Prologo La vallata si stendeva ampia e verde davanti a lui. Qua e là c’erano casolari isolati, con i terreni ben delimitati dai recinti di pietre accuratamente costruiti dai loro proprietari. Il cielo, come quasi sempre di quei tempi, era coperto. Nell’aria c’era un vago odore di erba bagnata. L’uomo, un tipo non troppo alto, di corporatura piuttosto robusta, dai capelli rossicci e riccioluti, era fermo lì da un po’. Amava quel posto. Era silenzioso. La vista che offriva dava un senso di pace e tranquillità. Estrasse il suo orologio da taschino e lo aprì. Erano quasi le 5 di sera. Era ora di tornare a casa. L’uomo ripose l’orologio nel taschino, e lanciò un sonoro fischio di richiamo. Pochi istanti dopo un tipico setter bianco e rosso stava correndo a gran velocità verso di lui. <> Il cane si accodò al padrone, che si era già avviato. La strada per tornare verso il villaggio era una via mai asfaltata, che passava attraverso una larga pianura, costeggiata da campi, case isolate e erba. L’uomo l’aveva percorsa tantissime volte, nel corso della sua vita. Sin da quando era bambino. Allora era suo padre a portarlo là. Adesso era lui che ci andava da solo, quando portava Max a fare la sua passeggiata fuori. Conosceva ogni palmo di quella strada. Riusciva a riconoscere se una pietra era stata mossa, un ramo spezzato. Max ogni tanto si fermava, annusando i ceppi a lato della strada, gli alberi, cercando un posto dove lasciare il segno del suo passaggio. Poi raggiungeva il suo padrone. Si sentì il rumore inconfondibile delle ruote di un carro da fieno. L’uomo si fermò, guardandosi indietro, da dove proveniva il rumore. Max si sedette sulle zampe posteriori, accanto al padrone. Il carro si avvicinò a loro, adagio, fino a fermarsi proprio accanto. <>, salutò il conducente del carro, rivolgendosi all’uomo <> Il cane abbaiò una volta, rispondendo a suo modo al saluto. <>, disse l’uomo accarezzando Max sulla testa. <>, chiese Alfred indicando con un cenno della testa in direzione del villaggio. Gerard sembrò pensarci un attimo, poi scosse la testa: <> <>, rispose l’altro <> Gerard annuì col capo, seguendo il carro andare via con lo sguardo: <> Il carro ricominciò la sua corsa lenta verso il paese. Gerard restò immobile a guardarlo finché non fu diventato un punto lontano. Poi fece un cenno a Max, ricominciando a camminare. Il cane non se lo fece ripetere due volte. Si rimise su quattro zampe e seguì il padrone. La strada non era lunga, ma Gerard se la prendeva comoda, fermandosi ogni tanto a guardare la pianura. Max non faceva una piega, a volte fermandosi seduto accanto al padrone, a volte annusando per terra come un vero segugio, cercando chissà cosa. A un certo punto la strada polverosa deviava verso una strada asfaltata, che era quella che portava al paese. Da lì ci volevano non più di cinque, dieci minuti. Appena entrati sulla striscia d’asfalto, dopo pochi passa, una macchina si accostò a loro, facendoli fermare. Il finestrino della macchina si abbassò. Un uomo dal cranio pelato e dalla faccia strana, in qualche modo buffa, si sporse verso di lui: <> Gerard aggrottò la fronte, con una smorfia. L’uomo era inglese, senza ombra di dubbio. L’accento era inconfondibile. Istintivamente dette un’occhiata anche agli altri due passeggeri che c’erano nell’auto. Sul sedile accanto a quello di guida sedeva un uomo dai capelli di un raro colore argentato, nonostante non dovesse avere più di trenta, trentacinque anni. Dietro era seduta una ragazza, molto giovane. “Strano trio.”, pensò Gerard. <>, chiese il pelato inglese <> L’uomo stava già per ripartire, quando Gerard lo fermò con un gesto della mano: <>, disse <> L’uomo pelato sorrise: <>, disse <> <> La macchina ripartì e Gerard la guardò allontanarsi. <>, disse a bassa voce, sospirando profondamente. Quel nome era legato a tanti ricordi e avvenimenti della sua vita. E nessuno di essi era piacevole. <> Ricominciò a camminare verso casa. <>, da “Shadows and tall trees”, U21 Parte I <>, disse loro il maggiordomo facendoli accomodare in un grazioso salottino, arredato tipicamente all’inglese. <>, disse Bretagna rivolgendosi all’anziano servitore. Il maggiordomo fece un accenno di inchino e chiuse la porta, lasciandoli soli. <>, commentò Albert guardandosi intorno. I divani e le poltrone erano di velluto blu di prima qualità, disposti su tre lati in mezzo alla stanza, con vista sul caminetto, acceso. Attorniavano un delizioso tavolino stile Luigi XVI, con sopra una scatola da tabacco in argento e un vaso di cristallo di Boemia, riempito di rose bianche. Un pianoforte a coda si stagliava maestoso davanti all’ampia finestra che dava su un enorme distesa verde, dall’erba e le siepi perfettamente curate. Una distesa che chiamare giardino era troppo riduttivo. Nella stanza erano presenti anche un comò a cassettoni, nello stesso stile del tavolo in mezzo ai divani, sopra il quale vi era una vasta collezione di animali di argento. Françoise si mise a guardarli incuriosita. <> La ragazza si voltò verso la voce, ma non ebbe nemmeno il tempo di parlare, perché Bretagna si lanciò sull’uomo stringendogli la mano e posandogli una mano sulla spalla: <> <>, disse Kensington sorridendo <> Era un uomo di media altezza, dall’aspetto serio e metodico. I capelli castani erano accuratamente tagliati, così come la barba. Portava un maglione di cashmere sopra i pantaloni perfettamente stirati. Nonostante fosse un abbigliamento formale, il portamento orgoglioso dell’uomo che lo indossava, lo faceva apparire elegante. <> Albert aveva già proteso la sinistra verso di lui: <> L’uomo strinse la mano ad Albert, sorridendo: <> <>, disse Bretagna alzando la mano verso l’amica <<è la mia amica Françoise Arnoud.>> L’uomo prese delicatamente la mano di Françoise, baciandola come un vero gentiluomo: <> <>, disse Françoise sorridendo <> <>, spiegò Kensington <> La ragazza notò una certa malinconia negli occhi dell’uomo mentre aveva detto “ex-diplomatico”. Ma non commentò. <>, li invitò Kensington sedendosi su una poltrona. Ogni suo minimo gesto denotava eleganza e sicurezza. Anche il modo di mettersi a sedere <> I tre accolsero l’invito. Bretagna si sedette sull’altra poltrona, proprio di fronte a Kensington, mentre Françoise e Albert presero posto sul divano. <>, esordì il padrone di casa incrociando le gambe e posando le mani, una sopra l’altra, sul ginocchio <> Bretagna respirò profondamente: <>, disse <> Kensington annuì gravemente, rimanendo qualche secondo in silenzio: <>, disse <> Bretagna annuì, soppesando le parole del vecchio amico. Ma fu Albert a parlare: <> Nigel alzò le spalle: <> Bussarono alla porta: <> <> L’anziano maggiordomo entrò, con in mano un vassoio d’argento. Lo appoggiò con la maestria venuta da tanti anni di lavoro sul tavolo davanti a loro. <>, lo congedò Humphrey. <>, disse il maggiordomo accennando il solito inchino, e poi scomparendo con discrezione, così come era comparso. Fu lo stesso Humphrey a prendere la teiera e a versarne il contenuto fumante nelle quattro tazze di fine ceramica inglese. La bevanda emanava un odore forte e intenso: <> <> <> <>, rispose lei <> Humphrey le porse la tazza col suo piattino a Françoise. <> <> <>, rispose lui <> <> Bretagna spalancò gli occhi incredulo: <> <>, rispose Kensington porgendogli la sua tazza. Infine, si versò il suo tè, con un po’ di latte e una zolletta di zucchero, e si rimise a sedere, rigirando la bevanda con un cucchiaino: <>, disse <> I tre si guardarono l’un l’altro, perplessi. <>, riprese Bretagna <> <>, aggiunse Françoise <> Kensington restò silenzioso per qualche istante, fissando un punto indefinito del grande tappeto nain3, con uno sguardo da cui era impossibile estrarre qualunque informazione sui suoi pensieri. Poi alzò gli occhi verso Bretagna, appoggiando i gomiti sui braccioli della sua poltrona e tenendo le mani intrecciate davanti al suo addome: <>, disse <> Albert e Françoise dovettero sforzarsi parecchio per trattenersi dal ridere, ma tuttavia non poterono fare a meno di lasciarsi scappare un sorriso. Bretagna li guardò di sbieco, posando poi la sua tazza di tè sul tavolo e prendendo un biscotto dalla ciotola sul vassoio. Ne assaggiò un morso e i suoi occhi si allargarono piacevolmente sorpresi: <>, disse finendo poi il biscotto. Quando ebbe ingoiato il pezzo riprese a parlare <> Kensington annuì: <>, disse <>, disse voltandosi a guardare Albert e Françoise. <>, disse Bretagna con un sorriso di tacita gratitudine. <>, disse l’uomo <> Bretagna guardò i suoi due compagni con uno sguardo di intesa: <> <>, lo interruppe lui <> Bretagna storse la bocca in una specie di smorfia, restando qualche secondo in silenzio. Infine annuì: <> L’uomo sorrise accondiscendente. Poi il suo sguardo si spostò verso un grande e meraviglioso orologio a pendola. Anche quello sembrava molto antico e prezioso. Erano quasi le 6: <>, disse alzandosi <> <>, rispose Bretagna <> Kensington fece un inchino accennato e uscì dalla stanza. I tre, rimasti soli, lasciarono passare alcuni istanti di silenzio. Albert ridette un’occhiata attorno a sé: <>, disse sottolineando le parole con una smorfia del viso. Bretagna si stava lisciando il mento: <> <>, gli rispose Albert spalancando gli occhi <> Bretagna sospirò profondamente: <>, spiegò <> <>, chiese Françoise perplessa. Bretagna alzò gli occhi verso di lei, con uno sguardo malinconico: <>, disse <> Albert e Françoise si scambiarono uno sguardo significativo, poi guardarono nuovamente Bretagna, che si era di nuovo immerso nei suoi pensieri. <> riprese Albert <> L’attore si mise comodo nella poltrona, incrociando le gambe e posando le mani intrecciate sullo stomaco. Alzò gli occhi verso il soffitto, decorato con uno splendido affresco raffigurante il trionfo della natura. Improvvisamente la sua mente viaggiò lontano nel tempo, parecchi anni prima: <>, cominciò a raccontare <> <>, disse Françoise con gli occhi che quasi le brillavano. Bretagna la guardò sorridente. Già, anche lei era una persona di teatro. Poteva facilmente capire cosa volesse dire ricevere un complimento, anche se da parte di un perfetto sconosciuto: <>, continuò <>, disse <> <>, chiese Albert. <>, rispose <> <> disse Françoise <> <>, disse <> <>, chiese Albert <> Bretagna sospirò: <>, disse <> Bretagna abbassò gli occhi, sospirando profondamente. <>, chiese Albert. <>, cercò di indovinare Françoise <> Bretagna guardò la ragazza con gli occhi che tradivano una certa commozione: <>, disse <> <>, esclamò Françoise scioccata. <>, disse Bretagna annuendo gravemente << Il suo corpo fu ritrovato parecchi giorni dopo la sua scomparsa da un pescatore a largo della costa nord orientale dell’isola. Brandelli dei suoi vestiti e sue tracce organiche furono ritrovate su un alto scoglio a picco sul mare. La polizia archiviò il caso come suicidio. Ma Nigel era convinto che si trattasse di omicidio. Shannen non aveva nessun motivo di andare fin là. Era un posto che non conosceva assolutamente. Ma le prove non c’erano.>> Albert storse le labbra in una smorfia: <> Bretagna annuì: <> <>, chiese Albert. <>, rispose l’attore con occhi malinconici <> <>, commentò Albert quasi ripetendo l’espressione usata dallo stesso Kensington poco prima. <>, continuò Bretagna <> Nella stanza scese un silenzio colmo di tristezza. Solo il crepitio del fuoco nel caminetto e il rumore di una pioggia, iniziata da chissà quanto, faceva da sottofondo sonoro alla scena. Qualcuno bussò alla porta. <>, disse Bretagna. Era Herbert: <>, disse <> <>, disse Bretagna alzandosi insieme agli altri. I tre seguirono l’anziano maggiordomo fuori dalla stanza, ritrovandosi in un lungo corridoio dal quale erano venuti. Da lì si vedeva perfettamente la porta d’ingresso. Proprio in quel momento suonarono alla porta. <>, disse Herbert dirigendosi verso la porta. I tre guardarono incuriositi verso l’ingresso, aspettando di vedere comparire il nuovo arrivato. <>, disse Herbert alla persona che vide appena aprì la porta. <> Bretagna sbiancò evidentemente, sbarrando gli occhi: <> <>, chiese Albert guardandolo incuriosito. Intanto, nell’ingresso, era comparsa una donna. Gli abiti un po’ bagnati per la pioggia. Non appena si accorse dei tre visitatori li guardò prima perplessa. Poi fece un cordiale sorrisa: <>, chiese togliendosi il soprabito e porgendolo ad Herbert. <>, disse Albert sorridendo <> <> La donna sorrise senza mostrare i denti: <> si bloccò vedendo il terzo visitatore. Non l’aveva riconosciuto senza i capelli <> “Brit!?”, pensarono Françoise ed Albert nello stesso istante, senza neanche saperlo. Bretagna cercò di sorridere, senza riuscire tuttavia a nascondere un certo imbarazzo: <>, disse con voce tremante <> <>, da “Zombie”, Cranberries5 Parte II <>, chiese il signor Kensington seduto a capo della grande tavola. <> disse Bretagna ingoiando l’ennesima fetta di roast-beef <> Kensington sorrise, bevendo un sorso di vino: <> <>, disse lei sorridendo <> <>, esclamò Kensington bevendo un altro piccolo sorso. <>, intervenne Albert <>, chiese indicando con lo sguardo un