AMORE E DISPERAZIONE di Laus (minamiasakura@virgilio.it)   PROLOGO    Si sentiva piuttosto stanco. Il campionato era vicino e le prove in vista dell’inizio si erano intensificate. I viaggi tra Bologna e Parigi erano diventati sempre più frequenti. Sarebbe voluto essere già a casa, essersi fatto una bella doccia calda. Avrebbe voluto essere sdraiato sul divano di casa, davanti al caminetto acceso, ascoltando un po’ di buona musica, magari con la testa appoggiata sulle gambe di Françoise, lasciandosi accarezzare i capelli da lei. L’idea lo fece sorridere per un attimo… solo un attimo. Alzò gli occhi per aria e si rese conto di essere nell’atrio freddo di luce al neon dell’aeroporto. <> Joe, sentendosi essere chiamato in giapponese, si voltò, cominciando a guardarsi intorno. I suoi occhi sgranarono quando videro chi lo aveva chiamato. <> Lei gli sorrise e si avvicinò a lui. <>, le chiese ancora sbigottito, rimanendo immobile. <>, gli disse lei inclinando la testa da una parte. <>, disse Joe prendendo un grosso respiro <> Mayumi aggrottò la fronte: <> Joe annuì facendo un mezzo sorriso: <> Lei aggrottò nuovamente la fronte, poi alzò le ciglia e Joe comprese che aveva capito a cosa si riferisse. <>, disse lei abbassando gli occhi <> <>, la interruppe lui <> <> Joe sospirò annuendo: <> Mayumi strinse le labbra e fece una specie di segno d’assenso: <> Joe aggrottò la fronte: <> <>, rispose lei scuotendo la testa <> Lui sorrise appena. Avrebbe voluto dirle che, in realtà, i vecchi tempi proprio non li voleva ricordare. Già il solo rivedere lei aveva cominciato a stringergli delle tenaglie intorno allo stomaco. Cercò di trovare un modo gentile di rifiutare… <>, cercò di convincerlo lei con un sorriso <> Lui sospirò profondamente, facendo poi una lieve smorfia con le labbra. <>, disse infine <>   <<... I was dreaming, but you woke up. And I am gonna miss you but I am gonna be all right. ‘Cause if I can’t make you love me you’re out of reasons to stay. Make it easy on yourself. Don’t worry about me. If I can’t make you love me you’re not the one here to blame. I will it make it on my own. Don’t worry about me..>> (“I’m stupid” – Prime STH)1[1]   PARTE I   <>, gli disse Joe dopo che si furono seduti a un tavolo di un bar dell’aeroporto. In sottofondo la radio cominciò a far volare nell’aria le note di un’altra canzone. Mayumi prese la bustina di tè nella sua tazza per il filo e la face muovere dentro l’acqua bollente in modo circolatorio. Tell me a story where we all change. And we’d live our lives together, and not estranged.1[2] <>, rispose finalmente <> I didn't lose my mind, it was mine to give away. Couldn’t stay to watch me cry. You didn’t have the time. So i softly slip away... Joe bevve un sorso del suo caffè: <>, si fermò e il suo sguardo si rannuvolò per una frazione di secondo <> No regrets, they don't work. No regrets now, they only hurt. Sing me a love song. Drop me a line. Suppose it's just a point of view. But they tell me I'm doing fine. Mayumi comiciò a girare con il cucchiaino il tè, guardando il fumo che si levava leggero dalla tazza: <> I know from the outside. We looked good for eachother. Felt things were going wrong. When you didn't like my mother. Joe la guardò perplesso, timoroso se fare la domanda che gli era balenata in mente: <> I don't want to hate but that's all you've left me with. A bitter aftertaste and a fantasy of how we all could live. <>, disse lei scuotendo la testa e continuando a mescolare il tè <> No regrets, they don't work. No regrets, they only hurt. (We've been told you stay up late). I know they're still talking (You're far too short to carry weight) the demons in your head. (Return the videos they're late). If I could just stop hating you. (Goodbye). I'd feel sorry for us instead. Joe posò la sua tazzina di caffè ormai vuota: <>, disse facendo girare la tazzina sul piattino spingendola per il manico <> Remember the photographs (insane). The ones where we all laugh (so lame). We were having the time of our lives. Well, thank you! It was a real blast. Lei non sembrò sorpresa della domanda, come se se l’aspettasse da un momento all’altro. Smise finalmente di rigirare il tè, che ormai cominciava a essere tiepido e scosse la testa: <> No regrets, they don't work. No regrets, they only hurt. Write me a love song. Drop me a line. Suppose it's just a point of view. But they tell me I'm doing fine. Joe annuì, facendo uno strano sorriso che lei non capì: <> Everything I wanted to be, everytime I walked away. Mayumi aggrottò la fronte: <> Everytime you told me to leave, I just wanted to stay. Joe fece un sorriso che gli fece uscire uno sbuffetto d’aria e cominciò a giocherellare con il cucchiaino, facendolo tamburellare sul tavolo, tenendolo fra pollice e indice: <>, disse guardandola in volto e facendo un’espressione che a lei sembrò ironica <> Every time you looked at me and everytime you smiled. Mayumi abbassò lo sguardo e strinse i pugni sul tavolo: <> I felt so vacant, you treated me like a child. Joe la guardò con uno sguardo impassibile che la terrorizzò: <> I loved the way we used to laugh, I loved the way we used to smile. Lei non disse nulla, abbassando appena lo sguardo. Vedendo che non parlava, Joe si alzò e prese la sua roba: <>, le disse. Often I sit down and think of you for a while. Mayumi rialzò lo sguardo e fece un timido sorriso: <> Then it passes by me and I think of someone else instead. Joe si girò i tacchi cominciando a camminare verso l’uscita: <>, disse senza voltarsi e alzando appena la mano, scomparendo oltre l’uscita.   <<… I guess the love we once had is officially... dead!