Un altro mattone nel muro[1]

di Laus

 

Prologo
Parte I
Parte II
Parte III
Parte IV
Parte V
Parte VI
Parte VII
Parte VIII
Parte IX
Parte X
Parte XI
Parte XII
Parte XIII
Parte XIV
Parte XV
Parte XVI
Parte XVII
Parte XVIII
Epilogo

 

Prologo

 

Albert era seduto al tavolo della cucina. Con una mano reggeva una tazza di caffè fumante. Con l’altra teneva una vecchia e consumata fotografia.

Improvvisamente la porta si aprì. Albert posò la fotografia sul tavolo, stando attento che fosse rivolta dalla parte bianca, in modo che non si vedesse.

<<Guten morgen.>>, disse alzando gli occhi e facendo un sorriso.

Françoise era rimasta ferma, tenendo aperta la porta con una mano. Sembrava piuttosto sorpresa di vederlo lì: <<Bonjour… che ci fai alzato a quest’ora? Sono solo le 5.>>

Albert alzò le spalle: <<Ho aperto gli occhi e non avevo più sonno.>>

<<Temevo che fosse entrato qualche estraneo in casa.>>, disse lei chiudendo la porta e prendendo una tazza.

Albert la seguì con gli occhi mentre si versava il caffè nella tazza: <<Mi dispiace di averti svegliata. Ma ogni tanto potresti anche evitare di utilizzare i tuoi poteri, signorina Orecchielunghe.>>

Françoise si mise a sedere e sorseggiò un po’ di caffè: <<Guarda, che non lo faccio apposta.>>, disse un po’ contrariata.

Albert fece un’espressione un po’ dispiaciuta e abbassò gli occhi: <<Scusa… non ci avevo pensato.>>

<<Non c’è bisogno di scusarsi…>>, disse lei posando la tazza sul tavolo e girandola spingendo il manico <<Sono io che mi devo scusare. Sono stata troppo brusca.>>

Albert rialzò lo sguardo e le sorrise: <<Sei sempre troppo disposta a perdonare.>>

<<Sono fatta così.>>, disse lei alzando le spalle <<Sai che questo caffè è proprio buono. Non pensavo tu lo sapessi fare. D’ora in avanti lo faccio preparare a te.>>

<<Ma è proprio perché lo preparavi tu più che bene che io non lo facevo mai.>>, disse lui sorridendo.

<<Ah sì?>>, disse lei con un tono ironicamente contrariato <<Mi viene voglia di non farne più.>>

<<Tanto non saresti in grado di essere così vendicativa.>>, disse Albert quasi ridendo.

<<Purtroppo credo tu abbia ragione…. Cos’è?>>

Françoise stava guardando il riquadro cartaceo bianco che era posato sul tavolino, e in particolare la scritta che c’era sopra.

<<Für Albert, Hilda

19. September 1960>>, lesse Françoise a voce alta.

<<Ehm.. è solo una vecchia fotografia.>>, disse Albert riprendendola sbrigativamente in mano.

Françoise lo guardò perplessa: <<Scusa… non avrei dovuto leggere.>>

<<Figurati…>>, disse Albert guardando la foto con uno sguardo triste <<sono io che non dovrei mettermi a pensare al passato.>>

Françoise lo guardò con uno sguardo pieno di comprensione, senza dire nulla. Sapeva abbastanza bene la storia di Albert da sapere cosa fosse significata per lei la donna che aveva scritto quella breve dedica dietro l’immagine.

<<Guarda pure.>>, disse Albert porgendole la fotografia.

<<Veramente posso?>>, chiese lei sorpresa.

Albert annuì mettendole la foto davanti, posata sul tavolo: <<E’ solo una fotografia. Niente di più semplice.>>

Françoise raccolse la foto e la guardò. Era piuttosto vecchia. Doveva averne passate tante. Su un angolo c’era anche il segno di un inizio di combustione, ma la donna nella foto si vedeva ancora bene. Doveva essere stata colta di sorpresa, perché aveva un’espressione un po’ sorpresa e la sua posa era molto naturale e la rivelava in tutta la sua bellezza: aveva dei lineamenti molto fini e delicati, tipicamente nord-europei.

<<Era bella, vero?>>, disse Albert dopo un po’.

<<Sì, lo era.>>, rispose Françoise posando delicatamente la foto sul tavolo e guardando l’uomo.

Albert cominciò a giocherellare un po’ con la tazza ormai vuota, facendola girare sul tavolo: <<Domani avrebbe compiuto 30 anni… magari adesso saremmo stati sposati e avremmo avuto dei figli se quella sera le cose fossero andate bene.>>

Françoise stirò i lineamenti del volto, senza rispondere. Non aveva parole con cui consolare l’amico, il cui dolore si leggeva chiaramente sul volto. Lentamente finì per distogliere lo sguardo, guardando da un’altra parte.

Improvvisamente, dopo lunghi attimi di silenzio, la tazza di Albert cadde riversa sul tavolo e Albert si prese il volto nella mano destra, cominciando a piangere silenziosamente: <<Accidenti… mi manca… mi manca troppo.>>, disse facendo cadere pesantemente il braccio destro sul tavolo e nascondendovi la testa.

Françoise lo guardò sentendosi impotente. Tutto quello che le riuscì di fare fu posare la sua mano sulla mano sinistra di Albert che era posata sul tavolo, stringendola lievemente.

Albert continuò a piangere per parecchi minuti. Quando rialzò la testa si asciugò gli occhi con un tovagliolo di carta che era sul tavolo: <<Mi dispiace di averti fatto assistere a questa scena patetica.>>

<<Non c’è nessun problema.>> disse Françoise sorridendo appena <<E’ naturale sfogarsi ogni tanto. Tu sei uno che tiene troppe cose dentro. A un certo punto è normale scoppiare. Siamo amici… ogni volta che avrai bisogno di me sai dove trovarmi.>>

Albert non disse nulla, ma le sorrise sinceramente

 

 

Parte I

 

<<Vorresti tornare a Berlino?>>

Gilmour guardò Albert dal basso in alto, distogliendo l’attenzione dai documenti che stava leggendo.

<<Sì, professore. Vorrei tornare là per un po’ di tempo. Solo un breve periodo.>>, disse Albert.

<<Berlino non è un luogo molto sicuro in cui andare adesso.>> disse Gilmour mettendo i gomiti sul tavolo e intrecciando le mani davanti alla bocca <<Si va e non si sa se si torna. Lo sai vero?>>

Albert strinse la mano sinistra in un pugno: <<Lo so, professore. Ma ho bisogno di andare.>>

Gilmour sospirò pesantemente e chiuse gli occhi, appoggiandosi allo schienale della sedia. Stava riflettendo. Albert lo guardò in silenzio per alcuni istanti.

<<A questo punto… tanto vale.>>, disse improvvisamente Gilmour andando a cercare qualcosa in un cassetto <<Ti lascerò andare Albert… e d’altronde non vedo come potrei fermarti… ma mi dovrai fare un favore. Anzi non andrai da solo. Verranno anche 003, 007 e 009 con te.>>

Albert aggrottò la fronte perplesso, ma restò in silenzio aspettando che il professor Gilmour proseguisse.

Gilmour raccolse alcune carte e le ordinò: <<Sono riuscito a ricevere un messaggio di un mio vecchio amico. E’ uno scienziato e vorrebbe lasciare la Germania dell’Est per poter essere di nuovo libero. Ma come tu ben sai il governo di Ulbricht[2] non lascia che gli scienziati e simili lascino il paese.>>

Albert annuì e strinse ancora di più il pugno, tanto che se avesse avuto pelle invece che metallo avrebbe già cominciato a sanguinare.

<<Vorrei che lo liberiate.>>, disse Gilmour <<Lui e sua figlia sono prigionieri in quello Stato. So che tu puoi capire quello che provano.>>

<<Sì, professore. Lo capisco benissimo.>>, disse Albert abbassando la testa e chiudendo gli occhi.

Per un attimo tornò tutto nella sua mente: la pioggia, la Porta di Brandeburgo, il filo spinato, le guardie, gli spari, Hilda morta fra le sue braccia…

<<Va bene professore. Libererò il suo amico… ma vado là anche per… soprattutto per motivi personali.>>, disse Albert alzando gli occhi verso il professore e gesticolando con le mani.

<<Certo Albert. Questo lo sapevo.>> annuì Gilmour <<Vatti a preparare. Io intanto avviso gli altri. Partirete prima possibile.>>

 

 

Parte II

 

<<Per fortuna non si sono accorti che i nostri visti erano falsi[3].>>, disse Bretagna non appena furono usciti dall’aeroporto Schönefeld[4].

<<Non parlare così forte.>> gli disse Albert sottovoce <<Qua ci sono guardie anche sotto le tue scarpe.>>

Bretagna si guardò le scarpe come se veramente si aspettasse di trovare delle guardie sotto le suole.

Intanto Albert si guardava intorno. Il cielo era nuvoloso e prometteva pioggia.

<<Faremmo meglio a prendere un taxi e ad andare subito in albergo.>> , disse Joe cercando di riattivare l’attenzione dell’amico.

<<Sì, ci penso io. Seguitemi.>>, rispose Albert meccanicamente.

Albert cominciò a camminare verso una fila di taxi parcheggiata poco più in là. Appena li vide avvicinare un tassista uscì dalla sua auto.

<<Tocca a lei?>>, gli chiese Albert in tedesco.

<<Ja.>>, disse semplicemente lui prendendo le valigie dalle mani dei suoi nuovi passeggeri e caricandole nell’auto.

Albert salì davanti, mentre gli altri 3 si misero dietro.

<<Dove vi porto, signori?>>, chiese il tassista azionando il tassametro.

<<Allo Stadt Berlin, ad Alexanderplatz.>> rispose Albert laconico.

Il tassista cominciò ad andare.

Albert si mise taciturno a guardare fuori dal finestrino. Costeggiarono la Spree[5] in alcuni lunghi tratti e infine lo attraversarono e finalmente furono arrivati.

Il tassista tirò fuori le valigie mentre i passeggeri scesero.

Albert pagò il viaggio: <<Tenga pure il resto.>>

<<Grazie.>>, disse il tassista guardando la banconota che gli aveva dato Albert <<Ma è troppo!>>

Albert, che si era già avviato verso l’entrata si voltò appena: <<Compraci un bel regalo ai tuoi figli.>>

<<Da… danke schön…>>, balbettò il tassista non credendo quasi ai suoi occhi.

I quattro si avvicinarono alla reception. L’uomo che stava dietro il bancone alzò lo sguardo scrutandoli: <<Desiderano?>>

Albert posò le valigie di fronte al bancone e prese i documenti falsi che aveva loro fornito Gilmour: <<Abbiamo prenotato 2 stanze a nome di Jörg Bayer.>>

L’uomo controllò qualcosa sul tomo che aveva davanti: <<Sì, vedo.>>

Si voltò e prese due chiavi tra quelle appese dietro di lui: <<La 264 è la tripla, la 265 è la singola. Chiamo il fattorino.>>

<<Non ce ne sarà bisogno.>>, disse Albert prendendo le chiavi.

Si rediresse verso i suoi compagni che lo stavano aspettando poco più in là. Porse a Françoise la chiave della singola.

<<Grazie Albert. Di qui in avanti falle sempre tu le prenotazioni degli alberghi.[6] Anche quando non devi venire.>>

<<Perché mi fischiano le orecchie?>>, chiese Joe in tono ironico mentre cominciavano a incamminarsi verso le loro stanze.

<<Perché mi riferivo a te.>>, disse Françoise sorridendo

<<Quanto me la dovrai far rimangiare questa storia?>>, chiese Joe alzando gli occhi al cielo <<Si è trattato solo di un equivoco.>>

<<Dillo che lo hai fatto apposta.>>, intervenne Bretagna mettendosi fra i due.

In tutta risposta Bretagna si beccò due gomitate, da una parte e dall’altra.

<<Accidenti!>>, disse tenendosi i due fianchi <<Ma stavo solo scherzando.>>

<<In ogni scherzo c’è un briciolo di verità.>>, disse Albert voltandosi per godersi la scena.

<<Non ti ci mettere anche tu adesso.>>, disse Françoise.

<<Certo certo… siamo arrivati.>>

<<Allora verrete in camera mia quando sarete pronti, no?>>, disse Françoise aprendo la porta della sua stanza.

<<Sì, questione di mettere un po’ di ordine.>>, disse Joe.

<<Ci vediamo dopo.>>, disse Françoise entrando nella sua stanza e chiudendo la porta dietro di sé.

Posò la valigia accanto al letto e andò subito alla finestra. Da lì avrebbe dovuto vederlo. Dette un’occhiata e non le ci volle molto per identificarlo. L’avevano presa apposta quella stanza.

In una cucina di un appartamento del palazzo di fronte un uomo in tutto e per tutto uguale a quello ritratto nella foto che aveva mostrato loro il professor Gilmour stava seduto al tavolo leggendo il giornale e bevendo una tazza di caffè.

Françoise abbassò lo sguardo fino alla strada: <<C’era da aspettarselo.>>

 

Parte III

 

<<Allora?>>

Françoise era seduta di fronte alla finestra e stava ancora guardando verso l’appartamento del professor Klein. Si voltò appena per vedere Joe e poi tornò a monitorare la situazione: <<Adesso è seduto nel salotto. Credo si sia addormentato sulla poltrona.>>

<<Visto nient’altro?>>, chiese Joe sedendosi sul letto.

<<Sì. C’è un auto parcheggiata quasi davanti all’albergo con due uomini dentro. Non è difficile immaginare che siano qui per sorvegliare Klein.>>

<<Devono tenerci molto a quell’uomo…>>, commentò Joe.

<<Se è vero quello che ci ha detto Gilmour non è difficile immaginarlo.>>

<<Già…>>

Joe ripensò alla loro conversazione con Gilmour.

<<Il professor Klein è un’autorità nel campo della cibernetica. Probabilmente il governo della RDT vuole utilizzare le sue conoscenze per creare cyborgs su larga scala. E magari non solo per utilizzarli in operazioni belliche.>>

<<Che cosa intende dire, professore?>>, aveva chiesto Joe.

Era stato Albert, in piedi davanti a una finestra a guardare fuori, a rispondere per il professore: <<Che potrebbero trasformare gli atleti in cyborgs, per esempio.>> si era voltato verso gli altri partecipanti alla missione riuniti nello studio di Gilmour <<Nella RDT non si fanno scrupoli di utilizzare qualunque tipo di sostanza dopante perché gli atleti ottengano risultati nelle varie manifestazioni sportive. Il primato nello sport è un modo per dimostrare la validità del regime. E se non vinci rischi grosso.>>

<<E’ orribile.>>, aveva detto Françoise portandosi una mano alla bocca.