posto vuoto davanti a lui. Kensington ripose il bicchiere da vino al suo posto, davanti a lui, e si asciugò appena le labbra con il tovagliolo, che poi posò nuovamente sopra le sue gambe, sotto la tovaglia: <>, disse <> <>, disse Bretagna alzando gli occhi di nuovo in viaggio nella sua memoria nel cercare di ricostruire il volto della ragazza <> Kensington sospirò: <>, disse accennando un sorriso <> <>, disse Angela <> <>, disse Kensington quasi ridendo <> Angela piegò le labbra all’insù in un lieve sorriso: <>, disse <> Bretagna deglutì visibilmente, tanto che gli andò di traverso il sorso di vino che stava bevendo. Si mise a tossire e solo le pacche di Albert sulla schiena lo fecero riavere. <>, disse Albert mentre batteva la schiena all’amico <> <>, ribatté Bretagna stizzito, in preda agli ultimi colpi di tosse. <>, disse l’altro ridendosela <> <>, disse Bretagna accompagnando l’espressione con un gesto della mano. Intanto un po’ tutti si erano messi a ridere. Quando si fu ristabilita una parvenza di calma, Angela riprese la parola: <>, rispose <> <>, rispose Bretagna in tono offeso, girato dall’altra parte. <>, chiese Françoise incuriosita. Bretagna si voltò di nuovo verso la tavola: <>, si difese. <>, ribatté Angela sogghignando divertita <> Herbert entrò discretamente nella stanza, ricevendo la silenziosa benedizione di Bretagna per aver messo almeno in pausa una situazione che si faceva imbarazzante: <> <>, rispose il padrone di casa. Herbert iniziò a togliere i piatti del secondo. Proprio in quell’istante la porta si aprì nuovamente. <> la ragazza, molto giovane, aveva lunghi capelli castani che le scendevano lisci dietro le spalle. Guardava la tavola sorpresa. Soprattutto i tre sconosciuti <>, disse con voce incerta <> <>, disse Bretagna sorridendo <> La ragazza aggrottò la fronte, mettendosi a sedere: <>, poi alzò le sopracciglia annuendo lentamente <> L’attore fece un sorriso che gli andava da parte a parte: <>, disse <> <>, disse Evelyn abbassando appena la testa. <>, chiese Kensington in un tono gentile, ma autoritario. Evelyn sembrò pensarci un attimo: <> <>, obiettò padre non troppo convinto, corrugando la fronte. <>, rispose lei <> Kensington non sembrava molto convinto, tuttavia non chiese ulteriori spiegazioni. <>, chiese Herbert approfittando del silenzio che si era venuto a creare. <>, rispose lei <> <>, rispose il maggiordomo prendendole il coperto e poi scomparendo nella cucina con il carrello sul quale aveva posato i piatti appena prelevati da tavola. <>, riprese Kensington con una punta di rammarico nella voce <> <>, chiese Bretagna incuriosito. <> <>, rispose Kensington interrompendo la figlia che aveva cercato di rispondere <> <>, chiese Françoise direttamente alla ragazza. <>, rispose lei, stringendo appena le labbra. Un lieve gesto che sembrava denotare una certa insofferenza. Herbert arrivò con un carrello sopra al quale c’erano dei piattini con dentro un’invitante dolce di cioccolato. Il maggiordomo cominciò a distribuire i piatti, sempre con la solita maestria e discrezione. <>, rimuginò Bretagna <> <>, rispose semplicemente la ragazza. <>, chiese Bretagna <> <> <> Padre e figlia si guardarono negli occhi, piuttosto contrariati, con le labbra strette. In un attimo l’atmosfera si fece inquietante. Quasi elettrica. Bretagna passava gli occhi da uno all’altra, sentendosi un po’ in colpa per aver scatenato quella diatriba familiare. <>, disse Kensington alla figlia con una voce autoritaria e ferma. <>, ribatté la ragazza con uno sguardo di sfida. <> <>, intervenne Angela, guardando fisso il fratello e mettendo una mano su quella della nipote seduta accanto a lei. Poi rivolse lo sguardo a lei, severo e tagliente <> Kensington annuì e abbassando gli occhi: <>, rialzò lo sguardo sulla tavolata <> <>, disse Evelyn. Ma il suo volto rimase imbronciato e non guardò più il padre negli occhi fino alla fine del pasto. <>, da “Not sorry”, Cranberries7 Parte III La casa era come se la ricordava. Non era cambiato niente da allora. Non era cambiato niente da chissà quanto tempo. Ogni centimetro quadrato di quella casa, di quelle mura, trasudava un profumo antico. Anche l’enorme biblioteca di casa Kensington era sempre lì, al suo posto. Bretagna entrò, ritrovandosi in un’enorme stanza. A tutte e quattro le pareti c’erano delle librerie che arrivavano fino al soffitto. Tanto che non si vedeva un solo cm di muro scoperto. Nigel era seduto su una poltrona, in fondo alla stanza. Oltre a quella, accanto a lui, c’era un’altra poltrone e un grosso tavolo con sei sedie. Di legno spesso e robusto. Quando sentì che qualcuno era entrato nella stanza, l’uomo alzò gli occhi dal libro che stava leggendo e si tolse gli occhiali. <>, disse Bretagna guardando fra i tomi come in cerca di qualcosa di particolare. <>, disse Nigel riponendo il libro su un piccolo tavolo tra le due poltrone <> Bretagna prese un libro: <>, disse mettendosi a sfogliare con cura le pagine, quasi avesse paura di sbriciolarle al solo tocco. <>, disse Nigel sorridendo. <>, disse Bretagna richiudendo il tomo e guardandolo un attimo prima di riporlo con cura al suo posto <> <>, disse Nigel guardando Bretagna sedersi nella poltrona vuota accanto alla sua. <>, commentò Bretagna lasciandosi inghiottire dal sofà <> Nigel incrociò le gambe e guardò l’amico, pensieroso: <> Bretagna sorrise, alzando le ciglia e respirando profondamente: <>, disse mettendosi un po’ più composto a sedere <> L’uomo annuì, senza lasciar trasparire alcunché dal suo volto: <>, disse <>, abbassò gli occhi verso i suoi piedi, con uno sguardo malinconico <> Bretagna annuì, sospirando e solo allora notò il whiskey sul tavolo, vicino al libro: <> Nigel sorrise, massaggiandosi le tempie con la testa: <>, disse <> <>, rispose l’altro <> In realtà avrebbe voluto dirgli che anche lui aveva cominciato in quel modo e si era ritrovato a dipendere dalla bottiglia. E che quel “goccio” si aggiungeva a parecchi bicchieri di vino che gli aveva visto trangugiare a tavola. Ma lo tenne per sé. Anche perché, dopo tutto, Nigel sembrava sobrio. <>, chiese Bretagna toccando un altro tasto dolente. Nigel sorrise, quasi ironicamente: <>, ripeté alzando gli occhi verso il soffitto. Poi ritornò a guardare Bretagna, lisciandosi la barba <> Bretagna piegò le labbra in un sorriso appena accennato: <> Nigel restò silenzioso per qualche secondo, poi piegò la testa di lato e respirò profondamente: <>, disse alzandosi <> <>, rispose Bretagna alzandosi <> Bretagna seguì silenziosamente Nigel fino all’uscita della biblioteca, dove lui spense le luci. <>, disse il padrone di casa <> <> Bretagna restò a guardare l’amico finché non scomparve dietro un angolo. Quindi si avviò dalla parte opposta, verso le scale che portavano alla sua stanza. Quando entrò vi trovò dentro Albert, sdraiato sul suo letto, e Françoise, seduta su una poltrona. <>, chiese Albert guardandolo incuriosito. <>, chiese Bretagna lasciandosi sedere sul bordo del suo letto. <>, spiegò Françoise. Bretagna la guardò, sospirando: <>, si fermò qualche secondo, cercando forse le parole più adatte <> Albert si mise a sedere, incrociando le gambe sul letto: <> Bretagna annuì: <> <>, rispose l’altro. Bretagna si rese conto soltanto in quel momento che Albert era già passato attraverso una situazione del genere e sicuramente ne sapeva più di lui: <> <>, rispose il compagno alzando le spalle <> Bretagna sorrise: <> <>, rispose Albert, facendo roteare una spalla, quasi per scioglierla <> Bretagna storse il volto: <> <>, chiese Albert facendo roteare anche l’altro braccio. <> <>, rispose Albert in tutta calma. <>, commentò Bretagna in tono tutt’altro che entusiasta <> <>, si difese Albert, piuttosto risentito. <>, richiamò l’attenzione Françoise <> <>, rispose Bretagna <> Françoise raccolse la sfrecciatine con un garbato sorriso a labbra strette: <> <>, disse Albert rimettendosi sdraiato. Bretagna sospirò: <>, disse <> <>, obiettò Françoise. <>, replicò lui <> <>, chiese Albert. <>, disse Bretagna alzando gli occhi al cielo pensieroso <> <>, ripeté Françoise <> Bretagna aggrottò la fronte: <>, cominciò, rammentandosi la storia <>, disse con un sorriso malinconico <> <>, disse Françoise con uno sguardo accondiscendente. <>, annuì Bretagna <> Françoise ed Albert si guardarono perplessi. Effettivamente non avevano uno straccio di punto di partenza. <>, chiese Françoise. <>, confermò Albert. La ragazza annuì: <> <>, disse Bretagna lisciandosi il mento <> <>, chiese Albert perplesso. <>, rispose Bretagna col suo sorrisone. Albert lo guardò di sbieco: <> <>, Bretagna si fermò <> <>, rispose Albert <> Bretagna sospirò: <>, disse <> Françoise, guardando la scena, stava per mettersi a ridere. Poi il suo sguardo si spostò su un orologio appeso al muro: <>, disse alzandosi <> <>, disse Albert sorridendo. <>, rispose Bretagna <> <>, lo ammonì lei con la mano sulla maniglia. <>, la stuzzicò di nuovo Bretagna. Françoise sospirò per l’esasperazione: <> <> intervenne Albert <> Lei sorrise: <>, disse <> <>, da “Tomorrow”, U28 Parte IV L’ennesimo tuono fece sentire la sua voce potente e terrificante. Françoise si alzò a sedere sul letto, maledicendo quella sua stupida fobia. IL guaio era che lei sarebbe riuscita a sentire il temporale anche quando si fosse allontanato da lì. Era tentata di accettare la proposta di Albert e andare a dormire in camera loro, al posto di Bretagna. Non era come stare tra le braccia di qualcuno, ma sarebbe stato già qualcosa. Scosse la testa. Inutile restare a letto. Non sarebbe riuscita a prendere sonno. Si alzò e si infilò un paio di pantofole e la veste da camera, uscendo nel corridoio. Che ore erano? Guardò l’orologio sulla parete: le due di notte. Si alzò e uscì nel corridoio. La casa era avvolta nel buio e nel silenzio. Fortuna che non aveva bisogno di accendere le luci. Camminò a passo silenzioso e sicuro verso le scale che portavano al piano di sotto e scese. Verso metà scalinata si accorse sentì un rumore. Proveniva dalla cucina. Che fosse un ladro? Se veramente era così, perché i cani, due enormi alani che stavano in giardino, non avevano abbaiato? Che anche loro avessero troppa paura del temporale. No, non era un ladro… Scese le scale facendo attenzione a non fare troppo rumore e si avviò verso la cucina, fermandosi davanti alla porta. L’aprì all’improvviso e l’individuo appena entrato si voltò di scatto verso di lei, con gli occhi a dir poco terrorizzati. <>, disse Françoise sorridendo, a bassa voce. <> “Ah, già… lei non mi vede bene nel buio.” <> Evelyn accese un accendino, e la luce della fiamma illuminò il suo volto fradicio di pioggia: <>, disse a bassa voce <> <>, le disse Françoise <> La ragazza la guardò perplessa, tuttavia annuì: <> <>, disse Françoise voltandosi indietro <> Infatti, pochi secondi dopo, la porta della cucina si spalancò e la luce si accese: <>, chiese Herbert trafelato <> Evelyn si sentiva perduta: <> <>, disse Françoise <>, concluse rivolgendosi alla ragazza. Evelyn restò interdetta qualche istante, poi annuì: <> Herbert la guardò esterrefatto: <>, disse <> La ragazza sorrise: <>, disse <> <>, disse annuendo e chinando un poco la testa <> Il maggiordomo uscì dalla cucina, lasciandole sole, senza spegnere la luce. Restarono qualche attimo in silenzio, poi fu Françoise a parlare per prima. <> Evelyn teneva lo sguardo basso. Lo rialzò, con occhi supplichevoli: <> <>, la rassicurò Françoise <> Evelyn restò sorpresa dall’improvviso cambio di argomento e ci mise qualche secondo per rispondere: <>, disse indicando l’angolo in questione <> <>, disse l’altra aprendo il mobile e prendendo un pentolino di metallo <> Evelyn ci pensò un po’ su: <> <>, rispose Françoise finendo di riempire il pentolino e posandolo sul fuoco, dopo averlo acceso <> La ragazza sorrise e scomparve. Françoise si guardò un po’ intorno, senza usare alcunché dei suoi poteri. Andò a naso. Aprì un paio di sportelli e dietro il secondo, finalmente, trovò quello che cercava. <>, disse a bassa voce rigirandosi nelle mani un mug10 con su scritto “Evelyn”, che aveva trovato dietro a tutte le altre. Prese un’altra tazza e trovò anche i cucchiaini e lo zucchero, che era lì dove era anche la camomilla. In una cucina così ordinata era facile trovare le cose. Bastava un po’ di buon senso. L’acqua borbottò, avvertendo che stava bollendo. Françoise spense il fuoco e versò l’acqua nelle due tazze, nelle quale aveva già messo la bustina di camomilla. Si mise a sedere. Rigirando un paio di volte il cucchiaino nell’infuso, vedendo il colore giallo della camomilla tingere a poco a poco l’acqua. Evelyn arrivò qualche istante dopo. Aveva ancora le punte dei capelli bagnate. <>, disse mentre si sedeva. <>, rispose Françoise sorridendo <> Evelyn si stava rigirando in mano la tazza, stando attenta a non far versare il liquido: <>, disse posandola delicatamente a terra <> <> <>, disse Evelyn scuotendo la testa e mettendo un cucchiaino di zucchero nella tazza <> Françoise sorrise a labbra chiuse. <>, chiese Evelyn bevendo un sorso della sua