di Laus
Prologo |
Parte I |
Parte II |
Parte III |
Parte IV |
Parte V |
Parte VI |
Parte VII |
Parte VIII |
Parte IX |
Parte X |
Parte XI |
Parte XII |
Parte XIII |
Parte XIV |
Parte XV |
Parte XVI |
Parte XVII |
Parte XVIII |
Parte XIX |
Epilogo |
<<Ah,
sei qui.>>
Françoise
alzò gli occhi dal giornale che stava leggendo, comodamente seduta sul divano
del salotto.
<<Mi
stavi cercando, Joe?>>, chiese lei piegando il giornale
Il
ragazzo si guardò un po’ intorno: <<Gli altri dove sono andati?>>
Françoise
alzò le spalle: <<Per quel che ne so, Bretagna e Chang sono andati a fare
la spesa, visto che la dispensa è vuota… Albert sta riposando nella sua
stanza… Jet, Punma e Geronimo credo siano andati a vedere un film… il dottor
Gilmore sarà nel suo studio e Ivan sta dormendo, come al solito.>>
Joe
si sedette accanto a lei. Piegò il busto in avanti, appoggiandosi con le
braccia sulle ginocchia. Quindi giunse le mani insieme e se le portò alla
bocca, guardando fisso davanti a sé. Sembrava nervoso.
<<Cosa
c’è che non va?>>, gli chiese lei perplessa.
Joe
abbassò le mani e lo sguardo a terra: <<Dovrei chiederti un
favore.>>
<<Se
posso aiutarti, sarò ben felice.>>, rispose lei perplessa.
Joe
deglutì e restò muto qualche secondo: <<Domani vorrei andare a trovare
mia madre… al cimitero e...>>
Lui
sembrò esitare.
<<E…
cosa?>>, chiese Françoise dopo un po’.
Joe
sospirò, continuando a guardare per terra sfregandosi nervosamente i pollici
delle mani: <<Vorrei che tu mi accompagnassi.>>
<<Cosa?>>
Il
ragazzo la guardò nervosamente: <<Hai sentito benissimo…>>
<<Cioè,>>
disse lei fermando il suo discorso con un mano <<Tu vuoi che io ti
accompagni al cimitero? Ho capito bene?>>
Joe
sospirò e si alzò in piedi: <<Non te l’avrei dovuto
chiedere…>>
Stava
già avviandosi verso le scale che portavano al piano di sopra, ma anche Françoise
si alzò e lo fermò, afferrandolo per un braccio: <<Aspetta, Joe. Io non
ho detto che non ti accompagnerò.>>
Lui
guardò prima il braccio che lo teneva e poi il suo volto: <<Beh, non mi
sembri molto entusiasta. Non voglio che tu ti senta costretta perché te l’ho
chiesto.>>
Françoise
scosse la testa: <<Io ti accompagnerò volentieri. Ma… mi chiedevo solo
perché… cioè… sei sempre andato da solo a trovare tua madre. Perché vuoi
che venga con te?>>
Joe
distolse lo sguardo: <<Il fatto è che… ogni volta è sempre più
difficile. Non mi sento mai così solo come quando mi trovo di fronte a quella
lapide…>> si voltò di nuovo verso di lei <<stavolta ho paura che
non riuscirei nemmeno ad arrivare fino a lì… e quindi ho bisogno di qualcuno
che mi sostenga. Non saprei davvero a chi altro chiederlo se non a te.>>,
concluse posando istintivamente una mano su quella di lei appoggiata sul suo
braccio.
Françoise
annuì e accennò un sorriso: <<Ti accompagnerò.>>, disse facendo
scivolare via il braccio e la mano
Joe
sorrise. Adesso sembrava decisamente più sollevato, come se si fosse tolto un
gran peso dal cuore: <<Ti ringrazio, Françoise… sei
veramente…>>
<<Un’amica.>>,
completò lei avvicinandosi al balcone e rimanendone sulla soglia. Era il breve
momento in cui il sole e la luna si incontrano nel cielo sfumato di rosso. Era
ormai settembre e l’estate stava dando i primi avvertimenti autunnali. Tirava
una piacevole brezza proveniente dal mare.
<<Di
più, molto molto di più.>>
La
voce di Joe le arrivò distrattamente all’orecchio. Si voltò, ma lui era già
scomparso. Si portò una mano al mento, sfiorandoselo con la punta delle dita e
pensando se veramente aveva sentito quelle parole o se invece non fosse stato
l’ennesimo sogno creato dai suoi desideri. Non l’avrebbe mai saputo e non
avrebbe mai avuto il coraggio di chiederglielo.
Si
appoggiò con la schiena allo stipite della porta che dava sul balcone,
ritornando a guardare fuori.
Era
quel momento in cui la luna e il sole si incontrano nel cielo.
Partirono
la mattina dopo, con la macchina di Joe.
<<Sei
mai stata a Kyushu?>>, le chiese Joe dopo un po’ che erano in viaggio.
Françoise,
che stava seguendo il paesaggio attraverso il finestrino, si voltò verso di
lui: <<No, mai. Ne ho sempre sentito parlare molto bene.>>
Joe
annuì continuando a guardare la strada: <<E’ un luogo
affascinante.>>
<<Tua
madre venne a Tokyo per motivi di studio, vero?>>
Joe
annuì: <<Sì, venne qui a frequentare l’università. Ma era di
Nagasaki. Venne a studiare a Tokyo insieme a una sua amica che conosceva dai
tempi delle elementari[1].>>,
gli passò una piccola ombra sul volto <<Fu lei a reclamare il corpo e ad
accompagnarlo a Nagasaki quando mia madre morì. I genitori di mia madre non ne
vollero più sapere di lei quando scoprirono che era rimasta incinta... di un
americano poi… Per loro era un disonore.>>, disse stringendo le mani sul
volante.
<<Non
hai saputo più nulla riguardo ai parenti di tua madre?>>, chiese
istintivamente Françoise.
Joe
strinse la labbra, rimanendo in silenzio.
<<Scusa,
era una domanda indiscreta.>>, disse poi lei abbassando lo sguardo.
Joe
rilassò un po’ i tratti del volto e scosse la testa: <<No, non ti
preoccupare. E’ che… per quel che ne so… sono morti quando è stata
lanciata la bomba[2].
Credo che, di fatto, la famiglia Shimamura si sia estinta.>>
Françoise
restò in silenzio guardando Joe con uno sguardo triste. Poi tornò a volgersi
verso il finestrino.
<<Lo
so cosa stai pensando.>>, le disse Joe dopo un po’.
Françoise
lo guardò appena un attimo con la coda dell’occhio: <<E
sarebbe?>>
Joe
sospirò e aspettò un attimo prima di lasciar parlare la bocca: <<Che in
fondo la famiglia Shimamura non si è estinta perché io sono pur sempre un suo
membro e porto il suo cognome.>>
Lei
alzò le ciglia, voltandosi verso di lui: <<E’ Ivan che ti ha insegnato
come si fa a leggere nella testa delle persone?>>
Joe
sorrise: <<No… è solo che ti conosco bene.>>
<<In
effetti pensavo proprio a quello…>>
Il
ragazzo divenne di nuovo improvvisamente serio: <<Il punto è che io porto
questo cognome solo perché era quello di mia madre… ma non mi sento di avere
legami particolari con quella famiglia… Voglio dire… quando mia madre aveva
bisogno di loro, l’hanno abbandonata a se stessa. Se non fosse stato per la
Fukushima sarebbe stata completamente sola.>>
<<Fukushima?>>,
chiese lei perplessa.
<<Sì,
Kano Fukushima.>> rispose Joe <<E’ l’amica che ha reclamato il
corpo. E’ restata accanto a mia madre fino a poco dopo che era finita la
guerra. Poi tornò a Nagasaki per accertarsi dei danni causati dalla bomba alla
sua famiglia.>>
Françoise
sorrise: <<Sembra che tu abbia molta stima di lei.>>
<<E’
stata una specie di zia per me.>>, disse lui sorridendo.
<<L’hai
più sentita?>>, chiese Françoise incuriosita.
Joe
scosse la testa: <<Non ho più avuto notizie di lei. Ho provato a
ricontattarla, ma sembra scomparsa nel nulla. Mi piacerebbe rivederla…
quantomeno forse avrei qualche notizia in più su mio padre.>>
Françoise
strinse le labbra in un mezzo sorriso: <<Lo conosceva anche lei
quindi.>>
<<Sì.>>,
disse Joe sospirando.
Françoise
restò in silenzio a guardarlo.
<<Nessun’altra
domanda?>>, chiese Joe dopo un po’.
Lei
scosse la testa: <<Scusa. Non avrei dovuto farti il terzo grado.>>
<<Quale
terzo grado? Sono stato io a parlare…>> disse Joe aggrottando la fronte
<<Sarà che con te mi riesce facile aprirmi.>>
Françoise
sorrise compiaciuta: <<Non sapevo che tu mi considerassi una specie di
confessore personale.>>
<<Non
ho mica detto questo…>>
Joe
sorrise senza aprire le labbra: <<Ho solo detto che con te riesco a
parlare liberamente di cose che ho sempre tenuto per me.>>
<<Un
giorno di questi potrò scrivere la tua biografia segreta, allora.>>,
disse lei sorridendo <<Vedo già il titolo.>>, alzò la mano destra
tenendo distanziati l’indice e il pollice e facendoli correre davanti a sé
orizzontalmente <<”Joe Shimamura: tutto quello che avreste voluto sapere
e non avete mai osato chiedere”.>>
Joe
si mise quasi a ridere: <<E credi davvero che interesserebbe a
qualcuno?>>
Françoise
alzò le spalle, sorridendo: <<A me sì.>>
Joe
si voltò un attimo guardandola con un lieve sorriso disegnato sul volto. Lei si
era nuovamente voltata verso il finestrino.
Kyushu
era ancora lontana.
Arrivarono
a Nagasaki nel primo pomeriggio.
Joe
parcheggiò l’auto nel parcheggio di un grande cimitero. Uscirono entrambi
dall’auto.
<<Sei
sicuro di non voler andare da solo?>>, chiese Françoise restando ferma
dalla parte in cui era scesa.
Joe
la guardò con un’espressione indecifrabile: <<Comincia proprio adesso
il difficile. E poi… ormai sei venuta qui.>>
Françoise
sorrise appena: <<Va bene. Come vuoi.>>
Si
incamminarono verso l’entrata. Era una bella giornata e il clima era perfetto.
Spirava un piacevolissimo soffio di vento. Françoise si fece istintivamente il
Segno della Croce entrando. Poi si accorse che Joe la stava osservando con uno
strano sorriso sulle labbra.
<<Scusa…
è l’abitudine.>>, disse lei portandosi una mano alla bocca.
<<Scusa
di cosa?>>, chiese lui aggrottando la fronte <<Del Segno della
Croce?>>
<<Beh…>>
<<Françoise,
guardati intorno.>>
La
ragazza fece come gli suggerì Joe. Vide le croci e capì: <<Questo è un
cimitero cristiano…>>
<<Esatto.>>,
confermò Joe <<Secondo te perché mia madre mi ha lasciato sulla
scalinata di una Chiesa?>>
<<Non
pensavo…>>
Joe
alzò le spalle: <<Qui nel Kyushu c’è la più grande comunità
cristiana del Giappone[3].
Anche la famiglia di mia madre lo era.>>
Continuarono
a camminare in silenzio.
<<Ogni
volta, arrivati a questo punto, cominciano a prendermi i crampi allo
stomaco.>>, disse Joe a un certo punto con un tono di voce che non
nascondeva un velato nervosismo.
Françoise
lo guardò con un’espressione comprensiva: <<Trovo che sia molto bello
che tu venga fino a qua apposta per venire a trovare tua madre. Vieni sempre
oggi perché oggi è la data del suo compleanno, vero?>>
<<Sì…>>,
annuì Joe con una voce tremante, quasi balbettando, voltandosi verso di lei
<<Posso prenderti la mano?>>
Françoise
trasalì in un primo momento. Non si aspettava una richiesta del genere.
Joe
se ne accorse e abbassò lo sguardo: <<Scusa… sono stato uno
sfacciato.>>
<<No…
è che…>>, disse lei abbassando a sua volta lo sguardo, visibilmente
imbarazzata.
Non
le venne in mente nient’altro da dire. Tutto quello che le venne da fare fu
cercare la sua mano e stringerla nella sua.
Joe
la guardò sorpreso, ma lei fece di tutto per non incontrare i suoi occhi. Lui
si limitò allora a sorridere e a stringerle la mano a sua volta.
Camminarono
per un po’ lungo i filari di lapidi.
<<E’
qui.>>, disse Joe fermandosi davanti a una lapide.
Françoise
a quel punto sfilò la sua mano da quella di lui. Joe si avvicinò alla lapide,
mentre lei rimase qualche passo indietro. Posò i fiori sulla tomba e poi restò
inginocchiato con la testa bassa per qualche istante, pregando.
Anche
Françoise disse una breve preghiera. Poi sentì dei passi avvicinarsi verso di
loro. Aprì gli occhi e vide una signora sulla quarantina che li guardava
incuriosita.
<<Buona
sera.>>, disse la signora quando si accorse che Françoise si era accorta
di lei.
A
quel punto anche Joe alzò lo sguardo rimettendosi in piedi. Era una signora
molto giapponese, con un paio di occhiali di elegante fattura sul volto e i
capelli corvini tagliati a baschetto. Era vestita con un bell’abito in stile
occidentale e aveva un mazzo di fiori in mano.
<<Buona
sera.>>, dissero Joe e Françoise quasi contemporaneamente.
<<Voi
conoscevate Ai?>>, chiese la signora squadrandoli; ma poi scosse la testa
<<No, siete troppo giovani. Al massimo potreste essere i suoi
figli.>>
<<Veramente…>>,
cercò di dire Joe.
<<Ma
forse…>>, lo interruppe la donna guardando Joe più attentamente
<<Forse tu sei Joe.>>
Joe
le sorrise: <<Sì, sono io. Ma lei…>>
<<Sei
veramente Joe!>>, disse entusiasta la signora sorridente <<Sei
veramente tu. Sei diventato veramente un bellissimo ragazzo, sai? Certo, sono
passati tanti anni… quando ti ho visto l’ultima volta avevi solo pochi
mesi.>>
Joe
la guardò perplesso, senza sapere bene cosa pensare. Incrociò lo sguardo con
quello di Françoise che era perplessa almeno quanto lui.
Il
ragazzo guardò ancora una volta la donna: <<Scusi, signora ma
lei…>>
<<Oh,
che sbadata.>>, disse lei portandosi una mano alla testa <<Logico
che tu non mi abbia riconosciuto. Sono passati tanti anni e tu non puoi certo
sapere chi sono. Io sono Kano, Kano Fukushima.>>
Joe
divenne il ritratto stesso dello stupore: <<Lei è Fukushima-san?>>
<<Sì,
Joe. Sono proprio io.>> rispose lei con un inchino <<Sono molto
felice di vedere che stai bene.>>
<<E’
incredibile.>>, disse Joe <<Stavamo parlando di lei proprio oggi. Ma
dove era finita? Ho provato a cercarla, ma senza successo.>>
Fukushima
si avvicinò alla lapide dell’amica, posandovi sopra il suo mazzo di fiori e
restando in silenzio un attimo, pregando dentro di lei. Poi si rivolse
nuovamente a Joe.
<<Sono
successe tante cose da allora.>>, disse sospirando <<Quasi tutta la
mia famiglia è morta quando è caduta la bomba. Il resto è morto a causa delle
radiazioni. Andatasene anche Ai, non avevo veramente nessuno che mi legasse a
questa terra. Mi sono trasferita negli Stati Uniti e sono rimasta là.>>
Gli
occhi della donna si spostarono su Françoise, che era rimasta in disparte.
<<Questa
è una mia amica.>>, disse Joe precedendo la domanda di Fukushima <<Françoise
Arnoud.>>
<<Molto
piacere signora Fukushima.>>, disse Françoise piegando il busto.
<<Il
piacere è mio.>>, disse la donna inchinandosi a sua volta.
<<E’
qua in vacanza?>>, chiese Joe alla donna.
<<In
un certo senso sì.>>, rispose lei <<La realtà è che… ho
accompagnato una persona. Un mio amico americano... Voleva fare un viaggio in
Giappone e mi ha chiesto di accompagnarlo… per fargli da guida.>>
<<Capisco.>>,
disse Joe.
<<Kano,
finalmente ti ho trovata.>>
I
tre si voltarono verso un uomo dai tratti chiaramente occidentali che li aveva
raggiunti.
<<Sei
tu che ti sei perso.>>, gli disse lei <<Ti presento Joe Shimamura e
la sua amica Françoise Arnoud.>>
L’uomo
guardò la donna perplesso: <<Joe… Shimamura.>>
Joe
gli porse la mano: <<Piacere di conoscerla… sì, lo so. Il mio nome è
un po’ strano. Viene dalle sue parti.>>
L’uomo
strinse la mano al ragazzo piuttosto titubante: <<Sì, lo avevo capito…
piacere, io sono Carter. Jo.. Joseph Carter.>>
Lo
sguardo dell’uomo si spostò su Françoise, che stava osservando attentamente
la scena. Carter le porse la mano, con un’espressione sorridente:
<<Piacere, signorina…>>
Françoise
strinse la mano dell’uomo: <<Arnoud, Françoise Arnoud.>>
<<Quanto
resterete qui?>>, chiese Joe alla donna.
<<Partiremo
stasera, verso le 8, da qui per Osaka. Ci fermiamo un paio di giorni là e poi
partiremo domani l’altro da lì con lo Shinkansen[4]
delle 12 per Tokyo. Vediamo… oggi è martedì… sabato partiamo da Narita
alle 10 per tornare negli Stati Uniti.>>, rispose lei.
<<Beh,
noi dobbiamo andare.>>, disse Joe <<Avevamo deciso di tornare a
Tokyo in nottata.>>
<<A
Tokyo… stai sempre là?>>, chiese Fukushima.
<<Sì,>>
disse Joe annuendo <<ormai mi sono stabilito lì.>>
<<Capisco.>>,
disse Fukushima <<Mi fa piacere di averti rincontrato, Joe.>>
<<Arrivederci,
Fukushima-san.>>, disse Joe; poi si rivolse a Françoise
<<Andiamo?>>
Françoise
restò in silenzio, guardando l’uomo che adesso stava guardando la tomba della
madre di Joe.
