragazzo sorrise: <<Oh, no. Nessun disturbo. Solo che pensavo di essere solo.>> 

<<Beh, ho sentito la musica e… sono stata come calamitata.>> 

<<Capisco…>>, disse Sean volgendo gli occhi alla tastiera e poi di nuovo a Françoise, <<Ti piace la musica classica?>> 

<<La adoro.>>, rispose Françoise sorridendo. 

<<Già… mia madre mi ha insegnato ad apprezzarla… e mi ha anche insegnato a suonare il pianoforte. “La musica ci rende migliori. Proietta all’esterno i nostri problemi.” Diceva sempre così.>> 

<<E’ vero. Sua madre dev’essere una donna saggia.>> 

Lo sguardo di Sean si rabbuiò: <<Purtroppo è morta due anni fa… cancro.>> 

<<Mi dispiace.>>, disse Françoise abbassando gli occhi. 

<<Oh, no. Nessun problema… come ti chiami?>> 

Françoise rialzò gli occhi: <<Mi chiamo Françoise. Piacere di conoscerti.>> 

Sean si alzò dal pianoforte e scese dal piccolo palco: <<Io mi chiamo Sean. Il piacere è tutto mio… ma tu stai piangendo.>> 

Françoise si asciugò gli occhi con una mano: <<Non è niente… un po’ di nervosismo.>> 

<<Posso offrirti qualcosa? Una buona cioccolata calda di solito risolve tutti i problemi.>> 

<<Non ce n’è bisogno…>> 

<<Insisto… anche per scusarmi della brutta scena a cui ti ho fatto assistere prima al bar.>> 

Françoise scosse la testa: <<Io non…>> 

<<Per favore.>> 

Françoise ci pensò un attimo. 

“Ma sì, che male c’è?” <<Va bene.>> 

<<Mi sembra di aver visto un sorriso.>>, disse Sean. 

Françoise rise delicatamente, ma poi la sua attenzione fu attratta da qualcosa. Guardò in direzione della porta. 

<<Qualcosa non va?>>, chiese Sean. 

Françoise stette ferma qualche istante, poi scosse la testa: <<No, niente.>> 

 

Parte XI

 

Françoise rientrò in camera verso le 2. Pensava (sperava) di trovare Joe già addormentato, ma la stanza era addirittura vuota. 

<<Joe…>> 

Cercò in tutta la stanza, anche in bagno. Ma non trovò niente. Si cambiò e si mise a letto. Passarono diverse ore e Joe non arrivò. 

Infine la stanchezza ebbe il sopravvento e Françoise si addormentò. 

Si risvegliò solo la mattina dopo, verso le 10.15. Era ancora sola. 

Si vestì in tutta fretta e si recò al piano terra, alla reception. 

<<Scusi, hanno lasciato messaggi per me?>> 

<<Stanza?>> 

<<264.>> 

L’uomo dette un’occhiata dietro di sé e poi porse a Françoise un foglietto. Françoise lo aprì e intanto sentiva il cuore che gli batteva a mille: “Ti aspetto alla Conferenza, Joe.” 

Il biglietto non diceva altro. 

<<Quando è stato lasciato?>>, chiese Françoise. 

<<Dovrebbe chiedere al mio collega. Non c’ero io stanotte.>> 

<<Grazie…>> 

Guardò l’orologio. Erano le 10.45. Non le restava che recarsi alla conferenza. 

<<Françoise.>> 

La ragazza si voltò verso la voce: <<Sean.>> 

<<Buongiorno. Dormito bene?>> 

<<Buongiorno a te… Beh, poteva essere una notte migliore. Vai alla Conferenza anche tu?>> 

<<Oh, no. Mio padre ha deciso di andare solo oggi pomeriggio. Per evitare rischi inutili. Preferisce restare tappato in camera.>> 

<<Capisco.>> (“E ora come lo dico a Joe?”) 