<<A quel che so,>> aveva ripreso Gilmour <<Klein è l’unico scienziato presente nella RDT in grado di costruire un cyborg efficiente. Gli altri sono tutti fuggiti prima della costruzione del Muro. E per questo lo tengono sotto stretta sorveglianza.>>

<<Dove sono gli altri?>>

La voce di Françoise lo riportò al presente.

<<Albert è uscito a fare un giro.>> rispose Joe <<Ha detto che sarebbe tornato prima di cena e che, visto che per ora non abbiamo bisogno di lui, sarebbe andato a farsi un giro in città. Bretagna si è sdraiato sul letto appena entrato nella stanza e si è addormentato come un ghiro. Mi dispiaceva svegliarlo.>>

Françoise strinse le labbra: <<Albert avrà voluto rivedere Berlino. In fondo lui è quasi un esiliato.>>

<<Già…>>

<<Tutti noi possiamo tornare nelle nostre città quando vogliamo.>> continuò Françoise guardando ancora fuori dalla finestra. <<Lui no. Io impazzirei all’idea di non poter rivedere più Parigi.>>

<<Penso di poter capire.>>, disse Joe.

Ci fu qualche attimo di silenzio nella stanza. Françoise continuava a sorvegliare la casa del professor Klein e Joe si limitava a guardarla in silenzio con mille pensieri in testa.

<<Sta cominciando a piovere.>>, disse Françoise improvvisamente, con una voce calma e quasi meccanica.

Pochi secondi dopo una pioggia debole ma insistente cominciava a cadere su Berlino.

 

Parte IV

 

Albert guardava silenzioso la Porta di Brandeburgo ergersi maestosa di fronte a lui, con la bandiera della Repubblica Democratica Tedesca che sventolava sopra di essa. Poco più in là si ergeva il Muro. 155 km di cemento armato che attraversavano la città e arrivavano fino al distretto di Postdam.

Albert non si accorse nemmeno della pioggia che cominciava a cadere. Iniziò a camminare per le vie della città, mentre la pioggia lo bagnava a poco a poco.

Camminava quasi meccanicamente nelle strade che erano state teatro della sua infanzia, della sua vita, del suo passato. Camminava fra la gente, lasciando che le gambe lo guidassero attraverso i suoi ricordi. Si muoveva sicuro tra le strade come se non se ne fosse mai andato da lì.

Camminò a lungo, incurante della pioggia che gli scendeva lungo il viso. Arrivò di nuovo nei pressi della Spree e si fermò un momento a guardare il fiume dal mezzo di un ponte. Quindi continuò nel suo cammino verso il passato, fino a che non arrivò nei pressi del Tierpark[7]. Era arrivato nel Friedrichsfelde, il luogo in cui aveva vissuto la sua vita da cittadino berlinese. Qui era nato, qui era vissuto. Era passato attraverso il nazismo, la guerra. Qui aveva conosciuto i suoi amici e Hilda.

Costeggiò il parco, camminando sulla strada che gli passava accanto e arrivò infine nella strada nella quale era nato e cresciuto.

La guerra aveva lasciato poco in piedi. E quindi c’erano molte cose diverse rispetto a quando lui era un bambino. Ma le case si potevano ricostruire e così era stato fatto. E non sembrava cambiato molto da quando lui se n’era andato. Anche quella caffetteria era sempre al suo posto.

Si raccolse ancor più dentro il suo giubbotto, sperando che nessuno lo riconoscesse e continuò a camminare guardandosi intorno.

A un certo punto sbatté contro qualcosa.

<<Oh, mi scusi.>>, disse Albert e istintivamente gli porse la mano destra.

Lui era rimasto in piedi ma il ragazzo con cui si era scontrato no. E ancora non aveva visto la mano che Albert gli aveva offerto. Fu allora che Albert si accorse di aver dato la mano “sbagliata” e la ritrasse subito.

<<No, sono io che mi devo scusare con lei, signore...>>, stava dicendo il ragazzo mentre si rialzava <<Vado sempre di fretta, mi scusi ancora.>>

Albert lo guardò incuriosito. Aveva un aspetto familiare.

Anche il ragazzo, che ancora non aveva visto Albert bene in faccia, fece un’espressione lievemente sorpresa vedendolo.

<<Andreas…>>

<<Albert… ma allora tu sei vivo?!>>

Il ragazzo gli saltò al collo abbracciandolo: <<Mio Dio. Pensavo che tu fossi morto…>>

Albert restò un po’ interdetto all’abbraccio del ragazzo, ma poi lo abbracciò debolmente e dopo un po’ lo scostò da lui: <<Andreas, sei molto cresciuto dall’ultima volta che ti ho visto. Adesso hai…. 20 anni. Vero?>>

<<Beh,>> rispose il ragazzo <<Quando mi hai visto per l’ultima volta ero un ragazzino. E’ logico che sia cresciuto. Ma vieni. Ti offro qualcosa… Accidenti, sei bagnato come un pulcino.>>

Andreas si incamminò verso la caffetteria. Una volta entrati lo fece sedere al bancone e cominciò a preparare del caffè.

<<Non è cambiato quasi niente neanche qui dentro…>>, disse Albert guardandosi in giro.

<<Dopo la morte di papà e mamma io e Johann abbiamo deciso di lasciare il tutto il più possibile come prima.>>, disse Andreas versando il caffè mettendosi di fronte a lui.

<<Heinz e Irisa sono morti!?>>

Andreas si limitò ad annuire gravemente: <<Nostro padre è morto di tumore circa un anno fa. Nostra madre ha smesso di vivere praticamente dal giorno in cui hanno portato a casa la salma di Hilda. E’ morta di dolore. Siamo rimasti solo io e…>>

<<Albert?!>>

Albert si voltò verso la voce e si alzò in piedi: <<Johann…>>

La ragazza era senz’altro sorpresa, ma in breve la sua espressione passò dallo stupore all’indifferenza: <<Che cosa ci fai qui?>>, chiese mettendosi anche lei dietro il bancone <<Perché sei tornato?>>

<<Johann, non essere così dura…>>, cercò di calmarla Andreas, ma Albert lo fermò con un gesto della mano.

<<Non resterò a lungo. Vorrei solo…>> Albert si fermò un attimo. Poi si rivolse al ragazzo <<Tu hai detto che vi hanno riportato la salma di Hilda. Quindi l’avrete sepolta. Voglio solo visitare la sua tomba… poi non vi darò più fastidi.>>

<<Non ti pare di aver già importunato abbastanza nostra sorella?>>, disse Johann sciacquando dei bicchieri <<Potresti lasciarla in pace almeno da morta.>>

<<Johann!>>, esclamò Andreas guardando la sorella con uno sguardo torvo.

Albert chiuse gli occhi un attimo. Poi sospirò e riprese il cappello che aveva posato su uno sgabello lì accanto.

<<Ho capito… non importa.>> disse alzandosi e dirigendosi verso l’uscita.

<<Albert, aspetta…>>, cercò di fermarlo Andreas.

Albert si voltò appena: <<Io volevo solo che noi due potessimo essere liberi e felici.>> disse <<Ci amavamo, e tu lo sai bene Johann. Ma la nostra libertà l’abbiamo pagata a caro prezzo. Hilda è morta e io l’ho persa per sempre. E Dio solo sa quanto vorrei essere morto io al suo posto. Però comprendo il tuo rancore verso di me… Volevi molto bene a Hilda e io te l’ho portata via per sempre…>> Albert abbassò lo sguardo <<Non ti chiedo di perdonarmi… perché nemmeno io riesco a perdonare me stesso. Grüß Gott[8].>>

Albert uscì dal locale e cominciò a camminare lentamente sulla strada del ritorno. Intanto la pioggia era diventata più forte e insistente.

<<Albert, aspetta per favore!>>

Albert si voltò e aspettò che Andreas lo raggiungesse.

<<Almeno lascia che ti dica dov’è sepolta Hilda…>> gli disse Andreas con il fiatone quando lo ebbe raggiunto <<Sono sicuro che aspetta una tua visita…>>

Albert restò in silenzio guardandolo.

Andreas rialzò la testa dopo essersi ripreso un po’ dalla corsa: <<E’ al Cimitero Cittadino Centrale… accanto alla tomba dei nonni. Tu sai dov’è… no?>>

Albert annuì: <<Grazie Andreas…>>

<<Perdona Johann… lei non si è ancora ripresa dalla morte di Hilda e dei nostri genitori…>>

<<Non importa… la capisco.>>, disse Albert scuotendo la testa <<Dille che non verrò più a disturbarvi… Lo prometto.>>

<<Va bene… Come vuoi.>>, disse Andreas annuendo <<E prendi questo.>>, disse porgendogli un ombrello.

Albert lo prese in mano: <<Beh… ormai sono bagnato fradicio.>>

<<Tu non te lo ricordi, ma lo lasciasti a casa nostra tanti anni fa. E’ tuo. Io te lo sto solo rendendo.>>

Albert gli sorrise: <<In questo caso ti ringrazio.>>

<<Grüß Gott Albert.>>, gli disse Andreas porgendogli la mano destra.

Albert trasalì: “Non posso dargli la mano…”

Restò fermo qualche istante e infine lo abbracciò come un fratello. Dopo qualche istante si scostò da lui: <<Grüß Gott Andreas… e grazie ancora.>>

Dopodiché se ne andò sotto la pioggia con il suo vecchio ombrello aperto, in direzione del Cimitero Centrale Cittadino.

Andreas lo guardò fermo sotto la pioggia finché non gli fu più possibile vederlo: <<Spero che ci rivedremo Albert. Un giorno ci rivedremo e magari saremo uomini liberi.>>

 

Parte V

 

<<Dobbiamo riuscire a contattare Klein.>>, disse Joe dopo un bel po’ che era rimasto fermo a guardare Françoise che sorvegliava l’appartamento del professore.

<<Finché ci sono quelle guardie di sotto non potremo fare nulla.>> disse Françoise <<Qui non lasciano le cose al caso. A tutti quelli che sono entrati là dentro quel palazzo è stato chiesto che fossero e perché si trovassero lì.>>

Joe  si grattò la testa rimuginando sul da farsi: <<Dovremo riuscire a sviarli in qualche modo.>>

Si avvicinò alla finestra anche lui e controllò la situazione. La finestra dell’appartamento di Klein era aperta e lo si vedeva chiaramente mentre era seduto nella solita poltrona in salotto.

<<Adesso sta ascoltando la radio.>>, disse Françoise alzandosi in piedi <<Non sono venuta qui per stare a sorvegliarlo tutto il giorno. Ormai sappiamo qual è la situazione.>>

<<Ma la figlia non l’hai mai vista?>>, chiese Joe volgendosi verso di lei.

Françoise scrollò le spalle: <<Per quel che ne so c’è stato solo lui in casa, per tutto il giorno. Forse è uscita prima che noi arrivassimo.>>

Joe guardò di nuovo perplesso verso la casa di Klein. Françoise lo scrutò pensierosa, poi si allontanò un attimo per andare in bagno. Joe quasi non se ne accorse. Tornò a guardare in strada, verso la macchina dove stavano i due uomini. Un’altra macchina molto simile si fermò accanto alla loro. La macchina con i due uomini quindi si mise in moto e si allontanò e la nuova macchina prese il suo posto.

“Uhm… si danno il cambio.”, pensò Joe guardando l’ora.

Erano le 4 del pomeriggio. I due di prima erano lì già quando loro erano arrivati in albergo verso mezzogiorno.

<<Perché sei così interessato a sapere di sua figlia?>>

Joe si voltò verso Françoise con uno sguardo interrogativo: <<Che cosa intendi dire?>>

Françoise lo guardò con un’espressione indecifrabile sul volto: <<Uhm… lascia perdere. Una domanda stupida.>>

Joe la osservò perplesso. Poi realizzò e scosse la testa: <<La mia era solo una curiosità… professionale.>> disse <<Non credo ci sia niente di male in questo.>>

<<Sì, certo.>>, rispose lei con una voce atona cercando qualcosa in un beauty case.

Joe le si avvicinò e la prese per un braccio e costringendola a guardarlo in faccia: <<Ma ti do l’idea di una persona così superficiale da interessarmi a una persona che nemmeno conosco?>>

<<Joe, ti ho già detto che era una domanda stupida.>> gli rispose <<Non mi sembra il caso di prendersela… per così poco.>>

<<Poco?!>> chiese lui aggrottando la fronte <<Credi che a me interessi poco la tua considerazione?!>>

Lei lo guardò perplessa, senza rispondere.

<<Salve gente… oh, ho interrotto qualcosa?>>

I due si voltarono verso Bretagna che era appena entrato nella stanza e li stava guardando con un po’ di stupore misto a curiosità.

<<Se volete ripasso dopo…>>, disse per smorzare la tensione.

<<Non dire sciocchezze!>> disse Joe in un tono piuttosto adirato <<Anzi, avevamo giusto bisogno di te.>>

<<Agli ordini…>>, disse Bretagna in un tono di voce piuttosto sarcastico e alzando gli occhi al cielo.

Joe si era portato alla finestra: <<Vieni qua.>>

Bretagna si avvicinò.

<<Vedi quell’uomo in quella finestra aperta?>>

Bretagna annuì: <<E’ Klein?>>

<<Esatto… e quegli uomini in quella macchina lo sorvegliano.>> disse indicando la macchina dei sorveglianti <<Si sono appena dati il cambio con altri due. Quindi è impossibile entrare lì dentro senza essere notati. Pensavo che potresti trasformarti in una specie di piccione viaggiatore, volare fino alla sua finestra e portargli il nostro messaggio, per fargli sapere cha siamo qui quantomeno.>>

<<Non potrei parlargli a voce?>>

<<Ci sono dei microfoni in quell’appartamento.>> intervenne Françoise <<Sono nascosti in ogni angolo.>>

<<Dovrai fare in modo di non farti scoprire e anche che Klein non ti faccia scoprire.>> lo avvertì Joe <<Forse non sa nemmeno di essere sorvegliato tanto attentamente.>>

<<Ci devono proprio tenere a quest’uomo…>> disse Bretagna grattandosi la pelata <<Se non c’è altro modo farò come dici tu, 009. Mi sembra un’ottima idea.>>

<<Non ci resta che scrivere il messaggio.>>, disse Joe guardando Klein che, ignaro di tutto, stava ancora fermo nella sua poltrona.

 

Parte VI

 

Albert camminava lentamente tra le file di tombe, cercando un volto che neanche il tanto tempo passato era riuscito a cancellare dalla sua mente. Poteva sentire il suo cuore artificiale aumentare il proprio battito ad ogni passo che i suoi piedi muovevano sulla ghiaia dei vialetti. Hilda era lì vicino a lui, sepolta da qualche parte.

