di Lunaris
Erano
parecchie settimane che il dottor Gilmour e i suoi cyborgs seguivano le tracce
che, con ogni probabilità e almeno stando a quello che avevano potuto capire
mentre svolgevano le indagini, li avrebbero portati ad una delle basi in cui i
Nuovi Fantasmi Neri progettavano e realizzavano i loro interventi per creare
nuovi cyborgs sempre più potenti.
Quella
mattina il dottore li aveva convocati tutti di buon ora, poiché 001 si era
svegliato agitato, dopo molti giorni di sonno profondo. C'era del nervosismo
nell'aria, perché in quel periodo gran parte delle energie di tutti loro era
stata concentrata nel tentativo di trovare quella maledetta base, in cui i
Nuovi Fantasmi Neri continuavano a perpetrare i loro orrendi crimini.
Dopo
qualche attimo di silenzio, il breve alito di vento che entrò dalla finestra
leggermente socchiusa nella stanza del dottore, sembrò allentare la tensione.
Fu
002 a rompere il silenzio: "Allora, professore, ci sono novità?"
chiese, con un tono decisamente impaziente.
Il
dottore si schiarì brevemente la voce, poi disse: "Ebbene, sì. Come
immaginate, è proprio per questo che vi ho convocati. Stamattina 001 si è
svegliato e mi ha comunicato di essere riuscito a mettere insieme i dati che
avete raccolto in queste settimane. I risultati portano a conclusioni
abbastanza precise. Probabilmente il luogo che cerchiamo si trova nei pressi
di Kamaishi, a poco più di un centinaio di chilometri a nord di Sendai. Pare
che i Fantasmi Neri abbiano creato un laboratorio di ricerca e realizzazioni
biocibernetiche nei sotterranei di uno stabilimento locale, dopo averne preso
il controllo..."
"E
come ci suggerisce di agire, professore?" lo interruppe Joe.
Dentro
di sé, sapeva benissimo cosa avrebbe voluto fare: correre laggiù e
distruggere tutto il più in fretta possibile, prima che qualcun'altro dovesse
subire la loro stessa sorte; ma questo non era fattibile, almeno fino a quando
non fossero stati sicuri di non coinvolgere persone innocenti nel compimento
della missione.
La
voce del dottor Gilmour lo distolse dai suoi pensieri: "Dovrete agire con
molta prudenza, ragazzi. Anche se non credo che sospettino che siamo sulle
loro tracce, i nostri nemici non sono certo stupidi e avranno sicuramente
preso delle precauzioni; comunque, stando alle informazioni che sono in nostro
possesso, non dovreste avere molta difficoltà, se riuscirete a coglierli di
sorpresa. Lo stabilimento è dotato di un sistema di allarme che 003 dovrebbe
riuscire ad individuare facilmente..." a questo punto, Françoise annuì,
decisa, e il professore continuò: "...e, durante la notte, è vuoto,
tranne per alcuni guardiani alle entrate, a cui dovreste cercare di non fare
alcun male..."
I
cyborgs ascoltavano le parole del professore molto attentamente: anche se
erano impazienti di agire e non sembrava esserci niente di complicato in
quella missione, sapevano che non dovevano sottovalutare i loro nemici per
nessuna ragione al mondo, onde evitare sorprese.
Il
dottore proseguì: "Le cose si complicano un po' al piano inferiore, dove
vengono assemblati i nuovi cyborgs... Le guardie sono molte di più... E
questa volta sono cyborgs sotto il controllo dei Fantasmi Neri... E in più c'è...
Il deposito."
Françoise
distolse lo sguardo, Joe e Jet strinsero i pugni con rabbia, mentre gli occhi
di tutti si erano velati di tristezza. Un brivido percorse la stanza: tutti
sapevano bene a che cosa si stesse riferendo il professore, ma nessuno
sembrava avere il coraggio di immaginarlo veramente. In quel deposito
sicuramente si trovavano le cavie umane che erano destinate ad essere
trasformate in cyborgs al servizio dell'organizzazione dei nuovi Fantasmi
Neri. Non c'era bisogno di dirlo a parole perché questo colpisse i ragazzi
nel profondo, dal momento che avevano tutti vissuto quella stessa esperienza.
E sapevano anche che il loro pensiero in quel momento era più unito che mai:
salvare quelle persone prima che i Fantasmi Neri potessero trasformarli come
invece era successo a loro, e risparmiare loro una vita fatta di sofferenze e
di scelte difficili, o peggio, di schiavitù.
Insospettabilmente,
fu il mite Geronimo a riscuoterli dai loro pensieri: "Dobbiamo
fermarli." disse.
Queste
semplici parole, pronunciate con la voce pacata ma ferma del gigante,
bastarono a rafforzare la loro determinazione. Finalmente sorrisero.
"Puoi
dirlo forte!" esclamò Bretagna.
"Allora,
cosa stiamo aspettando?!?" tuonò Jet, che come al solito non vedeva
l'ora di entrare in azione.
"Andiamo!"
esclamò Albert, eccitato.
Si
erano tutti girati verso la porta, pronti a partire, quando il professore
richiamò la loro attenzione: "Ragazzi, mi raccomando... Prudenza. E
cercate di giocare sull'effetto sorpresa."
Si erano voltati verso di lui, e fu Joe a rispondere per tutti: "Non si preoccupi, professore. Ce la faremo!" Il dottor Gilmour annuì, e i cyborgs partirono, lasciando alla base solo 001, per tenersi in costante contatto con il professore.
Arrivarono
a destinazione in pochissimo tempo, sul far della sera. Per fortuna sembrava
che la collocazione geografica dell'obiettivo fosse favorevole: lo
stabilimento si trovava su un terreno pianeggiante, circondato da un fitta
boscaglia. Dopo aver lasciato il Dolphin non molto distante, ma abbastanza
perché non venisse individuato, si avvicinarono nascondendosi tra gli alberi,
finché non arrivarono a poche centinaia di metri dallo stabilimento.
A
quel punto 009 prese in mano la situazione: "003, riesci a dirci quante
guardie ci sono di preciso, e come possiamo fare per eludere il sistema di
allarme?"
La
ragazza si concentrò un momento, e in men che non si dica fu in grado di dar
loro ogni informazione: "Sì..." disse "Le guardie qui in
superficie sono solo sei, due si trovano sul lato nord, due sul lato sud, dove
ci sono le entrate principali... Sui lati est ed ovest invece ce n'è una
sola. Il sistema d'allarme non mi sembra molto complicato... La centralina si
trova lassù" e indicò un punto sul muro oltre la recinzione, in cui era
visibile una cassetta di metallo "e i fili corrono nel muro appena sotto
la grondaia, tutto in torno all'edificio..."
"Benissimo!"
esclamò 009 "Perfetto, 003!"
Lei
sorrise: i complimenti di 009 le facevano sempre piacere, anche se si trattava
di una missione.
"Faremo
così" proseguì lui, non accorgendosi di nulla "Aggireremo
l'edificio rimanendo nascosti tra gli alberi fino a che 005 non si troverà
sul lato ovest, 004 sul lato est, 002 e 008 sul lato sud e io, 003 e 006 su
quello nord. 007, tu potresti trasformarti in qualcosa di molto piccolo,
passare la recinzione e cercare di mettere fuori uso l'allarme... A quel punto
dovremo essere molto veloci, e piombare sulle guardie prima che queste abbiano
il tempo di reagire. Che ne dite?"
"Parli
bene tu!" scherzò 006 "Mica hai problemi di velocità!"
Effettivamente
l'agilità non era il punto forte di Chang, ma sicuramente uno di questi,oltre
ai tanti altri, era il senso dell'umorismo, visto che riusciva a fare battute
anche mentre erano sul punto di compiere una missione. Questo però era un
bene, ci voleva qualcosa del genere per sciogliere un po' la tensione.
Lentamente,
si divisero e presero ognuno per la direzione indicata da 009; prima di
avviarsi 009 sussurrò a 003: "Françoise... Tu resta vicino a me, mi
raccomando."
Lei
lo guardò negli occhi e annuì. L'aveva chiamata con il suo nome, e questo
era strano dal momento che si trovavano in missione; comunque questo era uno
dei tanti piccoli gesti le facevano credere che i suoi sentimenti per Joe
fossero, almeno in minima parte, ricambiati. Certo, continuava a non riuscire
a capire del tutto che cosa gli passasse per la testa, visto che a volte era
così premuroso con lei, mentre altre la evitava e sembrava non importargliene
molto... A volte si sforzava di pensare che forse lui aveva solo paura di
lasciarsi andare, di soffrire di nuovo, o di creare sofferenza... Altre invece
cercava di convincersi che era inutile sperare, che lui non l'avrebbe mai
amata, e che sarebbe stato meglio abbandonare il sogno di una vita felice
l'una accanto all'altro... Ma non era quello il momento di fantasticare: si
mise dietro a Joe e cercò di stargli il più vicino possibile mentre
prendevano le posizioni decise.
Una
volta pronti, Bretagna si tramutò dapprima in un'ape, superando la recinzione
senza problemi, e una volta raggiunta la centralina elettrica vi si posò
sopra e diventò un topolino, che iniziò a rosicchiare i fili nel loro punto
di uscita dalla scatola di metallo e prima che si infilassero nel muro, quel
tanto che bastava per interrompere il contatto. In breve tempo l'allarme fu
disattivato, Bretagna tornò alla sua forma originaria e diede il segnale
stabilito: un fischio lungo e acuto. Prima che i guardiani potessero rendersi
conto da dove provenisse quel suono, gli altri cyborgs furono su di loro, e li
misero fuori combattimento senza incontrare nessuna difficoltà. Si riunirono
di nuovo davanti alla porta nord, e Geronimo, dopo aver rotto il lucchetto
della serratura con un pugno, posò le sue enormi mani sulle grandi ante di
metallo e le spalancò. Dentro era buio pesto, ma non sembrava esserci alcuna
guardia; ciononostante, 009 li invitò tutti alla prudenza, e lentamente,
rimanendo uniti, si avviarono verso il centro del capannone. Intorno c'erano
macchinari che sembravano in tutto e per tutto identici a quelli presenti in
qualunque altro stabilimento meccanico, ma questo non li stupì; sapevano bene
che quello che cercavano si trovava nei sotterranei... Ora dovevano solo
arrivarci.
