L'alba di un nuovo giorno

di Lunaris
 
Parte I
Parte II
Parte III
Parte IV
Parte V
Parte VI
Parte VII
Parte VIII
Parte IX
Parte X
Parte XI
Parte XII
Parte XIII
Parte XIV
Parte XV
 
 

Parte I

 

Erano parecchie settimane che il dottor Gilmour e i suoi cyborgs seguivano le tracce che, con ogni probabilità e almeno stando a quello che avevano potuto capire mentre svolgevano le indagini, li avrebbero portati ad una delle basi in cui i Nuovi Fantasmi Neri progettavano e realizzavano i loro interventi per creare nuovi cyborgs sempre più potenti.

Quella mattina il dottore li aveva convocati tutti di buon ora, poiché 001 si era svegliato agitato, dopo molti giorni di sonno profondo. C'era del nervosismo nell'aria, perché in quel periodo gran parte delle energie di tutti loro era stata concentrata nel tentativo di trovare quella maledetta base, in cui i Nuovi Fantasmi Neri continuavano a perpetrare i loro orrendi crimini.

Dopo qualche attimo di silenzio, il breve alito di vento che entrò dalla finestra leggermente socchiusa nella stanza del dottore, sembrò allentare la tensione.

Fu 002 a rompere il silenzio: "Allora, professore, ci sono novità?" chiese, con un tono decisamente impaziente.

Il dottore si schiarì brevemente la voce, poi disse: "Ebbene, sì. Come immaginate, è proprio per questo che vi ho convocati. Stamattina 001 si è svegliato e mi ha comunicato di essere riuscito a mettere insieme i dati che avete raccolto in queste settimane. I risultati portano a conclusioni abbastanza precise. Probabilmente il luogo che cerchiamo si trova nei pressi di Kamaishi, a poco più di un centinaio di chilometri a nord di Sendai. Pare che i Fantasmi Neri abbiano creato un laboratorio di ricerca e realizzazioni biocibernetiche nei sotterranei di uno stabilimento locale, dopo averne preso il controllo..."

"E come ci suggerisce di agire, professore?" lo interruppe Joe.

Dentro di sé, sapeva benissimo cosa avrebbe voluto fare: correre laggiù e distruggere tutto il più in fretta possibile, prima che qualcun'altro dovesse subire la loro stessa sorte; ma questo non era fattibile, almeno fino a quando non fossero stati sicuri di non coinvolgere persone innocenti nel compimento della missione.

La voce del dottor Gilmour lo distolse dai suoi pensieri: "Dovrete agire con molta prudenza, ragazzi. Anche se non credo che sospettino che siamo sulle loro tracce, i nostri nemici non sono certo stupidi e avranno sicuramente preso delle precauzioni; comunque, stando alle informazioni che sono in nostro possesso, non dovreste avere molta difficoltà, se riuscirete a coglierli di sorpresa. Lo stabilimento è dotato di un sistema di allarme che 003 dovrebbe riuscire ad individuare facilmente..." a questo punto, Françoise annuì, decisa, e il professore continuò: "...e, durante la notte, è vuoto, tranne per alcuni guardiani alle entrate, a cui dovreste cercare di non fare alcun male..."

I cyborgs ascoltavano le parole del professore molto attentamente: anche se erano impazienti di agire e non sembrava esserci niente di complicato in quella missione, sapevano che non dovevano sottovalutare i loro nemici per nessuna ragione al mondo, onde evitare sorprese.

Il dottore proseguì: "Le cose si complicano un po' al piano inferiore, dove vengono assemblati i nuovi cyborgs... Le guardie sono molte di più... E questa volta sono cyborgs sotto il controllo dei Fantasmi Neri... E in più c'è... Il deposito."

Françoise distolse lo sguardo, Joe e Jet strinsero i pugni con rabbia, mentre gli occhi di tutti si erano velati di tristezza. Un brivido percorse la stanza: tutti sapevano bene a che cosa si stesse riferendo il professore, ma nessuno sembrava avere il coraggio di immaginarlo veramente. In quel deposito sicuramente si trovavano le cavie umane che erano destinate ad essere trasformate in cyborgs al servizio dell'organizzazione dei nuovi Fantasmi Neri. Non c'era bisogno di dirlo a parole perché questo colpisse i ragazzi nel profondo, dal momento che avevano tutti vissuto quella stessa esperienza. E sapevano anche che il loro pensiero in quel momento era più unito che mai: salvare quelle persone prima che i Fantasmi Neri potessero trasformarli come invece era successo a loro, e risparmiare loro una vita fatta di sofferenze e di scelte difficili, o peggio, di schiavitù.

Insospettabilmente, fu il mite Geronimo a riscuoterli dai loro pensieri: "Dobbiamo fermarli." disse.

Queste semplici parole, pronunciate con la voce pacata ma ferma del gigante, bastarono a rafforzare la loro determinazione. Finalmente sorrisero.

"Puoi dirlo forte!" esclamò Bretagna.

"Allora, cosa stiamo aspettando?!?" tuonò Jet, che come al solito non vedeva l'ora di entrare in azione.

"Andiamo!" esclamò Albert, eccitato.

Si erano tutti girati verso la porta, pronti a partire, quando il professore richiamò la loro attenzione: "Ragazzi, mi raccomando... Prudenza. E cercate di giocare sull'effetto sorpresa."

Si erano voltati verso di lui, e fu Joe a rispondere per tutti: "Non si preoccupi, professore. Ce la faremo!" Il dottor Gilmour annuì, e i cyborgs partirono, lasciando alla base solo 001, per tenersi in costante contatto con il professore.

 

Parte II

 

Arrivarono a destinazione in pochissimo tempo, sul far della sera. Per fortuna sembrava che la collocazione geografica dell'obiettivo fosse favorevole: lo stabilimento si trovava su un terreno pianeggiante, circondato da un fitta boscaglia. Dopo aver lasciato il Dolphin non molto distante, ma abbastanza perché non venisse individuato, si avvicinarono nascondendosi tra gli alberi, finché non arrivarono a poche centinaia di metri dallo stabilimento.

A quel punto 009 prese in mano la situazione: "003, riesci a dirci quante guardie ci sono di preciso, e come possiamo fare per eludere il sistema di allarme?"

La ragazza si concentrò un momento, e in men che non si dica fu in grado di dar loro ogni informazione: "Sì..." disse "Le guardie qui in superficie sono solo sei, due si trovano sul lato nord, due sul lato sud, dove ci sono le entrate principali... Sui lati est ed ovest invece ce n'è una sola. Il sistema d'allarme non mi sembra molto complicato... La centralina si trova lassù" e indicò un punto sul muro oltre la recinzione, in cui era visibile una cassetta di metallo "e i fili corrono nel muro appena sotto la grondaia, tutto in torno all'edificio..."

"Benissimo!" esclamò 009 "Perfetto, 003!"

Lei sorrise: i complimenti di 009 le facevano sempre piacere, anche se si trattava di una missione.

"Faremo così" proseguì lui, non accorgendosi di nulla "Aggireremo l'edificio rimanendo nascosti tra gli alberi fino a che 005 non si troverà sul lato ovest, 004 sul lato est, 002 e 008 sul lato sud e io, 003 e 006 su quello nord. 007, tu potresti trasformarti in qualcosa di molto piccolo, passare la recinzione e cercare di mettere fuori uso l'allarme... A quel punto dovremo essere molto veloci, e piombare sulle guardie prima che queste abbiano il tempo di reagire. Che ne dite?"

"Parli bene tu!" scherzò 006 "Mica hai problemi di velocità!"

Effettivamente l'agilità non era il punto forte di Chang, ma sicuramente uno di questi,oltre ai tanti altri, era il senso dell'umorismo, visto che riusciva a fare battute anche mentre erano sul punto di compiere una missione. Questo però era un bene, ci voleva qualcosa del genere per sciogliere un po' la tensione.

Lentamente, si divisero e presero ognuno per la direzione indicata da 009; prima di avviarsi 009 sussurrò a 003: "Françoise... Tu resta vicino a me, mi raccomando."

Lei lo guardò negli occhi e annuì. L'aveva chiamata con il suo nome, e questo era strano dal momento che si trovavano in missione; comunque questo era uno dei tanti piccoli gesti le facevano credere che i suoi sentimenti per Joe fossero, almeno in minima parte, ricambiati. Certo, continuava a non riuscire a capire del tutto che cosa gli passasse per la testa, visto che a volte era così premuroso con lei, mentre altre la evitava e sembrava non importargliene molto... A volte si sforzava di pensare che forse lui aveva solo paura di lasciarsi andare, di soffrire di nuovo, o di creare sofferenza... Altre invece cercava di convincersi che era inutile sperare, che lui non l'avrebbe mai amata, e che sarebbe stato meglio abbandonare il sogno di una vita felice l'una accanto all'altro... Ma non era quello il momento di fantasticare: si mise dietro a Joe e cercò di stargli il più vicino possibile mentre prendevano le posizioni decise.

Una volta pronti, Bretagna si tramutò dapprima in un'ape, superando la recinzione senza problemi, e una volta raggiunta la centralina elettrica vi si posò sopra e diventò un topolino, che iniziò a rosicchiare i fili nel loro punto di uscita dalla scatola di metallo e prima che si infilassero nel muro, quel tanto che bastava per interrompere il contatto. In breve tempo l'allarme fu disattivato, Bretagna tornò alla sua forma originaria e diede il segnale stabilito: un fischio lungo e acuto. Prima che i guardiani potessero rendersi conto da dove provenisse quel suono, gli altri cyborgs furono su di loro, e li misero fuori combattimento senza incontrare nessuna difficoltà. Si riunirono di nuovo davanti alla porta nord, e Geronimo, dopo aver rotto il lucchetto della serratura con un pugno, posò le sue enormi mani sulle grandi ante di metallo e le spalancò. Dentro era buio pesto, ma non sembrava esserci alcuna guardia; ciononostante, 009 li invitò tutti alla prudenza, e lentamente, rimanendo uniti, si avviarono verso il centro del capannone. Intorno c'erano macchinari che sembravano in tutto e per tutto identici a quelli presenti in qualunque altro stabilimento meccanico, ma questo non li stupì; sapevano bene che quello che cercavano si trovava nei sotterranei... Ora dovevano solo arrivarci.