bevanda. Françoise scosse la testa: <>, storse le labbra guardando il cucchiaino che faceva girare nella camomilla, benché non ci avesse messo nemmeno lo zucchero <> <>, chiese l’altra ancora più incuriosita. Françoise sospirò: <>, ammise sospirando. <>, chiese Evelyn sorridendo. <>, disse sorseggiando la bevanda <> <> disse Evelyn <> <>, rispose Françoise sorridendo <> <>, chiese Evelyn. <>, rispose Françoise <> Evelyn restò silenziosa qualche secondo, poi scosse la testa: <> <> La ragazza sorrise, un po’ titubante: <> <>, chiese Françoise sorridendole a sua volta. Evelyn si aggiustò i capelli dietro un orecchio: <>, disse <> <>, disse Françoise cogliendo l’imbarazzo della ragazza <> Evelyn scosse la testa, girandosi fra le mani il mug quasi vuoto: <> Françoise la guardò perplessa: <> La ragazza storse le labbra in una smorfia: <>, disse <> Françoise non fece una piega, limitandosi a un composto silenzio. Non le aveva chiesto di suo padre, ma lei ne aveva parlato lo stesso. Senza rancore nella voce. Solo molta tristezza. Evidentemente era un problema per lei. Forse le mancava la sua figura. <>, continuò Evelyn <> <>, chiese Françoise perplessa, bevendo uno degli ultimi sorsi della sua bevanda. <> Françoise posò la tazza sul tavolo, ormai vuota: <>, chiese <> Evelyn rimase silenziosa, guardando la sua tazza vuota e facendola girare per il manico. <>, disse Françoise <> <>, rispose Evelyn, stavolta senza esitare, ma anche senza alzare lo sguardo <> restò in silenzio qualche secondo, poi alzò la testa verso di lei <> Françoise non rispose, annuendo semplicemente per dire che aveva capito, anche se in realtà non riusciva a comprendere del tutto la sua scelta. Evelyn si alzò, prendendo la sua tazza vuota e lo zucchero: <>, disse <> Françoise sentì che il rumore della pioggia era cessato. In lontananza continuava a sentire i tuoni. Ma sperava che di lì a poco si sarebbero calmati: <>, disse <> poi dette un’occhiata al piccolo orologio a pendola della stanza, che segnava quasi le tre, e fece un rapido calcolo <> <>, disse Evelyn <> <> La ragazza uscì dalla cucina, mentre Françoise si alzava e finiva di rimettere in ordine. Finiti di lavare gli oggetti utilizzati, uscì anche lei dalla stanza, premurandosi di aver lasciato tutto al suo posto e di spegnere la luce. Si avviò in camera sua. Aveva notato che c’era un telefono in tutte le stanza da letto, anche per sfruttare il centralino interno, che metteva in comunicazione tra loro tutte le stanza. E la sua, benché fosse solo una stanza per gli ospiti, non faceva eccezione. Richiuse la porta della sua stanza e si infilò nuovamente nel letto, accendendo l’abatjour del suo comodino, prendendo l’apparecchio telefonico che si trovava sullo stesso e mettendoselo in grembo, sopra la coperta. Alzò la cornetta, delicatamente, col dito già pronto sullo zero, per accedere alla linea esterna, ma… <> Quella era la voce di Kensington. <> Quella voce, invece, era di uno sconosciuto. <>, chiese Kensington. <> <> <> La comunicazione si chiuse, con sue colpi secchi che segnalavano che entrambi avevano attaccato. Françoise guardò la cornetta perplessa, che emetteva il suono ritmico e frenetico che segnalava la caduta di linea. Avevano parlato di un regalo. Erano a dicembre inoltrato. Forse si trattava di un regalo di Natale. Però che strano orario per fare una telefonata del genere. Alzò le spalle. In fondo erano problemi di mister Kensington. Spinse in basso le levette per far tornare la linea libera. Il suono continuo e ininterrotto segnalava che era sulla linea interna. Fece girare la ghiera sullo 0, e aspettò il segnale di linea libera. Quindi fece il numero del centralino. Una voce femminile e cordiale le rispose quasi subito. <> <> <> Françoise dettò il numero e aspettò. Sentì un telefono squillare un paio di volte, poi una voce rispondere: <> “Jet… proprio la persona meno indicata per rispondere.” <>, disse la centralinista. Jet ci pensò un attimo: <> La centralinista si lasciò sfuggire una lieve risatina: <> <> <> Dopo qualche secondo, la centralinista uscì dal canale di comunicazione. <> <> <>, disse Jet <> <> <> <> <> <>, la voce inconfondibile di Joe si intromise nella conversazione, strappando un sorriso a Françoise <> <>, disse Jet annoiato <> Jet attaccò, lasciando la comunicazione. <>, chiese conferma Joe, sospettoso. Françoise sorrise: <> <> <> Sentì Joe sospirare quasi di sollievo: <> Françoise sorrise: <> <> Françoise rise sonoramente. <> <>, rispose lei cercando di immaginarsi la sua faccia <> <> <>, disse lei guardando verso la finestra, quasi per accertarsi che l’incubo fosse finito. <> <>, rispose lei sprofondando un po’ di più dentro il letto <> <> Françoise sorrise, immaginando il suo volto e come ci era rimasto: <>, disse <> Scostò la cornetta dall’orecchio, mettendosi in ascolto. Silenzio. Erano veramente andati tutti a dormire. Non c’era nessuno che si aggirasse per la casa. Riportò la cornetta all’orecchio: <> <>, Da “Dreams”, Cranberries11 Parte V <> Il sacerdote congedò i fedeli, che si alzarono in modo composto e ordinato e si misero in fila per uscire dalla piccola chiesa di campagna. Françoise si alzò dal suo posto, in fondo alla chiesa. Fu una delle prime ad uscire. Si mise ferma, accanto all’ultima delle tre porte d’uscita, e guardò le persone che uscivano mano a mano, senza però troppa speranza di trovare qualche indizio. Aveva già avuto modo di osservare quelle persone nel corso del rito. Per la maggior parte si trattava di persone anziane. Era difficile credere che tra quella gente si nascondessero dei terroristi o degli aspiranti tali. I giovani, o comunque gli uomini e le donne tra i venti e i quaranta erano relativamente pochi. Ma doveva trattarsi di persone tornate al paese natale per il week-end. Probabilmente la maggior parte dei giovani si era trasferita in città, in cerca di lavoro o per studiare, e molti di loro non tornavano nemmeno per il week-end. E lì nel paese erano rimasti solo i vecchi. <> Un uomo le si parò davanti. Françoise lo guardò perplessa, squadrandolo. Aveva un’aria familiare. Dopo qualche secondo si ricordò e sorrise: <>, disse <> <>, disse l’altro annuendo e sorridendo <> Il tono di voce non era stato scortese, anzi. Françoise però ci mise un po’ a capire il perché di quella domanda. Scosse la testa: <>, disse <> L’uomo annuì: <>, disse <> Françoise strinse la mano dell’uomo: <> <>, chiese Gerard dopo aver lasciato la sua mano. Françoise scosse la testa: <>, rispose <> Gerard annuì: <> <>, confermò lei annuendo. <> <>, disse l’uomo alzando le spalle e poi voltandosi verso la donna che si stava avvicinando a loro, insieme a due ragazzi, un maschio e una femmina. Avranno avuto rispettivamente venti e quindici anni. Dovevano essere i loro figli a giudicare dalla somiglianza <> <>, disse la ragazza sorridendo e stringendo la mano alla donna. Una signora sui quarantacinque anni, dal volto tirato e stanco. <>, disse l’uomo indicando i due ragazzi <> A Françoise non sfuggì il fatto che l’avesse chiamato per nome. Fino ad allora lo aveva sempre chiamato per cognome: <>, rispose. Gerard annuì: <>, disse <> Françoise lo guardò perplessa: <> L’uomo e la sua famiglia si allontanarono. Françoise li guardò, finché scomparvero in una strada. Sul piazzale, davanti alla chiesa, erano rimaste poche persone. Françoise guardò il suo orologio. Era già mezzogiorno. Si avviò verso la casa di Kensington. Una vecchia Mini le suonò dietro e si fermò accanto a lei. <> Françoise guardò dentro l’abitacolo: <>, esclamò riconoscendo la cuoca di casa Kensington <> <>, disse la donna sorridendo <> La ragazza guardò la donna sorpresa: <> <>, rispose la donna ancora prima che la domanda finisse per essere formulata <> <>, rispose Françoise salendo. Non appena la portiera fu richiusa, Martha ingranò la prima e la macchina si rimise in movimento: <>, chiese. Françoise guardò la donna, ancora un po’ stupita della recente scoperta: <> Martha guardò la ragazza appena un attimo, tornando subito a guardare la strada: <>, disse <> <>, chiese Françoise. <>, disse <> Françoise notò il velo di tristezza dell’ultima frase. Non è bello sentir nominare la propria patria solo per ciò che di male vi succede: <> <> <> Il viso della donna si rattristò visibilmente. <>, disse la ragazza <> Martha la interruppe, scuotendo la testa: <>, disse <> “In amicizia i “ma” non esistono. Nel momento in cui ne compaiono, vuol dire che il rapporto è venuto a logorarsi.” Le vennero in mente le parole che Kensington aveva detto a Bretagna il giorno prima: <>, chiese Françoise. Martha annuì: <> <>, chiese la ragazza sempre più incuriosita. Martha sospirò: <>, disse <> Ormai erano arrivate. Martha svoltò nel viale alberato che portava a casa Kensington. Dopo poco arrivarono al cancello chiuso, con la “K” di Kensington che stava proprio al centro, per dividersi in due una volta che il cancello era aperto. La donna prese una chiave dal cruscotto e la porse a Françoise: <> <>, rispose la ragazza prendendo le chiavi e uscendo dalla macchina. Andò fino al cancello e infilò una grossa chiave nell’enorme serratura. La serratura scattò e il cancello si aprì. Françoise spinse in avanti prima una parte e poi l’altra, restando poi da una parte e aspettando che Martha passasse. Quindi richiuse il cancello, a chiave, e rimontò in macchina, esitando un attimo per guardare un qualcosa che aveva notato, in lontananza. Quando fu di nuovo dentro l’abitacolo, Martha ripartì. <>, chiese <> Martha scosse la testa: <>, disse <> <>, chiese Françoise affascinata. <>, rispose Martha sorridendo <> <> <>, disse <> Françoise annuì, perplessa. Era la seconda volta che gli dicevano qualcosa di simile in una sola giornata: <> <>, da “Please”, U212 Parte VI _______________________________________________________________________________________________________________________________ Una sera come tutte le altre. Fuori pioveva. Non una pioggia forte. Una pioggia debole, ma insistente e fastidiosa. Gerard stava bevendo una birra mentre controllava i conti di casa. Max se ne stava rannicchiato sotto il tavolo, ai suoi piedi. Lynn era in cucina, a fare le faccende. Will e Ryan erano ognuno nella loro stanza. Dolores stava colorando un suo disegno con i pastelli a cera. La radio era accesa e trasmetteva un programma culturale. Dal piano di sopra, dove erano le camere dei ragazzi, si sentivano arrivare note di canzoni che Gerard non conosceva. Conosceva i gruppi, perché i loro figli non facevano altro che parlare di un gruppo di Liverpool, i Beetles13, e di un altro, anche quello inglese, che invece si facevano chiamare Rolling Stones. Li aveva visti un paio di volte su qualche giornale. Capelloni e chissà che altro. <> Gerard alzò gli occhi dai suoi conti, che come al solito non tornavano mai, e alzò gli occhi sulla moglie, che intanto si era seduta al tavolo: <> <>, gli chiese la moglie preoccupata. Gerard posò il quaderno e la matita sul tavolo, e incrociò le braccia su di esso, guardando la moglie: <>, disse <> La donna annuì: <>, disse <> Gerard ci pensò un attimo su: <>, disse <> <>, lo giustificò Lynn. Lui alzò le spalle, passandosi le mani fra i capelli: <>, disse <> <>, chiese Lynn indicando il quaderno dei conti con il mento. Gerard guardò a sua volta il vecchio quaderno, pieno di numeri e cifre: <>, disse sorridendo <> <>, disse Lynn posandogli una mano sul braccio e sorridendo <> Lui annuì. In fondo era vero. Non è che navigassero nell’oro, ma con qualche piccola accortezza riuscivano tranquillamente ad arrivare alla fine del mese e a mettere qualcosa da parte. I suoi occhi si spostarono sulla piccola Dolores. L’ultima arrivata in casa O’Neill. Ricordava che quando Lynn gli aveva detto di essere incinta per la terza volta, lui non l’aveva presa tanto bene. Era già di per sé faticoso con due figli. Un’altra bocca da sfamare gli sembrava solo un peso. Ma poi lei era arrivata. Una bellissima bambina, che sorrideva al mondo in tutta la sua innocenza. Non appena l’aveva vista, si era accorto di amarla come aveva amato gli altri due. Forse, anzi, un po’ di più. Aveva sentito, da qualche parte, che era classico dei padri preferire le figlie ai figli. Lui non lo poteva sapere. Nella sua famiglia erano in cinque figli. Tutti maschi. Non aveva mai avuto una sorella. Dolores, evidentemente, si accorse di essere osservata, e alzò gli occhi dal suo mondo di colori a cera, guardando il padre con i suoi occhi blu scuro, che aveva preso dalla madre. Per il resto assomigliava completamente a lui. Era sua figlia, senza ombra di dubbio. Semmai ce ne fosse stato uno. <>, le chiese fingendosi incuriosito. La bambina guardò il suo disegno: un insieme di colori confusi, a cui Gerard non riusciva a dare una forma. <>, rispose Dolores rialzando gli occhi verso il padre. <>, disse Gerard <> La bambina lasciò che il padre prendesse il foglio e lo guardasse. Gerard guardà il foglio tenendolo in orizzontale, ma non ci capiva niente. Poi lo guardò in verticale. Ma il risultato fu più o meno lo stesso. A vederlo, sembrava