"Ragazzi...
Laggiù, dietro quel container..." 003 aveva di nuovo messo in funzione
la sua supervista e il superudito. "C'è una botola che porta al piano
inferiore, sento chiaramente i passi delle guardie là sotto..."
Gli
altri annuirono, e si avvicinarono al punto indicato. Si disposero tutt'intorno
alla botola, e per 006 fu un gioco da ragazzi scioglierla in pochi secondi con
il suo getto di fiamme. Le guardie che si trovavano proprio lì sotto non
fecero in tempo a rendersi conto di nulla, e subito furono colpite dai laser
sparati dai cyborg; questa volta non dovevano preoccuparsi di non uccidere
nessuno, così proseguirono velocemente per il corridoio sotterraneo
eliminando ogni ostacolo che si parava loro davanti. Le porte che si aprivano
lungo quel corridoio dovevano nascondere i laboratori in cui i Fantasmi Neri
facevano condurre gli esperimenti per la creazione di nuovi cyborgs... Mentre
passavano, 004 si occupava di installare su ogni porta delle piccole ma
potenti bombe collegate ad un detonatore, che avrebbe attivato una volta che
avessero trovato il deposito delle cavie e fossero riusciti ad uscire di lì
portando in salvo il più alto numero di persone possibile... Per quanto
riguardava coloro che, dentro i laboratori, già avevano subito la
trasformazione, purtroppo non c'era più nulla da fare. Anche se risultava
loro quasi insopportabile, l'unica cosa che potevano fare era dar loro la pace
della morte prima che fossero costretti a combattere per i Fantasmi Neri... E
trovarsi comunque, presto o tardi, in un modo o nell'altro, sempre di fronte
ai cyborgs del dottor Gilmour.
Presto
arrivarono davanti a quella che sembrava una grande cella frigorifera:
sicuramente era lì che venivano tenuti gli esseri umani destinati a diventare
cyborgs! Era davvero strano che non ci fossero ulteriori presidi di sicurezza,
ma non avevano tempo di star lì a porsi troppe domande; 007 si trasformò di
nuovo, stavolta in un moscerino, e riuscì ad infilarsi dentro passando per
una fessura. Una volta all'interno, tornò se stesso e dall'oblò installato
sulla porta fece loro cenno di entrare: evidentemente aveva scoperto che
quella cella conteneva proprio quello che cercavano. Fu compito di Geronimo
aprire la porta: alle pareti della stanza, lunga ma stretta, c'erano cinque o
sei contenitori che sembravano bare di cristallo, al cui interno si trovavano
altrettante persone, di diverse età e diverso sesso, che sembravano in stato
di ibernazione. Françoise emise un piccolo gemito soffocato, e Joe la guardò
preoccupato; non era una novità che lei fosse la più sensibile del gruppo e
che soffrisse, per quanto possibile, più di tutti per aver perso la propria
umanità.
"Françoise...
Tutto bene?" le chiese Joe premuroso.
Come
se avesse avuto bisogno di qualche attimo per raccogliere le forze, lei gli
rispose piano: "Sì, Joe... Non preoccuparti. Adesso pensiamo a portare
queste persone fuori di qui al più presto."
Albert
suggerì: "Dobbiamo trovare il modo di portarli via con tutto il sistema
di criogenesi. Non possiamo rompere le bare, lo sbalzo di temperatura sarebbe
troppo improvviso e rischierebbero di non farcela. Ci penserà il dottor
Gilmour a riportarli alla giusta temperatura gradualmente, quando li avremo
tratti in salvo!"
"Va
bene!" concordarono gli altri.
Geronimo
prese due dei contenitori sotto le braccia, cercando di essere il più
delicato possibile, uno toccò ad Albert, uno a Punma e un'altro a Bretagna e
Chang. Joe e Jet si avvicinarono all'ultima bara, e in quel momento si
accorsero che era diversa dalle altre: non era trasparente, ma nera, sembrava
fatta di un materiale diverso e sul coperchio c'era una scritta a lettere
rosse. "SUPERCYBORG - SERIE 01 - PROTOTYPE PROJECT" I due esitarono
un attimo.
"Che
succede?" chiese loro Françoise, avvicinandosi, mentre gli altri
iniziavano a uscire. Non appena vide la scritta, capì.
"Che
cosa facciamo?" chiese improvvisamente 009.
"Come,
cosa facciamo?" proruppe 002, come se non ci fosse neanche da chiederselo
"Ci piazziamo sopra una bella bomba e ce ne andiamo di corsa di
qui!"
"Jet..."
fece piano Françoise.
"Jet-cosa???"
gridò lui.
"002,
non ti agitare." intervenne Joe.
"003
ha solo capito a cosa stavo pensando" le fece un breve sorriso d'intesa,
e lei non poté fare a meno di arrossire
"Sentiamo
cosa hai in mente stavolta, allora." fece 002, rassegnato.
"Io..."
009 sembrava indeciso "Pensavo che... Forse sarebbe meglio portare anche
questo alla base, dal dottor Gilmour. Potrebbe essergli utile per scoprire
qualcosa di più sugli studi segreti dei Fantasmi Neri... Anche se potrebbe
essere pericoloso, secondo me vale la pena rischiare!"
003
sembrava d'accordo, anche se era meno convinta.
"OK,
OK, mi arrendo! Faremo come volete voi!" fece sconsolato 002 "Però
poi non dite che non vi avevo avvertito: secondo me ci attireremo addosso un
mare di guai!!!"
009
e 002 misero le mani sulla cassa, e la profezia di quest'ultimo si avverò
prima di quanto non si aspettasse lui stesso: non appena la toccarono, dal
soffitto spuntarono delle bocche laser che erano rimaste nascoste fino a quel
momento, che erano di sicuro erano collegate a dei sensori tattili.
Decisamente avrebbero dovuto aspettarsi che quel prototipo fosse protetto un
po' meglio che tutto il resto del laboratorio, anzi probabilmente erano stati
fortunati a trovarlo lì quella notte: non ci sarebbe stato da stupirsi se per
precauzione i Fantasmi Neri lo trasferissero in continuazione da un
laboratorio all'altro, vuoi per renderlo meno raggiungibile, vuoi per poter
sfruttare al massimo le potenzialità di ogni loro stanziamento nel
perfezionamento di quel progetto.
"Ecco,
lo sapevo!" strillò 002, mentre cercava di schivare i colpi che
provenivano da ogni direzione "009, sbrigati, porta fuori questo coso, ci
pensiamo io e 003 a coprirti!"
009
fece loro un breve cenno d'intesa, e, seppur a malincuore, afferrò veloce il
sarcofago, azionò l'acceleratore molecolare e in un baleno fu fuori
dall'edificio, dove già si trovavano 004, 005, 006, 007 e 008. Non appena si
fermò, gli altri lo videro e gli corsero incontro.
"Che
succede, 009?" gli domandò concitato 004. "Ve lo spiego dopo!"
rispose 009 "Adesso dobbiamo tornare indietro ad aiutare 002 e 003!"
Non
aveva neanche fatto in tempo a finire la frase, che i due cyborgs spuntarono
fuori dalla porta da cui erano usciti anche tutti gli altri.
"Tutto
bene, Françoise?" 009 le si avvicinò.
"Sì,
Joe, tutto bene. Grazie."
"Ehi,
sto bene anche io, nel caso interessasse a qualcuno!" se ne uscì Jet,
fingendo di essersi offeso.
Joe
lo guardò con aria colpevole.
"E
comunque" proseguì Jet "era una domanda superflua; c'ero io con
lei, poteva essere diversamente? Stai tranquillo, Joe, quando tu non ci sei, a
Françoise ci penso io!!!"
Sia
Joe che Françoise arrossirono violentemente a quelle parole, e fu lui a
cercare di togliersi dall'imbarazzo, dicendo: "Non abbiamo tempo da
perdere... Chissà quale diavoleria ci piomberà addosso se non ce ne andiamo
subito di qui! I nostri nemici faranno di tutto per recuperare ciò che
abbiamo preso... 004, sei pronto ad azionare le cariche?"
"Prontissimo."
affermò deciso Albert. "Allora... Via!!!" disse Joe.
Iniziarono
a correre verso il Dolphin, portando con sé i contenitori che avevano preso
dallo stabilimento, e appena furono abbastanza lontani, 004 fece scoppiare le
bombe che avevano piazzato. Il rumore dell'esplosione rappresentava una
vittoria, almeno dal punto di vista tattico; non bisognava dimenticare però
che nel cuore di ognuno di loro c'era un pensiero per le vite che i Fantasmi
Neri erano riusciti a spezzare con i loro assurdi esperimenti.
Raggiunto
il Dolphin, caricarono le bare criogeniche a bordo e partirono a tutta velocità
alla volta della loro base, dove il dottor Gilmour li stava aspettando. Si
misero subito in contatto con lui, tramite 001: "Missione compiuta,
professore." disse attraverso il piccolo la voce di Joe, con una punta di
tristezza. "E abbiamo una sorpresa per lei." aggiunse quella di Jet.
Era
quasi l'alba quando giunsero di nuovo a casa. Dopo aver portato i contenitori
con le cavie umane nell'attrezzatissimo laboratorio del dottor Gilmour, lo
raggiunsero nella sua stanza.
"Bentornati,
ragazzi miei" li salutò il vecchio scienziato appena li vide.
"Grazie,
professore" risposero loro.
"Allora,
tutto bene?" volle sapere lui.
"Sì,
professore" rispose Joe "Abbiamo distrutto l'intero stabilimento,
avendo cura di portare fuori pericolo tutte le guardie umane, e abbiamo
portato le vittime dei Fantasmi Neri qui da lei. Sono tutti ibernati, contiamo
sul fatto che lei riesca a salvarli..."
"Non
preoccuparti, 009" gli sorrise il dottor Gilmour "per quello non c'è
problema, lo sai bene." Anche Joe sorrise, sollevato.
"Abbiamo
trovato qualcos'altro, laggiù." continuò Jet. Il dottor Gilmour
ascoltava, attento e incuriosito.
"Sì"
confermò Albert, che aveva sentito tutta la storia raccontata da 009, 002 e
003 sul Dolphin, mentre facevano ritorno "Deve essere un prototipo di
supercyborg a cui quei maledetti stavano lavorando..."