"Ragazzi... Laggiù, dietro quel container..." 003 aveva di nuovo messo in funzione la sua supervista e il superudito. "C'è una botola che porta al piano inferiore, sento chiaramente i passi delle guardie là sotto..."

Gli altri annuirono, e si avvicinarono al punto indicato. Si disposero tutt'intorno alla botola, e per 006 fu un gioco da ragazzi scioglierla in pochi secondi con il suo getto di fiamme. Le guardie che si trovavano proprio lì sotto non fecero in tempo a rendersi conto di nulla, e subito furono colpite dai laser sparati dai cyborg; questa volta non dovevano preoccuparsi di non uccidere nessuno, così proseguirono velocemente per il corridoio sotterraneo eliminando ogni ostacolo che si parava loro davanti. Le porte che si aprivano lungo quel corridoio dovevano nascondere i laboratori in cui i Fantasmi Neri facevano condurre gli esperimenti per la creazione di nuovi cyborgs... Mentre passavano, 004 si occupava di installare su ogni porta delle piccole ma potenti bombe collegate ad un detonatore, che avrebbe attivato una volta che avessero trovato il deposito delle cavie e fossero riusciti ad uscire di lì portando in salvo il più alto numero di persone possibile... Per quanto riguardava coloro che, dentro i laboratori, già avevano subito la trasformazione, purtroppo non c'era più nulla da fare. Anche se risultava loro quasi insopportabile, l'unica cosa che potevano fare era dar loro la pace della morte prima che fossero costretti a combattere per i Fantasmi Neri... E trovarsi comunque, presto o tardi, in un modo o nell'altro, sempre di fronte ai cyborgs del dottor Gilmour.  

 

Parte III

 

Presto arrivarono davanti a quella che sembrava una grande cella frigorifera: sicuramente era lì che venivano tenuti gli esseri umani destinati a diventare cyborgs! Era davvero strano che non ci fossero ulteriori presidi di sicurezza, ma non avevano tempo di star lì a porsi troppe domande; 007 si trasformò di nuovo, stavolta in un moscerino, e riuscì ad infilarsi dentro passando per una fessura. Una volta all'interno, tornò se stesso e dall'oblò installato sulla porta fece loro cenno di entrare: evidentemente aveva scoperto che quella cella conteneva proprio quello che cercavano. Fu compito di Geronimo aprire la porta: alle pareti della stanza, lunga ma stretta, c'erano cinque o sei contenitori che sembravano bare di cristallo, al cui interno si trovavano altrettante persone, di diverse età e diverso sesso, che sembravano in stato di ibernazione. Françoise emise un piccolo gemito soffocato, e Joe la guardò preoccupato; non era una novità che lei fosse la più sensibile del gruppo e che soffrisse, per quanto possibile, più di tutti per aver perso la propria umanità.

"Françoise... Tutto bene?" le chiese Joe premuroso.

Come se avesse avuto bisogno di qualche attimo per raccogliere le forze, lei gli rispose piano: "Sì, Joe... Non preoccuparti. Adesso pensiamo a portare queste persone fuori di qui al più presto."

Albert suggerì: "Dobbiamo trovare il modo di portarli via con tutto il sistema di criogenesi. Non possiamo rompere le bare, lo sbalzo di temperatura sarebbe troppo improvviso e rischierebbero di non farcela. Ci penserà il dottor Gilmour a riportarli alla giusta temperatura gradualmente, quando li avremo tratti in salvo!"

"Va bene!" concordarono gli altri.

Geronimo prese due dei contenitori sotto le braccia, cercando di essere il più delicato possibile, uno toccò ad Albert, uno a Punma e un'altro a Bretagna e Chang. Joe e Jet si avvicinarono all'ultima bara, e in quel momento si accorsero che era diversa dalle altre: non era trasparente, ma nera, sembrava fatta di un materiale diverso e sul coperchio c'era una scritta a lettere rosse. "SUPERCYBORG - SERIE 01 - PROTOTYPE PROJECT" I due esitarono un attimo.

"Che succede?" chiese loro Françoise, avvicinandosi, mentre gli altri iniziavano a uscire. Non appena vide la scritta, capì.

"Che cosa facciamo?" chiese improvvisamente 009.

"Come, cosa facciamo?" proruppe 002, come se non ci fosse neanche da chiederselo "Ci piazziamo sopra una bella bomba e ce ne andiamo di corsa di qui!"

"Jet..." fece piano Françoise.

"Jet-cosa???" gridò lui.

"002, non ti agitare." intervenne Joe.

"003 ha solo capito a cosa stavo pensando" le fece un breve sorriso d'intesa, e lei non poté fare a meno di arrossire

"Sentiamo cosa hai in mente stavolta, allora." fece 002, rassegnato.

"Io..." 009 sembrava indeciso "Pensavo che... Forse sarebbe meglio portare anche questo alla base, dal dottor Gilmour. Potrebbe essergli utile per scoprire qualcosa di più sugli studi segreti dei Fantasmi Neri... Anche se potrebbe essere pericoloso, secondo me vale la pena rischiare!"

003 sembrava d'accordo, anche se era meno convinta.

"OK, OK, mi arrendo! Faremo come volete voi!" fece sconsolato 002 "Però poi non dite che non vi avevo avvertito: secondo me ci attireremo addosso un mare di guai!!!"

009 e 002 misero le mani sulla cassa, e la profezia di quest'ultimo si avverò prima di quanto non si aspettasse lui stesso: non appena la toccarono, dal soffitto spuntarono delle bocche laser che erano rimaste nascoste fino a quel momento, che erano di sicuro erano collegate a dei sensori tattili. Decisamente avrebbero dovuto aspettarsi che quel prototipo fosse protetto un po' meglio che tutto il resto del laboratorio, anzi probabilmente erano stati fortunati a trovarlo lì quella notte: non ci sarebbe stato da stupirsi se per precauzione i Fantasmi Neri lo trasferissero in continuazione da un laboratorio all'altro, vuoi per renderlo meno raggiungibile, vuoi per poter sfruttare al massimo le potenzialità di ogni loro stanziamento nel perfezionamento di quel progetto.

"Ecco, lo sapevo!" strillò 002, mentre cercava di schivare i colpi che provenivano da ogni direzione "009, sbrigati, porta fuori questo coso, ci pensiamo io e 003 a coprirti!"

009 fece loro un breve cenno d'intesa, e, seppur a malincuore, afferrò veloce il sarcofago, azionò l'acceleratore molecolare e in un baleno fu fuori dall'edificio, dove già si trovavano 004, 005, 006, 007 e 008. Non appena si fermò, gli altri lo videro e gli corsero incontro.

"Che succede, 009?" gli domandò concitato 004. "Ve lo spiego dopo!" rispose 009 "Adesso dobbiamo tornare indietro ad aiutare 002 e 003!"

Non aveva neanche fatto in tempo a finire la frase, che i due cyborgs spuntarono fuori dalla porta da cui erano usciti anche tutti gli altri.

"Tutto bene, Françoise?" 009 le si avvicinò.

"Sì, Joe, tutto bene. Grazie."

"Ehi, sto bene anche io, nel caso interessasse a qualcuno!" se ne uscì Jet, fingendo di essersi offeso.

 Joe lo guardò con aria colpevole.

"E comunque" proseguì Jet "era una domanda superflua; c'ero io con lei, poteva essere diversamente? Stai tranquillo, Joe, quando tu non ci sei, a Françoise ci penso io!!!"

Sia Joe che Françoise arrossirono violentemente a quelle parole, e fu lui a cercare di togliersi dall'imbarazzo, dicendo: "Non abbiamo tempo da perdere... Chissà quale diavoleria ci piomberà addosso se non ce ne andiamo subito di qui! I nostri nemici faranno di tutto per recuperare ciò che abbiamo preso... 004, sei pronto ad azionare le cariche?"

"Prontissimo." affermò deciso Albert. "Allora... Via!!!" disse Joe.

Iniziarono a correre verso il Dolphin, portando con sé i contenitori che avevano preso dallo stabilimento, e appena furono abbastanza lontani, 004 fece scoppiare le bombe che avevano piazzato. Il rumore dell'esplosione rappresentava una vittoria, almeno dal punto di vista tattico; non bisognava dimenticare però che nel cuore di ognuno di loro c'era un pensiero per le vite che i Fantasmi Neri erano riusciti a spezzare con i loro assurdi esperimenti.

Raggiunto il Dolphin, caricarono le bare criogeniche a bordo e partirono a tutta velocità alla volta della loro base, dove il dottor Gilmour li stava aspettando. Si misero subito in contatto con lui, tramite 001: "Missione compiuta, professore." disse attraverso il piccolo la voce di Joe, con una punta di tristezza. "E abbiamo una sorpresa per lei." aggiunse quella di Jet.

Il dottor Gilmour, che fino ad allora aveva atteso notizie dai suoi ragazzi in piedi di fronte alla finestra, con lo sguardo perso nell'orizzonte notturno, si voltò, chiuse gli occhi, accennò un sorriso e si abbandonò sulla sua sedia, i lineamenti del viso finalmente distesi.  

 

Parte IV

 

Era quasi l'alba quando giunsero di nuovo a casa. Dopo aver portato i contenitori con le cavie umane nell'attrezzatissimo laboratorio del dottor Gilmour, lo raggiunsero nella sua stanza.

"Bentornati, ragazzi miei" li salutò il vecchio scienziato appena li vide.

"Grazie, professore" risposero loro.

"Allora, tutto bene?" volle sapere lui.

"Sì, professore" rispose Joe "Abbiamo distrutto l'intero stabilimento, avendo cura di portare fuori pericolo tutte le guardie umane, e abbiamo portato le vittime dei Fantasmi Neri qui da lei. Sono tutti ibernati, contiamo sul fatto che lei riesca a salvarli..."

"Non preoccuparti, 009" gli sorrise il dottor Gilmour "per quello non c'è problema, lo sai bene." Anche Joe sorrise, sollevato.