<<Posso invitarti a pranzo?>> 

Françoise rimase interdetta, ma scosse la testa: <<No, Sean. Non posso…>> 

<<Sì, lo so. Ma uno ci prova…>> 

Françoise sorrise: <<Adesso devo andare.>> 

<<Va bene. Ci vediamo dopo?>> 

<<Forse.>> 

Françoise si diresse velocemente verso la sala conferenze. Quando fu arrivata cercò Joe e, trovatolo, si diresse verso di lui. 

<<Alla buon’ora. Sta quasi per iniziare.>>, le disse mentre lo stava raggiungendo. 

Françoise rimase quasi rabbrividita da quanto furono fredde quelle parole. Decise di lasciar perdere. 

<<Tanto Hewson non verrà stamattina, ma direttamente oggi pomeriggio.>> 

<<Te l’ha detto Sean?>> 

<<Non faremmo meglio a tornare su? Hewson è insieme a quello che probabilmente è il suo sicario.>> 

Joe sembrò soppesare le parole della compagna: <<Effettivamente hai ragione. Sbrighiamoci.>> 

Appena rientrati in camera Joe si tolse giacca, cravatta e scarpe e si sdraiò sul letto. 

<<Dove sei stato stanotte?>> 

<<In giro… avevo bisogno di schiarirmi le idee.>>, rispose Joe tenendo gli occhi chiusi. 

<<Tutta la notte?>> 

Joe non rispose. 

<<Joe?>> 

<<003, sono molto stanco. Puoi lasciarmi riposare un po’?>> 

<<Va….va bene.>> 

Joe la sentì uscire dalla stanza e solo allora riaprì gli occhi. 

“Ma perché ho fatto una cosa del genere?” 

 

Parte XII

 

<<Signorina Arnoud, cosa ci fa qui?>> 

Françoise era seduta su una delle poltrone della hall. Si voltò verso l’uomo che l’aveva chiamata: <<Buon pomeriggio, professor Hewson.>> 

Notò che dietro di lui c’era anche il suo assistente, nonché Sean. Le guardie del corpo erano poco più in là. 

<<Dov’è…>> 

<<Joe sta riposando.>> 

<<Oh, capisco. Ha già pranzato?>> 

Françoise ci pensò un po’. Era un invito a pranzo. Doveva accettare o meno? 

<<In caso negativo, insisto perché si unisca a noi.>> 

<<Va bene.>>, disse Françoise sorridendo. 

Si recarono nella sala ristorante e si sedettero a tavola. 

<<Oggi parlerà alle 16, vero signor Hewson?>>, chiese Françoise. 

<<Sì. Non sono mai stato un buon oratore. Spero di non fare qualche gaffe.>> 

<<Sono sicuro che andrà tutto bene, professore.>>, disse il suo assistente. 

Françoise lo guardò incuriosita. Era un uomo di statura media, capelli neri tagliati corti e piuttosto male, occhiali d’osso neri. Un uomo abbastanza insignificante a giudicarlo dall’aspetto. Ma era proprio lui l’assassino incaricato? 

<<Lavora da molto con il signor Hewson, signor…?>>, gli chiese Françoise innocentemente. 

<<Dice a me?>>, chiese l’assistente. 

Françoise annuì. 

<<Signor Parker. No, poco più di un mese. Mi sono laureato in chimica a Yale da un anno e per me è un grande onore far parte dello staff del professor Hewson.>> 

“Sembra che reciti un copione”, pensò Françoise. 

<<Frank è un assistente molto preparato. Non me l’aspettavo. Il mio vecchio assistente purtroppo è morto a causa di un incidente stradale un paio di mesi fa. E così ho assunto lui. Si è presentato nel mio laboratorio con ottime credenziali.>> 

“Ma tu guarda caso…” 

<<E’ stato un colpo di fortuna per lei uscire dal ristorante prima l’altra sera. Si è risparmiato un bello spavento.>>, continuò Françoise. 