"Io
ho pensato" si intromise Joe, come a volersi prendere tutta la
responsabilità di quella decisione, nel caso si fosse rivelata una
sciocchezza "che probabilmente se lo avessimo portato qui, ci sarebbe
potuto essere utile per scoprire che cosa stanno tramando i Nuovi Fantasmi
Neri... O almeno contro cosa dobbiamo prepararci a combattere."
Il
dottor Gilmour soppesò le parole di Joe, mentre tutti aspettavano che dicesse
qualcosa. Alla fine, pronunciò parole di approvazione: "Avete fatto
bene, ragazzi. Sono davvero fiero di voi, come sempre, del resto."
Tutti
quanti sorrisero, pieni di orgoglio.
"Adesso
andate a riposarvi. Sarete molto stanchi. Io scenderò nel laboratorio e
cercherò di vedere con cosa abbiamo a che fare." continuò il
professore.
"Grazie,
dottore." disse Joe "Ma preferiamo rimanerle accanto, vero,
ragazzi?"
Gli
altri annuirono prontamente.
"Non
possiamo sapere cosa troverà, una volta aperto il contenitore. Potrebbe aver
bisogno di noi." concluse, dando voce ai pensieri di tutti.
Il
dottor Gilmour sembrò sul punto di protestare, ma dallo sguardo determinato
dei ragazzi, capì che sarebbe stato inutile.
"Va
bene." disse infine, rassegnato. "Vi ringrazio, ragazzi. Allora
seguitemi."
Scesero
tutti nel laboratorio; il dottor Gilmour collegò le cinque bare trasparenti
ad altrettanti dispositivi di termoregolazione, in modo che le persone in esse
contenute potessero tornare gradualmente ad una temperatura compatibile con la
vita.
Poi
si avvicinò lentamente all'ultimo contenitore, quello nero con la scritta
rossa. Era liscio e lucente... Il professore lo accarezzò brevemente con la
mano, e per un attimo nei suoi occhi si poté intravedere lo scintillio della
curiosità scientifica. Ma fu questione di pochi secondi; il rimorso per
quello che aveva fatto in passato a quegli stessi ragazzi che ora considerava
come suoi figli non aveva mai smesso di tormentarlo.
Distolse
quei pensieri dalla propria mente, e cercò di concentrarsi sul lavoro che si
accingeva a svolgere. Collegò le quattro serrature a codice numerico che si
trovavano, due per lato, sulla cassa, ad un decodificatore, e quelle si
aprirono subito. Sia lui che i nove cyborgs trattennero il fiato, mentre il
coperchio si sollevava: cosa avrebbero trovato lì dentro?
(Ditelo,
siete curiosi, eh? No, eh? Va bene, io ci ho provato... :)
Il
coperchio si aprì del tutto: dentro c'era un ragazzo che sembrava normale in
tutto e per tutto. Era senza vestiti e sembrava addormentato, anche se la
testa era reclinata su una spalla in un abbandono più forte del sonno. Non
era più un adolescente, anche se sembrava abbastanza giovane, e sicuramente
era un giapponese. I capelli erano gli arrivavano appena alle spalle, e la sua
pelle era chiara, senza nemmeno un segno di cicatrice; se era già stato
modificato, chi lo aveva operato aveva fatto davvero un lavoro perfetto!
Erano
tutti talmente impegnati ad osservarlo, che nessuno si era accorto della
reazione di Joe: alla vista di quel corpo, i suoi occhi si erano dilatati e
aveva cominciato a sudare freddo, mentre i suoi pugni si erano serrati
automaticamente. Tempo pochi attimi, e Joe si voltò, correndo fuori dal
laboratorio come una furia.
"Ehi,
amico, che cavolo ti prende?" gli gridò dietro Jet.
Tutti
si voltarono verso la porta, e Jet, Albert e Punma fecero per andargli dietro,
quando Françoise si parò davanti a loro con le braccia spalancate, con aria
decisa.
"Sei
impazzita anche tu?" esclamò Jet, incredulo. "Capisco cosa sta
provando Joe, ma addirittura scappare via in quel modo... Non mi sembra da
lui, ecco tutto."
Françoise
abbassò le braccia e anche lo sguardo, poi disse piano: "No, Jet, non
credo che tu capisca..."
"Françoise,
sei diventata matta veramente? Credi che solo Joe soffra per quello che siamo
diventati?" Jet sembrava essere sul punto di alterarsi seriamente.
"No,
Jet, credimi, so bene quanto ognuno di voi patisca per la situazione in cui ci
troviamo... Ma questa volta è diverso..."
Jet
la guardava con la bocca spalancata, e anche gli altri sembravano impazienti
di ascoltare una spiegazione per quello strano comportamento.
"Vedete,
ragazzi..." iniziò Françoise "All'inizio non ci avevo proprio
fatto caso... Ma poi Joe è scappato via in quel modo, e mi sono
ricordata."
"Di
cosa, Françoise? Non tenerci sulle spine!" incalzò Albert.
"Quel
ragazzo... Quello che dovrebbe essere il supercyborg. Io l' ho già
visto."
Quell'affermazione
lasciò tutti senza fiato.
"E
dove???" chiesero in coro Chang e Bretagna. "L' ho visto in una
fotografia." continuò la ragazza "In camera di Joe. Credo che sia
un suo vecchio amico."
(Adesso
sì che vi ho stupiti con effetti speciali, eh? No, eh? Va bene... Continuo a
provarci!!! :)
"Non
starai dicendo sul serio?" ruggì Jet, fuori di sé.
"E'
impossibile..." disse Albert, scuotendo la testa. Anche il dottor Gilmour
sembrava profondamente scosso dalle rivelazioni di Françoise "Ne sei
proprio sicura?" chiese.
Françoise
annuì gravemente.
Il
professore le mise una mano sulla spalla: "Và da lui." le disse
"Credo che tu sia l'unica che possa fare qualcosa per calmarlo... Io
intanto cercherò di vedere se c'è qualcosa che si può fare, qui..."
La
ragazza uscì veloce dalla stanza. A quel punto il professore si rivolse agli
altri: "Ragazzi, ora andate a riposare. Qui non c'è nessun pericolo, non
credo che ci sia più nulla che possiate fare."
Sconsolati,
i cyborgs raggiunsero ognuno la propria stanza, tranne Albert, che insistette
per rimanere al fianco dello scienziato: non si fidava per niente di quello
che sarebbe potuto saltar fuori da una creazione dei Fantasmi Neri.
Intanto,
Françoise era uscita dalla grande villa che era sia la loro base operativa
che la loro casa. Sapeva che Joe doveva essere lì intorno, perché aveva
sentito molte porte sbattere e non aveva sentito nessuna macchina mettersi in
moto. Iniziò a guardarsi intorno con la sua supervista, e finalmente lo
individuò: era salito in cima allo strapiombo sul mare che si trovava lì
vicino. Mentre lo raggiungeva, cercava di pensare a cosa avrebbe potuto
dirgli... Il dottor Gilmour parlava bene, dicendo che lei fosse l'unica in
grado di calmarlo... La verità è che si sentiva davvero inadeguata, in quel
momento. Come potevano credere che lei lo capisse più di chiunque altro, se
lo amava da così tanto tempo che nemmeno lei si ricordava quanto fosse in
realtà, e ancora non era riuscita a capire se lui provasse per lei almeno
qualcosa di più di semplice affetto? Certo, c'era da dire che spesso lui era
riuscito ad aprirsi con lei più di quanto non si fosse aspettata, e sembrava
preoccuparsi per lei più che per chiunque altro... Ma questo poteva
semplicemente dipendere dal fatto che, fra tutti loro, lei era certamente la
più debole in battaglia. Mentre era persa in queste riflessioni, arrivò
finalmente a pochi metri dal punto in cui si trovava Joe, che non sembrava
essersi accorto di lei.
"Joe..."
sussurrò Françoise alle sue spalle.
Joe
trasalì, poi si voltò verso di lei. La brezza mattutina, profumata di mare,
giocò con i loro capelli, prima che lui rompesse il silenzio: "Sei
tu..." disse, con un filo di voce. "Come mi hai trovato?"
Françoise
accennò un debole sorriso, e lui continuò: "Già, dimenticavo."
"Joe,
ascoltami..." provò ad iniziare lei, cercando di sostenere il suo
sguardo, che mai aveva visto così pieno di rabbia e disperazione.
Ma
lui la interruppe prima che potesse aggiungere altro: "No, Françoise.
Non chiedermi di ascoltarti. Non chiedermi niente. Non c'è niente che tu
possa dire, o che tu possa fare... "
"Joe,
ti prego..." Françoise aveva fatto un passo verso di lui, che continuò:
"Questa
volta hanno passato il limite... Non
è bastato togliermi la mia umanità... Non è bastato che tutte le mie
speranze e i miei sogni andassero in frantumi... Si sono dovuti prendere anche
la vita del mio migliore amico... Kenji... Non sai per quanti anni abbiamo
vissuto insieme, quante ne abbiamo combinate... Ci sostenevamo a vicenda nei
momenti difficili, e cercavamo di incoraggiarci l’uno con l’altro,
convinti che prima o poi avremo realizzato i nostri sogni... E poi per me è
finito tutto. Ho cercato di accettarlo. Ho tentato di trasformare il dolore
che provavo in qualcosa di buono, ho pensato che forse quello che mi era
accaduto... Che ci era accaduto... Potesse servire ad evitare che succedesse
di nuovo, a qualcun' altro... Ma è stato tutto inutile..."
Joe
stringeva i pugni così forte che i palmi delle sue mani iniziarono a
sanguinare. Françoise era sconvolta. Capiva che questa volta per Joe era
davvero troppo, e quello che le faceva più male era essere consapevole del
fatto che non poteva fare assolutamente nulla per lui, per farlo stare meglio.
Ma ugualmente, doveva provarci.