"Abbiamo trovato qualcos'altro, laggiù." continuò Jet. Il dottor Gilmour ascoltava, attento e incuriosito.

"Sì" confermò Albert, che aveva sentito tutta la storia raccontata da 009, 002 e 003 sul Dolphin, mentre facevano ritorno "Deve essere un prototipo di supercyborg a cui quei maledetti stavano lavorando..."

"Io ho pensato" si intromise Joe, come a volersi prendere tutta la responsabilità di quella decisione, nel caso si fosse rivelata una sciocchezza "che probabilmente se lo avessimo portato qui, ci sarebbe potuto essere utile per scoprire che cosa stanno tramando i Nuovi Fantasmi Neri... O almeno contro cosa dobbiamo prepararci a combattere."

Il dottor Gilmour soppesò le parole di Joe, mentre tutti aspettavano che dicesse qualcosa. Alla fine, pronunciò parole di approvazione: "Avete fatto bene, ragazzi. Sono davvero fiero di voi, come sempre, del resto."

Tutti quanti sorrisero, pieni di orgoglio.

"Adesso andate a riposarvi. Sarete molto stanchi. Io scenderò nel laboratorio e cercherò di vedere con cosa abbiamo a che fare." continuò il professore.

"Grazie, dottore." disse Joe "Ma preferiamo rimanerle accanto, vero, ragazzi?"

Gli altri annuirono prontamente.

"Non possiamo sapere cosa troverà, una volta aperto il contenitore. Potrebbe aver bisogno di noi." concluse, dando voce ai pensieri di tutti.

Il dottor Gilmour sembrò sul punto di protestare, ma dallo sguardo determinato dei ragazzi, capì che sarebbe stato inutile.

"Va bene." disse infine, rassegnato. "Vi ringrazio, ragazzi. Allora seguitemi."

Scesero tutti nel laboratorio; il dottor Gilmour collegò le cinque bare trasparenti ad altrettanti dispositivi di termoregolazione, in modo che le persone in esse contenute potessero tornare gradualmente ad una temperatura compatibile con la vita.

Poi si avvicinò lentamente all'ultimo contenitore, quello nero con la scritta rossa. Era liscio e lucente... Il professore lo accarezzò brevemente con la mano, e per un attimo nei suoi occhi si poté intravedere lo scintillio della curiosità scientifica. Ma fu questione di pochi secondi; il rimorso per quello che aveva fatto in passato a quegli stessi ragazzi che ora considerava come suoi figli non aveva mai smesso di tormentarlo.

Distolse quei pensieri dalla propria mente, e cercò di concentrarsi sul lavoro che si accingeva a svolgere. Collegò le quattro serrature a codice numerico che si trovavano, due per lato, sulla cassa, ad un decodificatore, e quelle si aprirono subito. Sia lui che i nove cyborgs trattennero il fiato, mentre il coperchio si sollevava: cosa avrebbero trovato lì dentro?  

(Ditelo, siete curiosi, eh? No, eh? Va bene, io ci ho provato... :)  

Il coperchio si aprì del tutto: dentro c'era un ragazzo che sembrava normale in tutto e per tutto. Era senza vestiti e sembrava addormentato, anche se la testa era reclinata su una spalla in un abbandono più forte del sonno. Non era più un adolescente, anche se sembrava abbastanza giovane, e sicuramente era un giapponese. I capelli erano gli arrivavano appena alle spalle, e la sua pelle era chiara, senza nemmeno un segno di cicatrice; se era già stato modificato, chi lo aveva operato aveva fatto davvero un lavoro perfetto!

Erano tutti talmente impegnati ad osservarlo, che nessuno si era accorto della reazione di Joe: alla vista di quel corpo, i suoi occhi si erano dilatati e aveva cominciato a sudare freddo, mentre i suoi pugni si erano serrati automaticamente. Tempo pochi attimi, e Joe si voltò, correndo fuori dal laboratorio come una furia.

"Ehi, amico, che cavolo ti prende?" gli gridò dietro Jet.

Tutti si voltarono verso la porta, e Jet, Albert e Punma fecero per andargli dietro, quando Françoise si parò davanti a loro con le braccia spalancate, con aria decisa.

"Sei impazzita anche tu?" esclamò Jet, incredulo. "Capisco cosa sta provando Joe, ma addirittura scappare via in quel modo... Non mi sembra da lui, ecco tutto."

Françoise abbassò le braccia e anche lo sguardo, poi disse piano: "No, Jet, non credo che tu capisca..."

"Françoise, sei diventata matta veramente? Credi che solo Joe soffra per quello che siamo diventati?" Jet sembrava essere sul punto di alterarsi seriamente.

"No, Jet, credimi, so bene quanto ognuno di voi patisca per la situazione in cui ci troviamo... Ma questa volta è diverso..."

Jet la guardava con la bocca spalancata, e anche gli altri sembravano impazienti di ascoltare una spiegazione per quello strano comportamento.

"Vedete, ragazzi..." iniziò Françoise "All'inizio non ci avevo proprio fatto caso... Ma poi Joe è scappato via in quel modo, e mi sono ricordata."

"Di cosa, Françoise? Non tenerci sulle spine!" incalzò Albert.

"Quel ragazzo... Quello che dovrebbe essere il supercyborg. Io l' ho già visto."

Quell'affermazione lasciò tutti senza fiato.

"E dove???" chiesero in coro Chang e Bretagna. "L' ho visto in una fotografia." continuò la ragazza "In camera di Joe. Credo che sia un suo vecchio amico."  

(Adesso sì che vi ho stupiti con effetti speciali, eh? No, eh? Va bene... Continuo a provarci!!! :)  

"Non starai dicendo sul serio?" ruggì Jet, fuori di sé.

"E' impossibile..." disse Albert, scuotendo la testa. Anche il dottor Gilmour sembrava profondamente scosso dalle rivelazioni di Françoise "Ne sei proprio sicura?" chiese.

Françoise annuì gravemente.

Il professore le mise una mano sulla spalla: "Và da lui." le disse "Credo che tu sia l'unica che possa fare qualcosa per calmarlo... Io intanto cercherò di vedere se c'è qualcosa che si può fare, qui..."

La ragazza uscì veloce dalla stanza. A quel punto il professore si rivolse agli altri: "Ragazzi, ora andate a riposare. Qui non c'è nessun pericolo, non credo che ci sia più nulla che possiate fare."

Sconsolati, i cyborgs raggiunsero ognuno la propria stanza, tranne Albert, che insistette per rimanere al fianco dello scienziato: non si fidava per niente di quello che sarebbe potuto saltar fuori da una creazione dei Fantasmi Neri.  

 

Parte V

 

Intanto, Françoise era uscita dalla grande villa che era sia la loro base operativa che la loro casa. Sapeva che Joe doveva essere lì intorno, perché aveva sentito molte porte sbattere e non aveva sentito nessuna macchina mettersi in moto. Iniziò a guardarsi intorno con la sua supervista, e finalmente lo individuò: era salito in cima allo strapiombo sul mare che si trovava lì vicino. Mentre lo raggiungeva, cercava di pensare a cosa avrebbe potuto dirgli... Il dottor Gilmour parlava bene, dicendo che lei fosse l'unica in grado di calmarlo... La verità è che si sentiva davvero inadeguata, in quel momento. Come potevano credere che lei lo capisse più di chiunque altro, se lo amava da così tanto tempo che nemmeno lei si ricordava quanto fosse in realtà, e ancora non era riuscita a capire se lui provasse per lei almeno qualcosa di più di semplice affetto? Certo, c'era da dire che spesso lui era riuscito ad aprirsi con lei più di quanto non si fosse aspettata, e sembrava preoccuparsi per lei più che per chiunque altro... Ma questo poteva semplicemente dipendere dal fatto che, fra tutti loro, lei era certamente la più debole in battaglia. Mentre era persa in queste riflessioni, arrivò finalmente a pochi metri dal punto in cui si trovava Joe, che non sembrava essersi accorto di lei.

"Joe..." sussurrò Françoise alle sue spalle.

Joe trasalì, poi si voltò verso di lei. La brezza mattutina, profumata di mare, giocò con i loro capelli, prima che lui rompesse il silenzio: "Sei tu..." disse, con un filo di voce. "Come mi hai trovato?"

Françoise accennò un debole sorriso, e lui continuò: "Già, dimenticavo."

"Joe, ascoltami..." provò ad iniziare lei, cercando di sostenere il suo sguardo, che mai aveva visto così pieno di rabbia e disperazione.

Ma lui la interruppe prima che potesse aggiungere altro: "No, Françoise. Non chiedermi di ascoltarti. Non chiedermi niente. Non c'è niente che tu possa dire, o che tu possa fare... "

"Joe, ti prego..." Françoise aveva fatto un passo verso di lui, che continuò:

"Questa volta hanno passato il limite...   Non è bastato togliermi la mia umanità... Non è bastato che tutte le mie speranze e i miei sogni andassero in frantumi... Si sono dovuti prendere anche la vita del mio migliore amico... Kenji... Non sai per quanti anni abbiamo vissuto insieme, quante ne abbiamo combinate... Ci sostenevamo a vicenda nei momenti difficili, e cercavamo di incoraggiarci l’uno con l’altro, convinti che prima o poi avremo realizzato i nostri sogni... E poi per me è finito tutto. Ho cercato di accettarlo. Ho tentato di trasformare il dolore che provavo in qualcosa di buono, ho pensato che forse quello che mi era accaduto... Che ci era accaduto... Potesse servire ad evitare che succedesse di nuovo, a qualcun' altro... Ma è stato tutto inutile..."

Joe stringeva i pugni così forte che i palmi delle sue mani iniziarono a sanguinare. Françoise era sconvolta. Capiva che questa volta per Joe era davvero troppo, e quello che le faceva più male era essere consapevole del fatto che non poteva fare assolutamente nulla per lui, per farlo stare meglio. Ma ugualmente, doveva provarci.

