RISVEGLI di Laus (minamiasakura@virgilio.it)   PROLOGO   Era quasi mezzogiorno di un mite giorno di settembre. L’estate era ormai agli sgoccioli, ma il cielo era sereno. Solo la temperatura, non troppo alta, ma neanche bassa, lasciava intendere che l’autunno era alle porte. Una macchina decappottabile sfrecciava veloce sulla strada vuota. Era sola, visto che quelle zone non erano mai troppo frequentate. La ragazza al volante cominciava ad avere qualche dubbio sul fatto di aver preso o meno la strada giusta. E tra l’altro la benzina stava per finire. Non c’era nessuno in giro e non vedeva una macchina da un bel po’, né case, né persone. Alla sua destra poteva vedere solo la distesa marina dell’oceano Pacifico. Scosse la testa dietro i suoi occhiali da sole e accostò la macchina sul ciglio della strada. Prese la borsetta che teneva sul sedile del passeggero e vi frugò dentro. Dopo un po’ ne estrasse un foglietto e lo consultò attentamente. <>, disse scuotendo il capo un’altra volta. Rialzò la testa e guardò la strada, che sembrava essere ben lontana dal portare in qualche luogo abitato. Scese dalla macchina e restò in piedi accanto ad essa guardandosi attorno. Solo alberi e alberi sulla sinistra e il solito mare sulla destra. Colline e falsopiani a perdita d’occhio. E nessun segno di vita. Cominciò a sentire un moto di disperazione montargli dentro. Se anche avesse voluto tornare indietro, la benzina sarebbe finita ben prima di incontrare i primi segni di civiltà che si era lasciata alle spalle. <> La ragazza, che stava guardando il mare, trasalì nel sentire la voce alle sue spalle. Profonda e calma, certamente di un uomo. Aveva paura di voltarsi. E se avesse avuto cattive intenzioni? Tuttavia si rese conto che era l’unica forma di vita che incontrava da chilometri e chilometri a questa parte e che, quindi, si trattava forse della sua ultima speranza. Si voltò lentamente e quello che vide non fece che aumentare il suo tasso si timore. Si trovò di fronte, sull’altro lato della strada, quello dalla parte delle foreste, c’era un bestione di almeno due metri. Aveva almeno il 141[1] di piede, due gambe che sembravano due tronchi d’albero, un torace largo e possente e due spalle così larghe da poter coprire tranquillamente due uomini, e sopra di esse portava un enorme carico di legna. Realizzò a malapena quanto fosse strano che un pellerossa si trovasse lì, in una strada semideserta in pieno Giappone. Realizzò molto più prontamente che tale bestione aveva un’accetta in mano e allora l’impulso di risalire in macchina e correre il più lontano possibile da lì fu fortissimo. <>, ripeté l’uomo (ma era un uomo?) rimanendo con un’espressione impassibile e con lo stesso tono calmo e pacato di prima. La ragazza sospirò profondamente. “Forse non è cattivo…”, pensò. <>, disse deglutendo e cercando di mantenere la voce ferma. L’uomo (o qualunque cosa fosse) annuì lentamente: <> <> Un lampo passò negli occhi dell’uomo (o qualunque cosa fosse), che inarcò le sopracciglia: <> La ragazza si sentì ancora più a disagio… o meglio, terrorizzata. Non sapendo cosa dire, decise di dire la verità: <> L’uomo (o qualunque cosa fosse) restò in silenzio qualche secondo, guardandola perplesso. <>, chiese infine con la solita voce placata e impassibile. La ragazza deglutì: <>   PARTE I   <>, disse Françoise improvvisamente, alzando gli occhi dalla rivista che stava leggendo. Jet, che era sul balcone guardando l’oceano, sorrise: <> <>, rispose lei stizzita <> <>, disse Jet voltandosi completamente verso la stanza. <> intervenne Joe venendo giù dalle scale e andandosi a sedere accanto a Françoise <> <>, disse Jet portando le mani avanti e scuotendo la testa. <>, disse Albert alzandosi dalla poltrona e stirandosi. Jet strabuzzò gli occhi: <> disse schioccando le dita <> <> disse Bretagna spaparanzato sul divano a leggere un giornale <>, sentenziò Chang in piedi in un angolo della stanza a fumare la sua pipa. Jet sbuffò: <> Punma, seduto sullo stesso divano di Bretagna, alzò le spalle: <> In tutta risposta Jet si voltò di nuovo verso il mare: <> Gli altri cinque presenti nella stanza si guardarono rassegnati al fatto che evidentemente Jet sarebbe stato più o meno intrattabile per il resto della giornata. Si sentì il portone aprirsi e richiudersi. Dopo pochi istanti sulla soglia del salone apparve Geronimo di ritorno dalla sua passeggiata nei boschi a raccogliere legna. Ma non era solo. I presenti guardarono incuriositi la ragazza che Geronimo aveva accanto a sé e che rispetto a lui sembrava quasi una bambina. Anche Jet si portò sulla soglia del balcone, uscendo dall’isolamento nel quale si era appena rinchiuso. La ragazza si tolse gli occhiali da sole, scoprendo due profondi occhi color nocciola in cui tutti notarono qualcosa di familiare. Appese gli occhiali al colletto della camicetta di seta bianco perla che indossava sopra un paio di pantaloni attillati di colore grigio che lasciavano scoperte due sottili caviglie. Aveva lunghi capelli castani in riccioli moderati raccolti dietro la testa con una pinza. <>, disse con un filo di voce, con voce piuttosto imbarazzata. <> Tutti i presenti si voltarono verso il dottor Gilmour che stava scendendo le scale. <>, disse una volta arrivato in fondo alle scale alzando un braccio verso la ragazza come si fa quando si introduce qualcuno <> continuò riportando il braccio dietro la schiena <> Julia annuì. Gilmour continuò le presentazioni, alzando un braccio e indicando con un dito ad uno ad uno i presenti in sala e dicendo il loro nome. <>, concluse Gilmour. <>, annuì Julia sorridendo <> <>, disse Bretagna sorridendo a centoventi denti <> <>, disse Geronimo lasciando la stanza. Julia lo guardò uscire dalla stanza un po’ rammaricata: <> <> disse Joe scuotendo il capo <> <>, tossì il professore <> <>, disse scherzosamente lei avvicinadoglisi e abbracciandolo a lungo. <>, disse Gilmour una volta che l’abbraccio si fu sciolto <> Julia prese le sue valigie, che Geronimo aveva prima portato fino a lì. <>, disse Joe alzandosi. Ma una mano da dietro lo spinse giù sulla spalla e lo fece rimettere a sedere: <> Jet andò a prendere le valigie di Julia, che lo ringraziò, e seguì zio e nipote sulle scale. <>, disse Bretagna quando i tre furono scomparsi. <>, convenne Albert <> <>, disse Punma <> <>, rispose lui sorridendo. <>, intervenne Chang emanando anelli di fumo <> Bretagna rise: <> <>, disse Punma <> <>, disse Bretagna raccogliendo il colpo <> Joe sorrise, ma si trattava di un sorriso ironico: <> Bretagna sembrò non capire. Poi notò che Françoise se ne stava visibilmente irritata, con le braccia conserte, accanto a lui, ma senza guardarlo, fissando un punto indefinito del pavimento. La ragazza, sentendosi improvvisamente sotto osservazione, si alzò: <>, disse uscendo dalla stanza. I cinque la guardarono uscire e poi gli occhi si spostarono su Joe. <>, disse alzandosi a sua volta e uscendo dalla stanza. Quando i quattro furono rimasti soli, restarono qualche attimo in silenzio. <>, chiese Albert rivolgendosi a tutti e tre <> I tre guardarono Albert e gradatamente cominciarono a lasciar trasparire l’ilarità che la battuta aveva provocato in loro. E anche Albert cominciò a ridere. Qualcun altro aveva tutt’altro che voglia di ridere invece e se ne stava seduta sul promontorio, con le braccia attorno alle ginocchia raccolte al petto. <> Joe si sedette accanto a lei. Lei si limitò a guardarlo con sguardo tutt’altro che benevolo. Joe capì che i prossimi cinque minuti sarebbero stati tutt’altro che piacevoli e annuì gravemente. <> disse <> Françoise fece un breve risolino, simile a un rantolo di esasperazione: <> strinse leggermente gli occhi, quasi a mettere a fuoco qualcosa… o a cercare qualcosa nella sua memoria <> Lui la guardò perplesso: <> <> <> Lei fece di nuovo quella risatina di esasperazione, scuotendo la testa: <> <>, ribatté lui <> <>, sbottò lei <> <> Françoise trasse un profondo respiro, distogliendo lo