Fields of gold

(N.d.Laus: Il titolo, in italiano sarebbe "campi di oro", riprende quello di una bellissima canzone di Sting.)
di Laus

 

Prologo
Parte I
Parte II
Parte III
Parte IV
Parte V
Parte VI
Parte VII
Parte VIII
Parte IX
Parte X
Parte XI
Parte XII
Parte XIII
Epilogo

      

 

Prologo

 

La vallata si stendeva ampia e verde davanti a lui. Qua e là c’erano casolari isolati, con i terreni ben delimitati dai recinti di pietre accuratamente costruiti dai loro proprietari. Il cielo, come quasi sempre di quei tempi, era coperto. Nell’aria c’era un vago odore di erba bagnata.

L’uomo, un tipo non troppo alto, di corporatura piuttosto robusta, dai capelli rossicci e riccioluti, era fermo lì da un po’. Amava quel posto. Era silenzioso. La vista che offriva dava un senso di pace e tranquillità. Estrasse il suo orologio da taschino e lo aprì. Erano quasi le 5 di sera. Era ora di tornare a casa. L’uomo ripose l’orologio nel taschino, e lanciò un sonoro fischio di richiamo. Pochi istanti dopo un tipico setter bianco e rosso stava correndo a gran velocità verso di lui.

<<Max, qua. A casa.>>

Il cane si accodò al padrone, che si era già avviato. La strada per tornare verso il villaggio era una via mai asfaltata, che passava attraverso una larga pianura, costeggiata da campi, case isolate e erba. L’uomo l’aveva percorsa tantissime volte, nel corso della sua vita. Sin da quando era bambino. Allora era suo padre a portarlo là. Adesso era lui che ci andava da solo, quando portava Max a fare la sua passeggiata fuori. Conosceva ogni palmo di quella strada. Riusciva a riconoscere se una pietra era stata mossa, un ramo spezzato.

Max ogni tanto si fermava, annusando i ceppi a lato della strada, gli alberi, cercando un posto dove lasciare il segno del suo passaggio. Poi raggiungeva il suo padrone.

Si sentì il rumore inconfondibile delle ruote di un carro da fieno. L’uomo si fermò, guardandosi indietro, da dove proveniva il rumore. Max si sedette sulle zampe posteriori, accanto al padrone. Il carro si avvicinò a loro, adagio, fino a fermarsi proprio accanto.

<<Salve Gerard.>>, salutò il conducente del carro, rivolgendosi all’uomo <<Ciao Max.>>

Il cane abbaiò una volta, rispondendo a suo modo al saluto.

<<Salve a te, Alfred.>>, disse l’uomo accarezzando Max sulla testa.

<<Hai bisogno di un passaggio?>>, chiese Alfred indicando con un cenno della testa in direzione del villaggio.

Gerard sembrò pensarci un attimo, poi scosse la testa: <<No, preferisco fare una passeggiata fino a casa. Ti ringrazio comunque.>>

<<Come vuoi.>>, rispose l’altro <<Allora ci vediamo uno di questi giorni.>>

Gerard annuì col capo, seguendo il carro andare via con lo sguardo: <<Certamente.>>

Il carro ricominciò la sua corsa lenta verso il paese. Gerard restò immobile a guardarlo finché non fu diventato un punto lontano. Poi fece un cenno a Max, ricominciando a camminare. Il cane non se lo fece ripetere due volte. Si rimise su quattro zampe e seguì il padrone.

La strada non era lunga, ma Gerard se la prendeva comoda, fermandosi ogni tanto a guardare la pianura. Max non faceva una piega, a volte fermandosi seduto accanto al padrone, a volte annusando per terra come un vero segugio, cercando chissà cosa. A un certo punto la strada polverosa deviava verso una strada asfaltata, che era quella che portava al paese. Da lì ci volevano non più di cinque, dieci minuti. Appena entrati sulla striscia d’asfalto, dopo pochi passi, una macchina si accostò a loro, facendoli fermare.

Il finestrino della macchina si abbassò. Un uomo dal cranio pelato e dalla faccia strana, in qualche modo buffa, si sporse verso di lui: <<Salve, sir. Mi saprebbe dire la strada per la residenza di Sir Nigel Kensington?>>

Gerard aggrottò la fronte, con una smorfia. L’uomo era inglese, senza ombra di dubbio. L’accento era inconfondibile. Istintivamente dette un’occhiata anche agli altri due passeggeri che c’erano nell’auto. Sul sedile accanto a quello di guida sedeva un uomo dai capelli di un raro colore argentato, nonostante non dovesse avere più di trenta, trentacinque anni. Dietro era seduta una ragazza, molto giovane.

“Strano trio.”, pensò Gerard.

<<Non lo sa?>>, chiese il pelato inglese <<Fa nulla. La ringrazio lo stesso.>>

L’uomo stava già per ripartire, quando Gerard lo fermò con un gesto della mano: <<Aspetti.>>, disse <<Seguite questa strada, per circa un cinquecento, seicento metri. A quel punto troverete una strada, sulla destra. E’ un viale alberato. Non potete sbagliare. Da lì arriverete presto a un cancello. Quella è la proprietà di Kensington.>>

L’uomo pelato sorrise: <<La ringrazio.>>, disse <<Arrivederci.>>

<<Prego.>>

La macchina ripartì e Gerard la guardò allontanarsi.

<<Kensington…>>, disse a bassa voce, sospirando profondamente.

Quel nome era legato a tanti ricordi e avvenimenti della sua vita. E nessuno di essi era piacevole.

<<Andiamo, Max.>>

Ricominciò a camminare verso casa.

 

<<I’ll walk home again to the street melody.>>, da “Shadows and tall trees”, U2[1]

 

 

Parte I

 

 

<<Il signor Kensington vi raggiungerà fra pochi minuti.>>, disse loro il maggiordomo facendoli accomodare in un grazioso salottino, arredato tipicamente all’inglese.

<<Grazie.>>, disse Bretagna rivolgendosi all’anziano servitore.

Il maggiordomo fece un accenno di inchino e chiuse la porta, lasciandoli soli.

<<Certo che il tuo amico non se la deve passare troppo male.>>, commentò Albert guardandosi intorno.

I divani e le poltrone erano di velluto blu di prima qualità, disposti su tre lati in mezzo alla stanza, con vista sul caminetto, acceso. Attorniavano un delizioso tavolino stile Luigi XVI, con sopra una scatola da tabacco in argento e un vaso di cristallo di Boemia, riempito di rose bianche. Un pianoforte a coda si stagliava maestoso davanti all’ampia finestra che dava su un enorme distesa verde, dall’erba e le siepi perfettamente curate. Una distesa che chiamare giardino era troppo riduttivo. Nella stanza erano presenti anche un comò a cassettoni, nello stesso stile del tavolo in mezzo ai divani, sopra il quale vi era una vasta collezione di animali di argento.

Françoise si mise a guardarli incuriosita.

<<Mia moglie amava quei soprammobili a forma di animale. Me ne ha riempito la casa.>>

La ragazza si voltò verso la voce, ma non ebbe nemmeno il tempo di parlare, perché Bretagna si lanciò sull’uomo stringendogli la mano e posandogli una mano sulla spalla: <<Nigel, vecchio mio, come va?>>

<<Me la cavo, Bretagna.>>, disse Kensington sorridendo <<Me la cavo.>>

Era un uomo di media altezza, dall’aspetto serio e metodico. I capelli castani erano accuratamente tagliati, così come la barba. Portava un maglione di cashmere sopra i pantaloni perfettamente stirati. Nonostante fosse un abbigliamento informale, il portamento orgoglioso dell’uomo che lo indossava, lo faceva apparire elegante.

<<Lascia che ti presenti i miei due amici: lui è Albert Heinrich.>>

Albert aveva già proteso la sinistra verso di lui: <<Piacere di conoscerla, signor Kensington.>>

L’uomo strinse la mano ad Albert, sorridendo: <<Il piacere è mio, signor Heinrich.>>

<<Questa invece,>>, disse Bretagna alzando la mano verso l’amica <<è la mia amica Françoise Arnoud.>>

L’uomo prese delicatamente la mano di Françoise, baciandola come un vero gentiluomo: <<Enchantée, mademoiselle Arnoud.>>

<<Enchanté de vous connaitre[2], monsieur Kensington.>>, disse Françoise sorridendo <<Il suo accento è ottimo.>>

<<Sono un ex-diplomatico, signorina Arnoud.>>, spiegò Kensington <<Sapere le lingue faceva parte del mio lavoro.>>

La ragazza notò una certa malinconia negli occhi dell’uomo mentre aveva detto “ex-diplomatico”. Ma non commentò.

<<Vi prego, accomodatevi.>>, li invitò Kensington sedendosi su una poltrona. Ogni suo minimo gesto denotava eleganza e sicurezza. Anche il modo di mettersi a sedere <<Fra poco Herbert servirà il tè.>>

I tre accolsero l’invito. Bretagna si sedette sull’altra poltrona, proprio di fronte a Kensington, mentre Françoise e Albert presero posto sul divano.

<<Allora, Bretagna.>>, esordì il padrone di casa incrociando le gambe e posando le mani, una sopra l’altra, sul ginocchio <<Che cosa ti porta da me dopo tanto tempo?>>

Bretagna respirò profondamente: <<Bene, Nigel. Andiamo subito al sodo.>>, disse <<Come sono i rapporti fra protestanti e cattolici in questa zona dell’Ulster?>>

Kensington annuì gravemente, rimanendo qualche secondo in silenzio: <<Uhm… questo è un piccolo paesino di campagna, Bretagna.>>, disse <<Con questo non voglio dire che i rapporti siano buoni… ma diciamo che… conviviamo nell’indifferenza. Qui non siamo a Belfast. Non so se rendo l’idea.>>

Bretagna annuì, soppesando le parole del vecchio amico. Ma fu Albert a parlare: <<Quindi, secondo lei, è improbabile che l’IRA nasconda suoi componenti in questa zona.>>

Nigel alzò le spalle: <<Beh, io di sicuro sono l’ultima persona che verrebbe a conoscenza di una cosa del genere.>>

Bussarono alla porta: <<Il tè, signore.>>

<<Vieni pure avanti, Herbert.>>

L’anziano maggiordomo entrò, con in mano un vassoio d’argento. Lo appoggiò con la maestria venuta da tanti anni di lavoro sul tavolo davanti a loro.

<<Grazie Herbert. Va’ pure.>>, lo congedò Kensington.

<<Va bene, sir.>>, disse il maggiordomo accennando il solito inchino, e poi scomparendo con discrezione, così come era comparso.

Fu lo stesso Kensington a prendere la teiera e a versarne il contenuto fumante nelle quattro tazze di fine ceramica inglese. La bevanda emanava un odore forte e intenso: <<Desidera un po’ di latte, signorina Arnoud?>>

<<No, grazie.>>

<<Zucchero?>>

<<Nemmeno.>>, rispose lei <<Solo una fettina di limone, per favore.>>

Kensington le porse la tazza col suo piattino a Françoise.

<<Grazie.>>

<<Prego. E lei, signor Heinrich?>>

<<Solo tè e limone.>>, rispose lui <<Grazie.>>

<<Tu latte e due zollette di zucchero. Vero Bretagna?>>

Bretagna spalancò gli occhi incredulo: <<Ti ricordi ancora?>>

<<Certo.>>, rispose Kensington porgendogli la sua tazza.

Infine, si versò il suo tè, con un po’ di latte e una zolletta di zucchero, e si rimise a sedere, rigirando la bevanda con un cucchiaino: <<Vi consiglio altamente di assaggiare i biscotti. Martha è una cuoca eccezionale.>>, disse <<Ma ora ditemi. Perché queste domande? Questa è sempre stata una zona tranquilla.>>

I tre si guardarono l’un l’altro, perplessi.

<<Vedi, Nigel…>>, riprese Bretagna <<Abbiamo motivo di credere che l’IRA stia organizzando qualcosa in questa zona.>>

<<Un grosso commerciante di armi ha sicuramente inviato suoi emissari in queste zone negli ultimi tempi.>>, aggiunse Françoise <<Le informazioni in nostro possesso sono praticamente certe.>>

Kensington restò silenzioso per qualche istante, fissando un punto indefinito del grande tappeto nain[3], con uno sguardo da cui era impossibile estrarre qualunque informazione sui suoi pensieri. Poi alzò gli occhi verso Bretagna, appoggiando i gomiti sui braccioli della sua poltrona e tenendo le mani intrecciate davanti al suo addome: <<Non saprei proprio. Come vi ho detto sono senz’altro l’ultima persona che verrebbe a conoscenza di una cosa del genere.>>, disse <<E come sai bene, Bretagna, ho smesso di interessarmi di questo problema da anni. Piuttosto tu… io sapevo che impersonavi i personaggi shakespeariani. Non quelli di Ian Fleming[4]. Vorresti spiegarmi?>>

Albert e Françoise dovettero sforzarsi parecchio per trattenersi dal ridere, ma tuttavia non poterono fare a meno di lasciarsi scappare un sorriso. Bretagna li guardò di sbieco, posando poi la sua tazza di tè sul tavolo e prendendo un biscotto dalla ciotola sul vassoio. Ne assaggiò un morso e i suoi occhi si allargarono piacevolmente sorpresi: <<Veramente ottimi.>>, disse finendo poi il biscotto. Quando ebbe ingoiato il pezzo riprese a parlare <<Diciamo che questa di… “007” è un’attività che pratico a tempo perso. Credimi, Nigel, non posso dirti di più. D’altronde io non ti ho mai chiesto perché tu hai smesso di fare il diplomatico.>>

Kensington annuì: <<Beh, credo di poter rispondere facilmente: avevo perso le mie motivazioni e i miei stimoli.>>, disse <<Ma non preoccuparti. Non ti chiederò altro riguardo alla tua… “attività a tempo perso”. Né a te né ai tuoi colleghi.>>, disse voltandosi a guardare Albert e Françoise.

<<Ti ringrazio, Nigel.>>, disse Bretagna con un sorriso di tacita gratitudine.

<<Anzi… Al telefono mi hai detto che dovevi restare da queste parti per un po’.>>, disse l’uomo <<Sarò felice di ospitarvi in casa mia.>>

Bretagna guardò i suoi due compagni con uno sguardo di intesa: <<Sei veramente un amico, Nigel. Ma…>>

<<Niente “ma”, Bretagna.>>, lo interruppe lui <<Siamo vecchi amici, e in amicizia i “ma” non esistono. Nel momento in cui ne compaiono, vuol dire che il rapporto è venuto a logorarsi. E forse è già troppo tardi.>>

Bretagna storse la bocca in una specie di smorfia, restando qualche secondo in silenzio. Infine annuì: <<Come vuoi, Nigel.>>

L’uomo sorrise accondiscendente. Poi il suo sguardo si spostò verso un grande e meraviglioso orologio a pendola. Anche quello sembrava molto antico e prezioso. Erano quasi le 6: <<Bene.>>, disse alzandosi <<E’ stato un piacere fare la vostra conoscenza, signori. Adesso, vogliate scusarmi, ma ho un delle cose da fare. Darò disposizioni ad Herbert perché prepari le vostre stanze. Fate come se foste a casa vostra. Io sarò nel mio studio.>>

<<Va bene , Nigel.>>, rispose Bretagna <<Ti ringraziamo.>>

Kensington fece un inchino accennato e uscì dalla stanza. I tre, rimasti soli, lasciarono passare alcuni istanti di silenzio.

Albert ridette un’occhiata attorno a sé: <<Uhm… certo che il tuo amico non se la passa affatto male.>>, disse sottolineando le parole con una smorfia del viso.

Bretagna si stava lisciando il mento: <<Tu dici?>>

<<Dico: stai scherzando?!>>, gli rispose Albert spalancando gli occhi <<Basta vedere com’è arredata questa stanza per capire che non se la passa male!>>

Bretagna sospirò profondamente: <<No, io non intendevo dal punto di vista economico.>>, spiegò <<La famiglia di Nigel è sempre stata ricca. Io mi riferivo al punto di vista morale.>>

<<Cosa intendi dire?>>, chiese Françoise perplessa.

Bretagna alzò gli occhi verso di lei, con uno sguardo malinconico: <<E’ molto cambiato.>>, disse <<Un tempo era un uomo gioviale, seppur sempre composto e cordiale. Aveva una luce diversa negli occhi. Non lo sguardo triste di adesso.>>

Albert e Françoise si scambiarono uno sguardo significativo, poi guardarono nuovamente Bretagna, che si era di nuovo immerso nei suoi pensieri.

<<Bretagna,>> riprese Albert <<Tu ci hai detto che Kensington è un tuo vecchio amico, ma non ci hai spiegato come fai a conoscerlo.>>

L’attore si mise comodo nella poltrona, incrociando le gambe e posando le mani intrecciate sullo stomaco. Alzò gli occhi verso il soffitto, decorato con uno splendido affresco raffigurante il trionfo della natura. Improvvisamente la sua mente viaggiò lontano nel tempo, parecchi anni prima: <<Io e Nigel ci siamo conosciuti quando lui faceva l’università a Oxford.>>, cominciò a raccontare <<La piccola compagnia in cui ero allora campava organizzando spettacoli per le università. Ricordo che lui venne a tutte le rappresentazioni dell’Amleto. Fummo in scena una settimana. E lui venne tutti i santi giorni. Sempre al primo posto. E sempre attento. L’ultimo giorno mi aspettò all’uscita, appositamente per farmi i complimenti per come avevo interpretato Amleto.>>

<<E’ una cosa fantastica…>>, disse Françoise con gli occhi che quasi le brillavano.

Bretagna la guardò sorridente. Già, anche lei era una persona di teatro. Poteva facilmente capire cosa volesse dire ricevere un complimento, anche se da parte di un perfetto sconosciuto: <<Già.>>, continuò <<Io allora ero un attore inesperto e giovane. Ogni commento di questo genere per me era… un incentivo a continuare.>>, disse <<Ma lui non fece solo questo. Fece di più. Mi chiese le date di tutte le nostre rappresentazioni perché voleva venire a vederci, se fosse stato possibile.>>

<<E come rimaneste in contatto?>>, chiese Albert.

<<Sì.>>, rispose <<Quando poteva, veniva. E pian piano facemmo amicizia. Credo di non aver mai incontrato uno che ne sapesse di Shakespeare quanto ne sapesse lui. E tra questi includo anche i più grandi critici teatrali e  professori di letteratura inglese. Ma la sua era pura passione. Era questa la cosa fantastica.>>

<<Immagino che a quel punto,>> disse Françoise <<Il suo giudizio positivo sulle tue interpretazioni avesse un valore molto più alto di quanto tu potessi immaginare.>>

<<Esatto, mia cara.>>, disse <<Il suo giudizio per me era veramente importante. Anche perché non è che chiudesse un occhio perché ero un suo amico. Era sempre sincero. Se ero stato bravo me lo diceva chiaramente. Se la mia interpretazione non gli era piaciuta, me lo diceva senza mezzi termini.>>

<<E poi cosa è successo?>>, chiese Albert <<Hai detto che non vi vedevate da molto tempo.>>

Bretagna sospirò: <<Nigel ha cominciato a impegnarsi a fondo nella carriera politica.>>, disse <<Lui sognava un Ulster pacifico, dove protestanti e cattolici riuscissero a convivere in pace. Non aveva più molto tempo per stare dietro alla passione del teatro. Così veniva a vedermi solo quando poteva. Sempre più raramente. E quattro anni fa…>>

Bretagna abbassò gli occhi, sospirando profondamente.

<<Cosa è successo quattro anni fa?>>, chiese Albert.

<<Ha forse a che fare con sua moglie?>>, cercò di indovinare Françoise <<Prima ne ha parlato al passato.>>

Bretagna guardò la ragazza con gli occhi che tradivano una certa commozione: <<Esattamente.>>, disse <<Quattro anni fa sua moglie, Shannen, è morta.>>

<<Ma è terribile!>>, esclamò Françoise scioccata.

<<Già.>>, disse Bretagna annuendo gravemente << Il suo corpo fu ritrovato parecchi giorni dopo la sua scomparsa da un pescatore a largo della costa nord orientale dell’isola. Brandelli dei suoi vestiti e sue tracce organiche furono ritrovate su un alto scoglio a picco sul mare. La polizia archiviò il caso come suicidio. Ma Nigel era convinto che si trattasse di omicidio. Shannen non aveva nessun motivo di andare fin là. Era un posto che non conosceva assolutamente. Ma le prove non c’erano.>>

Albert storse le labbra in una smorfia: <<Aveva qualche sospetto su chi potesse essere stato?>>

Bretagna annuì: <<Lui era convinto che fosse stata l’IRA. Un chiaro segnale per fargli smettere di cercare di mettere d’accordo cattolici e protestanti. Ma non c’è mai stata nessuna rivendicazione.>>

<<E’ allora che ha smesso di fare… il diplomatico?>>, chiese Albert.

<<Sì… praticamente sì.>>, rispose l’attore con occhi malinconici <<Ricordo che in una lettera successiva mi scrisse qualcosa del tipo: “mi sembra di aver fatto tanta fatica per niente. Forse non ho mai capito niente”.>>

<<Aveva perso stimoli.>>, commentò Albert quasi ripetendo l’espressione usata dallo stesso Kensington poco prima.

<<Sì, aveva perso stimoli.>>, continuò Bretagna <<E così decise di ritirarsi dalla vita pubblica, tornando a vivere stabilmente qui. Dove era nato e cresciuto. Dove la sua famiglia vive da tantissimo tempo. E da allora io ho avuto poco modo di vederlo e di sentirlo. Nigel si è mosso raramente da questa sua specie di eremo.>>

Nella stanza scese un silenzio colmo di tristezza. Solo il crepitio del fuoco nel caminetto e il rumore di una pioggia, iniziata da chissà quanto, faceva da sottofondo sonoro alla scena.

Qualcuno bussò alla porta.

<<Avanti.>>, disse Bretagna.

Era Herbert: <<Ho sistemato le camere per lor  signori. Mi sono anche permesso di portare i vostri bagagli nei vostri alloggi.>>, disse <<Se volete seguirmi, ve li mostrerò.>>

<<Grazie Herbert.>>, disse Bretagna alzandosi insieme agli altri.

I tre seguirono l’anziano maggiordomo fuori dalla stanza, ritrovandosi in un lungo corridoio dal quale erano venuti. Da lì si vedeva perfettamente la porta d’ingresso. Proprio in quel momento suonarono alla porta.

<<Vogliate scusarmi.>>, disse Herbert dirigendosi verso la porta.

I tre guardarono incuriositi verso l’ingresso, aspettando di vedere comparire il nuovo arrivato.

<<Buonasera milady.>>, disse Herbert alla persona che vide appena aprì la porta.

<<Salve, Herbert.>>

Bretagna sbiancò evidentemente, sbarrando gli occhi: <<No, non è possibile!>>

 <<Cosa non è possibile?>>, chiese Albert guardandolo incuriosito.

Intanto, nell’ingresso, era comparsa una donna. Gli abiti un po’ bagnati per la pioggia. Non appena si accorse dei tre visitatori li guardò prima perplessa. Poi fece un cordiale sorriso: <<Buonasera, signori. Ho per caso il piacere di conoscervi?>>, chiese togliendosi il soprabito e porgendolo ad Herbert.

<<Buonasera.>>, disse Albert sorridendo <<Il mio nome è Albert.>>

<<Io sono Françoise. Piacere di conoscerla.>>

La donna sorrise senza mostrare i denti: <<Molto piacere. Siete per caso…>> si bloccò vedendo il terzo visitatore. Non l’aveva riconosciuto senza i capelli <<Brit!>>

“Brit!?”, pensarono Françoise ed Albert nello stesso istante, senza neanche saperlo.

Bretagna cercò di sorridere, senza riuscire tuttavia a nascondere un certo imbarazzo: <<Salve Angela.>>, disse con voce tremante <<Come stai?>>

 

<<When the violence causes silence, we must be mistaken.>>, da “Zombie”, Cranberries[5]

 

 

Parte II

 

 

<<La cena è di vostro gradimento?>>, chiese il signor Kensington seduto a capo della grande tavola.

<<Ottima direi.>> disse Bretagna ingoiando l’ennesima fetta di roast-beef <<Avevi ragione, Nigel. Martha è una cuoca eccezionale. Dopo vorrei farle i miei più sinceri complimenti.>>

Kensington sorrise, bevendo un sorso di vino: <<Questo vino è della sua terra, signorina Arnoud.>>

<<Sì, ho riconosciuto.>>, disse lei sorridendo <<Non so dire l’annata, ma è sicuramente un bordeaux.>>

<<Ha indovinato!>>, esclamò Kensington bevendo un altro piccolo sorso.

<<Mi tolga una curiosità.>>, intervenne Albert <<A chi appartiene quel coperto davanti a quella sedia vuota?>>, chiese indicando con lo sguardo un posto vuoto davanti a lui.