solo un’esplosione di colori rossi, gialli e arancioni, sovrastati da una colonna grigia e nera. Ma non c’erano forme che i colori riempissero. Sembrava che Dolores avesse usato direttamente i colori, senza disegnare niente da colorare. A prima vista, sembrava qualcosa di assolutamente insensato. Eppure a Gerard ricordava qualcosa. Ma non sapeva esattamente cosa. Sentì Max alzarsi dai suoi piedi. Glieli teneva al caldo col suo corpo, quindi la cosa lo urtò un po’: <> Max restò qualche istante sotto il tavolo, alzato su tutte e quattro le zampe. Gerard sbuffò e andò a cercargli la schiena con la mano: <> Sentì il cane inspiegabilmente teso, come sull’attenti. Perché? Ridette il disegno alla figlia e guardò il cane sotto il tavolo, rimanendo seduto. Max stava guardando dritto davanti a sé, verso la porta di ingresso. Gerard guardò la porta a sua volta, ma naturalmente non vide niente. <>, chiese. Ma il cane lo ignorò, continuando a guardare la porta. <>, chiese Lynn venendo nella stanza. Gerard rialzò la schiena, guardando la mogli perplesso: <> <>, suggerì Lynn guardando la porta un attimo. Max cominciò a ringhiare e finalmente uscì da sotto il tavolo, fermandosi a pochi passi dalla porta, in posizione di difesa. <>, gli chiese Gerard alzandosi. Il cane lo ignorò, cominciando ad abbaiare. Gerard e Lynn si guardarono e sentirono appena la domanda della piccola Dolores: <> La risposta venne direttamente dalla porta. Qualcuno bussò abbastanza sonoramente, quasi che sembrò voler sfondare la porta. <> Gerard e Lynn si guardarono, entrambi perplessi e sorpresi. Cosa poteva volere la polizia da loro? Max intanto continuava ad abbaiare come un ossesso. Gerard si alzò e si avvicinò alla porta, accarezzando Max sul capo: <> Max smise di abbaiare, continuando però a ringhiare in modo sordo e a stare sull’attenti. Gerard aprì la porta e si trovò davanti quattro poliziotti, vestiti con una mantellina impermeabile che gocciolava di pioggia. Dietro di loro si vedevano due, anzi tre macchine della polizia, con le luci accese, che a intervalli regolari illuminavano il piccolo giardino antistante all’entrata. <>, chiese Gerard ai due poliziotti, perplesso. Uno dei due, con una barba ben curata, guardò il cane, un po’ teso, rispondendo: <> Gerard aggrottò la fronte, tirando una pacca sulla testa di Max, che aveva abbaiato un paio di volte. Il cane si zittì un’altra volta, continuando però a ringhiare: <> Il poliziotto guardò Gerard con aria professionale e anonima: <> <> <>, gli intimò il poliziotto tirando fuori un foglio da una tasca interna della giacca e mostrandolo a Gerard <> <>, disse Gerard rivolto alla moglie <> Lynn annuì, prendendo un guinzaglio e attaccandolo al collare di Max, che inizialmente fece un po’ di resistenza, ma poi si lasciò portare via, continuando tuttavia a ringhiare. Lynn sparì al piano di sopra, portando con sé anche Dolores. Una volta che sua moglie se ne fu andata, Gerard guardò il poliziotto dritto negli occhi: <>, disse <> <> <>, sibilò Gerard in un tono di quelli che pretendono una risposta, tanto che il poliziotto esitò un attimo e fu quasi sul punto di rivelare la fonte. <> <>, riepilogò Gerard <> <> <> Gerard guardò l’uomo dietro i poliziotti. Era fermo, accanto un’auto da cui evidentemente era appena uscito. Gerard lo guardava e non credeva ai suoi occhi. Sentì appena i poliziotti che lo spostavano per entrare in casa. L’abbaiare di Max, al piano di sopra era un suono lontano. Le luci della polizia erano diventate invisibili. I suoi occhi erano calamitati sull’uomo, che lo guardava da dietro la staccionata del suo giardino, con uno sguardo tagliente e duro, in qualche modo sinistro, soddisfatto. E non riusciva a capacitarsi che fosse veramente chi era. Doveva essere solo un brutto sogno. Non poteva succedere per davvero. Fu di nuovo spintonato, quando due dei quattro poliziotti entrati passarono, trascinando di peso Ryan, con le mani ammanettate dietro la schiena. <>, urlò suo figlio rivolto verso di lui in una richiesta disperata di aiuto <> Gerard lo seguì con gli occhi fino a che non fu arrivato alla macchina e i poliziotti lo costrinsero ad entrare dentro. Si sentiva inerte e assolutamente incapace di muoversi. Guardò l’uomo e ancora non riusciva a capacitarsi che fosse vero. Guardò l’uomo e vide che in mano aveva qualcosa… un pugnale. Gocciolava di sangue. E Gerard sapeva che era il suo sangue. Lo aveva pugnalato e adesso lo guardava con l’arma del delitto ancora in mano e una luce trionfale negli. Il suo migliore amico, Nigel, lo aveva pugnalato alla schiena… Umido. Il muso di Max lo guardava con occhi tristi e supplichevoli. Sparì un attimo e ricomparve con in mano il guinzaglio. Gerard lo guardò sbattendo gli occhi un paio di volte e mettendosi a sedere sul bordo del letto, guardandosi intorno come se non riuscisse a capacitarsi di dove fosse. Era nella camera di Ryan. E si era addormentato sul suo letto, evidentemente. Aveva qualcosa in mano. La fotografia era vecchia e sbiadita. I bordi ormai consunti, la superficie screziata da alcune rughe. Uno degli angoli era bruciato. Era stato lui. Aveva cercato di dargli fuoco appena uscito per l’ultima volta da casa Kensington, da quel cancello. Aveva cercato di bruciare quella foto, col suo accendino. Salvo poi pentirsi e spegnere subito la fiamma. La rimise al suo posto, nel portafoglio, dove stava da più di trenta lunghi anni. <> Si voltò, sapendo già chi era: <>, disse guardando la stanza che era rimasta sempre immobile e ferma, sin da quando Lynn l’aveva rimessa in ordine dopo la perquisizione della polizia. Sempre nello stesso modo, aspettando il suo proprietario. La maglia della nazionale di rugby irlandese era incorniciata, appesa al muro davanti alla scrivania. Aveva dovuto far cambiare il vetro, perché i poliziotti, nel buttare giù la cornice per vedere se non nascondesse qualcosa, lo avevano rotto. La poltrona, in un angolo della stanza, era stata svestita della propria stoffa e svuotata. Aveva dovuto far rimettere a posto anche quella. Ogni piccolo oggetto di quella stanza diceva qualcosa di lui. Ma c’erano un sacco di oggetti che erano andati rotti e che non c’erano più. Gerard si alzò da letto, lentamente, voltandosi poi a rimpattare le pieghe che aveva provocato sedendosi sopra la coperta. <>, chiese Lynn. Gerard la guardò, quasi impassibile. Il tono della voce era ogni volta più stanco e senza speranza: <>, disse <> <>, rispose la donna avviandosi lungo il corridoio <> Gerard la seguì, richiudendo la porta dietro di sé, con Max che continuava a stargli dietro con il guinzaglio in bocca: <>, disse stirandosi mentre camminava <> <>, da “October”, U214 Parte VII <> Joe si voltò indietro, sorridendo appena a Jet che era entrato nella stanza del computer centrale della base mangiando una mela. Poi tornò a quello che stava facendo. Jet si avvicinò ancora di più, fino a sedersi accanto a lui: <> Joe annuì, senza togliere gli occhi dallo schermo scorrendo le righe <> <> <>, confermò Joe facendo girare un’altra pagina sullo schermo <> Jet smise di masticare il suo pezzo di mela, guardando l’amico incuriosito: <> <>, rispose Joe guardando Jet <> Jet aggrottò la fronte: <> <>, disse Joe facendo tornare indietro alcune pagine <> Jet guardò prima Joe, perplesso, poi cominciò a leggere l’articolo: <> Jet passò dai titoli al pezzo in sé: <> Joe cambiò la pagina e apparve un altro articolo: <> Jet fece una smorfia: <> <>, lo invitò Joe accennando allo schermo. Jet guardò e vide un altro articolo, anzi, alcune righe di un articolo. Era stato fatto una zoomata e delle righe erano evidenziate. Lesse ad alta voce: <> Joe mosse la pagina, facendo comparire la foto di una rupe: <> La rupe non era perfettamente diritta e a picco sul mare. Era piuttosto accidentata e con parecchie pietre sporgenti. Jet rabbrividì al pensiero di come potesse uscire un corpo che si fosse buttato in mare da quella rupe. Eppure quella donna non aveva neppure un graffio: <>, disse in tono deciso. <>, disse Joe. <>, Jet scosse la testa guardando l’articolo che non riusciva a dirgli niente di più di quello che gli aveva detto. <>, disse Joe sospirando e guardando a sua volta lo schermo <> <>, propose Jet. <>, Joe storse la bocca e il volto come a dire che era semplicemente impossibile e il perché lo avevano già capito. <>, chiese Jet. Joe scrollò le spalle: <> <> <>, disse Joe stirandosi <> <>, suggerì Jet guardando la foto del posto perplesso. <> Jet storse la bocca in una smorfia: <> <>, chiese, anzi, obiettò Joe. <> Joe non era convinto: <>, disse <> <>, disse Jet non riuscendo a capire. <>, gli indicò Joe ruotando la pagina fino all’intestazione. La data segnava il 17 gennaio di quasi quattro anni prima. <> <> <> Jet era sempre più perplesso. Restò in silenzio qualche istante, poi scosse la testa e si alzò in piedi: <> Joe alzò le spalle, quasi divertito: <>, disse <> Jet lo guardò un po’ in silenzio, studiando le sue espressioni, rivolte allo schermo. I suoi occhi fecero la spola tra lo schermo e Joe per qualche istante: <> Joe rispose senza distogliere gli occhi dallo schermo: <>, disse grattandosi la testa <> <>, disse Jet allargando le braccia <> Joe lo guardò sorridente: <> Jet lo guardò perplesso. No, non era stata decisamente una domanda. Era stata un’affermazione: <> <>, gli rispose l’altro. Jet guardò prima lui, poi lo schermo ancora fermo sulla foto della rupe: <>, disse <> Joe scosse la testa, sorridendo: <>, disse <> <> <>, disse Jet voltandosi verso il dottor Gilmore, appena entrato nella stanza. <>, chiese Gilmore venendo loro incontro con le braccia incrociate dietro la schiena. <>, rispose Joe. <>, chiese Gilmore aggrottando la fronte. Joe si alzò, scuotendo la testa: <> <>, ripeté Gilmore <> <>, confermò Jet. Gilmore guardò lo schermo sul quale campeggiava ancora l’intestazione del giornale: <>, constatò <> Jet e Joe si guardarono, perplessi. <>, ammise Joe. <>, disse Gilmore avvicinandosi alla console e facendo scorrere la pagina sullo schermo <> <>, chiese Joe. Gilmore si voltò verso di lui: <>, disse <> <>, disse Joe facendo un cenno a Jet <> Entrambi sparirono dalla stanza, lasciando lo scienziato da solo. Il professore guardò perplesso l’articolo. Avrebbe voluto capire che cosa ci avevano trovato in quella storia, ma aveva delle cose da fare. Avrebbe dato un’occhiata dopo. Spense lo schermo e si avviò verso un’altra stanza. <>, “False”, Cranberries15 Parte VIII La proprietà di Kensington era veramente grande. Françoise se ne stava rendendo veramente conto solo adesso, quando erano già parecchi minuti che stava camminando verso i campi di orzo che aveva notato al ritorno con Martha. Adesso stava attraversando una specie di boschetto. Si voltò indietro. L’edificio principale era visibile attraverso i tronchi degli alberi, ma era diventato piccolo piccolo. Continuò a camminare. Sapeva di non essere lontana. Infatti, dopo un paio di minuti il boschetto finì. I campi di orzo erano a poche centinaia di metri a quel punto. Li guardò da lontano. Erano piuttosto estesi e chiaramente divisi in più parti. Dovevano essere stati seminati da poco e probabilmente non tutti i pezzi di terra erano coltivati ad orzo. Ricordava di aver letto su un libro di scuola che l’orzo è di solito coltivato a rotazione con altri tipi di colture, a maggese, per fare in modo che il tenero rimanesse sempre equilibrato e adatto al tipo di coltura al quale era preposto periodicamente16. La casa, molto piccola, a due piani, in pietra, era in fondo ai terreni. Accanto poco lontano, un altro edificio che doveva essere la distilleria. Cominciò a camminare lì intorno. Immaginava che quei campi ricoperti di orzo, nei giorni prima del raccolto, dovessero essere uno spettacolo suggestivo. Il terreno non era totalmente piano. Si alzava leggermente, su un lato, andando a formare una collinetta bassa, sulla cima della quale era stato piantato un albero dal fusto molto grosso, che doveva essere lì da un bel po’ di tempo a giudicare dalla sua imponenza. Evelyn, a cena, il giorno prima, aveva parlato di una grande quercia sotto la quale amava restare a leggere. Forse era quella. Françoise si avviò verso quell’albero. Arrivata fin sotto di esso, si accorse che era veramente enorme. Da lì la radura continuava in erba folta e si estendeva ancora per un bel po’. Il cielo, finalmente azzurro in una giornata fredda ma serena, era appena un po’ striato di bianco dai cirri, e si stagliava sullo sfondo, creando un fantastico scontro con il bellissimo verde della campagna irlandese. Sembrava di vedere un quadro di John Constable17. Françoise rimase a guardare il panorama per un bel po’, sentendo come un senso di pace montargli dentro. I suoi occhi si fermarono su una strada non asfaltata che attraversava la campagna e che era visibile da quel punto. Si notava bene, perché era una striscia giallognola sullo sfondo verde. C’era un uomo fermo sul suo ciglio, mentre un cane correva davanti a lui, fermandosi ogni tanto ad annusare per terra, fra l’erba probabilmente ancora