Si avvicinò a lui, che nel frattempo aveva abbassato lo sguardo, e disse: "Joe... Lo so che è terribile. Lo so che ci è toccato un destino crudele, di cui ognuno di noi avrebbe fatto più che volentieri a meno... So che oggi più che mai non puoi perdonare i Fantasmi Neri... Ma adesso è a Kenji che devi pensare. Non puoi fare nulla per tornare indietro, per far sì che tutto questo non sia mai accaduto. Ma c'è una cosa che invece puoi fare: puoi fare in modo che lui non sia solo. Se ti dovessi dire cos'è che mi permette di andare avanti... Siete voi, Joe. Tu e gli altri ragazzi. Io non ce l'avrei mai fatta senza di voi. E credo che sia così per ognuno di noi. Per questo, io sono convinta che la cosa migliore che puoi fare adesso è non lasciare solo il tuo amico... Sta per provare quello che hai provato tu tanto tempo fa... E ha bisogno di te. Pensaci, ti prego."

Joe aveva ascoltato le parole di Françoise come in trance... Sembrava che la ragazza gli parlasse da molto lontano, e che piano piano le sue parole divenissero sempre più chiare... Gli sembrava che prendessero la forma del loro dolore, e per un momento si sentì davvero debole... E lei, che sicuramente tra di loro era quella che soffriva più di tutti per al condizione in cui si trovavano, stava cercando di fargli coraggio. Fu questione di un attimo: Joe scattò in avanti e la abbracciò stretta, mentre tutto il tormento che aveva nel cuore gli saliva agli occhi e le lacrime che a lungo aveva lottato per tenersi dentro cominciavano a uscire senza più alcun freno. Françoise rimase per un attimo interdetta, poi circondò con le braccia la vita di Joe, e stettero lì così, abbracciati nella luce dell’aurora, mentre il ragazzo sfogava finalmente tutto il dolore che troppo a lungo aveva represso.  

Passarono i minuti, e poco a poco sembrò che la vicinanza di Françoise riuscisse a tamponare le ferite del cuore di Joe.

Il ragazzo si calmò: "Grazie, Françoise." le disse in un soffio.

Si distaccarono, e lei si limitò a sorridergli.

"Io..." tentò di iniziare.

Lei gli appoggiò dolcemente il dito indice sulle labbra, e scosse lievemente la testa: "Non dire niente, Joe." mormorò "Non ce n'è bisogno. Adesso torniamo dentro."

Lui annuì con gratitudine, e insieme si diressero verso casa, mentre il sole alle loro spalle, ormai sorto, rischiarava un nuovo mattino con la sua luce calda.

 

Parte VI

 

Quella giornata passò velocemente. Le persone che erano state ibernate avevano ormai ripreso conoscenza, e Punma e Jet erano stati incaricati di riportarli alle loro abitazioni. Il dottor Gilmour aveva passato tutto il tempo chiuso dentro il suo laboratorio a lavorare sul supercyborg, sotto l'attenta sorveglianza di Albert, che non l'aveva lasciato solo nemmeno per un minuto. Ivan dormiva di nuovo profondamente, Chang e Bretagna, dopo essersi riposati un po', avevano pensato di andarsene a fare una passeggiata in città, mentre Geronimo, Joe e Françoise erano rimasti nella villa.

Joe si trovava nella propria stanza da parecchie ore, ormai: mai come allora la sua mente era stata tanto affollata di ricordi... Seduto sul letto, fissava la foto che lo ritraeva sorridente accanto a Kenji, uno dei sottili fili che ancora lo legavano al suo passato di essere umano: entrambi avevano lo sguardo luminoso ed incosciente dell'adolescenza, e un sorriso sprezzante stampato sul volto... Era il tempo in cui avevano creduto di essere immortali, in cui avevano pensato che avrebbero vissuto in eterno con la forza della loro gioventù, senza che nessun male potesse mai toccarli... Non è forse questo che domina i pensieri di ogni adolescente? Ma il destino li aveva colpiti entrambi duramente, e troppo presto... Joe non riusciva ancora a pensare al momento in cui avrebbe dovuto affrontare l'amico: sapeva già tutto, o addirittura era d'accordo? O sarebbe spettato a lui metterlo di fronte alla realtà? Bè, se così doveva essere, che succedesse in fretta...

Ripensò alle parole di Françoise, e la sua determinazione parve rafforzarsi. La radio accesa (DLIN-DLON: in questo punto si consiglia l'ascolto della splendida "ANOTHER DAY" dei Dream Theater, possibilmente in versione acustica.:) scandì:  

"Live another day - Climb a little higher - Find another reason to stay..."

Joe si alzò, e raggiunse la finestra. In quel momento, qualcuno bussò alla porta e, senza aspettare risposta, entrò: era Françoise. Joe si domandava come lei riuscisse sempre a indovinare qual era il momento più giusto per comparire accanto a lui. Subito nella stanza si diffuse un intenso profumo di fiori di loto: gli aveva portato una tazza del loro tè preferito.

"They took pictures of our dreams - Ran to hide behind the stairs - And said maybe when it's right for you - They'll fall..."

 Lui si voltò, e lei si avvicinò, porgendogli la tazza, che emanava un aroma inebriante. "Grazie mille, Françoise. Ne avevo proprio bisogno." disse lui, prendendo la tazza dalle mani di lei, sfiorandole piano le dita.    

"Non c'è di che." rispose lei. Rimasero per qualche minuto di fronte alla finestra., in silenzio.

"But if they don't come down - Resist the need to pull them in - And throw them away - Better to save the mistery - Then surrender to the secret..."

Improvvisamente, Joe disse: "Allora, Françoise... Che cosa volevi dirmi?"

Lei non si stupì del fatto che Joe avesse capito: "Il dottor Gilmour vuole vederti, Joe."

Lui sorseggiò brevemente il tè, poi le restituì la tazza. "Va bene." disse. Si diresse verso la porta, ma prima di uscire dalla stanza, esitò un attimo, si voltò e mormorò: "Grazie ancora, Françoise. Davvero." e se ne andò.

Lei lo osservò allontanarsi per il corridoio, con una gran pena che le gravava sul cuore.

"You won't find it here - Look another way - You won't find it here - So try another day..."

Françoise spense la radio, la luce, chiuse la porta e uscì anche lei dalla stanza.

Joe bussò piano alla porta del dottor Gilmour. Gli sembrava di poter udire distintamente i battiti del proprio cuore...

Il professore disse: "Avanti!", e lui entrò.

"Buonasera, professore." salutò con voce atona. "Buonasera a te, Joe." rispose dolcemente l'anziano scienziato.

Joe si portò davanti alla scrivania, e aspettò che il professore iniziasse a parlare.

"So che per te non è facile, per cui cercherò di essere breve e chiaro, Joe." iniziò il dottor Gilmour "Per quello che ho potuto constatare... Si tratta veramente di un supercyborg."

Joe chiuse gli occhi, come se fino all'ultimo avesse sperato che l'esame del dottor Gilmour potesse svelare che la trasformazione non era ancora iniziata.

Il professore continuò: "Le sue potenzialità sono veramente incredibili, ma si tratta solo di un prototipo, per cui ci sarebbe molto da perfezionare. Sicuramente, se i Fantasmi Neri fossero riusciti ad ultimare il loro progetto, quel ragazzo sarebbe diventato il nostro peggior nemico... Non ho mai visto niente del genere. Spero vivamente che non ne abbiano degli altri... Comunque adesso non è questo il problema. Resta il fatto che lui..."

"Kenji." intervenne Joe, sovrappensiero "Il suo nome è Kenji."

Il dottor Gilmour parve capire quel che Joe aveva voluto dire pronunciando il nome dell'amico; proseguì: "...Kenji è prima di tutto un essere umano. Dobbiamo fare in modo che non cada di nuovo nelle mani dei Fantasmi Neri, e dobbiamo cercare di metterlo al corrente del suo nuovo status traumatizzandolo il meno possibile: non credo che sia mai stato svegliato, da quando hanno iniziato su di lui il processo di trasformazione."

Joe rimase per qualche secondo in silenzio,  e poi disse: "A quello ci penso io. Gli parlo io."

Il professore annuì: "Va bene, Joe. E' la cosa più giusta da fare. Adesso sta riposando nella stanza al piano di sopra... Dovrebbe svegliarsi tra poco." spiegò.

"Vado subito, allora." disse Joe, e uscì: voleva parlare con Kenji il più presto possibile. Poi, forse, tutto sarebbe stato più facile.  

In realtà, nessuno seppe mai quello che successe veramente dal momento in cui Joe entrò nella camera dove si trovava Kenji. L'unica cosa che tutti coloro che erano presenti in quel momento nella casa potevano ricordare, era che ad un certo punto, nella villa altrimenti immersa nella quiete della sera, echeggiò un grido lacerante, colmo di rabbia e di disperazione, seguito da un rumore di vetri in frantumi: qualunque fossero state le parole di Joe, evidentemente non avevano impedito che Kenji ne rimanesse sconvolto e reagisse con violenza. E Joe stesso non volle mai raccontare che cosa si fossero detti lui e l'amico. A notte ormai inoltrata, Françoise, sulla soglia della propria stanza, con le mani appoggiate sugli stipiti della porta e lo sguardo preoccupato, aspettò che Joe passasse lì davanti: dal suo aspetto e dai vestiti in disordine, era chiaro che aveva dovuto calmare Kenji con la forza.    

"Joe..." sussurrò piano la ragazza.

Ma lui non la guardò neanche, proseguì come se si stesse trascinando e, una volta raggiunta la sua camera, vi entrò sbattendo la porta. Fu l'ultimo rumore che si udì prima che la casa fosse di nuovo inghiottita dal silenzio della notte.  

 

Parte VII

 

Erano ormai trascorsi alcuni mesi: con molta pazienza, Joe era riuscito a far ragionare Kenji, anche se entrambi erano stati innumerevoli volte sul punto di desistere, e il ragazzo sembrava aver accettato la nuova condizione in cui si trovava. I nove cyborgs del dottor Gilmour lo avevano accolto come se fosse uno di loro, e l'amicizia tra lui e Joe sembrava aver tratto nuova forza da quella terribile esperienza. Di certo era proprio questo, insieme alla calda accoglienza che gli avevano dimostrato tutti loro, a far sì che tutto gli risultasse meno penoso.