Kensington ripose il bicchiere da vino al suo posto, davanti a lui, e si asciugò appena le labbra con il tovagliolo, che poi posò nuovamente sopra le sue gambe, sotto la tovaglia: <<A mia figlia Evelyn.>>, disse <<Mi scuso per la sua assenza. Avrà avuto un contrattempo. Non sapeva che avremmo avuto ospiti.>>

<<Già, tua figlia.>>, disse Bretagna alzando gli occhi di nuovo in viaggio nella sua memoria nel cercare di ricostruire il volto della ragazza <<Adesso ha… 16 anni mi sembra. Vero?>>

Kensington sospirò: <<Già, ha 16 anni. >>, disse accennando un sorriso <<Ma per me è sempre la bambina che giocava sulle mie ginocchia.>>

<<Sei sempre il solito esagerato, Nigel.>>, disse Angela <<Evelyn è cresciuta parecchio negli ultimi anni. Non so se te ne sei accorto.>>

<<Sì, sorella cara.>>, disse Kensington quasi ridendo <<Hai ragione. Ma in fondo anche papà era così con te,no?>>

Angela piegò le labbra all’insù in un lieve sorriso: <<Appunto per questo te lo dico.>>, disse <<Rischi che perda la testa per qualche attore da strapazzo che poi la abbandonerà, sola e sconsolata, a due passi dall’altare.>>

Bretagna deglutì visibilmente, tanto che gli andò di traverso il sorso di vino che stava bevendo. Si mise a tossire e solo le pacche di Albert sulla schiena lo fecero riavere.

<<Accidenti milady.>>, disse Albert mentre batteva la schiena all’amico <<Lei ha una mira migliore di quella di Robin Hood, lo sa? Però mi risulta difficile immaginare che una donna così affascinante si sia invaghita di questo sgorbietto.>>

<<Parli tu che hai i capelli bianchi a 30 anni?>>, ribatté Bretagna stizzito, in preda agli ultimi colpi di tosse.

<<Almeno io i capelli ce l’ho.>>, disse l’altro ridendosela <<E poi questo è il mio colore naturale.>>

<<Al diavolo.>>, disse Bretagna accompagnando l’espressione con un gesto della mano.

Intanto un po’ tutti si erano messi a ridere. Quando si fu ristabilita una parvenza di calma, Angela riprese la parola: <<Beh, signor Heinrich, allora ero una ragazza giovane e sprovveduta. Una ribelle nata.>>, rispose <<Conobbi Brit dopo averlo visto interpretare Re Lear. Me lo presentò Nigel. A suo modo, lo trovavo affascinante. Anche se nemmeno allora era un bell’uomo.>>

<<Grazie tante, cara.>>, rispose Bretagna in tono offeso, girato dall’altra parte.

<<E cos’è questa storia dell’altare?>>, chiese Françoise incuriosita.

Bretagna si voltò di nuovo verso la tavola: <<Quando ti ho detto che ti avrei sposato ero ubriaco!>>, si difese.

<<Però l’hai detto.>>, ribatté Angela sogghignando divertita <<E, cosa ancora peggiore, io ci ho creduto.>>

Herbert entrò discretamente nella stanza, ricevendo la silenziosa benedizione di Bretagna per aver messo almeno in pausa una situazione che si faceva imbarazzante: <<Posso servire il dessert, sir Kensington?>>

<<Certo, Herbert.>>, rispose il padrone di casa.

Herbert iniziò a togliere i piatti del secondo. Proprio in quell’istante la porta si aprì nuovamente.

<<Buona sera.>> la ragazza, molto giovane, aveva lunghi capelli castani che le scendevano lisci dietro le spalle. Guardava la tavola sorpresa. Soprattutto i tre sconosciuti <<Piacere di conoscervi.>>, disse con voce incerta <<Io sono Evelyn. Scusate il ritardo. Non sapevo che ci fossero ospiti.>>

<<Evelyn, non mi riconosci?>>, disse Bretagna sorridendo <<Beh, non ci vediamo da parecchio però…>>

La ragazza aggrottò la fronte, mettendosi a sedere: <<Non…>>, poi alzò le sopracciglia annuendo lentamente <<Adesso ricordo. Lei è l’amico attore di papà… Bretagna, mi pare.>>

L’attore fece un sorriso che gli andava da parte a parte: <<Mi fa piacere che ti ricordi.>>, disse <<Questi due sono Albert e Françoise, due miei amici.>>

<<Molto piacere.>>, disse Evelyn abbassando appena la testa.

<<Dove sei stata fino ad adesso?>>, chiese Kensington in un tono gentile, ma autoritario.

Evelyn sembrò pensarci un attimo: <<Sono andata a fare una passeggiata, mi sono seduta sotto la grande quercia a leggere e non mi sono accorta del tempo che passava.>>

<<Ma se è buio.>>, obiettò padre non troppo convinto, corrugando la fronte.

<<Avevo con me una piccola torcia.>>, rispose lei <<Sai che amo leggere sotto quell’albero.>>

Kensington non sembrava molto convinto, tuttavia non chiese ulteriori spiegazioni.

<<Signorina Evelyn, cosa le porto?>>, chiese Herbert approfittando del silenzio che si era venuto a creare.

<<Uhm… porta il dessert anche a me, Herbert.>>, rispose lei <<Non ho molta fame. Mangerò solo quello.>>

<<Come vuole.>>, rispose il maggiordomo prendendole il coperto e poi scomparendo nella cucina con il carrello sul quale aveva posato i piatti appena prelevati da tavola.

<<Quando torni qua, stai sempre molto poco a casa, Evelyn.>>, riprese Kensington con una punta di rammarico nella voce <<Gradirei vederti un po’ più qui intorno.>>

<<Quando torna?>>, chiese Bretagna incuriosito.

<<Io…>>

<<Evelyn frequenta una delle migliori scuole superiori a Belfast.>>, rispose Kensington interrompendo la figlia che aveva cercato di rispondere <<Torna a casa solo per i fine settimana e le vacanze. Ripartirà domani sera con Hughes, il nostro autista.>>

<<E durante la settimana dove vivi?>>, chiese Françoise direttamente alla ragazza.

<<Nel dormitorio della scuola.>>, rispose lei, stringendo appena le labbra. Un lieve gesto che sembrava denotare una certa insofferenza.

Herbert arrivò con un carrello sopra al quale c’erano dei piattini con dentro un’invitante dolce di cioccolato. Il maggiordomo cominciò a distribuire i piatti, sempre con la solita maestria e discrezione.

<<Hai 16 anni…>>, rimuginò Bretagna <<Quindi dovresti essere all’ultimo anno di scuola dell’obbligo[6].>>

<<Sì.>>, rispose semplicemente la ragazza.

<<E dopo che hai intenzione di fare?>>, chiese Bretagna <<Andrai sicuramente all’università.>>

<<Certo…>> <<Non lo so.>>

Padre e figlia si guardarono negli occhi, piuttosto contrariati, con le labbra strette. In un attimo l’atmosfera si fece inquietante. Quasi elettrica. Bretagna passava gli occhi da uno all’altra, sentendosi un po’ in colpa per aver scatenato quella diatriba familiare.

<<Ne abbiamo già parlato, Evelyn.>>, disse Kensington alla figlia con una voce autoritaria e ferma.

<<No, tu ne hai parlato e tu hai deciso.>>, ribatté la ragazza con uno sguardo di sfida.

<<Evelyn...>>

<<Nigel!>>, intervenne Angela, guardando fisso il fratello e mettendo una mano su quella della nipote seduta accanto a lei. Poi rivolse lo sguardo a lei, severo e tagliente <<E anche tu, Evelyn. Non è il momento di discutere di queste cose. Abbiamo ospiti. Non state dando un bello spettacolo.>>

Kensington annuì e abbassando gli occhi: <<Hai ragione, Angela. Hai ragione.>>, rialzò lo sguardo sulla tavolata <<Scusate. Scusatemi veramente.>>

<<Mi scuso anch’io.>>, disse Evelyn.

Ma il suo volto rimase imbronciato e non guardò più il padre negli occhi fino alla fine del pasto.

 

<<Keep on looking through the window again, but I’m not sorry if I hate you in solitude. Said I’m not sorry ’bout the way that things went. And you’ll be happy and I’ll even forsaken me.>>, da “Not sorry”, Cranberries[7]

 

 

Parte III

 

 

La casa era come se la ricordava. Non era cambiato niente da allora. Non era cambiato niente da chissà quanto tempo. Ogni centimetro quadrato di quella casa, di quelle mura, trasudava un profumo antico. Anche l’enorme biblioteca di casa Kensington era sempre lì, al suo posto.

Bretagna entrò, ritrovandosi in un’enorme stanza. A tutte e quattro le pareti c’erano delle librerie che arrivavano fino al soffitto. Tanto che non si vedeva un solo cm di muro scoperto. Nigel era seduto su una poltrona, in fondo alla stanza. Oltre a quella, accanto a lui, c’era un’altra poltroa e un grosso tavolo con sei sedie. Di legno spesso e robusto.

Quando sentì che qualcuno era entrato nella stanza, l’uomo alzò gli occhi dal libro che stava leggendo e si tolse gli occhiali.

<<Ho sempre trovato che questa stanza fosse affascinante.>>, disse Bretagna guardando fra i tomi come in cerca di qualcosa di particolare.

<<Sì, anch’io l’ho sempre amata.>>, disse Nigel riponendo il libro su un piccolo tavolo tra le due poltrone <<Anche quando stavo seduto a quel tavolo a studiare.>>

Bretagna prese un libro: <<Eccola. E’ dove mi ricordavo.>>, disse mettendosi a sfogliare con cura le pagine, quasi avesse paura di sbriciolarle al solo tocco.

<<La collezione delle opere shakespeariane di mio padre. Immaginavo che cercassi quella.>>, disse Nigel sorridendo.

<<Già.>>, disse Bretagna richiudendo il tomo e guardandolo un attimo prima di riporlo con cura al suo posto <<E’ un’edizione bellissima.>>

<<Mio padre ne andava molto fiero.>>, disse Nigel guardando Bretagna sedersi nella poltrona vuota accanto alla sua.

<<E aveva ragione.>>, commentò Bretagna lasciandosi inghiottire dal sofà <<Quello è un pezzo unico.>>

Nigel incrociò le gambe e guardò l’amico, pensieroso: <<Ma tu non vuoi parlare di questo.>>

Bretagna sorrise, alzando le ciglia e respirando profondamente: <<Sarò sincero, Nigel.>>, disse mettendosi un po’ più composto a sedere <<Ti ricordo diverso.>>

L’uomo annuì, senza lasciar trasparire alcunché dal suo volto: <<Sarò sincero anch’io, Bretagna.>>, disse <<Potrei dirti che è passato tanto tempo, che sono successe tante cose. In realtà ne è successa solo una. Da quando è morta mia moglie, non sono più quello di una volta. Dicono che il tempo sia il più grande guaritore delle ferite dell’anima. In realtà…>>, abbassò gli occhi verso i suoi piedi, con uno sguardo malinconico <<Per me è come se il tempo si fosse fermato a quel giorno.>>

Bretagna annuì, sospirando e solo allora notò il whisky sul tavolo, vicino al libro: <<Da quando ti fai un bicchierino prima di andare a dormire?>>

Nigel sorrise, massaggiandosi le tempie con la testa: <<Non ti preoccupare.>>, disse <<Non sono un alcolizzato. Bevo solo questo goccio, ogni tanto.>>

<<Certo, certo.>>, rispose l’altro <<Non volevo insinuare nulla. Ma ti ricordo piuttosto… di buone e sane abitudini.>>

In realtà avrebbe voluto dirgli che anche lui aveva cominciato in quel modo e si era ritrovato a dipendere dalla bottiglia. E che quel “goccio” si aggiungeva a parecchi bicchieri di vino che gli aveva visto trangugiare a tavola. Ma lo tenne per sé. Anche perché, dopo tutto, Nigel sembrava sobrio.

<<E Evelyn?>>, chiese Bretagna toccando un altro tasto dolente.

Nigel sorrise, quasi ironicamente: <<Evelyn.>>, ripeté alzando gli occhi verso il soffitto. Poi ritornò a guardare Bretagna, lisciandosi la barba <<Evelyn. Evelyn è cresciuta e… quello che io sogno per lei non corrisponde esattamente a quello che lei sogna per se stessa. Abbiamo vedute diverse. Come succede sempre fra padri e figli. Sta passando attraverso l’età della ribellione. Mi ricorda molto Angela.>>

Bretagna piegò le labbra in un sorriso appena accennato: <<Angela non si è mai permessa di ribattere a vostro padre davanti ad estranei. E comunque mai in pubblico.>>

Nigel restò silenzioso per qualche secondo, poi piegò la testa di lato e respirò profondamente: <<I tempi cambiano Bretagna, ma noi non ce ne rendiamo conto.>>, disse alzandosi <<O non ce ne vogliamo rendere conto. Col tuo permesso, io mi ritirerei. Sono molto stanco.>>

<<Certo, Nigel.>>, rispose Bretagna alzandosi <<Sono stanco anch’io.>>

Bretagna seguì silenziosamente Nigel fino all’uscita della biblioteca, dove lui spense le luci.

<<Io devo andare a dire alcune cose ad Herbert.>>, disse il padrone di casa <<Ci vediamo domani mattina. Buonanotte.>>

<<Buonanotte Nigel.>>

Bretagna restò a guardare l’amico finché non scomparve dietro un angolo. Quindi si avviò dalla parte opposta, verso le scale che portavano alla sua stanza.

Quando entrò vi trovò dentro Albert, sdraiato sul suo letto, e Françoise, seduta su una poltrona.

<<Allora?>>, chiese Albert guardandolo incuriosito.

<<Allora che?>>, chiese Bretagna lasciandosi sedere sul bordo del suo letto.

<<Ci sembravi piuttosto giù di morale.>>, spiegò Françoise.

Bretagna la guardò, sospirando: <<Il fatto è che…>>, si fermò qualche secondo, cercando forse le parole più adatte <<Nigel era veramente molto diverso. Aveva una luce diversa negli occhi. Era gioviale, sempre ottimista. Non posso credere che… sia la stessa persona che ho conosciuto io.>>

Albert si mise a sedere, incrociando le gambe sul letto: <<Ammetterai che la perdita della moglie possa averlo provato molto.>>

Bretagna annuì: <<Sì, lo so Albert. Ma cambiare così tanto?>>

<<Ti assicuro che si può.>>, rispose l’altro.

Bretagna si rese conto soltanto in quel momento che Albert era già passato attraverso una situazione del genere e sicuramente ne sapeva più di lui: <<Scusami. Parlo sempre a sproposito.>>

<<Figurati.>>, rispose il compagno alzando le spalle <<Non hai niente di cui scusarti.>>

Bretagna sorrise: <<Beh, da dove cominciamo?>>

<<Non è facile.>>, rispose Albert, facendo roteare una spalla, quasi per scioglierla <<Dovresti essere tu a farci da cicerone. Accidenti! Questo clima non mi è affatto congeniale…>>

Bretagna storse il volto: <<Guarda che io sono esterno a questa situazione.>>

<<Vuoi dire che voi inglesi ve ne fregate di avere una polveriera a due passi, da cui ogni tanto arriva anche qualche pacco regalo?>>, chiese Albert facendo roteare anche l’altro braccio.

<<No, cioè… accidenti, ma che fai con quelle braccia!?>>

<<Qui il clima è troppo umido. Mi dà noia alle giunture.>>, rispose Albert in tutta calma.

<<Wow.>>, commentò Bretagna in tono tutt’altro che entusiasta <<Andiamo bene.>>

<<Non è mica colpa mia.>>, si difese Albert, piuttosto risentito.

<<Ehehm.>>, richiamò l’attenzione Françoise <<Potremmo discutere della missione?>>

<<Uff…>>, rispose Bretagna <<Quest’altra invece si fa influenzare troppo dal suo ragazzo. Comincia ad avere il suo stesso modo di fare.>>

Françoise raccolse la sfrecciatine con un garbato sorriso a labbra strette: <<Purtroppo si dà il caso che non siamo venuti qui a fare una vacanza.>>

<<La ragazza ha ragione.>>, disse Albert rimettendosi sdraiato.

Bretagna sospirò: <<Nigel ha detto che secondo lui è molto difficile che l’IRA faccia adepti da queste parti.>>, disse <<E visto il luogo, non faccio fatica a credergli.>>

<<Non è che abbiamo visto molto del luogo.>>, obiettò Françoise.

<<Dimentichi che io ci sono già stato.>>, replicò lui <<Questo è un paese di campagna. Assolutamente tranquillo. Non intendo dire che protestanti e cattolici vadano d’amore e d’accordo, ma… come ha detto Nigel, si tollerano.>>

<<Posso chiederti quand’è stata l’ultima volta che sei stato qui?>>, chiese Albert.

<<Beh… fammi pensare…>>, disse Bretagna alzando gli occhi al cielo pensieroso <<Una decina di anni fa.>>

<<Una decina di anni fa?>>, ripeté Françoise <<Bretagna, ti rendi conto di quant’è peggiorata la situazione in questi ultimi dieci anni? Voglio dire, ci vivi tu in Gran Bretagna.>>

Bretagna aggrottò la fronte: <<Dal ‘57 al ’62 ha avuto una fervente attività.>>, cominciò, rammentandosi la storia <<Nel 1968 i protestanti hanno represso violentemente una marcia di cattolici, che richiedevano più diritti. E dal ’69, dalla “marcia dei diritti civili” che ha portato allo scioglimento del Parlamento di Belfast, le cose si sono aggravate ulteriormente. Come vedi, la conosco la storia di questa guerra. Non la si può ignorare.>>, disse con un sorriso malinconico <<A volte, a Londra, capita di salire sulla metropolitana e ti viene in mente che potrebbe esserci una bomba. E’ questione di attimi di paura, brividi brevi, ma che ti ricordano che non sei mai al sicuro.>>

<<E allora capirai che la polveriera potrebbe essersi estesa anche a un piccolo paese come questo.>>, disse Françoise con uno sguardo accondiscendente.

<<Già.>>, annuì Bretagna <<Ma da dove cominciamo?>>

Françoise ed Albert si guardarono perplessi. Effettivamente non avevano uno straccio di punto di partenza.

<<Domani è domenica, vero?>>, chiese Françoise.

<<Sì.>>, confermò Albert.

La ragazza annuì: <<Potrei andare a Messa e dare un’occhiata là.>>

<<Non è una cattiva idea.>>, disse Bretagna lisciandosi il mento <<Quale posto migliore per vedere i cattolici tutti insieme?>>

<<E noi che facciamo?>>, chiese Albert perplesso.

<<Facciamo le brave pecorelle di Dio e andiamo a Messa anche noi.>>, rispose Bretagna col suo sorrisone.

Albert lo guardò di sbieco: <<Io non sono cattolico.>>

<<No, io intendevo che sarei andato alla chiesa protestante, quella anglicana…>>, Bretagna si fermò <<Ah già, tu sei…?>>

<<Luterano.>>, rispose Albert <<Anche se ammetto di non essere un grande praticante.>>

Bretagna sospirò: <<Come non detto.>>, disse <<Ma io ci vado lo stesso. Tu fai come vuoi.>>

Françoise, guardando la scena, stava per mettersi a ridere. Poi il suo sguardo si spostò su un orologio appeso al muro: <<Credo che sia ora di andare a dormire.>>, disse alzandosi <<Ci vediamo domattina. Buonanotte.>>

<<Buonanotte, Françoise.>>, disse Albert sorridendo.

<<Buonanotte cara.>>, rispose Bretagna <<Vuoi che prenda le sembianze di Joe e venga a dormire con te?>>

<<Non ci provare nemmeno!>>, lo ammonì lei con la mano sulla maniglia.

<<Guarda che lo sappiamo tutti che quando tuona non vuoi dormire da sola.>>, la stuzzicò di nuovo Bretagna.

Françoise sospirò per l’esasperazione: <<Bretagna…>>

<<Se hai paura, vieni.>> intervenne Albert <<Caccio quest’essere fuori dalla porta e puoi venire a dormire qui, nel suo letto.>>

Lei sorrise: <<Grazie. Ci penserò su.>>, disse <<Buonanotte.>>

 

<<Who heals the wounds? Who heals the scars?>>, da “Tomorrow”, U2[8]

 

 

Parte IV

 

 

L’ennesimo tuono fece sentire la sua voce potente e terrificante. Françoise si alzò a sedere sul letto, maledicendo quella sua stupida fobia. Il guaio era che lei sarebbe riuscita a sentire il temporale anche quando si fosse allontanato da lì. Era tentata di accettare la proposta di Albert e andare a dormire in camera loro, al posto di Bretagna. Non era come stare tra le braccia di qualcuno, ma sarebbe stato già qualcosa. Scosse la testa. Inutile restare a letto. Non sarebbe riuscita a prendere sonno.

Si alzò e si infilò un paio di pantofole e la veste da camera, uscendo nel corridoio. Che ore erano? Guardò l’orologio sulla parete: le due di notte. Si alzò e uscì nel corridoio. La casa era avvolta nel buio e nel silenzio. Fortuna che non aveva bisogno di accendere le luci.

Camminò a passo silenzioso e sicuro verso le scale che portavano al piano di sotto e scese. Verso metà scalinata sentì un rumore. Proveniva dalla cucina. Che fosse un ladro? Se veramente era così, perché i cani, due enormi alani che stavano in giardino, non avevano abbaiato? Che anche loro avessero troppa paura del temporale? No, non era un ladro…

Scese le scale facendo attenzione a non fare troppo rumore e si avviò verso la cucina, fermandosi davanti alla porta. L’aprì all’improvviso e l’individuo appena entrato si voltò di scatto verso di lei, con gli occhi a dir poco terrorizzati.

<<Buonasera Evelyn.>>, disse Françoise sorridendo, a bassa voce.

<<Chi è?>>

“Ah, già… lei non mi vede bene nel buio.” <<Sono Françoise.>>

Evelyn accese un accendino, e la luce della fiamma illuminò il suo volto fradicio di pioggia: <<La prego, signorina, non accenda la luce.>>, disse a bassa voce <<Non voglio che qualcuno sappia che sia uscita.>>

<<Non essere così formale.>>, le disse Françoise <<Ho appena qualche anno più di te[9]. Chiamami semplicemente Françoise.>>

La ragazza la guardò perplessa, tuttavia annuì: <<Va bene.>>

<<Sta arrivando qualcuno.>>, disse Françoise voltandosi indietro <<E sembra che abbia anche fretta.>>

Infatti, pochi secondi dopo, la porta della cucina si spalancò e la luce si accese: <<Cosa succede?>>, chiese Herbert trafelato <<Ho sentito delle voci… signorina Evelyn.>>

Evelyn si sentiva perduta: <<Io…>>

<<Non si preoccupi Herbert.>>, disse Françoise <<Abbiamo sentito dei rumori strani in giardino e… beh, ci siamo svegliate entrambe e Evelyn è andata a controllare. Ma niente di grave. Vero?>>, concluse rivolgendosi alla ragazza.

Evelyn restò interdetta qualche istante, poi annuì: <<Sì… era solo una porta del deposito degli attrezzi chiusa male… e il vento la faceva sbattere.>>

Herbert la guardò esterrefatto: <<Signorina, chiami me la prossima volta.>>, disse <<Se fosse stato un ladro… non mi ci faccia pensare.>>

La ragazza sorrise: <<Va bene Herbert.>>, disse <<Hai ragione. Scusami. Torna pure a dormire.>>

<<Buonanotte miss Evelyn.>>, disse annuendo e chinando un poco la testa <<Buonanotte anche a lei.>>

Il maggiordomo uscì dalla cucina, lasciandole sole, senza spegnere la luce. Restarono qualche attimo in silenzio, poi fu Françoise a parlare per prima.

<<Ti prenderai un raffreddore se non ti togli di dosso quella roba bagnata.>>

Evelyn teneva lo sguardo basso. Lo rialzò, con occhi supplichevoli: <<Per favore… non dire a nessuno che… insomma…>>

<<Non preoccuparti.>>, la rassicurò Françoise <<Non è assolutamente mia intenzione. Dove posso trovare un pentolino e una bustina di camomilla?>>

Evelyn restò sorpresa dall’improvviso cambio di argomento e ci mise qualche secondo per rispondere: <<Ah… nel mobile in quell’angolo, alla tua destra, ci sono i pentolini.>>, disse indicando l’angolo in questione <<E… in quella dispensa ci dovrebbero essere la camomilla, il tè… e il resto.>>

<<Grazie.>>, disse l’altra aprendo il mobile e prendendo un pentolino di metallo <<E una tazza e un cucchiaino dove posso trovarli… anzi, vuoi un po’ di camomilla anche tu?>>

Evelyn ci pensò un po’ su: <<Beh, credo proprio di averne bisogno.>>

<<Bene.>>, rispose Françoise finendo di riempire il pentolino e posandolo sul fuoco, dopo averlo acceso <<Allora vai a cambiarti e torna qui.>>

La ragazza sorrise e scomparve. Françoise si guardò un po’ intorno, senza usare alcunché dei suoi poteri. Andò a naso. Aprì un paio di sportelli e dietro il secondo, finalmente, trovò quello che cercava.