L’assistente sembrò sorpreso: <<Co… cosa?>> 

<<Anch’io e il mio… fidanzato eravamo nello stesso ristorante e vi ho visto andar via poco prima che suonasse l’allarme antincendio.>> 

L’assistente sembrò cominciare a innervosirsi: <<Ah sì. Ho avuto un leggero malore… così ho preferito tornare in albergo.>> 

<<Spero che stia bene adesso.>> 

<<Certo…>> 

Il cameriere arrivò con gli antipasti. 

<<Perché sei così curiosa riguardo a Frank?>>, chiese Sean. 

<<Ti ho fatto quest’impressione? Beh, sto con un giornalista. Credo che mi abbia un po’ influenzato.>> 

<<Comunque, anche se non hai proprio accettato il mio invito, sono contento di poter pranzare con te.>> 

Françoise si limitò a sorridere. 

Improvvisamente Hewson tirò fuori un piccolo contenitore cilindrico di argento, con dentro delle pillole. 

<<A cosa le servono?… Se non sono indiscreta.>> 

<<Niente di grave… solo un po’ di pressione alta. Ho sempre avuto di questi problemi. Le devo prendere a metà pasto.>> 

Françoise le guardò con attenzione. Notò le iniziali, “DH”, incise sopra il coperchio. C’era anche un minuscolo graffietto sotto la D. 

<<E’ molto ben fatto quel contenitore. E’ stato realizzato a mano.>> 

Hewson sembrò sorpreso: <<Se ne intende… Fu uno dei primi regali che mi fece Julia, la madre di Sean. Ho sempre dovuto prendere pillole, e così mi regalò questo contenitore. Mi disse che era un modo più elegante di portarmele dietro.>> 

<<Capisco…>> 

Arrivò il primo. 

<<Sua moglie doveva volerle molto bene.>> 

<<Sì, ma non era mia moglie.>> 

<<Cosa?>> 

Hewson posò la forchetta nel piatto: <<No. Non ci siamo mai sposati…>> 

<<E Sean, allora…>> 

<<Mia moglie rimase incinta… e questo mi spaventò. Non mi sentivo pronto al matrimonio, alla famiglia. Forse era così tanto l’amore che provavo per lei che ne ero addirittura spaventato… non mi sentivo pronto. “Mio Dio,” pensai, “ho 20 anni.” E poi avevo la scienza. Mi ero iscritto alla facoltà di chimica e biologia per caso, ma un mio professore mi fece venire la passione. Il professor Gilmour… non lo dimenticherò mai. Non volevo rinunciare a tutto. Così le dissi che non me la sentivo di… sposarmi. Che tuttavia avrei riconosciuto nostro figlio… e lei sparì. Non l’ho più rivista. Poi, tre anni fa, Julia mi telefona, dopo 22 anni. Non potrò mai dimenticare quel giorno. Mi disse che aveva un cancro, che presto sarebbe morta e che mi aveva chiamato perché mi prendessi cura di Sean. E, poi un anno dopo lei se ne è andata.>> 

<<Mi dispiace di averle ricordato dei momenti così tristi.>> 

Hewson sorrise tristemente: <<No, ogni tanto fa bene ricordare i propri errori. Aiuta a ricordarsi di non commetterli più.>> 

<<E così… lei era spaventato dai suoi sentimenti.>> 

Hewson annuì: <<Credo che fosse così.>> 

Parker in quel momento si alzò: <<Scusatemi un attimo.>> 

<<Certo.>>, disse Hewson. 

Poi il professore tornò a parlare con Françoise: <<Vedi, Françoise, l’amore è una cosa complicata. Lo vuoi con tutto te stesso, ma, quando lo trovi, quando pensi di averlo trovato è come se… dentro si attivasse un blocco. Ne hai paura.>> 

<<Ma la mamma ha sempre detto che lei ti avrebbe seguito anche in capo al mondo. Aspettava sempre una tua telefonata. Un messaggio. Che tu la venissi a cercare.>>, intervenne Sean. 