>> (“No regrets” – Robbie Williams)   PARTE II   <> Françoise richiuse la porta dietro di sé, togliendosi poi il cappotto e appendendolo in una specie di armadietto posto accanto alla porta. L’odore le colpì immediatamente le narici e la condusse nella sala da pranzo, attigua alla cucina. Joe stava finendo di apparecchiare la tavola. Si fermò nel momento in cui lei arrivò e notò la tavola apparecchiata con cura, le candele e il buon odore che proveniva dalla cucina. Restò immobile sulla porta, guardando poi Joe con un’espressione interrogativa. Poi si appoggiò con una spalla allo stipite, senza smettere di guardarlo: <> Joe sorrise, scuotendo la testa e ritornando in cucina: <>, disse. Françoise passò dalla porta del tinello al bancone della cucina, sedendosi su uno sgabello, con i gomiti appoggiati sul bancone e le mani a reggersi il volto e guardando Joe che le dava le spalle mentre armeggiava ai fornelli, rimescolando qualcosa in una pentola. <>, gli chiese. Joe si voltò, lasciando il mestolo su un ripiano e appoggiandosi con al ripiano: <>, le disse dandole un buffetto su una guancia <> <>, disse riempiendosi le narici dell’odore del cibo <> Joe sorrise: <> Françoise si alzò fulmineamente: <>, disse <> Poi scomparve verso le scale che davano al piano di sopra. Joe restò un attimo fermo, guardando nella direzione in cui si era dileguata. Gli si disegnò un linea sorridente sulle labbra. “Oggi sembra un po’ più serena… almeno spero.”, pensò andando a prendere il vino e l’acqua dal frigo per poi metterli in tavola “Forse…” Cercò sul tavolo per vedere dove fosse il cavatappi. Poi si accorse di averlo lasciato in cucina, accanto al fornello. Portò la bottiglia con sé e lo raggiunse, cominciandolo a usare sul tappo della bottiglia. Qualcosa attirò la sua attenzione, sul pavimento. Qualcosa di che brillava di luce riflessa. Finì di stappare la bottiglia e si avvicinò, piegandosi poi sulle ginocchia e raccogliendo l’oggetto. Era un frammento di vetro minuscolo. E sapeva bene da dove saltava fuori. Si stupiva solo che fosse ancora lì Joe era affacciato al balcone, guardando le luci della Torre Eiffel, in lontananza. Sembrava così piccola a vederla da lì… Ma erano altri i pensieri che gli passavano per la testa. Non si era nemmeno accorto delle piccole e primissime gocce di pioggia che erano cominciate a cadere. L’aria gelida delle notti parigine di metà febbraio sembrava non sfiorarlo neppure, sebbene avesse addosso appena il pigiama. Non riusciva a togliersi dalla testa quelle parole ( “<>”), ma soprattutto non riusciva a togliersi davanti agli occhi la sua espressione impaurita. Scosse violentemente la testa per l’ennesima volta, come se sperasse di staccare tutto questo dal suo cervello, di poterlo far volare via, il più lontano possibile… ma non servì a nulla. Si prese la testa fra le mani, come se improvvisamente fosse diventata incredibilmente pesante. CRASH!!! Il rumore lo fece trasalire: <> Corse fuori dalla camera come un razzo, fiondandosi giù per le scale. La trovò seduta in un angolo della cucina sul pavimento, al buio trafitto appena dalle luci della sala da pranzo che lui aveva acceso. Aveva la testa appoggiata sulle ginocchia. Sul pavimento, da una parte, poco lontano, frammenti sparsi di vetro e una piccola pozza d’acqua. Restò immobile a guardarla per qualche istante, senza sapere cosa fare. Poi cominciò ad avvicinarsele, lentamente, inginocchiandosi con delicatezza davanti a lei e sfiorandole appena i capelli. Fu un sollievo vedere che non lo respingeva. Ma fu un altro colpo vedere le scie delle lacrime che le rigavano il volto quando alzò la testa verso di lui. Si guardarono un attimo, restando in silenzio. Poi, Françoise afferrò dolcemente la mano di Joe che le stava accarezzando una guancia e la strinse delicatamente. <> <>, cercò di interromperla scuotendo la testa. <> <> <<… E’ stato più forte di me…>> <>, le disse con tono deciso, ma delicato <> <> Joe scosse la testa: <>, le disse <> Lei annuì, stringendo le labbra. <> Françoise annuì di nuovo: <> <>, le disse aiutandola ad alzarsi con entrambe le mani <> <>, disse annuendo nuovamente. Lui fece per lasciarle le mani, ma lei le tenne strette. <> <> Françoise strinse le labbra: <>, alzò lo sguardo verso di lui <> Joe annuì. A dire il vero, inizialmente, prima di tutto questo, su quel balcone, aveva pensato proprio una cosa del genere. Ma gliel’aveva chiesto in un modo tale che non poteva dirle di no. E poi lei continuava ad avere quegli incubi… a questo non aveva pensato. <>, le disse baciandole la fronte <> Gli lasciò le mani e, dopo aver esitato ancora un istante, si era allontanata su per le scale, voltandosi spesso verso di lui prima di scomparire dalla sua vista. Intanto, fuori, la pioggia aveva aumentato la sua intensità. <> La voce di Françoise lo riportò al presente. Stava scolando la pasta. Non si era nemmeno accorto veramente di farlo. <>, le rispose fingendo un sorriso <>   <<… This winter's song I'll sing alone, I've searched its still refrain. I'll walk alone If given this, take wing, and celebrate the rain... I used to think as birds take wing. They sing through life, so why can't we? We cling to this, and claim the best. If this is what you're offering I'll take the rain, I'll take the rain, I'll take the rain.