<<Vicino alla tomba dei suoi nonni…>> disse Albert pensando a voce alta e richiamando le parole di Andreas.

Era stato a quella tomba insieme a Hilda tante volte in passato. Lei era molto attaccata ai suoi nonni paterni e spesso andava a trovarli, e a volte aveva portato anche lui. Erano stati sepolti in una parte che allora era piuttosto nuova, dove all’epoca non erano presenti molte lapidi. Ma le cose erano cambiate. C’erano state parecchie sepolture in quella zona negli ultimi anni e Albert faceva non poca fatica a ritrovare i suoi punti di riferimento.

Improvvisamente si fermò. Il cuore cominciò a battergli ancora più forte. Restò fermo e immobile per qualche lunghissimo secondo. Si voltò e cominciò a camminare nella direzione opposta dalla quale era venuto. Aveva voglia di correre, ma era pur sempre in un cimitero.

“Calma Albert, calma… magari ti sei sbagliato.”

Dopo pochi metri che sembrarono essere centinaia di chilometri, si fermò davanti a una lapide di marmo scuro. Sopra vi era scolpita una semplice croce a rilievo sotto la quale il volto di una donna sorrideva guardando verso di lui.

Albert lesse l’iscrizione a voce alta, come a voler sentire da una qualche voce che fosse lei, per esserne sicuro:

 

Hilda  HÄßller

 

22/07/1938 – 08/11/196X

 

Chiuse gli occhi, lasciando che le sue emozioni si calmassero, cercando di riordinare le idee. Poi li riaprì e restò a lungo immobile in piedi davanti alla lapide, guardandola in ogni suo più piccolo particolare. La pioggia appena caduta aveva lasciato piccole goccioline sopra il marmo. Ogni tanto qualcuna scivolava giù, come piccole lacrime. I fiori che erano dentro il vaso sembravano piuttosto freschi. Sicuramente qualcuno veniva a cambiarli spesso. Johann e Andreas, molto probabilmente. Guardò il mazzo che aveva in mano. Erano rose bianche. Hilda adorava le rose, in particolare quelle bianche.

Si inginocchiò e scartò le rose, adagiandole accuratamente sulla loro carta. Quindi cominciò a metterle a una a una dentro il vaso, cercando di sistemarle il meglio possibile. Quando ebbe finito piegò la carta e rimase inginocchiato con un braccio su un ginocchio a fissare la lapide. Quasi senza accorgersene si tolse il cappello e lo tenne in mano, mentre le parole cominciarono a uscirgli di bocca calme e pacate, nonostante fosse tanto tempo che avrebbero voluto vivere.

<<Ciao Hilda. Finalmente sono riuscito a tornare. Tu lo sai… io penso sempre a te, a quello che eravamo, a quello che avevamo. Non avrei mai dovuto cercare di convincerti a passare quelle barricate con me… ma io volevo solo vederti libera… vederci liberi. Non sono stato in grado di proteggerti… e lo rimpiango ogni giorno della mia vita. Sono cambiate tante cose da allora. Io non sono più esattamente quello che ero prima… La mia anima ora è come imprigionata in questo corpo.>> Albert si tolse il guanto della mano destra e la alzò come a volerlo mostrare alla fotografia di Hilda <<Con questa mano sono in grado di sparare più velocemente di un mitra… e non è niente… Con l’altra potrei tagliare a fette qualunque cosa. Devo dirti che in verità a volte sono felice che tu non sia qui e non mi possa vedere in queste condizioni. Probabilmente mi odieresti. Adesso sono un cyborg, un mezzo robot che non sa nemmeno se ha il diritto di definirsi “mezzo umano”.>> si rimise il guanto alla mano <<Ma i miei sentimenti non sono cambiati. Non riesco a dimenticarti… ti amo ancora oggi come ti amavo allora… Pensi che sia strano? Anche tu mi vedi solo come una macchina incapace di amare? Tanti pensano così… sapessi quanto si sbagliano… Noi cyborgs siamo in grado di amare. Oh, sì che lo siamo. Questi sentimenti che siamo costretti a portarci dietro sono la nostra condanna, ma sono anche la nostra speranza… Ci ricordano di essere ancora vivi… ci ricordano che non siamo fredde macchine di morte. E proprio per questo io non smetterò mai di pensare a te e all’amore che abbiamo provato e che io ancora sento anche solo per il tuo ricordo… Perché questo amore e tutti i miei sentimenti mi permettono di andare avanti. Mi danno la forza per continuare a vivere e mi impediscono di puntarmi… la mano alla testa.>>

Albert restò fermo e in silenzio per alcuni secondi. Poi si portò l’indice e il medio uniti della mano sinistra alle labbra, per poi sfiorare con quelle stesse dita la foto di Hilda. Concluse il suo gesto e sorrise appena. Si alzò in piedi e abbassò la testa, recitando una breve preghiera. Quindi si fece il segno della croce e si rimise il cappello in testa, raccogliendo poi la carta da terra.

Guardò un ultima volta la lapide: <<Ti saluto. Non so se riuscirò a tornare. Magari quando questo sarà un paese libero e io potrò tornare a vivere nella nostra amata Berlino, nel  Friedrichsfelde, dove siamo cresciuti e dove è nato il nostro amore. Dove c’è tutto il mio passato. Spero che questo sia solo un arrivederci, Hilda. Ma almeno ora sono sicuro che tu sai che io non ho mai smesso di pensare a te.>>

Portò la mano alla visiera del berretto, abbassando leggermente il capo in segno di saluto. Poi cominciò a camminare sulla via del ritorno.

<<Albert…>>

L’uomo si voltò indietro, nella direzione da cui proveniva la voce che lo aveva chiamato.

<<Johann?!>> esclamò Albert sgranando gli occhi e lasciando cadere la carta per terra <<Che ci fai qui?>>

<<Io… ero venuta a visitare Hilda...>>, rispose lei abbassando gli occhi <<Lo faccio quasi tutti i giorni.>>

Albert si voltò completamente verso di lei, chiedendosi se avesse sentito tutto i discorso e non avendo il coraggio di porle direttamente la domanda. Istintivamente si mosse verso di lei e quando Johann indietreggiò nel vederlo avvicinarsi capì.

<<Tu hai sentito tutto, vero?>>, le chiese fermandosi per non spaventarla ulteriormente e sapendo già la risposta.

<<Tu… sei ve-veramnente… un….>>

Albert sospirò e chiuse gli occhi un attimo. Poi li riaprì e guardò Johann con un’espressione malinconica: <<Sì, sono un cyborg. Sono stato catturato da un’organizzazione criminale proprio il giorno in cui io e Hilda cercammo di oltrepassare le barricate a Brandeburgo. Quel giorno è quasi come se fossi morto anch’io.>> disse guardandosi le mani coperte dai guanti <<Mi hanno trasformato in un cyborg contro la mia volontà. Un cyborg creato per combattere e uccidere. Sono un’arma, anche se mi sono ribellato ai miei creatori non posso ribellarmi a questo destino… il mio stesso corpo è imbottito di armi e munizioni… ma ho conservato tutti i ricordi di un uomo chiamato Albert Heinrich… Pensavo che fosse morto. E invece alla lunga ho capito che lui continua a vivere in me.>>

Strinse le mani in due pugni e guardò di nuovo verso Johann che era immobile, come impietrita di fronte a lui, guardandolo con gli occhi pieni di una miscela di stupore e timore. Albert decise di avvicinarsele. Lei non si mosse, più per una qualche sorta di terrore che per sua volontà

<<Johann, non intendo farti del male.>> le disse quando fu abbastanza vicino da poterla toccare.

Avvicinò la sua mano destra verso di lei e proprio quando lei lo vide fare questo chiuse gli occhi e abbassò la testa alzando una mano come a difendersi.

Albert si fermò paralizzato da quella visione. Lei sapeva cosa c’era sotto quel guanto. L’aveva visto e ne aveva paura.

Dopo qualche secondo Albert ritirò la mano e indietreggiò di qualche passo: <<Hai paura di me…>> disse abbassando gli occhi <<Beh, è comprensibile. Scusami. Non volevo terrorizzarti così… E’ logico che tu mi veda come una specie di mostro… Non ti posso biasimare… Non sei la prima persona e non sarai nemmeno l’ultima a vedermi così… Comunque presto me ne andrò da questa città e non tornerò più. Non ti preoccupare.>>

Si voltò e riprese il suo cammino verso l’uscita. Dopo qualche passo si fermò nuovamente per raccogliere la carta e, senza voltarsi, le disse: <<Per favore, vorrei che non dicessi nulla ad Andreas di tutto questo… Se puoi. Non ti chiedo altro.>>

Si rialzò e ricominciò a camminare lentamente. Johann riaprì gli occhi e lo guardò allontanarsi.

Il terrore che aveva provato piano piano si dileguò, ma l’uomo era già scomparso dalla sua visuale quando Johann si rese conto di averlo profondamente ferito.

 

Parte VII

 

Un piccione si posò sul davanzale della finestra. Klein alzò appena gli occhi dal giornale, poi riprese la sua lettura. Il piccione allora restò lì a guardare il professore aspettando che egli gli rivolgesse ancora l’attenzione.

Passarono parecchi minuti prima che il professore rialzasse gli occhi e si accorgesse che il piccione non si era mosso. Posò il giornale sulle ginocchia e guardò il pennuto incuriosito. Sembrava che gli sorridesse…

“Un piccione che sorride… i piccioni non sorridono!”

Klein scosse la testa, pensando così di svegliarsi dal miraggio. Ma quando guardò di nuovo verso il piccione, questo non solo gli stava sorridendo, ma lo stava anche invitando ad avvicinarsi con un’ala mentre con l’altra gli diceva di restare in silenzio.

“Ma che diavolo…”

Si alzò dalla poltrona e si avvicinò al pennuto. Quando fu abbastanza vicino il piccione alzò una zampa mostrandogli un rotolino di carta attaccatovi.

Il professore guardò il piccione perplesso. Poi scrollò le spalle e prese il rotolino di carta. Lo srotolò e cominciò a leggere[9].

Professor Klein, NON DICA UNA PAROLA: LA SUA CASA E’ PIENA DI MICROFONI!!! Siamo i cyborgs inviati dal dottor Gilmour per portarla fuori dalla DDR. Siamo in 4 e alloggiamo allo Stadt Berlin. Una delle stanze in cui alloggiamo ha la finestra che dà direttamente sul suo appartamento. Se alza gli occhi ci vedrà.  

Klein alzò gli occhi e vide un ragazzo e una ragazza che lo guardavano dalla finestra di fronte. Lo salutarono con un cenno della mano.

Ricominciò a leggere.  

Dobbiamo metterci d’accordo per mettere a punto il piano di fuga. Dia un suo vestito a 007 (è il piccione che le ha portato il messaggio) e lo lasci uscire con la sua auto. Le guardie che stanno in attesa di fronte a casa sua dovrebbero seguirlo e allora lei sarebbe libero di uscire e potremmo così incontrarci.

Uno di noi la aspetterà all’edicola qui all’angolo della piazza.  

Bruci questo messaggio dopo averlo letto.  

Klein guardò il piccione e gli sorrise. Avrebbe voluto ringraziarlo ma non poteva per via dei microfoni. Si avvicinò al caminetto e poi prese un fiammifero. Lo accese e quindi diede fuoco al messaggio, lasciandolo poi cadere fra la cenere e frantumando irrimediabilmente i resti con un attizzatoio.

Andò in camera sua e prese qualche suo capo d’abbigliamento e li portò al piccione. Appena vide il professore con i vestiti in mano il piccione saltò giù dal davanzale e si trasformò sotto gli occhi del professore che in pochi secondi si trovò di fronte a un suo perfetto sosia.

007 si vestì in un attimo senza dire una parola. Poi andò a cercare il bagno e entratovi aprì tutti i rubinetti. Klein lo raggiunse guardandolo perplesso.

007 uscì di nuovo dal bagno e prese un foglio ci carta e una penna dal tavolo del telefono. Poi tornò in bagno e invitò Klein a seguirlo. Giunti tutti e due nella stanza, 007 scrisse qualcosa sul foglietto di carta e poi lo mostrò a Klein.  

Dove sono le chiavi della macchina e dov’è parcheggiata?  

Klein prese la penna dalla chiave di 007 e scrisse la risposta, dando il foglio indietro.  

Le chiavi sono nel cassetto di destra del tavolo del telefono. L’auto è parcheggiata davanti al palazzo, la terza in prima fila. E’ una Volkswagen nera.  

007, letto il biglietto annuì e scrisse un’altra cosa.

Resti fermo qui almeno 10 minuti, facendo meno rumore possibile. Poi esca e vada a incontrarsi con il mio compagno. Faccia sparire questo biglietto.  

Rese il pezzo di carta a Klein e chiuse i rubinetti. Quindi uscì dal bagno. Pochi istanti dopo Klein sentì sbattere la porta di casa. Guardò l’orologio da tasca che portava nella tasca del suo panciotto.

Le 5 e 16. Si sedette delicatamente sulla tazza del water chiusa e restò con l’orologio in mano guardando l’orologio e le sue lancette che avevano cominciato a scandire il tempo che mancava al momento in cui sarebbe stato un uomo libero.

 

Parte VIII

 

Albert entrò nella stanza di Françoise. Joe e lei erano fermi davanti alla finestra.

<<Novità?>>, chiese.

Françoise si voltò: <<Forse. Se tutto va bene 009 tra poco si incontrerà con Klein all’edicola qua fuori.

Albert annuì: <<E 007?>>

<<Vedi quel piccione fermo sul davanzale?>>, disse Joe indicando fuori.

Albert si avvicinò e guardò nella direzione indicatagli: <<Um… bella trovata.>>

<<Sta entrando.>> disse 003 <<Adesso Klein gli ha portato i vestiti.>>

<<Tu hai fatto tutto, Albert?>>, gli chiese Joe.

Lui annuì: <<Un bel tuffo nel passato che basterà per i prossimi trent’anni.>>

Françoise si voltò e lo guardò perplessa. Avrebbe voluto dire qualcosa, ma restò in silenzio. Quindi tornò a guardare verso l’appartamento di Klein.

Restarono in silenzio tutti e tre per alcuni istanti, fino a quando 003 non avvertì che 007 era uscito di casa: <<E’ uscito.>> disse semplicemente.

009 si sporse leggermente dalla finestra. Pochi secondi dopo 007 usciva dal portine del palazzo con le sembianze di Klein. La macchina delle due guardie si mise in moto e cominciò a seguirlo.