<<Questa dev’essere la sua.>>, disse a bassa voce rigirandosi nelle mani un mug[10] con su scritto “Evelyn”, che aveva trovato dietro a tutte le altre.

Prese un’altra tazza e trovò anche i cucchiaini e lo zucchero, che era lì dove era anche la camomilla. In una cucina così ordinata era facile trovare le cose. Bastava un po’ di buon senso.

L’acqua borbottò, avvertendo che stava bollendo. Françoise spense il fuoco e versò l’acqua nelle due tazze, nelle quale aveva già messo la bustina di camomilla. Si mise a sedere. Rigirando un paio di volte il cucchiaino nell’infuso, vedendo il colore giallo della camomilla tingere a poco a poco l’acqua.

Evelyn arrivò qualche istante dopo. Aveva ancora le punte dei capelli bagnate.

<<Grazie.>>, disse mentre si sedeva.

<<Prego.>>, rispose Françoise sorridendo <<Non ho messo zucchero né altro. Non sapevo quanto ne volevi… cosa c’è?>>

Evelyn si stava rigirando in mano la tazza, stando attenta a non far versare il liquido: <<Era da molto che non usavo questa tazza.>>, disse posandola delicatamente a terra <<Me la comprò mia madre a un mercatino, quand’ero una bambina… avrò avuto cinque o sei anni…>>

<<Mi dispiace… io non…>>

<<Non preoccuparti.>>, disse Evelyn scuotendo la testa e mettendo un cucchiaino di zucchero nella tazza <<Non potevi sapere. Io quasi non ricordavo di averla. Figurati che pensavo di averla rotta.>>

Françoise sorrise a labbra chiuse.

<<Come mai alzata a quest’ora? Letto scomodo?>>, chiese Evelyn bevendo un sorso della sua bevanda.

Françoise scosse la testa: <<No, assolutamente. E’ che…>>, storse le labbra guardando il cucchiaino che faceva girare nella camomilla, benché non ci avesse messo nemmeno lo zucchero <<Mi vergogno un po’ a dirlo.>>

<<Perché mai?>>, chiese l’altra ancora più incuriosita.

Françoise sospirò: <<Ho paura dei tuoni.>>, ammise sospirando.

<<Sul serio?>>, chiese Evelyn sorridendo.

<<Lo so che è da stupida… ma è così.>>, disse sorseggiando la bevanda <<Facevo impazzire i miei genitori e mio fratello quand’ero piccola. Piangevo come una fontana e se non dormivo in mezzo ai miei non c’era verso di tranquillizzarmi.>>

<<Non è stupido. Credo che sia umano.>> disse Evelyn <<Ma come fai adesso? Voglio dire… non puoi più dormire in mezzo ai tuoi.>>

<<Beh, adesso torturo Joe.>>, rispose Françoise sorridendo <<Quando tuona mi faccio abbracciare da lui. Funziona…>>

<<Joe? Il tuo ragazzo?>>, chiese Evelyn.

<<Uhmm… sì.>>, rispose Françoise <<Tu non ne hai uno?>>

Evelyn restò silenziosa qualche secondo, poi scosse la testa: <<No…>>

<<Ma c’è qualcuno…>>

La ragazza sorrise, un po’ titubante: <<Beh… sì.>>

<<E almeno si è accorto di te?>>, chiese Françoise sorridendole a sua volta.

Evelyn si aggiustò i capelli dietro un orecchio: <<Non saprei.>>, disse <<Spero di sì.>>

<<Forse ti sto facendo troppe domande personali.>>, disse Françoise cogliendo l’imbarazzo della ragazza <<Scusami. Ci conosciamo appena…>>

Evelyn scosse la testa, girandosi fra le mani il mug quasi vuoto: <<Figurati… anzi, non ho mai nessuno con cui parlare di queste cose.>>

Françoise la guardò perplessa: <<Non hai amiche?>>

La ragazza storse le labbra in una smorfia: <<Da quando sono andata a studiare a Belfast… ho perso di vista quasi tutte le mie conoscenze.>>, disse <<Mio padre… beh… per lui è come se il tempo si fosse fermato al giorno in cui nostra madre è morta.>>

Françoise non fece una piega, limitandosi a un composto silenzio. Non le aveva chiesto di suo padre, ma lei ne aveva parlato lo stesso. Senza rancore nella voce. Solo molta tristezza. Evidentemente era un problema per lei. Forse le mancava la sua figura.

<<Lui vorrebbe che andassi in Inghilterra per continuare gli studi…>>, continuò Evelyn <<Ma io non ne sono affatto sicura… non sono sicura di volermene andare…>>

<<Cos’è che ti lega qua?>>, chiese Françoise perplessa, bevendo uno degli ultimi sorsi della sua bevanda.

<<In… in che senso?>>

Françoise posò la tazza sul tavolo, ormai vuota: <<Hai detto che hai pochi amici… certo… sei innamorata… ma non hai un ragazzo. Cos’è che ti lega qui?>>, chiese <<Tuo padre ci ha parlato di te dopo cena. Ha detto che hai degli ottimi voti a scuola. Tanto che i migliori colleges inglesi ti “prenderebbero a occhi chiusi”. Sono parole sue.>>

Evelyn rimase silenziosa, guardando la sua tazza vuota e facendola girare per il manico.

<<Scusa se te lo chiedo, Evelyn,>>, disse Françoise <<Ma non è forse un modo per andargli contro?>>

<<No, non è questo.>>, rispose Evelyn, stavolta senza esitare, ma anche senza alzare lo sguardo <<Io voglio bene a mio padre. Come potrei non volergliene? Ma…>> restò in silenzio qualche secondo, poi alzò la testa verso di lei <<Non lo so. So solo che non sono sicura di volermi allontanare da qui. Voglio dire… ci sono ottimi colleges anche a Belfast. Perché devo andare in Inghilterra? Solo perché ci è andato lui e tutti i miei antenati?>>

Françoise non rispose, annuendo semplicemente per dire che aveva capito, anche se in realtà non riusciva a comprendere del tutto la sua scelta.

Evelyn si alzò, prendendo la sua tazza vuota e lo zucchero: <<Io vado a dormire adesso.>>, disse <<Ti ringrazio per la camomilla e… la chiacchierata, Françoise.>>

Françoise sentì che il rumore della pioggia era cessato. In lontananza continuava a sentire i tuoni. Ma sperava che di lì a poco si sarebbero calmati: <<Figurati. E’ stato un piacere.>>, disse <<Credo che tra un po’ andrò anch’io.>> poi dette un’occhiata al piccolo orologio a pendola della stanza, che segnava quasi le tre, e fece un rapido calcolo <<Anzi… posso usare il telefono? Per una telefonata a carico del destinatario.>>

<<Certo, fai pure.>>, disse Evelyn <<Dubito che a quest’ora serva a qualcuno. Buonanotte.>>

<<Buonanotte, e grazie.>>

La ragazza uscì dalla cucina, mentre Françoise si alzava e finiva di rimettere in ordine. Finiti di lavare gli oggetti utilizzati, uscì anche lei dalla stanza, premurandosi di aver lasciato tutto al suo posto e di spegnere la luce. Si avviò in camera sua. Aveva notato che c’era un telefono in tutte le stanza da letto, anche per sfruttare il centralino interno, che metteva in comunicazione tra loro tutte le stanza. E la sua, benché fosse solo una stanza per gli ospiti, non faceva eccezione.

Richiuse la porta della sua stanza e si infilò nuovamente nel letto, accendendo l’abatjour del suo comodino, prendendo l’apparecchio telefonico che si trovava sullo stesso e mettendoselo in grembo, sopra la coperta. Alzò la cornetta, delicatamente, col dito già pronto sullo zero, per accedere alla linea esterna, ma…

<<Allora siamo d’accordo?>>

Quella era la voce di Kensington.

<<Certo.>>

Quella voce, invece, era di uno sconosciuto.

<<Mi richiamerà lei?>>, chiese Kensington.

<<Non appena il regalo sarà pronto.>>

<<Va bene. La saluto.>>

<<Arrivederci. E’ un piacere fare affari con lei.>>

La comunicazione si chiuse, con due colpi secchi che segnalavano che entrambi avevano attaccato.

Françoise guardò la cornetta perplessa, che emetteva il suono ritmico e frenetico che segnalava la caduta di linea. Avevano parlato di un regalo. Erano a dicembre inoltrato. Forse si trattava di un regalo di Natale. Però che strano orario per fare una telefonata del genere. Alzò le spalle. In fondo erano problemi di mister Kensington. Spinse in basso le levette per far tornare la linea libera. Il suono continuo e ininterrotto segnalava che era sulla linea interna. Fece girare la ghiera sullo 0, e aspettò il segnale di linea libera. Quindi fece il numero del centralino. Una voce femminile e cordiale le rispose quasi subito.

<<Centralino. Cosa posso fare per lei?>>

<<Vorrei fare una chiamata a carico del destinatario, grazie.>>

<<Bene. Mi dica il numero, comprensivo di prefisso internazionale se è una chiamata all’estero.>>

Françoise dettò il numero e aspettò. Sentì un telefono squillare un paio di volte, poi una voce rispondere: <<Pronto?>>

“Jet… proprio la persona meno indicata per rispondere.”

<<C’è una chiamata a suo carico dall’Irlanda del Nord. La accetta?>>, disse la centralinista.

Jet ci pensò un attimo: <<Mi faccia indovinare. E’ una ragazza che ha chiamato?>>

La centralinista si lasciò sfuggire una lieve risatina: <<Sì.>>

<<Certo che la accetto.>>

<<Bene. La metto in contatto.>>

Dopo qualche secondo, la centralinista uscì dal canale di comunicazione.

<<Buonasera mademoiselle. Cosa posso fare per lei?>>

<<Ciao Jet. Farmi parlare con Joe.>>

<<Ah… che peccato.>>, disse Jet <<Joe è uscito. Ho sentito che aveva un appuntamento con una ragazza…>>

<<Jet, smettila di fare lo stupido.>>

<<Non sto scherzando!>>

<<Jet, attacca quella cavolo di cornetta!>>

<<Non mi credi…>>

<<Razza di idiota!>>, la voce inconfondibile di Joe si intromise nella conversazione, strappando un sorriso a Françoise <<Se non attacchi vengo lì e ti faccio venire un naso a grandezza normale dal pugno che ci do sopra!>>

<<Come siete permalosi… Manco un innocente scherzetto si può fare.>>, disse Jet annoiato <<Vabbé, piccioncini. Buona chiacchierata.>>

Jet attaccò, lasciando la comunicazione.

<<Ha attaccato davvero?>>, chiese conferma Joe, sospettoso.

Françoise sorrise: <<Sì, ha attaccato.>>

<<E non c’è nessun altro in ascolto?>>

<<No. Non preoccuparti.>>

Sentì Joe sospirare quasi di sollievo: <<Allora, come va?>>

Françoise sorrise: <<Uhm… bene. Kensington ci ha ospitato a casa sua. Suo nipote mi ha portato a fare una passeggiata stasera…>>

<<Suo chi?!>>

Françoise rise sonoramente.

<<Mi stavi prendendo in giro…>>

<<Certo che ti stavo prendendo in giro.>>, rispose lei cercando di immaginarsi la sua faccia <<Kensington non ha nipoti. Solo una figlia.>>

<<Ti manco almeno un po’?>>

<<Il solito egocentrico… Certo che mi manchi… soprattutto stasera che ha tuonato in maniera terrificante.>>, disse lei guardando verso la finestra, quasi per accertarsi che l’incubo fosse finito.

<<Se vuoi, prendo e vengo lì.>>

<<Non male come idea…>>, rispose lei sprofondando un po’ di più dentro il letto <<Ma credo di riuscire a resistere un po’ senza vederti.>>

<<Stai dicendo sul serio?>>

Françoise sorrise, immaginando il suo volto e come ci era rimasto: <<Certo che no.>>, disse <<Ma ho più bisogno di te lì… aspetta un attimo…>>

Scostò la cornetta dall’orecchio, mettendosi in ascolto. Silenzio. Erano veramente andati tutti a dormire. Non c’era nessuno che si aggirasse per la casa. Riportò la cornetta all’orecchio: <<Dovresti fare una ricerca...>>

 

<<My life is changing everyday, in every possibile way.>>, Da “Dreams”, Cranberries[11]

 

 

Parte V

 

 

<<La messa è finita. Andate in pace.>>

Il sacerdote congedò i fedeli, che si alzarono in modo composto e ordinato e si misero in fila per uscire dalla piccola chiesa di campagna. Françoise si alzò dal suo posto, in fondo alla chiesa. Fu una delle prime ad uscire. Si mise ferma, accanto all’ultima delle tre porte d’uscita, e guardò le persone che uscivano mano a mano, senza però troppa speranza di trovare qualche indizio. Aveva già avuto modo di osservare quelle persone nel corso del rito. Per la maggior parte si trattava di persone anziane. Era difficile credere che tra quella gente si nascondessero dei terroristi o degli aspiranti tali. I giovani, o comunque gli uomini e le donne tra i venti e i quaranta erano relativamente pochi. Ma doveva trattarsi di persone tornate al paese natale per il week-end. Probabilmente la maggior parte dei giovani si era trasferita in città, in cerca di lavoro o per studiare, e molti di loro non tornavano nemmeno per il week-end. E lì nel paese erano rimasti solo i vecchi.

<<Buongiorno.>>

Un uomo le si parò davanti. Françoise lo guardò perplessa, squadrandolo. Aveva un’aria familiare. Dopo qualche secondo si ricordò e sorrise: <<Buongiorno.>>, disse <<Lei è quello che ci ha indicato la strada per arrivare da sir Kensington.>>

<<Già.>>, disse l’altro annuendo e sorridendo <<Infatti mi chiedevo che cosa ci facesse qui.>>

Il tono di voce non era stato scortese, anzi. Françoise però ci mise un po’ a capire il perché di quella domanda. Scosse la testa: <<No, io non sono inglese. Sono francese… e cattolica.>>, disse <<Si dovrebbe sentire dal mio accento.>>

L’uomo annuì: <<Sì, ci facevo caso adesso.>>, disse <<Mi spiace se sono sembrato scortese. E’ che… beh, avevo frainteso. Non mi sono presentato. Il mio nome è O’Neill. Gerard O’Neill.>>

Françoise strinse la mano dell’uomo: <<Molto piacere. Mi chiamo Françoise.>>

<<Lei è un’amica di Nigel Kensington?>>, chiese Gerard dopo aver lasciato la sua mano.

Françoise scosse la testa: <<No, non esattamente.>>, rispose <<Un mio amico è suo amico… sa quello pelato.>>

Gerard annuì: <<Lui però inglese lo è, giusto?>>

<<Sì, lui lo è.>>, confermò lei annuendo.

<<Gerard.>>

<<Mia moglie.>>, disse l’uomo alzando le spalle e poi voltandosi verso la donna che si stava avvicinando a loro, insieme a due ragazzi, un maschio e una femmina. Avranno avuto rispettivamente venti e quindici anni. Dovevano essere i loro figli a giudicare dalla somiglianza <<Lynn, permettimi di presentarti un’ospite del signor Kensington. Si chiama Françoise.>>

<<Molto piacere, signora.>>, disse la ragazza sorridendo e stringendo la mano alla donna. Una signora sui quarantacinque anni, dal volto tirato e stanco.

<<Questi sono i miei due figli. William e Dolores.>>, disse l’uomo indicando i due ragazzi <<Mi dica. Come sta Nigel?>>

A Françoise non sfuggì il fatto che l’avesse chiamato per nome. Fino ad allora lo aveva sempre chiamato per cognome: <<Beh… bene, mi sembra.>>, rispose.

Gerard annuì: <<Bene. Mi fa piacere averla conosciuta, Françoise, ma adesso dobbiamo andare.>>, disse <<Arrivederci… e… non dica a Kensington che mi ha parlato. La prego.>>

Françoise lo guardò perplessa: <<Come vuole. Arrivederci, signor O’Neill.>>

L’uomo e la sua famiglia si allontanarono. Françoise li guardò, finché scomparvero in una strada. Sul piazzale, davanti alla chiesa, erano rimaste poche persone. Françoise guardò il suo orologio. Era già mezzogiorno. Si avviò verso la casa di Kensington. Una vecchia Mini le suonò dietro e si fermò accanto a lei.

<<Vuole un passaggio, signorina?>>

Françoise guardò dentro l’abitacolo: <<Martha?!>>, esclamò riconoscendo la cuoca di casa Kensington <<Che ci fa qui?>>

<<Che domande.>>, disse la donna sorridendo <<Ero a messa, come lei.>>

La ragazza guardò la donna sorpresa: <<Lei è…>>

<<Sì, sono cattolica.>>, rispose la donna ancora prima che la domanda finisse per essere formulata <<Salti su, avanti.>>

<<Grazie.>>, rispose Françoise salendo.

Non appena la portiera fu richiusa, Martha ingranò la prima e la macchina si rimise in movimento: <<E’ sorpresa?>>, chiese.

Françoise guardò la donna, ancora un po’ stupita della recente scoperta: <<Beh… effettivamente…>>

Martha guardò la ragazza appena un attimo, tornando subito a guardare la strada: <<Non siamo proprio cani e gatti, sa?>>, disse <<Immagino che da fuori la situazione sembri molto peggio di com’è in realtà. Io servo la famiglia Kensington sin da quando Nigel era appena nato.>>

<<Così tanto?>>, chiese Françoise.

<<Sì. Allora ero una giovane ragazza di vent’anni in cerca di lavoro.>>, disse <<I signori Kensington, i genitori di Nigel e Angela, erano persone di larghe vedute. A loro non importava se uno fosse protestante o cattolico. Bastava che sapesse fare il suo lavoro e fosse una brava persona. E così mi assunsero. Ma queste sono le storie che sui giornali non vengono mai raccontate.>>

Françoise notò il velo di tristezza dell’ultima frase. Non è bello sentir nominare la propria patria solo per ciò che di male vi succede: <<Posso farle una domanda, Martha?>>

<<Certo. Se posso risponderle…>>

<<C’era un qualche rapporto tra un certo Gerard O’Neill e il signor Kensington?>>

Il viso della donna si rattristò visibilmente.

<<Scusi.>>, disse la ragazza <<Forse ho fatto una domanda indiscreta…>>

Martha la interruppe, scuotendo la testa: <<No, non si preoccupi.>>, disse <<Ho visto che le ha parlato poco fa. E’ solo una brutta storia. Quando un’amicizia finisce male è sempre una brutta storia.>>

“In amicizia i “ma” non esistono. Nel momento in cui ne compaiono, vuol dire che il rapporto è venuto a logorarsi.”

Le vennero in mente le parole che Kensington aveva detto a Bretagna il giorno prima: <<O’Neill e Kensington erano amici?>>, chiese Françoise.

Martha annuì: <<Sì… sin da bambini. Gerard era sempre a casa Kensington. E sono rimasti amici anche da adulti.>>

<<E poi cosa è successo?>>, chiese la ragazza sempre più incuriosita.

Martha sospirò: <<Da quando la signora Helen, la moglie del signor Nigel, è morta…>>, disse <<Da allora qualcosa si è spezzato. Non so cosa sia successo esattamente. Il signor Nigel non ha mai raccontato i motivi a nessuno. So solo che un giorno, poco tempo dopo la morte della signora, il signor Nigel cacciò praticamente Gerard di casa, dicendogli di non farsi più vedere. Urlando che i loro rapporti si chiudevano lì. Gerard uscì di casa urlando: “Hai perso l’unico vero amico che avevi qui! Ecco cos’hai ottenuto!”. Uscì da casa Kensington sbattendo il portone e non vi ha fatto più ritorno. Se ci penso, sento ancora quella porta sbattere.>>

Ormai erano arrivate. Martha svoltò nel viale alberato che portava a casa Kensington. Dopo poco arrivarono al cancello chiuso, con la “K” di Kensington che stava proprio al centro, per dividersi in due una volta che il cancello era aperto. La donna prese una chiave dal cruscotto e la porse a Françoise: <<Le dispiacerebbe aprire e richiudere il cancello quando sarò passata?>>

<<Certamente.>>, rispose la ragazza prendendo le chiavi e uscendo dalla macchina.

Andò fino al cancello e infilò una grossa chiave nell’enorme serratura. La serratura scattò e il cancello si aprì. Françoise spinse in avanti prima una parte e poi l’altra, restando poi da una parte e aspettando che Martha passasse. Quindi richiuse il cancello, a chiave, e rimontò in macchina, esitando un attimo per guardare un qualcosa che aveva notato, in lontananza.

Quando fu di nuovo dentro l’abitacolo, Martha ripartì.

<<Martha, cosa sono quei campi, laggiù, a destra?>>, chiese <<Grano?>>

Martha scosse la testa: <<Non solo.>>, disse <<Ci sono vari cereali laggiù. Grano, avena… Ma soprattutto orzo. Il nonno del signor Nigel era un’amante della birra e del whisky. Così fece quei campi, per poterseli fare da solo. C’è anche una distilleria laggiù. E una piccola casa. La moglie di quell’uomo amava stare in quei luoghi. Diceva che quei campi, soprattutto quando i campi avevano il colore dell’oro, le davano tranquillità. Così il nonno del signor Nigel fece costruire anche una piccola casa, apposta per lei.>>

<<Pensa che potrò andare a farci una passeggiata, dopo.>>, chiese Françoise affascinata.

<<Certamente.>>, rispose Martha sorridendo <<Ah… mi faccia un piacere.>>

<<Certo. Tutto quello che vuole.>>

<<Non dica al signor Nigel che le ho raccontato di Gerard.>>, disse <<Lui non vuole che se ne parli.>>

Françoise annuì, perplessa. Era la seconda volta che gli dicevano qualcosa di simile in una sola giornata: <<Come vuole, Martha. Sarò una tomba.>>

 

<<You could only feel your own pain.>>, da “Please”, U2[12]

   

 

Parte VI

 

 

Una sera come tutte le altre. Fuori pioveva. Non una pioggia forte. Una pioggia debole, ma insistente e fastidiosa. Gerard stava bevendo una birra mentre controllava i conti di casa. Max se ne stava rannicchiato sotto il tavolo, ai suoi piedi. Lynn era in cucina, a fare le faccende. Will e Ryan erano ognuno nella loro stanza. Dolores stava colorando un suo disegno con i pastelli a cera. La radio era accesa e trasmetteva un programma culturale. Dal piano di sopra, dove erano le camere dei ragazzi, si sentivano arrivare note  di canzoni che Gerard non conosceva. Conosceva i gruppi, perché i loro figli non facevano altro che parlare di un gruppo di Liverpool, i Beetles[13], e di un altro, anche quello inglese, che invece si facevano chiamare Rolling Stones. Li aveva visti un paio di volte su qualche giornale. Capelloni e chissà che altro.

<<Gerry.>>

Gerard alzò gli occhi dai suoi conti, che come al solito non tornavano mai, e alzò gli occhi sulla moglie, che intanto si era seduta al tavolo: <<Sì?>>

<<Come sta Nigel?>>, gli chiese la moglie preoccupata.

Gerard posò il quaderno e la matita sul tavolo, e incrociò le braccia su di esso, guardando la moglie: <<Come vuoi che stia?>>, disse <<E’ distrutto. Lo capisco. Se io perdessi te sarebbe più o meno la stessa cosa. Non farmici nemmeno pensare.>>

La donna annuì: <<Perché non vai un po’ da lui.>>, disse <<Adesso ha bisogno del tuo sostegno.>>

Gerard ci pensò un attimo su: <<Non lo so, Lynn.>>, disse <<Mi pare che ora come ora abbia voglia di restarsene un po’ da solo. Anche l’altro giorno, al funerale, mi ha appena salutato.>>

<<Beh, non era certo nello stato d’animo migliore.>>, lo giustificò Lynn.

Lui alzò le spalle, passandosi le mani fra i capelli: <<Lo so, lo so.>>, disse <<Proverò ad andare domani.>>

<<Come vanno quelli?>>, chiese Lynn indicando il quaderno dei conti con il mento.

Gerard guardò a sua volta il vecchio quaderno, pieno di numeri e cifre: <<Questi vanno sempre male.>>, disse sorridendo <<Anche questo mese tra tasse e spese, ci rimane ben poco. Mi chiedo uno che lavora a fare, se poi i soldi li deve ridare quasi tutti allo stato?>>

<<Non ci lamentiamo troppo.>>, disse Lynn posandogli una mano sul braccio e sorridendo <<C’è tanta gente che sta peggio di noi.>>

Lui annuì. In fondo era vero. Non è che navigassero nell’oro, ma con qualche piccola accortezza riuscivano tranquillamente ad arrivare alla fine del mese e a mettere qualcosa da parte. I suoi occhi si spostarono sulla piccola Dolores. L’ultima arrivata in casa O’Neill. Ricordava che quando Lynn gli aveva detto di essere incinta per la terza volta, lui non l’aveva presa tanto bene. Era già di per sé faticoso con due figli. Un’altra bocca da sfamare gli sembrava solo un peso. Ma poi lei era arrivata. Una bellissima bambina, che sorrideva al mondo in tutta la sua innocenza. Non appena l’aveva vista, si era accorto di amarla come aveva amato gli altri due. Forse, anzi, un po’ di più. Aveva sentito, da qualche parte, che era classico dei padri preferire le figlie ai figli. Lui non lo poteva sapere. Nella sua famiglia erano in cinque figli. Tutti maschi. Non aveva mai avuto una sorella.