Quel periodo si stava dimostrando relativamente tranquillo, per cui era possibile che ognuno di loro si dedicasse a ciò che preferiva: si creò quindi l'occasione perché Joe e Kenji tornassero a condividere l'antica passione che avevano in comune fin da ragazzini, i motori. Passavano la metà delle loro giornate con le teste infilate nel cofano di qualche automobile, e l'altra metà a provarla per le strade delle campagne lì vicino.

Françoise spesso li osservava da lontano, mentre ridevano e si prendevano in giro, con le facce sporche di grasso: le faceva bene vedere che Joe aveva ritrovato un po' di serenità.

Anche gli altri cyborgs e il dottor Gilmour avevano accettato senza riserve la presenza di Kenji; non avrebbero mai permesso che lui si potesse sentire solo e abbandonato, poiché sapevano che solo la solidarietà e l'amicizia avrebbero potuto salvare la sua anima. Non era forse esattamente quello che aveva salvato tutti loro?

C'era solo una cosa che li preoccupava, in quei giorni di spensieratezza: sapevano bene che i Nuovi Fantasmi Neri non avrebbero mai smesso di cercare il prototipo che era stato loro rubato, convinti del fatto che questo potesse rappresentare finalmente un momento di rivincita contro i cyborgs del dottor Gilmour.  Perciò, anche se cercavano di non darlo a vedere, i nove erano costantemente all'erta, e si aspettavano di dover tornare in azione da un momento all'altro. D'altra parte, erano abituati ormai da molti anni a quella sensazione di precarietà che accompagnava ogni raro momento di pace di cui potevano godere.  

 

Parte VIII

 

Quella mattina, il sole splendeva alto nel cielo, e Joe e Kenji, in jeans e senza nient'altro addosso, erano come al solito impegnati a modificare l'ennesima macchina. Françoise, con indosso dei pantaloni di lino bianco, un paio di sandali bassi azzurri e una canottierina leggera dello stesso colore, si avvicinò a loro portando un vassoio con tre bicchieri di succo di frutta: pensava che avrebbe fatto loro piacere fare una piccola pausa rinfrescante. La luce giocava tra i suoi capelli biondi sciolti sulle spalle, e faceva brillare i suoi profondi occhi azzurri.    

Si fermò poco distante dai due giovani, e li salutò giovialmente: "Salve, ragazzi!"

La voce di Françoise li fece trasalire: entrambi erano talmente assorti in quello che stavano facendo, che Joe sbatté la testa sul cofano alzato dell'auto, e Kenji si fece sfuggire la fiamma ossidrica che stava usando per saldare una giuntura, ustionandosi la mano destra.

"Accidenti!" gridò, stringendo i denti, e mollò tutto il lavoro; la fiamma ossidrica si spense.

"Ehi, Kenji!" Joe si precipitò vicino all'amico "Come stai?"

"Bene, Joe, sto bene. Non è niente, non preoccuparti... Sono stato un idiota!" rispose Kenji, tenendosi la mano.

Sopraggiunse anche Françoise, che aveva lasciato cadere il vassoio con le bibite e si era precipitata a vedere che cos'era successo.

"E' tutto a posto?" chiese.

Kenji annuì, ma Joe gli prese la mano e gliela scoprì, mostrando una brutta bruciatura sul dorso; poi disse: "Non è grave, ma voglio che tu vada con Françoise a farti medicare."

Sia Kenji che Françoise lo guardarono stupiti, e lui fece un sorriso: "Bè, cosa sono quelle facce?" disse "Non c'è nulla di strano: la ferita potrebbe infettarsi!" concluse. Poi si rivolse a Kenji: "Puoi fidarti! Françoise è molto brava in queste cose!"

"Non ho dubbi..." disse Kenji, perplesso, ma non si mosse. "Allora andate!" li spronò Joe.

"Va... Va bene." fece Françoise, con lo sguardo basso; poi si rivolse a Kenji, dicendogli: "Andiamo."

Entrambi si diressero all'interno della villa, e Joe tornò al lavoro.

Non appena furono entrati nella stanza attrezzata ad infermeria, Kenji si appoggiò ad un tavolo, ed iniziò ad osservare sorridendo Françoise, che stava prendendo l'occorrente per medicarlo: era davvero bellissima, delicata e leggiadra come una farfalla...  Quando la ragazza ebbe trovato tutto, gli si avvicinò, gli prese la mano ed iniziò a pulirgli la ferita: Kenji strinse i denti e lei gli sorrise, rassicurante. Ad un certo punto, mentre lei proseguiva con la medicazione, Kenji iniziò a parlarle con un tono davvero strano, dolce e serio come non lo aveva mai sentito, da quando viveva con loro: "Sai, Françoise..." fece "Io ti ammiro moltissimo!"

Lei lo guardò stupita, con i suoi grandi occhi azzurri spalancati.

"Sì." proseguì lui "Ammiro davvero il tuo coraggio e la tua forza d'animo! La vita che fai non dev'essere affatto facile!" esclamò "E me ne accorgo sempre di più ogni giorno che passa. Come fai a sopportare tutto questo stress? Tutti i pericoli a cui rischi di andare incontro? Non hai mai voglia di vivere come tutte le altre ragazze?" Kenji si pentì subito di essere stato così brusco e diretto: "No, scusa... Non ho alcun diritto di parlarti così." mormorò, abbassando lo sguardo.

Françoise rimase in silenzio per qualche attimo, continuando a fasciargli la mano, poi parlò: "Hai ragione, Kenji."

Lui trasalì e la guardò di nuovo, ma lei tenne gli occhi bassi e continuò: "Non sai quanto io ci abbia pensato, non sai quante volte avrei voluto essere dalla parte opposta del pianeta, lontano da questa vita di pericoli e di angoscia... Ma il mio posto è qui, accanto alla persona..." Sì blocco, poi si corresse: "...alle persone che amo e a cui devo la vita; ogni momento che trascorro con i miei amici mi ripaga delle difficoltà che devo sopportare, credimi!"

Dopo un piccolo silenzio, Kenji distolse di nuovo lo sguardo, e disse piano: "Ti ammiro... E ti invidio, sai?" Questa volta fu Françoise ad alzare lo sguardo su di lui. "E soprattutto, invidio Joe." Kenji la fissò intensamente. "Sì" proseguì "lo invidio, e vorrei essere al suo posto."

"La sua non è una vita facile, come non lo è quella di ognuno di noi." fece Françoise con aria grave.

"Come se non lo sapessi..."sorrise Kenji "Joe porta sulle spalle un peso enorme, ha scelto di sacrificarsi e corre sempre pericoli inimmaginabili per la salvezza dell'umanità..."

Françoise abbassò di nuovo lo sguardo e sussurrò tristemente: "Dio solo sa quanto ha sofferto... E' stato male, ma ha lottato, e ha sempre vinto..."

Kenji le si era avvicinato senza che lei se ne fosse resa conto; le prese le spalle, e lei lo fissò, stupita; poi lui continuò: "Ma per quanto possano essere state dure le prove che ha dovuto superare... Ha sempre avuto te al suo fianco. Ed è per questo che vorrei essere al suo posto."

"Co... cosa dici, Kenji?" fece Françoise, osservandolo incredula.

"Sì, Françoise." proseguì lui, deciso: "Vorrei vivere come tutti gli altri, e magari qualche volta fare una gita, che ne so, un pic-nic in riva ad un lago, nuotare, pescare, e dopo magari mangiare un gelato, senza più pensare alla guerra... E vorrei che tu fossi con me..." aggiunse in un soffio.

Françoise tentò di divincolarsi, ma lui la strinse più forte. "No, Kenji, lasciami... Cosa stai facendo?" mormorò lei.

"Io..."disse Kenji "Io vorrei portarti via con me, lontano da qui, il più lontano possibile da tutto questo... Vorrei costruire un futuro felice con te... Vorrei vivere come vivrebbero due ragazzi della nostra età in qualunque altro posto della Terra..."

Françoise cercò di opporgli resistenza, dicendo: "Kenji, ti prego, smettila... Non devi dire certe cose, non devi neanche pensarle..."

"Perché?" chiese lui "Perché non dovrei?" Françoise rimase in silenzio, mentre lui la stringeva sempre di più tra le braccia.

"Perché io..." sussurrò, senza riuscire a finire la frase.

Ma fu Kenji a concludere per lei: "Perché tu ami Joe, non è forse vero?"

Lei si chiuse in un ostinato mutismo, ma lui non si arrese: "Lo so, Françoise, ho visto come vi guardate... E' evidente che fra voi c'è qualcosa di speciale... Ma Joe ha troppa rabbia dentro di sé, ha troppa paura di farti e farsi del male, per lasciarsi andare...   Lo conosco troppo bene. Io invece... Sono pronto, Françoise. Pronto a renderti felice."

I loro sguardi si incontrarono, lei lasciò cadere la benda con cui lo stava fasciando, e per un momento si perse nei suoi occhi: Joe non le aveva mai parlato così... Per un attimo, il miraggio di una nuova vita le accecò la mente, e lei pensò di poter mettere finalmente fine alle proprie ansie... Quasi senza rendersene conto, si abbandonò alla stretta di Kenji; le loro labbra si avvicinarono, Françoise mormorò: "No, Kenji, per favore...", ma non era più in grado di resistergli, e lui non poteva più fermarsi.

Nel preciso istante in cui Kenji appoggiò le proprie labbra su quelle morbide di Françoise, baciandola dolcemente, la porta della stanza si aprì, accompagnata dalla voce di Joe, che diceva: "Ehi, ragazzi, allora come..."

Non appena vide quello che stava succedendo, rimase impietrito sulla soglia, fissando Kenji che ancora stringeva Françoise tra le braccia.

Kenji la lasciò subito, d'istinto, e mormorò: "Joe, io...", mentre Françoise era troppo sconvolta anche solo per parlare.

"Mio dio!" esclamò Joe, senza riuscire a distogliere lo sguardo da loro; lo spazio che li divideva sembrò farsi di ghiaccio, e per qualche attimo tutti e tre rimasero immobili come statue.