<<Perfetto.>>, disse 009 <<Allora vado.>>

<<No, aspetta.>>, lo fermò 004 <<Vado io.>>

<<Ma…>>

004 gli sorrise rassicurante: <<Io conosco Berlino meglio di te e so dove possiamo passare con meno problemi possibile. Fidati. Non sbaglierò un’altra volta.>>

009 guardò il compagno perplesso. Poi annuì: <<Va bene. In fondo hai ragione. Va’ pure.>>

004 sorrise e uscì dalla stanza.

Arrivato all’esterno dell’albergo si diresse verso l’edicola all’angolo. Era piuttosto grande. Abbastanza per passare inosservati. L’edicolante stava sonnecchiando leggendo un tascabile. Manco si accorse del nuovo potenziale cliente. Cominciò a dare un’occhiata ai quotidiani. Passarono circa una quindicina di minuti. Klein arrivò e cominciò a guardarsi intorno. Poi iniziò a guardare alcune riviste che non sapeva nemmeno che esistessero. Albert prese una monetina nella sua tasca e la fece cadere nei pressi di Klein.

<<Oh, mi scusi.>>, gli disse avvicinandosi.

<<Si figuri…>>

<<Il professor Gilmour era molto preoccupato per lei.>>

Klein guardò l’uomo che aveva di fronte perplesso.

<<Non mi fissi così. Faccia finta di continuare a guardare le riviste.>>, gli disse 004 guardando i giornali.

<<Ce… certo.>>

<<Dunque.>> disse Albert quasi sottovoce prendendo una rivista di sport e cominciando a sfogliarla velocemente <<Cominciamo a escludere possibilità di fuga. E’ impossibile passare dalla Porta di Brandeburgo.>>

<<Va bene… quando?>>, chiese Klein impaziente.

004 rimuginò un attimo: <<Uhm… direi che dobbiamo studiare la situazione per vedere qual è il punto migliore per passare dall’altra parte.>>

<<Va bene.>>

Albert prese una rivista e andò dall’edicolante a pagarla. Quindi Klein lo guardò allontanarsi. La conversazione era evidentemente finita.

 

Parte IX

 

Albert rientrò in albergo e si diresse immediatamente nella stanza di Françoise.

<<Allora?>>, gli chiese Joe non appena fu entrato.

Albert buttò la rivista che aveva comprato sul letto e si mise pesantemente a sedere su una sedia: <<Mi sembra molto impaziente di andarsene. In fondo lo capisco.>>

<<Mentre era fuori sua figlia è rientrata in casa.>>, disse Françoise.

<<Ah sì?>>, disse Albert <<Spero che il vecchio non si faccia sfuggire qualche parola di troppo.>>

<<Sta rientrando adesso.>>, disse Françoise guardando verso l’appartamento di Klein.

<<Io intanto avverto 007 e gli dico che può rientrare.>>, disse 009.

<<Anche la macchina potrebbe essere piena di microfoni. Digli di non far capire che non è lui.>>, gli suggerì 004.

<<Uhm, hai ragione… non ci avevo pensato.>>

Prese un piccolo congegno che teneva in tasca e lo azionò: <<007, sulla macchina ci potrebbero essere dei microfoni quindi stai attento a quello che dici e soprattutto ascolta: puoi rientrare. Con Klein è andato tutto bene.>>

<<Già, mi sono dimenticato la patente a casa.>>

009 guardò il congegno radiofonico sorridendo. 007 aveva capito alla perfezione.

<<Bene.>> disse <<Allora ci vediamo qui.>>

<<Sì, sì… sto proprio invecchiando.>>

La comunicazione si chiuse.

<<Quando vuole ci sa fare.>>, commentò 004 dondolandosi sulla sedia <<Ah, dovremmo noleggiare una macchina e farci un tour panoramico del muro. Dovrai venire anche tu 003. Bisogna sapere che sistemi di sicurezza usano e dove è più facile passare.>>

<<Credo che le guardie qui sotto facciano dei turni regolari.>> disse 009 <<Dovremmo vedere quando si danno il cambio.>>

<<Giusta osservazione.>>, disse 004.

<<Fanno il cambio ogni 5 ore.>>, disse 003 continuando a guardare la casa di Klein.

<<Come fai a saperlo?>>, le chiese 009 guardandola perplesso.

<<Beh, l’hanno detto loro.>>, rispose lei alzando le spalle come se fosse la cosa più ovvia del mondo <<”Ora ci tocca stare qui 5 ore a sorvegliare il vecchio”. Gliel’ho sentito dire poco dopo che si sono dati il cambio.>>

<<Quindi alle 9… ottimo direi.>>, disse 009.

Intanto 003 aveva ripreso a guardare quello che succedeva nella casa di Klein. La figlia di Klein voltò appena la testa guardando il padre entrare in casa. Stava per dire qualcosa, ma il padre le fece segno di stare zitta.

Poi la invitò a seguirla dopo aver preso dei fogli di carta e una penna dal telefono. La condusse in bagno e di nuovo azionò i rubinetti. Poi scrisse qualcosa su un foglio di carta e lo dette alla figlia.  

Erika, sono venuti a salvarci! I cyborgs di Gilmour sono arrivati finalmente. Fai finta che io non sia in casa. Fino a quando non tornerà il mio sosia. Poi capirai. Questa casa è piena di microfoni.  

Erika lesse il foglio e poi guardò il padre perplessa. Anche lei scrisse qualcosa.  

Sai benissimo che non intendo seguirti .Vai pure, ma io non vengo.  

Erika dette il foglio al padre che lo lesse e la guardò interdetto. Poi scrisse di nuovo qualcosa.  

Sai bene che non posso lasciarti qui. Se ti catturassero la mia fuga sarebbe inutile e loro capirebbero presto cosa sei e comincerebbero a studiarti. Vuoi che finisca così?  

<<Che cosa?! Come sarebbe a dire?>>, esclamò Françoise.

<<Che cosa succede?>>, le chiese Joe.

<<Non lo so… Non sarà mica…>>

<<Accidenti… riesci a leggere pure quello che scrivono su quel foglio. Sei tremenda.>>, disse 004 sogghignando.

003 non gli fece caso ma continuò a osservare la situazione.

Lo scambio di messaggi scritti intanto continuava. Erika stava leggendo quello del padre e sembrava ci stesse riflettendo sopra. Poi scrisse nuovamente qualcosa.  

Va bene… ma poi ognuno per la sua strada.  

La porta di casa sbatté. Erika dette il foglietto a suo padre e uscì dal bagno. Si ritrovò di fronte la copia vivente di suo padre. Il sosia si schiacciò l’ombelico e divenne un canarino. I vestiti rimasero per terra e lui volò via dalla finestra aperta.

<<Erika…>>

<<Papà… non ne parliamo più.>>, disse lei raccogliendo i vestiti.

<<Ce l’hai ancora con me fino a questo punto?>>, le chiese andandosi a sedere sulla poltrona.

<<Non ho mai smesso di avercela con te.>>

Erika piegò i vestiti e li posò sul tavolo della stanza. Posò sul tavolo anche le chiavi della macchina che aveva trovato in una tasca dei pantaloni.

Klein la guardò malinconico, ma senza dire nulla. Non voleva che gli altri sapessero. Ed era per questo che non aveva mai affrontato l’argomento dentro quelle mura. Era perfettamente a conoscenza che la sua casa era piena di microfoni nascosti ovunque. Si mise la testa fra le mani e sospirò profondamente.

Erika sbatté un pugno sul tavolo: <<Avrei preferito morire in quell’incidente… perché non mi hai…>>

<<Mi dispiace.>> disse Klein scuotendo la testa <<Sono solo un egoista.>>

 

Parte X

 

009, 004 e 003 erano dentro la macchina che avevano noleggiato e stavano costeggiando il muro andando verso l’aeroporto. Solo 007 era rimasto in albergo.

 004 stava guidando, mentre 009 guardava il muro poco lontano, dal suo finestrino. 003 teneva la testa bassa, seduta sul sedile dietro.

Avevano detto poche parole da quando avevano lasciato l’albergo. La notizia li aveva un po’ sconvolti.

<<Non ci posso credere.>>, disse improvvisamente Joe rompendo il silenzio che stava diventando opprimente <<Quella ragazza è un cyborg!>>

<<Già, eppure è proprio così.>> disse Françoise <<Dentro è fatta proprio come noi.>>

Passarono ancora alcuni istanti di silenzio. Non erano begli argomenti di cui parlare. A un certo punto Albert rallentò fino a fermarsi accostando su un lato della strada. Erano in mezzo a una specie di foresta.

<<Cosa succede?>>, chiese 009.

004 stava guardando verso il muro poco distante: <<Questa è una zona piuttosto isolata, non molto lontana da Schönfeld.>>

Sentirono il rumore di un aereo in decollo, quasi per confermare quello che aveva appena detto Albert.

<<Sembrerebbe perfetto…>>, disse 009.

<<Anche le torrette sono piuttosto distanti.>>, constatò 003.

<<In più gli alberi ci copriranno mentre ci avvicineremo al muro.>>, disse 004.

<<Ma siamo proprio in mezzo a una foresta…>>, disse 003 guardandosi intorno.

<<Siamo nella Berliner Stadtwald.>>, disse Albert.

009 scese dalla macchina e guardò verso il muro. 003 lo raggiunse poco dopo.

<<Vedi niente che potrebbe darci problemi?>>

003 scrutò per un po’ la zona circostante. Poi scosse la testa: <<No.>>, disse <<Oh…>>.

003 si voltò a destra guardando verso la strada.

<<Cosa succede?>>, chiese 009.

<<Sta arrivando una macchina della polizia.>>

E infatti pochi istanti dopo una volante si fermò davanti alla macchina. Scesero due poliziotti.

<<Buonasera.>>, disse uno di loro.

<<Buonasera, agenti.>>, rispose cordialmente Joe.

Anche Albert uscì dall’auto: <<Siamo solo turisti.>>

I poliziotti scrutarono i tre individui con fare circospetto.

<<Possiamo vedere i vostri passaporti?>>, chiese l’agente che non aveva salutato.

<<Certo.>>, disse Albert mettendosi una mano in tasca e porgendogli il suo.

Il poliziotto lo prese in mano: <<Lei è tedesco?>>

<<Sì. Ma sono di Monaco, a ovest.>>

<<Lo so dov’è Monaco.>>, disse l’agente passando gli dal passaporto a lui un paio di volte.

Albert si tolse il cappello perché potesse controllare meglio.

<<Ha un accento molto berlinese però.>>, commentò l’agente squadrandolo.

<<I miei erano di Berlino. Si sono trasferiti a Monaco quando ero piccolo ma, sa com’è… vivendo con loro.>>

<<Certo… certo.>> disse l’agente <<Avete un visto di due settimane.>>

<<Sì.>>

<<Un tedesco, un giapponese e una francese…>> disse l’altro agente <<Un trio un po’ strano di turisti. Non trovi Ludwig?>>

L’uomo che si doveva chiamare Ludwig li guardò con occhi sospetti: <<Effettivamente…>>

<<Ci siamo conosciuti in albergo e abbiamo deciso di fare un giro insieme.>>, disse Albert alzando le spalle.

<<A quale albergo alloggiate?>>, chiese l’agente.

<<Allo Stadt Berlin.>>, rispose Albert cercando di non far trasparire il senso di fastidio che cominciava a provare.

L’agente annuì non tanto convinto: <<Non potete sostare qui… siete troppo vicini al confine.>>, disse restituendo il passaporto ad Albert.

Albert guardò il “confine” di cemento armato poco lontano: <<Oh, beh… noi non lo immaginavamo. Ce ne andiamo subito.>>

L’agente annuì, poi si rivolse al collega: <<Tutto a posto lì?>>

<<Nulla da segnalare.>>, rispose avvicinandosi a lui <<Vi auguriamo un buon soggiorno.>>

<<La ringraziamo.>>, disse Albert <<Su, andiamo. Arrivederci.>>

<<Arrivederci, signori agenti.>>, disse Joe simulando un accento stentato.

Anche Françoise salutò dando una leggera intonazione francese al suo tedesco.

I due entrarono in macchina, mentre Albert era già entrato ed aveva messo in moto. Quando le portiere si furono chiuse Albert fece inversione e tornò indietro. Mentre si allontanava guardò nello specchietto retrovisore i due poliziotti che erano rimasti immobili e li guardavano allontanarsi.

<<Simpatici i poliziotti tedeschi.>>, disse Joe in tono ironico.

<<Vero, eh?>> disse Albert sogghignando <<Dovresti vedere quando ti sparano addosso perché magari ti sei avvicinato al muro un passo di troppo.>>

 

Parte XI

 

La tv era accesa su un telegiornale. Bretagna stava guardando la strada quando Françoise entrò nella stanza.

<<Successo niente?>>, gli chiese sedendosi sul letto.

<<No.>>, rispose Bretagna <<Quei due stanno là sotto bravi e tranquilli.>>

<<Meglio così.>>

<<Voi tutto bene?>>

Françoise lo guardò sospirando: <<Abbiamo trovato un punto ideale per passare… e a parte due poliziotti che ci hanno chiesto i passaporti, tutto a posto. Dobbiamo solo decidere il quando a questo punto.>>

<<Bene…>>

<<C’è un’altra cosa che non sai.>>

Bretagna la guardò incuriosito: <<Sarebbe?>>

Françoise si tolse le scarpe e le mise ordinatamente in un angolo: <<Erika è un cyborg.>>

<<E chi accidenti è Erika?>>

Françoise alzò gli occhi: <<Come “chi è Erika?”>>

Bretagna scosse la testa per confermare che quel nome non gli diceva nulla.

Poi Françoise capì: <<Ah, già… tu non sai che si chiama Erika. E’ la figlia di Klein.>>

Bretagna strabuzzò gli occhi: <<Quella bella figliola un cyborg?!>>

<<Proprio così…>>, confermò Françoise sospirando.

<<Chi l’avrebbe mai detto…>>

Restarono qualche attimo in silenzio, mentre Françoise tolse alcune cose dalla sua valigia. Poi guardò Bretagna che era rimasto immobile nella sua posizione, sorvegliando ancora la strada.

Quando l’inglese si accorse di essere osservato si voltò: <<Qualcosa non va?>>

<<Non potrò mai avere un po’ di privacy in questa stanza?>>, disse lei incrociando le braccia.

Bretagna la guardò un po’ dispiaciuto: <<Scommetto che se fossi stato chi so io non mi avresti mandato via.>>

Françoise scosse la testa: <<Sei veramente uno scemo. E, per l’appunto non sei chi sai tu. E vorrei farmi una doccia.>>

<<Va bene, va bene…>>

Intanto, nell’altra stanza, Joe starnutì.