Si
avvicinò a lui, che nel frattempo aveva abbassato lo sguardo, e disse:
"Joe... Lo so che è terribile. Lo so che ci è toccato un destino
crudele, di cui ognuno di noi avrebbe fatto più che volentieri a meno... So
che oggi più che mai non puoi perdonare i Fantasmi Neri... Ma adesso è a
Kenji che devi pensare. Non puoi fare nulla per tornare indietro, per far sì
che tutto questo non sia mai accaduto. Ma c'è una cosa che invece puoi fare:
puoi fare in modo che lui non sia solo. Se ti dovessi dire cos'è che mi
permette di andare avanti... Siete voi, Joe. Tu e gli altri ragazzi. Io non ce
l'avrei mai fatta senza di voi. E credo che sia così per ognuno di noi. Per
questo, io sono convinta che la cosa migliore che puoi fare adesso è non
lasciare solo il tuo amico... Sta per provare quello che hai provato tu tanto
tempo fa... E ha bisogno di te. Pensaci, ti prego."
Joe
aveva ascoltato le parole di Françoise come in trance... Sembrava che la
ragazza gli parlasse da molto lontano, e che piano piano le sue parole
divenissero sempre più chiare... Gli sembrava che prendessero la forma del
loro dolore, e per un momento si sentì davvero debole... E lei, che
sicuramente tra di loro era quella che soffriva più di tutti per al
condizione in cui si trovavano, stava cercando di fargli coraggio. Fu
questione di un attimo: Joe scattò in avanti e la abbracciò stretta, mentre
tutto il tormento che aveva nel cuore gli saliva agli occhi e le lacrime che a
lungo aveva lottato per tenersi dentro cominciavano a uscire senza più alcun
freno. Françoise rimase per un attimo interdetta, poi circondò con le
braccia la vita di Joe, e stettero lì così, abbracciati nella luce
dell’aurora, mentre il ragazzo sfogava finalmente tutto il dolore che troppo
a lungo aveva represso.
Passarono
i minuti, e poco a poco sembrò che la vicinanza di Françoise riuscisse a
tamponare le ferite del cuore di Joe.
Il
ragazzo si calmò: "Grazie, Françoise." le disse in un soffio.
Si
distaccarono, e lei si limitò a sorridergli.
"Io..."
tentò di iniziare.
Lei
gli appoggiò dolcemente il dito indice sulle labbra, e scosse lievemente la
testa: "Non dire niente, Joe." mormorò "Non ce n'è bisogno.
Adesso torniamo dentro."
Quella
giornata passò velocemente. Le persone che erano state ibernate avevano ormai
ripreso conoscenza, e Punma e Jet erano stati incaricati di riportarli alle
loro abitazioni. Il dottor Gilmour aveva passato tutto il tempo chiuso dentro
il suo laboratorio a lavorare sul supercyborg, sotto l'attenta sorveglianza di
Albert, che non l'aveva lasciato solo nemmeno per un minuto. Ivan dormiva di
nuovo profondamente, Chang e Bretagna, dopo essersi riposati un po', avevano
pensato di andarsene a fare una passeggiata in città, mentre Geronimo, Joe e
Françoise erano rimasti nella villa.
Joe
si trovava nella propria stanza da parecchie ore, ormai: mai come allora la
sua mente era stata tanto affollata di ricordi... Seduto sul letto, fissava la
foto che lo ritraeva sorridente accanto a Kenji, uno dei sottili fili che
ancora lo legavano al suo passato di essere umano: entrambi avevano lo sguardo
luminoso ed incosciente dell'adolescenza, e un sorriso sprezzante stampato sul
volto... Era il tempo in cui avevano creduto di essere immortali, in cui
avevano pensato che avrebbero vissuto in eterno con la forza della loro
gioventù, senza che nessun male potesse mai toccarli... Non è forse questo
che domina i pensieri di ogni adolescente? Ma il destino li aveva colpiti
entrambi duramente, e troppo presto... Joe non riusciva ancora a pensare al
momento in cui avrebbe dovuto affrontare l'amico: sapeva già tutto, o
addirittura era d'accordo? O sarebbe spettato a lui metterlo di fronte alla
realtà? Bè, se così doveva essere, che succedesse in fretta...
Ripensò
alle parole di Françoise, e la sua determinazione parve rafforzarsi. La radio
accesa (DLIN-DLON: in questo
punto si consiglia l'ascolto della splendida "ANOTHER DAY" dei Dream
Theater, possibilmente in versione acustica.:)
scandì:
"Live
another day - Climb a little higher - Find another reason to stay..."
Joe
si alzò, e raggiunse la finestra. In quel momento, qualcuno bussò alla porta
e, senza aspettare risposta, entrò: era Françoise. Joe si domandava come lei
riuscisse sempre a indovinare qual era il momento più giusto per comparire
accanto a lui. Subito nella stanza si diffuse un intenso profumo di fiori di
loto: gli aveva portato una tazza del loro tè preferito.
"They
took pictures of our dreams - Ran to hide behind the stairs - And said maybe
when it's right for you - They'll fall..."
Lui
si voltò, e lei si avvicinò, porgendogli la tazza, che emanava un aroma
inebriante. "Grazie mille, Françoise. Ne avevo proprio bisogno."
disse lui, prendendo la tazza dalle mani di lei, sfiorandole piano le dita.
"Non
c'è di che." rispose lei. Rimasero per qualche minuto di fronte alla
finestra., in silenzio.
"But
if they don't come down - Resist the need to pull them in - And throw them
away - Better to save the mistery - Then surrender to the secret..."
Improvvisamente,
Joe disse: "Allora, Françoise... Che cosa volevi dirmi?"
Lei
non si stupì del fatto che Joe avesse capito: "Il dottor Gilmour vuole
vederti, Joe."
Lui
sorseggiò brevemente il tè, poi le restituì la tazza. "Va bene."
disse. Si diresse verso la porta, ma prima di uscire dalla stanza, esitò un
attimo, si voltò e mormorò: "Grazie ancora, Françoise. Davvero."
e se ne andò.
Lei
lo osservò allontanarsi per il corridoio, con una gran pena che le gravava
sul cuore.
"You
won't find it here - Look another way - You won't find it here - So try
another day..."
Françoise
spense la radio, la luce, chiuse la porta e uscì anche lei dalla stanza.
Joe
bussò piano alla porta del dottor Gilmour. Gli sembrava di poter udire
distintamente i battiti del proprio cuore...
Il
professore disse: "Avanti!", e lui entrò.
"Buonasera,
professore." salutò con voce atona. "Buonasera a te, Joe."
rispose dolcemente l'anziano scienziato.
Joe
si portò davanti alla scrivania, e aspettò che il professore iniziasse a
parlare.
"So
che per te non è facile, per cui cercherò di essere breve e chiaro,
Joe." iniziò il dottor Gilmour "Per quello che ho potuto
constatare... Si tratta veramente di un supercyborg."
Joe
chiuse gli occhi, come se fino all'ultimo avesse sperato che l'esame del
dottor Gilmour potesse svelare che la trasformazione non era ancora iniziata.
Il
professore continuò: "Le sue potenzialità sono veramente incredibili,
ma si tratta solo di un prototipo, per cui ci sarebbe molto da perfezionare.
Sicuramente, se i Fantasmi Neri fossero riusciti ad ultimare il loro progetto,
quel ragazzo sarebbe diventato il nostro peggior nemico... Non ho mai visto
niente del genere. Spero vivamente che non ne abbiano degli altri... Comunque
adesso non è questo il problema. Resta il fatto che lui..."
"Kenji."
intervenne Joe, sovrappensiero "Il suo nome è Kenji."
Il
dottor Gilmour parve capire quel che Joe aveva voluto dire pronunciando il
nome dell'amico; proseguì: "...Kenji è prima di tutto un essere umano.
Dobbiamo fare in modo che non cada di nuovo nelle mani dei Fantasmi Neri, e
dobbiamo cercare di metterlo al corrente del suo nuovo status traumatizzandolo
il meno possibile: non credo che sia mai stato svegliato, da quando hanno
iniziato su di lui il processo di trasformazione."
Joe
rimase per qualche secondo in silenzio, e
poi disse: "A quello ci penso io. Gli parlo io."
Il
professore annuì: "Va bene, Joe. E' la cosa più giusta da fare. Adesso
sta riposando nella stanza al piano di sopra... Dovrebbe svegliarsi tra
poco." spiegò.
"Vado
subito, allora." disse Joe, e uscì: voleva parlare con Kenji il più
presto possibile. Poi, forse, tutto sarebbe stato più facile.
In
realtà, nessuno seppe mai quello che successe veramente dal momento in cui
Joe entrò nella camera dove si trovava Kenji. L'unica cosa che tutti coloro
che erano presenti in quel momento nella casa potevano ricordare, era che ad
un certo punto, nella villa altrimenti immersa nella quiete della sera,
echeggiò un grido lacerante, colmo di rabbia e di disperazione, seguito da un
rumore di vetri in frantumi: qualunque fossero state le parole di Joe,
evidentemente non avevano impedito che Kenji ne rimanesse sconvolto e reagisse
con violenza. E Joe stesso non volle mai raccontare che cosa si fossero detti
lui e l'amico. A notte ormai inoltrata, Françoise, sulla soglia della propria
stanza, con le mani appoggiate sugli stipiti della porta e lo sguardo
preoccupato, aspettò che Joe passasse lì davanti: dal suo aspetto e dai
vestiti in disordine, era chiaro che aveva dovuto calmare Kenji con la forza.
"Joe..."
sussurrò piano la ragazza.
Ma
lui non la guardò neanche, proseguì come se si stesse trascinando e, una
volta raggiunta la sua camera, vi entrò sbattendo la porta. Fu l'ultimo
rumore che si udì prima che la casa fosse di nuovo inghiottita dal silenzio
della notte.
Erano
ormai trascorsi alcuni mesi: con molta pazienza, Joe era riuscito a far
ragionare Kenji, anche se entrambi erano stati innumerevoli volte sul punto di
desistere, e il ragazzo sembrava aver accettato la nuova condizione in cui si
trovava. I nove cyborgs del dottor Gilmour lo avevano accolto come se fosse
uno di loro, e l'amicizia tra lui e Joe sembrava aver tratto nuova forza da
quella terribile esperienza. Di certo era proprio questo, insieme alla calda
accoglienza che gli avevano dimostrato tutti loro, a far sì che tutto gli
risultasse meno penoso.
Quel
periodo si stava dimostrando relativamente tranquillo, per cui era possibile
che ognuno di loro si dedicasse a ciò che preferiva: si creò quindi
l'occasione perché Joe e Kenji tornassero a condividere l'antica passione che
avevano in comune fin da ragazzini, i motori. Passavano la metà delle loro
giornate con le teste infilate nel cofano di qualche automobile, e l'altra metà
a provarla per le strade delle campagne lì vicino.