bagnata. L’uomo stava guardando proprio nella sua direzione, ma non riusciva certamente a vederla. Molto più probabilmente guardava la quercia. Quella poteva vederla bene, anche da laggiù. Ma non era tanto questo che la incuriosiva, quanto il fatto che quell’uomo fosse lo stesso che aveva incontrato quella mattina davanti alla chiesa, lo stesso che, a detta di Martha, era uscito da casa Kensington sbattendo la porta. Quell’uomo era Gerard. Françoise osservò il tronco della quercia, quasi per chiederle come mai l’uomo stesse guardando proprio in quella direzione. E, quasi la quercia avesse sentito la domanda, la risposta arrivò. A Françoise bastò girare leggermente intorno al tronco per osservare da vicino ciò che aveva notato. Una piccola iscrizione, fatta con un coltello. La ragazza sfiorò le incisioni con una mano mentre leggeva. Recitava: “Nigel and Gerard will never part. Fields of gold, June 22nd 193X”.18 Françoise sospirò, immaginandosi la scena. Giugno, l’orzo ormai quasi pronto per essere raccolto che colorava di giallo la collina: una promessa incisa su quella quercia. A quel tempo, a quei ragazzini che avevano poco di una decina d’anni, l’incidere quella frase su quel tronco doveva aver dato ad essa un sapore di eternità e a loro un senso di invincibilità. Françoise si voltò indietro. L’uomo adesso stava camminando sulla strada, con il cane che lo seguiva. Si trovò a chiedersi cosa potesse essere successo per rompere un’amicizia che doveva essere duratura almeno come quella quercia sulla quale era stata sigillata. Che cosa avesse potuto rompere il sigillo. Seguì Gerard con lo sguardo per qualche istante. Poi girò intorno alla quercia, andando verso i campi, adagio, per non rischiare di scivolare sull’erba ancora bagnata. Passò accanto alla distilleria. Forse Albert avrebbe saputo apprezzarla meglio di lei. Non era mai stata un’amante della birra. Continuò verso la casa. Vide la porta aprirsi e si fermò, chiedendosi inconsciamente chi potesse esserci lì dentro. Ne vide uscire un ragazzo dall’aria familiare. Ma quello che attirò ancora di più la sua attenzione fu vedere uscire dalla stessa porta Evelyn. I due evidentemente non si accorsero di lei, perché si abbracciarono e si baciarono. Françoise rimase impietrita a guardare, incapace di distogliere lo sguardo. Evelyn si accorse di lei e subito si scostò dal ragazzo, allontanandosi quasi spingendolo: <> Françoise fece un qualcosa che doveva assomigliare a un sorriso: <>, si giustificò spostando gli occhi dall’uno all’altra <> I due ragazzi si guardarono negli occhi, imbarazzati, e poi guardarono nuovamente Françoise. Cadde un silenzio pesante come un macigno fra i tre. <>, disse il ragazzo guardandola. Françoise aggrottò la fronte, osservandolo perplessa. Solo allora si ricordò: <> <>, disse il ragazzo <> <>, la supplicò Evelyn. Françoise scosse la testa: <>, disse <> <>, disse Evelyn guardando William con uno sguardo di intesa. <>, disse William guardando l’orologio <> Il ragazzo guardò prima Françoise e poi Evelyn, stringendo appena le labbra. Quindi corse via, attraverso la radura. Françoise ed Evelyn rimasero sole. Un muro di imbarazzo in mezzo a loro. Ma Françoise guardava Evelyn, mentre quest’ultima non sembrava avere nemmeno il coraggio di alzare lo sguardo. <>, chiese Françoise in un tono pacato e accondisecendente. Evelyn si limitò ad annuire, avviandosi. Françoise la seguì. Dopo qualche minuto di silenzioso cammino Evelyn sospirò profondamente, fermansosi: <> <> <> Françoise avrebbe voluto ribattere ma non lo fece. Evelyn non voleva dare nessuna spiegazione. Voleva semplicemente poter condividere con qualcuno quella storia che doveva rimanere assolutamente segreta. E adesso che lei l’aveva scoperta, diventava la persona ideale a cui dire tutto quello che si teneva dentro chissà da quanto. <>, chiese Françoise, invitandola a parlare. Evelyn annuì, ricominciando a camminare lentamente, con lo sguardo basso a terra: <>, prese un profondo respiro <> La ragazza rimase silenziosa e assorta nei suoi pensieri per qualche secondo. Françoise rispettò il suo silenzio, aspettando che fosse lei a ricominciare. <>, la ragazza aggrottò la fronte, come se si sforzasse di ricordare <> Si erano già inoltrate nel boschetto. Evelyn camminava soppesando ogni singolo passo: <>, disse <> La casa ormai non era lontana. Evelyn si fermò. Non voleva assolutamente rischiare di essere sentita da qualcuno: <>, disse guardando la casa <>, disse sorridendo ironica e abbassando gli occhi <> alzò lo sguardo verso Françoise, sorridendo <> Françoise rimase in silenzio. Riusciva a capire molto bene quello che provava Evelyn e tuttavia non riusciva a comprenderla del tutto: <>, disse <>, si fermò, raccogliendo le parole <> <>, ribatté Evelyn <> Françoise sorrise: <> Evelyn la guardò perplessa: <> <> <> <>, continuò Françoise <> Evelyn sembrava perplessa. Françoise sorrise: <> <> La ragazza si voltò in direzione della voce che l’aveva chiamata: <> L’uomo si avvicinò a grandi passi verso di lei: <>, disse ansimando. <>, chiese Françoise ironica. <>, rispose Bretagna <> <>, da “In a lifetime”, Clannad featuring Bono19 Parte IX <> William richiuse la porta dietro di sé. La casa era silenziosa, come se non ci fosse nessuno. Salì le scale e, arrivato nel corridoio che portava alle camere, si diresse verso la sua. Passò una porta aperta e si fermò, tornando poi indietro di qualche passo. Si fermò sulla soglia, guardando dentro la stanza. <> Dolores, seduta sul solito sgabello, davanti a una delle sue tele, si voltò appena, tornando poi a guardare la sua creazione. William guardò il dipinto e si avvicinò meccanicamente, per guardarlo meglio. Ma non riusciva a capire cosa fosse. <>, chiese squadrando il disegno. <> rispose Dolores <> Dolores si girò sullo sgabello prendendo un foglio e porgendolo poi a William. Il ragazzo lo prese in mano. Era un po’ rovinato dall’umidità, ma il disegno si vedeva ancora. Era un guazzabuglio di colori caldi. Sopra di essi una colonna di grigio. Era molto simile al disegno che ora giaceva sopra la tela. Ne poteva essere tranquillamente una traccia. Ovviamente il disegno su tela era più accurato, ridefinito da una mano esercitatasi per tanto tempo nella migliore scuola d’arte di Dublino. <> <>, chiese William. <>, rispose Dolores alzandosi e stirandosi. <>, chiese William posando il disegno su un tavolo. <>, disse guardando la tela <> William lo guardò pensieroso, portandosi una mano sotto il mento. Adesso sapeva cos’era, ma doveva ammettere che era stata proprio quella di un’esplosione la prima impressione che aveva avuto. Solo che era troppo astratto. Ci dovevi pensare per realizzare cosa fosse. <>, commentò <>, disse sorridendo e rivolgendosi a lei. Dolores sorrise appena alzando le spalle: <> William sorrise: <> <>, disse Dolores. <>, rispose lui. <> William alzò le ciglia, incrociando le braccia sul petto: <> Dolores si limitò a sorridere: <> William scosse la testa: <> Dolores alzò le spalle: <> <> <>, disse lei mettendosi la giacca e dandogli le spalle <>, voltò gli occhi verso di lui <> William esitò un attimo, guardandola con uno sguardo perplesso: <> <>, disse Dolores sorridendo <> La ragazza uscì dalla stanza. William la sentì scendere le scale di corsa e sbattere la porta. Rimase fermo nello stesso punto, accanto alla tela di Dolores, attonito. Da quanto sua sorella sapeva? Non lo preoccupava il fatto che lo sapesse. Non l’avrebbe mai detto a nessuno, di questo poteva essere certo. Ma… quella era stata decisamente la giornata delle sorprese. Uscì dalla stanza e si diresse verso camera sua. Passò accanto alla porta della stanza di Ryan, fermandosi a guardarla. Suo padre ogni tanto ci entrava. Sua madre lo faceva solo per pulire dalla polvere. Lui non ci era mai voluto entrare da quel giorno. Suo fratello non era un terrorista. Non era neanche uno stinco di santo. Gli piacevano le belle ragazze e i piaceri della vita. Ma di certo non un terrorista. Di questo era sempre stato sicuro. Ma ogni tanto Ryan si era lasciato scappare in pubblico frasi pesanti, e forse questo era bastato a fregarlo. La sua mano sfiorò la porta di pesante legno e aprì quasi da sola la maniglia. La stanza era esattamente come se la ricordava. I modellini di automobili che tanto aveva invidiato a suo fratello quando era ancora un bambino erano ancora in bella mostra su una mensola. William si guardò intorno. Era quasi come tornare indietro nel tempo. Magari Ryan sarebbe apparso improvvisamente sulla porta chiedendogli cosa ci facesse in camera sua, come quand’era piccolo. Il pavimento a travi era lucido e ben pulito. Chissà se c’era ancora qualcosa? William si inginocchiò per terra, accanto al letto. Infilò una mano sotto la struttura e cercò, guardando, a tastoni sul pavimento, fino a che non sentì chiaramente che qualcosa si era smosso. Mise anche l’altra mano sotto il letto e tolse la trave, tirandola a sé e posandola accanto a lui. Quindi rimise una mano sotto e andò a rovistare nel vano sotto la trave che aveva tolto. La prima cosa che ne venne fuori fu una stecca di sigarette. Ryan fumava, ma non voleva che i loro genitori se ne accorgessero. Sapeva che non approvavano. Neanche William approvava. Guardò la stecca un po’ seccato e la posò accanto a lui. Riprese a rovistare. Ne uscì fuori un fascio di riviste pornografiche. <>, disse sfogliandone una. Posò anche quelle accanto a lui e ricominciò a cercare. Sentì qualcosa che assomigliava a un libro, con la copertina in finta pelle. Lo tirò fuori. Si ritrovò in mano un’agenda con la copertina nera e un po’ consumata. La sfogliò. Le pagine erano piene della scrittura di Ryan. Inconfondibile. Era una specie di diario segreto. Non immaginava che Ryan fosse uno da questo genere di cose. Sentì la porta dell’ingresso aprirsi e l’inconfondibile latrato di Max, che voleva significare che era tornato a casa. Si affrettò a rimettere le cose dentro il loro nascondiglio segreto, richiudendolo con la trave. Lasciò fuori solo l’agenda. Si rialzò in piedi, prendendola, e uscì di corsa dalla stanza, richiudendola silenziosamente, e rifugiandosi in camera sua, che era proprio la porta accanto. Si tolse la giacca che aveva ancora indosso, e la buttò sul letto. Quindi accese la luce della scrivania e vi appoggiò l’agenda sopra. Si mise a sedere, aprendo il libro di farmaceutica che giaceva sul ripiano e mettendosi “a studiare”. Come previsto, pochi istanti dopo suo padre bussò alla porta. <>, disse William voltandosi indietro sulla sedia. <>, chiese suo padre aprendo la porta e rimanendo con la mano sulla maniglia. William alzò le spalle: <>, disse <> <>, chiese l’altro. William si limitò ad annuire. <> William rise: <> <>, disse chiudendo la porta. William scosse la testa rivoltandosi avanti. Guardò il libro aperto davanti a lui. Ormai lo sapeva a memoria. I suoi occhi si spostarono sull’agenda dalla copertina nera. La prese in mano e la sfogliò nuovamente. Era senz’altro un diario. Ogni pezzo era diviso da date. Ogni tanto c’era qualche disegno. William la chiuse e la riaprì dalla pagina iniziale. Ryan aveva cominciato a scrivere dal 1° gennaio di sei anni prima. <>, “Running to stand still”, U220 Parte X Toc toc. Kensington richiuse la cartella che stava visionando e la ripose in un cassetto: <> <> <> La porta si aprì. Sua sorella gli sorrise entrando, ma era un sorriso serio. Era lì per parlargli di qualcosa. Ormai la conosceva bene. <>, la invitò Kensington indicando le sedie di fronte alla sua scrivania di legno scuro e pesante <> Angela si sedette compostamente, accavallando elegantemente le gambe e guardando dritto in faccia suo fratello: <>, disse con voce chiara e risoluta <> Kensington appoggiò si appoggiò allo schienale, adagiando le braccia sui braccioli: <> Angela scosse la testa: <>, disse <> Nigel sorrise sotto la barba: <> Angela voltò per un attimo la testa da un’altra parte, rifiutando l’idea già con quel piccolo gesto. Poi tornò a guardare il fratello: <> <>, disse Nigel <> Angela sorrise amaramente: <> <>, chiese Nigel <> <>, sbottò Angela <> Nigel la bloccò con uno sguardo freddo e tagliente: <>, disse <> Non l’aveva detto con rabbia. Ma quel tono di voce aveva qualcosa che le fece scendere un brivido lungo la schiena: <>, disse Angela dopo parecchi secondi di silenzio. Nigel strinse le labbra: <> Angela scosse la testa: <>, disse interrompendolo. <>, chiese retoricamente Nigel. Poi scosse la testa <> Angela si alzò, lentamente, iniziando a camminare per lo studio. Quello stesso studio che era stato di loro padre, e del nonno, e del bisnonno… e così via. Ricordava ancora quando lei si sedeva su quella stessa sedia, e Nigel accanto, a fare i compiti, sotto lo sguardo vigile del padre. Alan Kensington era stato un uomo tutto d’un pezzo, rigoroso e orgoglioso. Era un padre dallo sguardo severo e dalle esigenze difficili da soddisfare. Voleva il meglio per i suoi figli. Quello che lui pensava fosse il meglio per loro. Aveva il suo modo di voler loro bene, ma sapeva benissimo che li amava. Nigel era