<<Salute.>>, disse Albert con un panno in mano.

<<Qualcuno deve star parlando di me[10].>>, disse Joe soffiandosi il naso con il suo fazzoletto.

Pochi istanti dopo Bretagna entrò: <<Salve gente.>>

<<Tutto bene qui?>>, chiese Joe.

<<Certo… che vuoi che succeda…>>

<<Stasera, dopo cena, vi porto fuori. Tanto qui non succede niente. Un po’ di svago non ci farà male.>>, disse Albert lucidando la sua mano di metallo.

<<Direi che è un’ottima idea.>>, disse Bretagna.

<<In fondo non hai tutti i torti. A Klein non può succedere niente di male. Non rischierà adesso che è così vicino alla libertà.

<<E dove ci porti di bello?>>, chiese Bretagna eccitato.

Albert si lisciò il mento: <<Spero che i buoni posti che conoscevo una volta ci siano ancora.>>

<<Bene… vado a farmi una doccia.>>, disse Joe.

Bretagna lo guardò incuriosito e Joe se ne accorse: <<Ho detto qualcosa di male?>>

<<No, no…>>, rispose Bretagna scuotendo la testa <<E’ che anche la nostra amica sta facendo la doccia. Mi ha praticamente cacciato di camera.>>

Joe lo guardò aggrottando la fronte: <<E che diamine vorresti dire?>>

<<Assolutamente nulla… una parola è troppa e due sono poche.>>, disse Bretagna scuotendo entrambe le mani davanti a lui.

<<Muoviti però.>> disse Albert <<Ho fame e ho voglia di risentire un po’ il sapore della mia cara vecchia Germania.>>

<<Va bene, va bene.>>, disse Joe seccato.

Joe si nascose in bagno e Bretagna si sdraiò sul suo letto.

<<Albert.>>

Albert continuò a pulire la sua mano: <<Uhm…>>

<<E’ proprio vero che la figlia di Klein è un cyborg?>>

<<Già… anche lei fa parte dei fortunati.>>, disse soffiando poi sulla mano.

<<Da non crederci…>>

<<Abbiamo telefonato a Gilmour tornando in albergo e ci ha detto che 3 anni fa lei era scampata a un terribile incidente. Lo stesso in cui sua madre è morta. Era in una situazione disperata. Per i medici ci sarebbe voluto un miracolo perché si salvasse… Accidenti, c’è un graffio!>>

Bretagna si raccolse in posizione fetale: <<Beh, evidentemente non è un miracolo quello che è successo.>>

<<No, non c’è assolutamente niente di miracoloso in ciò che l’ha salvata.>>, disse Albert strofinando in modo particolarmente energico sul dorso <<Io avrei preferito morire che salvarmi quel giorno.>>

Un’ombra gli passò sul volto, mentre lo strofinare sulla sua mano si bloccò. Bretagna lo guardò malinconico, ma non disse nulla. Albert posò la mano sinistra con lo strofinaccio in mano sul ginocchio e l’altra continuò a guardarla con un’espressione strana: <<Sai, ho visto la tomba di Hilda oggi.>>

<<Ah, sì?>> disse Bretagna.

Evidentemente se ne parlava era perché ne sentiva il bisogno. E lui non sarebbe certo scappato, ma lo sarebbe stato ad ascoltare da buon amico.

<<Già… e sua sorella ha scoperto che sono un cyborg. Bella storia.>>

<<Cosa!?>>

Albert annuì e mosse le dita della mano come a sgranchirle: <<Già… era terrorizzata. Mi sono sentito malissimo.>>

<<Immagino. Agli occhi degli altri noi siamo delle specie di mostri…>>

<<Io sono l’unico che deve coprirsi una parte del corpo per non far vedere di non essere umano. Voi sembrate tutti esseri umani comuni.>>, disse Albert con tono grave.

Bretagna lo guardò strabuzzando gli occhi: <<Ma… cioè, è vero… però…>>

<<Non siamo molto diversi tra di noi.>>, disse Joe entrando nella camera con un accappatoio addosso.

<<Lo sapete che con questa mano io non ho sensibilità?>> disse Albert mostrando loro la mano destra come se non l’avessero mai vista <<Se tocco qualcosa non ne avverto la consistenza. Se voi toccate la pelle di una donna la potete accarezzare. Io non la sentirei nemmeno. Non la potrei nemmeno accarezzare. Scapperebbe via terrorizzata.>>

Bretagna e Joe, che si era già rimesso i pantaloni e si stava abbottonando la camicia, si guardarono l’uno con l’altro.

<<Albert, soffriamo tutti per quello che siamo diventati.>>

Françoise richiuse la porta dietro di sé, rimanendo poi ferma sulla porta: <<Io non vorrei poter sentire qualunque minimo rumore, ma lo avverto anche senza volerlo. Mi piacerebbe poter passare tra la gente e non fare caso a qualunque parola… c’è da impazzirci. Te lo assicuro.>>

<<Nessuno di noi è più fortunato dell’altro, in questa disgrazia.>>, disse Joe.

<<La pelle di una bella donna…>> disse Bretagna con un accenno di risatina <<E chi se la ricorda più.>>

Albert guardò gli amici ad uno ad uno, e poi abbassò lo sguardo: <<Avete ragione. Ho detto una stupidaggine. Sarà Berlino che mi fa questo effetto. Penso troppo a quello che ero.>> disse rimettendosi il guanto alla mano <<Per farmi perdonare stasera birra per tutti. Di quella vera.>>

<<Accettiamo volentieri.>>, disse Joe provando ad allacciarsi la cravatta, con poco successo.

<<Non sai nemmeno allacciarti una cravatta?>>, disse Bretagna ridendo.

<<E tu non sai tenere quella bocca chiusa?>>, disse Joe seccato.

<<Permetti?>>, disse Françoise avvicinandoglisi e cominciando ad allacciargli la cravatta.

<<Bretagna, di’ una parola e ti faccio volare a Berlino Ovest, direttamente sulla Colonna Trionfale[11].>>, disse Joe guardando l’amico con la coda dell’occhio.

<<Mi chiedo solo se Françoise allaccerebbe la cravatta anche a me.>>

<<Certo che no.>>, rispose lei finendo il lavoro.

<<Lo immaginavo… i soliti raccomandati.>>

<<Perché tu sei perfettamente in grado di farlo da solo.>>, disse Françoise sorridendo.

<<Anche questo è vero.>>, disse Albert <<Senza contare il fatto, caro Mister Union Jack[12], che tu non sei certo un tipo aitante e attraente come Joe. Se fossi una donna credo che anch’io gli allaccerei la cravatta volentieri.>>

<<E che ci vuole?>>, disse Bretagna schiacciandosi l’ombelico e trasformandosi in Joe.

<<Uhm… resti pur sempre un’imitazione.>>, disse Albert.

<<Dai, che siamo identici.>>, disse Bretagna mettendosi accanto a un Joe piuttosto spaesato.

<<No, non siete identici.>>, disse Françoise.

<<Dici così solo perché sai che sono io.>>, disse Bretagna.

<<Ti manca… quel tocco di classe.>> disse Françoise inclinando la testa di lato.

<<Solo perché sei  in… OUCH!>>

La gomitata di Joe l’aveva colto in pieno stomaco.

<<Ah, stasera la birra mi uscirà direttamente dal buco che mi hai appena fatto nello stomaco, lo sai?>>, gli disse Bretagna ritrasformandosi e tenendosi un braccio sulla pancia.

Albert stava ridendo come un matto. Françoise sorrise. Non si ricordava l’ultima volta che l’aveva visto ridere tanto di gusto.

 

Parte XII

 

<<Questa birra è ottima, Albert. Anche se una buona birra inglese la rimpiango comunque.>>, disse Bretagna scolandosi il boccale.

Erano al bancone di una birreria del centro, piena di gente.

<<La vera birra è quella tedesca. Punto e basta.>>, disse Albert gustandosi la sua.

<<Opinioni… Dove è andato Joe?>>, chiese Bretagna guardandosi intorno.

<<Sarà andato a rimorchiare qualche bella tedesca.>>, disse Albert bevendo un altro sorso.

<<E’ andato alla toilette.>>, disse Françoise posando il suo boccale <<Anzi, adesso ne ho bisogno anch’io.>>, disse alzandosi dallo sgabello.

<<Vai a controllare, eh?>>, disse Bretagna con un sorrisetto ironico sul volto.

Françoise non disse nulla, ma passandogli di dietro gli mollò una gomitata nella schiena e se ne andò.

<<Ecco. Adesso ho un altro buco nella schiena.>>, disse tenendosi una mano di dietro.

<<Però te le cerchi anche tu.>>, commentò Albert divertito.

<<Non ci posso fare nulla. E’ troppo divertente stuzzicarli.>>

<<Ti diverti proprio male.>>

<<Chi è che è divertente stuzzicare?>>, disse Joe sedendosi al suo posto.

<<Niente niente.>>, disse Albert.

Bretagna ordinò un’altra birra.

<<Ma non starai bevendo troppo? Questa è già il quarto boccalone che ti spari.>>, chiese Joe un po’ sorpreso.

<<Ma no.>> disse Bretagna <<Sono inglese io. Sono abituato all’alcol.>>

<<Sarà…>>, disse Joe non troppo convinto.

<<Perché non ti nascondi un attimo?>>, gli chiese Bretagna.

<<Perché dovrei fare una cosa del genere.>> gli chiese Joe perplesso.

<<Scommettiamo che Françoise mi scambia per te?>>

Joe alzò gli occhi al cielo: <<Ma sei proprio fissato!>>

<<Su, Joe.>>, disse Albert <<Fallo contento. Così dopo si scolerà altri 10 boccali per alleviare la delusione.>>

<<1000 yen che non mi riconosce.>>, disse Bretagna convinto.

Joe continuava a guardarlo perplesso.

<<Preferisci le sterline?>>, lo incalzò Bretagna.

<<Uhm…>> sembrò riflettere Joe <<Quando torniamo a casa offri la cena a tutti. Altri compresi. E in un ristorante di lusso. Ovviamente pago io in caso contrario.>>

Bretagna deglutì: <<Va bene. Sparisci.>>

Joe si alzò dal suo sgabello allontanandosi. Anche Bretagna si alzò e andò a nascondersi pochi attimi dietro una parete, per poi tornare al bancone, sedendosi al posto di Joe con le sue sembianze.

Albert lo guardò incuriosito: <<Non vedo l’ora di gustarmi quella cena.>>

<<Se se… vedrai.>>, disse aggiustandosi i capelli con la mano <<Ma come fa con questa massa informe in testa.>>

Albert sorrise. Avrebbe voluto dirgli che forse la sua era solo invidia ma Françoise li raggiunse in quel momento e si mise a sedere.

<<Ci hai messo del tempo.>>, disse Albert.

Françoise gli sorrise: <<Chiariscimi una cosa, Albert.>>

<<Siamo a luglio, vero?>>

Albert la guardò perplessa: <<Certo che siamo a luglio, e allora?>>

<<Bene, allora non è febbraio e Carnevale è ancora lontano. Vero, Bretagna?>>

Albert stava cercando di non scoppiare a ridere. La cosa più divertente era l’espressione di delusione tipica di Bretagna stampata sulla faccia di Joe.

<<Tu hai sentito della scommessa.>>, disse Bretagna sconvolto.

<<Quale scommessa?>>, chiese lei perplessa.

<<Diciamo che il nostro amico deve pagare cena a tutti.>>, disse Albert <<Da buon inglese non si tirerà certo indietro.>>

<<Mi giureresti su qualsiasi cosa che non hai sentito niente?>>, disse Bretagna.

<<Va bene che sento tante cose, ma tu giuro sulla Tour Eiffel che non ho sentito niente.>> rispose lei.

<<Ho capito.>>, disse Bretagna mestamente e alzandosi.

Dopo pochi secondi ritornò con le sue vere sembianze, accompagnato dal vero Joe.

<<Uff… sono ferito nell’orgoglio.>> disse Bretagna bevendo un bel po’ della birra che intanto era arrivata.

<<Bretagna, puoi imitare una persona fisicamente in maniera perfetta.>> disse Françoise <<Ma se non riesci a imitarne le piccole cose, un’imitazione fisica perfetta non basta.>>

<<Sarebbe a dire?>>, chiese lui perplesso.

<<Joe non si aggiusta mai i capelli con la mano.>>, gli rispose <<Tira la testa all’indietro con forza.>>

Bretagna guardò Joe con un’espressione tra il disperato e l’incredulo.

<<Non guardare me.>>, gli disse Joe <<Non ci avevo mai fatto caso nemmeno io.>>

<<Abbi pazienza, Françoise.>> disse Albert divertito <<Lui non ci è abituato ad avere i capelli. Sono cose a cui non fa caso per non rodersi il fegato.>>

Joe e Françoise scoppiarono a ridere.

<<Ah… ah… ah.>> disse Bretagna scandendo ogni “ah” lentamente <<Ha fatto la battuta Mr. Chioma Bianca.>>

<<E’ il mio colore naturale.>>, disse Albert <<Non ci posso fare nulla. E ti dirò che alle donne piaceva. E poi almeno io la chioma ce l’ho.>>

<<Basta Albert.>>, disse Joe continuando a ridere <<Non ce la faccio più.>>

Bretagna sbuffò e si voltò dando le spalle al bancone: <<Siete proprio dei bambini… ma quella non è Erika?>>

<<Cosa?>>, disse Albert voltandosi.

Anche Joe e Françoise si voltarono.

<<E’ vero.>> disse Françoise <<Non ci avevo fatto caso.>>

<<Oh oh.>> disse Bretagna ironicamente <<La signorina Vedo-tutto-io si è persa un particolare.>>

<<Guarda che non vado certo in giro a controllare tutti quelli che mi stanno intorno.>>

<<Che facciamo?>>, chiese Albert.

<<Forse anche lei è sorvegliata. Aspettiamo che esca e vediamo.>>, disse Joe.

 

Parte XIII

 

Erika restò seduta al suo tavolo per un’altra ora. Era sola. Sembrava che non ci fosse nessuno con lei. Poi si alzò e uscì dal locale.

<<Andiamo… senza farci notare troppo.>>, disse Joe <<Capito, Bretagna?>>

<<Perché lo dici a me?>>

<<E c’è anche da chiederlo?>>, disse Albert ironicamente.

I quattro si alzarono e uscirono a loro volta dal locale e cominciarono a seguire Erika a distanza di sicurezza.

<<Sembra che nessuno la stia tenendo d’occhio… a parte noi.>>, disse Françoise guardandosi intorno.