<<Françoise?>>
<<Sì,
andiamo.>>, disse lei <<Arrivederci, signora.>>
La
donna annuì in segno di saluto e poi li guardò allontanarsi verso l’uscita.
Aspettò che fossero abbastanza lontani e quando fu sicura che non la sentissero
si voltò a guardare l’uomo, che adesso era proprio inginocchiato di fronte
alla lapide.
Fu
lui per primo a parlare: <<E così è lui.>>, disse senza staccare
gli occhi dalla tomba.
<<Già,
è proprio lui.>>, disse lei <<Vuoi lasciarlo andare via così?>>
L’uomo
non si voltò: <<Non ho il coraggio di dirglielo, Kano.>>
<<Lo
immaginavo…>>, rispose lei sospirando.
<<Mi
basta sapere che sta bene.>>, disse Carter <<Assomiglia molto ad
Ai…>>
Kano
restò in silenzio alcuni secondi. Poi si strinse nelle spalle:
<<Assomiglia molto anche a te, Joe.>>
Intanto
gli altri due erano arrivati alla macchina. Françoise aveva sentito tutto e le
sue impressioni si erano rivelate esatte. Sin da subito aveva notato che
l’uomo aveva un’aria troppo familiare per essere una semplice coincidenza.
Ma non sapeva se dirlo a Joe. Lo guardò tornare da una fontanella alla quale si
era rinfrescato un po’. Si chiedeva se anche lui avesse avuto qualche dubbio.
<<Che
cosa c’è?>>, le chiese guardandola.
Françoise
trasalì: <<Niente… perché?>>
Joe
aggrottò la fronte: <<Avevi una faccia strana.>>, disse.
<<Non
ho niente.>>, cercò di rassicurarlo sorridendo, o almeno cercando di
farlo.
Ma
lui continuò a guardarla perplesso mentre saliva in macchina. Quando anche lei
fu salita, Joe mise in moto e si incamminò.
A
un certo punto si dovette fermare a un semaforo. Guardò Françoise preoccupato.
Continuava ad apparirgli strana.
<<Françoise,
sei sicura di stare bene?>>, le chiese.
Lei
lo guardò cercando di avere un’espressione serena: <<Sì, certo. Sto
benissimo.>>
Joe
non sembrava affatto convinto: <<Sei stanca forse? Vuoi che ci fermiamo
qui per la notte?>>
<<Eh?
No no…>> “Però se rimanessimo qui…” <<Anzi…>> disse
illuminando il proprio viso <<lo sai che non è una cattiva idea? Così
posso vedermi la città per bene. Ho sempre sentito dire che è molto
bella.>>
Joe
sembrò soddisfatto della risposta, mentre intanto ripartiva al verde:
<<Bene. Allora ti porto subito a fare un giro e poi cerchiamo un buon
albergo. Ti va?>>
<<Direi
che va benissimo.>>, disse lei sorridendo.
<<Bene.>>
Cominciarono
così a fare un lungo giro per la città. Nagasaki è un crocevia di culture.
Qui occidente e oriente si incrociano per un incontro dal gusto particolare.
Videro
la chiesa di Oura e Glover Park, passarono accanto Nijuroku Seijin Junkyochi e
visitarono l’Holland Hill. Il distretto di Urakami, con il Monumento
Commemorativo e il Parco della Pace, e la Cattedrale costruita nel 1925 per
servire la numerosa comunità cristiana. Il Tempio di Suwa con il suo splendido
parco, e i due templi cinesi, il Kokufu-ji e il Sofuku-ji[5].
Purtroppo non c’era tempo che per uno sguardo breve, ma fu comunque una bella
giornata, sufficiente per mettere un po’ di problemi nel dimenticatoio. Il
fatto che potessero passarla insieme non era che la ciliegina sulla torta. Ma
questo era qualcosa che i due sapevano ognuno nel proprio intimo e che non
avrebbero mai detto all’altro.
Era
quasi ora di cena quando si fermarono al Megane-Bashi, sulla sponda del corso
d’acqua che vi passava sotto. Il cielo era di un bel colore rosso sfumato e
contribuiva a rendere l’atmosfera piuttosto suggestiva. Erano seduti uno
accanto all’altro sulla “riva”[6]
<<E’
proprio vero che il riflesso di questo ponte sull’acqua sembra quello di due
occhiali.>>, disse Françoise guardando.
<<Beh,
si chiama così apposta.>>, disse Joe.
<<Hai
avvertito gli altri che non torniamo stanotte?>>, gli chiese voltandosi
verso di lui.
<<Sì.>>,
rispose lui facendo dondolare le gambe sull’acqua <<Per fortuna mi ha
risposto Gilmour.>>
<<Perché
“per fortuna”?>>, le chiese con uno sguardo interrogativo
Joe
la guardò chiedendosi se veramente non avesse capito: <<Non avevo voglia
di sentire le solite battute.>>
Françoise
si limitò ad annuire, abbassando gli occhi e stringendosi nelle braccia,
rabbrividendo mentre un soffio di vento fresco le mosse i capelli e le sfiorò
la pelle.
<<Sta
arrivando l’autunno.>>, disse Joe togliendosi la sua giacca e
posandogliela sulle spalle.
<<Grazie.>>,
disse lei sorridendo <<L’autunno arriva come tutti gli anni. E’ un
segno che il tempo non si ferma.>>
Joe
annuì, tornando a guardare l’acqua: <<Vero.>>
<<Alla
fine sei riuscito a rivedere la signora Fukushima.>>, disse Françoise
cambiando discorso.
<<Non
me lo sarei mai aspettato.>>, rispose Joe <<Non me la ricordo molto,
ma non è molto diversa da come l’ho vista nelle fotografie.>>
Françoise
lo guardò perplessa.
<<Qualcosa
che non va?>>, chiese lui vedendola assorta.
<<No,
solo…>> rispose lei <<Scusa se te lo chiedo, ma in quelle
fotografie non si vede tuo padre?>>
Joe
alzò le ciglia sorpreso. Evidentemente non si aspettava la domanda e
soprattutto l’argomento.
<<Scusa.
Era una domanda indiscreta.>>, disse lei abbassando lo sguardo.
<<No,
non si vede.>>, rispose Joe voltandosi in avanti <<Di mio padre per
certo so solo che era un soldato americano di stanza in Giappone ai tempi della
guerra e che, finita la guerra, è tornato negli Stati Uniti. Non so altro, né
tantomeno che aspetto avesse.>>, si voltò verso di lei <<Perché
questa domanda così all’improvviso.>>
<<Non
volevo metterti in difficoltà. Scusami.>>
<<Nessun
problema. Ho passato difficoltà peggiori.>>
Joe
le sorrise nello stesso modo in cui Carter le aveva sorriso quando le aveva
strinto la mano. Fu forse quella la molla.
<<Vorresti
ancora conoscere tuo padre?>>, gli chiese guardandolo malinconica.
Lui
la osservò un po’ sorpreso. Poi distolse lo sguardo, muovendo le labbra come
se stesse rimuginando sulla domanda.
<<Se
potessi… certo che mi piacerebbe vederlo.>>, disse dopo un po’
<<Mi basterebbe sapere che faccia ha e… magari chiamarlo “papà” una
volta. Una sola mi basterebbe.>>
Françoise
annuì. Poi tornò a guardare il fiume sospirando profondamente.
<<Joe.>>,
disse con un tono di voce grave che lo fece quasi trasalire <<L’uomo che
oggi era insieme a Fukushima al cimitero…>>
Si
fermò raccogliendo il respiro.
<<Quell’uomo…
cosa?>>, chiese Joe nervosamente.
<<Quell’uomo
è tuo padre.>>, rispose lei, tutto d’un fiato,chiudendo gli occhi.
Joe
rimase silenzioso, attonito, scandendo quelle parole a una a una nella sua mente
parecchie volte per accertarsi di non aver capito male.
<<Ne
sei proprio sicura?>>, le chiese dopo parecchio tempo.
Françoise annuì, stringendosi dentro la giacca di Joe: <<Sì, Joe. Ne sono assolutamente sicura.>>
La
stazione di Nagasaki era piena di gente. Joe arrivò trafelato nell’atrio e
alzò subito gli occhi verso il tabellone delle partenze.
Destinazione
Partenza
Binario
OSAKA
8.10 PM
5
Si
lanciò correndo verso il sottopassaggio proprio mentre lo speaker della
stazione annunciava la partenza di quel treno sul quale si trovava anche suo
padre. Che lo stava di nuovo portando via da lui.
Scese
di corsa le scale e fece lo slalom tra le persone che lo guardavano incuriosite.
Se
solo avesse potuto usare l’acceleratore… Sarebbe bastato schiacciare
quell’interruttore della sua bocca. Fu sul punto di farlo… ma si fermò. Non
poteva. Non lì davanti a tutti. Non gli restava che correre il più velocemente
possibile.
Rischiò
di investire un paio di persone che evitò per un pelo. Salì di corsa le scale
che lo portavano al marciapiede del binario 5. Inciampò a metà della
scalinata, ma si rialzò subito.
Finalmente
arrivò sul marciapiede… ma ebbe appena il tempo di constatare che il treno
era partito e vedere la sua coda scomparire dietro una curva in lontananza. Restò
a guardare verso quella curva per un istante lunghissimo, come se stesse
aspettando che il treno tornasse indietro. Ma non successe.
Fece
qualche passo all’indietro, poi si voltò e camminò in avanti. Invece di
prendere il sottopassaggio, si mise a sedere su una panchina sul marciapiede.
Guardò ancora una volta nella direzione in cui il treno era scomparso. Rimase
così a lungo, con la testa vuota, incapace di formulare anche un solo pensiero
compiuto.
<<Tutto
bene, signore?>>
Joe
alzò gli occhi. Si trovò davanti un anziano capostazione che lo stava
guardando con aria piuttosto preoccupata.
Joe
annuì: <<Sì, grazie… ero solo soprappensiero.>>
<<Maglio
così…>>, disse l’uomo <<Mi scusi… forse non sono fatti
miei… ma credo che quella ragazza stia aspettando lei. E’ da un bel po’
che è lì ferma a osservarlo.>>
Joe
guardò nella direzione indicata dall’uomo e vide Françoise con le braccia
conserte accanto all’uscita del sottopassaggio. Dette un’occhiata
all’orologio. Era lì da più di quaranta minuti.
Si
alzò dal suo posto e la raggiunse a piccoli passi. Si guardarono negli occhi un
istante, per poi abbassarli quasi subito. Ma nessuno dei due disse una parola
per un po’.
<<Non
hai fatto in tempo, vero?>>, gli chiese spezzando un silenzio che
cominciava a essere imbarazzante per tutti e due.
Joe
scosse la testa, senza dire una parola.
Françoise
strinse le labbra, abbassando lo sguardo a sua volta e restando in silenzio
qualche istante.
Quando
la rialzò Joe notò che aveva gli occhi inumiditi.
<<E’
tutta colpa mia.>>, gli disse.
Joe
aggrottò la fronte: <<Françoise, non dire sciocchezze…>>
Françoise
scosse la testa veementemente : <<No, avrei dovuto dirtelo prima... a
quest’ora lo avresti incontrato e gli avresti potuto parlargli…>>
<<Françoise…>>
<<Mi
dispiace… mi dispiace veramente.>>
Se
la vide correre via per il sottopassaggio senza avere nemmeno il tempo di
rispondere. Cominciò a inseguirla istintivamente, ma non era facile raggiungere
una persona che scappa in mezzo a una folla di persone.
La
inseguì per tutto il sottopassaggio e nell’atrio. Non avrebbe mai pensato che
fosse così veloce.
Usciti
dalla stazione, la vide attraversare di corsa la strada quando l’aveva quasi
raggiunta.
<<No!>>
Raccolse
tutte le sue forse e la spinse via.
SCREEEEK!
Un
nanosecondo dopo la macchina lo prese in pieno scaraventandolo a parecchi metri
di distanza.
Françoise
guardò Joe sconvolta e impietrita. Fu un sollievo vederlo muoversi, rialzarsi e
camminare verso di lei.
<<Joe…>>,
lo chiamò quando fu abbastanza vicino a lei da poterlo toccare.
<<Sto
bene… non ti preoccupare.>>
<<E’
sicuro di stare bene?>>, chiese l’uomo che evidentemente era alla guida
dell’auto che lo aveva preso in pieno.
Joe
gli sorrise: <<Sì, non si preoccupi. Davvero. Come vede, sono tutto
intero.>>, gli disse. Poi si rivolse a Françoise prendendola per un
braccio <<Andiamo?>>
Joe
la condusse via velocemente mentre la gente intorno guardava incuriosita. Non
era cosa da tutti i giorni vedere un uomo scampare illeso a un incidente del
genere.
Arrivarono
in breve alla macchina.
<<Joe…>>
Lui
le lasciò il braccio e si voltò verso di lei guardandola dritto negli occhi:
<<Françoise, adesso ascoltami bene.>> le disse con un tono
tranquillo ma deciso.
Lei
cercò di abbassare la testa, ma lui le mise una mano sotto il mento
costringendola a guardarlo: <<Tu non sei assolutamente responsabile di
niente in questa storia.>>
<<Ma…>>
<<Niente
“ma”.>> gli disse posandole un dito sulle labbra <<Non è un
danno così enorme che non l’abbia visto oggi. Lo vedrò a Tokyo. Giovedì
saranno là con lo Shinkansen e poi… Lo so perché non mi hai detto niente.
Avevi paura che saperlo mi avrebbe ferito ancora di più. In fondo neanche lui
si è voluto rivelare.>>
Le
tolse il dito dalle labbra, ma lei restò comunque in silenzio, pur senza
abbassare lo sguardo.
<<Ci
ho preso?>>, le chiese dopo un po’.
Lei
si limitò ad annuire.
<<Françoise…>>
strinse un attimo le labbra <<E’ uno di quei momenti in cui… ho
bisogno che tu mi stia vicino… non che mi scappi davanti agli occhi.>>
Françoise
respirò profondamente: <<Hai ragione… scusami.>>, gli disse
prendendo la sua mano.
Joe
le sorrise e poi, improvvisamente la trasse a sé e l’abbracciò forte. Françoise
rimase interdetta un attimo, senza sapere bene come reagire. Poi, lentamente,
lasciò che le sue braccia lo stringessero delicatamente e appoggiò la testa
sulla sua spalla
Era
solo un abbraccio, ma avrebbe voluto che durasse per sempre.
<<Ti
sta bene quella camicia.>>, gli disse Françoise osservandolo dopo che era
uscito dalla toilette della stanza d’albergo dopo essersi fatto una doccia.
<<Beh,>>
disse Joe guardandosi <<Vorrà dire che ad Albert[7]
regaleremo qualcos’altro per il suo compleanno. Non potevo certo andare in
giro con la camicia strappata.>>
Françoise
sorrise e si avvicinò a lui, cominciando ad aggiustargli il colletto.
<<Anche
quel vestito l’hai comprato oggi?>>, le chiese respirando il suo
profumo.
<<Finalmente
l’hai notato.>>, gli disse sorridendo <<Non ci speravo più. Però
è buffo.>>
<<Che
cosa?>>, le chiese porgendole la cravatta.
Lei
lo guardò perplessamente divertita: <<Non hai ancora imparato ad
allacciarla per bene?>>
<<Tu
lo fai molto meglio di me.>> le disse <<E sinceramente mi fa anche
un certo piacere che sia tu a farlo.>>
Françoise
gli strappò praticamente la cravatta dalle mani sorridendo e cominciò a
legargliela intorno al collo.
<<Cosa
è buffo?>>, le chiese nuovamente.
Lei
non alzò gli occhi, continuando a controllare il lavoro che stava facendo:
<<Che io debba comprare un vestito di Chanel in Giappone.>>, gli
disse concludendo l’opera <<Andiamo?>>
Joe
annuì, prendendo anche la giacca e infilandosela.
Françoise
era già sulla porta.
Lui
la osservò un attimo. Quello che indossava era un abito abbastanza elegante, ma
non da sera. Un vestito “normale” si potrebbe dire. Ma le stava veramente
bene. Pensò che fosse bellissima e sentì qualcosa dentro.
<<Françoise?>>
Lei
inclinò la testa: <<Sì?>>
<<Sei
veramente sicura di non volere una stanza tutta per te?>>, le chiese.
<<Ti
ho già detto che non me la sento di lasciarti solo stanotte.>>, gli disse
<<In fondo abbiamo già dormito insieme una volta. Ed era una
matrimoniale, non una doppia. Sono sicura che non mi salterai addosso. Ti
conosco anche troppo bene.>>
Joe
la guardò mordendosi il labbro inferiore. Avrebbe voluto dirle che da quella
volta era passato tanto tempo ed erano successe tante cose di cui lei non era a
conoscenza. Ma si tenne tutti questi pensieri per sé e si limitò ad annuire.
Uscirono
dalla stanza e si recarono verso l’ascensore.
Stavano
per chiudere le porte quando videro una coppietta avvicinarsi di corsa verso di
loro.
Joe
fermò le porte dell’ascensore mettendo una mano in avanti, facendole riaprire[8].
<<Grazie.>>,
disse l’uomo facendo un accenno di inchino.
<<Prego.>>,
rispose Joe sorridendo.
Erano
al 7° piano. L’ascensore cominciò a scendere.
L’uomo
si rivolse alla sua compagna, cominciando a usare il linguaggio dei segni. Joe e
Françoise li sbirciarono con la coda dell’occhio, notando le fedi che
portavano agli anulari.
I
due ebbero un breve dialogo a gesti, che durò più o meno fino al pianoterra.
Giunti a destinazione i due salutarono Joe e Françoise con un breve inchino.
<<Arrivederci.>>,
disse l’uomo.
<<Arrivederci.>>,
dissero Joe e Françoise quasi all’unisono.
Li
guardarono dirigersi verso l’uscita dell’albergo. Poi loro svoltarono per il
ristorante. Un cameriere li condusse al loro tavolo.
<<Guarda,
c’è una bellissima vista sul mare da qui.>>, disse Françoise guardando
verso la finestra che stava loro accanto.