sguardo da lui. Non sapeva cosa dire. Non era nemmeno rabbia quella che covava dentro. Era qualcosa di diverso… <> Sì, era questo. O meglio… qualcosa del genere. Touché. <> <> Françoise lo guardò. Si era messo a strappare i fili d’erba. Faceva sempre così quand’era nervoso. A un certo punto si fermò, mettendosi a tormentarne uno con le dita. <>, le chiese. Lei annuì. <>, si voltò verso di lei <> <> <> Françoise respirò profondamente: <> Joe smise di tormentare il filo d’erba e le sorrise: <> Lei si limitò a sorridere e ad abbassare lo sguardo. <>, le chiese <> Lei annuì: <> Joe si alzò e la aiutò ad alzarsi porgendole entrambe le mani e afferrando le sue. Poi la trasse a sé, facendo scivolare le braccia attorno alla sua vita, e la baciò sulle labbra. Erano così presi l’uno dall’altro che nemmeno lei si accorse che Jet li stava guardando dalla finestra della camera di Julia. Gilmour gli si avvicinò e guardò per un attimo la scena. Adesso non si stavano baciando, ma stavano semplicemente con le fronti attaccate a dirsi parole per loro inarrivabili. <>, disse guardando con la coda dell’occhio. <> <> Jet gli rivolse la coda dell’occhio a sua volta, poi tornò a guardare la scena. Ma adesso i due si stavano allontanando dal promontorio, tornando verso la casa. Joe la teneva a sé con un braccio e continuavano a parlare e ridere. <>, disse Gilmour. Jet annuì: <> <>, chiese il dottore inarcando le sopracciglia. <> Gilmour lo guardò con aria interrogativa: <> In quel momento Julia rientrò nella stanza: <> <>, disse Gilmour dimenticandosi completamente di Jet e delle sue elucubrazioni. Jet li guardò uscire dalla stanza per dirigersi giù, dove il pranzo sarebbe stato servito a momenti. Poi tornò a guardare fuori, ma ormai non c’era più nessuno. La voce di Chang che chiamava tutti a raccolta per il pranzo gli giunse all’orecchio. Jet dette un’ultima occhiata fuori. Qualche gabbiano volava alto nel cielo, probabilmente alla ricerca di cibo. Si allontanò dalla finestra e uscì dalla stanza.   PARTE II   <>, disse Julia ripiegando il tovagliolo con cura e riponendolo sul tavolo <> Chang annuì come se Julia avesse detto la cosa più ovvia del mondo: <> <>, disse Albert <> <>, intervenne Julia <> <>, rispose Bretagna <> <>, disse Punma <<”Io, un grande attore come me, ai fornelli… non sia mai!”>> L’imitazione che Punma aveva appena fatto di Bretagna era così credibile che tutta la tavolata si mise a ridere, tranne Bretagna ovviamente. <>, disse Albert. <>, ironizzò Bretagna. <>, disse Albert <> <>, continuò Bretagna. <>, intervenne Françoise divertita. Albert e Bretagna la guardarono accigliati. <>, chiese Bretagna come se stesse recitando una battuta su un palcoscenico. <>, rispose lei e prima che Bretagna potesse ribattere <> <>, rispose Bretagna sconsolato. <>, intervenne Albert cogliendo la palla al balzo. <>, disse Jet improvvisamente <> I tre “europei” guardarono prima lui e poi si scambiarono uno sguardo fra di loro. <>, disse Albert <> <>, intervenne Geronimo con la sua solita voce calma e pacata <> Jet respirò profondamente e annuì: <> <>, intervenne Julia <> Gli altri si guardarono tra di loro perplessi, senza sapere bene cosa rispondere. Non avevano chiesto a Gilmour delucidazioni in merito a quanto Julia sapesse di loro, e quindi non sapevano fino a che punto potevano parlare. <> disse Joe dopo qualche momento di silenzio <> Scese uno strano silenzio, di quelli che si formano quando nessuno sa bene cosa dire. <>, disse improvvisamente Joe per riaccendere l’ambiente. <>, rispose Julia. <>, disse Jet che ora sembrava aver riacquistato un po’ di buon umore. <>, cambiò argomento Françoise. <>, rispose la ragazza <> <>, chiese Joe. Julia ci pensò un attimo, mordendosi le labbra, quasi avesse qualche scrupolo nel rivelarlo. Poi respirò profondamente: <> Ci fu qualche attimo di silenzio in cui gli altri presenti si scambiarono qualche sguardo i cui sottintesi erano ignoti alla ragazza. <>, disse Françoise <> <> <>, chiese Jet, guardandola come se volesse già carpirgli la risposta dagli occhi. <> <> Julia guardò i presenti con un rapido sguardo, cercando di capire perché la stavano guardando così intensamente da farla sentire quasi sotto interrogatorio. Solo suo zio non la stava guardando con quello sguardo. Nei suoi occhi vi era una sorta di… compassione. Per cosa? <> <>, chiese Jet che stava per dare di matto. Julia lo guardò per un attimo, quasi a raccogliere tutta la sua convinzione: <> <>, sbottò Albert alzandosi dal suo posto e dirigendosi verso la porta della stanza. <>, quasi urlò Julia alzandosi a sua volta e sbattendo la mano aperta sul tavolo tanto forte da far fermare Albert e da farlo voltare di nuovo verso di lei <> Lo sguardo che sentiva su di lei non si mitigò nella sua durezza, anzi, vi poteva chiaramente avvertire una critica ancora più feroce. <>, chiese Albert con una smorfia del viso. <> Albert scosse la testa con un sorriso cinico, come di chi cerca di far capire a qualcuno cose che lui non vuole comprendere e rinuncia all’impresa: <> <> Albert dette un rapido sguardo ai suoi compagni. A quel punto era evidente che lei non sapeva. Scosse la testa e uscì dalla stanza sbattendo la porta. Julia guardò di nuovo gli altri che erano rimasti seduti a tavola, ma che tenevano lo sguardo basso. Suo zio aveva chiuso gli occhi e adesso teneva le braccia conserte sul petto. Fu lui il primo a parlare, alzando gli occhi sulla nipote. <> <>, rispose lei rimettendosi a sedere <> <> intervenne Joe <> <>, disse senza staccare gli occhi dalla ragazza <> Joe non ribatté, limitandosi a rimanere seduto al suo posto. Sentì la mano di Françoise prendere la sua. La strinse a sua volta, voltandosi appena verso di lei e sussurrando: <>, così a bassa voce che solo lei fosse in grado di sentirlo. Lei gli sorrise appena, per far capire di aver sentito. Gilmour si alzò in piedi e cominciò a camminare per la stanza, con le mani dietro la schiena. Si fermò la parola.   PARTE III   <>, disse fermandosi davanti a una finestra, guardando fuori. <>, chiese lei come uno studente a cui si fa notare un errore. <>, le chiese voltandosi a centoottanta gradi e dando le spalle alla finestra. Julia alzò le spalle come se quella fosse la domanda più semplice e naturale del mondo: <> Françoise strinse ancora più forte la mano di Joe, che a quelle parole aveva sentito una specie di brivido corrergli lungo la schiena. Gilmour, dopo qualche attimo di silenzio, quasi avesse voluto far sentire bene il peso delle parole della ragazza, annuì: <>, ripeté lentamente calcando il tono sulla seconda parola. <>, disse Julia quasi sorridendo. <>, ripeté nuovamente Gilmour sottolineando in particolar modo la prima parola. Stavolta Julia si limitò ad annuire, come se suo zio stesse dicendo delle cose ovvie e scontate. <> <>, disse Julia alzando le spalle <> Gilmour scosse la testa: <> <> <> <> <> Julia lo guardò perplessa: <> Gilmour sospirò profondamente: <> <> <> Julia rise: <> <> <>, annuì Julia. <> <>, rispose Julia che cominciava ad averne abbastanza di tutti quei discorsi ovvi che non riusciva a capire dove volessero andare a parare. <>, continuò Gilmour ricominciando a camminare per la stanza. <>, disse Julia annuendo nuovamente <> <>, rispose Julia quasi sbottando. <>, concluse Gilmour <> Julia aggrottò la fronte: <> <>, intervenne Françoise <> <> <>, disse Joe tamburellando con le dita sul tavolo <> <>, chiese Julia <> <>, rispose Françoise. Julia stavolta non rispose. Restò in silenzio e per qualche strano motivo cercò gli occhi di suo zio e quando li trovò vi rivide dentro quella specie di compassione. Respirò profondamente: <> Si alzò e abbandonò la stanza in gran fretta. <> <>, disse Joe. <>, chiese Jet. Gilmour scosse la testa. <> continuò Jet <> Nessuno lo disse, ma tutti erano d’accordo.   PARTE IV   Stai per caso andando in città?