<<Meglio così.>>, disse Albert.

Erika camminava lentamente. Sembrava non avere una meta precisa.

<<Albert, si può sapere dove ci sta portando?>>, chiese Bretagna dopo un bel po’ che la seguivano.

<<E che ne so? Mica sono 001. Non so leggerle nel pensiero.>>, rispose Albert non molto garbatamente.

<<Ma più o meno dove siamo?>>, chiese nuovamente Bretagna <<Sto cominciando a perdere il senso dell’orientamento con questo suo andare a casaccio.>>

Albert alzò gli occhi e vide la bandiera della RDT sventolare sopra i tetti: <<Uhm… siamo vicini alla Porta.>>

<<Porta? Quale porta?>>, chiese Bretagna insistente.

<<Credo che si riferisca alla Porta di Brandeburgo.>>, disse Joe guardando i due con la coda dell’occhio.

<<Certo che tu non capisci mai al volo, eh?>>, disse Albert ironico.

<<Se fossimo a Londra mi basterebbe sentire l’odore per dirti in che strada siamo.>>, rispose Bretagna in tono offeso.

<<Perché non la smettete? Sembrate due bambini.>>, disse Françoise indispettita.

<<Françoise ha ragione. Finitela.>>, aggiunse Joe guardandoli storto.

<<Va bene… facciamo i bravi bambini e non facciamo più arrabbiare mammina e paparino.>>, disse Bretagna allargando le braccia.

Joe e Françoise, che erano davanti a loro due, si fermarono e lo guardarono piuttosto adirati.

<<Bretagna, ti faccio notare che se qui c’è qualcuno che potrebbe essere nostro padre, quello sei tu.>>, disse Françoise.

<<E’ proprio vero che conta solo il cervello e non l’età.>>, disse Albert continuando a camminare e superandoli tutti e tre.

<<Uff… siete troppo seriosi per poter essere figli miei. Dovreste godervi un po’ la vita alla vostra età.>>, disse Bretagna ignorando beatamente Albert e rivolgendosi agli altri due.

<<Ma come ti…>>, rispose Joe stringendo il pugno.

<<Dunque,>> li interruppe Albert che si era fermato <<io non posso essere il padre di nessuno… al massimo posso essere il fratello del padre e quindi lo zio. E lo zio Albert dice di andare.>>

I tre finalmente si mossero e raggiunsero Albert, ricominciando poi a camminare insieme a lui.

<<Ecco, dov’è finita adesso?>>, sbottò Albert nervoso.

<<E’ ferma all’incrocio poco più avanti.>>, disse Françoise.

Effettivamente, poco più in là, Erika era ferma all’incrocio tra due strade, seduta sui gradini di un negozio.

I quattro si fermarono a distanza. Sembrava non si fosse accorta di loro.

<<Sta piangendo…>>, sussurrò Françoise dopo qualche attimo di silenzio.

<<Che pena…>>, disse Bretagna sconsolato.

<<Ci avviciniamo?>>, propose Albert guardando i suoi tre compagni.

Dopo qualche istante di esitazione, i tre si guardarono l’uno con l’altro annuendo.

<<Andiamo.>>, disse Joe incamminandosi.

<<Oh, dev’essere sempre lui a dare l’ordine…>>, disse Albert seguendo gli altri tre.

I quattro si avvicinarono tranquillamente a Erika che sembrò non vederli nemmeno quando furono a pochi passa da lei.

<<Erika.>>, la chiamò Françoise con un tono conciliante.

Solo allora la ragazza alzò gli occhi gonfi e lucidi e li guardò perplessa: <<Chi siete voi? Come fate a conoscere il mio nome?... Siete dei servizi segreti, vero?>>

Il suo sguardo si era riempito improvvisamente di paura.

Frnaçoise le si avvicinò sorridendole: <<No, non siamo dei servizi segreti. Siamo i cyborgs che il professor Gilmour ha inviato per portarvi fuori da questo paese.>>

<<Voi… voi siete dei cyborgs?>>, chiese Erika squadrandoli ad uno a uno.

<<Io sono Albert.>>, disse l’uomo alzando una mano <<Quello con una palla di biliardo al posto della testa è Bretagna e quell’altro è Joe. Lei invece si chiama Françoise.>>

<<Eh eh… noi ci siamo già conosciuti, ma mi hai visto prima come tuo padre e poi come un canarino.>>, disse Bretagna sfregandosi la mano sulla testa imbarazzato.

Erika continuò a guardarli perplessa: <<Perché mi avete seguito?>>

<<Ti abbiamo visto in quella birreria e abbiamo pensato di fare due chiacchiere con te.>>, disse Joe avvicinandosi.

<<A proposito di cosa?>>, chiese lei ancora più perplessa.

Joe e Françoise si guardarono con un breve sguardo di intesa. Poi fu Françoise a parlare.

<<Erika, noi sappiamo che tu sei… sei come noi.>>, le disse nel tono più accondiscendente possibile.

Erika sgranò gli occhi incredula: <<Ve l’ha detto mio padre?!>>

<<No, l’abbiamo scoperto noi.>> la rassicurò Joe <<Tuo padre non ci ha detto niente.>>

Erika abbassò lo sguardo e poi lo mosse lentamente verso il centro dell’incrocio: <<E’ cominciato tutto da qua…>>

Si fermò esitante, come se non sapesse se andare avanti o meno.

<<Erika.>>, disse Françoise <<Se c’è qualcuno che può comprendere come ti senti quelli siamo noi. Quindi, se vuoi parlare, fallo. Noi ti ascolteremo.>>

Erika sospirò abbassando nuovamente lo sguardo. Poi lo rialzò e li guardò nuovamente uno per uno, quindi accennò una specie di sorriso di accondiscendenza: <<Sì, ho proprio bisogno di parlare con qualcuno.>>, disse guardandosi intorno <<Conosco un posto dove fanno dei buonissimi krapfen. E’ qui vicino e resta aperto tutta la notte.>>

 

Parte XIV

 

Erika li condusse in un elegante locale. Si sentiva un’odore di pasticceria molto invitante. Li fece sedere a un tavolo abbastanza appartato e poco dopo un cameriere venne a prendere le ordinazioni, per poi lasciarli soli.

Erika si guardò intorno con un velo di malinconia sul viso: <<Mia madre mi portava sempre qui. Sin da quand’ero piccola, poco dopo la fine della guerra.>>

<<La fine della guerra?>>, chiese Albert stupito <<Scusa se te lo domando, ma quanti anni hai?>>

<<Albert, non è buona educazione chiedere l’età alle donne!>>, lo riprese Bretagna in tono severo.

Erika scosse la testa: <<No, non importa. Ho 30 anni. Non mi costa niente dirlo.>>

<<Accidenti!>> esclamò Bretagna sorpreso <<Sai che non li dimostri assolutamente?>>

<<Grazie.>>, disse Erika imbarazzata <<Ormai sono passati 4 anni da quel giorno.>>

<<Il giorno dell’incidente, vuoi dire?>>, chiese Joe.

Erika annuì: <<Accadde a quell’incrocio in cui ci siamo incontrati. Ero io alla guida. Mia madre era sul sedile del passeggero.>>

Il cameriere arrivò, lasciando sul tavolo i krapfen e le bibite che avevano ordinato. Dopo che se ne fu andato Erika continuò il suo racconto.

<<Fu 4 anni fa… Lo ricordo come fosse ieri. Il semaforo si fece verde e io partii tranquillamente… Ma… ma un camion non rispettò il rosse e ci travolse in pieno venendo da destra. Mia madre morì sul colpo. Almeno così mi hanno detto. Io persi conoscenza e quando mi risvegliai…>>

Erika fermò il suo racconto stringendo le labbra.

<<Eri già un cyborg?>>, chiese Albert guardandola con uno sguardo pieno di comprensione.

Erika annuì: <<Mio padre non poteva accettare l’idea di perdere anche me. Così mi ha cibernizzato. Solo per paura di restare solo.>>

Erika chiuse gli occhi, mentre una lacrima le scivolò sul viso. I quattro si guardarono l’uno con l’altro. Potevano capire molto bene come si sentisse. Ci erano passati anche loro.

<<Adesso non sono altro che una specie di robot.>>, continuò Erika stringendo le mani in due pugni.

<<Questo non è vero.>>, disse Albert.

Erika lo guardò con uno sguardo disperato: <<Ah no. E cos’altro sono?>>

<<Per quanto noi possiamo essere meccanizzati, non siamo dei semplici robot.>> rispose Albert <<Io non mi ritengo un robot. Nessuno di noi e dei nostri compagni si ritiene tale.>>

<<E cos’altro, allora? Esseri umani.>>

<<No.>>, disse Albert in tono deciso <<Ma un robot non ha una cosa che noi abbiamo e fa una grande differenza. Erika, noi abbiamo ancora i nostri sentimenti. Finché avremo questi noi non avremo niente a che fare con i robot.>>

<<Erika, tuo padre ha sbagliato.>> le disse Françoise <<Ma l’ha fatto perché ti amava profondamente. Il troppo amore spesso porta a commettere degli errori.>>

<<Non è facile perdonarlo.>>, disse Joe <<Ce ne rendiamo conto. Ma lui ha capito il suo errore e ormai non può tornare indietro. Ed è l’unico che può darti la forza di andare avanti.>>

<<Noi ci siamo sostenuti l’un l’altro.>> disse Bretagna spezzando un pezzo del suo krapfen <<E insieme abbiamo trovato la forza di andare avanti nonostante le nostre diversità.>>

<<Una volta liberi potrete cercare di rifarvi una vita.>>, disse Albert sorridendole.

Erika li guardò a uno a uno. Non sembrava molto convinta: <<Quanti altri ce ne sono oltre a voi?>>

<<Ce ne sono altri 5.>>, rispose Joe.

<<E non provate rancore verso chi vi ha resi dei cyborgs?>>

I quattro si guardarono. Poi fu Françoise a prendere la parola: <<Gilmour ha solo eseguito degli ordini, ma poi è stato lui stesso a impedire che diventassimo delle armi di distruzione al servizio dei Fantasmi Neri. Ci ha trattato da esseri umani e ci ha fatto sentire come tali. Per lui siamo come dei figli. Non potremmo mai odiarlo.>>

Erika abbassò lo sguardo e restò in silenzio.

<<Sai Erika,>> disse Joe <<in un fumetto ho letto la storia di un aneroide che fu creato da uno scienziato per supplire le perdita del figlio. Ma lo scienziato, una volta resosi conto che l’androide non poteva sostituire il figlio, lo vendette ad un circo. L’androide si sentiva solo e abbandonato, anche perché gli altri lo trattavano come un robot. Ma lui provava sentimenti umani, e per questo soffriva. Ma poi trovò un altro scienziato che lo portò via dal circo e lo prese sotto le sue cure e degli amici che lo trattavano come un essere umano. E capì che non contava quello che gli altri pensavano di lui e che era lui per primo a non considerarsi umano. Ma se qualcuno lo trattava da essere umano e da amico evidentemente non era poi da buttare[13].>>

Erika lo guardò un po’ stupita. Poi la sua bocca cominciò a disegnare un sorriso: <<E’ una bella storia.>>

<<Non è così diversa dalla nostra, no?>>

<<Mio padre non mi ha mai trattato come un cyborg.>> disse Erika abbassando gli occhi <<Mi ha sempre trattato come una figlia.>>

<<Perché aldilà del fatto che tu sia un cyborg, rimani comunque sua figlia. Questo lui lo sa bene.>>, le disse Françoise.

Erika soppesò le parole della ragazza in silenzio.

<<Vi ringrazio.>>, disse infine <<Mi avete aperto gli occhi. Quand’è che ci portate via da qui?>>

 

Parte XV

 

Arrivarono nelle vicinanze di Alexander Platz verso le 3 di notte.

<<Bene. Io vi lascio qui.>>, disse Erika ai suoi nuovi quattro amici.

<<Perché?>>, chiese Albert.

<<Non voglio che quei due scagnozzi che stanno sotto casa mia ci vedano insieme o cominceranno a tenervi d’occhio.>>

<<Beh, non hai tutti i torti.>>, disse Joe <<Allora a domani sera.>>

<<Guten nächt.>>, le disse Albert.

<<Buonanotte anche a voi.>>, rispose Erika avviandosi verso casa.

Restarono a guardarla allontanarsi per un po’, poi si avviarono anche loro verso l’albergo.

Erika arrivò sotto il portone di casa e dette un’occhiata di sfuggita la macchina con i due che stavano di guardia mentre cercava le chiavi di casa nella borsetta. Entrò e salì di corsa le scale, fino ad arrivare alla porta di casa sua.

Aprì ed entrò, cercando di fare piano.

Ma si accorse che suo padre la stava aspettando nel salotto.

<<Ciao Erika.>>, le disse andandole incontro.

<<Ciao, papà. Mi stavi aspettando?>>

<<No.>> disse l’uomo scuotendo la testa <<E’ solo che non riesco a dormire.>>

Erika annuì: <<Capisco.>>

Si voltò verso il tavolo del telefono e si mise a scrivere qualcosa su un foglio. Ci mise un bel po’ mentre Klein la guardava perplesso. Quando la ragazza ebbe finito, porse il foglio al padre.

<<Buonanotte papà.>>, gli disse dandogli un bacio sulla guancia e allontanandosi.

<<Buonanotte.>>, rispose Klein portandosi una mano sulla guancia che gli aveva baciato. Era tanto che non lo faceva e la cosa lo aveva sorpreso.

Andò a sedersi in salotto e si mise a leggere il foglietto che Erika aveva scritto.  

Ho incontrato per caso i cyborgs di Gilmour. Abbiamo preso accordi per il piano di fuga. L’appuntamento è per stasera alle 21, quando gli uomini che stanno di guardia davanti a casa nostra cambieranno per il turno. Passeremo dalla Berlin Stadtwald. E saremo finalmente due persone libere.

Ti devo chiedere scusa, papà. C’erano tante cose che non avevo capito. Non so se sono ancora pronta a perdonarti, se ci riuscirò mai completamente. Se domani sera tutto andrà bene avremo almeno una possibilità per provare a ricominciare una nuova vita insieme, in un qualche luogo dove la parola “libertà” abbia ancora un qualche significato.

Perdonami. Ho lasciato che il rancore coprisse il bene che ti voglio.

 

Con affetto, Erika  

Klein rilesse la lettera un’altra volta, per imprimerla bene nella mente. Non avrebbe voluto bruciarla come tutti gli altri messaggi, ma era necessario.

Si alzò e accese un fiammifero dando fuoco al pezzo di carta e lasciandolo bruciare nel caminetto, rimanendo a guardare finché la fiamma non si fu spenta e la carta non fu che cenere.