Hewson abbassò lo sguardo: <<Lo so Sean. Ma non ne ho mai avuto il coraggio. Amare è anche un atto di coraggio. Vuol dire vivere per un’altra persona, essere disposti ad annullarsi pur di dare qualcosa in più all’altro. Io non ho avuto il coraggio di annullare me stesso e… quello che ero. Hesse diceva che “Amare non è guardarsi l’un l’altro negli occhi, ma guardare insieme nelle stessa direzione”. Forse, allora, io non ho avuto il coraggio di guardare nella stessa direzione di Julia. E l’ho persa. E me ne pentirò per tutta la vita.>> 

Françoise rimase in silenzio. La storia del professore era molto triste e le dette da pensare. 

Intanto Frank tornò al tavolo. Ma quando si sedette sbattè contro una gamba e fece tremare tutto. 

<<Oh mio Dio. Scusatemi. Guarda che guaio che ho fatto. Sono sempre così disadatto.>>, cercò di scusarsi Frank mentre metteva a posto le cose che erano cadute sul tavolo. 

<<Non fa nulla, Frank. Capita.>> 

Il cameriere venne a ritirare i piatti. 

A quel punto Hewson prese il suo contenitore e ne tirò fuori due minuscole pillole ovoidali bianche. 

<<Posso vederlo?>>, chiese Françoise, indicando il contenitore. 

<<Certamente.>>, disse Hewson porgendoglielo. 

Non c’era che dire. Era veramente ben realizzato. 

<<Sean, potresti passarmi l’acqua?>>, chiese Hewson. 

<<Certo, papà.>> 

Sean passò la bottiglia al padre che si versò l’acqua dentro il bicchiere. Alzò il bicchiere dal tavolo e stava per infilarsi le pillole in bocca quando Françoise lo fermò, facendogli volare le pillole dalla mano colpendogliela da sotto. 

<<Ma cosa….?>>, fu la reazione di Hewson 

Sean era stupefatto: <<Françoise!>> 

<<Quelle non sono le sue pillole!>> 

<<Che cosa?>>, chiese Hewson con una faccia inebetita. 

<<Questo contenitore è diverso da quello che aveva prima e credo anche di sapere che l’abbia sostituito.>>, disse Françoise guardando Parker. 

Hewson era sempre più perplesso: <<Sei sicura di quello che dici?>> 

<<Il suo contenitore aveva un piccolo graffio sotto la D. Questo è intatto.>> 

Hewson prese in mano il contenitore che aveva dato a Françoise: <<E’ vero. C’era un graffio qui sotto. Adesso non c’è più. Ma era praticamente impossibile accorgersene. Come hai fatto a…>> 

<<Parker, le è andata buca anche questa.>> 

Joe apparve improvvisamente davanti a loro. 

<<Come osa?!>>, esplose Parker alzandosi in piedi. 

<<Françoise, dove?>>, disse Joe senza neanche degnarlo di attenzione. 

<<Il contenitore vero è dentro la tasca destra della giacca.>> 

Stavolta Joe si rivolse a Parker: <<Permette?>> 

Joe infilò una mano dentro la tasca destra della giacca di Parker e ne tirò fuori il contenitore vero, posandolo sul tavolo. Joe si rivolse di nuovo a Parker: <<Lei ha tentato di uccidere Hewson una prima volta al ristorante, mettendo una microbomba sotto il tavolo. Poi se n’è andato con una scusa per non rimanere coinvolto nell’esplosione. E adesso ci ha provato qui. Non le resta che confessare chi sono i suoi mandanti.>> 

<<Io…>> 

<<Tutti giù!>>, urlò improvvisamente Françoise. 

Il vetro dietro di lei si infranse e una pallottola prese in piena fronte Parker, zittendolo per sempre. 