>>, chiese Julia affacciandosi sul portone di casa. Joe, cha stava andando verso il garage, si fermò giocherellando distrattamente con le chiavi della macchina fra le mani: <> <> Joe sembrò pensarci un attimo. Dette uno sguardo all’orologio. Erano le quattro del pomeriggio: <> <> <>, rispose lui sorridendo. <>, disse lei scomparendo di nuovo dentro il portone. Joe si avviò di nuovo verso il garage. Giunto dentro prese una tanica da una ventina di litri riposta in un angolo e la caricò in macchina. Quindi entrò e mise in moto. Ingranò la marcia e uscì dal garage. Julia era già ferma nel piazzale. Joe fece salire lo sportello del passeggero aprendolo con un tasto interno. La ragazza entrò nell’auto: <> <>, rispose Joe. <>, disse lei andandola a cercare alla sua sinistra. Una volta che l’ebbe allacciata Joe partì. <>, chiese Julia. <>, rispose Joe asetticamente. Julia lo guardò perplessa, lasciando passare qualche istante di silenzio. Joe si accorse che lo stava osservando: <> <> Joe piegò le labbra in un sorriso senza denti, senza distogliere gli occhi dalla strada: <> <>, chiese lei incuriosita. Joe lasciò passare qualche secondo: <> <> Joe la guardò con la coda dell’occhio: <> <> <>, chiese lui voltandosi per un attimo, approfittando di uno Stop. <> <> <>, disse Julia con tono deciso. <>, le fece notare lui <> Julia lo guardò senza sapere bene cosa rispondere. Disse la prima cosa che le veniva in mente: <> <>, rispose lui sempre guardando la strada <> fermò la macchina a un semaforo rosso e si voltò verso di lei <> Julia annuì, stringendo le labbra e volgendo gli occhi in avanti. In lontananza si cominciavano a scorgere le luci della città e la Baia di Tokyo. <>, chiese dopo qualche istante di silenzio. Joe ci pensò qualche secondo: <> <>, disse lei. <> <> Joe alzò le spalle: <> <> <> <> “In poche parole, visto che io sono di Tokyo, dovrei farle da guida. Non credo che a qualcuno piacerà questa storia.” <>, disse Joe sospirando <> <> Joe scosse la testa: <> Julia sembrò delusa, ma lui non la guardava e non se ne accorse: <> <> <> Joe pensò un attimo a cosa potesse rispondere: <> <> Joe svoltò a sinistra su uno svincolo e in pochi istanti si ritrovarono immersi nella città.   PARTE V   <>, disse Gilmour riponendo un sottile strumento su un carrello pieno di attrezzi simili a quelli di un chirurgo <> Françoise rimise la testa diritta e chiuse un attimo gli occhi. Poi rise. <>, chiese Gilmour mentre si toglieva i guanti di lattice. <> <> <>, rispose lei rialzandosi in piedi <> <> Françoise annuì, ma con un’espressione particolarmente seria. <>, le chiese il vecchio scienziato che ormai si era anche liberato del camice. <> Gilmour annuì, sospirando: <> <> <>, disse Gilmour sedendosi sul lettino accanto a lei <> <>, chiese lei aggrottando le ciglia. <> Françoise restò qualche attimo silenziosa, guardando i suoi piedi che dondolavano leggermente. Poi sorrise lievemente: <> <>, disse Gilmour sorridendo e rialzandosi <> <> <>, disse lui mettendo spingendo il carrello verso l’apparecchio col quale sterilizzava gli strumenti <> Françoise sorrise: <> <>, sottolineò lui mentre metteva gli strumenti nello sterilizzatore. <> <> <>, chiese Françoise che non vedeva l’ora di cambiare argomento. <> <> <>, disse lui <>, concluse chiudendo lo sterilizzatore. <> <>, disse Gilmour azionando lo sterilizzatore <> <>, disse Françoise aggrottando la fronte. <> <> Gilmour distolse finalmente l’attenzione dal display dello sterilizzatore: <>   PARTE VI   <>, le chiese improvvisamente Joe mentre guardavano la città dalla Torre di Tokyo, uno accanto all’altra. <>, disse Julia senza rispondere alla domanda. <> <>, disse lei. <>, disse Joe. <>, chiese lei voltandosi verso di lui. <> Julia ritornò a guardare la città: <> <> Lei annuì: <> Joe preferì non approfondire il discorso: <>, disse guardando l’orologio. <> Joe si domandò perché gli facesse una domanda del genere: <> disse annuendo <> <>, chiese lei volgendogli di nuovo lo sguardo. Joe aggrottò la fronte, perplesso: <> Lei annuì: <> <> <>, rispose lei volgendo di nuovo gli occhi alla città. Joe sospirò. Adesso capiva molte cose, a cominciare dal discorso di mettere cyborgs al posto dei soldati… anche se comunque continuava a non condividerlo: <> <>, gli disse volgendosi di nuovo verso di lui, che però continuava a guardare la città <> Joe girò il volto verso di lei e si accorse che si era avvicinata un po’ troppo a lui per i suoi gusti. Erano così vicini che ora che avevano i visi rivolti uno verso l’altro i loro nasi quasi si toccavano. Quando si rese conto che lei stava avvicinando le sue labbra si ritrasse fece qualche passo indietro. Julia lo guardò evidentemente delusa: <> <>, disse lui. Lei annuì e si diressero verso l’ascensore. Scesero fino al parcheggio sotterraneo1[2], insieme a un’altra decina di turisti, senza nemmeno guardarsi in faccia. Arrivarono alla macchina in silenzio e salirono. Joe mise in moto e accese i fari. <> <> <> Joe trasse un lungo respiro e mise in folle: <> guardò l’orologio nel cruscotto che segnava le 7 e mezzo <<8 ore.>> <> <> <> Joe ingranò la prima e partì: <> <> Joe fece una mezza risata: <> <>, disse lei annuendo. <> <>   PARTE VII   <>, disse Jet quando Joe fu uscito dal garage e se lo ritrovò in piedi, appoggiato al muro <> <>, chiese Joe. <> Joe sparì dalla sua vista così in fretta che Jet si chiese se non avesse usato l’acceleratore. <> Jet, incuriosito, si mise a guardare cosa stava combinando Julia. La vide che stava cercando di sollevare una tanica piena, ma con scarso successo. <>, disse Jet avvicinandosi. Julia fu ben felice di lasciargli prendere la tanica: <> Jet sollevò la tanica senza alcuna fatica e la portò alla macchina di Julia, che era parcheggiata nel piazzale. La ragazza prese le chiavi e aprì il tappo della benzina e Jet cominciò a versarvi dentro carburante. <>, disse Julia mentre aspettava che Jet versasse tutto il contenuto della tanica dentro il serbatoio. <>, chiese lui come se fosse una cosa normale. <>, rispose Julia con una smorfia. La tanica si era svuotata e Jet la posò a terra richiudendola: <>, disse mettendosi le mani sui fianchi e guardandola dritto negli occhi. <>, chiese lei con una specie di smorfia. <> <> <>, disse Jet prendendo la tanica vuota e riportandola in garage, seguito da Julia. <> <>, disse Jet rimettendo la tanica a posto. Françoise era seduta sul letto di camera sua e dalla finestra aperta, che dava proprio sul piazzale, aveva sentito tutto. Adesso sentiva anche troppo bene. Il dottor Gilmour aveva detto che, per qualche ora, sarebbe stato così a causa del liquido che le aveva introdotto nel condotto uditivo e che accresceva di molto la sensibilità del suo udito, come se non fosse già alta di suo. <>, disse prima che Joe bussasse alla porta. La porta si aprì e Joe la richiuse alle sue spalle: <> <>, disse lei alzandosi <> L’espressione sul volto di Joe mutò improvvisamente: <> <>, disse lei sorridendo in modo malizioso e avvicinandosi a lui <> <>, protestò lui quasi ridendo. <>, disse mettendogli le braccia attorno al collo <> Joe le cinse la vita: <> Fece per avvicinare le labbra a quelle di lei, ma Françoise si ritrasse, anzi, si staccò proprio da lui, scivolando via dalle sue braccia. <>, disse aprendo la porta. <> <>, fu l’inconfondibile grido di Chang. Joe scosse la testa. <>, chiese Françoise rimanendo sull’uscio. <> <>, disse lei sorridendo. <> <>, rispose lei rimanendo appoggiata con la schiena allo stipite della porta. <>   PARTE VIII   Ma non sono un po’ troppe queste candeline?