Joe,
a dire il vero, se ne accorse solo in quel momento. Guardò anche lui ed
effettivamente doveva ammettere che era uno spettacolo niente male: <<Hai
ragione. D’altronde è un albergo di alta categoria questo.>>
Françoise
lo stava osservando incuriosita, con una mano a reggersi il mento: <<Sì,
ho notato dalla qualità della spugna degli accappatoi.>>
<<Ho
qualcosa che non va?>>, le chiese perplesso.
<<Mi
sembri un po’ nervoso.>>, gli rispose sorridente.
Joe
alzò le spalle: <<Mi chiedevo cosa si siano detti quei due sposini
prima.>>
<<Beh,
lui le ha detto: “Sei bellissima, stasera”. Lei ha risposto: “Grazie. Sei
un tesoro”. “Beh, è la verità”. “Adulatore”. Poi hanno fatto una
breve pausa e lui le ha detto: “Non saprei come vivere senza di te… tu mi
completi[9]”.
E lei ha risposto: “Siamo due metà che si completano a vicenda. Siamo nati
per stare l’uno con l’altro.”>>
<<”Tu
mi completi?”>>, chiese Joe <<Le ha detto proprio così?>>
Françoise
annuì: <<Credo che sia un concetto molto bello.>>, disse
<<Come dire a una persona che è una parte indispensabile di te.>>
<<Credo
di avere ben presente il concetto.>>, disse Joe sorridendo appena.
Françoise
sorrise: <<Perché? C’è una persona del genere anche per te?>>
Joe
cambiò espressione, guardandola interdetto.
<<Scusa.>>,
disse lei distogliendo lo sguardo e raccogliendo le mani sotto il tavolo.
<<Era
una domanda indiscreta.>>
Joe
cominciò a tamburellare le dita sul tavolo, abbassando gli occhi: <<No…
cioè.>>
<<Scusate,
signori.>>
Il
cameriere alzò un coperchio e un buon odore di ottimo pesce fresco arrivò alle
loro narici.
Dopo
che il cameriere ebbe servito, si allontanò. Scese un silenzio abbastanza
imbarazzante.
<<Direi
che sarebbe meglio mangiare prima che si raffreddi.>>, disse lei dopo un
bel po’ accennando un timido sorriso.
Joe
annuì un po’ a malincuore: <<Credo che tu abbia ragione. Bon appetit.>>
Dopo
cena, risalirono in camera. Fu Joe l’ultimo a entrare. Chiuse delicatamente la
porta dietro di sé, mentre osservava Françoise che si era fermata accanto alla
finestra e guardava il mondo là fuori.
Joe
fece qualche passo all’interno della stanza. Poi si fermò, esitante se andare
avanti o meno. Nella stanza… nella sua vita… in tutto. L’unica luce che
entrava nella stanza era quella lunare. Joe restò fermo a osservarla per
qualche istante. Si sentiva come un’auto a cui non entra la marcia giusta per
partire. Era in pole, ma la marcia non voleva innestarsi. E lui aveva una paura
folle che il motore si fermasse. Un’altra volta.
Si
tolse la giacca e la cravatta e le posò sullo schienale di una sedia. Si portò
la mano all’orologio, per toglierselo. Ma istintivamente lo guardò un attimo.
Poi lo sfilò dal polso e lesse l’iscrizione sul retro del quadrante[10].
Lo
posò delicatamente su un tavolo. Poi guardò nuovamente Françoise. Sembrava
non essersi mossa di un millimetro. Cominciò ad avvicinarsi a lei,
silenziosamente. Le si mise accanto, con le mani in tasca.
<<Che
cosa stai guardando?>>, le chiese.
Françoise
scosse la testa: <<Niente di importante. Questa vista mi mette
malinconia.>>
<<Perché
prima hai cambiato discorso?>>, le chiese voltandosi verso di lei per
studiare la sua reazione.
Lei
trasalì visibilmente e restò in silenzio qualche secondo. Poi si voltò verso
di lui, incontrando il suo sguardo: <<Prima o poi l’avresti fatto tu,
no?>>
Joe
annuì: <<Di solito è così…>>
Lei
tornò a guardare verso il mare: <<Ti ho solo preceduto…>>
<<Ma,
forse, stavolta non lo avrei fatto.>>
Lei
si voltò di scatto, con un’espressione di sorpresa e sbigottimento sul volto.
Le labbra semisocchiuse poi si chiusero lentamente, ma da esse non uscì alcuna
parola.
<<Non
ho più voglia di… girare intorno al traguardo senza mai raggiungerlo.>>
riprese Joe voltando completamente il corpo verso di lei e appoggiandosi con la
spalla al vetro <<L’unica persona che…>>
<<Joe!>>,
esclamò lei fermandolo <<Joe, non voglio illudermi ancora…>>
<<…
Il risveglio dal sogno diventa più brusco ogni volta in più.>>, completò
lui <<Era questo che stavi per dire?>>
Françoise
lo stava guardando con la classica espressione di chi non sa bene cosa pensare:
<<Più o meno… ma tu come?>>
Joe
alzò un attimo la testa, girando le pupille negli occhi. Poi tornò a
guardarla: <<In un certo senso queste parole me le hai già dette.>>
<<E
quando lo avrei fatto?>>, chiese lei sempre più perplessa.
Joe
esitò un attimo, ma sapeva che arrivato a quel punto poteva solo andare avanti:
<<In un sogno. Me le hai dette in un sogno.>>
<<E…
E cosa hai detto… dopo… in quel sogno?>>
<<Che…>>,
si fermò un attimo scostandosi dal vetro, ma rimanendo fermo lì e raccogliendo
le idee <<ti ho risposto che… non ho mai voluto illuderti e
che…>>
Si
bloccò improvvisamente, abbassando gli occhi e mordendosi un labbro.
<<Che?>>,
lo punzecchiò lei appoggiandosi con la schiena al vetro ma continuando a
guardarlo.
Joe
raccolse un profondo respiro: <<Che avevo solo paura.>>, le disse
<<Ti ricordi che il giorno del mio compleanno sei uscita con Jet
per…>>
<<Sì,
me lo ricordo.>>, rispose le annuendo <<Quando ci hai inseguito. E
allora?>>
<<In
quel sogno ti ho detto che questo fatto… mi aveva fatto… rodere di gelosia e
che la sola idea di… vederti insieme a un altro uomo mi fa
impazzire.>>
Joe
si fermò nuovamente, guardandola.
Lei
aspettò qualche istante. Adesso sembrava leggermente più rilassata: <<E
poi?>>
Joe
strinse le labbra, rimuginando un po’: <<Tu cosa avresti detto a questo
punto?>>
Françoise
sorrise appena: <<Sei tu il narratore.>>
<<Ma
questo non è un sogno.>>
Lei
distolse lo sguardo appena un attimo, sospirando. Poi ritornò a cercare i suoi
occhi: <<Io ti avrei detto che…>>, fece una lieve smorfia con le
labbra quasi aspettasse che le parole giuste le passassero per la bocca
<<Ti avrei detto… ti direi che è assolutamente inutile essere gelosi.
Di Jet poi… Lui sa benissimo quali sono i miei sentimenti… Non si
azzarderebbe mai…>>, distolse lo sguardo <<Sa bene che sono
innamorata di te.>>
Lui
era rimasto silenzioso a guardarla e non disse niente neanche allora.
<<Tu
cosa dici a questo punto?>>
Joe
si appoggiò con la schiena al vetro, accanto a lei: <<Io a questo punto
dico che… tutte le persone che ho amato… prima o poi se ne sono andate…
Non sopporterei di perdere anche te… E’ per questo che mi bastava averti
almeno come amica.>>
<<Bastava?>>,
sottolineò subito lei.
<<Credo
proprio che adesso non mi basti più.>>, rispose lui abbassando gli occhi.
Li rialzò nuovamente, cercando i suoi <<Ti amo troppo per potermi
accontentare.>>
I
due si guardarono l’un l’altro per un lungo momento. Joe, dopo un bel po’
si scostò dal vetro e fece un paio di passi in avanti, allontanandosi
leggermente da lei.
<<Adesso
avresti un buon motivo per andare a dormire da sola.>>, le disse
voltandosi solo dopo aver detto l’ultima parola.
<<Il
sogno finiva con me che me ne andavo?>>
Joe
la guardò divertito: <<Vuoi saper come finisce il sogno?>>
Lei
si limitò ad annuire.
Joe
respirò profondamente. Si avvicinò a lei, guardandola fisso negli occhi. Fu
questione di pochi secondi. Le cinse la vita con le braccia, in un abbraccio
forte, ma delicato, e poi unì le sue labbra a quelle di lei. Françoise rimase
con le braccia inerti per qualche secondo, ma poi le alzò, cingendogli il
torace a muovendole su, fino a mettergliele intorno al collo. Fu un bacio lungo
e intenso, quasi a riprendere tutto il tempo perduto.
Dopo
un bel po’, Joe separò gradualmente le labbra da quelle di lei, restando con
la fronte attaccata alla sua e sentendo il suo respiro ora un po’ affannoso
sul suo volto.
<<Resta.>>
disse guardandola negli occhi <<Resta qui con me… domattina vorrei che
non ti svegliassi nel tuo letto… A questo punto tu dovresti restare in
silenzio e abbassare lo sguardo… e poi…>>
<<Mi
fai una ragazza così facile?>>, gli chiese inclinando la testa
lateralmente.
<<Non
era questa la battuta, mademoiselle.>>
Si
guardarono un attimo in silenzio. Poi a entrambi scappò una mezza risata. I
loro occhi si incontrarono un’altra volta e la mezza risata si soffocò in
gola ad entrambi. Le loro labbra si avvicinarono. Quando si toccarono fu una
specie di scarica elettrica, ma nessuno dei due si ritrasse, concedendosi sempre
di più al bacio dell’altro. Françoise sentì le mani di Joe muoversi leggera
sulla stoffa del suo vestito, dal fianco su, lentamente fino alla schiena. Sentì
il vestito allargarsi intorno al suo corpo e scivolarle giù. Le
mani di lui spostarsi leggere lungo la sua schiena fino all’allacciatura del
suo reggiseno.
Joe
la sentì trasalire e si bloccò improvvisamente, staccandosi appena da lei,
timoroso di essersi spinto troppo in là. Ma quando lei cominciò a lavorare con
i bottoni della camicia di lui, uno per uno, fino a sfilargliela; quando sentì
le sue mani muoverglisi sul petto fino alla cintura dei suoi pantaloni, non ebbe
più indugi
Finirono
di spogliarsi l’un l’altro, quasi senza accorgersene. Si portarono sul letto
più vicino e cominciarono a esplorare ognuno il corpo dell’altro. Il timore,
la paura di sbagliare, tutti i confini e i muri eretti tra loro in tanto tempo
crollarono sotto le carezze, le profonde sensazioni il tocco dell’uno
provocava all’altro.
Mano
a mano subentrava una naturale dimestichezza, come se fossero state due metà di
una stessa essenza, destinate ad essere una cosa sola. Due metà che si fossero
cercate da sempre e che ora che si erano finalmente ritrovate dovevano solo
riconoscersi. Dovevano finalmente fare quello per cui erano nate: completarsi.
Le
si era addormentata sul petto ed era una bellissima sensazione. Joe le
accarezzava i capelli con una mano, sfiorandoglieli appena, mentre l’altra la
teneva dietro la testa. Non si accorse nemmeno delle prime luci dell’alba che
entravano attraverso i vetri della finestra.
Si
sentiva leggero, come se si fosse tolto un enorme peso dal cuore. E tranquillo.
Ripensò a tutto quello che era successo il giorno prima. La visita a sua madre,
l’incontro-non incontro con suo padre, il giro per la città, la cena, la
notte appena passata, tutta la sua vita. No, non si era mai sentito così
tranquillo e rilassato in vita sua. Non aveva praticamente chiuso occhio tutta
la notte, eppure non sentiva minimamente la stanchezza addosso.
Sentì
la testa di lei muoversi appena. Joe fermò la mano che le stava accarezzando i
capelli, temendo di averla svegliata proprio lui. Poco dopo Françoise aprì gli
occhi, lentamente e a intermittenza, finché non si furono abituati alla luce.
Poi alzò la testa verso di lui. Lo guardò un attimo con un’espressione
neutra, quasi sbigottita.
<<Buongiorno.>>,
disse lui dolcemente, riprendendo ad accarezzarle i capelli.
Sul
volto di lei si illuminò un sorriso: <<Buongiorno.>>
Dopodiché
si mosse staccando il capo dal suo petto, mettendosi di fianco, in modo che la
sua testa fosse all’altezza di quella di lui.
<<Perché
già sveglia?>>, le chiese mettendosi di lato in modo da guardarla negli
occhi.
<Che
ore sono?>>
Joe
ci pensò un attimo: <<Uhmmm…. Non ne ho proprio idea… ma sarà
prestissimo.>>, disse cominciando ad accarezzarla sotto il lenzuolo.
Gli
portò una mano sul braccio, cominciando a muoverla delicatamente avanti e
indietro, quasi danzando con i polpastrelli lungo il suo bicipite:
<<Comunque potrei farti la stessa domanda.>>
Joe
sorrise: <<A dire il vero… stanotte non ho quasi dormito.>>
Françoise
aggrottò la fronte: <<Come sarebbe a dire?>>
<<Beh…
avevo paura che se mi fossi addormentato, avrei potuto risvegliarmi nuovamente
da solo… e scoprire di aver fatto solo un altro sogno.>>
Françoise
non disse niente, limitandosi a mostrare un sorriso enigmatico.
<<Cos’è
quel sorriso?>>
Françoise
si mise quasi a ridere: <<No, niente… Sarebbe stato divertente.>>
<<Divertente?>>,
chiese lui perplesso <<Certo che non ti facevo così sadica.>>
<<Ci
sono molti lati di me che non conosci, ancora.>>, disse ridendo appena.
<<Beh,
uno di sicuro.>> disse lui con un mezzo sorriso <<Il tuo corpo ormai
lo conosco a memoria.>>
Lei
arrossì violentemente, dandogli una forte pacca sul braccio: <<Sei
veramente incorreggibile!>>
Lui
si mise a ridere.
Lei
lo guardò un po’ indispettita: <<Però adesso anch’io so qualcosa di
te.>>
Joe
continuò a ridere: <<E cioè?>>
Françoise
sogghignò cominciò a fargli il solletico sullo stomaco.
<<No,
ferma… lo sai che non lo sopporto!>>
Cominciarono
a fare una specie di lotta che durò qualche secondo, fino a quando Joe non le
ebbe bloccato tutte e due le braccia, restando quasi sopra di lei: <<Giuri
che non lo fai più?>>, le disse con un po’ di fiatone.
<<Uhmm…
non so se ti posso fare una promessa del genere…>>
Lui
si appoggiò delicatamente sul letto a pancia in giù, appoggiando il suo corpo
un po’ a lei un po’ al materasso: <<Allora vorrà dire che le tue mani
restano di mia proprietà.>>, le disse guardandola negli occhi e
incrociando le sue dita con quelle di lei.
Restarono
qualche istante in silenzio, riprendendo un po’ di fiato.
<<Joe…>>
<<Uhm…>>
Françoise
esitò un attimo: <<Ho un po’ paura…>>
Joe
aggrottò la fronte perplesso: <<Di cosa c’è da aver paura?>>
Lei
serrò le labbra, distogliendo un secondo gli occhi e serrando le labbra:
<<Ho paura che usciti da qui le cose fra noi due tornino come
prima.>>
Joe
soppesò le sue parole una per una. Forse per la prima volta in vita sua si
doveva essere reso conto di quanto l’avesse fatta soffrire.
Sospirò
profondamente e cominciò ad accarezzarle una guancia delicatamente:
<<Forse c’è una cosa importante che mi sono dimenticato di dirti… o
forse te l’ho detta senza essere stato troppo chiaro.>>
Françoise
trasalì a quelle parole: <<Che… cosa vuoi dire?>>
Lui
accennò un sorriso, lasciando passare dei lunghissimi secondi: <<Che ti
amo. Tu… tu mi completi[11].>>
Lei
non disse nulla, limitandosi a stringere con forza la mano che le stava
accarezzando il volto.
<<Però
devo avvertirti di una cosa.>>, le disse sorridendole.
<<E
sarebbe?>>
<<In
amore sono lunatico, possessivo, geloso, umorale… insomma, non è facile stare
con me.>>
Françoise
sorrise: <<Non è che tu mi abbia detto cose che io non sapessi già.>>
<<Così
non potrai mai dire che non ti avevo avvertito...>>
Lei
lo baciò improvvisamente: <<Se tu sapessi quanto ti amo, capiresti che
questi sono dettagli irrilevanti.>>
Joe
sorrise dolcemente, senza rispondere.
<<E
i miei difetti non li vuoi sapere?>>
Lui
scosse la testa: <<Sono dettagli irrilevanti.>>
<<Copione.>>,
lo canzonò lei sorridendo divertita.
<<Non
sono mai stato una persona originale.>>, le disse, baciandola poi sulle
labbra.
Stavolta
il bacio fu più intenso e la mano di Joe cominciò a scivolare lentamente lungo
il suo corpo. Si scostò da lei solo un attimo per guardarla negli occhi e
capire che lo desiderava quanto lui desiderava lei. Le parole non servivano più.
Qualcuno
bussò alla porta. Gilmour distolse l’attenzione dai fogli che stava leggendo
e guardò l’ora. Era quasi ora di cena.
<<Avanti.>>
La
porta si aprì.
<<Oh,
salve figliola.>>, disse Gilmour vedendo Françoise entrare nella stanza.
<<Salve
professore.>>, rispose lei <<Volevo avvertirla che eravamo
tornati.>>
<<Hai
fatto bene.>>, disse lui alzandosi dalla sua sedia e avvicinandosi a lei
<<Fatto buon viaggio?>>
<<Sì,
nessun problema.>>, rispose Françoise <<Successo qualcosa mentre
noi eravamo via?>>
Gilmour
scosse la testa uscendo dalla stanza. Françoise lo seguì.
<<Per
fortuna,>>, disse l’anziano scienziato <<sembra che i nostri
nemici se la stiano prendendo comoda. Ti dirò che un po’ di relax ci
voleva.>>
<<Ha
proprio ragione.>>
Si
erano incamminati lungo il corridoio che portava alle scale. Le scesero,
trovandosi nel salone.
<<Scacco
matto.>>, disse Ivan rimenendo sospeso in aria con la sua culla.