Dolores, evidentemente, si accorse di essere osservata, e alzò gli occhi dal suo mondo di colori a cera, guardando il padre con i suoi occhi blu scuro, che aveva preso dalla madre. Per il resto assomigliava completamente a lui. Era sua figlia, senza ombra di dubbio. Semmai ce ne fosse stato uno.

<<Cosa stai disegnando, piccola?>>, le chiese fingendosi incuriosito.

La bambina guardò il suo disegno: un insieme di colori confusi, a cui Gerard non riusciva a dare una forma.

<<Non lo so.>>, rispose Dolores rialzando gli occhi verso il padre.

<<Non lo sai?>>, disse Gerard <<Fa’ un po’ vedere a papà.>>

La bambina lasciò che il padre prendesse il foglio e lo guardasse. Gerard guardò il foglio tenendolo in orizzontale, ma non ci capiva niente. Poi lo guardò in verticale. Ma il risultato fu più o meno lo stesso.

A vederlo, sembrava solo un’esplosione di colori rossi, gialli e arancioni, sovrastati da una colonna grigia e nera. Ma non c’erano forme che i colori riempissero. Sembrava che Dolores avesse usato direttamente i colori, senza disegnare niente da colorare. A prima vista, sembrava qualcosa di assolutamente insensato. Eppure a Gerard ricordava qualcosa. Ma non sapeva esattamente cosa.

Sentì Max alzarsi dai suoi piedi. Glieli teneva al caldo col suo corpo, quindi la cosa lo urtò un po’: <<Max, perché ti sei alzato? Non vorrai uscire con questo tempo?>>

Max restò qualche istante sotto il tavolo, alzato su tutte e quattro le zampe. Gerard sbuffò e andò a cercargli la schiena con la mano: <<Dai, Max, torna a cuccia…>>

Sentì il cane inspiegabilmente teso, come sull’attenti. Perché? Ridette il disegno alla figlia e guardò il cane sotto il tavolo, rimanendo seduto. Max stava guardando dritto davanti a sé, verso la porta di ingresso. Gerard guardò la porta a sua volta, ma naturalmente non vide niente.

<<Max, che cosa c’è?>>, chiese.

Ma il cane lo ignorò, continuando a guardare la porta.

<<Cosa succede?>>, chiese Lynn venendo nella stanza.

Gerard rialzò la schiena, guardando la mogli perplesso: <<Non lo so. Il cane ha qualcosa.>>

<<Forse qualcuno sta passando davanti a casa…>>, suggerì Lynn guardando la porta un attimo.

Max cominciò a ringhiare e finalmente uscì da sotto il tavolo, fermandosi a pochi passi dalla porta, in posizione di difesa.

<<Max, ma che diavolo fai?>>, gli chiese Gerard alzandosi.

Il cane lo ignorò, cominciando ad abbaiare.

Gerard e Lynn si guardarono e sentirono appena la domanda della piccola Dolores: <<Perché Max abbaia?>>

La risposta venne direttamente dalla porta. Qualcuno bussò abbastanza sonoramente, quasi che sembrò voler sfondare la porta.

<<Aprite. Polizia.>>

Gerard e Lynn si guardarono, entrambi perplessi e sorpresi. Cosa poteva volere la polizia da loro? Max intanto continuava ad abbaiare come un ossesso. Gerard si alzò e si avvicinò alla porta, accarezzando Max sul capo: <<Buono, sta’ buono.>>

Max smise di abbaiare, continuando però a ringhiare in modo sordo e a stare sull’attenti.

Gerard aprì la porta e si trovò davanti quattro poliziotti, vestiti con una mantellina impermeabile che gocciolava di pioggia. Dietro di loro si vedevano due, anzi tre macchine della polizia, con le luci accese, che a intervalli regolari illuminavano il piccolo giardino antistante all’entrata.

<<Cosa posso fare per voi?>>, chiese Gerard ai due poliziotti, perplesso.

Uno dei due, con una barba ben curata, guardò il cane, un po’ teso, rispondendo: <<Vive qui Ryan O’Neill?>>

Gerard aggrottò la fronte, tirando una pacca sulla testa di Max, che aveva abbaiato un paio di volte. Il cane si zittì un’altra volta, continuando però a ringhiare: <<Cosa volete da mio figlio?>>

Il poliziotto guardò Gerard con aria professionale e anonima: <<Abbiamo ricevuto informazioni secondo le quali suo figlio sarebbe implicato con l’IRA.>>

<<Ma questo è assurdo!>>

<<Ci faccia entrare, signor O’Neill.>>, gli intimò il poliziotto tirando fuori un foglio da una tasca interna della giacca e mostrandolo a Gerard <<Abbiamo un mandato di perquisizione. E faccia star buono quel cane.>>

<<Lynn, porta la bambina da qualche parte.>>, disse Gerard rivolto alla moglie <<E porta con te anche il cane.>>

Lynn annuì, prendendo un guinzaglio e attaccandolo al collare di Max, che inizialmente fece un po’ di resistenza, ma poi si lasciò portare via, continuando tuttavia a ringhiare. Lynn sparì al piano di sopra, portando con sé anche Dolores.

Una volta che sua moglie se ne fu andata, Gerard guardò il poliziotto dritto negli occhi: <<Io non so chi gli abbia raccontato una baggianata del genere.>>, disse <<Ma so per certo che mio figlio non è un terrorista.>>

<<Abbiamo ricevuto informazioni precise, signor O’…>>

<<Da chi?>>, sibilò Gerard in un tono di quelli che pretendono una risposta, tanto che il poliziotto esitò un attimo e fu quasi sul punto di rivelare la fonte.

<<Questo non posso dirglielo.>>

<<Voi venite qui, accusate mio figlio di essere un terrorista perché qualcuno ve lo ha detto.>>, riepilogò Gerard <<Pretendo di sapere chi è stato.>>

<<Gliel’ho già detto. Io non posso…>>

<<Sono stato io, Gerard.>>

Gerard guardò l’uomo dietro i poliziotti. Era fermo, accanto un’auto da cui evidentemente era appena uscito. Gerard lo guardava e non credeva ai suoi occhi. Sentì appena i poliziotti che lo spostavano per entrare in casa. L’abbaiare di Max, al piano di sopra era un suono lontano. Le luci della polizia erano diventate invisibili. I suoi occhi erano calamitati sull’uomo, che lo guardava da dietro la staccionata del suo giardino, con uno sguardo tagliente e duro, in qualche modo sinistro, soddisfatto. E non riusciva a capacitarsi che fosse veramente chi era. Doveva essere solo un brutto sogno. Non poteva succedere per davvero.

Fu di nuovo spintonato, quando due dei quattro poliziotti entrati passarono, trascinando di peso Ryan, con le mani ammanettate dietro la schiena.

<<Papà, io non ho fatto nulla.>>, urlò suo figlio rivolto verso di lui in una richiesta disperata di aiuto <<Non ho fatto niente!>>

Gerard lo seguì con gli occhi fino a che non fu arrivato alla macchina e i poliziotti lo costrinsero ad entrare dentro. Si sentiva inerte e assolutamente incapace di muoversi. Guardò l’uomo e ancora non riusciva a capacitarsi che fosse vero. Guardò l’uomo e vide che in mano aveva qualcosa… un pugnale. Gocciolava di sangue. E Gerard sapeva che era il suo sangue. Lo aveva pugnalato e adesso lo guardava con l’arma del delitto ancora in mano e una luce trionfale negli occhi. Il suo migliore amico, Nigel, lo aveva pugnalato alla schiena…

Umido. Il muso di Max lo guardava con occhi tristi e supplichevoli. Sparì un attimo e ricomparve con in mano il guinzaglio. Gerard lo guardò sbattendo gli occhi un paio di volte e mettendosi a sedere sul bordo del letto, guardandosi intorno come se non riuscisse a capacitarsi di dove fosse. Era nella camera di Ryan. E si era addormentato sul suo letto, evidentemente. Aveva qualcosa in mano. La fotografia era vecchia e sbiadita. I bordi ormai consunti, la superficie screziata da alcune rughe. Uno degli angoli era bruciato. Era stato lui. Aveva cercato di dargli fuoco appena uscito per l’ultima volta da casa Kensington, da quel cancello. Aveva cercato di bruciare quella foto, col suo accendino. Salvo poi pentirsi e spegnere subito la fiamma. La rimise al suo posto, nel portafoglio, dove stava da più di trenta lunghi anni.

<<Sei qui.>>

Si voltò, sapendo già chi era: <<Sì, Lynn. Sono qui.>>, disse guardando la stanza che era rimasta sempre immobile e ferma, sin da quando Lynn l’aveva rimessa in ordine dopo la perquisizione della polizia. Sempre nello stesso modo, aspettando il suo proprietario.

La maglia della nazionale di rugby irlandese era incorniciata, appesa al muro davanti alla scrivania. Aveva dovuto far cambiare il vetro, perché i poliziotti, nel buttare giù la cornice per vedere se non nascondesse qualcosa, lo avevano rotto. La poltrona, in un angolo della stanza, era stata svestita della propria stoffa e svuotata. Aveva dovuto far rimettere a posto anche quella. Ogni piccolo oggetto di quella stanza diceva qualcosa di lui. Ma c’erano un sacco di oggetti che erano andati rotti e che non c’erano più.

Gerard si alzò da letto, lentamente, voltandosi poi a rimpattare le pieghe che aveva provocato sedendosi sopra la coperta.

<<Tornerà mai?>>, chiese Lynn.

Gerard la guardò, quasi impassibile. Il tono della voce era ogni volta più stanco e senza speranza: <<Non ci spero più, Lynn.>>, disse <<Dove sono andati Dolores e Will?>>

<<Sono usciti.>>, rispose la donna avviandosi lungo il corridoio  <<Saranno andati a trovarsi coi loro amici.>>

Gerard la seguì, richiudendo la porta dietro di sé, con Max che continuava a stargli dietro con il guinzaglio in bocca: <<Sì, Max, ho capito ho capito.>>, disse stirandosi mentre camminava <<Andiamo a fare una passeggiata.>>

 

<<And kingdoms rise, and kingdoms fall. But you go on.>>, da “October”, U2[14]

 

Parte VII

 

<<Cos’è che stai guardando?>>

Joe si voltò indietro, sorridendo appena a Jet che era entrato nella stanza del computer centrale della base mangiando una mela. Poi tornò a quello che stava facendo.

Jet si avvicinò ancora di più, fino a sedersi accanto a lui: <<Sono giornali.>>

Joe annuì, senza togliere gli occhi dallo schermo scorrendo le righe <<Sì.>>

<<Ancora mistero sulla morte di Helen Kensington lesse Jet ad alta voce recitando il titolo dell’articolo, poi rimase silenzioso qualche secondo, rimuginando qualcosa <<Kensington… ma non è quell’amico di Bretagna da cui sono i nostri amici?>>

<<Esattamente.>>, confermò Joe facendo girare un’altra pagina sullo schermo <<E c’è qualcosa che non mi quadra.>>

Jet smise di masticare il suo pezzo di mela, guardando l’amico incuriosito: <<Sarebbe?>>

<<Qui c’è scritto che la donna non aveva segni di colluttazione né ferite sul corpo…>>, rispose Joe guardando Jet <<E’ strano. Perché non ha cercato di difendersi dal suo o dai suoi aggressori? E se veramente fosse caduta da quella rupe avrebbe dovuto sbattere contro le rocce e farsi più di qualche semplice graffio.>>

Jet aggrottò la fronte: <<In un giallo non si possono dire le cose così. Non riesco a seguirti.>>

<<Hai ragione.>>, disse Joe facendo tornare indietro alcune pagine <<Ecco, leggi qui. Questo è un articolo subito successivo al ritrovamento del cadavere in mare.>>

Jet guardò prima Joe, perplesso, poi cominciò a leggere l’articolo: <<Ritrovato il cadavere di una donna in mare… Uccisa la moglie di Sir Nigel Kensington... La mano dell’IRA dietro il delitto.>> Jet passò dai titoli al pezzo in sé: <<BELFAST – Ieri mattina un peschereccio, al largo della costa nordorientale, ha trovato nell’acqua il cadavere di una donna. La polizia, avvertita tramite radio, giunta sul luogo, non ha potuto fare altro che constatare la morte della donna. In mattinata la donna, che era vestita e ancora con le scarpe ai piedi è stata riconosciuta come essere Helen Kensington, la moglie del famoso diplomatico nordirlandese Nigel Kensington, da anni in prima linea nel tentativo di avviare il processo di pace in Ulster. Il medico legale, a una prima visita, ha appurato che sul corpo non sembrano esserci segni di colluttazione, né fori da arma da fuoco o tagli da pugnale. Tuttavia, a causa delle molte ore passate in acqua, il corpo era gonfio ed è difficile stabilire l’ora dell’avvenuto decesso. Risultati più chiari si avranno con l’autopsia di domani mattina.

Helen Kensington non dava più notizie di sé da due giorni. E’ tutto quello che si è riuscito a sapere da parte della famiglia, che si è chiusa in un doloroso silenzio.

Gli investigatori lasciano aperta qualunque ipotesi e aspettano l’esito dell’autopsia per avere qualche dato in più su cui lavorare…>>

Joe cambiò la pagina e apparve un altro articolo: <<Hai già letto la parte interessante.>>

Jet fece una smorfia: <<Questo non dovrei deciderlo io?>>

<<Leggi qui ora… anzi leggi la parte evidenziata.>>, lo invitò Joe accennando allo schermo.

Jet guardò e vide un altro articolo, anzi, alcune righe di un articolo. Era stato fatto una zoomata e delle righe erano evidenziate. Lesse ad alta voce: <<L’autopsia ha appurato che Helen Kensington non è morta per annegamento. Era già morta al momento di entrare in acqua. Inoltre ha confermato che sul corpo non ci sono né segni di colluttazione né alcun tipo di ferita. Neanche il contenuto dello stomaco (solo alcune tracce di un comune farmaco contro l’emicrania) e le analisi del sangue hanno rivelato anomalie tali da indurre a comprendere i motivi del decesso. Il medico legale ha escluso anche che sia stato un problema cardiaco legato alla cardiopatia di cui la vittima soffriva da qualche anno.

Intanto, su una rupe sulla costa, vicino a Larne, sono stati ritrovati alcuni oggetti personali della donna: gli occhiali da vista e la borsetta. All’interno pochi oggetti: il portafoglio con i documenti, un contenitore d’argento in cui erano contenute un paio di pasticche, che la vittima prendeva per la sua cardiopatia, e cose di poca importanza…>>

Joe mosse la pagina, facendo comparire la foto di una rupe: <<Guardala.>>

La rupe non era perfettamente diritta e a picco sul mare. Era piuttosto accidentata e con parecchie pietre sporgenti. Jet rabbrividì al pensiero di come potesse uscire un corpo che si fosse buttato in mare da quella rupe. Eppure quella donna non aveva neppure un graffio: <<Non può essersi buttata da lì se non aveva neppure un graffio!>>, disse in tono deciso.

<<Appunto.>>, disse Joe.

<<Ma allora come diavolo…?>>, Jet scosse la testa guardando l’articolo che non riusciva a dirgli niente di più di quello che gli aveva detto.

<<I gialli non sono mai stati la mia passione.>>, disse Joe sospirando e guardando a sua volta lo schermo <<Ma qui si tratta di una cosa accaduta veramente, non di un romanzo.>>

<<Non potrebbe essersi semplicemente suicidata?>>, propose Jet.

<<E come? Buttandosi da quella rupe?>>, Joe storse la bocca e il volto come a dire che era semplicemente impossibile e il perché lo avevano già capito.

<<Che cosa hanno concluso gli investigatori?>>, chiese Jet.

Joe scrollò le spalle: <<Piano piano il caso si è sgonfiato e i giornali hanno smesso di parlarne. Gli investigatori non sono riusciti nemmeno loro a capire se si trattasse di omicidio o suicidio. L’IRA, che era indiziata per via della posizione di Nigel Kensington, non ha mai rivendicato nulla.>>

<<Sono rimasti in un vicolo cieco?>>

<<Praticamente sì… e sinceramente non riesco a cavare un ragno dal buco.>>, disse Joe stirandosi <<Se la donna era già morta al momento di entrare in acqua, chi ce l’ha portata? I morti non camminano.>>

<<Probabilmente lo stesso che ha portato quegli oggetti sulla rupe.>>, suggerì Jet guardando la foto del posto perplesso.

<<E’ probabile. Ma chi è che aveva interesse a uccidere Helen Kensington?>>

Jet storse la bocca in una smorfia: <<L’IRA?>>

<<E perché non hanno mai rivendicato niente?>>, chiese, anzi, obiettò Joe.

<<Forse l’hanno rivendicato solo a Kensington… in fondo lui ha abbandonato l’attività dopo questo fatto.>>

Joe non era convinto: <<Un fatto del genere verrebbe rivendicato pubblicamente.>>, disse <<Ma poi… se fosse stata l’IRA… avrebbe fatto fuori Kensington, non sua moglie. E poi… la donna era vestita… ma il cappotto? Non è mai stato ritrovato niente del genere.>>

<<Eh?>>, disse Jet non riuscendo a capire.

<<Guarda la data del giornale.>>, gli indicò Joe ruotando la pagina fino all’intestazione.

La data segnava il 17 gennaio di quasi quattro anni prima.

<<Come si fa ad andare in giro a gennaio con solo un vestito addosso, da quelle parti.>>

<<Si congela.>>

<<Appunto.>>

Jet era sempre più perplesso. Restò in silenzio qualche istante, poi scosse la testa e si alzò in piedi: <<Ah, mi hai fatto venire l’emicrania a forza di pensare a ‘sta roba. Ma come ti è venuto in mente?!>>

Joe alzò le spalle, quasi divertito: <<Beh, Françoise mi ha chiesto di fare alcune ricerche.>>, disse <<Ma non pensavo di trovare un puzzle del genere. Mi ha incuriosito.>>

Jet lo guardò un po’ in silenzio, studiando le sue espressioni, rivolte allo schermo. I suoi occhi fecero la spola tra lo schermo e Joe per qualche istante: <<Non vorrai che andiamo fino a là?>>

Joe rispose senza distogliere gli occhi dallo schermo: <<E’ che quando non riesco a capire un problema o a risolvere qualcosa… ci sto male.>>, disse grattandosi la testa <<Non ci dormo la notte.>>

<<Sì, come no.>>, disse Jet allargando le braccia <<Io credo che il motivo per cui tu non dormi la notte è un altro e vuoi semplicemente raggiungerlo, anzi, raggiungerlA.>>

Joe lo guardò sorridente: <<E tu vuoi venire con me.>>

Jet lo guardò perplesso. No, non era stata decisamente una domanda. Era stata un’affermazione: <<Cosa te lo fa pensare?>>

<<Hai detto: “Non vorrai che ANDIAMO fino a là”.>>, gli rispose l’altro.

Jet guardò prima lui, poi lo schermo ancora fermo sulla foto della rupe: <<Beh… ammetto che questa cosa mi ha incuriosito.>>, disse <<E poi quei tre potrebbero aver bisogno di noi.>>

Joe scosse la testa, sorridendo: <<Beh, allora vai a preparare i bagagli.>>, disse <<Partiamo subito con il Dolphin.>>

<<Il mio parere non conta nulla?>>

<<Professore.>>, disse Jet voltandosi verso il dottor Gilmore, appena entrato nella stanza.

<<Dov’è che vorreste andare?>>, chiese Gilmore venendo loro incontro con le braccia incrociate dietro la schiena.

<<In Irlanda del Nord.>>, rispose Joe.

<<Non avete fiducia nei vostri compagni?>>, chiese Gilmore aggrottando la fronte.

Joe si alzò, scuotendo la testa: <<No, non è questo. E’ che nel caso della morte della signora Kensington ci sono troppe cose che non tornano.>>

<<Kensington.>>, ripeté Gilmore <<Non è l’amico di Bretagna da cui…>>

<<Sì, è lui.>>, confermò Jet.

Gilmore guardò lo schermo sul quale campeggiava ancora l’intestazione del giornale: <<E’ un fatto successo quasi quattro anni fa.>>, constatò <<Che attinenza può avere con quello che sta succedendo adesso?>>

Jet e Joe si guardarono, perplessi.

<<Non credo che ne abbia, effettivamente.>>, ammise Joe.

<<Però effettivamente potreste dare una mano ai vostri compagni.>>, disse Gilmore avvicinandosi alla console e facendo scorrere la pagina sullo schermo <<Più siete meglio è.>>

<<Allora possiamo andare?>>, chiese Joe.

Gilmore si voltò verso di lui: <<Va bene, ma userete un aereo di linea.>>, disse <<Non voglio che il Dolphin si allontani da qui. Ce n’è uno che parte tra un paio d’ore. Se vi muovete forse ce la fate.>>

<<Va bene.>>, disse Joe facendo un cenno a Jet <<Ci vediamo.>>

Entrambi sparirono dalla stanza, lasciando lo scienziato da solo. Il professore guardò perplesso l’articolo. Avrebbe voluto capire che cosa ci avevano trovato in quella storia, ma aveva delle cose da fare. Avrebbe dato un’occhiata dopo. Spense lo schermo e si avviò verso un’altra stanza.

 

<<People can be so false sometimes.>>, “False”, Cranberries[15]

 

 

Parte VIII

 

La proprietà di Kensington era veramente grande. Françoise se ne stava rendendo veramente conto solo adesso, quando erano già parecchi minuti che stava camminando verso i campi di orzo che aveva notato al ritorno con Martha. Adesso stava attraversando una specie di boschetto. Si voltò indietro. L’edificio principale era visibile attraverso i tronchi degli alberi, ma era diventato piccolo piccolo. Continuò a camminare. Sapeva di non essere lontana.

Infatti, dopo un paio di minuti il boschetto finì. I campi di orzo erano a poche centinaia di metri a quel punto. Li guardò da lontano. Erano piuttosto estesi e chiaramente divisi in più parti. Dovevano essere stati seminati da poco e probabilmente non tutti i pezzi di terra erano coltivati ad orzo. Ricordava di aver letto su un libro di scuola che l’orzo è di solito coltivato a rotazione con altri tipi di colture, a maggese, per fare in modo che il tenero rimanesse sempre equilibrato e adatto al tipo di coltura al quale era preposto periodicamente[16]. La casa, molto piccola, a due piani, in pietra, era in fondo ai terreni. Accanto poco lontano, un altro edificio che doveva essere la distilleria.

Cominciò a camminare lì intorno. Immaginava che quei campi ricoperti di orzo, nei giorni prima del raccolto, dovessero essere uno spettacolo suggestivo. Il terreno non era totalmente piano. Si alzava leggermente, su un lato, andando a formare una collinetta bassa, sulla cima della quale era stato piantato un albero dal fusto molto grosso, che doveva essere lì da un bel po’ di tempo a giudicare dalla sua imponenza. Evelyn, a cena, il giorno prima, aveva parlato di una grande quercia sotto la quale amava restare a leggere. Forse era quella.

Françoise si avviò verso quell’albero. Arrivata fin sotto di esso, si accorse che era veramente enorme. Da lì la radura continuava in erba folta e si estendeva ancora per un bel po’. Il cielo, finalmente azzurro in una giornata fredda ma serena, era appena un po’ striato di bianco dai cirri, e si stagliava sullo sfondo, creando un fantastico scontro con il bellissimo verde della campagna irlandese. Sembrava di vedere un quadro di John Constable[17].

Françoise rimase a guardare il panorama per un bel po’, sentendo come un senso di pace montargli dentro. I suoi occhi si fermarono su una strada non asfaltata che attraversava la campagna e che era visibile da quel punto. Si notava bene, perché era una striscia giallognola sullo sfondo verde. C’era un uomo fermo sul suo ciglio, mentre un cane correva davanti a lui, fermandosi ogni tanto ad annusare per terra, fra l’erba probabilmente ancora bagnata. L’uomo stava guardando proprio nella sua direzione, ma non riusciva certamente a vederla. Molto più probabilmente guardava la quercia. Quella poteva vederla bene, anche da laggiù. Ma non era tanto questo che la incuriosiva, quanto il fatto che quell’uomo fosse lo stesso che aveva incontrato quella mattina davanti alla chiesa, lo stesso che, a detta di Martha, era uscito da casa Kensington sbattendo la porta. Quell’uomo era Gerard.

Françoise osservò il tronco della quercia, quasi per chiederle come mai l’uomo stesse guardando proprio in quella direzione. E, quasi la quercia avesse sentito la domanda, la risposta arrivò. A Françoise bastò girare leggermente intorno al tronco per osservare da vicino ciò che aveva notato.