>> (“I’ll take the rain” – REM)1[3]   PARTE III   <> Joe era seduto sul divano, nella sala quasi completamente al buio, illuminata solo dal fuoco acceso nel caminetto. Distolse lo sguardo dalle fiamme che danzavano davanti a lui e volse gli occhi verso Françoise, che intanto si stava sedendo, accanto a lui. <>, rispose lui incurvando le labbra. <>, gli chiese appoggiandosi allo schienale del divano <> <>, rispose lui guardando un punto impreciso del tappeto davanti a loro <> Françoise si aggiustò i capelli con un gesto della mano: <>, disse avvicinandosi un po’ a lui. <>, disse Joe alzandosi e andando a riattizzare il fuoco <> Françoise sospirò guardandogli le spalle e mordendosi un labbro. Cadde un velo di silenzio durante il quale si sentì solo lo strepitare della legna sotto le fiamme. <>, gli disse dopo un bel po’ <> Joe, invece di tornare a sedersi sul divano, si mise a sedere sul ripiano in pietra davanti al caminetto, appoggiando i gomiti sulle ginocchia e incrociando le braccia: <>, le disse con un’espressione scura sul volto. Lei fece un profondo respiro: <> Joe aggrottò la fronte: <> Françoise, scosse la testa sorridendo amaramente: <>, gli disse <> Joe serrò le labbra, massaggiandosi le tempie con una mano: <> <>, lo interruppe bruscamente <> Joe sospirò al limite dell’esasperato. Sapeva che avrebbero dovuto affrontare l’argomento… ma quella ferita gli bruciava ancora. Troppo. Quella scena gli ripassò di fronte agli occhi. Scosse la testa violentemente, prendendosela tra le mani: <>, si fermò, senza riuscire ad andare avanti, nascondendosi la faccia fra le mani. Lei aspettò qualche istante, sperando che finisse il discorso, ma inutilmente. <>, gli chiese finalmente. Lui fece scivolare le mani sul volto, fino a farle rimanere congiunte davanti alle sue labbra, guardandola. Indeciso se risponderle o meno. Poi intrecciò le mani sotto il mento, appoggiando i gomiti sulle gambe. <>, esitò ancora un attimo <> Françoise annuì. Poi abbassò lo sguardo a terra: <> <>, le chiese quasi indispettito, sbattendo i pugni sulle sue gambe. Lei alzò lo sguardo e lo fissò chiedendogli di starla ad ascoltare con gli occhi: <> Joe restò in silenzio, senza dire nulla, senza capire se dicesse la verità o gli dicesse quello cose solo per farlo sentire un po’ meglio. Lei sospirò nuovamente, raccogliendo il respiro e le idee. Si era chiesta tante volte come avrebbe potuto spiegargli com’erano andate le cose. Cos’era successo dentro di lei in quel momento. Ma adesso stava andando avanti solo con l’istinto, senza una traccia, senza ricordare nessuna di tutte quelle conversazioni che aveva tenuto con lui solo nella sua testa, soprattutto in quelle due notti praticamente insonni, passate da sola in un letto che mai avrebbe immaginato poter essere così grande. Sapeva di averlo scosso, ferito. Immaginava che per lui non doveva essere facile quella situazione, capire il perché fosse successo. Anche lei aveva dovuto rifletterci molto, arrivando fino al suo inconscio più profondo per riuscire a capire cosa poteva essere scattato in quel momento. Lo aveva capito… ma adesso doveva farlo capire a lui. E doveva fargli capire che lei non aveva voluto rifiutare lui, ma… Il telefono squillò infrangendo bruscamente il silenzio che era scivolato nella stanza, facendoli sobbalzare entrambi sui loro posti. Joe, che stava guardando per terra, alzò la testa di scatto e aggrottò la fronte. Françoise fece altrettanto, guardandolo perplessa, magari aspettandosi che Joe gli facesse un cenno come per dire che stava aspettando una telefonata e forse era per lui. Erano quasi le 11. Chi poteva essere a quell’ora? Il telefono fece il suo secondo squillo. Françoise alzò la cornetta che era proprio accanto a lei. <>, protese la cornetta verso Joe <> Joe aggrottò ancora di più la fronte e si alzò, prendendo la cornetta dalla mano di Françoise. <> <>, gli chiese un’atona voce maschile dall’altro capo del telefono. <> <> Joe fece un sorriso che denotava che stava cominciando a spazientirsi. Françoise stava quasi per scoppiare a ridere. Joe si chiese se era per la sua espressione che doveva essere piuttosto esplicativa o perché stesse ascoltando la conversazione. <>, disse mettendosi pesantemente a sedere sul divano, accanto a Françoise, che stava ascoltando divertita. <>, disse il poliziotto <> <>, chiese Joe aggrottando la fronte e guardando Françoise che era trasalita. Lei, pensando di essere di troppo, fece per alzarsi. Ma Joe le mise una mano su un braccio, fermandola. Françoise lo guardò sorpresa, non aspettandosi quel gesto. Si riappoggiò allo schienale del divano, guardando il fuoco. Ma non riuscì a smettere di ascoltare. <>, disse il poliziotto facendo trasalire Joe <>, concluse dopo qualche secondo. <>, disse Joe dopo un po’ <> <> Joe annotò un indirizzo su un pezzo di carta. <>, disse quando ebbe finito. <> Joe tirò giù la cornetta e poi prese il foglietto su cui aveva annotato l’indirizzo del commissariato tra il pollice e l’indice, guardandolo qualche istante e poi piegandolo e mettendoselo in una tasca dei jeans. Poi si voltò verso Françoise, che a sua volta girò gli occhi verso di lui, tenendo le braccia incrociate sul petto. <>, gli chiese. Joe annuì: <>, disse <> Françoise ci pensò qualche istante, inclinando la testa di lato e muovendo appena le pupille dentro gli occhi e mordendosi leggermente il labbro inferiore.. <, gli disse alzando le spalle.     <<... I never meant to cause you a trouble and I never meant to do you wrong. And I, well if I ever caused you a trouble, although I never meant to do you harm.