Françoise
spesso li osservava da lontano, mentre ridevano e si prendevano in giro, con
le facce sporche di grasso: le faceva bene vedere che Joe aveva ritrovato un
po' di serenità.
Anche
gli altri cyborgs e il dottor Gilmour avevano accettato senza riserve la
presenza di Kenji; non avrebbero mai permesso che lui si potesse sentire solo
e abbandonato, poiché sapevano che solo la solidarietà e l'amicizia
avrebbero potuto salvare la sua anima. Non era forse esattamente quello che
aveva salvato tutti loro?
C'era
solo una cosa che li preoccupava, in quei giorni di spensieratezza: sapevano
bene che i Nuovi Fantasmi Neri non avrebbero mai smesso di cercare il
prototipo che era stato loro rubato, convinti del fatto che questo potesse
rappresentare finalmente un momento di rivincita contro i cyborgs del dottor
Gilmour. Perciò, anche se
cercavano di non darlo a vedere, i nove erano costantemente all'erta, e si
aspettavano di dover tornare in azione da un momento all'altro. D'altra parte,
erano abituati ormai da molti anni a quella sensazione di precarietà che
accompagnava ogni raro momento di pace di cui potevano godere.
Quella
mattina, il sole splendeva alto nel cielo, e Joe e Kenji, in jeans e senza
nient'altro addosso, erano come al solito impegnati a modificare l'ennesima
macchina. Françoise, con indosso dei pantaloni di lino bianco, un paio di
sandali bassi azzurri e una canottierina leggera dello stesso colore, si
avvicinò a loro portando un vassoio con tre bicchieri di succo di frutta:
pensava che avrebbe fatto loro piacere fare una piccola pausa rinfrescante. La
luce giocava tra i suoi capelli biondi sciolti sulle spalle, e faceva brillare
i suoi profondi occhi azzurri.
Si
fermò poco distante dai due giovani, e li salutò giovialmente: "Salve,
ragazzi!"
La
voce di Françoise li fece trasalire: entrambi erano talmente assorti in
quello che stavano facendo, che Joe sbatté la testa sul cofano alzato
dell'auto, e Kenji si fece sfuggire la fiamma ossidrica che stava usando per
saldare una giuntura, ustionandosi la mano destra.
"Accidenti!"
gridò, stringendo i denti, e mollò tutto il lavoro; la fiamma ossidrica si
spense.
"Ehi,
Kenji!" Joe si precipitò vicino all'amico "Come stai?"
"Bene,
Joe, sto bene. Non è niente, non preoccuparti... Sono stato un idiota!"
rispose Kenji, tenendosi la mano.
Sopraggiunse
anche Françoise, che aveva lasciato cadere il vassoio con le bibite e si era
precipitata a vedere che cos'era successo.
"E'
tutto a posto?" chiese.
Kenji
annuì, ma Joe gli prese la mano e gliela scoprì, mostrando una brutta
bruciatura sul dorso; poi disse: "Non è grave, ma voglio che tu vada con
Françoise a farti medicare."
Sia
Kenji che Françoise lo guardarono stupiti, e lui fece un sorriso: "Bè,
cosa sono quelle facce?" disse "Non c'è nulla di strano: la ferita
potrebbe infettarsi!" concluse. Poi si rivolse a Kenji: "Puoi
fidarti! Françoise è molto brava in queste cose!"
"Non
ho dubbi..." disse Kenji, perplesso, ma non si mosse. "Allora
andate!" li spronò Joe.
"Va...
Va bene." fece Françoise, con lo sguardo basso; poi si rivolse a Kenji,
dicendogli: "Andiamo."
Entrambi
si diressero all'interno della villa, e Joe tornò al lavoro.
Non
appena furono entrati nella stanza attrezzata ad infermeria, Kenji si appoggiò
ad un tavolo, ed iniziò ad osservare sorridendo Françoise, che stava
prendendo l'occorrente per medicarlo: era davvero bellissima, delicata e
leggiadra come una farfalla... Quando
la ragazza ebbe trovato tutto, gli si avvicinò, gli prese la mano ed iniziò
a pulirgli la ferita: Kenji strinse i denti e lei gli sorrise, rassicurante.
Ad un certo punto, mentre lei proseguiva con la medicazione, Kenji iniziò a
parlarle con un tono davvero strano, dolce e serio come non lo aveva mai
sentito, da quando viveva con loro: "Sai, Françoise..." fece
"Io ti ammiro moltissimo!"
Lei
lo guardò stupita, con i suoi grandi occhi azzurri spalancati.
"Sì."
proseguì lui "Ammiro davvero il tuo coraggio e la tua forza d'animo! La
vita che fai non dev'essere affatto facile!" esclamò "E me ne
accorgo sempre di più ogni giorno che passa. Come fai a sopportare tutto
questo stress? Tutti i pericoli a cui rischi di andare incontro? Non hai mai
voglia di vivere come tutte le altre ragazze?" Kenji si pentì subito di
essere stato così brusco e diretto: "No, scusa... Non ho alcun diritto
di parlarti così." mormorò, abbassando lo sguardo.
Françoise
rimase in silenzio per qualche attimo, continuando a fasciargli la mano, poi
parlò: "Hai ragione, Kenji."
Lui
trasalì e la guardò di nuovo, ma lei tenne gli occhi bassi e continuò:
"Non sai quanto io ci abbia pensato, non sai quante volte avrei voluto
essere dalla parte opposta del pianeta, lontano da questa vita di pericoli e
di angoscia... Ma il mio posto è qui, accanto alla persona..." Sì
blocco, poi si corresse: "...alle persone che amo e a cui devo la vita;
ogni momento che trascorro con i miei amici mi ripaga delle difficoltà che
devo sopportare, credimi!"
Dopo
un piccolo silenzio, Kenji distolse di nuovo lo sguardo, e disse piano:
"Ti ammiro... E ti invidio, sai?" Questa volta fu Françoise ad
alzare lo sguardo su di lui. "E soprattutto, invidio Joe." Kenji la
fissò intensamente. "Sì" proseguì "lo invidio, e vorrei
essere al suo posto."
"La
sua non è una vita facile, come non lo è quella di ognuno di noi." fece
Françoise con aria grave.
"Come
se non lo sapessi..."sorrise Kenji "Joe porta sulle spalle un peso
enorme, ha scelto di sacrificarsi e corre sempre pericoli inimmaginabili per
la salvezza dell'umanità..."
Françoise
abbassò di nuovo lo sguardo e sussurrò tristemente: "Dio solo sa quanto
ha sofferto... E' stato male, ma ha lottato, e ha sempre vinto..."
Kenji
le si era avvicinato senza che lei se ne fosse resa conto; le prese le spalle,
e lei lo fissò, stupita; poi lui continuò: "Ma per quanto possano
essere state dure le prove che ha dovuto superare... Ha sempre avuto te al suo
fianco. Ed è per questo che vorrei essere al suo posto."
"Co...
cosa dici, Kenji?" fece Françoise, osservandolo incredula.
"Sì,
Françoise." proseguì lui, deciso: "Vorrei vivere come tutti gli
altri, e magari qualche volta fare una gita, che ne so, un pic-nic in riva ad
un lago, nuotare, pescare, e dopo magari mangiare un gelato, senza più
pensare alla guerra... E vorrei che tu fossi con me..." aggiunse in un
soffio.
Françoise
tentò di divincolarsi, ma lui la strinse più forte. "No, Kenji,
lasciami... Cosa stai facendo?" mormorò lei.
"Io..."disse
Kenji "Io vorrei portarti via con me, lontano da qui, il più lontano
possibile da tutto questo... Vorrei costruire un futuro felice con te...
Vorrei vivere come vivrebbero due ragazzi della nostra età in qualunque altro
posto della Terra..."
Françoise
cercò di opporgli resistenza, dicendo: "Kenji, ti prego, smettila... Non
devi dire certe cose, non devi neanche pensarle..."
"Perché?"
chiese lui "Perché non dovrei?" Françoise rimase in silenzio,
mentre lui la stringeva sempre di più tra le braccia.
"Perché
io..." sussurrò, senza riuscire a finire la frase.
Ma
fu Kenji a concludere per lei: "Perché tu ami Joe, non è forse
vero?"
Lei
si chiuse in un ostinato mutismo, ma lui non si arrese: "Lo so, Françoise,
ho visto come vi guardate... E' evidente che fra voi c'è qualcosa di
speciale... Ma Joe ha troppa rabbia dentro di sé, ha troppa paura di farti e
farsi del male, per lasciarsi andare...
Lo conosco troppo bene. Io invece... Sono pronto, Françoise. Pronto a
renderti felice."
I
loro sguardi si incontrarono, lei lasciò cadere la benda con cui lo stava
fasciando, e per un momento si perse nei suoi occhi: Joe non le aveva mai
parlato così... Per un attimo, il miraggio di una nuova vita le accecò la
mente, e lei pensò di poter mettere finalmente fine alle proprie ansie...
Quasi senza rendersene conto, si abbandonò alla stretta di Kenji; le loro
labbra si avvicinarono, Françoise mormorò: "No, Kenji, per
favore...", ma non era più in grado di resistergli, e lui non poteva più
fermarsi.
Nel
preciso istante in cui Kenji appoggiò le proprie labbra su quelle morbide di
Françoise, baciandola dolcemente, la porta della stanza si aprì,
accompagnata dalla voce di Joe, che diceva: "Ehi, ragazzi, allora
come..."
Non
appena vide quello che stava succedendo, rimase impietrito sulla soglia,
fissando Kenji che ancora stringeva Françoise tra le braccia.
Kenji
la lasciò subito, d'istinto, e mormorò: "Joe, io...", mentre Françoise
era troppo sconvolta anche solo per parlare.
"Mio
dio!" esclamò Joe, senza riuscire a distogliere lo sguardo da loro; lo
spazio che li divideva sembrò farsi di ghiaccio, e per qualche attimo tutti e
tre rimasero immobili come statue.
Poi
Joe, non sapendo che altro fare, si voltò e corse via per il corridoio.
"Joe!!!" gridò Kenji, e gli andò dietro senza pensarci due volte;
anche Françoise li seguì, ma non riuscì ad andare oltre la porta.