Bretagna
guardò sconsolato la scacchiera: <<Non è possibile!>>
<<Ma
ancora non ti sei arreso all’idea che non lo potrai mai battere?>>, gli
chiese Jet che stava sdraiato sopra uno dei divani.
<<Ah,
certo. Parli bene tu!>> gli rispose Bretagna <<Non ci provi
nemmeno.>>
<<Io
ho spirito di competizione.>>, disse Jet sbadigliando <<Con Ivan lo
spirito di competizione non c’è. Vince lui e basta.>>
<<Vabbé.>>,
intervenne Albert che era entrato nella stanza in quell’istante <<Con
Bretagna a scacchi ci vinco anche io. Non c’è bisogno di Ivan.>>
<<Ah
sì?>>, disse Bretagna <<Perché non ci facciamo una partita,
allora? Voglio proprio vedere!>>
<<Mi
permetti, Ivan?>>, chiese Albert.
<<Non
c’è gusto a giocare con questo qui.>> rispose il piccolo <<Fai
pure.>>
Detto
questo si adagiò con la culla sul tavolo.
Bretagna
lo guardò stizzito: <<Ma tu guarda che bambino impertinente…
AHI!>>, esclamò portandosi una mano alla testa <<Ma che è
stato?>>
<<Uhm…
credo che sia stato questo libro.>>, disse Françoise raccogliendo un
enorme tomo che era caduto dietro di lui.
<<Quel
bambino non ha il minimo senso dell’umorismo…>>
<<Beh,
allora te le cerchi.>>, gli disse Albert che stava rimettendo a posto i
pezzi degli scacchi.
<<Va
bene va bene. Ritiro tutto.>>, disse Bretagna scuotendo le mani.
<<Tanto
si è addormentato.>>, disse Françoise avvicinandosi a Ivan e prendendo
la culla in braccio.
Si
diresse di nuovo verso le scale, andando al piano di sopra per portarlo nella
sua stanza.
<<E
Joe dov’è?>>, chiese Gilmour guardandosi intorno.
<<Sono
qui.>>, disse il ragazzo entrando nella stanza dall’esterno.
<<Dove
sei stato?>>
<<Sono
andato a fare due passi al promontorio.>>
Albert
mosse il suo pezzo: <<L’ho sempre detto che sei un animo
romantico.>>
Chang
venne fuori dalla cucina con il suo cappello da cuoco in testa: <<Non
riesco ad aprire questo barattolo, maledizione.>>
<<Ma
come puoi non riuscire ad aprire un semplice barattolo?>> chiese Jet
sorpreso <<Sei un cyborg, no?>>
<<Beh,
io ci provo ma non si apre.>>
Jet
si alzò dal divano: <<Da’ qua!>>
Cominciò
a cercare di svitare il barattolo, ma senza successo.
<<E’
impossibile.>>, disse guardando sconsolato il barattolo.
<<Uhmm…
dai a me.>>, disse Gilmour.
Jet
guardò il professore perplesso: <<Con tutto il rispetto, ma non ci siamo
riusciti noi e vuole riuscirci lei?>>
Gilmour
gli sorrise: <<Eh, caro Jet. Voi avete la forza, ma io ho la conoscenza.
Dammi quel barattolo.>>
Jet
scrollò le spalle e porse il barattolo al professore, il quale si diresse in
cucina e tornò poco dopo con un batticarne in mano.
<<Questo
andrà bene.>>, disse.
<<Vuole
aprire un barattolo con un batticarne?>>, chiese Jet sempre più
perplesso.
Gilmour
posò il barattolo su un tavolo e cominciò a sbattere con colpetti precisi il
batticarne sul lato del barattolo, fino a quando non si sentì una specie di
soffietto. Quindi posò il batticarne sul tavolo e svitò il coperchio senza
alcuna fatica.
<<Visto?>>,
disse mostrando il risultato del suo successo.
<<Ma….>>,
Jet era sbigottito.
<<Dovrei
insegnarvi un po’ di fisica.>>, disse il professore con un sorriso largo
quanto la faccia <<Il barattolo era sottovuoto. E per questo che non è
facile aprirlo. Se lasci entrare l’aria all’interno del barattolo, il vuoto
scompare e non ci vuole la forza di un cyborg per aprirlo. Basta anche un
vecchio come me[12].>>
<<La
ringrazio professore.>>, disse Chang tornando di corsa in cucina.
Joe
si guardò intorno: <<Dove…>>
Gli
altri aspettarono per un po’ che finisse la sua domanda.
<<Dove…
cosa?>>, chiese Jet dopo un po’.
Joe
scosse la testa: <<Niente niente. Vado in camera mia.>>
Detto
questo si diresse verso le scale e salì su. Arrivato in cima alle scale si
diresse verso camera sua. Quando era arrivato alla sua porta, sentì una porta
aprirsi in fondo al corridoio. Voltò la testa e il suo sguardo si incrociò con
quello di Françoise. Lei invece di andare in camera sua, si avvicinò a lui.
Joe
aprì la porta ed entrò in camera: <<Hai portato Ivan in camera
sua?>>, disse mentre andava ad aprire la finestra.
<<Sì,
si era appena addormentato.>>, disse Françoise mettendosi accanto a lui
che si era affacciato alla finestra.
Joe
rimase silenzioso, guardando in lontananza.
<<Stai
pensando a lui?>>, gli chiese dopo un po’.
Lui
si limitò ad annuire.
<<Beh,
domani potrai vederlo qui a Tokyo, anche se lui non lo sa…>>
<<Se
solo non sapessi dove trovarlo, mi sarei fermato a Osaka.>>, disse Joe
<<Mi chiedo come la prenderà… in fondo non ha voluto parlarmi al
cimitero. Se avesse voluto farlo, avrebbe detto chi era…>>
<<Forse
non si aspettava di trovarti lì.>>, disse Françoise <<Non dev’essere
stato facile nemmeno per lui. Un bel colpo… immagino.>>
Joe
la guardò con la coda dell’occhio: <<Come al solito hai ragione
tu.>>
<<Come
al solito?>>
Lui
annuì: <<Immagino che penserai che gli assomiglio… caratterialmente
intendo.>>
<<Cioè?>>,
chiese lei perplessa.
Joe
sospirò: <<Invece di affrontare i problemi tendo ad evitarli.>>
<<Più
che evitarli li rimandi.>>, rispose lei sorridendo.
Joe
restò in silenzio, guardandola perplesso.
Rimasero
immobili per qualche minuto, poi improvvisamente Françoise voltò la testa
verso la porta.
<<Credo
che sia pronto.>>, disse dirigendosi verso l’uscita
<<Andiamo?>>
Joe
annuì e la seguì. Ma prima che lei aprisse la porta la prese per una mano e la
fece voltare verso di lui, baciandola senza neanche darle il tempo di dire una
sillaba.
<<Posso…
posso venire in camera tua stanotte?>>, le chiese tenendola stretta a sé,
quando le loro labbra si separarono.
<<Ma
non avevi detto che per il momento preferivi che gli altri non
sapessero?>>, gli chiese sfiorandogli il mento con le dita.
<<Appunto
per questo ho detto “camera tua”.>>
Lei
aggrottò la fronte: <<Non vedo la differenza…>>
Joe
sorrise: <<Françoise, tu sei l’unica ragazza in una casa con nove
uomini…>>
<<Otto
uomini.>>, lo corresse <<Ivan è un bambino.>>
<<Ivan
ha un cervello superiore a quello di un adulto.>>
<<Ti
assicuro che per molti versi è in tutto e per tutto un bambino.>>
Joe
rimase un attimo a bocca semiaperta, rimuginando: <<Vabbé, in fondo sono
nove lo stesso. Geronimo vale per due.>>
<<Vuoi
sempre avere ragione, eh?>>
Joe
sorrise: <<Va bene, diciamo che sei l’unica donna in una casa di
uomini.>>
<<Uhmm…
e allora?>>
<<Allora
almeno bussano prima di entrare in camera tua. In camera mia entrano e
basta.>>, spiegò lui <<E poi è più isolata rispetto alle
altre.>>
Lei
si mise quasi a ridere: <<In questo caso…>>
Lui
avvicinò di nuovo le sue labbra, ma lei si scostò: <<Joe, dobbiamo
andare.>>
Joe
sembrò piuttosto contariato: <<Beh, non ci hanno ancora chiamato,
no?>>
<<A
TAVOLAAAAAAAAA!>>
Joe alzò gli occhi al cielo, sospirando: <<Chang non ha proprio il senso del tempismo.>>
Françoise
aprì gli occhi. Vide Joe che si stava rivestendo.
<<Ma
che ore sono?>>, gli chiese.
Joe
si voltò e le sorrise: <<Presto. Sono appena le sei.>>, le rispose
<<Scusa, non volevo
svegliarti.>>
<<Non
importa.>>, disse lei.
Lui
si sedette sul bordo del letto: <<Sei sicura di non volermi
accompagnare.>>
Françoise
annuì: <<Credo che sia giusto che sia un momento solo vostro. Io sarei
solo un terzo incomodo.>>
Joe
cominciò ad accarezzarle la guancia: <<Non potresti mai essere un terzo
incomodo.>>
Lei
scosse la testa: <<E’ meglio così, credimi.>>
<<Come
vuoi.>>, concluse lui sospirando <<Adesso è meglio che vada in
camera mia.>>
Lei
si limitò a sorridergli.
Joe
si piegò su di lei per un ultimo bacio prima di uscire dalla stanza. Chiuse la
porta con delicatezza e fece rotta verso camera sua, quando si accorse che…
<<Professore…>>
<<Buongiorno,
Joe.>>, gli rispose l’anziano scienziato.
Joe
si fermò chiedendosi se…
<<Sì,
ti ho visto.>>, gli chiarì i dubbi Gilmour avvicinandosi a lui <<Ti
va un caffè?>>
Joe
lo seguì in cucina e si mise a sedere al tavolo, mentre Gilmour si metteva a
preparare il caffè. Dopodiché si mise a sedere davanti a lui.
<<Dimmi,
Joe. E’ quello che sembra?>>, gli chiese con un tono di voce che Joe non
seppe interpretare.
Il
ragazzo restò in silenzio qualche istante, poi sospirò: <<Sì, è quello
che sembra.>>
Gilmour
a quel punto sorrise: <<Era ora, ragazzi miei.>>
<<Professore!>>
<<Non
ti preoccupare.>>, disse Gilmour sempre sorridendo <<Se tu vuoi…
se voi volete che gli altri non lo sappiano io sarò una tomba.>>
<<Grazie.>>,
disse Joe abbassando lo sguardo.
<<Però
ti devo avvertire di una cosa.>>, gli disse Gilmour tornando a un tono
serio.
Joe
fece un’espressione perplessa.
Gilmour
si alzò e andò a prendere un barattolo con dei biscotti dentro. Quindi si
rimise a sedere sgranocchiandone uno.
<<Vedi
Joe, io non ho mai avuto figli.>>, disse <<Per me voi siete un po’
come dei figli. Lo sai vero?>>
Joe
annuì: <<Certo…>>
<<Ecco.
Quindi, visto che non sopporterei di veder soffrire un mio figliolo, se solo la
farai soffrire te la vedrai con me. Scusa se te lo dico, ma ti smonto pezzo per
pezzo. Sono stato abbastanza chiaro?>>
Joe
alzò le ciglia, deglutendo. L'idea non gli piaceva affatto: <<Sì professore, credo proprio di sì.>>, gli
rispose.
Il
caffè borbottò. Gilmour fece per alzarsi.
<<Lasci,
faccio io.>>
Il
ragazzo si alzò e prese due tazze, versandovi poi dentro il caffè. Poi ne
porse una al professore, insieme alla zuccheriera.
<<Grazie.>>,
disse Gilmour.
<<Di
nulla.>>, disse Joe mentre versava un po’ di latte nella sua tazza.
I
due rimasero in silenzio per qualche istante.
<<Professore…>>,
disse improvvisamente Joe che era rimasto in piedi a bere il suo caffè.
<<Dimmi,
ragazzo mio.>>
<<Io
spero di non farla mai soffrire.>>, disse guardando il suo caffè che
faceva rigirare nella tazza <<Per ora posso solo dirle questo. Ma a volte
si fanno soffrire le persone contro la propria volontà…>>
<<E’
già abbastanza, Joe.>>, gli rispose Gilmour in un tono conciliante
<<L’importante è che tu non lo faccia volontariamente.>>
Joe
alzò gli occhi verso di lui e gli sorrise: <<Sa… ieri ho incontrato mio
padre.>>
Gilmour
sgranò gli occhi: <<Che cosa?!>>, disse <<Ma sei sicuro?>>
Joe
annuì: <<Sì, ma lui non si è rivelato. L’ho saputo solo grazie a Françoise.>>
<<Capisco.>>,
disse Gilmour con uno sguardo ora malinconico.
<<So
che oggi arriva a Tokyo con lo Shinkansen.>>, continuò il ragazzo
<<Ho intenzione di andarlo a incontrare. Solo per parlargli…>>
<<Sì,
credo che tu faccia la cosa giusta.>>, disse Gilmour <<Che cosa gli
dirai?>>
Joe
ci pensò un attimo. Poi scosse la testa: <<A dire il vero, non ne ho la
minima idea, professore. Credo che adesso andrò a farmi un giro per schiarirmi
un po’ le idee.>>
<<Va
bene.>>
Joe
posò la tazza nel lavandino e uscì all’esterno. C’era un bel fresco fuori
e il mare era calmo. Cominciò a camminare sul bordo del promontorio, cercando
di svuotare la testa e di rimettere in ordine i concetti. Guardò l’orologio.
Erano appena le 7 del mattino.
Otto
ore, poco più di otto ore e avrebbe incontrato suo padre.
Camminò
ancora a lungo. Rientrò a casa solo verso mezzogiorno.
Trovò
tutto il gruppo raccolto in sala, davanti al televisore. C’era un’edizione
straordinaria del telegiornale.
<<Che
è successo?>>, chiese Joe incuriosito.
<<Robe
da pazzi!>>, rispose Albert <<Un quarto d’ora fa hanno fatto
esplodere una bomba alla stazione di Osaka. Dicono che abbia fatto parecchie
vittime.>>
Joe
entrò come un fulmine nella reception.
La
donna che era al bancone alzò gli occhi perplessa verso quel ragazzo trafelato
che le si fermò davanti: <<Mi dica, signore.>>
<<Sto
cercando Joseph Carter.>>, disse Joe ansimando <<Non so se sia qui.
So solo che a mezzogiorno doveva prendere un treno per Tokyo.>>
La
donna annuì: <<Vediamo subito, signore.>>, disse cominciando ad
armeggiare con la tastiera di un terminale.
Dopo
pochi secondi, che a Joe sembrarono lunghissimi, la donna rialzò gli occhi:
<<Lei è un parente?>>, gli chiese.
Joe
trasalì. Se gli faceva una domanda del genere la cosa doveva essere grave.
Sospirò
profondamente, pensando a cosa rispondere. Poi pensò che in fondo non avrebbe
detto che la verità: <<Sì, sono… un parente.>>
La
donna annuì nuovamente con un’espressione neutrale. Le parole le uscirono di
bocca come se per lei fosse una cosa meccanica ripeterle, una formula standard:
<<Il signor Carter è nel reparto rianimazione. Segua le
indicazioni.>>
Joe
annuì: <<Grazie.>>
Cominciò
a camminare con le gambe che gli erano diventate improvvisamente pesanti. Seguì
le indicazioni e in breve tempo arrivò nel reparto. Chiese a un medico che gli
passò accanto in direzione opposta e arrivò alla stanza che gli era stata
indicata. Lesse la targhetta sulla porta scritta in katakana[13]:
Karuteru, Carter.
Bussò
alla porta.
<<Avanti.>>
Era
senz’altro la voce di Fukushima. Aprì la porta.
La
donna era seduta su una sedia a rotelle accanto al letto, rivolta verso la
porta. Aveva un braccio fasciato e alcuni cerotti sul volto: <<Joe…>>
Joe
richiuse delicatamente la porta dietro di lui, senza staccare gli occhi
dall’uomo inerte sdraiato sul letto attaccato a una macchina, con un
respiratore alla bocca .
<<E’
in coma.>>, disse Fukushima abbassando gli occhi <<I medici dicono
che dipende solo da lui adesso.>>
<<Lei
sta bene?>>
La
donna annuì: <<Me la sono cavata con poco. Solo qualche frammento che mi
ha ferito il braccio e un po’ il volto. E un qualcosa che mi è caduto sulla
gamba e mi ha fatto gonfiare il ginocchio. E’ stato terribile, uno scoppio
terribile…>>
Joe
annuì. Non si era ancora staccato dalla porta, a cui si era appena appoggiato.
Passarono
alcuni minuti di silenzio in cui si sentì solo il rumore regolare dell’encefalogramma
e del rilevatore del battito cardiaco.
<<Fukushima?>>,
disse improvvisamente Joe senza distogliere gli occhi dall’uomo.
La
donna alzò gli occhi, senza dire niente.
<<Io
so tutto.>>, disse Joe con un tono incredibilmente calmo.
Lei
annuì: <<Capisco… è così l’hai scoperto.>>
Qualcuno
bussò alla porta. Joe si scostò per lasciare entrare un’infermiera.
<<Signori,>>,
disse <<Mi dispiace, ma adesso dovete uscire. L’orario di visita è
terminato.>>
<<Va
bene.>>, disse Fukushima <<Vieni Joe. Aiutami. Dobbiamo fare quattro chiacchiere.>>
Joe
annuì e si mise dietro la sua sedia a rotelle spingendola fuori dalla stanza.
Arrivarono all’esterno. Joe si fermò in un punto dove potesse sedersi anche
lui, su un muricciolo. Si misero lì. C’era un leggero venticello, molto
piacevole. Dopo un po’ Fukushima
cominciò il suo racconto.
<<Come
sai bene, io e tua madre eravamo grandi amiche. Abbiamo fatto sempre tutto
insieme. Io sono cresciuta insieme a due fratelli e cugini tutti maschi. Lei è
stata la sorella che non ho mai avuto. Quando decise di andare a Tokyo per
frequentare l’università là, io decisi di seguirla. La guerra era una cosa
lontana allora e noi due eravamo due ragazze piene di sogni con tanta voglia di
arrivare e Tokyo sembrava la città adatta per tutte le nostre ambizioni. Poi la
guerra arrivò anche in Giappone. Tua madre conobbe Joe, tuo padre… così si
faceva chiamare… durante l’ultimo anno di guerra. Fu un colpo di fulmine,
amore a prima vista. Ma un paio di mesi dopo tuo padre fu richiamato in fretta e
furia in patria. A quel punto Ai era già incinta, ma lo scoprì solo poco tempo
dopo e non sapeva dove rintracciare Joe, come dirglielo.