Françoise sorrise guardando la scena dalla sua finestra. Poi si andò a sedere sul letto, lasciandosi cadere all’indietro. Era piuttosto stanca. Aveva usato molto i suoi poteri quel giorno e questo aveva richiesto un grande dispendio di energie.

Qualcuno bussò alla porta.

Françoise inclinò la testa all’indietro, verso la porta: <<Avanti.>>

Joe aprì la porta ed entrò.

<<Ah, sei tu.>>, disse Françoise rialzandosi.

<<Non ti eri accorta?>>

<<Non voglio sentir parlare di supervista e superudito almeno per dieci ore.>>

Joe sorrise: <<Ti capisco. Ti ho portato la camomilla che avevi chiesto.>>

Le porse un bicchier di carta coperto.

<<Grazie.>>, disse prendendo il contenitore <<Ne ho proprio bisogno.>>

Françoise si mise a sedere sul letto aprendo il bicchiere e cominciando a sorseggiare la bevanda calda.

<<Abbiamo tutti bisogno di riposo.>>, disse Joe sedendosi su una sedia che prese in un angolo <<Domani sarà una giornata lunga.>>

Françoise bevve ancora un sorso: <<Sì, hai ragione.>>, poi si voltò verso la finestra <<Spero che Erika e suo padre riescano veramente a ricominciare.>>

Joe sospirò: <<Beh, lo spero anch’io. Lei non ha avuto nessuno con cui aprirsi fino a oggi.>>

Françoise restò in silenzio soppesando le parole di Joe una per una: <<Credo che abbia sentito la mancanza di qualcosa del genere più di qualunque altra cosa.>>

<<Bene. Credo che sia meglio che vada.>>, disse Joe alzandosi e rimettendo la sedia a posto <<Buonanotte.>>

<<Buonanotte.>>, gli rispose Françoise con un lieve sorriso.

Joe era già sulla porta: <<Ah, una cosa.>>

<<Dimmi.>>, disse Françoise posando il bicchiere su un comodino.

<<Ti eri accorta veramente che Bretagna si era trasformato in me solo per quel gesto?>>

Françoise sorrise: <<Beh, per quello e per l’orologio.>>

Joe guardò l’orologio che portava al polso. Era quello che gli aveva regalato lei per il suo compleanno[14]: <<Già, l’orologio.>>

<<Mi fa piacere che tu l’abbia apprezzato.>>, gli disse.

<<Avevi qualche dubbio?>>, le disse sorridendo.

Poi ripensò alla sera in cui gliel’aveva dato e un po’ di imbarazzato rossore gli passò sul volto.

<<Cosa succede?>>, le chiese lei.

Joe si riprese e scosse la testa: <<Niente, niente di importante. Magari te lo dirò un bel giorno di questi. Buonanotte.>>

<<Buonanotte.>>, rispose Françoise piuttosto perplessa.

Joe uscì dalla stanza. Françoise rimase ferma immobile per qualche secondo, poi alzò le spalle e cominciò a prepararsi per la notte.

 

Parte XVI

 

Joe rientrò in camera. La luce era spenta e l’unica che entrava veniva dalla finestra aperta, alla quale Albert era affacciato. Bretagna era sdraiato a pancia sotto sul suo letto, il primo che si incontrava, e stava russando beatamente. Era andato a letto senza neanche spogliarsi. Albert solo quando sentì la porta sbattere.

<<Sei tu.>>, disse <<Pensavo restassi di là a questo punto.>>

Joe si andò a sedere sul suo letto, che era quello in mezzo ai due, e cominciò a slacciarsi le scarpe: <<Non ti ci mettere anche tu.>>, disse con un tono piuttosto nervoso mentre si sbottonava la camicia.

Albert fece un’espressione perplessa, poi alzò le spalle e si riaffacciò fuori. Dalla loro stanza si vedeva uno scorcio di Alexander Platz.

<<Nervoso?>>, gli chiese Albert dopo un po’ di silenzio.

<<No no… solo un po’ stanco delle solite battute.>> rispose Joe sdraiandosi col pigiama indosso.

Albert non rispose, ma si tolse dalla finestra e andò a sedersi sul suo letto guardando l’amico. Lo osservò immobile in silenzio qualche istante. Poi iniziò a spogliarsi per andare a letto.

Joe si mise a sedere sul letto, raccogliendo la gambe a lui e guardando davanti, verso la parete. Trasse un profondo sospiro.

Albert lo guardò un po’ divertito, mentre si infilava il sopra del pigiama.

<<Sembri pensieroso.>>, gli disse tirando su le lenzuola del suo letto.

Joe guardò Bretagna, che sembrava nel bel mezzo di un lungo viaggio nel mondo dei sogni… già, i sogni.

<<Non ti preoccupare.>>, gli disse Albert sdraiandosi senza tirarsi addosso le lenzuola <<Se vuoi parlare fallo pure. Tanto quello non lo svegliano nemmeno le cannonate della III Guerra Mondiale.>>

Joe volse lo sguardo verso Albert che si era sdraiato con un braccio sotto la testa, ma ancora non disse una parola. Albert lo guardò con la coda dell’occhio. Vedendo che Joe non sembrava intenzionato ad aprirsi, si voltò dall’altra parte.

<<Buona notte.>>, gli disse.

<<Come fai a essere sicuro?>>, chiese Joe improvvisamente.

Albert si voltò verso di lui torcendo il busto e guardandolo perplesso: <<Sicuro di cosa?>>

Joe si grattò la testa, quasi a raccoglierne i pensieri che vi frullavano dentro piuttosto caoticamente e cercando di ordinarli in concetti finiti e dotati di senso.

Albert si mise a sedere con le gambe incrociate guardando l’amico con la fronte aggrottata per qualche secondo. Joe girò un po’ la testa qua e là, come se cercasse le parole scritte sui muri. Poi tirò un profondo respiro.

<<Sicuro… Come fai a essere sicuro che quello che provi per una persona sia amore?>>, chiese infine.

Albert restò in silenzio a guardarlo per qualche secondo. Volse lo sguardo un po’ in là e fece una strana smorfia con la lingua.

<<Bella domanda!>>, disse infine <<Non sono degno di rispondere a una domanda così difficile.>>

<<Albert!>>

<<Sì, ho capito.>>, disse Albert diventando serio <<Ma il fatto è che io non saprei proprio come risponderti perché… credo che l’innamoramento sia una di quelle cose che le parole non riescono a descrivere adeguatamente.>>

Joe lo guardò un po’ deluso: <<Però tu sei stato innamorato…>>

Albert sorrise: <<Beh, sì. Certamente.>>

<<E come hai saputo che era quella giusta per te?>>

Albert alzò le spalle: <<Non lo so… veramente. So soltanto che… per me era il centro del mondo e che pensavo continuamente a lei… Non so se fosse veramente la persona giusta per me… io credo di sì. Ma la sicurezza non è un qualcosa che secondo me si possa associare all’amore.>>

<<Ma una persona che ami dovrebbe darti sicurezza, no?>>

Albert si grattò la nuca: <<Sì, ma è una sicurezza che vive di sensazioni e di fiducia nell’altro, non di certezza matematica. Io avevo la sensazione che Hilda fossa la persona giusta per me… ma non potevo averne la certezza matematica. Se non sei disposto a metterti un po’ in gioco, di rischiare, non puoi pensare di vivere una storia.>>

Joe rimase in silenzio, con la testa appoggiata sulle ginocchia e guardando fisso davanti a sé.

<<Tu che sensazioni hai?>>, gli chiese Albert <<Forse è questa la domanda che ti devi fare?>>

<<Che sensazioni ho?>>, chiese Joe senza voltarsi <<Vediamo… mi sembra di essere come l’acqua del mare.>>

<<L’acqua?>>

Joe annuì: <<Sì… presente l’acqua che si infrange sulla battigia e poi torna indietro. A me sembra di fare lo stesso… se mi avvicino troppo provo l’irrefrenabile impulso di tornare indietro. Se faccio un passo avanti ne devo fare due indietro.>>

Albert restò in silenzio soppesando attentamente quella specie di confessione. Si sdraiò nuovamente e aprì gli occhi verso il soffitto: <<Forse è perché non vuoi venire assorbito dalla sabbia.>>, si voltò verso Joe che ancora guardava fisso di fronte a lui <<Tu non è che non sei sicuro dei tuoi sentimenti. Tu ne hai una paura matta.>>

Joe si voltò appena: <<Ci avevo pensato anch’io.>>

<<E non hai mai pensato che con questo comportamento rischi di ferire non solo te stesso ma anche… qualcun altro?>>

<<Se poi andasse male ci feriremmo ancora di più…>>

<<Che cos’hai da perdere?>>

Joe restò zitto qualche secondo: <<Una magnifica amicizia.>>

<<E questo ti basta?>>

Joe non disse niente limitandosi a guardare Albert pensieroso. Quel silenzio durò alcuni minuti. Gli unici rumori che si sentivano erano il russare di Bretagna e i rumori della città che si intrufolavano dalla finestra rimasta aperta.

<<Se dovessi dare retta alla parte razionale di me…>>, riprese Joe <<direi che mi basta così, che per non perdere anche questo mi accontento di rimanere un semplice amico.>> ripensò al sogno e si prese la testa fra le mani <<Ma non ci vuole Sigmund Freud[15] per capire che in realtà questo non mi basta più.>>

Albert sorrise: <<E allora?>>

<<Ci penserò… dopo che avremo passato quel muro.>>, disse Joe <<Ora è meglio dormire.>>

<<Va bene… buona notte.>>, disse Albert voltandosi di nuovo dall’altra parte.

<<Buona notte.>>

Joe si sdraiò e chiuse gli occhi. Passarono alcuni istanti, poi sentì la voce di Albert: <<Che accidenti c’entra Freud?>>

Joe si voltò dall’altra parte, facendo finta di essersi già addormentato e di non aver sentito.

 

Parte XVII

 

Mancavano 5 minuti alle 9 di sera e al cambio del turno. 007 e 004 stavano aspettando dietro una macchina parcheggiata che arrivasse l’auto delle due nuove guardie.

<<Ti ricordi bene quello che devi fare?>>, chiese 004 al compagno per l’ennesima volta.

<<Uffa… certo che me lo ricordo. Sarà la trentesima volta che me lo chiedi nel giro di un minuto.>>

La macchina arrivò e dette il cambio.

<<Uhm… sono un po’ in anticipo.>>, constatò 009 dalla stanza d’albergo dando un’occhiata all’ora.

Qualche minuto dopo che la macchina aveva parcheggiato, una bella e provocante ragazza si avvicinò ad essa e bussò al finestrino.

<<Scusi signore…>>

L’uomo che era seduto al posto del passeggero abbassò il finestrino: <<Mi dica.>>

La ragazza si abbassò facendo di tutto per far sì che l’uomo notasse il prosperoso seno che aveva: <<Mi potrebbe aiutare? Ho la macchina in panne.>>

L’uomo, che non poteva fare a meno di guardare il petto della donna, rimase qualche attimo in silenzio: <<Ehm… veramente io…>>    

<<Non mi vorrà dire che un uomo bello e aitante come lei non vuole aiutare una dolce fanciulla in difficoltà?>>, disse la ragazza sporgendosi ancora di più dentro l’abitacolo.

<<Ehm… come dire… signorina…>>

<<Se non ci vai tu ci vado io.>>, disse l’altro improvvisamente.

<<Ma Heinz! Siamo…>>

<<Ma che vuoi che succeda. Ci metterò poco.>>, disse scendendo dalla macchina.

<<Lei è veramente gentile, signore.>>, disse la ragazza rialzandosi.

<<Dov’è questa macchina?>>, chiese l’uomo.

<<Là, dietro l’angolo. Venga venga…>>

La ragazza lo accompagnò e, girato l’angolo, quando fu sicura di non essere vista dall’altro uomo, stordì il suo “soccorritore” con la sua pistola laser.

<<Grazie signore.>>, disse 007 prendendo le sue sembianze.

<<Bel lavoro.>>, disse 004 comparendo da un vicolo <<Ora a questo ci penso io.>>

<<Legalo bene bene.>> disse 007 frugandogli nelle tasche e prendendo il portafoglio e i documenti <<Così impara a tenere le mani a posto. Che schifo! Mi ha palpato il sedere!>>

<<Come vuoi.>>, disse 004 portando l’uomo nel vicolo da cui era venuto.

<<Uhm…>> disse 007 guardando i documenti di identità che aveva in mano <<Questi sono professionisti. Agenti della polizia segreta[16]. Dunque, mi chiamo Heinz Keller. E sono pure sposato! Quest’uomo è senza ritegno!>>

<<Muoviti.>>, gli intimò 004.

<<Ok ok.>>, disse 007 avviandosi.

Entrò in macchina e notò un ricevitore da cui provenivano dei rumori. Si sentì la voce di Erika che canticchiava qualcosa. Doveva essere collegato all’appartamento di Klein.

<<Tutto a posto?>>, chiese il “suo” compagno.

<<Sì… un cavetto staccato.>>

L’uomo si voltò e alzò gli occhi verso l’appartamento di Klein. 007 colse l’attimo e lo stordì con la pistola: <<Fuori due.>>

004 comparve poco dopo e prese il secondo per portarlo nel vicolo accanto all’altro. 009 e 003 scesero e si portarono accanto alla macchina.

<<Complimenti.>> disse 009 <<Hai fatto veramente un bel lavoro.>>

<<Grazie grazie.>>, disse 007 imbarazzato.

<<Credo di non aver mai riso così tanto in vita mia.>>, disse 003 riferendosi al primo travestimento di 007.

<<Non ero adorabile?>>

<<Oh, certo. Da mettere tutti gli uomini ai tuoi piedi.>>

004 arrivò: <<Tutto a posto. Li troveranno domani quelli della nettezza urbana legati come salami. E a quel punto noi saremo già dall’altra parte.>>

<<Bene.>>, disse 009 facendo lampeggiare una minitorcia verso l’appartamento di Klein.

Pochi istanti dopo padre e figli furono sotto il portone di casa loro.

<<Tutto a posto?>>, chiese Klein piuttosto nervoso.

<<Non si preoccupi e salga in macchina.>>, gli disse 004.

<<007, mi sa che ti devi rimpicciolire.>>, disse 009.

<<Che cosa?! E perché mai?>>

<<Dove entriamo in sei?>>, gli disse mostrando la macchina.

<<Uff. Va bene, va bene.>>, disse trasformandosi in un gatto tigrato.

Salirono tutti e cinque sulla macchina. 004 andò alla guida, con 009 al suo fianco, mentre gli altri tre si misero dietro.