>>, chiese Albert guardando perplesso la torta. <>, rispose Françoise <> <>, disse lui mimando il gesto <> <>, disse Jet dondolandosi all’indietro con la sedia. Albert guardò la torta con le candeline accese quasi rassegnato: <> Restò qualche attimo in silenzio, poi soffiò con forza sulle candeline riuscendo a spegnerle tutte d’un colpo. <>, chiese guardando gli altri che applaudivano. <>, rispose Jet. <>, disse Albert rimettendosi a sedere e lasciando che Françoise tagliasse la torta. <>, gli fece notare Jet. <>, concluse Albert sospirando. <>, gli disse Françoise porgendogli il piatto con la prima fetta di dolce. <>, disse assaporando una piccola forchettata della sua fetta <> <>, rispose lei scherzando. Julia e il professore erano l’uno accanto all’altro e furono i prossimi due a ricevere la loro porzione. <>, disse Julia prendendo il piattino fra le mani. Poi si rivolse a suo zio <> <>, disse rivolgendo un cenno al gruppo, mentre Jet e Albert continuavano a scambiarsi sfrecciatine scherzose <> <>, disse lei assaggiando un pezzo della sua torta, sussurrando <> <>, le disse Françoise che si era rimessa a sedere. Julia la guardò perplessa: <> Gli altri quasi ammutolirono, mentre Françoise si stava maledicendo per la propria imprudenza: <> Julia annuì: <> Françoise annuì, sentendo un profondo senso si sollievo in fondo allo stomaco e scambiando uno sguardo significativo con Joe, che le stava seduto davanti. Lui si limitò a inarcare un sopracciglio e a sorriderle come a dire: “L’hai fatta grossa, ma te la sei cavata bene.” <>, chiese Albert alzandosi in piedi <> <>, disse Bretagna. Punma e Jet si guardarono. <>, disse Punma per tutti e due. <>, disse Geronimo alzandosi da tavola. <>, si accodò Chang, accendendo la sua pipa. <>, le chiese Albert. <>, chiese lei, incredula, autoindicandosi. <>, rispose lui sorridendo e annuendo. <> <>, disse invece Françoise. Albert la guardò deluso: <> <>, disse lei scuotendo la mano. <>, disse Albert rassegnato <> <> <>, tentò Albert. Gilmour sgranò gli occhi: <> <>, disse Jet alzandosi. La stanza si svuotò, sotto lo sguardo dei tre rinunciatari. <>, disse Gilmour incrociando le braccia. <>, disse Françoise alzandosi e cominciando a raccogliere i piatti <> <>, disse Joe alzandosi a sua volta. <>, disse Gilmour mettendosi in piedi. <>, disse Françoise. <> <>, gli disse in tono perentorio. Gilmour alzò le mani: <> I due gli diedero la buonanotte e lo guardarono uscire dalla stanza. Poi finirono di sparecchiare la tavola e di mettere a posto in cucina. Françoise chiuse l’ultimo sportello e poi si voltò verso Joe, che stava finendo di asciugare un piano e che le dava le spalle. <>, disse lui improvvisamente, con voce calma, senza voltarsi. Lei aggrottò la fronte: <> <>, rispose lui spostandosi per appendere lo strofinaccio al suo posto. <>, gli chiese, cambiando argomento e aprendo la porta che dava nel salone principale. <>, chiese lui seguendola e spegnendo la luce della cucina. Lei si diresse direttamente al balcone affacciandosi e guardando verso il mare: <> Nessuno dei due aveva acceso la luce della sala. Così l’unica fonte luminosa era la luce lunare, che illuminava solo un ritaglio di stanza, entrando dalla porta aperta del balcone. Joe se ne stava appoggiato, quasi seduto, sulla spalliera del divano che dava di spalle al balcone, con le braccia incrociate: <> si staccò dal divano e si avvicinò a lei, per poi cingerla da dietro <> <>, disse lei mettendo le sue mani su quelle di lui, intrecciate sulla sua vita <> <> <>, chiese lei voltando appena il viso verso il suo. <>, chiese lui aggrottando la fronte. Françoise annuì: <> Joe restò in silenzio qualche secondo: <> <>, disse Françoise <> Joe alzò le spalle: <> <>, controbatté lei. Joe sospirò: <> Lei rise lievemente: <> <> Françoise sorrise: <> <>, disse lui appoggiando le labbra sulla sua tempia. <> <> <>, protestò scherzosamente lei. <> Lei sembrò pensarci un attimo: <>, disse sciogliendo delicatamente le sue mani e tenendone una per invitarlo a seguirla su per le scale.   PARTE IX   <>, chiese Jet a Julia, trovandola affacciata verso la baia sulla terrazza del locale. <>, disse Julia voltandosi verso di lui <> Lui si mise accanto a lei, appoggiandosi a sua volta al parapetto in muratura: <> <>, disse lei sorridendo. <>, sorrise lui appoggiando un gomito sul parapetto e mettendosi i dorsi delle dita sotto il mento. <> <> rispose lui <> Julia lo guardò incuriosita: <> Jet alzò le spalle: <> <> <> Julia tornò a guardare l’acqua: <> Jet sospirò, lasciando trascorrere qualche secondo di silenzio. Le luci si specchiavano nell’acqua. Gli ricordava certi scorci della costa newyorchese. <> Julia non rispose, continuando a guardare l’acqua. <> Julia strinse le labbra, nascondendole per qualche secondo: <> <> <>, rise Julia. <> Julia quasi scoppiò a ridere: <> improvvisamente l’allegria scemò dal suo volto e i suoi occhi cominciarono a diventare lucidi <> Jet strinse le labbra: <> <>, scosse la testa lei <> Julia alzò gli occhi verso il cielo e vide le luci di un aereo volare sopra le loro teste: <>, disse <> Si voltò verso Jet <> Jet sorrise ironicamente: <> <>, disse lei <> <> <> Jet si rese conto di aver detto una cosa che per una persona abituata a volare in aereo era un po’ impossibile da capire. E che diavolo poteva dirle adesso? Che lui volava senza bisogno di ali? <>, chiese. <>, disse lei <> <>, disse Jet sentendosi sollevato di essersela cavata in modo credibile. <>, commentò lei <> <>, disse Jet deglutendo. <>, sorrise lei. <> La voce di Albert gli giunse forte e chiara e fu quasi un sollievo. Jet si voltò: <> <> <>, chiese Jet perplesso. <>   PARTE X   Clank! Françoise aprì gli occhi. Era notte fonda. Dette uno sguardo alla sveglia sul suo comodino: le 2 e mezzo passate. Cos’era stato quel rumore? Forse gli altri che tornavano? No, non aveva sentito il rumore dei motori. Si voltò per svegliare Joe. Ma era così placidamente addormentato che le sembrò quasi un peccato. Magari si trattava di un gatto o di qualche altro innocuo animale. Aguzzò l’udito, per sentire se udiva qualche altro strano rumore. Silenzio assoluto, se non il monotono suono del mare che si infrangeva sulla scogliera. Decise di riaddormentarsi. Passi. Stavolta li sentì chiaramente. Un sordo rumore di passi sull’erba. Una sola persona. <>, chiamò scuotendolo per la spalla con la mano. Lui aprì gli occhi quasi subito: <>, chiese con la voce impastata dal sonno. <> Lui metabolizzò le parole e sospirò profondamente: <> <> Joe non se lo fece ripetere una seconda volta. Si alzò dal letto e si mise in fretta i pantaloni, per poi uscire dalla stanza. Non chiuse la porta, ma camminò lentamente, facendo attenzione a fare meno rumore possibile, lungo il corridoio, fino alle scale. <>, gli disse Françoise a bassa voce dietro di lui <> Joe si limitò ad annuire. Scese le scale velocemente e si recò all’ingresso dove sarebbe dovuto essere l’intruso. Si trattava di una porta che dava su una scalinata che portava giù, alla spiaggia. Joe restò fermo qualche attimo, a qualche metro dalla porta. L’intruso tentò di girare la manopola, ma senza fortuna… anzi, fece scattare il sistema di allarme che si azionava se qualcuno cercava di aprire una porta chiusa senza il codice di accesso. <>, sentì imprecare in inglese da dietro la porta. Si trattava di un uomo. Joe si piombò sulla porta e l’aprì. Vide un’ombra sparirgli davanti e si gettò all’inseguimento, azionando l’acceleratore. In meno di un battito d’occhi gli fu addosso e lo scaraventò a terra. Lo fece girare su se stesso e lo prese per il colletto, tenendolo fermo standogli seduto sopra. Nonostante fosse buio pesto notò che non doveva avere molti più anni di lui. <>, gli chiese in inglese. In tutta risposta l’uomo gli mollò un pugno in pieno petto, e poi un altro e un altro ancora. Continuò finché Joe non mollò la presa. E ce ne volle. A quel punto l’uomo lo prese per il collo e lo fece volare via neanche fosse stato un pallone. L’uomo si rialzò più in fretta di Joe, che era rimasto piuttosto provato dai colpi ricevuti a ripetizione nello stesso punto, e si diresse a grandi falcate verso di lui. Lo fece rialzare in piedi e gli mollò una ginocchiata, ancora una volta nel petto. Poi lo spintonò violentemente, quasi a scrollarselo di dosso. Erano arrivati sul piazzale. Lì era illuminato da un lampione che era stato sistemato in un angolo e che dava luce a tutto il piazzale. <>, si chiese Joe ad alta voce, mentre si