<<Maledizione…>>, imprecò Joe. 

<<La pallottola veniva da una macchina qua fuori che si sta allontanando a grande velocità.>>, disse Françoise. 

Joe si guardò in giro: <<Le guardie del corpo… c’erano dentro anche loro.>> 

Joe corse fuori e, grazie al suo acceleratore, in pochi secondi raggiunse la macchina dei fuggitivi. Apparve loro davanti all’ultimo momento, e istintivamente l’autista sterzò, perdendo il controllo e finendo contro un muricciolo, dove l’auto si fermò. Joe si avvicinò velocemente all’automobile e ne estrasse prepotentemente un passeggero. 

<<Ahi!... Maledetto. Fai piano.>> 

Era decisamente ancora vivo. 

<<Chi vi ha mandato?>> 

<<E io lo vado a dire a te.>> 

<<Bene.>> 

Joe gli prese un braccio, e cominciò a torcerlo: <<Allora?>> 

<<Va bene, va bene… te lo dico. Michael Marsch. Il nostro mandante è Michael Marsch.>> 

Joe lasciò la presa: <<Ok. Ora lo direte anche alla polizia. Tanto con quella gamba fratturata non andrai da nessuna parte, per cui ti lascio qui.>> 

In lontananza si sentivano già le sirene. 

Joe azionò l’acceleratore e in pochi istanti fu in albergo. 

Trovò Hewson, suo figlio e Françoise che aspettavano nella hall dell’albergo. Sul luogo era arrivata anche la polizia. 

<<Tutto a posto?>>, chiese Françoise quando fu giunto da loro. 

<<Sì. Loro…>> 

<<Sanno già tutto.>>, disse Françoise 

Hewson li guardò entrambi, restando seduto: <<E così voi siete due dei cyborgs creati dal professor Gilmour. Incredibile…>> 

<<Il professor Gilmour era molto preoccupato per lei. Quindi ci ha chiesto di darle un’occhiata.>>, disse Joe. 

<<Vi devo la vita. Non saprò mai come ringraziarvi.>> 

<<Tanto per cominciare potrebbe andare a parlare alla Conferenza. Il suo intervento è previsto fra soli 20 minuti.>>, disse Françoise. 

<<Certo avete ragione. Vado subito…>> 

Hewson strinse le mani a entrambi i cyborgs e si diresse in tutta fretta verso la sala conferenze. 

<<Françoise, io ti aspetto in camera.>>, disse Joe. 

<<Sì, arrivo subito.>>

Joe se ne andò, non senza guardare di sfuggita Sean che era rimasto lì fermo.

Sean seguì Joe con lo sguardo, poi: <<Françoise, io…>> 

<<Sean, tu non vai?>>, chiese Françoise. 

<<Io volevo solo dirti che, anche se ci conosciamo da poco, penso proprio che mi fossi preso una bella cotta…>> 

<<Sean, io…>> 

<<Però so benissimo che sei innamorata di un altro… me lo hai detto chiaro e tondo l’altra sera… e lo accetto.>> 

<<Io non ti ho detto che sono innamorata di un altro.>> 

Sean sorrise: <<Certe cose parlano da sole. Dovresti vedere come ti brillavano gli occhi quando è apparso da quella porta… e, detto fra noi, anche a lui brillavano. Vi auguro di essere felici.>> 

Sean le si avvicinò e l’abbracciò. Poi se ne andò anche lui verso la sala. 