stato il figlio bravo e integerrimo. Aveva seguito il volere del padre e aveva cercato di assecondarlo in tutti i modi. Era decisamente degno di sedere su quella sedia. Lei era stata una continua fonte di delusioni per suo padre. Una ribelle che si sentiva soffocare dalle etichette e dai doveri, i cui progetti andavano decisamente contro quello che suo padre aveva deciso per lei. Un animo libero, che a poco a poco aveva cominciato a sentire le mura di quella casa enorme stringersi intorno a lei, soffocarla. Ed era fuggita da quella prigione. Per essere libera. Aveva conosciuto una vita diversa, aveva assaporato il sapore inebriante della libertà che aveva sempre sognato. Suo fratello era l’unico che ancora le parlava. Era stato addirittura lui a presentarle quell’attore che, pur non bellissimo d’aspetto, aveva saputo conquistarla e con cui aveva immaginato di avere una vita insieme. E intanto suo padre moriva giorno dopo giorno stroncato dal cancro. Era ritornata, supplicata dalla madre e dal fratello, per vederlo prima della sua morte, quando ormai non c’era più nulla da fare. Ricordava il groppo in gola salirle su mentre percorreva il grande corridoio che portava alla stanza dei suoi, il giorno che tornò a casa. Era lì che suo padre giaceva, ormai logorato dentro dal male. Un sussurro con un filo di voce… Angela… la mano protesa verso di lei, appena la forza di aprire gli occhi… Scosse la testa, scacciando via il ricordo, e sentì il bruciore negli occhi. Lo stesso che l’aveva colta quel giorno. E si rese conto perché lo stava facendo. Fino ad allora aveva pensato che fosse semplicemente il non accettare che Nigel non tenesse assolutamente in considerazione il parere di Evelyn. No, non era solo quello. Quello era secondario. Senza neanche accorgersene, era arrivata fin davanti alla grande finestra. La vista da lì si estendeva su tutta la proprietà Kensington, fin oltre la grande quercia. Si voltò verso il fratello: <> Nigel la guardò senza battere ciglio: <> Angela scosse la testa: <> Nigel aggrottò la fronte: <> <>, gli fece notare lei. Nigel sorrise malinconico: <>, disse <> <>, disse <> <>, la interruppe Nigel con occhi incredibilmente tristi. Il silenzio scese un attimo nella stanza, cristallizzando quel momento. Nigel si lisciò appena la barba, poi giunse le mani davanti alla bocca, in una specie di pugno, guardando la sorella: <>, respirò profondamente chiudendo gli occhi <> <> <> Angela strinse le labbra: <> Nigel sorrise. Un sorriso triste, ma sereno: <>, disse <> Dlon… dlon… dlon… dlon… dlon… dlon... dlon... dlon... dlon... dlon... dlon. I due fratelli si voltarono aspettarono in silenzio, anche quando l’ultimo rintocco non si fu spento nel loro silenzio. Nigel sospirò: <>, disse <>, si voltò verso la sorella, incontrando i suoi occhi <> <>, da “Ode to my family”, Cranberries21 Parte XI <> Albert sbuffò, posando sul tavolo la sua tazza di caffè: <>, disse <> <>, fece notare lei. <>, ipotizzò Albert <> <>, disse lei stizzita. <>, disse. Françoise sorrise appena: <>, spiegò <> <>, disse <>22 Françoise gli tirò addosso un cuscino del divano, guardandolo con lo sguardo storto, ma in fondo divertito: <> Albert sorrise senza denti, in una delle sue classiche espressioni: <> <> <>, disse incrociando le braccia sul petto <> Françoise sorrise: <>, disse <> Albert scosse la testa: <>, disse <> Françoise strinse le labbra: <>, disse <> Albert allargò le braccia: <> <> Albert si voltò alle sue spalle: <> La ragazza sorrise: <> <>, disse lui <> <>, rispose Evelyn sorridendo <> Françoise sorrise <> <>, disse <> <>, disse Françoise. Poi si rivolse ad Albert <> Albert fece una mezza risata: <> Evelyn scoppiò a ridere: <>, chiese quando smise di ridere. <>, Françoise si fermò come se avesse sentito qualcosa <>, disse alzandosi di scatto <> Albert e Evelyn la guardarono uscire dalla stanza come un fulmine. Evelyn era semplicemente esterrefatta: <> <>, la pregò Albert scuotendo la testa in una mano <> “In fondo è quasi la verità.” Intanto Françoise era già nel cortile. L’auto aveva appena varcato il cancello e procedeva veloce verso la casa. Anche Albert e Evelyn la raggiunsero. La macchina entrò finalmente nel cortile antistante la villa, fece il giro attorno alla grande fontana circolare davanti alla facciata e si fermò, proprio accanto ai tre, a pochi metri da loro, che aspettavano in piedi ai piedi della scalinata che portava al portone. Entrambe le portiere portiera che dava sui posti posteriori si aprirono e Joe e Jet scesero, guardando verso la facciata dell’enorme villa. <>, esclamò Jet meravigliato. <> scherzò Joe continuando a guardare la casa. Poi si accorse che Françoise stava venendo verso di lui a grandi passi. Sorrise semplicemente e allargò le braccia per accoglierla, stringendola poi forte a sé. <>, gli sussurrò nell’orecchio. <>, ripeté Jet alzando gli occhi al cielo <> Albert fece una smorfia quasi di ribrezzo: <>, poi si rivolse a Evelyn che stava ridendo come una matta <> Anche Françoise si era appena un po’ scostata da Joe e stava ridendo: <> <>, disse lui allargando <> <>, disse lei alzando le spalle. <> Gli occhi di tutto si voltarono verso il portono. Il signor Kensington stava scendendo gli scalini. Si avvicinò ai due nuovi arrivati e strinse a entrambi la mano, presentandosi. <> <>, rispose Joe. <>, disse Kensington indicando col braccio la donna che si era avvicinata a loro venendo dietro di lui. <> Françoise e Albert sgranarono gli occhi: <>, dissero quasi all’unisono. Il professore sorrise bonario, con Bretagna dietro di lui, che doveva averlo svegliato. <>, disse <>, il professore porse la mano a Kensington <> <>, disse l’uomo stringendogli la mano <> <>, disse il professore sorridendo da un lato all’altro del viso. Nigel si guardò intorno: <>, disse accennando al maggiordomo e a tre attendenti <> Herbert fece un cenno ai ragazzi che si mossero prontamente, andando a prendere i bagagli dei nuovi ospiti dal bagagliaio. Quindi si mosse verso i nuovi ospiti: <> Le stanze, come tutte le altre, erano sullo stesso corridoio. <>, commentò Jet guardandosi intorno e ammirando il panorama che si vedeva dalla finestra <> Joe stava cercando qualcosa in una borsa: <>, chiese tirando fuori una cartelletta in cartoncino scuro. <> Joe non rispose, limitandosi a guardarlo di sbieco. Poi si diresse verso la porta e uscì. Nel corridoio incontrò proprio Françoise. <>, disse mostrando la cartella. Françoise annuì, guardandosi intorno: <>, disse <> <> Françoise lo guidò fino alla sua camera, chiudendo poi la porta dietro di sé: <> Joe aggrottò la fronte: <> Lei lo guardò con l’espressione del tipo “sei sempre il solito” e andò a sedersi sul letto: <> Joe si sedette accanto a lei porgendole la cartelletta. Françoise fece per prenderla, ma Joe la ritrasse indietro. <> <>, gli fece notare lei inclinando le ciglia. <> Non gli dette il tempo di finire la frase, soffocandogli le parole con le sue labbra. Mentre era distratto da lei, gli strappò la cartella di mano, staccandosi prontamente e mettendosi a consultare il contenuto della cartella. <>, protestò lui. Françoise lo ignorò, guardando delle stampe degli articoli che Joe aveva raccolto: <> <> <>, commentò Françoise. <>, le disse scostandole i capelli e sfiorandole la base del collo con le labbra. <>, gli fece notare lei cercando di fare l’impassibile. <> Françoise si allontanò scappando dalle sue grinfie e sedendosi sul letto, con la schiena appoggiata alla testata superiore, continuando a controllare la cartella. Joe sembrò arrendersi, limitandosi a guardarla mentre leggeva il materiale. Sembrava molto presa. <>, chiese un po’ risentito. <>, rispose lei guardandolo divertita <> Joe aggrottò la fronte: <> <>, annuì lei <> <>, chiese lui inclinando la testa di lato. <>, rispose lei tornando alla cartella <> <>, si giustificò lui. <> Joe aggrottò la fronte: <> <>, spiegò lei chiudendo la cartella e riponendola sul comodino accanto a lei <> <>, chiese Joe sorpreso <> Françoise alzò le spalle: <>, disse. <> Lei sospirò: <> <> Françoise prese in considerazione le sue parole, poi scosse la testa: <>, disse <> Joe aspettò che Françoise finisse la frase, ma inutilmente: <> <>, scosse la testa lei <> <> Françoise ricordò la promessa fatta a Evelyn. Aveva promesso di non parlare a nessuno della sua relazione con William. Anche se si trattava di Joe, non poteva dire nulla: <> Joe rimase in silenzio alcuni istanti. Poi annuì, sorridendo: <> Lei sorrise di gratitudine: <> <>, disse Joe <> <>, rispose Françoise allargando le braccia <> <>, disse Joe perplesso. Françoise alzò le spalle: <> <>, chiese Joe studiando la sua reazione. <>, scherzò lei avvicinandosi a lui, ma restando seduta con i piedi sul letto. <>, disse lui con voce innocente <> Françoise si limitò a guardarlo non tanto convinta. Anzi, sembrava se la fosse presa un po’. <>, ribadì lui. Françoise restò silenziosa, con la testa bassa, senza dargli attenzione. <>, chiese Joe. Lei finalmente alzò la testa e accennò un sorriso: <> Lui la fissò qualche istante, perplesso: <> Françoise scosse la testa: <> Joe sorrise, prendendole prese una mano e la strinse nella sua: <> chiese <> Françoise strinse istintivamente la mano che aveva preso la sua, restando silenziosa un attimo: <> Lui si sporse verso di lei e le sfiorò appena le labbra, cogliendola di sorpresa: <> Françoise sorrise, sporgendosi verso di lui, con una mano appoggiata sulla sua spalla, cercando nuovamente le sue labbra… BOOOOOM! <>, dissero entrambi, quasi all’unisono, sussultando, guardando istintivamente verso la finestra. <> <>, da “Only if”, Enya23 Parte XII Era freddo. Ma c’era il sole e il cielo era appena macchiato da qualche nuvola bianca qua e là. Evelyn percorse la strada dalla casa a Fields of Gold, come aveva fatto decine e decine di volte, forse centinaia, se non migliaia. Ricordava che faceva quella strada sin da quando era piccola, per mano a sua nonna. Molti di quegli alberi che formavano il boschetto c’erano già quando lei era nata. Ma parecchi di essi li aveva visti crescere. Si fermò davanti a uno di essi, che si trovava proprio al limitare del boschetto. Quel bosco era formato, in gran parte, da alberi piantati dalla sua famiglia a ogni nuovo Kensington arrivato. Quello era il suo albero. Quello che era stato piantato per la sua nascita. Rimase a guardarlo qualche istante, silenziosa. Poi riprese il cammino verso la piccola casa di Fields of Gold. In cerca di un po’ di solitudine e tranquillità. Attraversò i campi, e, giunta davanti alla porta, prese le chiavi che ancora avevano il portachiavi che ci aveva messo sua nonna. Un animaletto di lana che lei stessa aveva creato a mano, nei lunghi giorni passati a Fields of Gold, mentre lei, Evelyn, giocava con le sue bambole. Guardò la porta chiusa e si chiese se sua nonna fosse d’accordo sul fatto che lei usasse quel luogo per portare avanti una relazione clandestina. Scosse la testa, quasi a tira via quei pensieri dalla testa. Infilò la chiave nella toppa e, con sua grande sorpresa, le ci volle solo una mezza mandata per aprirla. Segno che non era chiusa come l’aveva lasciata l’ultima volta che era stata lì. Almeno come si ricordava di averla lasciata. Non aveva dato appuntamento a William, per quel giorno. Eppure solo lui aveva le chiavi e nessuno, a parte lei, metteva piede in quella casa da anni. Aprì la porta, perplessa e con circospezione. Dette un’occhiata all’interno infilando appena la testa. William era seduto sul divano, a una parete della stanza e alzò appena la testa quando la sentì entrare. Evelyn fu felice vederlo e stava per salutarlo. Ma qualcosa negli occhi di William la bloccò. Aveva uno sguardo freddo e duro. Arrabbiato, era l’aggettivo giusto. <>, disse Evelyn chiudendo la porta e posando la borsa che aveva con sé sul tavolo. <>, disse William con un tono di voce strano, che lei non gli aveva mai sentito. Evelyn rimase un po’ interdetta. Tuttavia si avvicinò e si mise a sedere accanto a lui, sul divano: <> William si bagnò le labbra con la lingua, continuando a guardare davanti a lui. Restò silenzioso per alcuni secondi, poi si voltò finalmente verso Evelyn, senza abbandonare quello sguardo accigliato. <>, disse. Evelyn ebbe un evidente sussulto e spalancò gli occhi quasi terrorizzata. <>, continuò William, cercando di mantenere un tono di voce calmo <> Evelyn sentiva il cuore che aveva cominciato a batterle all’impazzata, improvvisamente. Improvvisamente l’aria della stanza era diventata irrespirabile. Cercò di calmarsi, respirando profondamente e evitando di guardare William davanti a sé. In un gesto istintivo, si chiuse nelle sue braccia. William non smise di guardarla, attendendo una risposta. Una spiegazione. <>, disse Evelyn, tenendo gli occhi rivolti da un’altra parte, frettolosamente e con voce tremante. Lui aspettò qualche istante, in un silenzio terrificante: <> Evelyn si irrigidì, voltandosi verso di lui, finalmente, con uno sguardo lucido di lacrime e le labbra strinte in una specie di morsa: <>, disse <> William la guardò