Trovò
il coraggio di tornare a Nagasaki e dirlo ai suoi. Anch’io la accompagnai. E
la riaccompagnai a Tokyo quando decise di tornarvi dopo che suo padre l’aveva
praticamente cacciata di casa. Ricordo che era Natale, gennaio, il gennaio prima
che tu nascessi. Faceva freddo, tanto freddo.
In
un modo o nell’altro riuscimmo a tirare avanti. Mi diceva di lasciarla da sola
e di tornare dalla mia famiglia. Ma non l’avrei mai abbandonata. Non in quelle
condizioni.
E
arrivò maggio. Eri un bambino bellissimo quando nascesti. E Ai decise di
chiamarti come tuo padre, di chiamarti come lo chiamava lei: Joe.
E
poi… ad agosto fu lanciata la bomba su Nagasaki. Io aspettai qualche mese, che
le cose si fossero calmate. Si diceva che non era sicuro andare giù subito…
per le radiazioni. Ma a novembre tornai nel Kyushu a constatare che quasi tutta
la mia famiglia era stata sterminata dalla bomba. Continuai a tenermi in
contatto con Ai.
Poi
un giorno, la nostra vicina di casa mi telefonò mi avvertì che Ai era morta e
che aveva lasciato il suo bambino in un orfanotrofio. Reclamai il corpo e lo
feci seppellire a Nagasaki.
Poi,
come sai, sono venuta a trovarti per qualche anno, quando potevo. Ma poi sono
partita per gli Stati Uniti per lavorare nel distaccamento americano di
un’importante industria giapponese. Sapevo bene l’inglese e questo è
contato molto.
Un
giorno, per caso, in un aeroporto, incontro un uomo dall’aria familiare. Quasi
per provare lo chiamo: <<Joe, sei proprio tu?>>.
Lui
si volta e mi guarda in modo strano. Poi sgrana gli occhi e mi fa: <<Kano!?
Sei proprio tu?>>
E
da lì ci siamo tenuti in contatto e abbiamo passato anche qualche occasione
insieme, come due vecchi amici. Non avevo molti amici fino a quando non ho
rincontrato Joe. Sino ad allora non avevo mai avuto molti amici là… noi
“musi gialli” siamo visti ancora con molta circospezione.
Lui
mi ha accolto in casa sua, mi ha fatto conoscere…>>
Fukushima
si fermò, incerta se continuare.
<<La
sua famiglia?>>, completò Joe.
La
donna annuì: <<Sì. Si è sposato e ha due bellissimi figli. Uno ha 16
anni e la ragazza 13. Il ragazzo ti assomiglia molto.>>
Joe
annuì: <<E così ho due fratelli.>>
<<Già…>>
<<E
come ha saputo di me…>>, Joe alzò la testa verso di lei
<<Come glielo ha detto?>>
Fukushima
ci pensò un attimo: <<Il 16 maggio di un anno fa. Ricordo che ero ospite
a casa sua. Pensavo a te e lui, vedendomi soprappensiero, mi chiese
cos’avessi. Sua moglie era in cucina a fare cena e i figli da qualche altra
parte. Quindi tirai fuori una foto in cui c’eravamo io, Ai con te in braccio.
Eri appena nato lì. E gli dissi che quel bambino era suo figlio… Sapeva già
che Ai era morta, ma non che avesse dato alla luce un bambino.>>
Joe
restò in silenzio, giocherellando con un filo d’erba che aveva strappato da
terra.
<<Sai
una cosa, Joe?>>, disse Fukushima dopo un po’.
Lui
si limitò ad alzare la testa.
<<Quella
foto… lui la tiene sempre nel portafoglio.>>
Joe
chiamò il professor Gilmour e lo avvertì della situazione. Poi tornò su nel
“reparto rianimazione”. Si mise a sedere su uno dei divani della sala
d’aspetto. Restò immobile, seduto nello stesso punto per ore.
<<Joe.>>
Alzò
lo sguardo fino ad allora praticamente sempre rivolto a terra: <<Françoise?>>
Si
alzò e la raggiunse. Sembrava molto stanco.
<<Come
sta?>>, gli chiese.
Joe
si stropicciò gli occhi: <<Facciamo due passi fuori. Ti va?>>
Lei
annuì e lo seguì. La portò nel giardino esterno. Si sedettero sotto un
albero, restando per parecchio tempo in silenzio.
<<E’
grave.>>, disse Joe dopo un bel po’ <<I medici non hanno molte
speranze. Ci vorrebbe un miracolo.>>
Françoise
non disse nulla. Non sapeva cosa dire né come dirglielo nel modo più delicato
possibile.
<<Evidentemente
è destino che io non possa parlargli da figlio a padre.>>
<<Non
dire così…>>
<<Ho
scoperto di avere due fratelli, cioè un fratello e una sorella. Fukushima dice
che il ragazzo assomiglia molto a me… e una matrigna.>>
Françoise
si sentiva sempre più impotente ogni secondo che passava.
<<Sai
qual è la cosa che più mi fa andare in bestia?>>, le disse mettendosi la
testa fra le mani <<Che lui è venuto qui per me… è venuto qui solo per
incontrare me. Se…>>
<<No.
Non dire così!>>, lo interruppe mettendogli le mani sulle spalle e
guardandolo in volto quando lui alzò gli occhi verso di lei <<Non dirlo o
tutto quello che ha fatto sarà inutile.>>
<<Ma
è colpa mia se adesso è in quella stanza di ospedale!>>, cercò di
protestare in preda a una rabbia confusa <<E’ colpa mia se…>>
<<No,
Joe. Tu non hai nessuna responsabilità in questo.>>, gli disse con tono
deciso <<Io credo che lui sia stato felice di incontrarti, almeno una
volta. E sono sicura che avrete modo di parlarvi, sono sicura che sopravviverà.>>
Joe
restò immobile per qualche secondo. I suoi occhi avevano cominciato a diventare
umidi. Appoggiò delicatamente la testa sul petto di lei, cominciando a piangere
sommessamente e abbracciandola, come un bambino con sua madre. Françoise lo
strinse a sé, lasciando che si sfogasse.
Restarono
così per parecchio tempo.
Joe
infine si staccò da lei. Aveva gli occhi gonfi e l’aria ancora più stanca di
prima: <<Grazie.>>, disse <<Io non so veramente come farei
senza di te…>>
<<Non
c’è niente di cui ringraziarmi, Joe.>>, gli rispose aiutandolo ad
alzarsi in piedi <<So bene che non è sufficiente.>>
<<Però
aiuta.>>, rispose lui con un sorriso malinconico e appena accennato
<<Aiuta molto.>>
Lei
sospirò abbassando per un momento gli occhi: <<Joe, c’è una cosa che
ti devo dire.>>
Lui
aggrottò la fronte, senza dire nulla.
<<Oggi,
nello scoppio della bomba, è morto un importante diplomatico che si batteva in
prima linea per portare la pace tra il suo paese e quello
confinante. Quindi il dottor Gilmour pensa…>>
<<I
Fantasmi Neri!>>
Françoise
annuì: <<E’ molto probabile, Joe.>>, disse <<Adesso il
governo dello stato del diplomatico pensa che l’attentato sia stato
organizzato dallo stato avversario e quindi ha immediatamente troncato le
trattative di pace.>>
Joe
adesso stava stringendo i pugni così forte da lacerarsi quasi la pelle. Si girò
di scatto e tirò un violento pugno contro l’albero dietro a lui. Tanto forte
da lasciare un grosso segno sulla corteccia.
<<Maledetti!>>,
imprecò appoggiando la fronte all’albero e sbattendovi il pugno sopra
<<Mi hanno privato di tutto! Adesso anche mio padre! Ma stavolta me la
pagheranno cara! Lo giuro!>>
Anche
gli altri cyborgs, insieme al dottor Gilmour, erano giunti a Osaka per indagare
sullo scoppio della bomba.
La
notizia della morte del funzionario diplomatico aveva insospettito il dottor
Gilmour. Poteva anche essere solo un caso, una coincidenza. Ma poteva anche non
esserlo. E in quel caso poteva esserci lo zampino dei Fantasmi Neri.
007,
trasformatosi in poliziotto, stava controllando la zona in cui era scoppiata la
bomba, proprio in sala d’aspetto, che era stata recintata e chiusa al
pubblico.
<<Accidenti.
Ci vorrebbe 003 qui per scoprire qualcosa di interessante. E poi avranno già
tolto tutto quello che poteva essere utile… >>
Girovagò
un po’ intorno.
<<007,
rispondi.>>
<<Oh,
003, sei tu.>>, rispose 007 dalla radio nella sua testa <<Dove
sei?>>
<<Sono a una
cinquantina di metri da te, proprio alle tue spalle.>>
<<Ma
non dovresti essere con Joe in questo momento? Lo hai lasciato da solo
all’ospedale?>>
<<… Alla tua
destra c’è un minuscolo frammento di metallo. Saranno due, tre passi da
te.>>
Bretagna
pensò che avrebbe fatto meglio a stare zitto, e si guardò intorno:
<<Vediamo… dimmi quando mi devo fermare.>>, disse muovendosi verso
destra.
<<Adesso!
Attento. Non sarà più grande di uno spillo.>>
007
si chinò e scrutò la zona. Dopo qualche secondo raccolse qualcosa da terra.
Era uno filo di metallo veramente minuscolo. Logico che la polizia non
l’avesse notato. Prese un fazzoletto dalla sua tasca e ve lo ripose
delicatamente dentro. Poi si guardò intorno e uscì dalla sala inosservato.
<<Per
fortuna che c’eri tu. Io non lo avrei mai trovato.>>, disse quando ebbe
raggiunto 003.
<<Andiamo
immediatamente al Dolphin.>>, disse lei <<Dobbiamo farlo analizzare
dal dottor Gilmour.>>
<<Va
bene… Ma… posso chiederti come sta il padre di Joe?>>, chiese Bretagna
con un’espressione preoccupata sul volto.
Françoise
ci pensò un attimo mentre prendeva le chiavi dell’auto dalla borsetta:
<<Purtroppo non si è ancora svegliato.>>
Bretagna
non disse altro e la seguì.
<<Ma
questa è la macchina di Joe!>>, esclamò quando furono arrivati.
<<Sì,
e allora?>>, disse lei aprendola.
<<Ma
tu-tu-tu sei sicura di saperla guidare?>>, chiese lui piuttosto
innervosito <<Voglio dire… scarica parecchi cavalli a terra. Non è
facile…>>
Lei
lo guardò divertita: <<Puoi sempre andare a piedi, se vuoi. Non capisco
la diffidenza di voi uomini riguardo alle donne al volante.>>, rispose
entrando in macchina.
Bretagna
deglutì ed entrò riluttante, non prima di essersi fatto il Segno della Croce.
<<Guarda
che ti ho visto.>>, disse lei appena fu entrato.
Bretagna
riprese le sue sembianze: <<Ma Joe lo sa che la guidi?>>
<<Certo.
E’ stato lui a darmi le chiavi.>>
<<Ma
se non la lascia guidare nemmeno a Jet!>>
Françoise
sospirò mettendo in moto: <<Per tua informazione, da Nagasaki a Tokyo ho
guidato io… e mi sembra che siamo tornati a casa sani e salvi, no?>>,
disse <<Però sei sempre in tempo a scendere. Il Dolphin però è un po’
lontano. E’ anche vero che potresti trasformarti in uccello e volare fino a là.>>
<<No
no… mi fido.>>, disse lui sforzandosi di sorridere.
<<Bene.>>,
rispose lei sorridendo e avviandosi in tutta tranquillità.
Bretagna
restò in religioso silenzio mentre lei guidava tranquillamente tra le strade di
Osaka, senza alcuna difficoltà. In tutto il tragitto, nonostante stop e
semafori rossi, riuscì a non farla mai spegnere e arrivarono a destinazione
senza particolari problemi.
<<Sei
ancora vivo?>>, gli chiese quando furono all’interno del Dolphin.
<<Sì.>>,
rispose lui laconicamente mentre entravano nella sala di comando <<Devo
ammettere che te la cavi abbastanza bene.>>
<<Oh,
siete arrivati.>>, disse Gilmour voltandosi verso di loro.
007
si mise una mano in tasca: <<Professore, ho trovato questo frammento alla
stazione…>>
<<Ehem.>>,
si fece notare 003.
007
la guardò storto: <<Cioè lei
ha trovato e io ho raccolto questo frammento. Credo che ci debba dare
un’occhiata.>>, disse porgendogli il fazzoletto.
<<Vado
subito nel laboratorio a controllare.>>, disse l’anziano scienziato
uscendo dalla stanza.
Quando
fu uscito Bretagna si rivolse a Françoise: <<C’era bisogno di essere
così pignoli?!>>
<<Ma
monsieur, se non ci fossi stata io lei non avrebbe trovato un fico
secco.>>
<<Ha
ragione lei.>>, disse Chang aspirando una boccata dalla sua pipa
<<Non è giusto prendersi i meriti degli altri, mio caro Bretagna. No no
no.>>
<<Nessuno
ti ha interpellato!>>, gli urlò in faccia Bretagna stizzito.
<<Ooh,
siamo nervosetti oggi, eh?>>, gli disse tranquillamente Chang soffiandogli
il fumo in faccia e andandosene.
<<Cough…
cough… Maledetto…>>
Il
resto del gruppo rise divertito nel vedere la scena.
In
quell’istante Gilmour rientrò nella stanza. Aveva un’espressione piuttosto
seria.
<<Professore,>>,
chiese 004 <<Ha scoperto qualcosa?>>
Gilmour
annuì gravemente: <<Sì. Si tratta senz’altro di un frammento di
materiale esplosivo. E’ senz’altro un nuovo composto, potentissimo, non
trovabile sul mercato. Il che mi lascia sempre più convinto che dietro ci sia
il Fantasma Nero. Hanno approfittato dell’occasione per sperimentare il nuovo
esplosivo e per uccidere quel diplomatico. Hanno preso due piccioni con una
fava.>>
<<Il
paese di quell’uomo ha già annunciato che le trattative di pace sono
interrotte.>>, disse 008 incrociando le braccia.
<<Ma
così la sua morte è stata totalmente inutile!>>, urlò 002 sbattendo un
pugno sulla sua console <<Non lo capiscono quegli idioti!>>
Gilmour
sospirò: <<Purtroppo gli uomini trovano molto più facile menar le mani
che ragionare. Il ragionamento richiede sforzo mentale e intellettuale. La forza
fisica richiede solo di essere messa in pratica.>>
<<Non
ci resta che partire subito per quel Paese. Secondo me è là che si muoveranno
quei bastardi adesso.>>, propose 002.
<<Probabilmente
hanno degli infiltrati nelle fila del governo.>>, disse 004
<<Dobbiamo partire immediatamente!>>
<<Ma…
009?>>, chiese 003.
Gli
altri la guardarono interdetti.
<<Beh,>>,
disse 002 <<Non credo che in questo momento sia in grado di sostenere una
battaglia…>>
<<E
questo l’hai deciso tu?>>
Il gruppo si voltò
verso la porta.
<<Joe…>>,
disse Françoise sorpresa.
<<Non
resto qui ad aspettarvi.>>, disse lui guardandoli a uno a uno in faccia
<<Vengo con voi.>>
<<Ma…>>,
cercò di protestare 008
<<Niente
“ma”. Qui tanto non posso fare niente e ho intenzione di farla pagare molto
cara a quei bastardi. Non sopporterei di restare con le mani in mano. Non farei
che demoralizzarmi ancora di più.>>
Tutti
restarono in silenzio. Non avevano mai visto quella luce negli occhi di Joe e
sapevano che qualunque cosa gli avessero detto, lui non avrebbe desistito.
Il dottor Gilmour guardò i suoi ragazzi ad uno ad uno: <<Allora è deciso. Si parte subito.>>
In
un paese del Medio Oriente si era appena conclusa una riunione tra il presidente
e il suo ministro della difesa, Mohammed Sahib.
Sahib
era appena rientrato nel suo studio privato, dove trovò ad aspettarlo un uomo
intabarrato di nero, con grandi occhiali da sole che gli nascondevano gli occhi.
L’uomo in nero stava guardando la capitale fuori dalla finestra.
<<Com’è
andata?>>, chiese al ministro quando ebbe richiuso la porta dietro di sé.
Il
ministro ridacchiò: <<Tutto come previsto.>>, disse Sahib prendendo
un sigaro da un contenitore posto sulla sua scrivania <<Il popolo è in
rivolta, vuole vendicare la morte di quello stupido pacifista, che era molto
amato tra la sua gente. Il presidente non può far finta di nulla. La guerra è
a un passo.>>
L’uomo
si voltò, con un ghigno di soddisfazione disegnato sul volto: <<Bene,
molto bene.>>, disse ridacchiando <<E naturalmente noi vi forniremo
tutte le armi di cui avrete bisogno.>>
Sahib
ridacchiò: <<Certo, certo. Sarà un piacere fare affari con voi.>>
Intanto
anche nello stato confinante si stava concludendo una specie di consiglio di
guerra nel Parlamento.
<<Noi
non abbiamo fatto niente.>>, stava urlando un parlamentare
<<Se attaccassimo sarebbe come ammettere di aver ucciso noi
quell’uomo.>>
<<Se
non attacchiamo>>, rispose il generale Hassan, comandante in capo delle
forze armate <<lo faranno loro e noi saremo completamente impreparati.
Dobbiamo coglierli di sorpresa!>>, concluse sbattendo il pugno sul tavolo.
<<Che
la cosa sia messa ai voti!>>
E
il voto fu una schiacciante vittoria a favore della guerra.
Un
uomo stava guardando il tutto visibilmente soddisfatto da una base segreta
nascosta sottoterra. Si versò un altro calice di vino e lo gustò lentamente,
assaporando il suo trionfo imminente.
<<Darscher!>>
L’uomo
spinse un bottone sul suo scranno e l’immagine sul monitor cambiò.
<<Salve.>>,
disse ai volti severi dei tre capi dei Fantasmi Neri che lo guardavano.