Kenji
raggiunse Joe, e lo prese per un braccio: "Aspetta, Joe!" gli disse.
Joe restò fermo per un attimo, con la testa bassa e i capelli sugli occhi;
poi si voltò di scatto, e con tutta la forza di cui era capace sferrò un
pugno al viso di Kenji, gridando furioso: "Lasciami, bastardo!!!"
Kenji,
colpito in pieno, cadde al suolo; Françoise corse verso di lui, e gli si chinò
accanto per vedere come stava, mentre lui si massaggiava la guancia destra, ed
un rivolo di sangue gli scendeva dalla bocca.
Joe,
in piedi davanti a loro, con i pugni stretti e respirando affannosamente,
mormorò di nuovo: "Bastardo... Tu lo sapevi..."
Poi
si girò e scappò via correndo. Françoise fece per alzarsi e seguirlo,
gridando: "Joe!!".
Ma
Kenji la trattenne per un polso, e le disse mareggiato: "Lascialo
andare."
"Ma
io..." fece lei, guardandolo con tristezza. "Lascialo andare, Françoise."
ripeté Kenji "Ora è troppo sconvolto; quando tornerà, gli spiegheremo
tutto. Gli dirò che è stata colpa mia, che tu non c'entri niente; vedrai che
capirà."
"Non
posso lasciarlo andare via così!" protestò vivamente Françoise, ma
Kenji continuò fermamente: "Credimi, per ora è meglio così."
Françoise
accennò un debole sorriso, e acconsentì: "Va bene." disse
"Forse hai ragione tu." Poi aggiunse: "Torniamo dentro, hai
bisogno di cure."
Lo
aiutò ad alzarsi e lo portò di nuovo in infermeria.
Mentre
lei gli preparava un impacco per il livido sul viso, dopo avergli fasciato la
mano, lui le disse: "Perdonami, Françoise... Non avrei mai dovuto farlo.
Tu... Tu mi sei piaciuta molto fin dall’inizio, ma ormai pensavo di averla
superata... Oggi però, da solo qui davanti a te, non ho potuto fare a meno di
dimostrarti quello che provo..."
"Non
è solo colpa tua, Kenji." lo rassicurò Françoise, con la voce triste
"Sono io che non avrei dovuto permetterlo..." Due lacrime le caddero
sulle guance.
"Ti
prego, non piangere..." le sussurrò Kenji "Vedrai che tutto andrà
a posto... Joe capirà, e ci perdonerà, ne sono sicuro!"
"Spero
che tu abbia ragione..." fece lei tristemente, e si asciugò le lacrime.
"Certo!" le sorrise lui, e anche lei cercò di ricambiarlo; ma
dentro di sé non era mai stata più angosciata di allora.
In
quel momento, entrò Jet, e domandò: "Ragazzi, si può sapere che
diavolo è successo? Ho visto Joe correre via come una freccia, sembrava
sconvolto... E' salito in macchina ed è partito a tutta velocità verso
non-so-dove..."
Kenji
e Françoise rimasero un attimo interdetti; Françoise abbassò lo sguardo, e
Kenji rispose: "E' una lunga storia, Jet..."
Jet
li guardò perplesso, poi si voltò e, andandosene, disse: "Ok, rinuncio
a capirvi; un giorno però dovrete spiegarmelo..."
Uscito
Jet, Françoise continuò a medicare Kenji, ma nessuno dei due parlò ancora.
Joe
intanto, alla guida dell’auto, stava correndo come un pazzo per la strada di
montagna che conduceva dalla villa in città, senza fare assolutamente caso a
dove andasse. In mente aveva solo il suo amico, Kenji, che stringeva tra le
braccia Françoise... E la baciava... La sua Françoise... Ma da quando era
diventata sua? La verità era che in quel momento si stava odiando, per essere
stato così codardo e non averle fatto capire prima che aveva bisogno di
lei... Aveva avuto paura di soffrire, e adesso rischiava di perderla... Non
aveva mai pensato al fatto che lei potesse innamorarsi di qualcun'altro... Era
stato sempre convinto che, in ogni caso, lei sarebbe rimasta sempre al suo
fianco. Ma aveva dimenticato che Françoise era prima di tutto una donna...
Una splendida donna, che si meritava di essere felice. Che cosa gli aveva
fatto credere che lo avrebbe aspettato in eterno? Quanto era stato sciocco, a
pensare che nessuno avrebbe mai provato a portarla via, e quanto era stato
presuntuoso, a pensare che lei non avrebbe mai guardato nessun altro,
all'infuori di lui... E Kenji... Kenji sapeva quello che lui provava... Aveva
tradito la sua fiducia... Gli era crollato il mondo addosso. Kenji e Françoise.
Kenji e Françoise. Kenji e Françoise. Senza che se ne accorgesse, le lacrime
iniziarono a scorrergli sul viso, mentre il cuore gli faceva male coma mai
prima di allora. Si era improvvisamente e dolorosamente reso conto del fatto
che l'unico tesoro che avesse mai posseduto non era la sua vita, non era la
sua libertà, e nemmeno la sua umanità, parte di cui gli era stata strappata
così violentemente; l'unico tesoro che avesse mai avuto era Françoise. E'
davvero strano come il valore delle cose preziose che possediamo ci appaia in
tutta la sua chiarezza solo quando siamo sul punto di perderle; ed
era proprio questo che Joe stava provando nel profondo del proprio
cuore.
Guidò
per molte ore, fino al tramonto, fino a che, stanco, si fermò in una città
sconosciuta. Parcheggiò l'auto davanti al primo albergo che trovò, scese, si
infilò una maglietta che aveva lasciato buttata sul sedile posteriore quella
stessa mattina, ed entrò per prenotare una camera per la notte. Non se la
sentiva di tornare a casa; a dire il vero, in quel momento non sapeva se ci
sarebbe mai tornato.
Intanto,
anche dove vivevano i cyborgs era scesa la sera. Ormai erano rientrati tutti
da un pezzo, tranne Joe, e gli altri iniziavano davvero a preoccuparsi: dove
poteva essere finito? Non era da lui sparire a quel modo, e inoltre non
potevano nemmeno interpellare 001, visto che si trovava nel bel mezzo di uno
dei suoi lunghi pisolini.
Jet
raggiunse Kenji nel garage: "Tu non hai proprio idea di dove possa essere
finito Joe?" gli chiese.
"No."
rispose Kenji "Sarà andato a sbollire la rabbia da qualche parte."
"Ma
si può sapere cos'è successo?" domandò Jet, esasperato.
"Bè,
vedi, Jet..." iniziò Kenji, imbarazzato; alla fine, prese il coraggio a
quattro mani e gli raccontò ogni cosa: "Joe stamattina mi ha sorpreso
mentre baciavo Françoise." ammise.
Jet
rimase per un attimo senza fiato, poi mormorò: "Non è possibile... Hai
voglia di scherzare, Kenji?"
"Ti
assicuro che è la verità. E' una cosa da pazzi, ma è la verità."
confermò Kenji.
Dal
suo sguardo, Jet capì che non stava mentendo. "Ma... Cristo, Kenji, che
cosa ti è saltato in mente?!?"gli chiese spazientito. "Lo so, Jet,
ho fatto una stronzata..."
"Una
stronzata?" gridò Jet "E la chiami stronzata? Hai fatto la cosa più
idiota, schifosa e meschina che ti potesse venire in mente! Hai baciato la
donna di cui è innamorato il tuo migliore amico, che ti ha accolto e ti ha
aiutato quando hai avuto bisogno di lui!"
"So
quello che ho fatto, Jet, e non c'è bisogno che ci sia tu a
ricordarmelo." fece Kenji.
"Bè,
invece a me sembra proprio che tu non ti renda conto del disastro che hai
combinato! Joe non si meritava questo da parte tua!" continuò Jet.
In
quel momento entrarono Françoise e il dottor Gilmour; Jet e Kenji si
voltarono verso di loro e tutti e quattro rimasero in silenzio.
Fu
Jet a parlare per primo: "Perché non gliel'hai impedito, Françoise?"
chiese alla ragazza.
Lei
strinse i pugni e abbassò lo sguardo: "Io... Io non lo so." sussurrò.
"Non
ci posso credere!" gridò Jet "Vuoi dire che non hai nemmeno provato
a resistergli?"
"Io...
Non so cosa mi sia preso, Jet." si giustificò lei, a voce bassissima.
"Ma
siete diventati matti!!" fece Jet, alzando le braccia al cielo.
Il
silenzio scese di nuovo su di loro; ad un certo punto, inaspettatamente, Kenji
esclamò: "Io vado a cercarlo!" e, senza che gli altri avessero il
tempo di dire niente, saltò su un'altra macchina e partì.
Dopo
un attimo di esitazione, Jet disse: "Vado anch'io!", e subito saltò
su una moto e andò dietro a Kenji.
Françoise
e il dottor Gilmour rimasero soli; la ragazza iniziò a singhiozzare
disperatamente e il professore, al quale aveva raccontato tutto poco prima,
l'abbracciò e le accarezzò i capelli. "Non piangere, bambina mia."
le sussurrò con la sua voce dolce. Non piangere, tesoro: vedrai che tutto
andrà a posto."
Françoise
non smise di piangere, e si strinse ancora di più al vecchio scienziato.
Quella
fu una notte lunga per tutti, ma soprattutto per Joe e Françoise. A
chilometri e chilometri di distanza l'uno dall'altra, ognuno dei due aveva
qualcosa da rimproverarsi per aver impedito ai propri sentimenti di uscire
allo scoperto; era come se si fossero negati di essere felici per tutto quel
tempo, e ora fosse troppo tardi per rimediare.
Françoise
era sdraiata sul letto, sotto le lenzuola, ma dormire le era impossibile. Non
faceva che pensare a quello che era successo, e si chiedeva come era stato
possibile che non fosse riuscita a respingere Kenji... Eppure era così sicura
del proprio amore per Joe... Ma Joe era sempre stato così scostante con
lei... Si girò su un fianco, mentre la fievole luce della luna filtrava dalla
finestra e disegnava strane ombre sul pavimento; quella stessa luna che anche
Joe, affacciato alla finestra di quell'anonima stanza d'albergo, stava
fissando, domandandosi che cosa gli avrebbe riservato il domani.