impassibile per qualche secondo. Poi prese qualcosa dalla tasca dei suoi pantaloni. Era un foglio di carta ripiegato. Lo dispiegò e fu per aprire la bocca, forse per cominciare a leggerlo a voce alta. Poi guardò nuovamente Evelyn, che guardava un po’ lui e un po’ il foglio. William fece un smorfia e glielo porse bruscamente, in un chiaro invito a leggerlo. Vedendo che lei esitava, William glielo agitò davanti. Allora Evelyn lo prese in mano e cominciò a leggere. Era il foglio strappato da un’agenda. Tuttavia la vera data a cui si riferiva quello che c’era scritto, era segnata a mano. E indicava il 12 dicembre di più quattro anni prima. Lì per lì quella data non le disse niente. Continuò a leggere. Ci volle poco più di un minuto. Dopo il quale alzò gli occhi nuovamente su William, che la guardava con un’espressione che le chiedeva ancora di darle una spiegazione. Che ne aveva diritto. <>, chiese William con voce dura. Evelyn avrebbe voluto rispondere, ma tutte le parole che aveva in gola, tutti i pensieri che aveva in testa non avevano la forza di uscirle da dentro. O almeno, lei non aveva la forza di farli uscire. Eppure, se non lo avesse fatto, lo avrebbe perso… ma rischiava di perderlo anche se gli avesse detto la verità. Era dilaniata da un dubbio, e il tempo per risolverlo era già scaduto. William si stancò di aspettare una risposta che lei non sembrava in grado di dargli, così si alzò in piedi di scatto, cominciando a camminare nervosamente per la stanza. <>, cominciò a dire senza fermarsi nel suo vagare per la stanza. Poi si bloccò e guardò Evelyn dritto in faccia <> <> <>, la interruppe William, continuando nel suo monologo di sfogo che ormai seguiva solo il corso confuso dei suoi pensieri, ingigantiti da chissà quanto tempo a rimuginarci sopra <> Lei finalmente trovò la forza per alzarsi in piedi e guardarlo in faccia: <> <>, ribatté lui urlando <> <> <> Evelyn respirò profondamente: <> William strinse le labbra in un gesto di rabbia: <>, le urlò prendendola per le braccia e cominciando a scuoterla. Evelyn stava per scoppiare. Strinse le labbra cercando di trattenere le lacrime. Senza nemmeno accorgersene, cominciò a scuotere appena la testa e quella fu per William la risposta a cui avrebbe voluto non credere. La prova che i suoi timori erano fondati. <>, disse a voce bassa, mollando la presa sulle braccia di Evelyn, impaurito dalla stessa verità che lo aveva fatto infuriare e per cui avrebbe potuto stritolare Ryan, se lo avesse avuto tra le mani. Evelyn scosse la testa, arrendendosi alle lacrime: <> Lo sguardo di William fu di nuovo illuminato dalla scintilla dell’ira. Le sue mani si strinsero in due pugni così stretti che le nocche delle sue dita divennero bianche: <> <>, rispose Evelyn scoppiando definitivamente a piangere <> William respirò affannosamente: <> Evelyn alzò lo sguardo su di lui terro, scuotendo la testa e aprendo appena la bocca, ma incapace di dire una sola sillaba. <>, sentenziò il ragazzo con una voce ferma che la fece rabbrividire <> <> William si passò le mani tra i capelli, girando su se stesso e voltandosi, dando le spalle ad Evelyn. Quindi si mise le mani sui fianchi, continuando a darle le spalle: <>, disse <> <> <> William aprì la porta della casa e uscì, sbattendola. Evelyn restò ferma, in piedi, per qualche secondo. Guardando la porta, sperando che si riaprisse e che lui tornasse da lei. Poi crollò sulle ginocchia e cominciò a piangere, sommessamente, con il volto coperto dalle mani. Non seppe quanto tempo restò in quel modo. Ma fu un boato terrificante a farla tornare alla realtà. Evelyn restò inizialmente ferma, incapace di capire da dove fosse venuto. Poi un altro botto e un altro ancora, e ancora un altro… la luce delle fiamme… si alzò in piedi e andò alla finestra… la distilleria era in fiamme… il corpo inerte di William era riverso a terra… Evelyn uscì di corsa dalla casa, correndo verso William e chiamando il suo nome. <> Qualcosa la investì, portandola a terra con sé. Quando Evelyn riaprì gli occhi, vide Joe inginocchiato accanto a lui, che guardava verso di lei. Dov’era prima c’era ora un qualcosa di grande e infiammato. <>, le chiese Joe. <> <> Entrambi voltarono lo sguardo verso la voce. Jet stava cercando di praticare il massaggio cardiaco a William. Evelyn, vedendo la scena, si alzò di scatto, insieme a Joe. Evelyn si inginocchiò accanto al ragazzo: <> <>, le disse Jet <> La ragazza annuì appena. <>, Jet cominciò a pompare sul petto del ragazzo, ritmicamente <> Evelyn si abbassò su William, immettendo aria nella bocca del ragazzo dalla sua. Quindi rialzò il busto e colse un profondo respiro, mentre Jet ripeteva l’operazione: <> Nuova respirazione, nuovo massaggio: <> Altra respirazione, ma William continuava a non dare segni di vita. <>, disse sconfortata. <>, disse Jet. Ma Evelyn non si mosse. <>, urlò <> Evelyn lo aveva guardato sconvolta, ma quando le dette di nuovo il “vai”, si abbassò nuovamente su William, inspirando aria nei suoi polmoni. Il ragazzo ebbe finalmente un sussulto. Tossì un paio di volte. Evelyn gli fece alzare il busto e William. <>, disse il ragazzo <> <>, disse Gilmore inginocchiandosi accanto a William ed esaminandogli il volto, che presentava diverse ustioni. Evelyn e Jet, presi dal loro lavoro di soccorso non si erano nemmeno accorti che intanto erano arrivati anche tutti gli altri. Evelyn incontrò lo sguardo interrogativo di suo padre su di lei. E non riuscì a fare di meglio che distogliere lo sguardo. <>, disse Gilmore <> Jet si caricò il ragazzo in braccio e cominciò a correre verso la casa: <> <>, disse il maggiordomo. Kensington si rivolse a lui: <>, disse. Herbert sussultò, quasi sorpreso. <>, disse Kensington al proprio maggiordomo, con tono impaziente <> <>, disse Herbert muovendosi in fretta. Il resto del gruppo era arrivato con delle macchine elettriche molto simili a golf carts24. Herbert salì su una di queste, dove era già salito Gilmore, mentre Jet ne aveva presa un’altra per andarsene. <>, disse Joe parlando quasi sottovoce alla compagna che gli stava accanto <> <>, si limitò a dire lei. Albert e Bretagna si avvicinarono ai due. <>, chiese Albert a tutti e due indicando per aria. Joe e Françoise annusarono profondamente. Fino ad allora non ci avevano fatto caso. Françoise fece una smorfia: <> <<… Polvere pirica.>>, completò Joe a bassa voce. <>, disse Bretagna. <<… C’è esplosivo.>>, concluse Albert guardando verso la distilleria in fiamme <> <>, da “When love and hate collide”, Def Leppard25 Parte XIII <> Kensington riattaccò la cornetta. Un po’ tutti erano, lì, in sala con lui, ad aspettare il responso. <>, sentenziò <> Lo sguardo di Françoise, sedutasi un divano tra Joe e Albert, si mosse verso Evelyn, che se ne stava in disparte, con la schiena attaccata allo stipite della porta. Aveva le braccia incrociate sul petto e il volto scuro. <>, disse Albert <> Kensington rimase impassibile. Anzi, sotto la sua barba sembrò quasi comparire un sorriso: <>, rispose <> <>, chiese Françoise. Kensington non si scompose: <>, disse <> I cyborgs si guardarono l’uno con l’altro. Il dottor Gilmore abbassò il mento e chiuse gli occhi, con le mani dietro la schiena, in una posa pensierosa. Poi riaprì gli occhi e si avvicinò a Kensington: <>, chiese. <>, disse Kensington senza fare una piega. <>, continuò Gilmore. Kensington allargò le braccia: <>, disse. <>, chiese Joe <> Kensington sorrise: <>, disse <> <> Evelyn si avvicinò di corsa al centro della scena, appoggiando le mani sulla spalliera del divano dove erano seduti Albert, Françoise e Joe. Accanto a lei, Jet, in piedi e lei che guardava il padre con aria di sfida <> Kensington non si scompose minimamente, cominciando a far appena dondolare la gamba che teneva accavallata sull’altra: <> Evelyn divenne rossa in volto, dalla rabbia: <> Kensington smise di dondolare il piedo, assumendo un’espressione adirata: <>, disse <> Evelyn strinse a pugno una mano, digrignando i denti: <> Kensington scattò in piedi: <> <>, Evelyn si portò improvvisamente una mano alla testa, diventando improvvisamente pallida. Se non fosse stato per l’intervento di Jet, che la sostenne per un braccio, sarebbe caduta a terra. <>, chiese Angela preoccupata, avvicinandosi alla nipote. Evelyn si appoggiò sia a Jet che alla zia. Poi si riebbe, dopo qualche secondo, riprendendo colore: <> Françoise si alzò e si avvicinò alla ragazza: <> Evelyn le sorrise: <> <>, disse Angela. <> Le tre si incamminarono verso l’uscita, accompagnando Evelyn fino in camera. Lei si sdraiò sul letto, chiudendo gli occhi. Sembrava molto stanca. Angela le si sedette accanto sul bordo del letto, e le accarezzò i capelli: <> Evelyn riaprì gli occhi e sorrise: <> Angela alzò gli occhi verso Françoise, che era rimasta un po’ in disparte: <> Françoise si sorprese della richiesta. Guardò Evelyn perplessa, che annuì. <>, disse. Uscì dalla stanza, chiudendo la porta. Rimase ferma qualche secondo, con la mano sulla maniglia. Quindi si allontanò, adagio. Sapeva che non era corretto, tuttavia… <> Non poté fare a meno di ascoltare. La risposta di Evelyn arrivò dopo qualche istante di silenzio: <>, disse <> <>, rispose Angela <> <> Françoise ebbe un sussulto, mentre di là veniva solo silenzio. <> <> Silenzio. Dopo il quale fu Evelyn a rispondere. <>, Françoise sussultò nuovamente <> “Rovinato?”, pensò Françoise. <>, disse Angela <> <> <> Françoise sentì Angela alzarsi dal letto e scese le scale in fretta. Al piano terra si incontrò con Herbert. <> Il maggiordomo le sorrise: <> <> <> <> Françoise salì nuovamente le scale, per andare in camera sua. “Accidenti. Ma cosa pensano di trovare se non ci sono io!?”, pensava mentre si incamminava verso la sua stanza. Prese il suo cappotto e rifece le scale di corsa, per poi uscire all’aperto. <> <> Joe era appoggiato a una golf cart e sembrava aspettare proprio lei: <> <>, rispose lei montando su <> <>, chiese Joe ironico montando e mettendo in moto. Françoise non rispose. Joe la guardò appena un attimo, tornando poi a guardare avanti a sé. <>, chiese. <>, sbottò lei. Joe corrugò la fronte: <> <>, scosse la testa lei. Restò in silenzio, cercando di riordinare le idee. <>, le disse Joe scrollandola un po’ con una mano sulla spalla <> <>, fece lei come se cadesse dalle nuvole. Poi vide i resti fumanti della distilleria e scosse la testa <> Scesero dal cart e si diressero verso i loro compagni, che stavano parlando a pochi metri da quel che restava della distilleria. Anzi, a guardarli bene, stavano discutendo animatamente. <>, urlò Bretagna <> <>, disse Jet alzando gli occhi al cielo. <>, ribadì Bretagna a voce più bassa. <>, disse Albert. <>, disse Bretagna <> <>, disse Jet <> <>, continuò Bretagna imperterrito <> <>, gli ricordò Albert <> <>, sbottò Bretagna voltandosi di scatto e dando loro le spalle <> Jet e Albert si guardarono l’un l’altro esasperati. <>, intervenne Gilmore <> <>, gli ripeté Albert. <>, ribatté Bretagna voltandosi di nuov per guardarlo in faccia. Albert sbuffò: <> <> <> Albert e Bretagna, così come Jet e Gilmore si voltarono verso Joe, che intanto stava seguendo cosa stesse facendo Françoise, che era andata a dare un’occhiata in giro. <>, chiese Bretagna. Joe volse appena le pupille degli occhi verso di lui: <> <>, chiese Bretagna alzando le spalle. <>, spiegò Joe. Bretagna restò silenzioso, di fronte all’evidenza. Cominciò a fare qualche passo incerto qua e là. Poi si voltò verso i suoi amici: <>, disse mogio <> Françoise guardò Bretagna, da lontano. Le dispiaceva per lui. Ma non riusciva a smettere di pensare a Evelyn. Scosse la testa, cercando di mandare via il pensiero. E qualcosa attirò la sua attenzione. Si avvicinò a una vecchia botte, o almeno quello che ne restava. Ne tirò via un pezzo e trovò quello che aveva notato. Lo prese in mano e lo esaminò. Sembrava un piccolo contenitore di metallo, di quelli che usano i cardiopatici per tenere le pasticche in caso di attacco improvviso… “Cardiopatici?” Esaminò meglio l’oggetto. Era un po’ deformato dal calore, ma si leggevano ancora bene: HK. <>, sussurrò Françoise a bassa voce passando da un’iniziale all’altra con la punta delle dita. Eppure c’era qualcosa che non le tornava. <> Françoise si voltò verso i suoi compagni, che la stavano guardando incuriositi. Mostrò loro l’oggetto. <>, chiese Jet. <>, spiegò lei <> <>, chiese Jet. Françoise si limitò ad annuire. <>, commentò Albert <> <>, rispose lei un po’ affranta. <>, disse Albert <> <>, rispose Françoise rigirandosi il contenitore per le mani e osservandolo <> Gli altri cyborgs si guardarono in silenzio. Ormai stava facendo buio. <>, disse Gilmore <> I cyborgs annuirono e si diressero verso le golf cart, silenziosi. Soprattutto Bretagna era particolarmente malinconico. Quando Françoise e Joe arrivarono al proprio veicolo, lei si voltò indietro. <>, chiese Joe. Lei strinse un po’ le labbra: <> Joe la guardò un po’ interdetto. <>, chiese Jet impaziente. <>, rispose Joe <> <> Gli altri due veicoli, con a bordo i loro quattro compagni, si allontanarono. <>, gli disse Françoise sorridendogli. <>, rispose lui alzando le spalle. Françoise sorrise di nuovo, quindi cominciò a camminare, restando però lontana dai resti della distilleria. Joe si limitava a guardarla da lontano, sbadigliando ogni tanto, mano a mano che i minuti passavano. Finalmente Françoise si abbassò a terra, raccogliendo qualcosa. <>, le chiese, avvicinandosi a lei. <> Françoise si bloccò improvvisamente, mentre i suoi occhi sembravano seguire attentamente, parola per parola, quello che c’era scritto a mano sul foglio. Anche Joe, incuriosito si mise a leggere. <>, disse Françoise <> <>, chiese Joe stupito <> <> <> <>, gli fece notare lei. Joe spalancò gli occhi: <> <>, disse lei continuando a guardare il foglio. <> <>, cominciò a raccontare <>, restò in silenzio un paio di secondi, respirando profondamente <>, disse scuotendo il foglio <> <> Françoise tornò a porre l’attenzione sul foglio. Lo mise in modo che anche Joe potesse vederlo: <>, disse indicando una R in fondo al testo. <>, disse Joe <> Françoise allora gli mostrò una cancellatura fatta a penna sul foglio: <> Joe fece una smorfia di disgusto: <>, disse <> Françoise annuì, facendo a sua volta una smorfia: <>, disse <> Françoise si voltò dietro di lei, e altrettanto fece Joe. Kensington uscì dal suo nascondiglio, dietro il muro della casa, soppesando ogni passo e tenendo le mani dietro la schiena: <> <>, disse Joe <> <>, disse <> <>, disse Joe. <>, confermò Kensington <> Cominciò a camminare, lentamente, sempre soppesando ogni passo: <>, disse <> <>, chiese Françoise. <>, spiegò Kensington <> <>, gli fece notare Françoise. <>, disse <> <>, disse Françoise. Kensington sorrise: <> Françoise si tolse qualcosa dalla tasca e lo mise bene in vista: <> Kensington annuì: <>, confermò <> <>, disse Joe. <>, scosse la testa l’uomo. La voce tradì un minimo di debolezza <> <>, chiese Joe. <>, chiese Kensington <> <<”Tracce di un comune farmaco contro l’emicrania”.