Una piccola iscrizione, fatta con un coltello. La ragazza sfiorò le incisioni con una mano mentre leggeva. Recitava: “Nigel and Gerard will never part. Fields of gold, June 22nd 193X”.[18]

Françoise sospirò, immaginandosi la scena. Giugno, l’orzo ormai quasi pronto per essere raccolto che colorava di giallo la collina: una promessa incisa su quella quercia. A quel tempo, a quei ragazzini che avevano poco di una decina d’anni, l’incidere quella frase su quel tronco doveva aver dato ad essa un sapore di eternità e a loro un senso di invincibilità.

Françoise si voltò indietro. L’uomo adesso stava camminando sulla strada, con il cane che lo seguiva. Si trovò a chiedersi cosa potesse essere successo per rompere un’amicizia che doveva essere duratura almeno come quella quercia sulla quale era stata sigillata. Che cosa avesse potuto rompere il sigillo.

Seguì Gerard con lo sguardo per qualche istante. Poi girò intorno alla quercia, andando verso i campi, adagio, per non rischiare di scivolare sull’erba ancora bagnata. Passò accanto alla distilleria. Forse Albert avrebbe saputo apprezzarla meglio di lei. Non era mai stata un’amante della birra.

Continuò verso la casa. Vide la porta aprirsi e si fermò, chiedendosi inconsciamente chi potesse esserci lì dentro. Ne vide uscire un ragazzo dall’aria familiare. Ma quello che attirò ancora di più la sua attenzione fu vedere uscire dalla stessa porta Evelyn. I due evidentemente non si accorsero di lei, perché si abbracciarono e si baciarono.

Françoise rimase impietrita a guardare, incapace di distogliere lo sguardo. Evelyn si accorse di lei e subito si scostò dal ragazzo, allontanandosi quasi spingendolo: <<Françoise!>>

Françoise fece un qualcosa che doveva assomigliare a un sorriso: <<Io non immaginavo ci fosse qualcuno.>>, si giustificò spostando gli occhi dall’uno all’altra <<Ero solo venuta a fare una passeggiata.>>

I due ragazzi si guardarono negli occhi, imbarazzati, e poi guardarono nuovamente Françoise. Cadde un silenzio pesante come un macigno fra i tre.

<<La prego, non dica nulla a mio padre.>>, disse il ragazzo guardandola.

Françoise aggrottò la fronte, osservandolo perplessa. Solo allora si ricordò: <<Tu sei…>>

<<Mi chiamo William.>>, disse il ragazzo <<Ci siamo visti oggi alla chiesa. Lei ha parlato con mio padre qualche minuto.>>

<<Ti prego, Françoise. Mio padre non lo deve sapere.>>, la supplicò Evelyn.

Françoise scosse la testa: <<Io non ho intenzione di dire niente a nessuno. Sono solo… sorpresa. Tutto qui.>>, disse <<Vi assicuro che terrò la bocca chiusa.>>

<<Ti ringrazio.>>, disse Evelyn guardando William con uno sguardo di intesa.

<<Io devo andare.>>, disse William guardando l’orologio <<Ci vediamo.>>

Il ragazzo guardò prima Françoise e poi Evelyn, stringendo appena le labbra. Quindi corse via, attraverso la radura.

Françoise ed Evelyn rimasero sole. Un muro di imbarazzo in mezzo a loro. Ma Françoise guardava Evelyn, mentre quest’ultima non sembrava avere nemmeno il coraggio di alzare lo sguardo.

<<Torniamo?>>, chiese Françoise in un tono pacato e accondiscendente.

Evelyn si limitò ad annuire, avviandosi. Françoise la seguì.

Dopo qualche minuto di silenzioso cammino Evelyn sospirò profondamente, fermandosi: <<Io ti devo delle spiegazioni.>>

<<Tu non mi devi assolutamente nulla…>>

<<E invece sì.>>

Françoise avrebbe voluto ribattere ma non lo fece. Evelyn non voleva dare nessuna spiegazione. Voleva semplicemente poter condividere con qualcuno quella storia che doveva rimanere assolutamente segreta. E adesso che lei l’aveva scoperta, diventava la persona ideale a cui dire tutto quello che si teneva dentro chissà da quanto.

<<E’ per questo che non vuoi andare in Inghilterra?>>, chiese Françoise, invitandola a parlare.

Evelyn annuì, ricominciando a camminare lentamente, con lo sguardo basso a terra: <<Io e William ci siamo conosciuti perché i nostri padri erano amici.>>, prese un profondo respiro <<Anche se qui siamo in un piccolo paese di campagna, ciò non ci rende immuni dall’odio che divide questa terra. Ma noi pensavamo di essere al riparo da una cosa del genere. E invece…>>

La ragazza rimase silenziosa e assorta nei suoi pensieri per qualche secondo. Françoise rispettò il suo silenzio, aspettando che fosse lei a ricominciare.

<<Quando mia madre morì… Ricordo che successe tutto nel giro di pochi giorni. Mio padre e mia madre partirono per un week-end.>>, la ragazza aggrottò la fronte, come se si sforzasse di ricordare <<Quando tornarono litigavano sempre. Non ho mai capito il perché. So solo che che mi preoccupavo perché mamma era cardiopatica e poteva venirle un colpo a agitarsi così. Pochi giorni dopo mia madre se n’era andata da casa e mio padre non sapeva dirmi il perché.>>

Si erano già inoltrate nel boschetto. Evelyn camminava soppesando ogni singolo passo: <<Un paio di giorni dopo un pescatore trovò il corpo di mia madre. Nessuno ha mai saputo chiarire come sia morta. Mio padre diventò l’ombra di se stesso. Irriconoscibile.>>, disse <<Pochi giorni dopo il funerale Ryan O’Neill, il figlio di Gerard e il fratello maggiore di William fu arrestato. Sembrava che fosse un membro dell’IRA. Ricordo che chiesi a mio padre se riusciva a crederci, quando la cosa si seppe. Lui disse: “Non è affar mio”. Lo disse in un tono che mi fece rabbrividire. Il giorno dopo Gerard venne a casa nostra come un ossesso. Litigò furiosamente con mio padre nella biblioteca. Lo sentii urlare che era stato mio padre a mandare in galera suo figlio, chiedergli il perché. Ricordo che mi sembrava irreale. Gerard uscì di casa sbattendo la porta. E i rapporti tra lui e mio padre si sono definitivamente chiusi lì.>>

La casa ormai non era lontana. Evelyn si fermò. Non voleva assolutamente rischiare di essere sentita da qualcuno: <<Troppo tardi. Io ero già una ragazzina adolescente innamorata del più classico dei primi amori: il proprio amico d’infanzia.>>, disse guardando la casa <<William. A volte ci vedevamo per caso, e i nostri sguardi si incrociavano. Io amo molto leggere sotto la grande quercia che c’è a “Fields of gold”… quel pezzo di terra dove ci hai scoperti… >>, disse sorridendo ironica e abbassando gli occhi <<Fu mio nonno a chiamarlo così. William sapeva che amavo stare lì. Era estate, soffiava una piacevole brezza da ovest… mi ricordo addirittura la direzione del vento. Stavo leggendo il Romeo e Giulietta… guarda i casi della vita… e lui venne da me. Non ricordo niente di quello che ci dicemmo. Ero troppo presa da lui… il cuore mi batteva troppo forte per riuscire a pensare…>> alzò lo sguardo verso Françoise, sorridendo <<Ricordo solo che mi disse “ti amo”. E da allora continuiamo a vederci là, quando possiamo, a “Fields of gold”. Quando sono con lui sono serena, felice. E non ho intenzione di perdere tutto a causa di mio padre e dei suoi problemi… e di quello che pensa sia meglio per me.>>

Françoise rimase in silenzio. Riusciva a capire molto bene quello che provava Evelyn e tuttavia non riusciva a comprenderla del tutto: <<Io capisco molto bene quello che hai provato.>>, disse <<Inseguire una persona per tanto tempo, temere che non pensi a te in quel modo, e poi… scoprire che invece ricambia i tuoi sentimenti…>>, si fermò, raccogliendo le parole <<La tua storia con William è molto bella e merita di essere preservata. Ma… tuo padre non è il nemico. Non dico che quello che fa sia tutto giusto. Non ritengo che tu debba andare in Inghilterra, se non lo vuoi. Vorrei solo che tu capissi che, pur potendo sbagliare, tuo padre fa quello che fa pensando di fare il tuo bene.>>

<<Ma non capisce quali sono i miei desideri.>>, ribatté Evelyn <<Non tiene conto di quello che voglio fare io!>>

Françoise sorrise: <<Mio padre non voleva che continuassi seriamente a ballare.>>

Evelyn la guardò perplessa: <<Cosa vuoi dire?>>

<<Secondo lui il mio era un sogno troppo grande per potersi realizzare. Ma io feci di testa mia.>>

<<Allora dai ragione a me.>>

<<Quando arrivò la lettera di un importante scuola di balletto di Parigi che mi dava una borsa di studio, mio padre fu il primo a congratularsi con me e ad abbracciarmi.>>, continuò Françoise <<E al saggio di fine anno… aveva le lacrime agli occhi e applaudiva così tanto che temevo gli volassero via le mani.>>

Evelyn sembrava perplessa.

Françoise sorrise: <<Evelyn, tuo padre sarà il primo a dirti cosa pensa sia meglio per te. Ma sarà anche il primo a congratularsi con te se riuscirai nella tua scegliendo da sola la strada da percorrere.>>

<<Françoiseeee!>>

La ragazza si voltò in direzione della voce che l’aveva chiamata: <<Bretagna?>>

L’uomo si avvicinò a grandi passi verso di lei: <<C’è una novità.>>, disse ansimando.

<<E’ così urgente da rischiare di farti venire un infarto?>>, chiese Françoise ironica.

<<No però pensavo che ti avrebbe fatto piacere sapere quanto prima che Joe sarebbe venuto qui.>>, rispose Bretagna <<E non te ne fregherà nulla di sapere che viene anche Jet.>>

 

<<Torn asunder the future, you and I get blown away, in the storm, in a lifetime. As the rain it falls, begin again. As the storm break through, heavy in my heart, believe the light in you. So the light shines in you. Without color, faded and worn, torn asunder in the storm.>>, da “In a lifetime”, Clannad featuring Bono[19]

 

 

Parte IX

 

 

<<Sono a casa.>>

William richiuse la porta dietro di sé. La casa era silenziosa, come se non ci fosse nessuno. Salì le scale e, arrivato nel corridoio che portava alle camere, si diresse verso la sua. Passò una porta aperta e si fermò, tornando poi indietro di qualche passo. Si fermò sulla soglia, guardando dentro la stanza.

<<Allora sei qui.>>

Dolores, seduta sul solito sgabello, davanti a una delle sue tele, si voltò appena, tornando poi a guardare la sua creazione.

William guardò il dipinto e si avvicinò meccanicamente, per guardarlo meglio. Ma non riusciva a capire cosa fosse.

<<Cos’è?>>, chiese squadrando il disegno.

<<Lo avevo fatto da piccola.>> rispose Dolores <<Lo stavo disegnando la sera che vennero a prendere Ryan. Guarda.>>

Dolores si girò sullo sgabello prendendo un foglio e porgendolo poi a William. Il ragazzo lo prese in mano. Era un po’ rovinato dall’umidità, ma il disegno si vedeva ancora. Era un guazzabuglio di colori caldi. Sopra di essi una colonna di grigio. Era molto simile al disegno che ora giaceva sopra la tela. Ne poteva essere tranquillamente una traccia. Ovviamente il disegno su tela era più accurato, ridefinito da una mano esercitatasi per tanto tempo nella migliore scuola d’arte di Dublino.

<<Credo che rappresenti un’esplosione. Chissà, forse qualcosa che avevo visto in tv.>>

<<In bianco e nero?>>, chiese William.

<<Beh, i colori si possono immaginare.>>, rispose Dolores alzandosi e stirandosi.

<<Quando torni a Dublino?>>, chiese William posando il disegno su un tavolo.

<<La prossima settimana. Credo che il mio compito per questa breve vacanza sarà quel disegno.>>, disse guardando la tela <<Come lo trovi?>>

William lo guardò pensieroso, portandosi una mano sotto il mento. Adesso sapeva cos’era, ma doveva ammettere che era stata proprio quella di un’esplosione la prima impressione che aveva avuto. Solo che era troppo astratto. Ci dovevi pensare per realizzare cosa fosse.

<<A me piace.>>, commentò <<Credo veramente che tu abbia un talento innato per l’arte. Avrò una sorella famosa.>>, disse sorridendo e rivolgendosi a lei.

Dolores sorrise appena alzando le spalle: <<Non è mica così facile. Devo migliorare ancora molto.>>

William sorrise: <<Hai solo 15 anni. Ne hai di tempo per migliorare.>>

<<Hai sempre avuto molta fiducia in me.>>, disse Dolores.

<<Anche papà e mamma ne hanno.>>, rispose lui.

<<Sì, ma tu in modo particolare.>>

William alzò le ciglia, incrociando le braccia sul petto: <<Beh, sono tuo fratello. Posso permettermi di sognare un po’ di più di papà e mamma.>>

Dolores si limitò a sorridere: <<Adesso devo andare. Ho un appuntamento con Macy. Andiamo a fare un giro. Vuoi venire?>>

William scosse la testa: <<No, devo studiare.>>

Dolores alzò le spalle: <<Peccato. A Macy dispiacerà.>>

<<Ma dai!>>

<<Dico sul serio.>>, disse lei mettendosi la giacca e dandogli le spalle <<Ha un debole per te. Ma d’altronde credo che se ne debba fare una ragione.>>, voltò gli occhi verso di lui <<Dico bene?>>

William esitò un attimo, guardandola con uno sguardo perplesso: <<Co… cosa?>>

<<Sì, certo.>>, disse Dolores sorridendo <<Ci vediamo fratellone.>>

La ragazza uscì dalla stanza. William la sentì scendere le scale di corsa e sbattere la porta. Rimase fermo nello stesso punto, accanto alla tela di Dolores, attonito. Da quanto sua sorella sapeva? Non lo preoccupava il fatto che lo sapesse. Non l’avrebbe mai detto a nessuno, di questo poteva essere certo. Ma… quella era stata decisamente la giornata delle sorprese.

Uscì dalla stanza e si diresse verso camera sua. Passò accanto alla porta della stanza di Ryan, fermandosi a guardarla. Suo padre ogni tanto ci entrava. Sua madre lo faceva solo per pulire dalla polvere. Lui non ci era mai voluto entrare da quel giorno. Suo fratello non era un terrorista. Non era neanche uno stinco di santo. Gli piacevano le belle ragazze e i piaceri della vita. Ma di certo non un terrorista. Di questo era sempre stato sicuro. Ma ogni tanto Ryan si era lasciato scappare in pubblico frasi pesanti, e forse questo era bastato a fregarlo.

La sua mano sfiorò la porta di pesante legno e aprì quasi da sola la maniglia. La stanza era esattamente come se la ricordava. I modellini di automobili che tanto aveva invidiato a suo fratello quando era ancora un bambino erano ancora in bella mostra su una mensola. William si guardò intorno. Era quasi come tornare indietro nel tempo. Magari Ryan sarebbe apparso improvvisamente sulla porta chiedendogli cosa ci facesse in camera sua, come quand’era piccolo.

Il pavimento a travi era lucido e ben pulito. Chissà se c’era ancora qualcosa? William si inginocchiò per terra, accanto al letto. Infilò una mano sotto la struttura e cercò, guardando, a tastoni sul pavimento, fino a che non sentì chiaramente che qualcosa si era smosso. Mise anche l’altra mano sotto il letto e tolse la trave, tirandola a sé e posandola accanto a lui. Quindi rimise una mano sotto e andò a rovistare nel vano sotto la trave che aveva tolto.

La prima cosa che ne venne fuori fu una stecca di sigarette. Ryan fumava, ma non voleva che i loro genitori se ne accorgessero. Sapeva che non approvavano. Neanche William approvava. Guardò la stecca un po’ seccato e la posò accanto a lui. Riprese a rovistare. Ne uscì fuori un fascio di riviste pornografiche.

<<E bravo il mio fratellone. Mamma non approverebbe.>>, disse sfogliandone una.

Posò anche quelle accanto a lui e ricominciò a cercare. Sentì qualcosa che assomigliava a un libro, con la copertina in finta pelle. Lo tirò fuori. Si ritrovò in mano un’agenda con la copertina nera e un po’ consumata. La sfogliò. Le pagine erano piene della scrittura di Ryan. Inconfondibile. Era una specie di diario segreto. Non immaginava che Ryan fosse uno da questo genere di cose.

Sentì la porta dell’ingresso aprirsi e l’inconfondibile latrato di Max, che voleva significare che era tornato a casa. Si affrettò a rimettere le cose dentro il loro nascondiglio segreto, richiudendolo con la trave. Lasciò fuori solo l’agenda. Si rialzò in piedi, prendendola, e uscì di corsa dalla stanza, richiudendola silenziosamente, e rifugiandosi in camera sua, che era proprio la porta accanto.

Si tolse la giacca che aveva ancora indosso, e la buttò sul letto. Quindi accese la luce della scrivania e vi appoggiò l’agenda sopra. Si mise a sedere, aprendo il libro di farmaceutica che giaceva sul ripiano e mettendosi “a studiare”. Come previsto, pochi istanti dopo suo padre bussò alla porta.

<<Avanti.>>, disse William voltandosi indietro sulla sedia.

<<Dove sono tutte?>>, chiese suo padre aprendo la porta e rimanendo con la mano sulla maniglia.

William alzò le spalle: <<La mamma non lo so. Quando sono rientrato era già uscita.>>, disse <<Dolores è uscita con Macy.>>

<<Uhm… stai studiando?>>, chiese l’altro.

William si limitò ad annuire.

<<Bene, continua a studiare. Diventa un bravo medico così mi rimborserai le spese per l’università curandomi gratis.>>

William rise: <<Ma tu stai benissimo papà.>>

<<Aspetto che ti laurei, infatti.>>, disse chiudendo la porta.

William scosse la testa rivoltandosi avanti. Guardò il libro aperto davanti a lui. Ormai lo sapeva a memoria. I suoi occhi si spostarono sull’agenda dalla copertina nera. La prese in mano e la sfogliò nuovamente. Era senz’altro un diario. Ogni pezzo era diviso da date. Ogni tanto c’era qualche disegno. William la chiuse e la riaprì dalla pagina iniziale.

Ryan aveva cominciato a scrivere dal 1° gennaio di sei anni prima.

 

<<Sweet the sin, but bitter the taste in my mouth.>>, “Running to stand still”, U2[20]  

 

 

Parte X  

 

 

Toc toc.

Kensington richiuse la cartella che stava visionando e la ripose in un cassetto: <<Chi è?>>

<<Nigel, sono Angela.>>

<<Avanti.>>

La porta si aprì. Sua sorella gli sorrise entrando, ma era un sorriso serio. Era lì per parlargli di qualcosa. Ormai la conosceva bene.

<<Siediti, sorellina.>>, la invitò Kensington indicando le sedie di fronte alla sua scrivania di legno scuro e pesante <<Dimmi, cosa posso fare per te?>>

Angela si sedette compostamente, accavallando elegantemente le gambe e guardando dritto in faccia suo fratello: <<Nigel, io sono sempre stata molto chiara con te, quindi non ci girerò troppo intorno.>>, disse con voce chiara e risoluta <<Vorrei sapere che cosa hai intenzione di fare con Evelyn.>>

Kensington appoggiò si appoggiò allo schienale, adagiando le braccia sui braccioli: <<Evelyn studierà e andrà a Oxford dopo il diploma. Non c’è molto altro da dire.>>

Angela scosse la testa: <<Nigel, io non metto in dubbio che Oxford sia una delle migliori scuole del mondo.>>, disse <<Ma lei non vuole andarci. E tu non puoi ignorare questa cosa.>>

Nigel sorrise sotto la barba: <<E’ stata lei a chiederti di parlarmene?>>

Angela voltò per un attimo la testa da un’altra parte, rifiutando l’idea già con quel piccolo gesto. Poi tornò a guardare il fratello: <<Sai che non lo farebbe mai.>>

<<Già, orgogliosa fino in fondo.>>, disse Nigel <<Una vera Kensington, da quel punto di vista. Ma assomiglia più a te che a me.>>

Angela sorrise amaramente: <<Proprio per quello che ho passato io ti sto mettendo in guardia.>>

<<In guardia da cosa?>>, chiese Nigel <<Angela, io ti ho sempre ammirato per il tuo senso di libertà, ma questo non vuol dire che io fossi d’accordo e approvassi ogni cosa che facevi. E se permetti, non voglio che mia figlia segua le stesse strade. Si è già persa una volta.>>

<<Ancora per quello?>>, sbottò Angela <<Ma era solo una ragazzina! Evelyn è maturata tantissimo da allora…>>

Nigel la bloccò con uno sguardo freddo e tagliente: <<Io non voglio che succeda di nuovo, Angela.>>, disse <<Le ho dato sempre tutto quello che voleva. Ma lei si è approfittata di questa libertà, e altri si sono approfittati della mia fiducia. Io non voglio che succeda di nuovo.>>

Non l’aveva detto con rabbia. Ma quel tono di voce aveva qualcosa che le fece scendere un brivido lungo la schiena: <<Lo sai che ti odierà per questo?>>, disse Angela dopo parecchi secondi di silenzio.

Nigel strinse le labbra: <<Mi odia già…>>

Angela scosse la testa: <<No, lei non ti odia.>>, disse interrompendolo.

<<Non mi odia?>>, chiese retoricamente Nigel. Poi scosse la testa <<Dopo quello che ho fatto? Per favore, Angela.>>

Angela si alzò, lentamente, iniziando a camminare per lo studio. Quello stesso studio che era stato di loro padre, e del nonno, e del bisnonno… e così via. Ricordava ancora quando lei si sedeva su quella stessa sedia, e Nigel accanto, a fare i compiti, sotto lo sguardo vigile del padre.

Alan Kensington era stato un uomo tutto d’un pezzo, rigoroso e orgoglioso. Era un padre dallo sguardo severo e dalle esigenze difficili da soddisfare. Voleva il meglio per i suoi figli. Quello che lui pensava fosse il meglio per loro. Aveva il suo modo di voler loro bene, ma sapeva benissimo che li amava.

Nigel era stato il figlio bravo e integerrimo. Aveva seguito il volere del padre e aveva cercato di assecondarlo in tutti i modi. Era decisamente degno di sedere su quella sedia.

Lei era stata una continua fonte di delusioni per suo padre. Una ribelle che si sentiva soffocare dalle etichette e dai doveri, i cui progetti andavano decisamente contro quello che suo padre aveva deciso per lei. Un animo libero, che a poco a poco aveva cominciato a sentire le mura di quella casa enorme stringersi intorno a lei, soffocarla. Ed era fuggita da quella prigione. Per essere libera. Aveva conosciuto una vita diversa, aveva assaporato il sapore inebriante della libertà che aveva sempre sognato. Suo fratello era l’unico che ancora le parlava. Era stato addirittura lui a presentarle quell’attore che, pur non bellissimo d’aspetto, aveva saputo conquistarla e con cui aveva immaginato di avere una vita insieme.

E intanto suo padre moriva giorno dopo giorno stroncato dal cancro. Era ritornata, supplicata dalla madre e dal fratello, per vederlo prima della sua morte, quando ormai non c’era più nulla da fare.

Ricordava il groppo in gola salirle su mentre percorreva il grande corridoio che portava alla stanza dei suoi, il giorno che tornò a casa. Era lì che suo padre giaceva, ormai logorato dentro dal male.

Un sussurro con un filo di voce… Angela… la mano protesa verso di lei, appena la forza di aprire gli occhi…

Scosse la testa, scacciando via il ricordo, e sentì il bruciore negli occhi. Lo stesso che l’aveva colta quel giorno. E si rese conto perché lo stava facendo. Fino ad allora aveva pensato che fosse semplicemente il non accettare che Nigel non tenesse assolutamente in considerazione il parere di Evelyn. No, non era solo quello. Quello era secondario.

Senza neanche accorgersene, era arrivata fin davanti alla grande finestra. La vista da lì si estendeva su tutta la proprietà Kensington, fin oltre la grande quercia. Si voltò verso il fratello: <<Nigel, quanto tempo hai ancora?>>

Nigel la guardò senza battere ciglio: <<Devo ricordare di dire al dottor Lawson cos’è il segreto professionale.>>

Angela scosse la testa: <<Non è stato Lawson. Avresti dovuto trovare un altro nascondiglio per il cassetto di quella chiave.>>

Nigel aggrottò la fronte: <<Da quando in qua rovisti fra la mia roba?>>

<<Non hai ancora risposto alla mia domanda.>>, gli fece notare lei.

Nigel sorrise malinconico: <<Qualche anno. Lawson mi ha consigliato un ottimo oncologo.>>, disse <<Dice che se mi curo, posso vivere anche una decina d’anni. Se fosse per me, mi lascerei morire. Ma devo pensare a Evelyn.>>

<<Nigel, io non voglio che Evelyn percorra quel corridoio con il groppo che le sale in gola, quasi fino a farla soffocare.>>, disse <<Io non ho avuto figli, forse non li avrò mai e…>>

<<Appunto…>>, la interruppe Nigel con occhi incredibilmente tristi.