rialzava, guardandolo. Appena il tempo di rimettersi in piedi che se lo vide piombare addosso come un toro che carica, ma molto più velocemente. Una forte testata lo raggiunse stomaco senza che quasi se ne potesse accorgere e lo fece volare via un’altra volta. Joe si rialzò più in fretta stavolta, ma sentiva un forte dolore nel petto. Quella testata doveva aver fatto danni. <>, gli chiese nuovamente. L’uomo gli si avvicinò, senza rispondere. <> L’uomo continuava a camminare, ma stavolta rispose: <> Joe cominciava a sentirsi mancare le forze. Le gambe non lo ressero più. Si inginocchiò improvvisamente a terra e sentì qualcosa venirgli su fino alla bocca. Si portò una mano alle labbra e quando la guardò la vide rossa. “Sangue!” Un altro rigurgito arrivò violento e lo fece accasciare a terra, tossendo. L’uomo era ormai a pochi passi da lui. <> “Françoise… no.” Joe avrebbe voluto dirle di andarsene, ma non ne aveva la forza. Il dolore al petto si faceva sempre più forte e continuava a rigettare sangue. Aprì gli occhi e la vide con una pistola in mano puntata contro l’uomo. L’intruso smise di camminare verso Joe e si voltò verso di lei: <>, disse. Françoise strinse ancora di più la pistola in mano e stava per sparare quando... L’uomo fece una smorfia e improvvisamente si portò una mano alla testa, inginocchiandosi. Ma fu solo un attimo. Si rialzò, seppur a fatica e si lanciò verso Joe, facendolo alzare di forza e tenendolo davanti a sé con un braccio intorno al collo e una mano sulla testa. <> Françoise lanciò la pistola lontano da lei. “Io non ho l’osso del collo… ma di certo se fai quella mossa potresti anche ammazzarmi.”, pensò Joe, sentendosi sempre più debole “Un ultimo sforzo… però… basterebbe un solo colpo ben assestato.” Joe si girò di scatto e lo colpì con una gomitata proprio alla testa, che è notoriamente il punto più debole di un cyborg… perché era chiaro che non si trattava di un essere umano. L’uomo, colto a sorpresa, lasciò la presa e si portò le mani sulla parte colpita, allontanandosi di qualche metro. Joe cadde di nuovo a terra, in preda a una tosse violenta. L’uomo lo guardò, tenendosi sempre la parte colpita. Fece due passi verso di lui, nonostante il dolore alla testa, e cominciò a dargli violenti calci in petto. Si sentirono due colpi, e l’uomo cadde a terra, a poca distanza da Joe, colpito alle gambe. Françoise, che stava cercando di recuperare la sua pistola, alzò gli occhi nella direzione da cui erano venuti gli spari: <> Albert si era avvicinato all’uomo, che ormai non poteva muoversi se non strisciando, visto che era stato colpito alle ginocchia e le sue gambe erano inutilizzabili. Si sentirono dei colpi di tosse. <>, chiamò Françoise alzandosi e correndo verso di lui. Si inginocchiò accanto a lui, che era riverso sul terreno, con entrambe le mani sul petto. <>, gli sentì dire con un filo di voce prima di un altro violento attacco di tosse che gli fece fuoriuscire dalla bocca altro sangue. <>, urlò Gilmour, che era uscito all’aperto. Geronimo, che si era avvicinato insieme agli altri, prese Joe in braccio e scomparve con lui dentro casa. Il resto del gruppo rimase fermo, come impietrito, guardare il punto in cui Geronimo era scomparso. <> La voce di Julia li fece voltare. Tutti tranne Françoise, che era rimasta inginocchiata a terra. <>, continuò lei <> Albert, Punma, Jet, Bretagna e Chang si guardarono tra loro. <> Françoise si alzò e guardò Julia con uno sguardo carico di lacrime e di una miriade di sentimenti: rabbia, frustrazione, odio. Julia ne ebbe quasi paura, tanto che fece un paio di passi indietro. <> Calò un silenzio pesante come un macigno. <>, disse Punma guardando Julia con un’espressione indecifrabile <> <>, disse Jet. Julia restava ferma, come una statua di sale. I loro sguardi addosso la facevano sentire a disagio. Sentì un brivido freddo correrle lungo la schiena, e si strinse nelle proprie braccia. Avrebbe voluto dire qualcosa, ma non c’erano parole che le venivano alla punta della lingua. <>, sibilò Françoise con un tono di voce che terrorizzò anche gli altri, che si voltarono quasi sorpresi, chiedendosi se fosse lei quella che parlava <>, concluse indicando l’intruso che se ne stava ancora sdraiato per terra, incapace di muoversi. Julia si voltò istintivamente verso l’uomo, senza capire perché dovesse prendere quella come una minaccia. Ma lo capì. Gli bastò vedere il volto dell’uomo: <>   PARTE XI   Quando Albert e Jet avevano portato dentro il laboratorio anche l’intruso avevano solo trovato la porta della sala operatoria chiusa e la luce rossa accesa, cioè “accesso vietato”. Avevano lasciato l’intruso su un letto. Avevano notato il suo colorito particolarmente pallido, ma non gliene fregava molto. Per loro poteva anche crepare. Erano tornati di là e si erano messi ad aspettare, insieme agli altri. Erano quasi quattro ore che Gilmour era rinchiuso dentro il laboratorio con Joe. Jet, seduto accanto ad Albert a un lato del corridoio, alzò gli occhi, dopo averli tenuti a lungo fissi a terra. Si guardò intorno. Nessuno parlava. Tutti guardavano fissi a terra, esattamente come lui fino a pochi secondi primi. L’unico che faceva qualcosa di diverso era Geronimo, che torturava fra le mani la camicia che aveva indossato quella sera. Era rimasto lì, a torso nudo. Perché se l’era tolta? Che domanda stupida che gli veniva in mente in un momento del genere. Magari aveva solo caldo… Poi comprese. Guardò di nuovo e vide che quel pezzo di stoffa che Geronimo si rigirava tra le mani era scuro, sinistramente scuro. La camicia che aveva indossato quella sera era di un colore chiaro, anni luce lontano da quel colore orrendo. Non voleva che qualcuno vedesse quella camicia macchiata… intrisa del sangue di Joe. Era per questo che se l’era tolta. Si guardò nuovamente intorno e notò che Françoise non c’era. Senza dire niente e senza che gli fosse detto niente, si alzò e si allontanò dal corridoio. Sapeva dove poteva essere andata e si diresse a colpo sicuro verso la sala, in una casa colta da un silenzio irreale. In sala trovò Julia. Se ne stava seduta su un divano, a guardare un qualcosa di indefinito ai suoi piedi. Si fermò a guardarla per qualche secondo, ma lei sembrò non accorgersi nemmeno della sua presenza. Tirò diritto. In fondo, non è che gliene importasse molto. Salì gli scalini che portavano al piano di sopra. Non ricordava che fossero così tanti. Arrivato in cima al corridoio guardò a destra, dov’era la camera di Françoise, e a sinistra, dov’era quella di Joe. Decise di andare a sinistra. Si fermò davanti alla porta della camera dell’amico. Provò a girare la maniglia. Chiusa. <>, chiamò quasi sfiorando la porta con le labbra. Nessuna risposta. <> Niente. <>, disse mettendosi a sedere con le spalle appoggiate alla porta <> Nessun segno di vita. “Chi tace acconsente…”, pensò Jet “O semplicemente non ti considera nemmeno e vuol essere lasciato in pace.”, concluse ricordando come diceva sempre un suo amico di New York quando veniva fuori questa frase fatta. <>, cominciò Jet <> Tese l’orecchio per sentire se dall’altra parte ci fossero segnali di vita. Niente. Sospirò profondamente, rialzandosi e girandosi verso la porta. Appoggiò i palmi delle mani al legno: <> “disperata”. Si morse le labbra e fece passare qualche secondo. <> riprese <> La porta si aprì. Françoise era in piedi davanti e aveva gli occhi devastati dal pianto e un’espressione impossibile da tradurre sul volto. <>, gli disse con la voce traballante, quella di chi si sforza di non lasciarsi travolgere dalle lacrime. Jet non disse nulla, per quanto fosse ansioso di sapere quello che lei doveva aver sentito, lasciandole il tempo di raccogliere la forza di continuare e di tirare fuori le parole che sembravano bloccarle il respiro. <> Jet chiuse gli occhi e strinse le braccia attorno a lei, quando la sentì appoggiarsi a lui. La sentiva sussultare scossa dai singhiozzi, sentiva il tessuto della camicia sopra la spalla sulla quale lei era appoggiata. Non le disse niente, non a lei. “Lo so che non è bello ricordarsi che di Te solo quando più se ne ha bisogno… e che io non sono mai stato un grande credente… forse non ci ho mai creduto in Te… ma non farlo morire. Ti prego, non farlo morire.”   