>> (“Trouble” – Coldplay)1[4]     PARTE IV   Françoise parcheggiò l’auto in un garage parking poco lontano dal commissariato, che era in pieno centro. Scesero entrambi dall’auto e cominciarono a incamminarsi. Nel garage era piuttosto freddo e umido e si sentivano appena i loro passi e, ogni tanto il rumore di qualche motore che si aggirava per il garage o che si accendeva. <>, disse improvvisamente Joe fermandosi poco lontano dall’uscita. Lei fece qualche passo prima di accorgersi che Joe si era fermato e voltarsi: <> Joe strinse le labbra, poi si decise: <> Lei annuì: <>, gli chiese. <>, disse lui con un’espressione che da sola negava tutto. Lei alzò le spalle: <> Joe sembrò colpito dall’evidenza semplice di quello che gli aveva appena detto. Si sentiva in colpa per non averle detto niente del suo incontro con Mayumi, ma effettivamente non c’era niente di cui sentirsi in colpa. <>, lo spronò lei accompagnando la voce con un gesto del capo. Joe annuì e si rincamminarono. All’esterno c’era ancora più freddo. Camminarono a passo svelto verso il commissariato, che era proprio dall’altro lato della strada, poco più in là. Quando entrarono, una donna e un uomo in divisa in piedi dietro di lei in divisa alzarono gli occhi verso di loro. <> Joe si avvicinò: <> La donna annuì: <> Joe annuì e la donna si portò la cornetta del suo telefono all’orecchio e compose un breve numero. Dopo pochi secondi cominciò a parlare a qualcuno all’altro capo del filo: <> Riattaccò e si alzò: <>, disse all’uomo <> L’uomo annuì e la donna li condusse oltre una porta, in un corridoio. Passarono alcuni uffici, all’interno dei quali alcuni poliziotti stavano lavorando. Arrivarono a una porta chiusa. La donna bussò sotto la targhetta “Capitano Fabiàn Delacroix”. <>, rispose una voce all’interno. La donna aprì la porta e fece entrare Joe e Françoise. <>, disse lei alla donna che li aveva accompagnati. La donna annuì sorridendo, poi salutò il capitano e chiuse la porta. L’uomo allora si alzò dalla sua scrivania: <>, disse porgendo loro la mano. Joe e Françoise gliela strinsero: <> <> <>, disse il capitano mettendosi di nuovo a sedere e facendosi un po’ di posto avanti a sé, spostando qualche incartamento <> <>, disse Françoise sorridendo e mettendosi a sedere su una sedia davanti alla scrivania. Anche Joe fece altrettanto. <>, disse il capitano prendendo in mano un fascicolo e aprendolo davanti a sé <>, disse chiudendo il fascicolo <> Joe annuì: <> <>, disse alzandosi in piedi <> Uscirono dall’ufficio e fecero qualche altro metro nel corridoio. Arrivati a una porta il capitano si fermò e bussò, aprendola. <>, disse l’uomo rivolgendosi alla collega seduta davanti al divano dove Mayumi era stata sdraiata. <>, disse Mayumi alzando il capo, vedendo il ragazzo dietro il capitano. Poi vide anche Françoise: <> <>, disse la poliziotta alzandosi. Joe e Françoise annuirono, aspettando che la donna fosse uscita. Poi Joe si avvicinò al divano. Françoise rimase vicino alla porta, in piedi. <>, chiese Joe a Mayumi, guardandola preoccupato. <>, disse lei mettendosi a sedere e stringendosi nella coperta che aveva indosso <> <>, rispose lui <> Mayumi si appoggiò allo schienale del divano, posandovi anche la nuca e chiudendo gli occhi, come se dovesse raccogliere le idee: <> Mayumi esitò un attimo <>, disse cominciando a massaggiarsi le tempie con una mano <> La poliziotta rientrò con in mano un fascicolo e una penna, seguita dal capitano Delacroix. Si mise a sedere di fronte al grande tavolo che c’era nella stanza: <>, chiese la poliziotta rivolgendosi a Joe. <>, disse Joe. <>, disse Delacroix appoggiandosi con un gomito a uno schedario e restando in piedi in un angolo in penombra <> Mayumi cominciò il suo racconto, mentre Joe via via traduceva. Quando ebbe finito, Delacroix cominciò a farle qualche domanda più precisa. <> Joe tradusse la domanda a Mayumi, la quale scosse la testa: <> Joe tradusse al capitano, il quale annuì e si scostò dallo schedario e si avvicinò alla sua collega: <>, disse rivolgendosi poi a Mayumi <> Mayumi annuì e firmò il foglio di carta che la poliziotta le porgeva. Uscirono dal commissariato e si diressero tutti e tre verso il garage. <>, le chiese Françoise sulla strada. <> Françoise annuì: <>, disse <> Entrarono nel garage e si diressero alla macchina. Françoise e Joe si misero davanti, mentre Mayumi si accomodò di dietro. La macchina si mise in moto e in pochi attimi furono all’esterno. Effettivamente non ci volle molto dal garage fino all’albergo, che si trovava in una via molto vicina agli Champs Elysées. Era una zona parecchio affollata, anche se l’ora era tarda. Françoise fermò la macchina davanti all’albergo, ma in divieto di sosta. <>, le disse Françoise voltandosi verso di lei. Mayumi sorrise appena: <> <> Mayumi le sorrise: <> <>, intervenne Joe. <> Joe la guardò un po’ perplesso, poi annuì e uscì dalla macchina insieme a Mayumi. Françoise li guardò allontanarsi verso l’entrata e poi rimise in moto, avviandosi per le strade. Le sembrava di ricordare che ci fosse una farmacia da quelle parti che stava aperta anche la notte. E infatti, dopo pochi minuti la trovò. Parcheggiò l’auto e andò a comprare una scatola di aspirine. Quindi tornò in macchina e rimise nuovamente in moto, riavviandosi verso l’albergo. Si dovette fermare a un semaforo rosso e allora appoggiò la testa al sedile, chiudendo gli occhi in quei pochi attimi in cui il mondo si era fermato. C’era qualcosa che non tornava in quella storia. Le sembrava tutto troppo… strano. Ma come dirlo a Joe e non sentirsi ribattere che la sua era solo stupida gelosia. Un suono di clacson la riportò alla realtà. Si accorse che il semaforo era verde. Fece un cenno di scuse alla macchina dietro e si rimise in marcia. In pochi minuti fu nei pressi dell’albergo. Ebbe la fortuna di trovare una macchina che se ne andava e si infilò al suo posto. Scese dall’auto portando con sé il pacchetto della farmacia. Entrò nell’albergo e chiese al portiere quale fosse la camera di Mayumi. Prese l’ascensore. Mentre saliva sentiva una strana sensazione montarle dentro. Cercò di non pensarci e si incamminò lungo il corridoio una volta che la porta dell’ascensore si riaprì davanti a lei. Arrivò alla porta e stava per bussare quando, proprio mentre era sul punto di appoggiare il pugno chiuso alla porta chiusa… <> <> Il pacchetto le scivolò fra le mani e prima che fosse caduto per terra Françoise era già corsa lontano da lì, da quella stanza, da quella conversazione, da