Il silenzio scese un attimo nella stanza, cristallizzando quel momento.

Nigel si lisciò appena la barba, poi giunse le mani davanti alla bocca, in una specie di pugno, guardando la sorella: <<Angela, nel momento in cui io verrò a mancare, che sia oggi, domani o fra dieci anni…>>, respirò profondamente chiudendo gli occhi <<Da quel momento io ti chiedo di prenderti cura di Evelyn come se fosse figlia tua. Nostro padre mi disse la stessa cosa quando morì. Mi disse prendermi cura di te. Che anche se eri un po’ matta… eri comunque una ragazza in gamba. Io adesso ti chiedo di fare la stessa cosa con Evelyn.>>

<<Nigel…>>

<<Non ha neanche la madre… e io potrei abbandonarla proprio nel momento in cui lei ha più bisogno di me.>>

Angela strinse le labbra: <<Certo che lo farò, Nigel. Ma… tra molto tempo.>>

Nigel sorrise. Un sorriso triste, ma sereno: <<Non ho molto tempo, Angela. Non so quanto ne abbia. Ma so che non è molto.>>, disse <<E ti accorgi di quante cose devi ancora fare e mettere a posto e…>>

Dlon… dlon… dlon… dlon… dlon… dlon... dlon... dlon... dlon... dlon... dlon.

I due fratelli si voltarono aspettarono in silenzio, anche quando l’ultimo rintocco non si fu spento nel loro silenzio.

Nigel sospirò: <<Ecco che l’orologio sancisce la fine di un’altra ora della mia vita.>>, disse <<Ti accorgi di quanto il tempo corra solo quando vorresti che si fermasse. E la cosa fantastica è che il tempo, in realtà va sempre allo stesso ritmo.>>, si voltò verso la sorella, incontrando i suoi occhi <<Siamo noi, sono le nostre emozioni che creano l’illusione che il tempo cambi di velocità.>>

 

<<Unhappiness. Where’s when I was younger and we didn’t give a damn? ‘Cause we were raised to see life as fun and take it if we can. My mother, my mother she hold me, did she hold me when I was out there? My father, my father, he liked me, oh he liked me. Does anyone care?>>, da “Ode to my family”, Cranberries[21]  

 

Parte XI  

 

<<Che ore sono?>>

Albert sbuffò, posando sul tavolo la sua tazza di caffè: <<Françoise, negli ultimi venti minuti mi hai fatto la stessa domanda all’incirca un milione di volte.>>, disse <<Saranno qui a momenti. Il loro aereo doveva atterrare a Belfast un’ora fa.>>

<<Sono in ritardo.>>, fece notare lei.

<<Magari hanno trovato traffico.>>, ipotizzò Albert <<Perché non sei andata con Bretagna e l’autista di Kensington.>>

<<Perché stamattina non mi avete svegliato.>>, disse lei stizzita.

<<Credevo che ti saresti svegliata da sola per andare dal tuo principe azzurro.>>, disse.

Françoise sorrise appena: <<Non ho quasi chiuso occhio stanotte.>>, spiegò <<Troppi pensieri per la testa.>>

<<Certo, come no.>>, disse <<E magari hai sognato una piccola e romantica isola tropicale, un villaggio, corse sulla spiaggia mano nella mano…>>[22]

Françoise gli tirò addosso un cuscino del divano, guardandolo con lo sguardo storto, ma in fondo divertito: <<Ma stai zitto. Non c’entra Joe in tutto questo.>>

Albert sorrise senza denti, in una delle sue classiche espressioni: <<No? Nemmeno un po’?>>

<<No!>>

<<Françoise, puoi prendere in giro Jet, Bretagna, Chang e chiunque altro.>>, disse incrociando le braccia sul petto <<Non me.>>

Françoise sorrise: <<Va bene, lo ammetto.>>, disse <<Ma Joe c’entra soltanto in minima parte.>>

Albert scosse la testa: <<Va bene, ti credo.>>, disse <<Ma sono curioso di sapere quali pensieri possano riuscire a farti pensare ad altra cosa se non al tuo ragazzo?>>

Françoise strinse le labbra: <<Mi dispiace, Albert.>>, disse <<Sono cose molto confidenziali. Non posso rivelarle nemmeno a te.>>

Albert allargò le braccia: <<Va bene. Non insisto.>>

<<Sembrate fratello e sorella.>>

Albert si voltò alle sue spalle: <<Buongiorno, Evelyn.>>

La ragazza sorrise: <<Buongiorno, signor Heinrich. Buongiorno Françoise.>>

<<Ah, non ci siamo.>>, disse lui <<Signore dillo a Bretagna. Mi fai sentire vecchio. Chiamami semplicemente Albert. Ma tu non dovresti essere tornata a Belfast ieri sera?>>

<<Sono stata un po’ male stanotte. Così resterò un altro paio di giorni,  Albert.>>, rispose Evelyn sorridendo <<Anche stamattina non stavo molto bene. Ma adesso va già un po’ meglio.>>

Françoise sorrise <<Hai detto che io e lui sembriamo fratelli?>>

<<Sì, ho detto questo.>>, disse <<Cioè, avete quel tipo di rapporto che io avrei voluto avere con un fratello maggiore. Purtroppo non ho né fratelli né cugini.>>

<<E’ un peccato.>>, disse Françoise. Poi si rivolse ad Albert <<Che ore sono, fratellone?>>

Albert fece una mezza risata: <<Ma sei una piaga!>>

Evelyn scoppiò a ridere: <<Non sono ancora arrivati i vostri amici?>>, chiese quando smise di ridere.

<<No…>>, Françoise si fermò come se avesse sentito qualcosa <<Anzi, stanno arrivando proprio adesso.>>, disse alzandosi di scatto <<Scusatemi.>>

Albert e Evelyn la guardarono uscire dalla stanza come un fulmine.

Evelyn era semplicemente esterrefatta: <<Ma come…?>>

<<Non chiedermi come fa.>>, la pregò Albert scuotendo la testa in una mano <<E’… una specie di sesto senso.>> “In fondo è quasi la verità.”

Intanto Françoise era già nel cortile. L’auto aveva appena varcato il cancello e procedeva veloce verso la casa. Anche Albert e Evelyn la raggiunsero.

La macchina entrò finalmente nel cortile antistante la villa, fece il giro attorno alla grande fontana circolare davanti alla facciata e si fermò, proprio accanto ai tre, a pochi metri da loro, che aspettavano in piedi ai piedi della scalinata che portava al portone.

Entrambe le portiere portiera che dava sui posti posteriori si aprirono e Joe e Jet scesero, guardando verso la facciata dell’enorme villa.

<<Wow!>>, esclamò Jet meravigliato.

<<Una casetta da nulla, no?>> scherzò Joe continuando a guardare la casa. Poi si accorse che Françoise stava venendo verso di lui a grandi passi. Sorrise semplicemente e allargò le braccia per accoglierla, stringendola poi forte a sé.

<<Benvenuto.>>, gli sussurrò nell’orecchio.

<<Benvenuto.>>, ripeté Jet alzando gli occhi al cielo <<Io siccome non l’ho fatto il viaggio. Albert, tesoro, vieni ad abbracciare anche tu il tuo caro Jettuccio.>>

Albert fece una smorfia quasi di ribrezzo: <<Scordatelo. Non sei il mio tipo.>>, poi si rivolse a Evelyn che stava ridendo come una matta <<Non ci fare caso. Jet è un po’ scemo, ma in fondo è un bravo ragazzo.>>

Anche Françoise si era appena un po’ scostata da Joe e stava ridendo: <<Benvenuto, Jet.>>

<<Oh, troppo buona.>>, disse lui allargando <<E non me lo dai un abbraccio?>>

<<Non sei il mio tipo.>>, disse lei alzando le spalle.

<<Benvenuti a casa Kensington.>>

Gli occhi di tutto si voltarono verso il portono. Il signor Kensington stava scendendo gli scalini. Si avvicinò ai due nuovi arrivati e strinse a entrambi la mano, presentandosi.

<<Spero che abbiate fatto un buon viaggio.>>

<<Sì, grazie.>>, rispose Joe.

<<Ah, vi presento Angela, mia sorella.>>, disse Kensington indicando col braccio la donna che si era avvicinata a loro venendo dietro di lui.

<<Buongiorno a tutti. Scusate ma mi ero addormentato.>>

Françoise e Albert sgranarono gli occhi: <<Professor Gilmore!>>, dissero quasi all’unisono.

Il professore sorrise bonario, con Bretagna dietro di lui, che doveva averlo svegliato.

<<Salve ragazzi.>>, disse <<Adoro la campagna di queste parti. Così ho pensato fosse una buona occasione. Ah, che maleducato.>>, il professore porse la mano a Kensington <<Piacere di conoscerla, Sir Kensington. Il mio nome è Isaac Gilmore. Spero di non essere di troppo.>>

<<Il piacere è tutto mio, professor Gilmore.>>, disse l’uomo stringendogli la mano <<Qui ognuno è il benvenuto. Spero che la mia casa le sarà dimora gradita.>>

<<Lo sarà senz’altro.>>, disse il professore sorridendo da un lato all’altro del viso.

Nigel si guardò intorno: <<Herbert, ragazzi.>>, disse accennando al maggiordomo e a tre attendenti <<Portate i bagagli dei signori nelle loro camere.>>

Herbert fece un cenno ai ragazzi che si mossero prontamente, andando a prendere i bagagli dei nuovi ospiti dal bagagliaio. Quindi si mosse verso i nuovi ospiti: <<Se lor signori mi seguono, li accompagno nello loro stanze.>>

Le stanze, come tutte le altre, erano sullo stesso corridoio.

<<Bella stanza.>>, commentò Jet guardandosi intorno e ammirando il panorama che si vedeva dalla finestra <<Mi hanno dato proprio una bella stanza.>>

Joe stava cercando qualcosa in una borsa: <<Ti?>>, chiese tirando fuori una cartelletta in cartoncino scuro.

<<Tanto tu non dormi qui, no?>>

Joe non rispose, limitandosi a guardarlo di sbieco. Poi si diresse verso la porta e uscì. Nel corridoio incontrò proprio Françoise.

<<Ho fatto quelle ricerche che mi avevi chiesto.>>, disse mostrando la cartella.

Françoise annuì, guardandosi intorno: <<Forse è meglio se ne parliamo in camera mia.>>, disse <<Non credi?>>

<<Uhm, credo di sì.>>

Françoise lo guidò fino alla sua camera, chiudendo poi la porta dietro di sé: <<Non pensare a cose strane. Voglio solo essere al riparo da orecchie indiscrete.>>

Joe aggrottò la fronte: <<Cose strane? Non pensavo fossimo una cosa strana io e te.>>

Lei lo guardò con l’espressione del tipo “sei sempre il solito” e andò a sedersi sul letto: <<Allora, cos’hai scoperto?>>

Joe si sedette accanto a lei porgendole la cartelletta. Françoise fece per prenderla, ma Joe la ritrasse indietro.

<<Non mi hai nemmeno dato un bacio da quando sono arrivato.>>

<<Sei tu quello che non ama troppe effusioni in pubblico.>>, gli fece notare lei inclinando le ciglia.

<<Ma qui non siamo in pubblico e…>>

Non gli dette il tempo di finire la frase, soffocandogli le parole con le sue labbra. Mentre era distratto da lei, gli strappò la cartella di mano, staccandosi prontamente e mettendosi a consultare il contenuto della cartella.

<<Ehi, non vale!>>, protestò lui.

Françoise lo ignorò, guardando delle stampe degli articoli che Joe aveva raccolto: <<Vedo che hai evidenziato dei passi.>>

<<Sono quelli che ritengo i più importanti. Ho fatto anche delle annotazioni.>>

<<Vedo.>>, commentò Françoise.

<<Ovviamente tutto questo lavoraccio ti costerà caro.>>, le disse scostandole i capelli e sfiorandole la base del collo con le labbra.

<<Mi stai distraendo.>>, gli fece notare lei cercando di fare l’impassibile.

<<Chi ti dice che non lo faccia apposta?>>

Françoise si allontanò scappando dalle sue grinfie e sedendosi sul letto, con la schiena appoggiata alla testata superiore, continuando a controllare la cartella. Joe sembrò arrendersi, limitandosi a guardarla mentre leggeva il materiale. Sembrava molto presa.

<<E’ più interessante di me quella roba?>>, chiese un po’ risentito.

<<Nooooo.>>, rispose lei guardandolo divertita <<Sai cosa ha detto Evelyn di te?>>

Joe aggrottò la fronte: <<Evelyn? E’ la figlia del signor Kensington, vero?>>

<<Esatto.>>, annuì lei <<Ha detto che ho buon gusto.>>

<<Dubitavi?>>, chiese lui inclinando la testa di lato.

<<No, assolutamente.>>, rispose lei tornando alla cartella <<Comunque quello che c’è scritto qui non è tutto.>>

<<Beh, io ho raccolto quello che ho trovato.>>, si giustificò lui.

<<Ci sono parecchi punti interrogativi. Oltre a quelli che hai evidenziato tu, ce ne sono altri che da qui non si deducono. Sono cose che riguardano la vita privata di Kensington. Non le potevi raccogliere.>>

Joe aggrottò la fronte: <<Sarebbero?>>

<<Poco dopo la morte della moglie il signor Kensington ha troncato di netto i rapporti con un suo amico dai tempi dell’infanzia.>>, spiegò lei chiudendo la cartella e riponendola sul comodino accanto a lei <<Un cattolico di nome Gerard O’Neill.>>

<<Un cattolico?>>, chiese Joe sorpreso <<Ma non si odiano?>>

Françoise alzò le spalle: <<Magari non è tutto così bianco e nero, non credi?>>, disse.

<<E credi che questo abbia a che fare con la morte della donna?>>

Lei sospirò: <<Non lo so. Sembra che il figlio di questo Gerard sia stato arrestato in seguito perché sospettato di essere un terrorista dell’IRA.>>

<<Forse Kensington aveva intuito qualcosa e non voleva essere invischiato in nessun modo con l’IRA.>>

Françoise prese in considerazione le sue parole, poi scosse la testa: <<Non credo che un’amicizia tanto forte si possa troncare così. Il padre non è un fanatico e ci tiene ancora a Kensington. Ho avuto modo di parlarci un paio di minuti.>>, disse <<E poi suo figlio…>>

Joe aspettò che Françoise finisse la frase, ma inutilmente: <<Suo figlio cosa? Il terrorista.>>

<<No.>>, scosse la testa lei <<Non si tratta di lui. Ma non posso dirti niente.>>

<<Perché?>>

Françoise ricordò la promessa fatta a Evelyn. Aveva promesso di non parlare a nessuno della sua relazione con William. Anche se si trattava di Joe, non poteva dire nulla: <<Mi dispiace Joe, ma ho promesso a una persona di mantenere questo segreto.>>

Joe rimase in silenzio alcuni istanti. Poi annuì, sorridendo: <<Va bene. Non voglio costringerti a dirmi niente che tu non voglia.>>

Lei sorrise di gratitudine: <<Ti ringrazio.>>

<<Veniamo al motivo, quello vero, per cui siamo venuti qui.>>, disse Joe <<Anzi, per cui siete venuti qui.>>

<<Non abbiamno scoperto un accidente.>>, rispose Françoise allargando le braccia <<Questo sembra proprio essere quello che sembra: un noiosissimo paese di campagna.>>

<<Eppure le informazioni che abbiamo ricevuto di attività dei Fantasmi Neri in questa zona.>>, disse Joe perplesso.

Françoise alzò le spalle: <<Non so cosa dirti. Di Fantasmi Neri io qui non ne ho visti.>>

<<Non è che ti sei presa troppo a cuore la faccenda di questo mistero irrisolto?>>, chiese Joe studiando la sua reazione.

<<Stai dubitando della mia professionalità?>>, scherzò lei avvicinandosi a lui, ma restando seduta con i piedi sul letto.

<<Io?>>, disse lui con voce innocente <<Non potrei mai.>>

Françoise si limitò a guardarlo non tanto convinta. Anzi, sembrava se la fosse presa un po’.

<<Guarda, che stavo scherzando sul serio.>>, ribadì lui.

Françoise restò silenziosa, con la testa bassa, senza dargli attenzione.

<<Ehi? Non te la sarai presa sul serio?>>, chiese Joe.

Lei finalmente alzò la testa e accennò un sorriso: <<No, non me la sono presa.>>

Lui la fissò qualche istante, perplesso: <<Sembri preoccupata.>>

Françoise scosse la testa: <<Ho solo un sacco di pensieri che mi girano in testa.>>

Joe sorrise, prendendole prese una mano e la strinse nella sua: <<Posso fare qualcosa per te?>> chiese <<Per distrarti in qualche modo.>>

Françoise strinse istintivamente la mano che aveva preso la sua, restando silenziosa un attimo: <<Non saprei...>>

Lui si sporse verso di lei e le sfiorò appena le labbra, cogliendola di sorpresa: <<Io un’idea ce l’avrei.>>

Françoise sorrise, sporgendosi verso di lui, con una mano appoggiata sulla sua spalla, cercando nuovamente le sue labbra…

BOOOOOM!

<<Che è stato!?>>, dissero entrambi, quasi all’unisono, sussultando, guardando istintivamente verso la finestra.

<<Oh, mon Dieu!>>

 

<<And for the promises there is the sky. And for the heavens, are those who can fly.>>, da “Only if”, Enya[23]

 

 

Parte XII

 

 

Era freddo. Ma c’era il sole e il cielo era appena macchiato da qualche nuvola bianca qua e là. Evelyn percorse la strada dalla casa a Fields of Gold, come aveva fatto decine e decine di volte, forse centinaia, se non migliaia. Ricordava che faceva quella strada sin da quando era piccola, per mano a sua nonna. Molti di quegli alberi che formavano il boschetto c’erano già quando lei era nata. Ma parecchi di essi li aveva visti crescere. Si fermò davanti a uno di essi, che si trovava proprio al limitare del boschetto. Quel bosco era formato, in gran parte, da alberi piantati dalla sua famiglia a ogni nuovo Kensington arrivato. Quello era il suo albero. Quello che era stato piantato per la sua nascita. Rimase a guardarlo qualche istante, silenziosa. Poi riprese il cammino verso la piccola casa di Fields of Gold. In cerca di un po’ di solitudine e tranquillità.

Attraversò i campi, e, giunta davanti alla porta, prese le chiavi che ancora avevano il portachiavi che ci aveva messo sua nonna. Un animaletto di lana che lei stessa aveva creato a mano, nei lunghi giorni passati a Fields of Gold, mentre lei, Evelyn, giocava con le sue bambole.

Guardò la porta chiusa e si chiese se sua nonna fosse d’accordo sul fatto che lei usasse quel luogo per portare avanti una relazione clandestina. Scosse la testa, quasi a tira via quei pensieri dalla testa. Infilò la chiave nella toppa e, con sua grande sorpresa, le ci volle solo una mezza mandata per aprirla. Segno che non era chiusa come l’aveva lasciata l’ultima volta che era stata lì. Almeno come si ricordava di averla lasciata. Non aveva dato appuntamento a William, per quel giorno. Eppure solo lui aveva le chiavi e nessuno, a parte lei, metteva piede in quella casa da anni.

Aprì la porta, perplessa e con circospezione. Dette un’occhiata all’interno infilando appena la testa. William era seduto sul divano, a una parete della stanza e alzò appena la testa quando la sentì entrare.

Evelyn fu felice vederlo e stava per salutarlo. Ma qualcosa negli occhi di William la bloccò. Aveva uno sguardo freddo e duro. Arrabbiato, era l’aggettivo giusto.

<<Non pensavo di trovarti qui.>>, disse Evelyn chiudendo la porta e posando la borsa che aveva con sé sul tavolo.

<<Avevo bisogno di parlare con te.>>, disse William con un tono di voce strano, che lei non gli aveva mai sentito.

Evelyn rimase un po’ interdetta. Tuttavia si avvicinò e si mise a sedere accanto a lui, sul divano: <<Ti ascolto.>>

William si bagnò le labbra con la lingua, continuando a guardare davanti a lui. Restò silenzioso per alcuni secondi, poi si voltò finalmente verso Evelyn, senza abbandonare quello sguardo accigliato.

<<Devo parlarti di te e di Ryan.>>, disse.

Evelyn ebbe un evidente sussulto e spalancò gli occhi quasi terrorizzata.

<<Ad essere sincero,>>, continuò William, cercando di mantenere un tono di voce calmo <<Vorrei che me ne parlassi tu.>>

Evelyn sentiva il cuore che aveva cominciato a batterle all’impazzata, improvvisamente. Improvvisamente l’aria della stanza era diventata irrespirabile. Cercò di calmarsi, respirando profondamente e evitando di guardare William davanti a sé. In un gesto istintivo, si chiuse nelle sue braccia.

William non smise di guardarla, attendendo una risposta. Una spiegazione.

<<Non… Non c’è mai stato niente fra me e Ryan.>>, disse Evelyn, tenendo gli occhi rivolti da un’altra parte, frettolosamente e con voce tremante.

Lui aspettò qualche istante, in un silenzio terrificante: <<E, dimmi, sapresti dirmelo guardandomi in faccia?>>

Evelyn si irrigidì, voltandosi verso di lui, finalmente, con uno sguardo lucido di lacrime e le labbra strinte in una specie di morsa: <<Perché non mi credi?>>, disse <<Cos’è questa storia.>>

William la guardò impassibile per qualche secondo. Poi prese qualcosa dalla tasca dei suoi pantaloni. Era un foglio di carta ripiegato. Lo dispiegò e fu per aprire la bocca, forse per cominciare a leggerlo a voce alta. Poi guardò nuovamente Evelyn, che guardava un po’ lui e un po’ il foglio. William fece un smorfia e glielo porse bruscamente, in un chiaro invito a leggerlo.

Vedendo che lei esitava, William glielo agitò davanti. Allora Evelyn lo prese in mano e cominciò a leggere. Era il foglio strappato da un’agenda. Tuttavia la vera data a cui si riferiva quello che c’era scritto, era segnata a mano. E indicava il 12 dicembre di più quattro anni prima. Lì per lì quella data non le disse niente. Continuò a leggere. Ci volle poco più di un minuto. Dopo il quale alzò gli occhi nuovamente su William, che la guardava con un’espressione che le chiedeva ancora di darle una spiegazione. Che ne aveva diritto.

<<Hai ancora il coraggio di dire che tra te e Ryan non c’è stato nulla?>>, chiese William con voce dura.

Evelyn avrebbe voluto rispondere, ma tutte le parole che aveva in gola, tutti i pensieri che aveva in testa non avevano la forza di uscirle da dentro. O almeno, lei non aveva la forza di farli uscire. Eppure, se non lo avesse fatto, lo avrebbe perso… ma rischiava di perderlo anche se gli avesse detto la verità.

Era dilaniata da un dubbio, e il tempo per risolverlo era già scaduto.

William si stancò di aspettare una risposta che lei non sembrava in grado di dargli, così si alzò in piedi di scatto, cominciando a camminare nervosamente per la stanza.

<<Ryan era un ragazzo di quelli che facevano conquiste. Piacente, simpatico. Piaceva alle ragazze, e lui lo sapeva bene, e se ne approfittava.>>, cominciò a dire senza fermarsi nel suo vagare per la stanza. Poi si bloccò e guardò Evelyn dritto in faccia <<Ma io pensavo che tu fossi diversa, Cristo Santo. Io… io forse ti ho sopravvalutato. Forse ero così innamorato che ho finito per idealizzarti. Avevi soltanto quattordici anni! Ma come hai potuto?!>>

<<Will…>>

<<E poi…>>, la interruppe William, continuando nel suo monologo di sfogo che ormai seguiva solo il corso confuso dei suoi pensieri, ingigantiti da chissà quanto tempo a rimuginarci sopra <<Mi hai mentito. Evelyn, tu mi hai mentito. Mi avevi detto che…>>

Lei finalmente trovò la forza per alzarsi in piedi e guardarlo in faccia: <<Io non ti ho mentito!>>

<<Come puoi negare di avermi mentito?! Come puoi farlo adesso?!>>, ribatté lui urlando <<Vuoi forse dire che tutto quello che c’è scritto lì sopra è falso?!>>

<<Io…>>

<<Se è falso, perché non l’hai detto subito? Perché non sei stata capace di rispondere subito?>>

Evelyn respirò profondamente: <<Tu credevi a questo foglio di carta già prima di venire a chiedermelo di persona!>>

William strinse le labbra in un gesto di rabbia: <<E allora dimmi che non è vero. Che quello che c’è scritto lì sopra non è vero. Ma dimmelo guardandomi negli occhi!>>, le urlò prendendola per le braccia e cominciando a scuoterla.

Evelyn stava per scoppiare. Strinse le labbra cercando di trattenere le lacrime. Senza nemmeno accorgersene, cominciò a scuotere appena la testa e quella fu per William la risposta a cui avrebbe voluto non credere. La prova che i suoi timori erano fondati.