Poi Joe, non sapendo che altro fare, si voltò e corse via per il corridoio. "Joe!!!" gridò Kenji, e gli andò dietro senza pensarci due volte; anche Françoise li seguì, ma non riuscì ad andare oltre la porta.

Kenji raggiunse Joe, e lo prese per un braccio: "Aspetta, Joe!" gli disse. Joe restò fermo per un attimo, con la testa bassa e i capelli sugli occhi; poi si voltò di scatto, e con tutta la forza di cui era capace sferrò un pugno al viso di Kenji, gridando furioso: "Lasciami, bastardo!!!"

Kenji, colpito in pieno, cadde al suolo; Françoise corse verso di lui, e gli si chinò accanto per vedere come stava, mentre lui si massaggiava la guancia destra, ed un rivolo di sangue gli scendeva dalla bocca.

Joe, in piedi davanti a loro, con i pugni stretti e respirando affannosamente, mormorò di nuovo: "Bastardo... Tu lo sapevi..."

Poi si girò e scappò via correndo. Françoise fece per alzarsi e seguirlo, gridando: "Joe!!".

Ma Kenji la trattenne per un polso, e le disse mareggiato: "Lascialo andare."

"Ma io..." fece lei, guardandolo con tristezza. "Lascialo andare, Françoise." ripeté Kenji "Ora è troppo sconvolto; quando tornerà, gli spiegheremo tutto. Gli dirò che è stata colpa mia, che tu non c'entri niente; vedrai che capirà."

"Non posso lasciarlo andare via così!" protestò vivamente Françoise, ma Kenji continuò fermamente: "Credimi, per ora è meglio così."

Françoise accennò un debole sorriso, e acconsentì: "Va bene." disse "Forse hai ragione tu." Poi aggiunse: "Torniamo dentro, hai bisogno di cure."

Lo aiutò ad alzarsi e lo portò di nuovo in infermeria.

Mentre lei gli preparava un impacco per il livido sul viso, dopo avergli fasciato la mano, lui le disse: "Perdonami, Françoise... Non avrei mai dovuto farlo. Tu... Tu mi sei piaciuta molto fin dall’inizio, ma ormai pensavo di averla superata... Oggi però, da solo qui davanti a te, non ho potuto fare a meno di dimostrarti quello che provo..."

"Non è solo colpa tua, Kenji." lo rassicurò Françoise, con la voce triste "Sono io che non avrei dovuto permetterlo..." Due lacrime le caddero sulle guance.

"Ti prego, non piangere..." le sussurrò Kenji "Vedrai che tutto andrà a posto... Joe capirà, e ci perdonerà, ne sono sicuro!"

"Spero che tu abbia ragione..." fece lei tristemente, e si asciugò le lacrime. "Certo!" le sorrise lui, e anche lei cercò di ricambiarlo; ma dentro di sé non era mai stata più angosciata di allora.

In quel momento, entrò Jet, e domandò: "Ragazzi, si può sapere che diavolo è successo? Ho visto Joe correre via come una freccia, sembrava sconvolto... E' salito in macchina ed è partito a tutta velocità verso non-so-dove..."

Kenji e Françoise rimasero un attimo interdetti; Françoise abbassò lo sguardo, e Kenji rispose: "E' una lunga storia, Jet..."

Jet li guardò perplesso, poi si voltò e, andandosene, disse: "Ok, rinuncio a capirvi; un giorno però dovrete spiegarmelo..."

Uscito Jet, Françoise continuò a medicare Kenji, ma nessuno dei due parlò ancora.  

 

Parte IX

 

Joe intanto, alla guida dell’auto, stava correndo come un pazzo per la strada di montagna che conduceva dalla villa in città, senza fare assolutamente caso a dove andasse. In mente aveva solo il suo amico, Kenji, che stringeva tra le braccia Françoise... E la baciava... La sua Françoise... Ma da quando era diventata sua? La verità era che in quel momento si stava odiando, per essere stato così codardo e non averle fatto capire prima che aveva bisogno di lei... Aveva avuto paura di soffrire, e adesso rischiava di perderla... Non aveva mai pensato al fatto che lei potesse innamorarsi di qualcun'altro... Era stato sempre convinto che, in ogni caso, lei sarebbe rimasta sempre al suo fianco. Ma aveva dimenticato che Françoise era prima di tutto una donna... Una splendida donna, che si meritava di essere felice. Che cosa gli aveva fatto credere che lo avrebbe aspettato in eterno? Quanto era stato sciocco, a pensare che nessuno avrebbe mai provato a portarla via, e quanto era stato presuntuoso, a pensare che lei non avrebbe mai guardato nessun altro, all'infuori di lui... E Kenji... Kenji sapeva quello che lui provava... Aveva tradito la sua fiducia... Gli era crollato il mondo addosso. Kenji e Françoise. Kenji e Françoise. Kenji e Françoise. Senza che se ne accorgesse, le lacrime iniziarono a scorrergli sul viso, mentre il cuore gli faceva male coma mai prima di allora. Si era improvvisamente e dolorosamente reso conto del fatto che l'unico tesoro che avesse mai posseduto non era la sua vita, non era la sua libertà, e nemmeno la sua umanità, parte di cui gli era stata strappata così violentemente; l'unico tesoro che avesse mai avuto era Françoise. E' davvero strano come il valore delle cose preziose che possediamo ci appaia in tutta la sua chiarezza solo quando siamo sul punto di perderle; ed  era proprio questo che Joe stava provando nel profondo del proprio cuore.

Guidò per molte ore, fino al tramonto, fino a che, stanco, si fermò in una città sconosciuta. Parcheggiò l'auto davanti al primo albergo che trovò, scese, si infilò una maglietta che aveva lasciato buttata sul sedile posteriore quella stessa mattina, ed entrò per prenotare una camera per la notte. Non se la sentiva di tornare a casa; a dire il vero, in quel momento non sapeva se ci sarebbe mai tornato.  

Intanto, anche dove vivevano i cyborgs era scesa la sera. Ormai erano rientrati tutti da un pezzo, tranne Joe, e gli altri iniziavano davvero a preoccuparsi: dove poteva essere finito? Non era da lui sparire a quel modo, e inoltre non potevano nemmeno interpellare 001, visto che si trovava nel bel mezzo di uno dei suoi lunghi pisolini.

Jet raggiunse Kenji nel garage: "Tu non hai proprio idea di dove possa essere finito Joe?" gli chiese.

"No." rispose Kenji "Sarà andato a sbollire la rabbia da qualche parte."

"Ma si può sapere cos'è successo?" domandò Jet, esasperato.

"Bè, vedi, Jet..." iniziò Kenji, imbarazzato; alla fine, prese il coraggio a quattro mani e gli raccontò ogni cosa: "Joe stamattina mi ha sorpreso mentre baciavo Françoise." ammise.

 Jet rimase per un attimo senza fiato, poi mormorò: "Non è possibile... Hai voglia di scherzare, Kenji?"

"Ti assicuro che è la verità. E' una cosa da pazzi, ma è la verità." confermò Kenji.

Dal suo sguardo, Jet capì che non stava mentendo. "Ma... Cristo, Kenji, che cosa ti è saltato in mente?!?"gli chiese spazientito. "Lo so, Jet, ho fatto una stronzata..."

"Una stronzata?" gridò Jet "E la chiami stronzata? Hai fatto la cosa più idiota, schifosa e meschina che ti potesse venire in mente! Hai baciato la donna di cui è innamorato il tuo migliore amico, che ti ha accolto e ti ha aiutato quando hai avuto bisogno di lui!"

"So quello che ho fatto, Jet, e non c'è bisogno che ci sia tu a ricordarmelo." fece Kenji.

"Bè, invece a me sembra proprio che tu non ti renda conto del disastro che hai combinato! Joe non si meritava questo da parte tua!" continuò Jet.

In quel momento entrarono Françoise e il dottor Gilmour; Jet e Kenji si voltarono verso di loro e tutti e quattro rimasero in silenzio.

Fu Jet a parlare per primo: "Perché non gliel'hai impedito, Françoise?" chiese alla ragazza.

Lei strinse i pugni e abbassò lo sguardo: "Io... Io non lo so." sussurrò.

"Non ci posso credere!" gridò Jet "Vuoi dire che non hai nemmeno provato a resistergli?"

"Io... Non so cosa mi sia preso, Jet." si giustificò lei, a voce bassissima.

"Ma siete diventati matti!!" fece Jet, alzando le braccia al cielo.

Il silenzio scese di nuovo su di loro; ad un certo punto, inaspettatamente, Kenji esclamò: "Io vado a cercarlo!" e, senza che gli altri avessero il tempo di dire niente, saltò su un'altra macchina e partì.

Dopo un attimo di esitazione, Jet disse: "Vado anch'io!", e subito saltò su una moto e andò dietro a Kenji.

Françoise e il dottor Gilmour rimasero soli; la ragazza iniziò a singhiozzare disperatamente e il professore, al quale aveva raccontato tutto poco prima, l'abbracciò e le accarezzò i capelli. "Non piangere, bambina mia." le sussurrò con la sua voce dolce. Non piangere, tesoro: vedrai che tutto andrà a posto."

Françoise non smise di piangere, e si strinse ancora di più al vecchio scienziato.  

 

Parte X

 

Quella fu una notte lunga per tutti, ma soprattutto per Joe e Françoise. A chilometri e chilometri di distanza l'uno dall'altra, ognuno dei due aveva qualcosa da rimproverarsi per aver impedito ai propri sentimenti di uscire allo scoperto; era come se si fossero negati di essere felici per tutto quel tempo, e ora fosse troppo tardi per rimediare.

Françoise era sdraiata sul letto, sotto le lenzuola, ma dormire le era impossibile. Non faceva che pensare a quello che era successo, e si chiedeva come era stato possibile che non fosse riuscita a respingere Kenji... Eppure era così sicura del proprio amore per Joe... Ma Joe era sempre stato così scostante con lei... Si girò su un fianco, mentre la fievole luce della luna filtrava dalla finestra e disegnava strane ombre sul pavimento; quella stessa luna che anche Joe, affacciato alla finestra di quell'anonima stanza d'albergo, stava fissando, domandandosi che cosa gli avrebbe riservato il domani.