<<Come
procedono le cose?>>, chiese quello di destra.
Darscher
sorrise: <<Bene. Entrambi gli stati sono pronti alla guerra. Noi venderemo
armi a entrambi.>>, disse ridendo <<Questa guerra sarà molto
vantaggiosa per i Fantasmi Neri.>>
<<Molto
bene, Darscher.>>, disse quello di sinistra <<Ti stai comportando
egregiamente. Anche la nuova bomba ideata da te ha funzionato a dovere. Sarà
sicuramente un prodotto che ci frutterà parecchi soldi in futuro.>>
<<Se
tutto andrà bene,>> intervenne quello centrale <<sarai ricompensato
adeguatamente.>>
Darscher
abbassò la testa in segno di ringraziamento: <<Vi ringrazio,
signori.>>
<<Ma
ricorda che un tuo fallimento equivarrebbe alla tua condanna a morte, Darscher.>>,
continuò il centrale.
<<Il
mio piano è assolutamente perfetto.>> replicò Darscher <<Neanche
009 e i suoi compagni saranno in grado di evitare questa guerra.>>
<<Bene,
Darscher.>>, concluse il centrale <<Speriamo che il tuo ottimismo
sia giustificato.>>
L’immagine
svanì e Darscher rimase solo nella stanza.
Qualcuno
bussò alla porta.
<<Avanti!>>
Entrò
l’uomo che aveva parlato con Sahib: <<Comandante Darscher, Sahib è
pronto ad attaccare.>>
<<Molto
molto bene.>>, commentò Darscher con un ghigno <<Molto molto
bene.>>
Il
Dolphin era atterrato vicino alla frontiera, su una spiaggia che dava sul Golfo
Persico. I cyborgs avevano deciso di muoversi su due fronti, dividendosi in
entrambi i paesi nel tentativo disperato di scongiurare una guerra che non
sarebbe servita a nessuno.
004,
005, 006 e 008 erano appoggiati a un edificio nella piazza centrale della
capitale, assistendo a un discorso pubblico che il comandante in capo Hassan
stava tenendo di fronte a una folla oceanica.
<<…
e per tutti questi motivi noi non lasceremo che il nemico ci calunni impunemente
di un crimine che non abbiamo commesso. Ma attaccheremo. E vinceremo! Per la
gloria…>>
<<Tsk.>>,
disse sprezzante 004 <<Dicono sempre le solite cose questi
guerrafondai.>>
<<Basta
scaldare un po’ l’animo della gente per ottenere un po’ di
consenso.>>, disse 006 aspirando profondamente dalla sua pipa.
<<Non
c’è niente che possiamo fare qui.>>, disse 008 <<Andiamocene. Mi
sta venendo il voltastomaco.>>
Gli
altri cyborgs stavano girando per le strade dell’altra capitale, alla ricerca
di un qualche indizio che permettesse loro di arrivare al nascondiglio del
Fantasma Nero.
007
si sedette stremato sul bordo di una fontana in mezzo a una piazza: <<Uff…
fa un caldo tremendo e noi non abbiamo un minimo di traccia da cui
partire.>>
In
quel momento un corteo di persone con cartelli e striscioni inneggianti alla
guerra passò di lì.
<<Cosa?>>,
disse 003 improvvisamente.
Gli
altri tre la guardarono incuriositi.
<<Cosa
succede?>>, chiese 009.
003
guardò il corteo passare sotto i suoi occhi, come studiandolo: <<Potrei
giurare che parecchie di quelle persone sono cyborgs!>>
<<EH!?>>,
esclamò 002 sbalordito <<In mezzo a quella gente?!>>
<<Sì,
002. Ne sono assolutamente sicura.>>
Anche
gli altri tre si voltarono a guardare le persone che stavano passando loro
davanti urlando slogan bellicosi e gridando vendetta per il loro amato uomo
della pace.
<<Beh,
credo che vogliano aizzare il popolo in modo da spingere i governanti a
cominciare la guerra.>>, disse 009 <<007 potrebbe infiltrarsi tra
loro e portarci al loro nascondiglio.>>
<<Io?!?>>,
chiese 007 indicandosi per nulla convinto.
Tutti
e tre lo guardarono piuttosto male.
<<Ho
capito, ho capito.>>, disse sbuffando e alzandosi in piedi <<Dove
andremmo a finire se non ci fossi io? 003, indicami uno di quei cyborgs
guerraioli.>>
003
scrutò la folla: <<Guarda, quello che sta tenendo in mano quel cartello e
urla a più non posso. Ha una camicia gialla.>>
<<Bene.>>,
disse 007 trasformandosi in un perfetto cittadino della capitale <<Vorrà
dire che lo seguirò.>>
I
tre lo guardarono allontanarsi e unirsi di soppiatto al corteo. Poi aspettarono
che il corteo fosse passato del tutto.
<<Non
faremmo meglio a tenerlo d’occhio?>>, chiese 002.
<<Ha
una ricetrasmittente addosso. Sappiamo ogni suo spostamento.>>, disse 003
<<E poi il nostro 007 se la sa cavare.>>
002
fece una smorfia di scarsa convinzione: <<Tu hai sempre troppa fiducia
nelle persone, 003.>>, disse incamminandosi.
Lei
scosse la testa cominciando a seguirlo: <<E’ sempre il solito.>>
Improvvisamente
si fermò, notando che Joe si era attardato a guardare qualcosa. Lo guardò
incuriosita, mentre Jet non si era accorto di niente e stava continuando a
camminare.
Françoise
si voltò nella direzione in cui stava guardando Joe e vide un uomo che stava
passeggiando mano nella mano con un bambino. L’espressione sul suo volto si
fece malinconica. Per quanto cercasse di nasconderlo, Joe pensava continuamente
al padre. Era evidente. Avrebbe voluto aiutarlo, ma non sapeva come. Si avvicinò
a lui, lentamente.
<<Joe…>>
Lui
si voltò. Aveva un’espressione incupita. Sospirò profondamente: <<Sì,
arrivo.>>
Cominciò
a muoversi, tenendo lo sguardo fisso a terra. Quando le passò accanto sentì la
mano di lei prendere la sua. Guardò prima la mano, sorpreso, e poi lei.
<<Non
c’è bisogno di fingere, Joe. Sappiamo tutti quanto stai soffrendo.>>
Lui
le sorrise appena, o quantomeno provò a farlo: <<Ti ringrazio… ma…
adesso ho bisogno stare un po’ da solo… scusa Françoise… ma sinceramente
non credo che tu possa sapere...>>
La
presa sulla sua mano si allentò e lui sfilò la mano, delicatamente. La guardò
un attimo, con quella stessa identica indecifrabile espressione che non lasciava
trasparire assolutamente niente dei suoi pensieri, come se si fosse nuovamente
chiuso a riccio dentro se stesso.
Un
attimo, un solo attimo bastò per farle rivedere quel muro tra di loro.
Sentì una specie di brivido correrle lungo la schiena nonostante facesse
un caldo soffocante. Distolse lo sguardo e si raccolse nelle braccia.
Intanto
Jet, accortosi di camminare da solo, si era voltato a guardare la scena. Joe si
stava avvicinando a lui, lentamente. Jet lo seguì passo per passo, camminare
nella strada da cui un vento caldo alzava la polvere a banchi. Lo seguì fino a
quando gli passò accanto.
<<Ehi,
che diavolo hai combinato?>>, gli chiese.
Joe
non rispose e tirò dritto.
<<Ehi!>>,
cercò di richiamarlo Jet.
<<Ci
vediamo al Dolphin, Jet.>>, gli rispose finalmente Joe con un tono di voce
assolutamente inespressivo.
Jet
lo guardò allontanarsi, senza sapere se mollargli un pugno o lasciar perdere.
Scosse la testa e guardò nuovamente Françoise, che era rimasta immobile,
sempre con le braccia conserte. Sospirò profondamente e decise di avvicinarsi a
lei.
Intanto
nella testa della ragazza stava turbinando un nugolo di pensieri, in modo
confusionale e caotico. Le sembrava che l’altalena avesse ricominciato a
muoversi improvvisamente. Era come essere arrivata sulla cima di una montagna e
cominciare bruscamente a scendere.
<<…
oise… Ehi, Françoise!>>
Sentì
una mano appoggiarsi sulla spalla. Alzò gli occhi e si ritrovò lo sguardo
interrogativo di Jet negli occhi.
<<Che
cosa è successo?>>
Lei
rimase ferma, interdetta per qualche secondo. Poi scosse la testa: <<Nulla
Jet, non…>>
<<Nulla
eh?>>, la interruppe <<E allora perché stai piangendo?>>
Sembrò
sorpresa. Non si era nemmeno accorta delle lacrime che le avevano rigato il
volto. Si asciugò immediatamente le guance, con un gesto automatico e
frettoloso.
<<Ne
vuoi parlare?>>, le chiese Jet piuttosto preoccupato.
Françoise
fu quasi sul punto di accettare l’offerta di aiuto, perché non si era mai
sentita così vulnerabile come in quel momento. Esitò un attimo, ma poi scosse
la testa: <<Jet, non ti preoccupare. Passerà… Non prendertela con
lui… Non sta attraversando un momento facile… E’ comprensibile.>>
Jet
fece un mezzo sorriso che assomigliava molto di più a una smorfia: <<Sei
sempre troppo comprensiva con lui, Françoise.>>, le disse <<Non
sono nella posizione per giudicare… ma anche se sta soffrendo non ha il
diritto di far soffrire te…>>
<<Jet!>>,
lo interruppe bruscamente lei, abbassando gli occhi a terra <<Per favore,
lascia perdere.>>
<<Ma…>>
<<Per
favore.>>, disse allontanandosi da lui a grandi passi.
Jet
si voltò per guardarla, sempre più perplesso. La vide allontanarsi da lui
qualche metro, poi rallentare e fermarsi bruscamente. Continuò a dargli solo le
spalle per qualche secondo, dopo i quali si voltò di scatto. Jet se la ritrovò
a piangergli sulla spalla senza nemmeno rendersene conto.
007
rientrò dopo un paio d’ore al Dolphin.
<<Salve,
007. Dove sei stato?>>, gli chiese 006.
L’inglese
sembrò piuttosto sorpreso: <<Come? Del mio gruppo sono il primo?>>,
chiese guardandosi intorno.
<<Non
proprio.>>, rispose 004 << 009 è tornato parecchio tempo fa, ma si
è defilato da qualche parte là fuori.>>
<<Aveva
una faccia strana.>>, aggiunse 005.
<<002
e 003 sono ancora fuori.>>, disse 008.
007
scrollò le spalle: <<Vabbé… mi sono infiltrato in un corteo favorevole
alla guerra perché 003 aveva scoperto che c’erano dei cyborgs in mezzo a
loro. E così ho scoperto il nascondiglio dei Fantasmi Neri.>>
I
quattro cyborgs lo guardarono esterrefatti.
<<Dici
sul serio, 007.>>, chiese Gilmour entrando nella stanza.
<<Certamente,
professore.>>, disse 007 entusiasta <<E’ in una zona desertica non
lontana da qui. E’ sotterrata nella sabbia. Ho messo anche qualche microfono
in giro.>>
<<Uhm…
bene.>>, disse Gilmour lisciandosi la barba <<Dov’è Joe?>>
I
cyborgs si guardarono l’uno con l’altro.
<<Credo
che sia andato a fare una passeggiata sulla spiaggia.>>, disse 006.
<<Capisco.>>,
disse Gilmour <<Beh, posso…>>
<<DOV’E’
QUEL PEZZO DI IDIOTA!?!?>>
L’attenzione
di tutti si spostò su Jet che era entrato come una furia nella stanza e aveva
urlato in un modo tale che l’avrebbero sentito comodamente da Israele.
<<Cos’è
successo Jet?>>, gli chiese Punma a nome di tutti.
<<Voglio
sapere dov’è quell’imbecille!>>, urlò Jet sempre più accalorato.
<<Ma
l’imbecille in questione chi sarebbe?>>, chiese Albert.
<<JOE!!!>>,
tuonò Jet <<Dove accidenti si è cacciato quell’idiota!?>>
Si
guardarono nuovamente l’uno con l’altro.
<<Joe
è andato a fare una passeggiata sulla spiaggia.>>, disse 008
<<Almeno crediamo… ma che ti ha… Ehi, Jet!>>
Jet
era già uscito dalla stanza. Gilmour gli corse goffamente dietro: <<Jet,
aspetta. ASPETTA, ho detto.>>
Intanto
gli altri stavano guardando incuriositi la porta dalla quale Jet era andato via
come se dovesse andare a spaccare il mondo.
<<Che
accidenti gli è preso a quel cavallo pazzo?>>, chiese Bretagna come se i
suoi compagni avessero la risposta.
Albert
allargò le braccia. Poi si guardò intorno: <<Ma Françoise dov’è?>>
<<E’
vero… non è rientrata.>>, disse Punma notandone l’assenza
<<Beh, se le fosse successo qualcosa 002 ci avrebbe avvertito, no? Sarà
fuori anche lei.>>
<<Beh,
io me ne vado a riposare un po’.>>, disse Albert <<E’
tardi.>>
<<Buonanotte.>>,
gli dissero i compagni.
Albert
uscì dalla stanza e si recò nella stanza del Dolphin all’interno della quale
dormivano tutti e nove. Entrato si accorse di non essere solo. Françoise era già
nel suo letto e sembrava dormire profondamente.
“Ma tu guarda…”, pensò guardandola.
Prese il suo pigiama e andò a cambiarsi in un angolo appartato, in modo da non metterla in imbarazzo se si fosse svegliata. Poi tornò al suo letto e stava per sdraiarvisi sopra quando sentì un sussurro dalla voce di lei.
Si voltò e si accorse che stava piangendo.
“Forse
sta facendo un brutto sogno.”, pensò.
Si
sedette delicatamente sul letto accanto a quello di lei.
“Sta
sognando Joe…”, pensò.
Françoise
lo chiamò nuovamente nel sonno, stavolta muovendo anche la mano, quasi a
cercare qualcosa.
Albert
gliela prese istintivamente con la sinistra. Lei sembrò calmarsi a quel punto.
<<Andrà
tutto bene…>>, le sentì dire con un filo di voce <<Andrà tutto
bene.>>
<<Finalmente
ti ho trovato!>>
Joe
stava camminando sulla sabbia e sentendo una voce familiare si voltò di scatto,
giusto in tempo per beccarsi un pugno in piena faccia che lo scaraventò a
terra. Dopo qualche secondo rialzò appena la schiena dalla sabbia, scuotendo la
testa e tastandosi una guancia. Se fosse stato un comune essere umano, un pugno
del genere avrebbe sicuramente rotto qualcosa. Alzò lo sguardo e si vide Jet
che stava in piedi di fronte a lui col pugno ancora chiuso.
<<Ti
è dato di volta il cervello?>>, gli chiese guardandolo rabbioso.
Jet
lo prese per il bavero e lo fece rialzare in piedi: <<Io non so cosa
diavolo ci trovi in un pezzo di merda come te.>>, gli disse con un tono
sprezzante <<Ma, qualunque cosa sia, non puoi prendertene gioco in questo
modo.>>
<<Lei
ti…>>
<<Sì!>>,
disse Jet lasciandolo in malo modo, tanto che per poco non lo fece cadere
nuovamente a terra <<Lei mi ha detto tutto. Stavolta hai fatto veramente
le cose in grande, eh? Non ti sei limitato alle parole dette e non dette. Sei
passato direttamente ai fatti. Ci sei andato a letto, ti ci sei divertito, hai
accettato la sua spalla per piangere e poi l’hai ricacciata indietro, via dal
mondo dei sogni. Fine dell’illusione! Stavolta l’hai proprio
calpestata!>>
Joe
lo stava guardando perplesso e sorpreso. Restò in silenzio senza riuscire a
spiccicare una parola.
<<Cos’è?
Non hai niente da dire?>>, gli chiese Jet spintonandolo.
Quella
spinta sembrò riportarlo alla realtà: <<Io non l’ho voluta
illudere!>>, protestò.
<<Sì,
certo. Come sempre!>>, sbraitò Jet.
<<E’
la verità!... Ci ho fatto l’amore perché ne sono innamorato, non per
divertirmi…>>, urlò Joe <<Non potrei mai farle una cosa del
genere. E’ stata la cosa più bella che mi sia capitata in tutta la mia
vita… Non volevo illuderla, né tantomeno calpestarla…>> esitò un
attimo <<E’… è stata lei a dirti questo? E’ lei che ti ha detto di
sentirsi calpestata?>>
Jet
lo guardò arrabbiato, ma rispose con un tono calmo, seppur poco conciliante:
<<No, non mi ha detto
esattamente questo. Mi ha detto solo che si è sentita molto ferita quando hai
respinto il suo aiuto in quel modo… che è stato come essere ricacciata di
nuovo indietro… Ma come hai potuto dirle che non poteva capirti quando gli hai
pianto una notte intera su una spalla, Joe?! Ti rendi conto di come l’hai
fatta sentire?!>>
Joe
si sedette pesantemente sulla sabbia, come un pugile che aveva incassato troppo
per restare in piedi. Teneva gli occhi fissi a terra, con le braccia appoggiate
sulle ginocchia rialzate.
<<Joe…>>
Joe
scagliò un violento pugno nella sabbia: <<Sono riuscito a rovinare tutto
anche stavolta…>>
Jet
lo guardò in silenzio. Non c’era più rabbia nel suo sguardo. Aveva capito
che non aveva voluto ferirla di proposito, che era stata una reazione istintiva.
Si sedette accanto a lui, restando ancora qualche istante in silenzio.
<<Forse,>>
gli disse dopo un po’ con una calma impensabile fino a poco prima <<E’
proprio perché le hai pianto su una spalla che le hai detto quello,
vero?>>
<<Non
lo so… non lo so.>>, rispose Joe scuotendo la testa.
Jet
sospirò cominciando a raccogliere mucchietti di sabbia per poi lasciarla
ricadere attraverso la mano: <<Joe, anch’io sono cresciuto per strada.
So cosa vuol dire… sapere di non potersi permettere di mostrarsi troppo
deboli… perché se ti mostri debole sei più facile da schiacciare.>>
Joe
non disse nulla.