quelle coltellate dritte al cuore. Rientrò nell’ascensore e spinse il bottone per tornare al piano terra. Si appoggiò alla parete cercando di non crollare. Sentiva le gambe che non la reggevano più. Sperava solo di riuscire ad arrivare fino alla macchina, di riuscire ad andarsene lontano da lì. L’ascensore sembrò metterci una vita per arrivare a terra. Quando le porte si aprirono, uscì di corsa fuori e quasi investì un ragazzino che stava correndo nella hall, facendolo cadere. Il bambino si mise a piangere, allora Françoise tornò indietro e lo aiutò a rialzarsi porgendogli una mano: <> IL bambino smise di piangere e la guardò perplesso, mentre si rialzava in piedi: <> <>, disse andandosene in fretta e attraversando la hall come un fulmine, senza nemmeno accorgersi degli occhi che la guardavano incuriositi. Una donna si avvicinò di corsa al bambino che era rimasto immobile, guardando nella direzione in cui Françoise era ormai scomparsa. <>, chiese la donna inginocchiandosi preoccupata accanto al bambino. Il bambino non la guardò nemmeno: <>, disse guardando sempre nella stessa direzione. <<… I gave all I could but it left me so sore... And the thing that makes me mad is the one thing that I had. I knew... I knew I’d lose you…>> (“No need to argue” – Cranberries)1[5]   PARTE V   In qualche modo era riuscita a tornare a casa. Ma una volta varcata la soglia, Françoise era crollata come una colonna che per troppo tempo avesse sostenuto un peso eccessivo. Aveva chiuso l’uscio ed era scivolata appoggiandosi con la schiena alla porta, giù, fino a sedersi per terra, nascondendosi la testa fra le ginocchia e lasciando libero sfogo alle lacrime che aveva cercato di trattenere inutilmente fino ad allora. Sentiva il cuore scoppiargli, come se fosse nella morsa di tanti cerchi di ferro che piano piano gli si stringevano inesorabilmente attorno, fino al punto in cui sarebbe scoppiato. Non seppe mai quanto tempo restò in quella posizione, nell’oscurità della casa. Il tempo era un concetto lontano e insignificante in quel suo piccolo mondo illusorio che tanto faticosamente aveva trovato e che così facilmente era crollato, che così facilmente poche parole erano riuscite a distruggere. Sentì appena il forte bussare alla porta che improvvisamente la riportò nel presente. La voce di Joe le suonò nella testa come un campanello: <> Lei non rispose, limitandosi a sprofondare a ancora di più la testa fra le ginocchia. <> <>, urlò lei come se avesse trasformato in rabbia e voce tutto il dolore che sentiva dentro. Joe rimase in silenzio dietro la porta. Lo sentì sbattere un pugno contro il legno massiccio, e poi un altro ancora. Voleva solo sentirne i passi che le dicessero che si stava allontanando. Ma invece fu la sua voce il rumore che le arrivò alle orecchie. <> <> Joe sentì la sua voce perdersi in singhiozzi sommessi. Per un attimo fu sul punto di dire qualcosa… ma dalla sua bocca semiaperta non uscì alcun suono. Appoggiò la fronte alla porta e chiuse gli occhi, respirando profondamente. Sentì la pioggia cominciare a scendere lentamente, sempre più forte. Si scostò dalla porta e ascoltò attentamente. Quando seppe che lei stava ancora piangendo, si mise una mano nella tasca della giacca e fece tintinnare le chiavi della macchina. C’erano le anche le chiavi di casa appese. Sarebbe potuto entrare… ma non se la sentì. Si voltò e si mise il bavero della giacca sopra la testa, cominciando a correre verso il garage, sotto la pioggia battente e fredda. Pochi attimi dopo Françoise sentì il rumore inconfondibile dell’auto di Joe che si metteva in moto e che pochi attimi dopo si stava allontanando da casa a grande velocità, con le marce tirate al loro massimo. Poi il silenzio… e il rumore della pioggia battente.     <<… And so I walk to try to find a space where I can be alone, to live with my mistakes and the fear that will come from knowing that the one thing I had left was you...>> (“Nothing at all” – Santana feat. Musiq)1[6]     PARTE VI   Si svegliò solo in tarda mattinata, verso le 12.30 sul divano, ancora vestita. Non ricordava nemmeno di essersi spostata dalla porta a lì, né tantomeno di essersi tolta il cappotto che giaceva inerme su una poltrona. Si sentiva gli occhi gonfi e la testa pesante come un macigno. Si mise a sedere e si massaggiò le tempie. Alle 14 cominciavano le prove. Per un attimo fu tentata di telefonare e dire che aveva la febbre o qualcosa del genere, e restare a casa. Poi le venne in mente che magari avrebbe potuto distrarsi ballando. In fondo non gli rimaneva molto di più che il balletto. Si alzò, barcollando un po’ quando fu in piedi. Quindi si diresse in camera e prese dall’armadio dei vestiti e della biancheria pulita da un cassetto del comò. Gli occhi le caddero su una fotografia incorniciata in una bellissima cornice d’argento, in bella vista sul mobile. Buttò la roba sul letto e prese la foto in mano. Era una fotografia fatta a Natale. L’aveva scattata Albert, prendendoli quasi di sorpresa. E forse proprio per quello era venuta benissimo. Aveva sentito da qualche parte che le foto vengono meglio se i soggetti non sono in posa, ma nel loro atteggiamento naturale. Erano seduti uno accanto all’altro davanti a un tavolo e stavano parlando quando Albert aveva attirato la loro attenzione e aveva scattato. Il ricordo per un attimo le strappò un timido sorriso, ma poi sentì le lacrime tornare a chiederle di uscire e fu quasi per scaraventare la cornice per terra. Ma non ne ebbe il coraggio e si limitò a posarla sul comò, appoggiata al piano, in modo che la foto non si vedesse. Si spogliò e si rinchiuse nella doccia, lasciando che l’acqua le scivolasse sul corpo, quasi sperando che portasse via con sé nello scarico tutta la sofferenza che sentiva