Arrivò il mattino. Il dottor Gilmour, che non aveva chiuso occhio, non poté dare a Françoise nessuna buona notizia, visto che né Kenji, né Jet, né tanto meno Joe erano ancora tornati.

Dopo qualche minuto, videro comparire all'orizzonte, sulla strada, la macchina e la moto con cui Kenji e Jet erano partiti alla ricerca di Joe. Appena arrivati davanti alla villa, con Françoise e il professore che li aspettavano fuori dalla porta, scesero dai mezzi, desolatamente soli.

"Allora?" chiese il professore, impaziente.

Kenji abbassò lo sguardo, Jet allargò le braccia e disse: "Niente... Mi dispiace... L'abbiamo cercato dappertutto, ma sembra svanito nel nulla..." Nessuno sapeva cosa dire.

In quel momento, Françoise sembrò concentrarsi improvvisamente.

Il dottor Gilmour se ne accorse, e le chiese: "Françoise, cosa succede?"

"Non lo so, professore..." disse lei, con le mani sulle tempie "Mi sembra di sentire qualcosa in lontananza... Forse sono elicotteri... Si stanno avvicinando..."

Il professore capì subito: "Tutti dentro!" gridò "Sono loro! Sono i Fantasmi Neri! Ci hanno trovati! Dentro, di corsa!!!"

Tutti e quattro si catapultarono dentro la casa, e corsero a chiamare gli altri cyborgs.

Mentre si preparavano alla difesa della base, il contingente mandato dai Nuovi Fantasmi Neri li circondava; avevano cercato il loro supercyborg per tutti quei mesi, e adesso sembravano disposti a tutto per riprenderselo.  

 

Parte XI

 

La battaglia prese subito la forma di un assedio. Le forze che i Nuovi Fantasmi Neri avevano mandato in campo erano davvero numerose: mezzi da terra avevano circondato la casa-base dei cyborgs, mentre gli elicotteri si stavano avvicinando sempre di più.

All'interno della villa, i nostri si stavano organizzando.

"Cosa facciamo?" chiese Bretagna preoccupato.

"Ci difendiamo!" proruppe Albert.

"Dividiamoci!" propose Jet.

Presero direzioni diverse, e si appostarono presso le finestre, da cui iniziarono ad aprire il fuoco verso i nemici. Il dottor Gilmour si trovava nella propria stanza, insieme a Françoise, Kenji e Ivan, che era stato svegliato dall'agitazione provocata da quell'attacco improvviso. I colpi contro la casa provenivano da ogni direzione, tanto che nemmeno 003 riusciva ad individuarne esattamente l'origine; la struttura dell'edificio era ovviamente adatta a sopportare un attacco, ma vista l'entità di quest'ultimo, non sapevano bene per quanto avrebbe resistito.

Le prime crepe si stavano già aprendo nei muri, e 001 disse improvvisamente: "Anche gli altri sono in difficoltà. Se va avanti così, non ce la faremo mai!"

Il dottor Gilmour si stava spremendo le meningi per riuscire a trovare una soluzione; intanto i colpi si susseguivano sempre più intensamente.

Ad un tratto, Kenji chiuse gli occhi, allargò un poco le braccia, si concentrò, e dalle sue mani prese origine un fascio di luce, che piano lo circondò come una sfera, mentre i suoi capelli ondeggiavano come mossi da un vento invisibile. Subito, le pistole-laser dei cyborg smisero di sparare, ma anche i nemici sembravano aver cessato il fuoco, mentre si sentiva uno strano rumore come di una forte interferenza elettromagnetica.

Françoise era stupita quanto spaventata: "Kenji... Che ti succede?" chiese.

Fu il dottor Gilmour a rispondere: "Sta creando un campo elettromagnetico, per interferire con gli strumenti e le armi dei nostri nemici... E questo influisce anche sulle nostre, ovviamente... E' uno dei suoi poteri di cyborg... Non vi ho mai detto quali potessero essere le sue potenzialità. Anche perché non credevo che avrebbe mai avuto bisogno di usarle..."

L'intensità del campo intorno a  Kenji parve rafforzarsi, lui aprì finalmente gli occhi e disse, con evidente sforzo: "Françoise... Raduna subito tutti e andatevene via di qui! Non so per quanto tempo riuscirò a controllare quest'energia..."

"Ma... Kenji!" disse lei "Come puoi pensare che ce ne andremo, lasciandoti qui!"

"Non fare la stupida!" gridò lui "E' l'unico modo, non lo capisci? Sono troppi, non ce la faremo mai... Se vi sbrigate, riuscirete ad allontanarvi senza problemi, finché io impedirò loro di usare le armi e i mezzi di trasporto!"

"No, Kenji, non lo farò mai!" urlò Françoise, scuotendo violentemente la testa.

"E' me che vogliono!" cercò di farle capire lui "Voi dovete mettervi in salvo... Il mondo ha bisogno di voi! Mentre io... Sono stato solo capace di creare problemi e tradire la fiducia del mio migliore amico e delle persone che mi hanno accolto come un fratello, evitando che potessi dimenticarmi che sono ancora un essere umano... Ti prego, Françoise... Se vi accadesse qualcosa, non potrei mai perdonarmelo... Non so per quanto ancora potrò resistere, non permettere che sia stato tutto inutile... Ve lo devo... E soprattutto, lo devo a Joe."

"Ma... Cosa farai, se ti prenderanno?" chiese di nuovo lei.

Kenji sorrise: "Non mi prenderanno." disse, deciso.

Françoise capì subito e anche il dottor Gilmour e Ivan capirono: Kenji non si sarebbe mai fatto catturare. Piuttosto, si sarebbe ucciso. Fuggire avrebbe voluto dire condannarlo a morte, ma se fossero rimasti non era detto che si sarebbero salvati. Forse, sarebbero morti tutti.

Mentre Françoise e il professore pensavano disperatamente a cosa avrebbero potuto fare, fu Ivan a prendere una decisione.

 

Parte XII

 

"009! 009, riesci a sentirmi?" La voce di 001 risuonò chiaramente nella testa di Joe. Non sapeva se voleva rispondergli. Non voleva soffrire ancora. 001 non si fece intimorire dal suo silenzio: "009, se puoi sentirmi... Abbiamo bisogno di te!" continuò "Siamo stati attaccati dai Fantasmi Neri! Non so come ci abbiano trovati, ma sono qui, e sono tantissimi... Troppi... Non ce la faremo mai a sconfiggerli! Per ora, Kenji sta tentando di tenerli a bada con i suoi poteri, ma non ce la farà ancora per molto... La situazione è critica, solo tu ci puoi aiutare..."

Il velo d'ombra che fino a quel momento aveva offuscato la mente di Joe cadde: i suoi amici avevano bisogno di lui... Tutti i suoi amici... Come aveva potuto andarsene così, abbandonandoli, sapendo che avrebbero potuto essere attaccati da un momento all'altro? Ancora una volta, aveva dimostrato di essere solo uno stupido egoista. Il viso di Françoise apparve davanti a suoi occhi: non c'era un minuto da perdere.

Senza pensarci su nemmeno un secondo di più, attivò l'acceleratore molecolare e si diresse verso la loro base.

Non è difficile immaginare che ci mise davvero pochissimo ad arrivare nei pressi della casa, guidato dal pensiero che quanto di più caro avesse al mondo correva un pericolo mortale.

Una volta arrivato, disattivò l'acceleratore e si nascose nella fitta boscaglia. I nemici che circondavano la villa erano davvero tantissimi, ma non sembravano in grado di usare le armi.

"009, sei qui!" Di nuovo, 001 si era messo in contatto con lui.

"Sì" disse Joe "Cosa succede?"

"Kenji sta mantenendo fuori uso le tutte le armi e i mezzi nei paraggi. Non dovrebbe essere difficile per te entrare in casa." Joe annuì, e ricorrendo di nuovo al suo potere, entrò.

Raggiunse in fretta la stanza del dottor Gilmour, dove nel frattempo si erano radunati anche gli altri.

"009!!!" fu l'unico grido che lo accolse. "Finalmente sei tornato!" tuonò Jet. Il cuore di Françoise fece un balzo.

"Tutti al Dolphin! Non c'è tempo da perdere!" gridò Joe.

Gli altri annuirono, e il dottor Gilmour disse: "009... Dovrai fare in fretta. Non appena il Dolphin partirà, premerò il bottone rosso. Sai cosa significa."

Joe lo sapeva: voleva dire che nell'arco dei successivi sessanta secondi la base si sarebbe autodistrutta. Il professore non poteva permettere che tutti i dati che vi erano contenuti finissero nelle mani dei Fantasmi Neri.

"Non si preoccupi, professore. Si fidi di me." disse. "Allora... Buona fortuna!" disse il dottor Gilmour, e lui e gli altri si allontanarono lungo il corridoio.

Si fidavano di Joe ciecamente. Solo Kenji e Françoise non si mossero.

"Françoise, vai anche tu."

"Ma Joe..." accennò lei.

"Fai quello che ti dico!" le disse lui "Qui ci pensiamo noi. So quello che faccio!"

"Joe, io..." iniziò lei.

"Non adesso, 003." la interruppe lui, brusco. Poi, più dolcemente, le disse, guardandola negli occhi: "Parleremo più tardi, Françoise... Quando tutto questo sarà finito. Aspettami."

Lei non avrebbe mai voluto abbandonarlo, ma sentiva che l'unica cosa sensata che poteva fare in quel momento era dimostrargli che aveva fiducia in lui, come tutti gli altri.

Annuì, gli sorrise, e disse: "Va bene... Ma non farmi aspettare troppo."

Si voltò, e se ne andò per raggiungere gli altri al Dolphin, senza voltarsi.

"Joe...Perché l'hai fatto?" La voce di Kenji era sempre più debole, e la sua energia stava per cedere.

"Perché siamo amici." gli rispose lui, laconico "Adesso ascoltami bene, Kenji. Non appena cesserai di controllare il campo elettromagnetico, io ti afferrerò e ce ne andremo di qui."

Kenji annuì.

"Allora..." fece Joe, e appena vide il Dolphin che si levava in cielo, aggiunse: "Adesso!!!"