PARTE XII   Gilmour era in laboratorio, seduto davanti a un computer, esaminando i dati che quest’ultimo gli sfornava in continuazione, in tempo reale. La situazione si manteneva stabilmente disperata. L’anziano scienziato si lasciò appoggiare all’indietro sullo schienale della sedia, stropicciandosi gli occhi con il pollice e l’indice della mano destra. Aveva passato la notte in bianco, rinchiuso fra quelle mura, e la stanchezza si faceva sentire. Sentì tossire dietro di lui. Si voltò verso l’intruso che se ne stava sdraiato sul letto nel quale qualcuno lo aveva lasciato. Gilmour si alzò e andò a controllare la bottiglia il cui contenuto veniva immesso nel corpo dell’intruso da una flebo inserita nel suo braccio. <>, gli chiese Russell. <>, chiese Gilmour disunendo leggermente il flusso. <>, spiegò Russell. <>, disse Gilmour in tono grave, mettendosi le mani dietro la schiena e guardando Russell con gli occhi stanchi <> <>, disse Russell. Gilmour andò a prendere alcuni appunti che aveva lasciato sulla scrivania: <> Gilmour ritornò accanto al letto di Russell, prendendo la sua sedia e portandola con lui. Si sedette vicino al letto e cominciò a scorrere gli appunti: <> Russell sospirò profondamente: <> Gilmour lo guardò con sguardo severo: <>, sibilò scandendo bene le parole. <>, chiese Russell, quasi in tono ironico <> Ma lo sguardo di Gilmour restò serio e penetrante: <> <> <>, continuò Gilmour ignorando le sue proteste <> Russell non rispose, limitandosi a tenere gli occhi fissi sul soffitto. <> <>, disse finalmente Russell. <> Russell esitò. <>, ripeté Gilmour. <> Gilmour sgranò gli occhi: <> Gilmour si alzò di scatto, e cominciò a camminare per la stanza nervosamente, sotto gli occhi perplessi di Russell. Cominciò a rimuginare: se era stato Cook, non poteva aver lavorato per il Fantasma Nero, se questo poteva essere di consolazione. Loro conoscevano la formula dell’antirigetto che permetteva ai cyborgs di sopravvivere alla conversione. Non avevano certo bisogno di lui. L’anziano scienziato fece per tornare alla scrivania. <> Gilmour si voltò appena alla voce di Russell. <> continuò Russell guardando il professore <> <>, lo interruppe Gilmour, con uno sguardo grave. <> urlò Russell <> Gilmour lo guardò restando in silenzio per qualche secondo: <> Russell non rispose, perplesso. <>, continuò Gilmour. <>, rispose finalmente Russell in tono incerto. <>, disse Gilmour tornando a posare gli appunti sulla sua scrivania. Poi scomparve dietro due porte scorrevoli. Si trovò di fronte a una vetrata. Dalla sua parte c’era un’ampia console, che prendeva in larghezza tutta la stanza. Dall’altra c’era Joe. Se non fosse stato per tutti i macchinari che lo attorniavano e la mascherina del respiratore, si sarebbe potuto credere benissimo che stesse semplicemente dormendo. <>, chiese Gilmour in tono preoccupato alla figura seduta su una delle due sedie davanti alla console. <>, rispose Françoise. Gilmour si sedette sull’altra sedia, guardando oltre la vetrata. <>, riprese lei dopo qualche istante di silenzio <> Gilmour aspettò qualche secondo, cercando le parole migliori: <> <>, chiese lei andando a forzare quella porta che Gilmour non aveva voluto aprire. Il professore sospirò pesantemente e si voltò verso di lei: <> cominciò Gilmour ricostruendo appunti e dati che aveva riletto decine e decine di volte <>, Gilmour si fermò un attimo scuotendo la testa <> <>, chiese lei senza riuscire a mostrare un tono di voce leggero come avrebbe voluto. Gilmour strinse appena le labbra: <> Françoise annuì e si alzò dalla sedia, dirigendosi verso la porta, che si aprì quando lei le fu davanti. <>, le chiese Gilmour. <>, rispose lei <>, concluse volgendo lo sguardo in direzione di Russell, che intanto si era addormentato.   PARTE XIII   Erano ormai passati un paio di giorni, senza che ci fossero stati sviluppi positivi. Russell si era ormai alzato dal letto. Ancora pochi giorni e avrebbe potuto condurre una normale esistenza di cyborg. Gilmour si chiese fino a che punto Russell si fosse reso conto della cosa e se veramente volesse vivere in una condizione simile. Joe, invece, continuava a restare nel suo stato di incoscienza, appeso a quel filo sottile che lo teneva legato alla vita, ma non aveva dato alcun segno di volersi risvegliare. Il professor Gilmour si stropicciò gli occhi. Aveva dormito poco in quei giorni e non aveva più l’età per poter far facilmente a meno del sonno. Chiuse il fascicolo che portava il nome di Joe e il suo codice numerico scritto sopra. Lì c’erano i suoi dati e venivano annotati tutti gli interventi fatti nel corso del tempo. Lo ripose in una specie di schedario, insieme agli altri, dietro di sé. Sulla scrivania rimase una cartella di colore giallo, senza nome. Bussarono alla porta. <> <>, chiese Albert chiudendo dietro di sé la porta dello studio di Gilmour. Il professore alzò gli occhi verso: <> <> Gilmour scosse la testa: <> <>, disse Albert abbassando gli occhi. <>, continuò Gilmour <<è uno dei soggetti di un esperimento.>> <> Gilmour si schiarì la gola: <> <>, chiese Albert stringendo gli occhi. Gilmour annuì: <> <> <>, rispose lo scienziato alzandosi in piedi e cominciando a camminare per la stanza <> <> Gilmour annuì: <> Albert annuì: <> Gilmour si aspettava una domanda del genere: <> Gilmour si appoggiò con le mani sul davanzale della finestra aperta <> <>, annuì Albert <> <>, disse Gilmour <> Albert prese la cartella sulla scrivania e l’aprì, studiandone il contenuto per un paio di minuti. C’erano delle cose evidenziate con un pennarello rosso su alcuni fogli: <> <>, disse Gilmour <> Albert uscì dallo studio. Fece qualche passo in corridoio, quando si vide venire incontro Julia. Istintivamente si mise la cartella sotto il braccio. <>, chiese lei. Sembrava avere fretta. <> Julia passò oltre. Albert la guardò bussare alla porta, poi riprese a camminare allontanandosi da lì. Julia aprì, non appena sentì la voce di suo zio darle il permesso di entrare. Lo trovò voltato verso di lei, vicino alla finestra. <>, gli chiese con una voce tesa. <>, chiese Gilmour, facendo finta di non capire. <>, chiese Julia deglutendo. Gilmour cominciò a camminare a piccoli passi per la stanza, con le mani dietro la schiena: <> <>, lo interruppe Julia con tono perentorio. Gilmour la guardò con le labbra serrate in un sorrisetto amaro: <> <> Gilmour fece trascorrere qualche istante di silenzio: <> L’anziano scienziato si mise a sedere alla sua scrivania, mettendosi comodo contro lo schienale e intrecciando le mani sopra la pancia: <>, riprese <> <> <> La ragazza era esasperata, ma obbedì. Si mise a sedere su una delle due sedie davanti alla scrivania e restò in silenzio, aspettando che Gilmour iniziasse. <> cominciò Gilmour <> Julia, che fino ad allora aveva ascoltato senza fare una piega, scosse la testa: <> <>, concluse Gilmour ignorandola <> <>, urlò lei. <>, disse lo scienziato con una voce penetrante <> <>, protestò lei. <>, le fece notare. <>, urlò Julia alzandosi in piedi e sbattendo i palmi della mano sulla scrivania <> Gilmour non fece una piega: <> <> <> <>, Julia serrò le mani in due pugni così stretti che le nocche le diventarono bianche <> <> Julia distolse lo sguardo e si voltò di scatto verso l’enorme libreria che si trovava alle sue spalle: <> <>, rispose Gilmour <> <>, disse Julia con la voce rotta dal pianto, scuotendo la testa fra le sue mani. <> Julia si voltò nuovamente verso suo zio, il volto gonfio di lacrime: <> Gilmour sorrise, ma solo dentro di sé. Avrebbe ottenuto quello che voleva, anche se non gli era piaciuto il modo in cui aveva dovuto agire. Ma a volte un nobile fine può giustificare mezzi abietti. Sul suo volto rimase