dentro. Ma dopo un po’ non ne poté più. Tante, troppe volte avevano fatto la doccia insieme lì dentro. Il ricordo della mano di lui che le passava il bagno schiuma sulla pelle le dava una sensazione stupenda, e allo stesso tempo insopportabile. Chiuse l’acqua e uscì dalla doccia. Si mise l’accappatoio addosso e si asciugò i capelli con il phon e ritornò in camera. Si vestì in tutta fretta e si dette un velo di trucco, per cercare di nascondere almeno il gonfiore degli occhi. Voleva uscire il prima possibile da quella casa, dove ogni cosa le ricordava Joe. Sempre e soltanto Joe. Se anche aveva avuto ancora qualche piccolo dubbio se rimanere a casa o meno, adesso erano scomparsi totalmente. Si rimise il cappotto che aveva lasciato sulla poltrona e uscì di casa, chiudendo la porta a chiave. L’odore di erba bagnata le entrò nelle narici. Percorse a grandi passi il vialetto che portava al garage e vi entrò dentro. Si fermò per un attimo a guardare il posto lasciato vuoto dall’auto di Joe. Entrò in macchina e mise in moto, allontanandosi. Aveva così fretta di andarsene che non si era nemmeno accorta che quella stessa macchina che mancava in quel garage era parcheggiata a pochi metri di distanza e che il suo conducente era al suo interno e che l’aveva vista allontanarsi. Per un attimo Joe mise la mano sulla chiave, e fu quasi per mettere in moto e seguirla. Ma la chiave non girò e dopo qualche secondo Joe si appoggiò pesantemente allo schienale, sospirando profondamente e chiudendo gli occhi. Si sentiva stanco, a pezzi. La sua testa era un cumulo di frammenti, pezzi di un puzzle che non riusciva a metter in un insieme che avesse un minimo di armonia. La radio accesa concluse la sua rassegna di notizie dell'una che Joe non aveva nemmeno ascoltato. Un deejay disse poche parole, introducendo una canzone che cominciò a farsi sentire sulle ultime sillabe dell’uomo. Joe cercò di svuotare la testa e di riordinare le idee, chiudendo ancora di più gli occhi. Kindness in your eyes... I guess you heard me cry. You smiled at me like Jesus to a child. I’m blessed, I know. Heaven sent and Heaven stole. You smiled at me like Jesu to a child. And what have I learned from all this pain? I thought I’d never feel the same about anyone or anything again. But now I know... When you find love, when you know that it exists, then the lover that you miss will come to you on those cold cold nights. When you’ve been loved, when you know it holds such bliss, then the lover that you kissed will comfort you when there’s no hope in sight. La musica usciva suadente dagli altoparlanti. Françoise l’ascoltava distrattamente, chiedendosi se veramente si volesse così male da voler ascoltare quella canzone fino alla fine tanto sembrava fatta apposta per quella giornata. Sadness in my eyes... No one guessed, well no one tried. You smiled at me like Jesus to achild. Loveless and cold, with your last breath you saved my soul. You smiled at me like Jesus to a child. And what have I learned from all these tears? I’ve waited for you all those years. Then just when it begun she1[7] took your love away. But I still say... When you find love, when you know that it exists, then the lover that you miss will come to you on those cold cold nights. When you’ve been loved, when you know it holds such bliss, then the lover that you kissed will comfort you when there’s no hope in sight. So the words you could not say, I’ll sing them for two. And the love we would have made, I’ll make it for two. For every single memory has become a part of me... you will always be... ... my love Joe riaprì gli occhi, senza muovere altro, ma continuando a guardare il tetto della macchina, colto da una calma improvvisa, come se la testa gli si fosse improvvisamente svuotata, come se il caos di poco prima non ci fosse mai stato. Quell’unica certezza gli balenò nella mente: un capitolo della sua vita si era chiuso definitivamente. Well I’ve been loved, so I know just what love is and the lover that I kissed is always by my side...   <<... Oh, the lover I still miss... was Jesus to a child.>> (“Jesus to a child” – George Michael)1[8]     PARTE VII   <>, disse Il gruppo di ballo accolse con piacere le parole del regista. Françoise prese un asciugamano dalle mani di una donna, ringraziandola, e si mise a sul bordo del palco per fare qualche esercizio di allungamento, asciugandosi la fronte e bevendo un sorso d’acqua da una bottiglia. Non aveva nessuna voglia di tornare a casa. <> Alzò la testa verso la voce che sembrava essersi rivolta a lei. Gli sorrise, cercando di essere convincente: <> <>, le chiese. Lei si limitò ad annuire. Michaël si sedette accanto a lei e si mise a guardare la platea vuota. Parecchi dei ballerini si erano ritirati nei loro camerini, altri erano rimasti dietro le quinte a chiacchierare un po’. Un paio di danzatori stavano provando alcuni passi sul palco. Michaël bevve un sorso d’acqua dalla sua bottiglietta: <> Françoise si voltò vero di lui: <> <> Françoise lo guardò perplessa. Poi si portò le ginocchia al petto, abbracciandole e rannicchiandosi su se stessa. Un lieve sorriso le si formò sulle labbra: <>, disse volgendosi poi verso la platea <>, il volto le si oscurò improvvisamente <> Michaël la guardava perplesso: <> Lei annuì: <> Michaël fece schioccare le dita e si batté il palmo della mano su un ginocchio, come se avesse perso un’occasione: <> Françoise si mise a ridere alla battuta: <> Lui la guardò compiaciuto: <>, le disse. <>, disse lei ricomponendosi <> Qualcuno chiamò l’uomo da dietro le quinte. <>, rispose Michaël volgendosi indietro. Poi si rivolse di nuovo a lei <> Si rialzò in piedi e anche lei fece altrettanto. <> Lui alzò le spalle: <>, disse allontanandosi di qualche passo e poi