Arrivò
il mattino. Il dottor Gilmour, che non aveva chiuso occhio, non poté dare a
Françoise nessuna buona notizia, visto che né Kenji, né Jet, né tanto meno
Joe erano ancora tornati.
Dopo
qualche minuto, videro comparire all'orizzonte, sulla strada, la macchina e la
moto con cui Kenji e Jet erano partiti alla ricerca di Joe. Appena arrivati
davanti alla villa, con Françoise e il professore che li aspettavano fuori
dalla porta, scesero dai mezzi, desolatamente soli.
"Allora?"
chiese il professore, impaziente.
Kenji
abbassò lo sguardo, Jet allargò le braccia e disse: "Niente... Mi
dispiace... L'abbiamo cercato dappertutto, ma sembra svanito nel
nulla..." Nessuno sapeva cosa dire.
In
quel momento, Françoise sembrò concentrarsi improvvisamente.
Il
dottor Gilmour se ne accorse, e le chiese: "Françoise, cosa
succede?"
"Non
lo so, professore..." disse lei, con le mani sulle tempie "Mi sembra
di sentire qualcosa in lontananza... Forse sono elicotteri... Si stanno
avvicinando..."
Il
professore capì subito: "Tutti dentro!" gridò "Sono loro!
Sono i Fantasmi Neri! Ci hanno trovati! Dentro, di corsa!!!"
Tutti
e quattro si catapultarono dentro la casa, e corsero a chiamare gli altri
cyborgs.
Mentre
si preparavano alla difesa della base, il contingente mandato dai Nuovi
Fantasmi Neri li circondava; avevano cercato il loro supercyborg per tutti
quei mesi, e adesso sembravano disposti a tutto per riprenderselo.
La
battaglia prese subito la forma di un assedio. Le forze che i Nuovi Fantasmi
Neri avevano mandato in campo erano davvero numerose: mezzi da terra avevano
circondato la casa-base dei cyborgs, mentre gli elicotteri si stavano
avvicinando sempre di più.
All'interno
della villa, i nostri si stavano organizzando.
"Cosa
facciamo?" chiese Bretagna preoccupato.
"Ci
difendiamo!" proruppe Albert.
"Dividiamoci!"
propose Jet.
Presero
direzioni diverse, e si appostarono presso le finestre, da cui iniziarono ad
aprire il fuoco verso i nemici. Il dottor Gilmour si trovava nella propria
stanza, insieme a Françoise, Kenji e Ivan, che era stato svegliato
dall'agitazione provocata da quell'attacco improvviso. I colpi contro la casa
provenivano da ogni direzione, tanto che nemmeno 003 riusciva ad individuarne
esattamente l'origine; la struttura dell'edificio era ovviamente adatta a
sopportare un attacco, ma vista l'entità di quest'ultimo, non sapevano bene
per quanto avrebbe resistito.
Le
prime crepe si stavano già aprendo nei muri, e 001 disse improvvisamente:
"Anche gli altri sono in difficoltà. Se va avanti così, non ce la
faremo mai!"
Il
dottor Gilmour si stava spremendo le meningi per riuscire a trovare una
soluzione; intanto i colpi si susseguivano sempre più intensamente.
Ad
un tratto, Kenji chiuse gli occhi, allargò un poco le braccia, si concentrò,
e dalle sue mani prese origine un fascio di luce, che piano lo circondò come
una sfera, mentre i suoi capelli ondeggiavano come mossi da un vento
invisibile. Subito, le pistole-laser dei cyborg smisero di sparare, ma anche i
nemici sembravano aver cessato il fuoco, mentre si sentiva uno strano rumore
come di una forte interferenza elettromagnetica.
Françoise
era stupita quanto spaventata: "Kenji... Che ti succede?" chiese.
Fu
il dottor Gilmour a rispondere: "Sta creando un campo elettromagnetico,
per interferire con gli strumenti e le armi dei nostri nemici... E questo
influisce anche sulle nostre, ovviamente... E' uno dei suoi poteri di
cyborg... Non vi ho mai detto quali potessero essere le sue potenzialità.
Anche perché non credevo che avrebbe mai avuto bisogno di usarle..."
L'intensità
del campo intorno a Kenji parve
rafforzarsi, lui aprì finalmente gli occhi e disse, con evidente sforzo:
"Françoise... Raduna subito tutti e andatevene via di qui! Non so per
quanto tempo riuscirò a controllare quest'energia..."
"Ma...
Kenji!" disse lei "Come puoi pensare che ce ne andremo, lasciandoti
qui!"
"Non
fare la stupida!" gridò lui "E' l'unico modo, non lo capisci? Sono
troppi, non ce la faremo mai... Se vi sbrigate, riuscirete ad allontanarvi
senza problemi, finché io impedirò loro di usare le armi e i mezzi di
trasporto!"
"No,
Kenji, non lo farò mai!" urlò Françoise, scuotendo violentemente la
testa.
"E'
me che vogliono!" cercò di farle capire lui "Voi dovete mettervi in
salvo... Il mondo ha bisogno di voi! Mentre io... Sono stato solo capace di
creare problemi e tradire la fiducia del mio migliore amico e delle persone
che mi hanno accolto come un fratello, evitando che potessi dimenticarmi che
sono ancora un essere umano... Ti prego, Françoise... Se vi accadesse
qualcosa, non potrei mai perdonarmelo... Non so per quanto ancora potrò
resistere, non permettere che sia stato tutto inutile... Ve lo devo... E
soprattutto, lo devo a Joe."
"Ma...
Cosa farai, se ti prenderanno?" chiese di nuovo lei.
Kenji
sorrise: "Non mi prenderanno." disse, deciso.
Françoise
capì subito e anche il dottor Gilmour e Ivan capirono: Kenji non si sarebbe
mai fatto catturare. Piuttosto, si sarebbe ucciso. Fuggire avrebbe voluto dire
condannarlo a morte, ma se fossero rimasti non era detto che si sarebbero
salvati. Forse, sarebbero morti tutti.
Mentre
Françoise e il professore pensavano disperatamente a cosa avrebbero potuto
fare, fu Ivan a prendere una decisione.
"009!
009, riesci a sentirmi?" La voce di 001 risuonò chiaramente nella testa
di Joe. Non sapeva se voleva rispondergli. Non voleva soffrire ancora. 001 non
si fece intimorire dal suo silenzio: "009, se puoi sentirmi... Abbiamo
bisogno di te!" continuò "Siamo stati attaccati dai Fantasmi Neri!
Non so come ci abbiano trovati, ma sono qui, e sono tantissimi... Troppi...
Non ce la faremo mai a sconfiggerli! Per ora, Kenji sta tentando di tenerli a
bada con i suoi poteri, ma non ce la farà ancora per molto... La situazione
è critica, solo tu ci puoi aiutare..."
Il
velo d'ombra che fino a quel momento aveva offuscato la mente di Joe cadde: i
suoi amici avevano bisogno di lui... Tutti i suoi amici... Come aveva potuto
andarsene così, abbandonandoli, sapendo che avrebbero potuto essere attaccati
da un momento all'altro? Ancora una volta, aveva dimostrato di essere solo uno
stupido egoista. Il viso di Françoise apparve davanti a suoi occhi: non c'era
un minuto da perdere.
Senza
pensarci su nemmeno un secondo di più, attivò l'acceleratore molecolare e si
diresse verso la loro base.
Non
è difficile immaginare che ci mise davvero pochissimo ad arrivare nei pressi
della casa, guidato dal pensiero che quanto di più caro avesse al mondo
correva un pericolo mortale.
Una
volta arrivato, disattivò l'acceleratore e si nascose nella fitta boscaglia.
I nemici che circondavano la villa erano davvero tantissimi, ma non sembravano
in grado di usare le armi.
"009,
sei qui!" Di nuovo, 001 si era messo in contatto con lui.
"Sì"
disse Joe "Cosa succede?"
"Kenji
sta mantenendo fuori uso le tutte le armi e i mezzi nei paraggi. Non dovrebbe
essere difficile per te entrare in casa." Joe annuì, e ricorrendo di
nuovo al suo potere, entrò.
Raggiunse
in fretta la stanza del dottor Gilmour, dove nel frattempo si erano radunati
anche gli altri.
"009!!!"
fu l'unico grido che lo accolse. "Finalmente sei tornato!" tuonò
Jet. Il cuore di Françoise fece un balzo.
"Tutti
al Dolphin! Non c'è tempo da perdere!" gridò Joe.
Gli
altri annuirono, e il dottor Gilmour disse: "009... Dovrai fare in
fretta. Non appena il Dolphin partirà, premerò il bottone rosso. Sai cosa
significa."
Joe
lo sapeva: voleva dire che nell'arco dei successivi sessanta secondi la base
si sarebbe autodistrutta. Il professore non poteva permettere che tutti i dati
che vi erano contenuti finissero nelle mani dei Fantasmi Neri.
"Non
si preoccupi, professore. Si fidi di me." disse. "Allora... Buona
fortuna!" disse il dottor Gilmour, e lui e gli altri si allontanarono
lungo il corridoio.
Si
fidavano di Joe ciecamente. Solo Kenji e Françoise non si mossero.
"Françoise,
vai anche tu."
"Ma
Joe..." accennò lei.
"Fai
quello che ti dico!" le disse lui "Qui ci pensiamo noi. So quello
che faccio!"
"Joe,
io..." iniziò lei.
"Non
adesso, 003." la interruppe lui, brusco. Poi, più dolcemente, le disse,
guardandola negli occhi: "Parleremo più tardi, Françoise... Quando
tutto questo sarà finito. Aspettami."
Lei
non avrebbe mai voluto abbandonarlo, ma sentiva che l'unica cosa sensata che
poteva fare in quel momento era dimostrargli che aveva fiducia in lui, come
tutti gli altri.
Annuì,
gli sorrise, e disse: "Va bene... Ma non farmi aspettare troppo."
Si
voltò, e se ne andò per raggiungere gli altri al Dolphin, senza voltarsi.
"Joe...Perché
l'hai fatto?" La voce di Kenji era sempre più debole, e la sua energia
stava per cedere.
"Perché
siamo amici." gli rispose lui, laconico "Adesso ascoltami bene,
Kenji. Non appena cesserai di controllare il campo elettromagnetico, io ti
afferrerò e ce ne andremo di qui."
Kenji
annuì.