un’espressione seria e grave: <>   PARTE XIV   Françoise si svegliò alle 10 del giorno dopo. Era nel suo letto, ancora vestita. Si chiese come c’era arrivata. Si sistemò un po’, davanti allo specchio, in modo da essere almeno presentabile, e uscì dalla stanza. C’era un silenzio insolito in casa. Scese le scale in fretta e andò diritta in cucina. Trovò Julia seduta al tavolo, mentre dava da mangiare a Ivan. La ragazza alzò la testa e sgranò gli occhi. Era la prima volta che si ritrovava sola con Françoise da quella sera. Nei giorni passati aveva cercato di evitarla, cordialmente. <>, le disse non sapendo cos’altro dire. Françoise la guardò prima perplessa, poi abbozzò un sorriso: <> Andò a prepararsi del caffè. Ne aveva bisogno. Quando ebbe finito e ebbe acceso la macchina, si sedette a tavola, ad aspettare che il caffè passasse. <>, chiese dopo qualche secondo. <>, rispose Julia posando il biberon vuoto sul tavolo. Ma Ivan, dopo un po’, cominciò a lamentarsi. <>, chiese Julia rivolgendosi a nessuno in particolare. Françoise sorrise e prese il biberon dal tavolo, alzandosi per prepararne un altro: <> <> Françoise mise il pentolino col latte sul fuoco e si versò il caffè che era appena passato: <>, disse senza voltarsi. <> Françoise si girò verso di lei e sorseggiò il suo caffè. Poi riprese a parlare: <> Julia scosse la testa: <> Françoise scosse la testa: <> Il latte bollì e Françoise spense il fuoco. Sbriciolò dei biscotti e li buttò dentro il liquido bianco, per poi versarlo dentro il biberon. Poi riempì il pentolino vuoto di acqua fredda e vi mise dentro il biberon a intiepidire. <>, chiese Julia dietro di lei. Françoise si voltò, guardandola perplessa: <> <> Françoise serrò le labbra: <> <> Françoise la guardò in modo strano. <>, disse Julia rendendosi conto della gaffe. <>, disse Françoise accennando un sorriso <> Julia sorrise a labbra stette, restando in silenzio per qualche secondo. Poi le venne in mente una cosa: <> <> <>, disse Julia annuendo <> <> <>, chiese Julia inarcando le sopracciglia. <>, recitò Françoise bevendo un altro sorso di caffè. <> <>, disse Françoise sorridendo <> <> Françoise si ricordò del biberon e si alzò a prenderlo: <>, disse sentendo che la temperatura fosse giusta versandosi qualche goccia sulla mano e tastandolo con le labbra. Porse il biberon a Julia e si rimise a sedere: <>, le chiese. <>, rispose Julia offrendo il beccuccio a Ivan, che fu ben felice di metterselo tra le labbra <> <> <> Françoise fece una specie di smorfia di rassegnazione: <> <>, disse Julia scuotendo la testa. <> In quel momento entrò il professor Gilmour: <>, le disse. <> Gilmour la guardò perplesso, poi ammise: <> <>, incalzò guardandolo con sguardo severo. Gilmour sospirò: <>, disse <> Françoise restò in silenzio alcuni secondi. Poi annuì, stringendo le labbra e portandosi una mano alla fronte: <> Gilmour le posò una mano sulla spalla: <>, le disse in tono affettuoso. Françoise alzò gli occhi verso di lui, sorridendo appena: <> Gilmour accennò un sorriso: <>, le disse. <>, gli disse Françoise. <> <>, rispose Françoise alzandosi. <>, disse Gilmour. Françoise annuì e prese il bambino dalle braccia di Julia, uscendo dalla cucina. Dopo qualche istante, l’anziano scienziato si sedette al posto di Françoise, intrecciando le mani sul tavolo e schiarendosi la voce. Julia lo guardava incuriosita: <> Gilmour le rivolse uno sguardo grave: <> Julia abbassò lo sguardo sulle sue mani, che si tormentavano l’una con l’altra sopra la sua gonna: <> <>, annuì Gilmour stringendo le labbra. <>, disse Julia rialzando gli occhi. <>, sparò Gilmour, quasi dovesse togliersi un peso insopportabile dalla bocca. Julia spalancò gli occhi: <> <>, rispose Gilmour. <>, balbettò Julia. Ma non aveva parole da dire e non ne vennero. Si portò una mano alla fronte, ancora incredula. Forse senza nemmeno realizzare bene le parole che suo zio le aveva detto. Gilmour restò a guardarla qualche minuto, senza dire niente. Poi si portò una mano alla tasca posteriore dei pantaloni e ne estrasse una busta chiusa, che appoggiò sul tavolo. Sopra c’era scritto: Per Julia. <>, disse Gilmour <> Julia la guardò per qualche secondo, come se fosse incerta se prenderla o meno. Poi allungò la mano, quasi tremando, e la trascinò fino a sé, raccogliendola poi fra le dita. Se la rigirò ancora qualche secondo in mano, guardandola con le labbra strette in una smorfia innaturale. <>, disse a voce bassa. Gilmour non disse niente, limitandosi a guardarla con quello stesso sguardo di compassione che Julia le aveva visto l’altro giorno a tavola. La ragazza trasse un profondo respiro e aprì delicatamente la busta, posandola sul tavolo dopo che ne ebbe estratto un foglio ripiegato accuratamente. Lo spiegò e cominciò a leggere, in silenzio.   Ciao… che modo banale di cominciare una lettera… non so bene che cosa scrivere in realtà. Speravo che mi saresti venuta a trovare, mentre ero solo in quella stanza di laboratorio. Non sei venuta, non sei mai venuta. E allora ho capito. Era meglio morire che farmi vedere da te in questo stato… lo sapevo fin dall’inizio. Ma speravo di vederti, almeno un’ultima volta. Di poterti parlare… ma tu mi eviti. Cordialmente. Come dici tu quando scansi le persone che non ti vanno a genio. E allora ti tolgo il pensiero di dirmi quello che non hai il coraggio di dirmi. Ho creato fin troppi problemi. Spero che Joe ce la faccia… non volevo ridurlo in quello stato. Mi piacerebbe averlo potuto conoscere in modo diverso. Non potrò. Credo che ci sia solo un modo in cui io possa rimediare all’errore. Ricorda che i miei sentimenti per te non sono mai cambiati. E proprio per questo non voglio che tu ti senta in qualche modo in difficoltà a causa mia. Ti auguro tutto il bene possibile. Dimenticami… dimentica presto questa storia.   Tuo, Russell   Julia alzò gli occhi dal foglio e una lacrima scese lenta sulla sua guancia, andando a cadere sulla carta e sciogliendo l’inchiostro in una macchia nera. Poi un’altra lacrima… e un’altra ancora. In breve Julia si perse in un pianto dirotto. Adesso sì. L’aveva perso. Definitivamente.     PARTE XV   <>, chiese Albert puntando la torcia contro Jet. <>, disse Jet in malo modo parandosi gli occhi con le braccia. Albert puntò la torcia verso l’alto: <> <>, disse Jet contrariato. Improvvisamente furono colti da un sobbalzo e si ritrovarono un po’ tutti a gambe all’aria. <<007! Maledizione! Vuoi prenderle proprio tutte quelle buche?!>>, urlò Jet sbattendo il pugno contro la parete comunicante con la cabina di guida. <> rispose 007 <> <>, chiese 008 tenendosi la testa che aveva sbattuto contro una parete. <>, rispose 007. 004 si rimise al suo posto: <> <> <>, chiese 006. <>, rispose l’autista con una punta di impazienza. <>, chiese 002 esasperato. <>, rispose 004 cogliendo la frecciata <> <> Restarono qualche istante in silenzio. In sottofondo si sentiva solo il rumore sordo del motore del furgone che avevano deciso di utilizzare. A un certo punto il furgone rallentò. <>, chiese 008. <>, rispose 007. Poi cambiò totalmente tono di voce <> <>, disse una voce maschile, una guardia probabilmente <> <> <> Passarono alcuni secondi, poi il furgone ripartì di scatto, ma si fermò altrettanto improvvisamente, col motore fermo. Gli altri occupanti del furgon riuscirono a mantenersi in equilibrio stavolta, soprattutto perché 005 tenne fermi 008 e 006 con le sue grandi mani e 004 e 002 furono abbastanza pronti da non cadere. <>, si sentì 007 dire con la voce falsata. <>, rispose la guardia. Il motore venne riacceso e il furgone ripartì senza intoppi. Gli abitanti di dietro tirarono più o meno tutti un sospiro di sollievo e Jet si promise che avrebbe insegnato a Bretagna come si usa una frizione per non far spegnere il motore. Il furgone girovagò per qualche minuto lungo le strade interne al recinto entro il quale era stato costruito il centro. Poi si fermò. Si sentì 007 scendere e chiudere il suo sportello. Ancora qualche minuto di silenzio, poi i portelloni che aprivano il cassone si aprirono: <> <>, gli chiese 008. <> protestò 007 <> Gli altri cyborgs uscirono dal retro del furgone e seguirono 004 fino alla porta. A lato dell’ingresso, come previsto, c’era un tastierino. Sopra vi erano tutte e 26 le lettere dell’alfabeto e i numeri da 0 a 9. Il codice di accesso era una sequenza alfanumerica che poteva andare da un minimo di dieci a un massimo di ventuno caratteri. Il che voleva dire una miriade di possibili combinazioni. Se si sbagliava per tre volte di seguitoscattava il sistema di allarme. 