<<Oh…>>, esclamò Erika sorpresa.

007 le era saltato sulle ginocchia, accoccolandosi e mettendosi comodo.

004 lo guardò senza sapere bene che cosa pensare: <<Ma tu guarda questo…>>

<<Miao.>>, disse 007 in tutta risposta.

004 scosse la testa e mise in moto, partendo alla volta della Berlin Stadtwald: <<Ma tu vedi con che buffone mi tocca lavorare.>>

Gli altri stavano ridendo come matti. Un po’ di relax prima di affrontare la parte più difficile della corsa verso la libertà.

 

Parte XVIII

 

Arrivarono nei pressi del luogo che avevano scelto per oltrepassare il muro verso le 10. 004 parcheggiò la macchina in un luogo nascosto, coperto dalla vegetazione. Era luglio, ma in quel luogo c’era un’arietta fresca e frizzante, assolutamente fantastica.

<<C’è nessuno nelle vicinanze?>>, chiese 009 a 003.

<<No, non avverto nessuna presenza.>>, rispose lei.

<<Allora andiamo.>>, disse 004 <<E tu puoi anche riprendere il tuo aspetto normale.>>, disse poi rivolgendosi a 007 che era ancora un gatto e se ne stava in braccio a Erika.

<<004 ha ragione.>> disse 009 <<Smettila di fare lo scemo.>>

<<Mao…>>, rispose 007 con due occhini tristi assolutamente umani, scendendo dalle braccia di Erika e ritrasformandosi <<Stavo così bene…>>

<<Immagino…>>, disse 004 avviandosi.

Camminarono per un po’ nella vegetazione. Ogni tanto sentivano qualche aereo passare sopra le loro teste.

<<Fermiamoci dietro quei cespugli.>>, disse 004 a un certo punto <<Il muro è poco più in là. Ma vediamo com’è la situazione.>>

Arrivarono nel punto indicato da 004 e si accucciarono.

<<Qual è la situazione, 003?>>, chiese 009 dopo che si erano nascosti.

<<La torretta sulla destra è a circa un centinaio di metri. Quella sulla sinistra è più vicino, sugli ottanta. In entrambe ci sono due uomini.

<<Bene.>>, disse 004 armando la mano <<Dimmi esattamente dove, 003.>>

<<Ehi, cosa vuoi fare?>>, chiese 009 mettendogli una mano sul braccio.

<<Che discorsi. Liberarci il campo.>>

<<Se sentiranno degli spari ci saranno subito addosso. Dobbiamo essere silenziosi.>>

<<Su,>> disse 004 alzando gli occhi al cielo <<Che cosa facciamo allora?>>

<<Lascia fare a me.>>, disse scomparendo grazie all’accelerazione.

009 si mosse come un fulmine verso la torretta di sinistra e con un balzo vi giunse sopra. I due soldati di guardia non fecero nemmeno in tempo ad accorgersi di lui che erano già storditi. Poi fece altrettanto con gli altri due. Quindi tornò dai suoi compagni.

<<Tutto a posto.>>, disse sfregandosi le mani.

<<Sta arrivando qualcuno.>>, disse 003 improvvisamente <<Una jeep o qualcosa del genere… con due persone a bordo.>>

<<Che cosa? E’ la ronda… ma non dovrebbe passare a quest’ora.>>, disse 004.

<<Calma.>>, disse 009

Una jeep si fermò sotto la torretta di sinistra.

<<Uff… se non avessimo forato non saremmo così in ritardo.>>, disse un soldato smontando dal fuoristrada <<Ehi, lassù… tutto bene?>>

L’uomo aspettò qualche istante e non ricevendo risposta riprovò: <<Ma che… Ehi! Tutto a posto?>>

<<C’è qualcosa che non va.>>, disse il suo compare seduto nella jeep.

<<Uhm… mi sa che hai ragione…>> disse il primo <<Dai l’allarme… io vado a controllare.>>

<<Va bene.>>, disse quello in macchina accendendo la radio <<Siamo nella Berlin Stadtwald, c’è qualcosa si strano… AH!>>

Un proiettile lo colpì in pieno.

L’altro si sporse dalla torretta: <<Ehi, che succ… AH!>>

Cadde dalla torretta e finì il suo volo a terra. Era morto.

<<Accidenti… avrei dovuto farlo prima.>>, disse 004 con la mano destra fumante <<Non ci metteranno molto a localizzarci. Dobbiamo muoverci. Avanti.>>

Gli altri uscirono dalla vegetazione. Il muro era proprio davanti a loro. 16 cm[17] di cemento armato dalla libertà.

<<Vediamo se questo obbrobrio sopporta un bel missile.>>, disse 004 inginocchiandosi e sparando.

Nel muro si aprì un grosso buco.

<<Forza, muovetevi.>>

<<Andiamo, professor Klein.>>, disse 009.

Klein annuì e uscì dal suo nascondiglio.

<<Maledetti bastardi.>>, sibilò l’uomo dentro la jeep.

Solo 003 lo sentì, ma fu abbastanza per farla voltare e vedere che l’uomo stringeva in mano una pistola con tutta l’intenzione di usarla.

Partirono due colpi.

<<Attenzione!>>, urlò 003 facendo appena in tempo ad accasciarsi a terra.

Uno colpì in piena spalla Albert, che tuttavia riuscì a sparare e a colpire il soldato una seconda volta colpendolo a morte. L’altro toccò a Klein.

<<Papà!>>, urlò Erika gettandosi sul padre accasciato a terra.

009 e 003 si avvicinarono di corsa.

<<Professore.>>, disse 009 rigirandolo.

<<Non è niente… non è niente.>>, disse lui con un filo di voce <<Non morirò adesso, proprio a un passo dalla libertà.>>

<<Non si affatichi.>>, disse 009 prendendolo in braccio e alzandosi <<Non possiamo stare qui. Ormai saranno vicini. Tu come stai Albert?>>

<<Bene… mi ha solo preso una spalla. Se fossi stato umano forse sarei morto. Ma non mi ha fatto niente.>>

<<Bene. Allora andiamo. Sono vicinissimi.>>, disse 003.

Tutti e sei scomparvero attraverso il buco creato da 004. I militari arrivarono pochi secondi dopo. Guardarono attraverso il buco, ma chiunque vi fosse passato si era dileguato nel nulla.

 

Epilogo 

 

Aeroporto di Tempelhof[18], Berlino Ovest, una settimana dopo.

 

<<I passeggeri in partenza per New York con il volo XXXXX sono pregati di presentarsi al cancello 12. Attenzione, ultima chiamata per i passeggeri in partenza per New York.>>

Gilmour strinse la mano a Klein: <<Allora le nostre strade si dividono qui, Herbert.>>

<<Sì, Isaac.>>, disse Klein stringendo la mano a Gilmour, mentre l’altro braccio era ancora ingessato <<Non saprò mai come ringraziarti. Te e i tuoi ragazzi.>>

<<Goditi la tua libertà, Herbert. Sono sicuro che non c’è modo migliore per ringraziarci.>>, disse Isaac sorridendo.

<<Papà,>> disse Erika posando una mano sulla spalla dell’uomo <<Dobbiamo andare.>>

<<Sì, Erika. Hai ragione.>>

<<Arrivederci professor Gilmour,>> disse poi Erika <<Bretagna… Françoise… Joe… Albert. Spero che ci rivedremo un giorno.>>

<<Lo speriamo anche noi, Erika.>>, disse Albert.

I due si avviarono verso il loro volo, mentre Gilmour e i suoi ragazzi li guardavano.

<<Mi sa che a te dispiace particolarmente che se ne sia andata, vero Albert?>>, disse Bretagna facendo l’occhiolino all’amico.

<<Che cosa?!>>, esclamò Albert arrossendo <<Non dire cretinate.>>

<<Se se…>> sogghignò Bretagna <<e a te Joe non interessava? Una bella ragazza… single…>>

<<Bretagna, ma lo sai quanti anni ha più di me!?>>, esclamò Joe.

<<Ah già…>> disse Bretagna alzando gli occhi al cielo e portandosi pensierosamente un dito alla bocca <<dimenticavo che una volta mi hai detto che le ragazze più vecchie di te non ti interessano.>>

<<Ah sì?>>, disse Françoise <<Questa non la sapevo proprio. Au revoir.>>

Joe la guardò andare via incapace di dire una sola parola. Poi si voltò verso Bretagna con uno sguardo che avrebbe incenerito un  bue nel giro di un millesimo di secondo. Albert se la stava ridendo di gusto.

<<Io giuro che un giorno di questi ti ammazzo.>> disse Joe con quel tono calmo che si dà la violenza.

<<Che ho detto di male?>>

<<Io ti avevo detto che non mi interessavano quelle che avevano tanti anni più di me!>>, sbottò Joe <<Non tutte quelle che sono più grandi di me, razza di idiota.>>

<<E allora?>> disse Bretagna con un tono così vero che Joe capì che veramente non si era reso conto.

Scosse la testa e se ne andò imprecando.

<<Ma che cosa ho detto di male?>>, disse Bretagna guardandolo allontanarsi.

Albert gli si avvicinò: <<Hai presente una graziosa e simpatica ballerina francese che ha all’incirca un anno e mezzo più di lui?>>

<<Aaaaaaaaaaahhhhhh.>> disse Bretagna <<Mi sa che l’ho sparata grossa.>>

Joe intanto era arrivato all’uscita.

<<E così le donne più vecchie di te non ti interessano, eh?>>

Joe cercò di farsi venire un sorriso, poi si voltò verso di lei: <<Françoise, io intendevo le donne molto più vecchie di me. E’ diverso.>>

<<Sì, ho sentito.>>

<<Ah.>>

<<E quale sarebbe il limite massimo?>>, gli chiese avvicinandosi a lui.

Joe fece due calcoli: <<Diciamo che un anno, tre mesi e poco più di una ventina di giorni non rappresentano un problema.>>

<<Interessante.>>, disse lei alzando le sopracciglia <<Però sai una cosa?>>

<<Sì?>>, chiese lui incuriosito.

<<Non hai tutti i torti.>>

<<In che senso?>>

<<In fondo le ragazze che stanno con i ragazzi più giovani spesso si lamentano della loro immaturità.>>, gli disse sorridendo e tornando all’interno dell’aeroporto.

Joe la guardò senza dire una parola, cominciando a scuotere la testa piano piano.

Albert lo raggiunse poco dopo: <<Gliel’hai detto?>>

<<Detto cosa?>>

<<Su, che lo sai…>>

Joe sbuffò: <<Lasciamo perdere che è meglio.>> cercò di cambiare discorso <<Ti vedo allegro da un po’ di tempo.>>

Albert sorrise stirandosi un po’: <<Sarà che riuscendo a passare quel muro mi sono tolto un peso dal cuore. Sono un po’ più leggero. E’ come se per tutto questo tempo non avessi aspettato altro.>>

Joe sorrise e annuì: <<Penso di capire.>>

<<Però adesso tocca a te.>>

<<Cosa?>>, chiese Joe aggrottando la fronte.

Albert sorrise: <<Passare il tuo muro.>>, disse strizzando un occhio.

 

F I N E  

 

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Note finali: Berlino non l’ho mai visitata. Non so se il muro passasse dalla Berlin Stadtwald, così come non so parecchie altre cose. Mi sono avvalsa di una guida Baedeker, sperando di indovinarci il più possibile. Per il resto, posso solo sperare che questa fanfic vi sia piaciuta.

[1] Ai più attenti non sarà sfuggito che il titolo non è altro che la traduzione in italiano del titolo della famosissima canzone dei Pink Floyd Another brick in the wall.

[2] Walter Ulbricht è l’uomo che ha governato la Repubblica Democratica Tedesca, guidando il regime di tipo sovietico, praticamente da pochi anni dopo la fine della guerra fino al 1971. E’ a lui che si deve, per esempio, la costruzione del Muro di Berlino.

[3] Quando c’era ancora la divisione tra RFT (Repupplica Federale Tedesca) e RDT (Repubblica Democratica Tedesca), per entrare nella RDT servivano dei visti di soggiorno e per il transito sul passaporto che andavano richiesti presso le ambasciate della RDT. Inoltre era necessario stabilire in anticipo l’itinerario, il tipo di soggiorno (albergo o altro) e il numero di giorni che si voleva sostare. I marchi tedeschi orientali dovevano infatti essere acquistati alla frontiera in base ai giorni di permanenza.

[4] Schönefeld era l’unico aeroporto di Berlino Est. Si trova nella parte meridionale della città.

[5] La Spree (spero sia femminile ^^’) è il fiume che attraversa Berlino (da Ovest ad Est).

[6] Vedi Camera con vista.

[7] Il Tierpark è uno zoo.

[8] “Addio” in tedesco.

[9] Da qui in poi iniziano alcune sequenze originariamente scritte con diversi fonts (uno per personaggio) che sono fatti a imitazione della scrittura a mano. E’ possibile che alcuni di essi non siano presenti sul vostro computer e che perciò vengano visualizzati come un normale “Arial”.

[10] In Giappone, quando uno starnutisce senza apparente motivo, si usa pensare che qualcuno stia parlando di lui. Un po’ come quando a noi “fischiano le orecchie”.

[11] La Colonna Trionfale è quella statua raffigurante Nike (non la marca di abbigliamento sportivo, ma la Dea della Vittoria). Se avete visto Faraway, so close di Wim Wenders, sicuramente avrete capito di che parlo.

[12] Union Jack è il nome con il quale è chiamata la bandiera del Regno Unito (non quella dell’Inghilterra, che è una croce rossa su sfondo bianco), quella con due croci rosse bordate di bianco su sfondo blu.

[13] Joe ha raccontato, molto brevemente, la storia di Tetsuwan Atom, il manga di Osamu Tezuka che ha inaugurato il filone degli androidi e dei cyborgs nel mondo dei manga e che quindi è il predecessore per eccellenza di Cyborg 009.

[14] Vedi Buon compleanno, Joe.

[15] Non credo che sia un mistero che Freud è colui che ha fatto dell’interpretazione dei sogni una vera e propria disciplina psicologica, utilissima per studiare la psiche e i desideri delle persone.

[16] Inizialmente avevo commesso un errore madornale e avevo detto che erano agenti della Gestapo, che non era la polizia segreta della RDT, ma quella del nazismo. Chiedo venia, ma a questo punto non ho idea di che nome avesse la polizia segreta della Germania Orientale. Se qualcuno lo sapesse è pregato di contattarmi ^^.

[17] 16 cm era lo spessore del Muro di Berlino.

[18] Tempelhof era uno dei 3 aeroporti di Berlino Ovest e quello che, fino al 1975, gestiva la maggior parte del traffico internazionale.