Kenji abbassò le braccia, e la luce che fino ad allora lo aveva circondato si spense. Subito i nemici ripresero a sparare da ogni direzione, ma Joe fu più veloce: prese Kenji per le spalle, attivò l'acceleratore e in meno di un batter d'occhi furono abbastanza lontano dalla base, senza che nessun colpo avesse potuto raggiungerli. Dopo pochi secondi, il rumore di un'esplosione fece loro capire che la base era andata distrutta; ancora una volta avevano vinto, e i Fantasmi Neri non avevano ottenuto niente.  

 

Parte XIII

 

"Grazie, Joe." mormorò Kenji.

"Non devi ringraziarmi." gli rispose Joe "Ho fatto quello che avresti fatto tu. Anzi... Sono io che devo ringraziarti. Hai protetto i miei amici mentre io ero lontano..."

Kenji lo interruppe; non voleva che proseguisse. Non voleva essere ringraziato da Joe, non dopo essersi comportato così meschinamente con lui.

"Perdonami." gli disse piano.

Inspiegabilmente, Joe sorrise. Kenji lo guardò con gli occhi sbarrati, e lui disse: "Kenji... Non siamo delle macchine. Siamo uomini. E gli uomini sbagliano. Tu hai sbagliato. Anche io ho sbagliato... Ma gli uomini hanno una grande dote: sanno perdonare."

A quelle parole, anche Kenji sorrise.

"009! Kenji!" Probabilmente, 001 li aveva individuati, e ora il Dolphin stava atterrando poco distante da loro.

I due amici iniziarono ad agitare le mani in segno di saluto, e non appena il Dolphin ebbe toccato terra, furono di nuovo tutti insieme.

La destinazione era un grande laboratorio di ricerca diretto da  uno dei più grandi amici del dottor Gilmour. Il professore contava sul fatto che lì avrebbero potuto trovare ospitalità fino a quando non fosse stata pronta la nuova base. E infatti così fu.

Françoise non aveva ancora avuto modo di parlare con Joe da sola. Ma quando si furono sistemati, fu lui ad andare a cercarla. La raggiunse nel giardino del laboratorio, dove lei stava passeggiando; il sole splendeva alto nel cielo, e nell'aria si diffondeva soave il profumo dei fiori.

"Ciao, Françoise." la salutò.

"Ciao, Joe..." disse lei piano, con un certo imbarazzo, mentre lui le si avvicinava, così tanto che i loro corpi quasi si sfiorarono.

Dopo un momento di silenzio, lei mormorò: "Joe, io..."

Questa volta fu lui a metterle un dito sulle labbra. Il battito dei loro cuori si unì fino a diventare una cosa sola. Joe le mise una mano dietro la nuca, la trasse a sé, chiuse gli occhi e appoggiò piano le proprie labbra su quelle della ragazza. Lei rimase immobile, sulla punta dei piedi e con le braccia abbandonate lungo il corpo, mentre un vento fresco e leggero si levava su di loro. Dopo qualche istante, circondò con le braccia le spalle di Joe, e mentre lei le cingeva la vita con l'altra mano, ricambiò il suo bacio. Fu un bacio lungo, appassionato, che racchiudeva in sé tutte le parole che non erano mai riusciti a dirsi. Ed era come se con quel gesto volessero cancellare tutti i silenzi, tutti gli errori, tutte le paure che, negli anni che avevano vissuto l'uno accanto all'altra, avevano impedito loro di trovare il coraggio di far sbocciare quell'amore che entrambi custodivano nel cuore da moltissimo tempo, e che era rimasto lì, nascosto, soffocato dal timore di perdere ancora qualcosa di importante.

Quando le loro labbra si separarono, il cuore di entrambi batteva così forte che avevano paura che presto si sarebbe fermato.

Lo sguardo di Joe non era mai stato così dolce e così intenso; prese le mani di Françoise tra le sue, sorrise e le avvicinò la bocca all'orecchio: "Françoise..." sussurrò "Io ti amo..."

Gli occhi della ragazza si riempirono improvvisamente di lacrime: quelle parole... Era così tanto tempo che avrebbe voluto sentirle... Ma non si era mai immaginata che potessero farle quell'effetto... Non avrebbe mai creduto che potesse esistere una felicità così grande da farle addirittura male... Chiuse gli occhi, e le lacrime le scorsero lungo le guance.

"Ti amo anch'io, Joe..." disse, altrettanto piano.

Si abbracciarono, e rimasero lì, stretti l'uno all'altra, mentre la luce del sole li scaldava come mai aveva fatto prima di allora.

 

Parte XIV

 

E venne il momento di partire. La nuova base era pronta, e i nove cyborgs con il dottor Gilmour contavano di stabilirvisi in giornata. Kenji aveva deciso che sarebbe rimasto al laboratorio, dove avrebbe collaborato, con il suo corpo e la sua mente, alle ricerche del collega del dottor Gilmour; pensava che la sua presenza sarebbe stata molto più utile lì, dove si svolgevano ricerche e sperimentazioni al fine di contribuire al progresso e al miglioramento delle condizioni del pianeta. E comunque non sarebbe mai tornato a vivere con Joe e gli altri: aveva capito che sarebbe stato meglio così per tutti loro. Joe aveva tentato di dissuaderlo, ma Kenji era stato irremovibile, e Joe alla fine aveva ceduto: non aveva senso cercare di costringere l'amico a seguirlo, quando lui aveva preso la sua decisione sicuramente riflettendoci molto.

Quando si salutarono, Joe gli disse: "Allora... Sei proprio sicuro di non voler venire con noi?"

"Sì, Joe." confermò lui "Sono sicuro. Vi ringrazio di avermi accolto e di avermi fatto stare con voi, ma... Ti assicuro che è meglio così. Ho capito che il mio posto non è lì... Ma non ti preoccupare. Me la caverò benissimo anche da solo! E poi..." proseguì sorridendo "Non ti dimenticare che sono ancora innamorato di Françoise! In fondo, non ti conviene che io venga con voi!"

Anche Joe sorrise: "Spero di rivederti." disse, sinceramente. "Forse, un giorno. chissà..." fece Kenji.

I due amici si abbracciarono.

"Grazie di tutto." disse Kenji. Joe non disse nulla.

Anche gli altri salutarono Kenji, e quando venne il turno di Françoise, lui le disse piano: "Perdonami per quello che ho fatto, Françoise. Vi auguro di essere felici..."

"Lo so." fece lei "Grazie, Kenji. Davvero."

Poi salirono tutti sul Dolphin, e Kenji li seguì con lo sguardo finché non scomparvero oltre l'orizzonte, inghiottiti dal rosso del tramonto.  

 

Parte XV

 

Quando giunsero a destinazione era quasi l'alba. Atterrarono vicino a quella che doveva essere la loro nuova base: anche questa assomigliava in tutto e per tutto ad una grande villa, ed era più grande della precedente, con le pareti bianche, il tetto rosso e un parco che la circondava da ogni lato.

Scesero tutti dal Dolphin.

"Accidenti, è bellissima!" esclamò Jet con entusiasmo.

"Puoi dirlo, fratello!" gridò Bretagna che, insieme a Chang, fu il primo a varcare la soglia, dopo che il dottor Gilmour ebbe aperto la porta ed ebbe fatto strada all'interno, con in braccio il piccolo Ivan.

"E c'è anche un lago vicino, proprio come nella nostra vecchia casa!" disse Punma, seguendoli felice, mentre Geronimo gli andava dietro: come al solito, il gigante dovette abbassare la testa per passare dalla porta. Anche Albert, silenzioso come al solito, brillava di soddisfazione mentre entrava.

Jet si fermò un momento sulla soglia, e si voltò: "Ehi, voi!" fece, rivolgendosi a Joe e Françoise "Muovetevi, piccioncini!!!" gridò, prendendoli in giro.

"Insomma, Jet!" gridò Françoise indignata, agitando un pugno in aria. "Vuoi smetterla, una buona volta?" Jet entrò in casa sghignazzando.

Joe prese la mano di Françoise, e le chiese: "Ti piace, tesoro?"

Lei arrossì, annuì e gli rispose: "Sì, Joe... Mi piace. Ma non è solo casa nostra." Per un momento parve intristirsi.

"Lo so..." disse Joe, sempre stringendole la mano nella sua "Ma è la casa del nostro amore. E la divideremo con i nostri amici." Françoise sorrise, illuminando il viso di Joe, che le chiese: "Sei felice?"

"Sono felice." rispose lei senza esitare.

"Anch'io sono felice." disse Joe.

Sempre tenendosi per mano, si diressero verso la casa, e mentre entravano, alle loro spalle iniziò a sorgere il sole: era l'alba. L'alba di un nuovo giorno. L'alba di una nuova vita.

 

F I N E 

 

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Note

 

Ci sono un paio di cosette che vorrei aggiungere…

 

Se qualcuno si è domandato come mai non ho descritto il dialogo tra Joe e Kenji, quando Joe dice all’amico che è diventato un cyborg, bè, è perché io proprio non saprei trovare le parole per dire una cosa del genere ad un mio amico…

Quando invece Joe gli molla il pugno, non lo accoppa perché anche Kenji è un cyborg, in fondo…

 

Tra l’altro, mentre scrivevo mi venivano in mente determinate canzoni da affibbiare ad ognuno dei momenti più importanti (per me la vita è una colonna sonora!).

A parte “Another Day” dei Dream Theater, che è la mia canzone preferita, per cui ce l’ho messa dentro direttamente, secondo me sarebbe carino ascoltare, mentre si legge, anche:

“Slide” dei GooGoo Dolls, quando Kenji ci “prova” con Françoise.

“Don’t tell me (what love can do)” dei Van Halen, quando Joe scappa via con la macchina.

“Wait for sleep” sempre dei Dream Theater, per Françoise, e “Will I ever dream” di Kè, per Joe, la notte dopo che è successo il casino, quando lui è in albergo e lei nel letto.

“I can’t stop lovin’ you” dei Van Halen, quando vi pare, perchè è troppo bella!

“Heaven” di Bryan Adams, nella scena finale.