volgendosi ancora a lei <> Lei corrugò la fronte: <> <>, disse allontanandosi definitivamente. Françoise restò immobile ancora qualche istante. Ormai sul palco era rimasta solo lei. Sospirò profondamente nel silenzio della sala. Poi si avviò a piccoli passi verso il suo camerino. Entrata dentro, si spogliò e si fece una breve doccia, prendendosela con molto comodo. Uscì dal camerino e si avviò verso l’uscita, salutando due o tre persone che incontrò lungo la via. Uscì all’aperto, fuori dal teatro dall’uscita riservata ai membri dei cast. Erano le 18 più o meno, ma era già buio. <> Trasalì nel sentire la voce e le ginocchia le si fecero molli. Si voltò alla sua destra, lì da dove aveva sentito arrivare la voce. Non si sentiva la forza di parlare, non si sentiva la forza di fuggire via. Tutto quello che poté fare fu restare immobile e aspettare. Mayumi le si avvicinò titubante. Poi abbassò lo sguardo per terra: <>, alzò la testa verso di lei <> <> <> Françoise restò in silenzio… senza riuscire a trovare alcuna parola. Avrebbe voluto solo fuggire via… ma le gambe non le sentiva quasi. <, riprese un attimo fiato abbassando di nuovo lo sguardo <> Mayumi alzò gli occhi verso Françoise, sospirando nuovamente: <> <>, disse Françoise a bassa voce <>   <<… And you coming back to me is against all odds and that’s what I’ve got to face...>> (“Against all odds” – Phil Collins)1[10]   PARTE VIII   Françoise camminava sconsolata lungo la Senna. Ormai erano le 22 passate. Lo stava cercando da ore, senza risultato. Aveva cercato in tutti i luoghi in cui pensava di poterlo trovare, ma inutilmente. Aveva anche telefonato a casa, ma non le aveva risposto nessuno. Si fermò un attimo a guardare il fiume, appoggiandosi al parapetto. Non le restava che tornare a casa. Andò a prendere la macchina e cominciò a guidare meccanicamente verso casa. Quasi non si accorse del tragitto. Fece entrare la macchina nel vialetto d’accesso e azionò la porta del garage con il telecomando. Parcheggiò l’auto come tante volte aveva fatto. Quando uscì fece attenzione a non colpire con lo sportello la macchina accanto… Françoise rimase con lo sportello aperto, sul punto di uscire dall’abitacolo, fissando la macchina accanto alla sua. Scese e accarezzò la carrozzeria adesso un po’ sporca per via della pioggia presa la sera precedente, quasi volesse accertarsi che non fosse un miraggio. Entrò in casa direttamente dal garage e si recò immediatamente in sala. Lì dove vedeva l’unica luce in tutta la casa. A dire il vero, c’era solo il fuoco acceso. Quando entrò, Joe si voltò verso di lei e si alzò dal divano sul quale era seduto, restando poi fermo con una mano sullo schienale del divano stesso, rivolto verso di lei. Rimasero in silenzio, guardandosi l’uno con l’altro, senza dire niente. Poi Françoise cominciò ad avvicinarsi lentamente a lui, che invece rimase immobile al suo posto. <> <>, le disse anticipando la sua domanda. Poi la guardò negli occhi, con uno sguardo serio e deciso <> Françoise scosse la testa: <> <>, chiese lui corrugando la fronte. Françoise chiuse gli occhi, raccogliendo un attimo le idee: <> Joe rimase in silenzio e immobile per qualche secondo. Poi si mise a sedere sul bracciolo del divano, congiungendo le mani davanti alle ginocchia e tenendo lo sguardo basso. Françoise lo guardò perplessa, senza sapere o senza voler interpretare quella reazione. <>, disse Joe dopo un po’ girando i pollici tra di loro <> alzò gli occhi verso di lei <> <> Lui alzò una mano, fermandola: <> Françoise restò in silenzio qualche istante, andandosi a sedere sulla poltrona di fronte a lui: <> <> Françoise mise le mani avanti: <>, disse <> A Joe scappò un accenno di risata: <>, disse annuendo e alzandosi. Le passò accanto, andando nella direzione da cui lei era venuta. Françoise sospirò e si alzò a sua volta. Già, si era dimenticata che c’era un’altra cosa da chiarire che era passata in secondo piano di fronte al viaggio senza ritorno che avevano rischiato di intraprendere. Si alzò a sua volta e si tolse il cappotto che aveva ancora indosso. Poi salì in camera. Notò che la cornice era ancora nella posizione in cui lei l’aveva lasciata. La rimise in piedi, sfiorando poi il volto di Joe con dolcezza. Si spogliò e cercò nell’armadio qualcosa di comodo da mettersi. I suoi occhi caddero su qualcosa piegato in un angolo dell’armadio. Prese quello di cui aveva bisogno e tirò fuori quel fagottone. <>, disse capendo cos’era <> Scese giù, portandolo con sé. <>, chiese a Joe che come suo solito si era seduto per con la schiena rivolta e appoggiata al caminetto. La guardò perplesso, e solo dopo un po’ realizzò cos’aveva in mano: <> <>, disse Françoise avvicinandosi e stendendolo sul tappeto davanti al caminetto e mettendocisi sopra <> <>, disse Joe sorridendo. <>, rispose Françoise sarcastica portandosi verso di lui e lasciandosi cadere nel suo abbraccio senza che lui potesse nemmeno rendersene conto. Joe esitò qualche istante, irrigidendosi un po’. Poi si rilassò e lasciò che le sue braccia la circondassero delicatamente e che lei si adagiasse ancora di più a lui e che posasse le sue mani su quelle di lui, strette sul suo ventre. <>, gli chiese dopo un po’. <> <> <>, la interruppe capendo dove voleva andare a parare <> <>, disse accarezzandogli i capelli con una mano <> Joe la guardò sospirando: <> <>, esitò un attimo e Joe sperò che non lo dicesse ma… <> Joe lasciò cadere le parole nel silenzio di qualche istante: <> <>, voltò la sua testa verso il suo volto <> Joe sospirò, accarezzandole i capelli e baciandole la fronte: <> <>, disse lei sorridendo. Poi tornò seria e disegnò il suo profilo con un dito, fermandosi sulle sue labbra <> Joe le prese la mano e la baciò sul dorso, sfiorandola appena: <> Françoise