<<Allora è vero.>>, disse a voce bassa, mollando la presa sulle braccia di Evelyn, impaurito dalla stessa verità che lo aveva fatto infuriare e per cui avrebbe potuto stritolare Ryan, se lo avesse avuto tra le mani.

Evelyn scosse la testa, arrendendosi alle lacrime: <<No, Will. Non è così… Io… Io non posso…>>

Lo sguardo di William fu di nuovo illuminato dalla scintilla dell’ira. Le sue mani si strinsero in due pugni così stretti che le nocche delle sue dita divennero bianche: <<Cosa?! Cos’è che non puoi fare?!>>

<<Non posso dirti la verità.>>, rispose Evelyn scoppiando definitivamente a piangere <<Non posso.>>

William respirò affannosamente: <<Lo sai cosa vuol dire questo, vero?>>

Evelyn alzò lo sguardo su di lui terro, scuotendo la testa e aprendo appena la bocca, ma incapace di dire una sola sillaba.

<<E’ finita, Evelyn.>>, sentenziò il ragazzo con una voce ferma che la fece rabbrividire <<Io non posso stare con una persona in cui ho perso la fiducia.>>

<<Io non ho mai tradito la tua fiducia! Non ti ho mai tradito!>>

William si passò le mani tra i capelli, girando su se stesso e voltandosi, dando le spalle ad Evelyn. Quindi si mise le mani sui fianchi, continuando a darle le spalle: <<Avevi detto che ero stato il primo.>>, disse <<Non è che mi importi di essere stato o meno il primo. Ma quello che mi fa star male è che tu mi abbia mentito.>>

<<Ma non…>>

<<Mi dispiace…>>

William aprì la porta della casa e uscì, sbattendola. Evelyn restò ferma, in piedi, per qualche secondo. Guardando la porta, sperando che si riaprisse e che lui tornasse da lei. Poi crollò sulle ginocchia e cominciò a piangere, sommessamente, con il volto coperto dalle mani. Non seppe quanto tempo restò in quel modo. Ma fu un boato terrificante a farla tornare alla realtà. Evelyn restò inizialmente ferma, incapace di capire da dove fosse venuto. Poi un altro botto e un altro ancora, e ancora un altro… la luce delle fiamme… si alzò in piedi e andò alla finestra… la distilleria era in fiamme… il corpo inerte di William era riverso a terra…

Evelyn uscì di corsa dalla casa, correndo verso William e chiamando il suo nome.

<<Atteeeenta!>>

Qualcosa la investì, portandola a terra con sé. Quando Evelyn riaprì gli occhi, vide Joe inginocchiato accanto a lui, che guardava verso di lei. Dov’era prima c’era ora un qualcosa di grande e infiammato.

<<Tutto a posto?>>, le chiese Joe.

<<S-sì… Ma William...>>

<<Ehi, Joe. Qui ce n'è uno che non respira!>>

Entrambi voltarono lo sguardo verso la voce. Jet stava cercando di praticare il massaggio cardiaco a William. Evelyn, vedendo la scena, si alzò di scatto, insieme a Joe.

Evelyn si inginocchiò accanto al ragazzo: <<Oh, no. William!>>

<<Se vuoi aiutarmi a salvarlo, fagli la respirazione bocca a bocca.>>, le disse Jet <<Sai come si fa?>>

La ragazza annuì appena.

<<Bene… allora.>>, Jet cominciò a pompare sul petto del ragazzo, ritmicamente <<Uno, due, tre, quattro, cinque. Vai!>>

Evelyn si abbassò su William, immettendo aria nella bocca del ragazzo dalla sua. Quindi rialzò il busto e colse un profondo respiro, mentre Jet ripeteva l’operazione: <<Uno, due, tre, quattro, cinque. Vai!>>

Nuova respirazione, nuovo massaggio: <<Uno, due, tre, quattro, cinque. Vai!>>

Altra respirazione, ma William continuava a non dare segni di vita.

<<Non funziona…>>, disse sconfortata.

<<Ancora… Uno, due, tre, quattro, cinque. Vai!>>, disse Jet. Ma Evelyn non si mosse.

<<Porca miseria!>>, urlò <<Se tieni alla vita di questo ragazzo, fagli quella cazzo di respirazione! Dai, uno, due, tre, quattro, cinque. Vai!>>

Evelyn lo aveva guardato sconvolta, ma quando le dette di nuovo il “vai”, si abbassò nuovamente su William, inspirando aria nei suoi polmoni.

Il ragazzo ebbe finalmente un sussulto. Tossì un paio di volte. Evelyn gli fece alzare il busto e William.

<<Gli occhi…>>, disse il ragazzo <<Non riesco ad aprirli… bruciano…>>

<<Lasciatemi vedere.>>, disse Gilmore inginocchiandosi accanto a William ed esaminandogli il volto, che presentava diverse ustioni.

Evelyn e Jet, presi dal loro lavoro di soccorso non si erano nemmeno accorti che intanto erano arrivati anche tutti gli altri. Evelyn incontrò lo sguardo interrogativo di suo padre su di lei. E non riuscì a fare di meglio che distogliere lo sguardo.

<<Uhm… deve aver ricevuto l’esplosione in faccia. Potrebbe aver avuto dei seri danni alla retina.>>, disse Gilmore <<Portatelo a casa e chiamate subito un’ambulanza.>>

Jet si caricò il ragazzo in braccio e cominciò a correre verso la casa: <<Herbert, mi accompagna?>>

<<Certo.>>, disse il maggiordomo.

Kensington si rivolse a lui: <<Herbert, avverti il signor O’Neill.>>, disse.

Herbert sussultò, quasi sorpreso.

<<Non hai capito quello che ti ho detto?!>>, disse Kensington al proprio maggiordomo, con tono impaziente <<Dovrà pure venire a sapere che suo figlio ha avuto un incidente!>>

<<Sissignore.>>, disse Herbert muovendosi in fretta.

Il resto del gruppo era arrivato con delle macchine elettriche molto simili a golf carts[24]. Herbert salì su una di queste, dove era già salito Gilmore, mentre Jet ne aveva presa un’altra per andarsene.

<<Sai, Françoise.>>, disse Joe parlando quasi sottovoce alla compagna che gli stava accanto <<Credo di aver capito di cosa non mi potessi parlare.>>

<<Già.>>, si limitò a dire lei.

Albert e Bretagna si avvicinarono ai due.

<<Sentite quest’odore?>>, chiese Albert a tutti e due indicando per aria.

Joe e Françoise annusarono profondamente. Fino ad allora non ci avevano fatto caso.

Françoise fece una smorfia: <<Ma questa è…>>

<<… Polvere pirica.>>, completò Joe a bassa voce.

<<E dove c’è polvere pirica…>>, disse Bretagna.

<<… C’è esplosivo.>>, concluse Albert guardando verso la distilleria in fiamme <<E dal casino che ha fatto, ce ne deve essere pure parecchio.>>

<<When truth is like a stranger, hits you right between the eyes.>>, da “When love and hate collide”, Def Leppard[25]


 

Parte XIII

 

 

<<Va bene… Ho capito. La ringrazio, dottore. Mi tenga informato, per favore.>>

Kensington riattaccò la cornetta. Un po’ tutti erano, lì, in sala con lui, ad aspettare il responso.

<<William ha passato l’operazione. Adesso dipende solo da lui.>>, sentenziò <<Dicono che ci sono circa il 70% delle probabilità che la sua vista non subisca danni permanenti. Ma anche le orecchie hanno subito danni. Il rumore dell’esplosione è stato forte. Comunque potrebbe cavarsela bene per come poteva andare.>>

Lo sguardo di Françoise, sedutasi un divano tra Joe e Albert, si mosse verso Evelyn, che se ne stava in disparte, con la schiena attaccata allo stipite della porta. Aveva le braccia incrociate sul petto e il volto scuro.

<<Mister Kensington, mi scusi la domanda.>>, disse Albert <<Perché la sua distilleria era piena di esplosivo.>>

Kensington rimase impassibile. Anzi, sotto la sua barba sembrò quasi comparire un sorriso: <<Non  ne ho la più pallida idea. Io non metto piede a Fields of Gold da… almeno dieci anni.>>, rispose <<E quella distilleria non è più in funzione almeno da quando mio padre è morto.>>

<<E allora perché continua a coltivare quei terreni?>>, chiese Françoise.

Kensington non si scompose: <<Con l’orzo e il grano si fanno tante altre cose oltre al whisky e alla birra.>>, disse <<Il pane che mangiamo in questa casa è fatto con la farina di grano proveniente da quel terreno, tanto per fare un esempio.>>

I cyborgs si guardarono l’uno con l’altro. Il dottor Gilmore abbassò il mento e chiuse gli occhi, con le mani dietro la schiena, in una posa pensierosa.

Poi riaprì gli occhi e si avvicinò a Kensington: <<Lei intende dire che non sa assolutamente niente di quell’esplosivo contenuto nella sua distilleria?>>, chiese.

<<Esattamente.>>, disse Kensington senza fare una piega.

<<E non ha la minima idea di come possa esserci arrivato?>>, continuò Gilmore.

Kensington allargò le braccia: <<Gliel’ho detto… non ci vado da anni.>>, disse.

<<Possibile che non si faccia nemmeno domande su come ci sia arrivato?>>, chiese Joe <<Voglio dire… in fondo si tratta della sua proprietà.>>

Kensington sorrise: <<Non vedo perché dovrei sapere qualunque cosa di quell’esplosivo. Di certo io non ce l’ho portato.>>, disse <<Potrebbe anche avercelo portato William, per quel che ne so io.>>

<<Che cosa stai blaterando?!>> Evelyn si avvicinò di corsa al centro della scena, appoggiando le mani sulla spalliera del divano dove erano seduti Albert, Françoise e Joe. Accanto a lei, Jet, in piedi e lei che guardava il padre con aria di sfida <<William non è un terrorista!>>

Kensington non si scompose minimamente, cominciando a far appena dondolare la gamba che teneva accavallata sull’altra: <<Suo fratello era un terrorista. Chi dice che anche lui non lo sia?>>

Evelyn divenne rossa in volto, dalla rabbia: <<Tu ce l’hai con lui solo perché ci frequentavamo!>>

Kensington smise di dondolare il piede, assumendo un’espressione adirata: <<Apri gli occhi, Evelyn. Lui ti ha utilizzato solo per avere le chiavi di quel posto.>>, disse <<Nessuno potrebbe mai sospettare che l’esplosivo dell’IRA si trovi nelle camere di fermentazione di una distilleria, nella proprietà di un illustre esponente dei protestanti! La verità è che ti ha utilizzato, Evelyn. Eppure avresti dovuto sapere con chi avevi a che fare!>>

Evelyn strinse a pugno una mano, digrignando i denti: <<Non ti permetterò di fare la stessa cosa un’altra volta!>>

Kensington scattò in piedi: <<Evelyn!>>

<<Io…>>, Evelyn si portò improvvisamente una mano alla testa, diventando improvvisamente pallida. Se non fosse stato per l’intervento di Jet, che la sostenne per un braccio, sarebbe caduta a terra.

<<Piccola, cos’hai?>>, chiese Angela preoccupata, avvicinandosi alla nipote.

Evelyn si appoggiò sia a Jet che alla zia. Poi si riebbe, dopo qualche secondo, riprendendo colore: <<Sto bene, sto bene. E’ stato solo un capogiro.>>

Françoise si alzò e si avvicinò alla ragazza: <<Vuoi che ti accompagni in camera tua?>>

Evelyn le sorrise: <<Sì, Françoise. Grazie.>>

<<Ti accompagno anch’io, cara.>>, disse Angela.

<<Grazie, zia.>>

Le tre si incamminarono verso l’uscita, accompagnando Evelyn fino in camera. Lei si sdraiò sul letto, chiudendo gli occhi. Sembrava molto stanca.

Angela le si sedette accanto sul bordo del letto, e le accarezzò i capelli: <<Stai bene, piccola?>>

Evelyn riaprì gli occhi e sorrise: <<Sì, zia.>>

Angela alzò gli occhi verso Françoise, che era rimasta un po’ in disparte: <<Potresti lasciarci sole, per favore?>>

Françoise si sorprese della richiesta. Guardò Evelyn perplessa, che annuì.

<<Come vuole.>>, disse.

Uscì dalla stanza, chiudendo la porta. Rimase ferma qualche secondo, con la mano sulla maniglia. Quindi si allontanò, adagio. Sapeva che non era corretto, tuttavia…

<<Evelyn, da quanto non hai il ciclo?>>

Non poté fare a meno di ascoltare.

La risposta di Evelyn arrivò dopo qualche istante di silenzio: <<Due settimane di ritardo.>>, disse <<Come ti sei accorta?>>

<<Evelyn, sono una donna con qualche anno più di te.>>, rispose Angela <<Certe cose non ci metto molto a capirle.>>

<<Zia, stavolta… non voglio lasciare anche questo. Voglio crescerlo io.>>

Françoise ebbe un sussulto, mentre di là veniva solo silenzio.

<<Zia, per favore…>>

<<Sei sicura?… Cioè, aspetta… io farò di tutto perché ciò non accada, anche andare contro a tuo padre. Ma tu sei giovane e un figlio è una grossa responsabilità e tu devi essere consapevole della responsabilità che vai a prenderti e di ciò che questo comporta.>>

Silenzio. Dopo il quale fu Evelyn a rispondere.

<<Lo sono, zia. Sono sicura di volerlo. Non è come l’altra volta>>, Françoise sussultò nuovamente <<Questo bambino è frutto di un atto d’amore. E’ figlio mio e di William. William… Zia, non lasciare che papà lo rovini come ha rovinato Ryan. Tu sai quello che ha fatto. Non permettere che succeda la stessa cosa a Will. Non è stato lui a mettere quell’esplosivo nella distilleria. Non è un terrorista. Ne sono sicura>>

“Rovinato?”, pensò Françoise.

<<Evelyn, tuo padre sbagliò allora. Esagerò.>>, disse Angela <<Voleva essere sicuro che Ryan fosse punito. Capisco il suo orgoglio di padre ferito e la sua sensazione di impotenza. Non ero d’accordo d’accordo con quello che fece, e farò di tutto perché non faccia la stessa cosa a William. Accidenti, è il padre del mio pronipote!>>

<<Grazie, zia. Non so come…>>

<<Pensa solo a riposare e a custodire quella piccola vita che c’è in te. Adesso vado o tuo padre si preoccuperà troppo.>>

Françoise sentì Angela alzarsi dal letto e scese le scale in fretta. Al piano terra si incontrò con Herbert.

<<Mi sa dire dove sono i miei amici, Herbert?>>

Il maggiordomo le sorrise: <<Sì, signorina. Ho sentito che sono andati a dare un’occhiata alla distilleria.>>

<<Senza di me?>>

<<Come, scusi?>>

<<Niente, Herbert. La ringrazio.>>

Françoise salì nuovamente le scale, per andare in camera sua.

“Accidenti. Ma cosa pensano di trovare se non ci sono io!?”, pensava mentre si incamminava verso la sua stanza.

Prese il suo cappotto e rifece le scale di corsa, per poi uscire all’aperto.

<<Alla buon’ora.>>

<<Joe…>>

Joe era appoggiato a una golf cart e sembrava aspettare proprio lei: <<Mi hai fatto aspettare parecchio.>>

<<Che aspettiamo?>>, rispose lei montando su <<Andiamo!>>

<<Ma non ero io che davo gli ordini?>>, chiese Joe ironico montando e mettendo in moto.

Françoise non rispose. Joe la guardò appena un attimo, tornando poi a guardare avanti a sé.

<<Ehi, c’è nessuno?>>, chiese.

<<Non ci capisco più niente!>>, sbottò lei.

Joe corrugò la fronte: <<Non mi dire che adesso pensi a quell’omicidio?>>

<<No, non è quello.>>, scosse la testa lei. Restò in silenzio, cercando di riordinare le idee.

<<Ehi, siamo arrivati.>>, le disse Joe scrollandola un po’ con una mano sulla spalla <<Ma cos’hai?>>

<<Eh?...>>, fece lei come se cadesse dalle nuvole. Poi vide i resti fumanti della distilleria e scosse la testa <<Niente, niente. Scusami.>>

Scesero dal cart e si diressero verso i loro compagni, che stavano parlando a pochi metri da quel che restava della distilleria. Anzi, a guardarli bene, stavano discutendo animatamente.

<<State dicendo che Nigel è un terrorista?>>, urlò Bretagna <<Ma per favore!>>

<<Mi raccomando, urla più forte. Sennò a New York non ti sentono.>>, disse Jet alzando gli occhi al cielo.

<<Io vi dico semplicemente che non è possibile.>>, ribadì Bretagna a voce più bassa.

<<E allora mi devi spiegare che ci faceva quell’esplosivo nella sua distilleria!>>, disse Albert.

<<Ve l’ha detto!>>, disse Bretagna <<Lui non ne ha idea!>>

<<E tu gli credi?>>, disse Jet <<Bretagna, apri gli occhi!>>

<<Io conosco Nigel meglio di voi! E vi ripeto che non può essere un terrorista!>>, continuò Bretagna imperterrito <<Ha lottato anni per portare la pace in questo paese!>>

<<Ma sei stato tu stesso a dire che è cambiato.>>, gli ricordò Albert <<E più di una volta.>>

<<Aaaah… Andate al diavolo!>>, sbottò Bretagna voltandosi di scatto e dando loro le spalle <<Se volete incastrare Nigel, io non vi aiuterò!>>

Jet e Albert si guardarono l’un l’altro esasperati.

<<Bretagna,>>, intervenne Gilmore <<Qui non si tratta di incastrare qualcuno. Qui si tratta di trovare chi ha avuto contatti con il Fantasma Nero da queste parti. Visto quello che abbiamo in mano, niente è da escludere.>>

<<L’esplosivo era nella sua distilleria!>>, gli ripeté Albert.

<<E lui ti ha detto come ci è arrivato!>>, ribatté Bretagna voltandosi di nuov per guardarlo in faccia.

Albert sbuffò: <<E, dimmi, hai le prove che non abbia a che fare con quell’esplosivo?>>

<<E tu hai le prove del contrario?>>

<<Nelle camere di fermentazione…>>

Albert e Bretagna, così come Jet e Gilmore si voltarono verso Joe, che intanto stava seguendo cosa stesse facendo Françoise, che era andata a dare un’occhiata in giro.

<<Camere di fermentazione?>>, chiese Bretagna.

Joe volse appena le pupille degli occhi verso di lui: <<Kensington ha detto: “Nessuno potrebbe mai sospettare che l’esplosivo dell’IRA si trovi nelle camere di fermentazione di una distilleria, nella proprietà di un illustre esponente dei protestanti!”>>

<<E allora?>>, chiese Bretagna alzando le spalle.

<<Come faceva a sapere che l’esplosivo si trovava nelle camere di fermentazione, se non ne sapeva nulla?>>, spiegò Joe.

Bretagna restò silenzioso, di fronte all’evidenza. Cominciò a fare qualche passo incerto qua e là. Poi si voltò verso i suoi amici: <<Non è possibile… Io non volevo crederci… e invece… non posso negare l’evidenza.>>, disse mogio <<Nigel, perché?>>

Françoise guardò Bretagna, da lontano. Le dispiaceva per lui. Ma non riusciva a smettere di pensare a Evelyn. Scosse la testa, cercando di mandare via il pensiero. E qualcosa attirò la sua attenzione. Si avvicinò a una vecchia botte, o almeno quello che ne restava. Ne tirò via un pezzo e trovò quello che aveva notato. Lo prese in mano e lo esaminò. Sembrava un piccolo contenitore di metallo, di quelli che usano i cardiopatici per tenere le pasticche in caso di attacco improvviso…

“Cardiopatici?”

Esaminò meglio l’oggetto. Era un po’ deformato dal calore, ma si leggevano ancora bene: HK.

<<Helen… Kensington.>>, sussurrò Françoise a bassa voce passando da un’iniziale all’altra con la punta delle dita.

Eppure c’era qualcosa che non le tornava.

<<Trovato qualcosa di interessante?>>

Françoise si voltò verso i suoi compagni, che la stavano guardando incuriositi. Mostrò loro l’oggetto.

<<Cos’è quel coso?>>, chiese Jet.

<<Uno di quei contenitori di metallo per portarsi dietro le pasticche.>>, spiegò lei <<Apparteneva ad Helen Kensington.>>

<<La moglie morta?>>, chiese Jet.

Françoise si limitò ad annuire.

<<Beh, non credo ci sia di grande aiuto.>>, commentò Albert <<Trovato nient’altro?>>

<<Per ora no, mi spiace.>>, rispose lei un po’ affranta.

<<Guarda, che non è colpa tua.>>, disse Albert <<Io non volevo…>>

<<Lo so, lo so.>>, rispose Françoise rigirandosi il contenitore per le mani e osservandolo <<E’ che… ho l’impressione che ci sia qualcosa che mi sfugge, ma non riesco a capire cosa.>>

Gli altri cyborgs si guardarono in silenzio. Ormai stava facendo buio.

<<Forse è meglio tornare.>>, disse Gilmore <<Qui non possiamo fare nient’altro per ora.>>

I cyborgs annuirono e si diressero verso le golf cart, silenziosi. Soprattutto Bretagna era particolarmente malinconico.

Quando Françoise e Joe arrivarono al proprio veicolo, lei si voltò indietro.

<<Cosa c’è, Françoise?>>, chiese Joe.

Lei strinse un po’ le labbra: <<Vorrei dare un’altra occhiata, se non ti dispiace.>>

Joe la guardò un po’ interdetto.

<<Ehi, voi! Che fate?>>, chiese Jet impaziente.

<<Andate pure.>>, rispose Joe <<Noi restiamo un altro po’.>>

<<Come volete.>>

Gli altri due veicoli, con a bordo i loro quattro compagni, si allontanarono.

<<Sarei tornata a piedi se tu volevi andare.>>, gli disse Françoise sorridendogli.

<<Non c’è problema.>>, rispose lui alzando le spalle.

Françoise sorrise di nuovo, quindi cominciò a camminare, restando però lontana dai resti della distilleria. Joe si limitava a guardarla da lontano, sbadigliando ogni tanto, mano a mano che i minuti passavano. Finalmente Françoise si abbassò a terra, raccogliendo qualcosa.

<<Trovato qualcosa?>>, le chiese, avvicinandosi a lei.

<<Un semplice pezzo di carta che mi sono stufata di avere tra i pie…>>

Françoise si bloccò improvvisamente, mentre i suoi occhi sembravano seguire attentamente, parola per parola, quello che c’era scritto a mano sul foglio. Anche Joe, incuriosito si mise a leggere.

<<Oh, mio Dio.>>, disse Françoise <<Povera Evelyn.>>

<<Povera Evelyn?>>, chiese Joe stupito <<Françoise, lì c’è solo scritto che Evelyn ha fatto l’amore con questo tizio che ha scritto. Povera che?>>

<<Quattro anni fa…>>

<<E con questo?>>

<<Evelyn aveva 14 anni, Joe!>>, gli fece notare lei.

Joe spalancò gli occhi: <<Beh, un po’ precoce effettivamente…>>

<<Adesso capisco tutto…>>, disse lei continuando a guardare il foglio.

<<Tutto cosa?>>

<<Prima di venire qua,>>, cominciò a raccontare <<Ho ascoltato una conversazione fra Evelyn e sua zia. E’ stato più forte di me.>>, restò in silenzio un paio di secondi, respirando profondamente <<Evelyn è rimasta incinta, qualche tempo fa. E Ryan O’Neill, il figlio di Gerard e il fratello di William,>>, disse scuotendo il foglio <<era il padre.>>

<<Come fai a sapere che quello lo ha scritto Ryan?>>

Françoise tornò a porre l’attenzione sul foglio. Lo mise in modo che anche Joe potesse vederlo: <<Semplice, lo ha firmato.>>, disse indicando una R in fondo al testo.

<<Va bene, ammettiamo che R stia Ryan.>>, disse Joe <<Ma non riesco ancora a capire perché “povera”.>>

Françoise allora gli mostrò una cancellatura fatta a penna sul foglio: <<Forse si era reso conto di aver scritto troppo, e che se l’avesse letto qualcun altro avrebbe potuto passare dei guai. Così ha cancellato questa parte: “l’ho intontita ben bene con un po’ di roba forte. A quel punto era come una bambola nelle mie mani. Una docile gattina a cui far fare tutto quello che volevo”. Questo c’è scritto.>>

Joe fece una smorfia di disgusto: <<E’ una cosa ignobile.>>, disse <<L’ha violentata. Ha violentato una ragazza di 14 anni. Ma come si fa?>>

Françoise annuì, facendo a sua volta una smorfia: <<E il padre di Evelyn, una volta venuto a saperlo, ha fatto in modo che la pagasse molto cara.>>, disse <<L’ha accusato di essere un terrorista dell’IRA e lo ha mandato in galera come terrorista. E i terroristi dell’IRA non sono trattati bene nelle prigioni inglesi. Vero, signor Kensington?>>

Françoise si voltò dietro di lei, e altrettanto fece Joe.