"Allora..."
fece Joe, e appena vide il Dolphin che si levava in cielo, aggiunse:
"Adesso!!!"
Kenji
abbassò le braccia, e la luce che fino ad allora lo aveva circondato si
spense. Subito i nemici ripresero a sparare da ogni direzione, ma Joe fu più
veloce: prese Kenji per le spalle, attivò l'acceleratore e in meno di un
batter d'occhi furono abbastanza lontano dalla base, senza che nessun colpo
avesse potuto raggiungerli. Dopo pochi secondi, il rumore di un'esplosione
fece loro capire che la base era andata distrutta; ancora una volta avevano
vinto, e i Fantasmi Neri non avevano ottenuto niente.
"Grazie,
Joe." mormorò Kenji.
"Non
devi ringraziarmi." gli rispose Joe "Ho fatto quello che avresti
fatto tu. Anzi... Sono io che devo ringraziarti. Hai protetto i miei amici
mentre io ero lontano..."
Kenji
lo interruppe; non voleva che proseguisse. Non voleva essere ringraziato da
Joe, non dopo essersi comportato così meschinamente con lui.
"Perdonami."
gli disse piano.
Inspiegabilmente,
Joe sorrise. Kenji lo guardò con gli occhi sbarrati, e lui disse: "Kenji...
Non siamo delle macchine. Siamo uomini. E gli uomini sbagliano. Tu hai
sbagliato. Anche io ho sbagliato... Ma gli uomini hanno una grande dote: sanno
perdonare."
A
quelle parole, anche Kenji sorrise.
"009!
Kenji!" Probabilmente, 001 li aveva individuati, e ora il Dolphin stava
atterrando poco distante da loro.
I
due amici iniziarono ad agitare le mani in segno di saluto, e non appena il
Dolphin ebbe toccato terra, furono di nuovo tutti insieme.
La
destinazione era un grande laboratorio di ricerca diretto da
uno dei più grandi amici del dottor Gilmour. Il professore contava sul
fatto che lì avrebbero potuto trovare ospitalità fino a quando non fosse
stata pronta la nuova base. E infatti così fu.
Françoise
non aveva ancora avuto modo di parlare con Joe da sola. Ma quando si furono
sistemati, fu lui ad andare a cercarla. La raggiunse nel giardino del
laboratorio, dove lei stava passeggiando; il sole splendeva alto nel cielo, e
nell'aria si diffondeva soave il profumo dei fiori.
"Ciao,
Françoise." la salutò.
"Ciao,
Joe..." disse lei piano, con un certo imbarazzo, mentre lui le si
avvicinava, così tanto che i loro corpi quasi si sfiorarono.
Dopo
un momento di silenzio, lei mormorò: "Joe, io..."
Questa
volta fu lui a metterle un dito sulle labbra. Il battito dei loro cuori si unì
fino a diventare una cosa sola. Joe le mise una mano dietro la nuca, la trasse
a sé, chiuse gli occhi e appoggiò piano le proprie labbra su quelle della
ragazza. Lei rimase immobile, sulla punta dei piedi e con le braccia
abbandonate lungo il corpo, mentre un vento fresco e leggero si levava su di
loro. Dopo qualche istante, circondò con le braccia le spalle di Joe, e
mentre lei le cingeva la vita con l'altra mano, ricambiò il suo bacio. Fu un
bacio lungo, appassionato, che racchiudeva in sé tutte le parole che non
erano mai riusciti a dirsi. Ed era come se con quel gesto volessero cancellare
tutti i silenzi, tutti gli errori, tutte le paure che, negli anni che avevano
vissuto l'uno accanto all'altra, avevano impedito loro di trovare il coraggio
di far sbocciare quell'amore che entrambi custodivano nel cuore da moltissimo
tempo, e che era rimasto lì, nascosto, soffocato dal timore di perdere ancora
qualcosa di importante.
Quando
le loro labbra si separarono, il cuore di entrambi batteva così forte che
avevano paura che presto si sarebbe fermato.
Lo
sguardo di Joe non era mai stato così dolce e così intenso; prese le mani di
Françoise tra le sue, sorrise e le avvicinò la bocca all'orecchio:
"Françoise..." sussurrò "Io ti amo..."
Gli
occhi della ragazza si riempirono improvvisamente di lacrime: quelle parole...
Era così tanto tempo che avrebbe voluto sentirle... Ma non si era mai
immaginata che potessero farle quell'effetto... Non avrebbe mai creduto che
potesse esistere una felicità così grande da farle addirittura male...
Chiuse gli occhi, e le lacrime le scorsero lungo le guance.
"Ti
amo anch'io, Joe..." disse, altrettanto piano.
Si
abbracciarono, e rimasero lì, stretti l'uno all'altra, mentre la luce del
sole li scaldava come mai aveva fatto prima di allora.
E
venne il momento di partire. La nuova base era pronta, e i nove cyborgs con il
dottor Gilmour contavano di stabilirvisi in giornata. Kenji aveva deciso che
sarebbe rimasto al laboratorio, dove avrebbe collaborato, con il suo corpo e
la sua mente, alle ricerche del collega del dottor Gilmour; pensava che la sua
presenza sarebbe stata molto più utile lì, dove si svolgevano ricerche e
sperimentazioni al fine di contribuire al progresso e al miglioramento delle
condizioni del pianeta. E comunque non sarebbe mai tornato a vivere con Joe e
gli altri: aveva capito che sarebbe stato meglio così per tutti loro. Joe
aveva tentato di dissuaderlo, ma Kenji era stato irremovibile, e Joe alla fine
aveva ceduto: non aveva senso cercare di costringere l'amico a seguirlo,
quando lui aveva preso la sua decisione sicuramente riflettendoci molto.
Quando
si salutarono, Joe gli disse: "Allora... Sei proprio sicuro di non voler
venire con noi?"
"Sì,
Joe." confermò lui "Sono sicuro. Vi ringrazio di avermi accolto e
di avermi fatto stare con voi, ma... Ti assicuro che è meglio così. Ho
capito che il mio posto non è lì... Ma non ti preoccupare. Me la caverò
benissimo anche da solo! E poi..." proseguì sorridendo "Non ti
dimenticare che sono ancora innamorato di Françoise! In fondo, non ti
conviene che io venga con voi!"
Anche
Joe sorrise: "Spero di rivederti." disse, sinceramente. "Forse,
un giorno. chissà..." fece Kenji.
I
due amici si abbracciarono.
"Grazie
di tutto." disse Kenji. Joe non disse nulla.
Anche
gli altri salutarono Kenji, e quando venne il turno di Françoise, lui le
disse piano: "Perdonami per quello che ho fatto, Françoise. Vi auguro di
essere felici..."
"Lo
so." fece lei "Grazie, Kenji. Davvero."
Quando
giunsero a destinazione era quasi l'alba. Atterrarono vicino a quella che
doveva essere la loro nuova base: anche questa assomigliava in tutto e per
tutto ad una grande villa, ed era più grande della precedente, con le pareti
bianche, il tetto rosso e un parco che la circondava da ogni lato.
Scesero
tutti dal Dolphin.
"Accidenti,
è bellissima!" esclamò Jet con entusiasmo.
"Puoi
dirlo, fratello!" gridò Bretagna che, insieme a Chang, fu il primo a
varcare la soglia, dopo che il dottor Gilmour ebbe aperto la porta ed ebbe
fatto strada all'interno, con in braccio il piccolo Ivan.
"E
c'è anche un lago vicino, proprio come nella nostra vecchia casa!" disse
Punma, seguendoli felice, mentre Geronimo gli andava dietro: come al solito,
il gigante dovette abbassare la testa per passare dalla porta. Anche Albert,
silenzioso come al solito, brillava di soddisfazione mentre entrava.
Jet
si fermò un momento sulla soglia, e si voltò: "Ehi, voi!" fece,
rivolgendosi a Joe e Françoise "Muovetevi, piccioncini!!!" gridò,
prendendoli in giro.
"Insomma,
Jet!" gridò Françoise indignata, agitando un pugno in aria. "Vuoi
smetterla, una buona volta?" Jet entrò in casa sghignazzando.
Joe
prese la mano di Françoise, e le chiese: "Ti piace, tesoro?"
Lei
arrossì, annuì e gli rispose: "Sì, Joe... Mi piace. Ma non è solo
casa nostra." Per un momento parve intristirsi.
"Lo
so..." disse Joe, sempre stringendole la mano nella sua "Ma è la
casa del nostro amore. E la divideremo con i nostri amici." Françoise
sorrise, illuminando il viso di Joe, che le chiese: "Sei felice?"
"Sono
felice." rispose lei senza esitare.
"Anch'io
sono felice." disse Joe.
Sempre
tenendosi per mano, si diressero verso la casa, e mentre entravano, alle loro
spalle iniziò a sorgere il sole: era l'alba. L'alba di un nuovo giorno.
L'alba di una nuova vita.
F
I N E
Torna alla sezione Fanfictions
Note
Ci
sono un paio di cosette che vorrei aggiungere…
Se
qualcuno si è domandato come mai non ho descritto il dialogo tra Joe e Kenji,
quando Joe dice all’amico che è diventato un cyborg, bè, è perché io
proprio non saprei trovare le parole per dire una cosa del genere ad un mio
amico…
Quando
invece Joe gli molla il pugno, non lo accoppa perché anche Kenji è un
cyborg, in fondo…
Tra
l’altro, mentre scrivevo mi venivano in mente determinate canzoni da
affibbiare ad ognuno dei momenti più importanti (per me la vita è una
colonna sonora!).
A
parte “Another Day” dei Dream Theater, che è la mia canzone preferita,
per cui ce l’ho messa dentro direttamente, secondo me sarebbe carino
ascoltare, mentre si legge, anche:
“Slide”
dei GooGoo Dolls, quando Kenji ci “prova” con Françoise.
“Don’t
tell me (what love can do)” dei Van Halen, quando Joe scappa via con la
macchina.
“Wait
for sleep” sempre dei Dream Theater, per Françoise, e “Will I ever
dream” di Kè, per Joe, la notte dopo che è successo il casino, quando lui
è in albergo e lei nel letto.
“I
can’t stop lovin’ you” dei Van Halen, quando vi pare, perchè è troppo
bella!
“Heaven”
di Bryan Adams, nella scena finale.