<<Ma
lei non lo sa, Joe.>>, continuò Jet <<Lei non lo sa. Non sa che si
preferisce piangere da soli piuttosto che farsi vedere piangere. Lei vorrebbe
solo starti accanto… sempre. Se tu glielo impedisci, è come se costruissi un
muro tra te e lei… per lei è così.>>
Jet
si rialzò in piedi: <<Joe, non hai rovinato niente. Devi solo imparare a
capire di non essere solo al mondo e non avere paura di accettare l’aiuto
degli altri. Accidenti,>> disse grattandosi la testa <<vorrei averla
io una Françoise a darmi la spalla quando ne ho bisogno.>>
Jet
studiò l’espressione di Joe che finalmente aveva alzato gli occhi verso di
lui.
<<Ehi
ehi,>> disse ondeggiando le mani davanti a lui <<stavo scherzando.
Non guardarmi così male. Su alzati.>>
Joe
accettò la mano dell’amico e si rialzò in piedi. Improvvisamente, però, Jet
si ritrovò a terra a tastarsi una guancia.
<<Adesso
siamo pari.>>, gli disse Joe guardandolo dall’alto in basso.
Jet
si rialzò scuotendo la testa: <<Già già… ah, mi ero dimenticato di
dirti una cosa.>>
Joe
lo guardò con aria interrogativa.
<<Tuo
padre si è risvegliato.>>, gli disse Jet <<Gilmour lo ha saputo
oggi, quando ha telefonato in Giappone.>>
I
due rientrarono nel Dolphin.
<<Appena
in tempo.>>, disse 007 quando li vide rientrare.
<<Che
è successo?>>, chiese 002.
<<Stiamo
intercettando delle cosette interessanti lì dalla base dei Fantasmi
Neri.>>, disse 007 indicando 008 che stava con delle cuffie attaccate alle
orecchie.
<<Stavamo
pensando di partire immediatamente per prenderli con le mani nel sacco.>>,
disse 006.
<<Mi
sembra un’ottima idea.>>, disse 004 entrando nella stanza insieme a 003.
Gli
sguardi di Joe e Françoise si incrociarono un secondo. Lui fu quasi per dire
qualcosa, ma lei distolse gli occhi e lo bloccò.
<<Allora,
che aspettiamo a partire?>>, chiese 002.
Pochi
istanti dopo il Dolphin si stava già dirigendo sul luogo dove era nascosta la
base dei Fantasmi Neri.
<<Atterriamo
qui!>>, ordinò 009 a un certo punto.
<<Ma
siamo ancora lontani…>>, disse 007.
<<Meglio.>>,
rispose 004 <<Immagino che tu voglia evitare di atterrare troppo
l’attenzione. Dico bene, 009.>>
<<Esatto,
004. Adesso atterriamo.>>
Il
Dolphin toccò terra e tutti i cyborgs, tranne 001 che restò con Gilmour sul
Dolphin, uscirono all’esterno.
Camminarono
per un po’, fino a quando 003 non li fermò: <<Qui sotto. Si comincia a
vedere e sentire qualcosa.>>
<<006.>>,
disse solo 009 indicando il terreno.
006
cominciò a sparare fuoco.
<<Uff…>>,
disse sconsolato 007 <<E io che speravo di indicare il posto. Tanta fatica
per niente gloria.>>
<<007,
muoviti.>>, gli disse 004 spingendolo dentro il buco del terreno.
007
precipitò nel cratere andando a sbattere la testa sul pavimento di ferro della
base dei Fantasmi Neri. E per di più sia 004 che soprattutto 005 gli
atterrarono sopra. E se la presero anche piuttosto comoda prima di rialzarsi.
<<Le
mie povere ossa.>>, disse 007 tenendosi la schiena e rialzandosi a tento.
<<Muoviamoci.>>,
disse perentoriamente 009.
007
lo mandò al diavolo con un braccio, ma 009 non lo vide: <<Parli bene tu.
Non ti è caduta una montagna addosso.>>, disse cominciando a seguire il
gruppo.
<<Aspettate!>>,
disse 003 <<Stanno arrivando delle guardie. Sono in due.>>
I
cyborgs si nascosero dietro una parete e aspettarono che le guardie passassero.
Poi 004 uscì a un cenno pattuito, e le colse alle spalle. Ebbero appena il
tempo di voltarsi che furono crivellati di colpi. I cyborgs continuarono la loro
corsa.
<<Un
altro gruppo. Stavolta sono più numerose.>>, disse 003.
<<Affrontiamole.>>,
disse 009.
I
cyborgs si pararono di fronte al gruppo cogliendolo alla sprovvista e
liberandosene senza problemi.
<<003,
non c’è un modo più rapido per arrivare dove dobbiamo?>>, chiese 002,
atterrando dopo un po’ di tiro al bersaglio in volo.
<<Fammi
vedere…>>, rispose lei guardandosi intorno <<Quella presa d’aria
lassù. Dovrebbe condurre lì.>>
<<Bene.>>,
disse 009 guardando in alto <<Andiamo. 002, pensaci tu.>>
<<Subito.>>,
disse 002 alzandosi in volo a togliere la grata dalla presa d’aria <<Però
dubito che 005 entrerà qui dentro.>>
<<Uhm…>>,
rimuginò 009 <<Allora vorrà dire che andranno 007, 003 e 008. Noi altri
passeremo dalle vie tradizionali.>>
<<Va
bene.>>
Il
gruppo si divise. 007 si trasformò in un uccello e volò dentro la presa
d’aria. Gli altri due saltarono dentro.
Intanto
il resto della squadra continuò la sua corsa. Improvvisamente si imbatterono in
un altro gruppo di guardie e stavolta furono loro ad essere colti alla
sprovvista. Una guardia ebbe il tempo di spingere un bottone sul muro e
l’allarme scattò in tutta la base.
<<Accidenti.>>,
disse 004 sparando all’impazzata <<Tra poco avremo addosso tutta la
guarnigione.>>
<<Ci
penso io.>>, disse 005 cominciando a divellere un pannello di ferro dalla
parete e frapponendolo tra loro e la direzione da cui erano venuti.
<<Molto
bene.>>, disse 002 in volo, continuando a sparare <<Almeno dobbiamo
guardarci solo da una parte.>>
Intanto
i tre nella presa d’aria erano arrivati alla stanza dove Darscher, Sahib e il
generale Hassan stavano mettendo a punto i piani di guerra.
<<Ma
quello non sono Sahib e Hassan!>>, disse 003 sottovoce appena li vide
<<Sono due cyborgs!>>
<<Ormai
manca poco, Darscher.>>, disse “Sahib” sfregandosi le mani.
<<Tra
poche ore le mie truppe attaccheranno.>>, disse “Hassan” <<E sarà
la guerra.>>
<<Molto
bene, signori. Avete fatto veramente un ottimo lavoro.>>, disse Darscher
bevendo una coppa di champagne.
<<Che
cosa ne farete delle nostre brutte copie?>>, chiese sprezzante “Sahib”.
Darscher
azionò un bottone che fece aprire un pannello dietro di loro. Apparvero i due
statisti rinchiusi in una specie di cella dalle pareti trasparenti. Sbiancarono
quando videro le loro copie dall’altra parte.
<<Non
ho ancora deciso.>>, disse Darscher lisciandosi il mento <<Potrei
darli in pasto ai miei leoni… chissà se gradiranno.>>
L’interfono
in quel momento suonò.
Darscher
lo azionò in malo modo: <<Che diavolo volete?>>, urlò.
<<Capo.>>,
disse una voce metallica <<I cyborgs
00 si sono infiltrati e stanno venendo lì.>>
<<CHE
COSA?!>>, tuonò Darscher alzandosi in piedi <<Che diavolo aspettate
a fermarli?!>>
<<Ci
abbiamo provato…>>
<<Darscher!>>,
disse “Sahib” terrorizzato <<Guarda lì.>>
Darscher
guardò e vide la porta fondersi letteralmente, lasciando un grosso buco dal
quale entrarono…
<<Maledetti
cyborgs. Non mi avrete!>>, urlò Darscher azionando un altro bottone.
Si
aprì un altro pannello dal quale uscirono parecchi robot.
<<Eh
eh eh.>> ridacchiò Darscher scomparendo col suo scranno nel pavimento
<<Vi piacciono i miei giocattolini, maledetti cyborgs 00? Vi lascio in
loro compagnia. Spero che sia di vostro gradimento.>>
Darscher
scomparì nel pavimento dopo aver premuto un altro bottone.
<<Maledizione!>>,
imprecò 009 <<Dove è andato?>>
<<Ha
usato un ascensore a sospensione.>>, disse 003 che intanto era uscita
insieme agli altri <<Adesso è in una specie di hangar qua sopra. Sta per
scappare.>>
<<Qui
ci pensiamo noi, 009. Inseguilo.>>, disse 002 occupandosi dei robot che
non avevano perso tempo per attaccare.
<<Ok.>>
009
andò a premere lo stesso bottone che aveva premuto e si posizionò
nell’ascensore. In breve tempo fu nell’hangar.
<<Fermo!>>,
urlò a Darscher che stava armeggiando con una console.
<<Sei
veramente un guastafeste!>>, gli urlò Darscher <<Bene. Forse non
riuscirò a far scoppiare una guerra, ma se torno dai Fantasmi Neri con la tua
testa di certo me la caverò. In guardia.>>
Darscher
si “disfece delle braccia”, mostrando due grosse e taglienti lame.
<<Sei
un cyborg anche tu!>>, esclamò 009.
<<Certo
che lo sono.>>, disse Darscher sprezzante <<Cosa pensavi? razza di
stupido!>>
Subito
dopo Darscher si lanciò all’attacco.
“Accelerazione…
ma cosa?!”
009
rimase immobile, e solo all’ultimo momento riuscì a scostarsi quel poco che
bastò perché la lama di Darscher lo trafiggesse solo un po’. Sentì una
specie di scossa elettrica e balzò indietro. Il colpo aveva lasciato una ferita
piccola, poco profonda, ma che faceva un male cane, tanto
che lo fece inginocchiare per il dolore.
<<Cosa
ti succede, 009?>>, disse Darscher ridacchiando e avvicinandosi minaccioso
<<Perché non usi il tuo famoso acceleratore? Lo sai che con quel minimo
graffio ti ho succhiato quasi tutta l’energia?>>
009
lo guardava in silenzio, con un’espressione rabbiosa sul volto, con fitte di
dolore brucianti che gli provenivano dalla ferita, dove si teneva una mano.
“Perché
non ha funzionato? Che diavolo è successo?”, stava pensando.
Sentiva
venirgli sempre meno le forze. Non avrebbe avuto l’energia necessaria per
resistere a un nuovo attacco.
<<E’
la fine, 009.>>, disse Darscher ripartendo all’attacco.
009
chiese alle gambe di balzare ma le gambe non risposero. Chiuse gli occhi
aspettando l’impatto e fu allora che sentì qualcosa passargli davanti come un
razzo, e subito dopo una forte esplosione.
Riaprì
gli occhi appena un attimo voltandosi da una parte. 004 era inginocchiato con
una bocca da fuoco aperta. Dietro di lui 003 e 002.
009
ebbe appena il tempo di riconoscerli. Poi tutto diventò buio intorno a lui.
<<Oh,
ti sei svegliato finalmente.>>
Joe
guardò Françoise che era seduta accanto a lui.
<<Dove…
dove sono?>>
<<Nella
sala operatoria del Dolphin, ragazzo mio.>>, gli rispose Gilmour
<<Devo dire che ti sei rimesso bene per le condizioni in cui eri.>>
<<Professore…
io… il mio acceleratore…>>
Gilmour
annuì: <<Sì, lo so. Ha smesso di funzionare. Forse è troppo esposto. Si
guasta spesso.>>, disse tenendosi il mento pensierosamente <<Potrei
metterti l’interruttore sull’ombelico come a 007.>>
Joe
ci pensò un po’, poi scosse la testa rigettando l’idea: <<E poi
dovrei schiacciarmi la pancia tutte le volte? Non scherziamo, per favore. Sta
bene lì dov’è. Basta che una certa persona non mi tiri più pugni di quel
genere…>>
<<Cosa?
A chi ti stai riferendo?>>, chiese Françoise.
Joe
la guardò e solo allora si accorse che la stava tenendo per mano.
Lei
si rese conto della cosa: <<Sei tu ad avermela data. Stanotte, mentre
stavo qui a vegliare su di te.>>, disse abbassando lo sguardo imbarazzata.
In
tutta risposta, lui le strinse la mano ancora più forte. Françoise trasalì e
lo guardò in volto. Le stava sorridendo, con una dolcezza che non gli aveva mai
dimostrato. Il muro crollò un’altra volta.
<<Professore,>>
disse Joe rivolgendosi a Gilmour <<Quando torniamo in Giappone?>>
Gilmour,
che stava armeggiando con degli attrezzi, si voltò: <<Uhmm… ci vorrà
un po’… La guerra è stata scongiurata, ma credo sia meglio restare qui
finché le cose non saranno chiarite e gli animi si saranno calmati un po’. C’è
sempre qualcuno che è veramente convinto che la guerra sia la strada
migliore.>>
<<Cosa?!>>,
disse Joe sgranando gli occhi e alzandosi a sedere sul letto <<Io devo
tornare in Giappone!>>
<<Calma
calma, ragazzo. Lo so che tu devi tornare in Giappone.>>, gli disse
Gilmour <<Tornerai col primo aereo. Ce n’è uno tra un paio d’ore. Ma
non ti mando certo da solo in quelle condizioni. Sei ancora convalescente,
dopotutto. Françoise verrà con te.>>
I
due si guardarono l’un l’altro.
Françoise
abbassò gli occhi e per un attimo un dubbio le tornò alla mente: <<Joe,
se vuoi che io non…>>
<<No…
voglio che tu venga… io…>>
<<Wow,
il nostro eroe si è svegliato finalmente!>>
Joe
maledisse mentalmente Chang, il cui faccione lo stava squadrando dal lato del
letto.
<<E
sembra che si sia rimesso pure bene.>>, disse Bretagna dietro di lui
<<Sarà mica l’influsso benefico di questa dolce donzella.>>
<<Chang.>>,
disse Joe rassegnato.
<<Dimmi.>>
<<Dimmi
la verità.>>, gli disse guardandolo <<Ti ho fatto qualcosa in una
vita precedente?>>
Chang
lo guardò perplesso, con la sua faccia tonda: <<Non saprei…
Perché?>>
<<Lasciamo
perdere…>>
Intanto
Françoise, che era l’unica ad aver capito oltre a Joe, stava ridendo di
gusto.
Durante
il viaggio di ritorno Joe dormì quasi tutto il tempo. Doveva essere veramente
esausto. In fondo si era appena ripreso ed era ancora debole. Sbarcarono a
Narita e di lì presero un altro aereo per Osaka.
Joe
guardava dal finestrino il cielo sopra le nuvole, ma stava pensando a tutt’altre
cose. Aveva il cuore che gli batteva a mille. Sentì la mano di Françoise
posarsi sulla sua e questo lo riportò alla realtà. Si voltò verso di lei
cercando di sorridere, stringendole la mano.
<<Tutto
a posto?>>, gli chiese.
Joe
sospirò: <<Un po’ teso… Senti, io devo scusarmi con te…>>
Françoise
gli posò un dito sulle labbra: <<Quando sarà il momento. Ne parleremo
quando sarà il momento.>>
Lui
annuì, capendo che effettivamente ora come ora non sarebbe riuscito a mettere
due parole in fila con un po’ di senso logico. Però avvicinò di colpo le sue
labbra a quelle di lei, rubandole un breve bacio.
Lei
lo guardò prima sorpresa, poi sorridendogli. Appoggiò lentamente la testa
sopra la spalla di lui, mentre Joe le circondava le spalle con un braccio e
cominciava ad accarezzarle i capelli, senza mai lasciarle la mano.
Atterrarono
a Osaka verso che era ormai tardo pomeriggio e presero un Taxi che li conducesse
immediatamente all’ospedale. Joe aveva il cuore che batteva all’impazzata
quando chiese alla reception dove fosse suo padre adesso. Dovette farsi ripetere
il reparto e il numero della stanza tre volte, perché non riusciva a capirli
per l’emozione.
Più
si avvicinava alla stanza, più sentiva le gambe tremargli terribilmente. Che
cosa gli avrebbe detto quando l’avrebbe visto? Che cosa avrebbe detto lui, suo
padre? Sapeva già che lui sapeva? Come l’avrebbe guardato?
Il
corridoio lungo il quale doveva essere la stanza gli sembrò lunghissimo. Ad
ogni passo la testa gli si riempiva di pensieri che si univano al vortice
caotico e confuso che già aveva in testa. Le luci al neon gli sembravano
accecanti e l’odore di medicinale gli dava quasi un senso di nausea profondo.
Sentì prendersi improvvisamente per un braccio e si fermò, voltandosi
indietro.
<<Joe,
è qui.>>, gli disse Françoise lasciandogli il braccio.
Lui
si voltò a guardare il nome scritto sulla porta. Lo lesse bene, per un numero
indefinito di volte, per essere proprio sicuro che fosse lì, dietro quella
porta, che avrebbe trovato colui che stava cercando da così tanto tempo. Quando
ne fu sicuro, fece per bussare ma il suo pugno si fermò a pochi centimetri
dalla porta, restando fermo per pochi secondi e poi aprendosi e appoggiandosi
con tutto il palmo alla superficie bianca e liscia di quel
sottile, ultimo confine. Joe abbassò gli occhi a terra.
<<Joe…>>
Lui
scosse la testa: <<Ho paura…
non ce la faccio.>>, disse <<Non ne ho la forza.>>
La
sua mano scivolò via dalla porta e ricadde lunga e distesa lungo il suo corpo.
<<Joe,
c’è tuo padre dall’altra parte di questa porta.>>, gli disse
posandogli una mano su una spalla.
Lui
alzò lo sguardo verso di lei: <<Lo so e ne sono terrorizzato.>>, le
disse. Poi si appoggiò alla parete <<Non ho mai avuto così tanta paura
in vita mia. Non so se voglio incontrarlo… in fondo mi basta sapere che stia
bene…>>
<<Joe,
è venuto apposta dagli Stati Uniti per vederti…>>
<<Sì,
ma non ha voluto parlarmi…>>
<<Are
you Joe Shimamura?[14]
(Tu sei Joe Shimamura?)>>
I
due si voltarono verso una donna che li stava guardando da dietro le spalle di
Françoise. Era chiaramente un’occidentale, con lunghi capelli chiari e occhi
verdi. Una donna sulla quarantina.