Kensington uscì dal suo nascondiglio, dietro il muro della casa, soppesando ogni passo e tenendo le mani dietro la schiena: <<Lei sarebbe stata benissimo in un romanzo di Agatha Christie. I miei complimenti, signorina Arnoud. Oppure preferisce che la chiami 003? E lei vuole forse essere chiamato 009, signor Shimamura?>>

<<Vedo che ci conosce.>>, disse Joe <<Quindi non c’è alcun bisogno delle presentazioni.>>

<<Esatto. Sapevo chi eravate già da prima che veniste qui.>>, disse <<Gli altri sono, nell’ordine, 002, 004 e 007. E ovviamente il nostro caro dottor Gilmore. Peccato che non ci siate tutti. Sarebbe stata una bella occasione per liberarci di voi.>>

<<Allora tu fai parte dei Fantasmi Neri!>>, disse Joe.

<<Sì. Cioè, non è esatto>>, confermò Kensington <<Diciamo che facciamo affari insieme.>>

Cominciò a camminare, lentamente, sempre soppesando ogni passo: <<Per gran parte della mia vita non ho fatto altro che sognare un Ulster dove cattolici e protestanti potessero vivere insieme, in armonia. Ma ovunque andavo, qualunque cosa facessi, i cattolici non mi credevano, mi offendevano. Dicevano che la mia era solo una recita.>>, disse <<Alla fine mi sono stufato. Perché dovevamo essere soltanto noi a subire i loro attentati? E allora ho cominciato a pensare di creare un’organizzazione similare all’IRA, di mettermi dalla loro parte, ma nella sponda opposta. I protestanti che la pensavano come me erano più di quanti potessi immaginare. Per un po’ di tempo ho continuato a tenere la maschera del pacifista. Poi mi sono ritirato. E il BNF era già diventato grande.>>

<<BNF?>>, chiese Françoise.

<<British National Front.>>, spiegò Kensington <<Ma avevamo bisogno di armi. E il Fantasma Nero ce le dette ben volentieri.>>

<<Ma lei aveva degli amici cattolici, e ha degli inservienti cattolici.>>, gli fece notare Françoise.

<<Io non ce l’ho con i cattolici, mia cara. Io ce l’ho con l’IRA.>>, disse <<E’ l’IRA la rovina di questo paese. E’ colpa dell’IRA se questa guerra va avanti. Se loro vogliono la guerra, io darò loro la guerra e così sia. Io volevo che i miei cari restassero fuori da questa storia. Ma…>>

<<Ma sua moglie ha scoperto tutto.>>, disse Françoise.

Kensington sorrise: <<Mi piacerebbe sapere come ci è arrivata.>>

Françoise si tolse qualcosa dalla tasca e lo mise bene in vista: <<Questo era nella distilleria. Si è salvato per miracolo. Era di sua moglie, vero?>>

Kensington annuì: <<Esatto.>>, confermò <<Lei un giorno venne a fare una passeggiata da queste parti. E vide cosa c’era nella distilleria…>>

<<Quindi l’ha uccisa lei…>>, disse Joe.

<<No. Io amavo sul serio mia moglie. Non avrei mai potuto fare una cosa del genere. Né esserne il mandante.>>, scosse la testa l’uomo. La voce tradì un minimo di debolezza <<Lei cercò di convincermi a tornare quello che ero. E quasi quasi ci stava riuscendo… I Fantasmi Neri capirono che mi stavano perdendo e la fecero fuori. E mi minacciarono di uccidere anche mia figlia se avessi avuto altri tentennamenti. Non mi restava che continuare dove avevo iniziato.>>

<<Come hanno fatto a ucciderla?>>, chiese Joe.

<<Mai sentito parlare di metamizolo sodico?>>, chiese Kensington <<E’ una sostanza molto utilizzata come principio attivo in alcuni farmaci contro il dolore, in particolare contro il mal di testa[26].>>

<<”Tracce di un comune farmaco contro l’emicrania”.>>, recitò a memoria Joe ricordandosi le parole del giornale.

<<Già.>>, disse <<Assolutamente vietato ai cardiopatici. Soprattutto se non sono “tracce”, ma grandi quantità.>>

<<Ma dall’autopsia non è venuto fuori che questo farmaco trovato all’interno del suo stomaco dovesse essere incompatibile con la sua cardiopatia?>>, chiese Françoise.

<<Signorina Arnoud.>>, disse Kensington, sorridendo <<I soldi oggi comprano tutto, anche il referto di un’autopsia. Così come nessuno ha detto che in quel contenitore di metallo trovato nella borsa di mia moglie, in tutto e per tutto uguale a quello che ha lei in mano adesso, c’erano proprio pasticche a base di metamizolo sodico. Se qualcuno avesse avuto dubbi, si poteva dire che era stato un suicidio. Che lei stessa si era, per così dire, avvelenata.>>

<Mi chiedevo appunto come avessero potuto trovare un contenitore come questo tra gli oggetti personali della donna, se questo era qui.>>, disse Françoise <<Su uno dei giornali che ho letto c’era una foto di questi oggetti, e il contenitore era fra questi.>>

<<Quello che dicono di lei e delle sue capacità visive è vero, signorina Arnoud.>>, commentò Kensington <<Non le sfugge davvero niente.>>

<<E perché fu buttata in mare?>>, chiese Joe.

<<Perché fosse trovata.>>, rispose Kensington <<E io non potessi in nessun modo essere sospettato. Perché a loro servivo. Ai Fantasmi Neri intendo. Poi, poco tempo dopo la morte di mia moglie, mia figlia mi confessò di essere incinta. Che il figlio era di Ryan, il figlio del mio migliore amico. L’ha stordita e violentata. La mia bambina.>>

Un’altra volta la voce di Kensngton fu sul punto di spezzarsi: <<Doveva pagarla cara. Non qualche anno per violenza carnale. Doveva patire le pene dell’inferno.>>, disse con voce sibilante e tagliente <<Così ho detto ai Fantasmi Neri che avrei fatto tutto quello che volevano se… se avessero fatto accusare Ryan di terrorismo. Da noi i terroristi dell’IRA sono trattati molto male. Era la punizione che si meritava. Che muoia in galera, quel bastardo! Così il Fantasma Nero ha costruito delle prove schiaccianti contro di lui ed è andato dove merita.>>

<<Il rapporto tra William e sua figlia è diverso.>>, disse Françoise <<Vuole far fare a William la stessa fine accusandolo di essere stato lui a depositare l’esplosivo in quella distilleria?>>

<<Questo incidente non era voluto. Magari una testata difettosa… autocombustione… chissà…>>, disse l’uomo <<William ha la sfortuna di essere stato al posto giusto nel momento giusto. Io non posso rischiare. Lui è il capro espiatorio ideale. Mi dispiace per Evelyn. E mi dispiace per voi. Non assisterete allo spettacolo di domani.>>

<<Quale spettacolo?>>, chiese Joe.

<<Domani mattina Dublino salterà in aria. Così anche loro assaporeranno il terrore. Il regalo è pronto.>>

“Il regalo è pronto… allora…!” Françoise ricordò le parole di quella strana telefonata a tarda notte di Kensington. Allora era quello il regalo di cui parlavano.

<<Adesso mi dispiace ma dovete morire.>>, concluse alzando la mano.

A quel gesto una moltitudine di soldati del Fantasma Nero comparvero alle sue spalle, con le armi spianate <<Andate all’inferno insieme. Non siete contenti?>>

<<Io non ne sarei così sicuro!>>

Kensington e i due cyborgs alzarono gli occhi verso la voce.

<<Ci stavate mettendo un po’ troppo e ci siamo preoccupati.>>, disse 002, accanto a 004 e 007, salutando con la mano dal tetto della casa.

<<Maledetti cyborgs.>>, sibilò Kensington <<Non riuscirete a fermarmi. Soldati, all’attacco!>>

I soldati obbedirono all’ordine di Kensington e si lanciarono all’attacco dei cinque cyborgs.

<<Oh, bene. Ora sì che ci divertiamo.>>, disse 002 <<Mi prudevano un po’ le mani.>>

<<Ehi,>>, urlò 009 alle prese con un gruppetto di nemici <<Kensington sta scappando.>>

<<E seguilo no?>>, gli disse dietro 002, stendendone un paio.

<<E’ una parola! Questi non finiscono mai!>>, ribatté l’altro.

<<Sono peggio delle zanzare!>>, commentò 004 <<Vediamo di far capire chi comanda. Via tutti!>>

I cyborgs si allontanarono dalla zona velocemente, mentre 004 si inginocchiava e lanciava uno dei suoi missili. Bastò per farne fuori parecchi. Dei pochi rimasti fu un gioco da ragazzi sbarazzarsene.

<<Potevi farlo prima.>>, disse 002 a 004 <<Ci hai fatto perdere un sacco di tempo.>>

<<Non posso sprecare munizioni così alla leggera.>>

<<Ma dov’è 007?>>, chiese 009.

<<Credo si sia lanciato all’inseguimento di Kensington.>>

Infatti, un po’ più in là, 007 stava inseguendo Kensington.

<<Nigel, fermati.>>, gli urlò 007.

Ma l’uomo continuava a scappare. 007 si trasformò in un giaguaro, e in pochi secondi fu addosso l’uomo e lo stese per terra.

<<Nigel, il gioco è finito.>>, disse riprendendo le sue sembianze e puntandogli la pistola contro.

<<Questo lo credi tu, Bretagna.>>, disse Kensington rialzandosi in piedi, e tirando improvvisamente fuori una pistola e puntandogliela a sua volta contro << Il tuo cervello non è un circuito cyborg. Colpendo quello moriresti come un qualunque essere umano.>>

<<Tu non avresti mai il coraggio di spararmi.>>, gli disse Bretagna, continuando a puntargli la pistola contro.

<<No, ti sbagli.>>, disse Kensington <<Sei tu non avresti mai il coraggio di spararmi. Io sì. E sai perché?>>

<<Prova a spiegarmelo.>>, lo invitò l’altro.

<<Perché io ho un’ideale, e tu no.>>, disse Kensington <<Io ho un’ideale per cui vale la pena uccidere anche un caro amico come te. Tu non hai nulla di questo genere.>>

<<Taci!>>, urlò Bretagna <<Il tuo ideale quale sarebbe? Guerra? Distruzione? Morte? Quanto dobbiamo combattere ancora? Quanti morti ci dovranno ancora essere? Perché dobbiamo trovare a tutti i costi delle differenze fra di noi, in modo da avere delle scuse per farci la guerra!? Perché non possiamo semplicemente vivere in pace? Ecco il mio ideale, Nigel. Io credo nella pace e nella fratellanza degli uomini. E il mio ideale è più forte del tuo! Un tempo anche tu credevi in questo ideale. Perché sei dovuto cambiare!?>>

Kensington rise sonoramente: <<La pace? È un’utopia senza futuro.>>, disse <<Gli uomini che credono nella pace sono dei perdenti. Nessuno li vuole. Alle gente piace scannarsi e farsi la guerra. Non siamo nati per vivere in pace.>>

<<Ti sbagli, Nigel!>>

<<Mi sbaglio? Allora dimostrami che il tuo ideale è più forte del mio. Premi quel grilletto e toglimi dal mondo. Conterò fino a dieci. E se dopo non avrai premuto il grilletto, sarò io a farlo. E renderò questo pezzo di mondo un inferno.>>, disse Kensington allargando le braccia, allontanando la pistola dal 007 <<Cominciamo… uno… due…>>

Bretagna cominciò a ripercorrere la sua vita… l’incontro con Nigel… le sue visite a teatro…

<<… cinque… sei…>>

Chiuse gli occhi e continuò a ricordare… quando gli aveva presentato Angela… i complimenti e le critiche sincere ricevute dopo ogni spettacolo…

Kensington preparò la pistola: <<… otto… nove… >>

Anche quando era andato in rovina, Nigel non si era dimenticato di lui. E allora era già cambiato…

<<Dieci!>>

Poi un lampo, nella sera…

 

<<Many years have past since those summer days, among the fields of barley. See the children run, as the sun goes down, among the fiedls of gold. You’ll remember me, when the west wind moves, upon the fields of barley. You can tell the sun, in his jealous sky, when we walked in fields of gold.>>, da “Fields of gold”, di Sting[27]

 

 

Epilogo

 

 

Cari amici miei,

lo so che sono passati molti mesi da  allora, ma spero possiate comprendere, voi tutti, le ragioni di questo silenzio. Avevo bisogno di tempo per riflettere, su tante cose.

William non ha subito danni gravi né alla vista né all’udito. Dovrà portare un paio di occhiali e dalla parte destra non ci sente benissimo, ma nel complesso sta bene. Vi ringrazio per avergli spiegato la verità su quello che successe quel giorno tra me e Ryan. Io non ne avrei mai avuto il coraggio. Non volevo distruggere il ricordo che aveva di suo fratello. Ma d’altra parte non volevo perderlo. Mi avete tolto un grosso peso.

Ryan è morto, intanto. Poco tempo dopo che voi ve ne siete andati, c’è stato un incendio nel carcere in cui era rinchiuso, e lui è stato tra le vittime. Non abbiamo avuto il tempo di far revisionare il processo e farlo scagionare dall’accusa di terrorismo. Tuttavia abbiamo deciso di andare aventi, per riabilitare la sua memoria. Ma ci vorrà tempo. Penserai che sono una pazza a prendermela tanto a cuore dopo quello che mi ha fatto. Ma è pur sempre il fratello di William.

Nostro figlio, a proposito è nato tre settimane fa. L’abbiamo chiamato Nigel, come mio padre. Per il momento vivrà in casa Kensington, insieme a me e mia zia. William e i suoi genitori, ovviamente, vengono quando vogliono e non vorrebbero mai andarsene. Anche il figlio che ebbi da quella brutta storia è tornato da me. Ho deciso di crescere anche lui, insieme al piccolo Nigel. Non sapevo nemmeno come si chiamasse: Andrew. Così l’hanno chiamato quelli dell’orfanotrofio a cui era stato affidato. Fortunatamente nessuna famiglia aveva ancora fatto richiesta di adottarlo. Sono felice di poterlo avere di nuovo con me. Li vedete entrambi nelle foto che ho allegato a questa lettera. Non sono due bambini meravigliosi?

A proposito di me e di William, ci sposeremo non appena lui si sarà laureato e avrà trovato un lavoro. Andremo a vivere in Inghilterra, a Oxford. Già, perché voglio laurearmi e intraprendere la carriera politica per portare avanti ciò che mio padre aveva lasciato a metà e far diventare l’Ulster un territorio pacifico. Mio figlio è la dimostrazione stessa che, se vogliamo, possiamo convivere. Lotterò affinché lui e Andrew possano vivere in un mondo migliore di questo.

Gerard, quando viene a far visita ai suoi nipoti, passa molto tempo da solo in biblioteca, nella poltrona che occupava quando lui e mio padre passavano ore a parlare in quella grande stanza. Spesso fa anche un salto a Fields of Gold, e si ferma a lungo sotto la grande quercia. Gli ho detto che mio padre, in punto di morte, mi aveva chiesto di chiedergli perdono da parte sua. Lui mi ha risposto che non ce n’era bisogno. In cuor suo lo aveva già perdonato da tempo.

Nel pacco che vi ho inviato c’è la collezione shakespeariana che piaceva tanto a Bretagna. Sono convinta che mio padre avrebbe voluto che andasse a lui. Ed è giusto che sia così. Ah, Bretagna. Sappi che non ce l’ho con te. Non sei tu ad aver premuto il grilletto. E’stato mio padre stesso a togliersi la vita. Ricordatelo. Ormai odiava quello che era diventato. Tu e i tuoi  amici non avete fatto altro che aprirgli gli occhi su questa verità. Sai, in punto di morte, mio padre mi ha chiesto di chiedere perdono anche a te. Sono convinta che ogni volta che salirai su un palcoscenico, lui occuperà sempre un posto in qualunque teatro del mondo tu sia.

Purtroppo siete andati via così in fretta, che non ho avuto il tempo di dirvelo.

Bene, credo di avervi detto tutto.

Ormai siamo in periodo di raccolto. Tra qualche giorno raccoglieremo l’orzo e il grano, e Fields of Gold perderà questo bellissimo colore che ha in questo momento. Io lo vedo in tutta la sua magnificenza, qui , da sotto la grande quercia, da dove sto scrivendo questa lettera. Non vi mando una foto, perché vorrei che un giorno foste voi stessi a tornare per ammirare questo spettacolo in tutta la sua bellezza. E’ in questo periodo che capisco appieno perché mia nonna amasse tanto questo posto. Anche Andrei sembra divertirsi un mondo a correre in mezzo alle spighe.

Vorrei che lui e Nigel potessero vivere in un mondo pacifico. Vorrei che non conoscessero la guerra. Vorrei che potessero correre in questi campi dorati per sempre.

 

Con affetto, vostra

 

Evelyn

 

Françoise ripiegò la lettera e la ripose sul tavolo. Albert e Gilmore erano seduti attorno al tavolo della cucina, insieme a lei. Mentre Jet e Joe erano in piedi, con le loro tazze di caffè in mano. Anche Punma, Geronimo, con Ivan addormentato in braccio, e Chang avevano seguito la lettura.

<Sono due bambini meravigliosi.>>, disse Gilmore posando una delle foto che Evelyn aveva inviato.

<<Bretagna a già letto questa lettera, vero?>>, chiese Albert.

Françoise annuì: <<Il pacco era indirizzato a lui. E’ stato il primo a leggerla.>>

<<L’ha sollevato un po’?>>, chiese Joe, sorseggiando il suo caffè.

Françoise fece una smorfia: <<Non lo so. Si è chiuso in camera sua con la collezione di Shakespeare.>>, disse <<Vorrei fare qualcosa per lui, ma è come essere un elefante in una cristalleria.>>

Un po’ tutti si guardarono in silenzio l’un l’altro. Bretagna non era più lo stesso da quando erano tornati dall’Irlanda del Nord. E la sua giovialità mancava un po’ al calore della casa. Si sentiva responsabile per la morte di Nigel. Sembrava il cadavere dell’uomo allegro e dalla battuta sempre pronta che conoscevano.

<<Evelyn ha ragione.>>, disse Albert <<E’ stato Kensington stesso a puntarsi la pistola contro lo stomaco e sparare. E se non lo avesse fatto Kensington, l’avrei fatto io.>>

<<No, l’avrei fatto io, Albert.>>, Bretagna comparve dalla porta della cucina come un fantasma in mezzo a loro. Richiuse la porta dietro di sé <<Lo avrei fatto io, ma Nigel mi ha preceduto.>>

<<Non è stata colpa tua, Bretagna.>>, gli disse Françoise.

Bretagna annuì: <<Sì, credo di sì. Ma resta il dispiacere di aver perso un amico. Anche se… forse Nigel era già morto tanto tempo fa. E poi la malattia lo avrebbe ucciso prima o poi…>>

Gli occhi di tutti erano puntati su di lui. Bretagna li guardò a uno a uno, poi sorrise da una parte all’altra della faccia: <<Su, non fate quelle facce!>>, esclamò avvicinandosi a una finestra e guardando fuori <<Io mi sono già ripreso, sapete? La vita va avanti. Nigel ormai era prigioniero dei Fantasmi Neri. Voleva liberarsi, sennò non ci avrebbe lasciato quella mappa di Dublino, dove erano segnati tutti i posti in cui erano state messe le bombe. E’ molto meglio che sia andata così. Molto meglio…>>

La sua voce perse di fermezza sul finale, e la cosa non sfuggì a nessuno. Il grande attore non riusciva a nascondere il dolore. La sua maschera andava in pezzi e il suo trucco colava miseramente, sciolto dalle lacrime. E il tutto stonava col sorriso che l’attore continuava a mostrare al mondo.

Ma rispettarono il suo dolore, in silenzio. Proprio perché lo conoscevano e “solo chi non conosce il dolore può ridere di chi soffre”[28].

 

<<Inside my heart is breaking. My make up maybe flaking but my smile still stays on. My soul is painted like the wings of a butterfly. Fairy tales of yesterday will grow, but never die.>>, da “The show must go on”, Queen[29]

 
 

F I N E

 
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[1] Trad.: <<Tornerò di nuovo a casa al ritmo della strada.>>

[2] Trad.: <<Piacere di conoscerla…>>

[3] Il nain (si legge “naìn”) è un tipo di tappeto persiano molto pregiato. Soprattutto perché nel suo tessuto viene utilizzata anche la seta.

[4] Ian Fleming è lo scrittore che ha creato il personaggio di James Bond, alias 007.

[5] Trad.: <<Quando la violenza provoca il silenzio, noi dobbiamo esserci sbagliati.>>

[6] Non sono sicura al 100% (spero di non dire cavolate), ma nel Regno Unito la scuola dell’obbligo va dai 5 ai 16 anni (anno in cui si dovrebbe conseguire anche la maturità). Sempre se non ricordo male, dopo le superiori, per accedere all’università, occorre fare il college per conseguire un determinato certificato.

[7] Trad.: <<Continuo a guardare fuori dalla finestra, ma non mi dispiace se ti odio in solitudine. Ho detto che non mi dispiace per come sono andate le cose. E tu sarai felice e io desolata.>> (come avrete notato, questa è la seconda canzone dello stesso gruppo che infilo in questa fic. Di solito tendo a usare canzoni di autori diversi. Visto l’argomento e l’ambientazione della fic, ho deciso di utilizzare canzoni di autori irlandesi e britannici).

[8] Trad.: <<Chi guarisce le ferite? Chi cura le cicatrici?>>

[9] In inglese non esiste il “lei”. Il rispetto si dimostra attraverso il tipo di linguaggio.

[10] Non so se sapete cosa sia un “mug”. Beh, avete presente quelle tazze in cui si vede la gente bere il caffè lungo nei telefilm americani? Ecco, quello è un mug.

[11] Trad.: <<La mia vita sta cambiando, giorno dopo giorno, in ogni modo possibile.>>

[12] Trad.: <<Tu riuscivi a vedere solo il tuo dolore.>>

[13] L’errore è voluto. “Beatles” è una storpiatura di “beetles” (scarafaggi), creata perché nel nome del gruppo ci fosse la parola “beat” (battito, in senso musicale). Gerard non ha presente questo particolare (vi è mai capitato che i vostri genitori non capissero come si chiamava il vostro gruppo preferito e ne storpiassero regolarmente il nome?). Per lui sono i Beetles.

[14] Trad.: <<Regni nascono e regni cadono. Ma tu vai avanti.>>

[15] Trad.: <<Le persone possono essere così false a volte.>>

[16] Non so se mi sono spiegata bene, vediamo se il Devoto – Oli ci riesce meglio. Maggese: terreno agrario tenuto a riposo, o anche opportunamente lavorato (ovvero, coltivato con una coltura differente rispetto a quella precedente), affinché riacquisti la sua fertilità.

[17] John Constable (1776 – 1837) era un pittore inglese famoso per i suoi paesaggi. A detta del mio professore di comunicazione visiva, è uno dei più grandi paesaggisti di tutti i tempi, ma un pessimo ritrattista.

[18] Trad.: “Nigel e Gerard non si divideranno mai. Fields of gold, 22 giugno 193X”.

[19] Trad. (moooooooolto libera): <<Fatto a pezzi il futuro, tu ed io soffiati via dalla tempesta, in una vita. Mentre la pioggia cade, comincia di nuovo. Come la tempesta irrompe violentemente nel mio cuore, credi alla luce che è in te. Così la luce brillerà in te. Senza colore, sfumata e consumata, fatta a pezzi nella tempesta.>>

[20] Trad.: <<Dolce il peccato, ma è amaro il suo sapore nella mia bocca.>>

[21] Trad.: <<Infelicità. Che ne è stato di era quando ero più giovane e ce ne infischiavamo. Perché eravamo sollevati nel vedere la vita come un divertimento e catturarla, se potevamo. Mia madre, mia madre mi pensava, mi pensava quando ero là fuori? Mio padre, a mio padre piacevo? Non importa a nessuno?>>

[22] Qui Albert fa un gioco di parole con il cognome di Joe. Shima è “isola” e mura “villaggio.

[23] Trad.: <<Per le promesse c’è il cielo. Per il paradiso, quelli che riescono a volare.>>

[24] Presente quelle automobiline che vengono utilizzate nei campi da golf per spostarsi da una buca all’altra?

[25] Trad.: <<Quando la verità è una sconosciuta, ti colpisce dritta in mezzo agli occhi.>>

[26] E’ il principio attivo, tanto per darvi l’idea, che sta alla base della Novalgina.

[27] Trad.: <<Sono passati molti anni da quei giorni d’estate. Guarda i bambini correre, mentre il sole tramonta, tra i campi dorati. Ti ricorderai di me, quando soffierà il vento dell’ovest, sui campi di orzo. Potrai raccontare al sole, nel suo cielo di gelosie, di quando noi camminavamo in campi dorati.>>

[28] Dal “Romeo e Giulietta”, di William Shekespeare

[29] Trad.: <<Dentro il cuore mi si sta spezzando. Il mio trucco sta rovinando, ma io continuo a sorridere. La mia anima è colorata come le ali di una farfalla. Le favole di ieri cresceranno, ma non moriranno mai.>>