>>, recitò a memoria Joe ricordandosi le parole del giornale. <>, disse <> <>, chiese Françoise. <>, disse Kensington, sorridendo <> >, disse Françoise <> <>, commentò Kensington <> <>, chiese Joe. <>, rispose Kensington <> Un’altra volta la voce di Kensngton fu sul punto di spezzarsi: <>, disse con voce sibilante e tagliente <> <>, disse Françoise <> <>, disse l’uomo <> <> “Il regalo è pronto… allora…!” Françoise ricordò le parole di quella strana telefonata a tarda notte di Kensington. Allora era quello il regalo di cui parlavano. <>, concluse alzando la mano. A quel gesto una moltitudine di soldati del Fantasma Nero comparvero alle sue spalle, con le armi spianate <> <> Kensington e i due cyborgs alzarono gli occhi verso la voce. <>, disse 002, accanto a 004 e 007, salutando con la mano dal tetto della casa. <>, sibilò Kensington <> I soldati obbedirono all’ordine di Kensington e si lanciarono all’attacco dei cinque cyborgs. <>, disse 002 <> <>, urlò 009 alle prese con un gruppetto di nemici <> <>, gli disse dietro 002, stendendone un paio. <>, ribatté l’altro. <>, commentò 004 <> I cyborgs si allontanarono dalla zona velocemente, mentre 004 si inginocchiava e lanciava uno dei suoi missili. Bastò per farne fuori parecchi. Dei pochi rimasti fu un gioco da ragazzi sbarazzarsene. <>, disse 002 a 004 <> <> <>, chiese 009. <> Infatti, un po’ più in là, 007 stava inseguendo Kensington. <>, gli urlò 007. Ma l’uomo continuava a scappare. 007 si trasformò in un giaguaro, e in pochi secondi fu addosso l’uomo e lo stese per terra. <>, disse riprendendo le sue sembianze e puntandogli la pistola contro. <>, disse Kensington rialzandosi in piedi, e tirando improvvisamente fuori una pistola e puntandogliela a sua volta contro << Il tuo cervello non è un circuito cyborg. Colpendo quello moriresti come un qualunque essere umano.>> <>, gli disse Bretagna, continuando a puntargli la pistola contro. <>, disse Kensington <> <>, lo invitò l’altro. <>, disse Kensington <> <>, urlò Bretagna <> Kensington rise sonoramente: <>, disse <> <> <>, disse Kensington allargando le braccia, allontanando la pistola dal 007 <> Bretagna cominciò a ripercorrere la sua vita… l’incontro con Nigel… le sue visite a teatro… <<… cinque… sei…>> Chiuse gli occhi e continuò a ricordare… quando gli aveva presentato Angela… i complimenti e le critiche sincere ricevute dopo ogni spettacolo… Kensington preparò la pistola: <<… otto… nove… >> Anche quando era andato in rovina, Nigel non si era dimenticato di lui. E allora era già cambiato… <> Poi un lampo nella sera… <>, da “Fields of gold”, di Sting27 Epilogo Cari amici miei, lo so che sono passati molti mesi da allora, ma spero possiate comprendere, voi tutti, le ragioni di questo silenzio. Avevo bisogno di tempo per riflettere, su tante cose. William non ha subito danni gravi né alla vista né all’udito. Dovrà portare un paio di occhiali e dalla parte destra non ci sente benissimo, ma nel complesso sta bene. Vi ringrazio per avergli spiegato la verità su quello che successe quel giorno tra me e Ryan. Io non ne avrei mai avuto il coraggio. Non volevo distruggere il ricordo che aveva di suo fratello. Ma d’altra parte non volevo perderlo. Mi avete tolto un grosso peso. Ryan è morto, intanto. Poco tempo dopo che voi ve ne siete andati, c’è stato un incendio nel carcere in cui era rinchiuso, e lui è stato tra le vittime. Non abbiamo avuto il tempo di far revisionare il processo e farlo scagionare dall’accusa di terrorismo. Tuttavia abbiamo deciso di andare aventi, per riabilitare la sua memoria. Ma ci vorrà tempo. Penserai che sono una pazza a prendermela tanto a cuore dopo quello che mi ha fatto. Ma è pur sempre il fratello di William. Nostro figlio, a proposito è nato tre settimane fa. L’abbiamo chiamato Nigel, come mio padre. Per il momento vivrà in casa Kensington, insieme a me e mia zia. William e i suoi genitori, ovviamente, vengono quando vogliono e non vorrebbero mai andarsene. Anche il figlio che ebbi da quella brutta storia è tornato da me. Ho deciso di crescere anche lui, insieme al piccolo Nigel. Non sapevo nemmeno come si chiamasse: Andrew. Così l’hanno chiamato quelli dell’orfanotrofio a cui era stato affidato. Fortunatamente nessuna famiglia aveva ancora fatto richiesta di adottarlo. Sono felice di poterlo avere di nuovo con me. Li vedete entrambi nelle foto che ho allegato a questa lettera. Non sono due bambini meravigliosi? A proposito di me e di William, ci sposeremo non appena lui si sarà laureato e avrà trovato un lavoro. Andremo a vivere in Inghilterra, a Oxford. Già, perché voglio laurearmi e intraprendere la carriera politica per portare avanti ciò che mio padre aveva lasciato a metà e far diventare l’Ulster un territorio pacifico. Mio figlio è la dimostrazione stessa che, se vogliamo, possiamo convivere. Lotterò affinché lui e Andrew possano vivere in un mondo migliore di questo. Gerard, quando viene a far visita ai suoi nipoti, passa molto tempo da solo in biblioteca, nella poltrona che occupava quando lui e mio padre passavano ore a parlare in quella grande stanza. Spesso fa anche un salto a Fields of Gold, e si ferma a lungo sotto la grande quercia. Gli ho detto che mio padre, in punto di morte, mi aveva chiesto di chiedergli perdono da parte sua. Lui mi ha risposto che non ce n’era bisogno. In cuor suo lo aveva già perdonato da tempo. Nel pacco che vi ho inviato c’è la collezione shakespeariana che piaceva tanto a Bretagna. Sono convinta che mio padre avrebbe voluto che andasse a lui. Ed è giusto che sia così. Ah, Bretagna. Sappi che non ce l’ho con te. Non sei tu ad aver premuto il grilletto. E’stato mio padre stesso a togliersi la vita. Ricordatelo. Ormai odiava quello che era diventato. Tu e i tuoi amici non avete fatto altro che aprirgli gli occhi su questa verità. Sai, in punto di morte, mio padre mi ha chiesto di chiedere perdono anche a te. Sono convinta che ogni volta che salirai su un palcoscenico, lui occuperà sempre un posto in qualunque teatro del mondo tu sia. Purtroppo siete andati via così in fretta, che non ho avuto il tempo di dirvelo. Bene, credo di avervi detto tutto. Ormai siamo in periodo di raccolto. Tra qualche giorno raccoglieremo l’orzo e il grano, e Fields of Gold perderà questo bellissimo colore che ha in questo momento. Io lo vedo in tutta la sua magnificenza, qui , da sotto la grande quercia, da dove sto scrivendo questa lettera. Non vi mando una foto, perché vorrei che un giorno foste voi stessi a tornare per ammirare questo spettacolo in tutta la sua bellezza. E’ in questo periodo che capisco appieno perché mia nonna amasse tanto questo posto. Anche Andrei sembra divertirsi un mondo a correre in mezzo alle spighe. Vorrei che lui e Nigel potessero vivere in un mondo pacifico. Vorrei che non conoscessero la guerra. Vorrei che potessero correre in questi campi dorati per sempre. Con affetto, vostra Evelyn Françoise ripiegò la lettera e la ripose sul tavolo. Albert e Gilmore erano seduti attorno al tavolo della cucina, insieme a lei. Mentre Jet e Joe erano in piedi, con le loro tazze di caffè in mano. Anche Punma, Geronimo, con Ivan addormentato in braccio, e Chang avevano seguito la lettura. >, disse Gilmore posando una delle foto che Evelyn aveva inviato. <>, chiese Albert. Françoise annuì: <> <>, chiese Joe, sorseggiando il suo caffè. Françoise fece una smorfia: <>, disse <> Un po’ tutti si guardarono in silenzio l’un l’altro. Bretagna non era più lo stesso da quando erano tornati dall’Irlanda del Nord. E la sua giovialità mancava un po’ al calore della casa. Si sentiva responsabile per la morte di Nigel. Sembrava il cadavere dell’uomo allegro e dalla battuta sempre pronta che conoscevano. <>, disse Albert <> <>, Bretagna comparve dalla porta della cucina come un fantasma in mezzo a loro. Richiuse la porta dietro di sé <> <>, gli disse Françoise. Bretagna annuì: <> Gli occhi di tutti erano puntati su di lui. Bretagna li guardò a uno a uno, poi sorrise da una parte all’altra della faccia: <>, esclamò avvicinandosi a una finestra e guardando fuori <> La sua voce perse di fermezza sul finale, e la cosa non sfuggì a nessuno. Il grande attore non riusciva a nascondere il dolore. La sua maschera andava in pezzi e il suo trucco colava miseramente, sciolto dalle lacrime. E il tutto stonava col sorriso che l’attore continuava a mostrare al mondo. Ma rispettarono il suo dolore, in silenzio. Proprio perché lo conoscevano e “solo chi non conosce il dolore può ridere di chi soffre”28. <>, da “The show must go on”, Queen29 1 Trad.: <> 2 Trad.: <> 3 Il nain (si legge “naìn”) è un tipo di tappeto persiano molto pregiato. Soprattutto perché nel suo tessuto viene utilizzata anche la seta. 4 Ian Fleming è lo scrittore che ha creato il personaggio di James Bond, alias 007. 5 Trad.: <> 6 Non sono sicura al 100% (spero di non dire cavolate), ma nel Regno Unito la scuola dell’obbligo va dai 5 ai 16 anni (anno in cui si dovrebbe conseguire anche la maturità). Sempre se non ricordo male, dopo le superiori, per accedere all’università, occorre fare il college per conseguire un determinato certificato. 7 Trad.: <> (come avrete notato, questa è la seconda canzone dello stesso gruppo che infilo in questa fic. Di solito tendo a usare canzoni di autori diversi. Visto l’argomento e l’ambientazione della fic, ho deciso di utilizzare canzoni di autori irlandesi e britannici). 8 Trad.: <> 9 In inglese non esiste il “lei”. Il rispetto si dimostra attraverso il tipo di linguaggio. 10 Non so se sapete cosa sia un “mug”. Beh, avete presente quelle tazze in cui si vede la gente bere il caffè lungo nei telefilm americani? Ecco, quello è un mug. 11 Trad.: <> 12 Trad.: <> 13 L’errore è voluto. “Beatles” è una storpiatura di “beetles” (scarafaggi), creata perché nel nome del gruppo ci fosse la parola “beat” (battito, in senso musicale). Gerard non ha presente questo particolare (vi è mai capitato che i vostri genitori non capissero come si chiamava il vostro gruppo preferito e ne storpiassero regolarmente il nome?). Per lui sono i Beetles. 14 Trad.: <> 15 Trad.: <> 16 Non so se mi sono spiegata bene, vediamo se il Devoto – Oli ci riesce meglio. Maggese: terreno agrario tenuto a riposo, o anche opportunamente lavorato (ovvero, coltivato con una coltura differente rispetto a quella precedente), affinché riacquisti la sua fertilità. 17 John Constable (1776 – 1837) era un pittore inglese famoso per i suoi paesaggi. A detta del mio professore di comunicazione visiva, è uno dei più grandi paesaggisti di tutti i tempi, ma un pessimo ritrattista. 18 Trad.: “Nigel e Gerard non si divideranno mai. Fields of gold, 22 giugno 193X”. 19 Trad. (moooooooolto libera): <> 20 Trad.: <> 21 Trad.: <> 22 Qui Albert fa un gioco di parole con il cognome di Joe. Shima è “isola” e mura “villaggio. 23 Trad.: <> 24 Presente quelle automobiline che vengono utilizzate nei campi da golf per spostarsi da una buca all’altra? 25 Trad.: <> 26 E’ il principio attivo, tanto per darvi l’idea, che sta alla base della Novalgina. 27 Trad.: <> 28 Dal “Romeo e Giulietta”, di William Shekespeare 29 Trad.: <>