<<Sorry,
I don’t speak Japanese.>>, disse avvicinandosi ai due <<But I
heard she called you Joe. So I wonder if you are that
Joe. (Scusate, non parlo giapponese. Ma
ho sentito che lei ti ha chiamato Joe. Così mi chido se tu sia “quel” Joe.)>>
Joe
la guardò con uno sguardo perplesso e confuso: <<Sorry, but you… (Scusi,
ma lei…)>>
La
donna sorrise: <<Sorry, I didn’t introduce me. I’m
Sheryl, Sheryl Carter. I’m happy you speak my language. (Scusate, non mi sono presentata. Io sono
Sheryl,
Sheryl Carter. Sono contenta che parli la mia lingua)>>
<<Are
you Mr. Carter’s wife? (Lei è la moglie
del signor Carter)>>, le chiese Françoise.
<<Yes,
it seems so… (Sì, sembra proprio di sì…)>>,
rispose la donna sorridendo. Poi si rivolse a Joe con uno sguardo conciliante
<<And you are Joe, Joe Jr.. Aren’t
you? I can’t go wrong. You look like my husband. You resemble him so much! (E
tu sei Joe, Joe jr.. Non
è così? Non posso sbagliare. Assomigli a mio marito. Gli assomigli veramente
tanto!)>>
Joe
restò in silenzio per qualche secondo, indeciso se rispondere o meno. Poi si
scostò finalmente dalla parete e annuì: <<Yes, I am Joe Shimamura. (Sì,
sono Joe Shimamura)>>
La
donna sorrise: <<Joe… well, he has been waiting for you since he opened
his eyes. You’ll make him happy if you go in. Please, cross that door. (Joe…
beh, lui ti ha aspetta sin da quando ha aperto gli occhi. Lo renderai felice se
entrerai. Per favore, attraversa quella porta.)>>
Joe
non sembrava ancora del tutto convinto. Restò ancora qualche secondo immobile,
durante i quali i suoi occhi si spostarono dalla donna alla porta che aveva
accanto. Poi guardò di nuovo la donna, che gli annuì. Si decise a bussare.
<<Avanti.>>,
sentì dire da una voce maschile all’interno.
Joe
aprì la porta e gli occhi dell’uomo che stava sdraiato sul letto si
illuminarono nel vederlo: <<Joe… Joe, sei veramente tu?!>>
Sheryl
si affacciò alla porta: <<You’d better be alone. We’ll take a walk. (E’ meglio che restiate soli. Noi andiamo a farci una passeggiata.)>>
La
porta si richiuse dietro le spalle di Joe e padre e figlio rimasero soli, in un
silenzio imbarazzante.
<<Noi?>>,
disse Joe Sr. Per spezzare il ghiaccio <<Chi altro è andato con lei>>.
<<Co…
cosa?>>, disse Joe trasalendo.
Joe
Sr. sorrise: <<Con mia moglie. Chi è andato a fare una passeggiata con
lei?>>
Joe
sospirò, sentendo che la tensione cominciava pian piano allentarsi: <<Ah,
Françoise. Quella ragazza che era con me al cimitero.>>
Joe
Sr. annuì: <<Capisco… Ti ha accompagnato.>>, disse <<Su,
siediti.>>
Il
ragazzo si guardò intorno e prese una sedia che era messa accanto a un
tavolino. Quindi si sedette accanto al letto del padre.
<<E’
la tua ragazza?>>, gli chiese Joe Sr. quando si fu seduto.
Joe
raccolse un profondo respiro. Poi aprì la bocca per rispondere, ma esitò un
paio di secondi. Infine rispose grattandosi la testa: <<Beh… sì…
anche se…>>
<<Anche
se?>>, chiese Joe Sr. aggrottando la fronte.
<<Anche
se devo ancora farmi perdonare un paio di cosette.>>, disse Joe
imbarazzato.
Joe
Sr. sorrise soddisfatto: <<E’ una ragazza molto bella e sembra che tu ne
sia cotto. Dico bene?>>
Joe
aggrottò la fronte: <<E tu come fai a dirlo… Ci hai visti insieme sì e
no cinque minuti.>>
Joe
Sr. cominciò a ridere: <<Beh, certe cose si capiscono.>>
<<Certo,
con la sfera di cristallo… Non stavamo neancora… insieme allora.>>,
disse ironico Joe distogliendo lo sguardo.
Joe
Sr. smise di ridere: <<No… da come la guardavi.>>, disse
<<La guardavi nello stesso modo in cui io guardavo tua madre.>>
Joe
lo guardò incuriosito, chiedendosi se dicesse la verità e senza sapere cosa
dire ora che l’argomento principale era stato posto in mezzo.
Fu Joe Sr. che ricominciò a parlare: <<Ho saputo di te solo grazie a Kano. Ah, a proposito. E' dovuta tornare in America per impegni improvvisi. Ti saluta e spera di rivederti.>>
<<Grazie.>>, disse Joe con un sorriso appena accennato.
<<Riprendendo
il discorso... non sapevo che Ai fosse rimasta incinta… D’altronde avemmo la
possibilità di frequentarci solo per poco tempo. Ma ero veramente innamorato di
tua madre e fu un duro colpo sapere di dover tornare negli Stati Uniti.>>
Joe
lo interruppe: <<Se ne eri così innamorato, perché non ti sei fatto vivo
dopo la guerra?>>
Joe
Sr. sospirò: <<Ci ho provato Joe, te lo assicuro…>>, disse
stringendo il lenzuolo tra le mani <<Ma telefonai al municipio di Nagasaki
e venni a sapere che tutta la famiglia di tua madre era perita con la bomba e io…
pensai che anche lei fosse morta in quel modo. Forse avrei dovuto cercare…
accertarmi meglio… Ma… non ne ebbi la forza. Quella notizia mi troncò le
gambe. Così restai negli Stati Uniti e cercai di ricominciare. Fu allora che
incontrai Sheryl… dapprima mi restò accanto solo come amica… sapeva di
questa relazione che avevo avuti in Giappone, sapeva tutto di me… una bella
amicizia… poi scoprii che a poco a poco mi ero innamorato di lei e ci
sposammo. E abbiamo avuto due bellissimi figli. E poi ho rincontrato Kano e ho
scoperto tutto… che Ai non era morta se non qualche anno dopo, che aveva avuto
un figlio… mio figlio… e che ti aveva dato il mio stesso nome.>>
<<Ma
ormai avevi già una tua famiglia…>>, disse Joe sospirando.
<<Non
sapevo dove cercarti e ci ho messo un po’ prima di decidermi… temevo di
scombussolarti la vita. Ricomparire, così dopo tanti anni… Però adesso
abbiamo tutto il tempo… Ne ho parlato con Sheryl e mi piacerebbe che…>>
Joe
scosse la testa soffocandogli il resto della frase in gola: <<Non verrò a
vivere con voi, papà.>>, disse alzandosi <<Ormai ho una mia vita
qui, ho le mie radici. Venire con te, ricominciare… entrare così di botto
nella tua… nella vita della tua famiglia… no. Sarei un terremoto… no.>>,
si mise davanti alla finestra guardando fuori, giù nel giardino dove vide
Sheryl e Françoise che stavano parlando sedute su una panchina sotto un
ciliegio. Si voltò nuovamente verso il padre <<Magari qualche volta ci
rincontreremo… ma non voglio niente di più. Mi basta averti potuto parlare e
averti potuto finalmente dare un volto. Per me è sufficiente. E poi io ho già
una famiglia qua. Anche se non ci sono legami di sangue, è una bellissima
famiglia ed è molto unita. Non la voglio lasciare.>>
<<… Le due
parti sembrano dunque sul punto di siglare l’accordo che dovrebbe scongiurare
definitivamente la guerra che fino a poche ore fa sembrava imminente… Oggi il
governo…>>
Françoise
prese il telecomando dalla mano di Joe e spense il televisore. Nella stanza
rimase solo la luce di alcune candele. Doveva averle accese lui. Doveva
ammettere che creavano un’atmosfera suggestiva. Poi
posò il telecomando sul comodino accanto al letto e osservò Osaka come
si vedeva dalla finestra di quella stanza. Una miriade di luci. Quindi il suo
sguardo si spostò su Joe e si addolcì. Si era addormentato con la schiena
appoggiata alla spalliera del letto. Non si era tolto nemmeno l’accappatoio.
Si
sedette delicatamente sul bordo del letto e continuò a osservarlo ancora un po’.
Sembrava un bambino addormentato. Non le aveva detto cosa si erano detti lui e
suo padre e in fondo non aveva grande importanza. Era giusto che rimanesse un
momento solo suo. Alzò la mano per andare a disegnargli con tocco leggero le
labbra. Fu allora che lui aprì gli occhi. Le prese la mano nella sua e
intrecciò le dita con e sue.
<<Mi
sono addormentato…>>
Françoise
sorrise: <<Avevo visto.>>, gli disse <<Beh, è stata una
giornata lunga e intensa. E’ normale che tu sia stanco.>>
<<Guarda,
che se speri che adesso mi rimetta a dormire, ti sbagli.>>, le disse
sorridendo dolcemente <<Sei troppo sensuale in quell’accappatoio.>>
Lei
arrossì appena, abbassando lo sguardo.
<<Françoise…>>
Lei
alzò di nuovo lo sguardo per incontrare il suo, senza dire niente, ma
guardandolo interrogativamente.
<<Mi
dispiace di essere stato così freddo ieri.>>, le disse scandendo ogni
parola <<Non volevo farti soffrire… Non ho mai voluto farti soffrire. Ma
non ci sono mai riuscito molto bene…>>
<<Joe,
non importa… veramente.>>, gli disse interrompendolo <<Eri in un
momento difficile. Non avrei dovuto starti troppo addosso…>>
Joe
scosse la testa: <<No, sono io che non avrei dovuto respingerti in quel
modo… Tu volevi solo aiutarmi. Sono stato un idiota… Mi chiedo solo dove la
trovi tutta questa pazienza.>>
Lei
si mosse, mettendosi a sedere a cavalcioni sopra le sue gambe. Poi lo baciò
solo per una frazione di secondo, per poi tornare a guardarlo negli occhi,
posandogli un dito sul mento e facendolo scivolare su fino all’orecchio:
<<Perché ti amo, Joe. Non c’è un altro motivo.>>, gli disse
<<Anche se devo ammettere che qualche volta mi hai portato un po’ troppo
al limite.>>, disse quasi ridendo e arruffandogli i capelli. Poi tornò
seria, continuando a passargli le mani tra i capelli <<Ma non mi importa.
Amo tutto di te… anche quel tuo carattere enigmatico e sfuggente.>>,
concluse appoggiando la fronte alla sua e baciandolo nuovamente.
<<Françoise,>>
disse lui separando le sue labbra da quelle di lei <<Quello che ti ho
detto dopo la nostra prima notte insieme… era la verità. Non è stata un’illusione
di una notte o due. Non ho fatto l’amore con te per passare due notti diverse.
Io voglio fare l’amore con te perché ti amo… Ti amo da impazzire. Per
nessun altro motivo.>>
Françoise
sorrise: <<Mi dispiace di aver detto tutto a Jet… avevo bisogno di
sfogarmi.>>, gli disse accarezzandogli la base del collo <<Ma non ho
mai pensato che tu avessi fatto l’amore con me solo per passare due notti. Non
mi abbasserei mai a tanto. Nemmeno per te.>>
Si
guardarono un attimo, in silenzio. Poi Joe aggrottò la fronte.
<<Cosa
c’è?>>, chiese lei incuriosita.
Joe
andò a prendere una scatolina sul comodino e ne prese qualcosa dentro. Poi le
prese la mano sinistra e gli infilò qualcosa nel dito.
Quando
Joe ebbe finito, Françoise si guardò il dito e lo stupore in persona si
impadronì del suo volto: <<Ma…>>
<<Mio
padre voleva darlo a mia madre… ma non ci è mai riuscito.>>, disse lui
<<Cioè, non ne ha mai avuto il tempo. Così l’ha dato a me… e io
voglio che lo tenga tu.>>
<<Ma
non posso accettare un…>>
<<Françoise,
non ti chiedo di sposarmi… Ti chiedo solo di tenere quell’anello. Insomma,
tu mi hai regalato qualcosa da tenere sempre addosso… è giusto che anche tu
abbia qualcosa del genere da me.>>
Lei
esitò qualche istante, guardando prima l’anello e poi lui: <<Grazie,
Joe… ma così gli altri cominceranno a sospettare qualcosa. Non ci hai
pensato?>>
Lui
le alzò le spalle e le sorrise: <<Chi se ne frega.>>, disse
semplicemente <<Vorrei che lo sapesse tutto il mondo di noi due.>>
Alzò
il viso cercando le sue labbra. Lei si scostò improvvisamente indietro,
evitandolo. Rise quando vide quell’espressione simile a quella di un bambino a
cui non si vuole dare il suo giocattolo preferito. Riavvicinò le labbra a
quelle di Joe e per un istante fu tentata di ritrarsi ancora, ma prima ancora
che lei potesse anche solo provarci, lui le prese la testa delicatamente tra le
mani e l’attirò a sé. Fu un attimo e stavolta non poté evitare le sue
labbra. E non volle staccarvisi nemmeno quando sentì le sue mani scivolarle
giù dalle guance fino alla cintura dell’accappatoio e poi sul suo corpo.
Nella
sua testa sentì ancora quelle parole: “Io
voglio fare l’amore con te perché ti amo.”
F
I N E
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Consigli per gli ascolti:
- Come undone (Robbie Williams): direi che questa fanfic l'ho ideata proprio pensando a questa canzone
- Falling (Julee Cruise): cominciate ad ascoltarla dopo il secondo bacio della "prima notte" e dilatate la scena sul ritmo lento e pacato di questa canzone, che qualcuno ricorderà aver fatto da tema a Twin Peaks
- Here with me (Dido): che dirvi... dopo la "prima notte"
- One step too far (Faithless feat. Dido): consigliato nella scena della "doccia fredda"
- The space between (Dave Matthews Band): nella scena sulla spiaggia, in particolare sul colloquio finale tra Jet e Joe e nella scena tra Albert e Françoise
- Father & son (Cat Stevens): da ascoltarsi durante il colloquio di Joe con il padre
- Love song for a vampire (Annie Lennox): nella scena finale ^^
[1] Non è una cosa così improbabile. In Giappone non è inusuale che un istituto scolastico possa comprendere tutti i livelli istruttivi dalle elementari fino anche all’università. Per cui è molto verosimile che si finisca per avere a che fare con gli stessi compagni di scuola dalla I elementare fino alla III superiore.
[2] Il 9 agosto 1945 sulla città di Nagasaki venne lanciata, da parte degli Stati Uniti, la seconda bomba atomica dopo quella che solo 3 giorni prima aveva spazzato via la città di Hiroshima. Fu l’evento che segnò praticamente la resa del Giappone nella II Guerra Mondiale.
[3] Il che ha una spiegazione storica. Infatti l’isola di Kyushu, che si trova all’estremità meridionale del Giappone, è stata al centro di scambi e commerci con l’Occidente fin dal XVI secolo, in particolare con Portoghesi e Olandesi.
[4]
Lo Shinkansen è il famoso treno
superveloce delle Japan Railways. Il Tokaido
Shinkansen che collegava Tokyo a Osaka, passando per Nagoya e Kyoto, fu
inaugurato nel 1964. Oggi lo stesso treno arriva anche a Fukuoka, nel Kyushu,
ma tale linea fu inaugurata solo nel 1975. Per cui Fukushima non prende lo Shinkansen da Fukuoka, ma da Nagasaki a Osaka deve avvalersi di un
treno normale. Per maggiori informazioni, http://www.japan-guide.com/e/e2018.html.
[5] Nell’ordine, la Chiesa Cattolica di Oura è la più antica in tutto il Giappone. Risale al 1864 ed è stata dichiarata tesoro nazionale.
Glover Park è stato il luogo di residenza della comunità occidentale per parecchi decenni.
Nijuroku Seijin Junkyochi è un monumento commemorativo fatto per in memoria di 26 cristiani crocifissi a Nagasaki nel 1596.
Holland Hill è una zona costruita all’olandese, che ricorda molto i paesaggi del paese nord europeo.
Il Kokufu-ji e il Sofuku-ji sono templi lasciati dai Cinesi.
Il Megane-bashi, che vedrete tra poco, è un ponte in stile occidentale costruito nel 1634, che deve il suo nome (Ponte degli Occhiali) ai particolari riflessi del ponte sull’acqua, che ricorda un paio di occhiali.
La descrizione è stata breve perché dovrebbe proprio dare l’idea della panoramica.
[6]Le
virgolette perché in realtà è una riva artificiale, in muratura. Se non
vi ho reso l’idea, date un’occhiata qui: http://www2.masashi.ne.jp/kaicho/ajisai/megane.htm.
[7] Vi ricordo che siamo a settembre inoltrato e il 19 settembre è il compleanno di Albert.
[8] Non so se sono stata chiara. Non usa la forza. Si limita a mettere in avanti la mano, di modo che il sensore dell’ascensore avverta la presenza di qualcosa tra le porte e le faccia riaprire. Se avete un ascensore provateci pure voi e capirete.
[9] Indovinello: in questo punto ho citato un film che a me piace tantissimo. Quale?
[10]
Vedi Buon compleanno, Joe; Parte V.
[11]
Che non ci siete ancora arrivati? Vabbuo’. Il film in cui si faceva
riferimento alla nota 9 è Sliding
Doors. Adesso mi odierete perché ho interrotto il momento romantico…
me sadica >:)
[12] Provateci anche voi quando avete un barattolo che non si apre. Vi assicuro che funziona.
[13] I katakana sono i caratteri giapponesi che si utilizzano, tra le altre cose, per traslitterare i termini anglosassoni. Anche il nome di Joe, ad esempio, è scritto con questi caratteri così come tutti i titoli dei manga che utilizzano parole in inglese. La prima lettura che ne ha Joe è la trasposizione semplice in sillabe. La “u” in giapponese è quasi sempre muta e non si legge.
[14]
Se conoscete l’inglese potete evitare di leggere il corsivo, cioè il
testo fra parentesi (questa precisazione non è perché vi ritenga scemi, ma
perché il corsivo nel file in .txt non si vede ^^).