 

Epilogo

 

Françoise salì in camera. Joe era affacciato al balcone e sembrò appena accorgersi che lei fosse entrata. Françoise restò un istante ferma davanti all porta, indecisa sul da farsi. Poi si diresse verso di lui e si mise al balcone accanto a lui: <<Vorrei chiederti scusa per ieri sera... ho esagerato con quello schiaffo.>>

Joe si sfiorò la guancia che era stata colpita: <<Beh, forse me lo sono meritato... Anzi, sono io che dovrei scusarmi.>>

<<Io non riesco a capire come comportarmi con te. Un attimo prima sei capace di far... far sentire una ragazza una principessa. Un istante dopo cambi atteggiamento... Non so se...>>

<<Forse è perché nemmeno io...>>

Joe non finì la frase. Françoise lo guardò per qualche secondo, in silenzio. Ma quando capì che non avrebbe concluso la frase, non riuscì a dire niente, per quanto ne avesse di domande. 

<<E Sean?>>, chiese Joe.

<<Sean cosa?>>

<<Beh, direi che mi sembrava piuttosto interessato a te.>>

Françoise sorrise: <<Uhm... sì. Credo anch'io... Ma non fa per me.>>

<<Perché non fa per te?>>, chiese Joe con un'espressione perplessa.

Françoise sembrò pensare un attimo alla risposta più adatta: <<Perché... è decisamente un ragazzo troppo bravo.>>

<<Preferiresti un teppista?>>

<<No, forse sono semplicemente una di quelle ragazze che cercano la storia complicata, ambigua, con quel tipo di ragazzo che non ti fa mai capire come la pensa. O forse più che cercarla, semplicemente... la si trova. Avevi paura che me ne andassi con lui?>>

Joe sbarrò gli occhi: <<Cosa?>>

<<Eri geloso per caso?>>

<<Stai scherzando?!>>, disse Joe con un'espressione accigliata.

<<Uhm... che strano... eppure mi sembrava di averti visto ieri sera nella sala del piano. E oggi, che sei stato tutto il tempo a fare in modo che io no ti vedessi...>>

<<Forse... un po'.>>, ammise Joe.

Françoise si sorprese. Non era da lui fare ammissioni del genere. Le sfuggì un sorriso.

<<Oh,>> disse improvvisamente Françoise, <<quasi mi dimenticavo.>>

Françoise tornò in camera e andò a rovistare in una borsa. Se ne tornò sul balcone con un pacchetto, sotto gli occhi sorpresi di Joe.

<<Oggi è il 16 maggio. Buon compleanno.>>, gli disse Françoise porgendogli il pacchetto.

Joe guardò prima lei, poi il pacchetto che aveva in mano. Dopo qualche secondo di perplessità lo aprì.

<<E' una cravatta. Io non so che dire se non... grazie. Non credo di averne di così belle.>>

<<Bene, mi fa piacere che ti sia piaciuta. Però... vorrei legartela sempre io, se permetti.>>

Joe la guardò sorridendo: <<Tanto non imparerò mai.>>

Françoise gli legò la cravatta attorno al collo, con la stessa abilità mostrata pochi giorni prima. Si ritrovò ad alzare gli occhi e incontrò quelli di Joe, fissi su di lei. Erano così vicini che avrebbero potuto...

Sentì un'ondata di calore farle arrossire il volto e distolse immediatamente lo sguardo, scostandosi da lui e dirigendosi verso il balcone. Joe la seguì con lo sguardo, rimanendo fermo e aggiustandosi la cravatta, che sentiva un po' troppo stretta intorno al suo collo. Dopo qualche istante la raggiunse, fermandosi accanto a lei, che teneva lo sguardo basso. Sembrava stesse guardando il fiume.

<<Qualcosa non va?>>, le chiese cercando di scrutare la sua espressione.

Françoise restò in silenzio qualche secondo: <<Va tutto benissimo...>>, improvvisamente il suo sguardo fu attirato da qualcosa, nel cielo <<Che strana quella nuvola.>>

Joe alzò gli occhi, guardando nella sua stessa direzione. Vide una nuvola di forma oblunga e vaporosa, contornata dal colore arancione del cielo.

<<Hai ragione.>> ammise <<E'... particolare.>>

Restarono a guardare quella nuvola nel cielo per un bel po' di minuti, mentre la sera calava sulla città.

 

F I N E

 

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