annuì e si liberò dal suo abbraccio delicatamente, spostandosi sul futon e invitandolo a seguirla, tenendolo per mano. Restarono uno di fronte all’altro a guardarsi in volto ancora per un attimo, fino a quando le loro labbra non si incontrarono. Cominciarono a spogliarsi e ad accarezzarsi l’un l’altro come avevano fatto tante volte in passato. Ma a tutti e due sembrava che fosse un po’ come la prima volta, come se quella lunga separazione fisica avesse fatto dimenticare loro il sapore di quelle sensazioni che solo tra loro riuscivano a trasmettersi. Joe, però, a un certo punto cominciò a sentire la sua mente andare in tutt’altra direzione rispetto al suo corpo e al suo istinto. <> Lui si fermò, guardandola in volto mentre lei gli accarezzava i capelli: <> <> Lei lo fermò, baciandolo brevemente sulla bocca: <> Non c’era paura nella sua voce, né nel suo volto. Il rendersi conto di ciò gli tolse quella specie di freno che lo bloccava e si lasciò andare completamente, lasciandosi guidare solo da quello che provava per lei. Amore, non disperazione.     <<… Once I had the rarest rose that ever deemed to bloom. Cruel winter chilled the bud and stole my flower too soon. Oh loneliness. Oh hopelessness to search the ends of time. For there is in all the world no greater love than mine. Love o love o.... still falls the rain. Love o love.... still falls the night Love o love o .... damned forever. Let me be the only one to keep you from the cold. Now the floor of heaven is laid, the stars are bright as gold. They shine for you they shine for you, they burn for all to see... Come into these arms again and set this spirit free .>> (“Love song for a vampire” – Annie Lennox)1[12]     EPILOGO   nel suo abbraccio, con la schiena a contatto con l suo petto. Si era quasi dimenticata di quanto fosse meraviglioso quel momento. Si accoccolò nuovamente contro il suo corpo, cercando di rubargli un po’ di tepore e guardando le braci del caminetto che emanavano gli ultimi soffi di vita. Poi, improvvisamente, le venne in mente qualcosa. <> <>, rispose lui bofonchiando e stringendola ancora di più a lui. Françoise si voltò verso l’alto, dove trovò l’orologio di Joe. Lo prese e guardò l’ora. <> esclamò <> Per quanto cercasse di liberarsi dalla sua stretta, non ci riusciva. Era uno scherzetto che le faceva spesso. <> In tutta risposta lui la fece sdraiare sulla schiena, guardandola da sopra con il suo solito sguardo da giocherellone, ma che sapeva bene cosa voleva. <>, le disse sorridendo beffardo. Lei lo guardò altrettanto beffarda: <> Joe sbuffò e si rimise sdraiato sulla schiena lasciandola andare via. Dopo un po’ si alzò anche lui e si rimise i pantaloni, per poi andare in cucina a mettere su il caffè. Françoise scese giù cambiata proprio mentre il caffè stava passando. <>, le disse porgendole una tazza di caffè. Lei ne bevve un sorso: <> <>, disse lui guardandola non proprio convinto. <> Joe scosse la testa, sorseggiando il caffè: <> <> <>, le disse <> Lei si guardò l’anulare sinistro, quasi stupita di non vederci l’anello sopra: <> <>, disse lui storgendo la bocca. <>, rispose lei posando la tazza sul tavolo <>, disse avviandosi verso la porta. <> Lei si voltò spazientita: <> <>, le chiese con un sorrisetto ironico sul volto. Françoise sbuffò, cominciando a dare un’occhiata intorno: <> disse puntando il dito in una direzione <> Si recò a teatro, riuscendo ad arrivare appena in tempo. Fu una giornata faticosa, ma si sentiva bene stavolta e l’idea di tornare a casa non era un peso come il giorno prima. <>, le chiese Michaël porgendole l’asciugamano alla fine delle prove. <>, disse lei asciugandosi mettendosi l’asciugamano intorno al collo <> <> <>, disse sorridendo. <>, disse annuendo <> <> <>, disse indicando verso la platea. Sul fondo Françoise notò Joe e lo salutò con una mano. <> <> Françoise corse a cambiarsi e in meno di una ventina di minuti. <>, disse a Joe raggiungendolo all’uscita. <> <> Si fermarono un attimo, perché Françoise potesse lasciare la propria roba in macchina. Poi Joe porse il suo braccio a Françoise e cominciarono a camminare per le vie di Parigi, passando per Place de la Concorde e fermandosi a guardare la Senna davanti al Giardino delle Tuileries. <>, gli chiese dopo un po’ che erano fermi davanti al fiume. Lui le sorrise: <> <>, protestò lei <> <>, alzò le spalle Joe <> Françoise obbedì. Solo che Joe non gli dette il suo. Françoise lo guardò stupita: <> <>, gli rispose Joe senza lasciarle la mano e abbassando lo sguardo <> alzò di nuovo gli occhi per guardarla in volto con un’espressione che le fece capire che non stava scherzando quando le disse: <>   <<… I’m gonna love you more than life if you’ll only be my wife. I‘m love you night and day, I’m gonna try in everyday.>> (“When we dance” – Sting)1[13]   F I N E    1[2] Traduzione dei pezzi in corsivo riuniti insieme e del pezzo finale (si tratta della canzone indicata tra parentesi alla fine): <> 1[4] Trad: <> 1[5] Trad.: <> 1[6] Trad.: <> 1[7] Nel testo originale della canzone, la cui traduzione integrale è alla nota successiva, in questo punto c’è un he, cioè un “lui”. Françoise, nella sua testa, ci sente una she, e credo di non dover spiegare il perché. 1[8] Trad.: <> 1[11] Presente quei “letti pieghevoli” che i giapponesi tirano fuori dall’armadio e stendono a terra per dormirci? Ecco quelli sono i futon. 1[12] Trad.: > 1[13] Trad.: <>         1[1] Traduzione: <<… Stavo sognando, ma tu mi hai svegliato. E mi mancherai, ma starò bene. Perché se non posso fare in modo che tu mi ami, tu non sei fra le ragioni per restare. Non pensarci. Non preoccuparti per me. Se io non posso fare in modo che tu mi ami, non sei la persona a cui darne la colpa. Lo farò da solo. Non ti preoccupare per me.>>