004 lo guardò con attenzione. Un led rosso indicava che la porta era chiusa. Richiamò alla memoria il codice: AJ073MCBY144ZNBK96093, Enter. Il led rimase beffardamente rosso e su un display apparve una scritta a cristalli liquidi rossi: ACCESS DENIED, WRONG PASSWORD. <>, disse 004 contrariato. <>, chiese 002 con una certa ansia nella voce. <>, disse guardandosi la mano destra pensieroso <>, disse a 002. Portò la mano al tastierino. Anche lui sapeva il codice a memoria. Digitò lentamente, per essere sicuro di non sbagliare: AJ073MCBY144ZNBK96093, Enter. Rosso! Il display a cristalli liquidi rossi mostrò la scritta di prima e fu anche così gentile da avvertire silenziosamente che restava un’ultima possibilità per digitare il codice giusto. <> <>, chiese 007 piuttosto nervoso. <>, rispose 004 indispettito <> <>, disse 002. <>, chiese 008 con un tono incredibilmente calmo e le braccia incrociate. <>, chiese 002. <> <>, rispose 004. <> I due si guardarono fra loro. <>, chiese 002. 008 sospirò e si avvicinò al tastierino. Premette un tasto e un led giallo sul tasto stesso si illuminò. <>, disse. 004 obbedì e 008 digitò il codice sulla tastiera: AJ073MCBY144ZNBK96093, Enter. Il led rosso lampeggiò tre volte e diventò verde. Sul display apparve la scritta: ACCESS GRANTED. Le porte si aprirono sotto gli occhi esterrefatti di 004 e 002. <>, chiese 008 con le mani sui fianchi. I due non risposero e entrarono dentro l’edificio, seguiti dagli altri. Si ritrovarono in un lungo corridoio, dai colori freddi e metallici, illuminato dal neon. I sei camminarono a passi lenti e felpati, facendo attenzione a ogni minimo rumore. Improvvisamente sentirono aprirsi una porta. Si nascosero dietro una parete, dove il corridoio si incrociava con un altro corridoio. Da un lato del corridoio sul quale stavano camminando prima uscirono due uomini. Entrambi indossavano camici bianchi e sembravano piuttosto giovani. Si fermarono appena fuori dalla porta a parlare. <>, chiese uno, dal fisico piuttosto tozzo, grasso e sgraziato, che se ne stava appoggiato allo stipite della porta. <>, rispose l’uomo che era invece decisamente fuori dalla stanza e dava le spalle ai cyborgs <> <>, rispose l’altro <> <>, disse l’altro grattandosi la testa <> <>, disse quello tozzo scuotendo il capo con forza <> <>, disse l’altro salutandolo con un cenno della mano e allontanandosi. <>, disse quello tozzo chiudendo la porta. 004 batté una mano sulla spalla di 007 e gli fece cenno di seguire l’uomo. “E come?”, mimò con le labbra 007 “Un topo qui dentro mi sembra improbabile.” 004 si limitò ad indicare la porta che si era appena chiusa. 007 scosse la testa con sguardo supplichevole. “Muoviti”, mimò 004 con uno sguardo che non ammetteva repliche. 007 voleva mettersi a piangere, ma si trasformò comunque nell’uomo tozzo e grasso e seguì l’altro, raggiungendolo. <> 007 sorrise: <>, disse dando uno sguardo al cartellino di riconoscimento che l’uomo portava attaccato al camice con su scritto ALFRED BENKLEY. “Ecco… tra tutti i nomi proprio uno di quelli che hanno infinite varianti di diminutivi. Al, Alf, Fred… lo chiameranno in un modo particolare?” 007 si guardò alle spalle e notò che i suoi compagni continuavano a seguirlo, stando attenti a non farsi notare troppo. <>, chiese Alfred guardandosi indietro. 007 impallidì e gli dette una pacca sulla spalla, distraendolo: <> L’uomo alzò le spalle e continuò a camminare: <> “E chi diavolo è Lucy?”, si chiese 007 terrorizzato “Ma che con questo aspetto orripilante questo pensa pure di fare conquiste?!” <>, chiese 007 cercando di prendere tempo. <> “Cioè… vuol sapere se ci è andato a letto… Spero per lei di no.” <>, rispose 007. <> “Aaaaaaaaahhh… Lucy è un cane!” <> <>, disse l’altro, fermandosi davanti a una porta e digitando un codice su un tastierino un po’ più piccolo e diverso di quello di prima. 007 si limitò ad annuire osservando attentamente il codice e memorizzandolo: 1947jan17, 17 gennaio 1947. Entrarono in una stanza poco illuminata. Su entrambi i lati c’erano tre letti, per un totale di sei. <>, disse l’uomo dirigendosi verso i “suoi pazienti”. 007 si portò sul lato di destra e si avvicinò al primo dei tre letti. Guardò l’uomo che vi era disteso sopra. Non aveva una bella cera. Il suo volto denotava chiaramente una grande sofferenza. E non doveva avere più di vent’anni. Bretagna provò una gran pena per lui. A lato di ciascun letto c’erano degli schermi e, appesa a un gancio, una specie di cartella clinica con delle annotazioni fatte a penna. La penna era attaccata alla cartella con uno spago. 007 raccolse la cartella e la studiò. Nessun nome, dato anagrafico o altro. Solo un numero accanto a una scritta prestampata “SOGGETTO #” e fogli di annotazioni su funzioni come battito cardiaco, pressione sanguigna, attività cerebrale, problemi riscontrati, etc. I vari fogli portavano delle date scritte sopra e l’ora in cui presumibilmente erano stati raccolti i dati. L’ultima rilevazione risaliva a quel pomeriggio, alle 17.01. Su tutti i fogli una scritta ricorrente: SCARSE PROBABILITA’ DI SOPRAVVIVERE AL RIGETTO. 007 prese un nuovo foglio prestampato da dietro la cartella, dove erano riposti, e dette uno sguardo agli schermi. Non era difficile. Doveva solo compilare il foglio con i dati che erano scritti sugli schermi. Quando ebbe finito, ripose la cartella al suo posto e passò al secondo. Anche questo non stava bene ed era giovanissimo. Bretagna cominciava a sentirsi male. Compilò la cartella in fretta e passò al terzo. Qui notò subito che le linee sugli schermi erano tutte piatte. Guardò il volto del soggetto. Era una donna. Giovanissima anche lei. Aveva gli occhi ancora aperti. Bretagna, con un gesto della mano, li chiuse per sempre e si fece il Segno della Croce. Poi si voltò verso l’altro: <>, disse. L’uomo lo guardò senza lasciar trasparire alcuna emozione: <> <>, disse Bretagna. L’uomo sbuffò e ricominciò a scrivere sulla cartella che stava compilando: <>, disse. Bretagna sgranò gli occhi. Si mosse in fretta e uscì veloce dalla stanza. Tornò indietro, alla porta che aveva visto con su scritto WC, ed entrò. Si fiondò in una delle porte verdi aperte e vomitò. Era la prima volta che vomitava da quando era un cyborg. Quello che aveva visto e ciò che aveva immaginato era troppo. <> Bretagna si voltò e si trovò 002 appoggiato allo stipite della porta. <>, disse Bretagna riprendendo fiato e cominciando a gesticolare col suo fare teatrale che ormai gli era naturale <> Jet deglutì. L’immagine evocata da Bretagna faceva terrore. Qualcuno entrò nel bagno. 002 e 007 si chiusero dentro il loro loculo e si alzarono in piedi sul water. <>, disse una voce maschile, seguita dallo scrosciare dell’acqua di un lavandino. <>, disse la voce ormai nota di Alfred. Lo scroscio dell’acqua cessò: <>, disse Cook <> Sentirono dei passi e la porta che si richiudeva. <>, disse Alfred evidentemente aprendo l’acqua di un lavandino, visto che l’acqua ritornò a farsi sentire <> L’acqua smise di scorrere e dopo pochi secondi anche Alfred uscì. 002 e 007 scesero dal water e uscirono fuori. <<007, devi seguirlo.>>, disse 002 con voce ferma. <> <> Bretagna sospirò e riprese le sembianze dell’uomo tozzo e grasso, uscendo dalla stanza. Jet si appoggiò a una parete e si mise la faccia tra le mani, per poi passarsele nei capelli. <>, sibilò a voce bassa. Poi si voltò di scatto e mollò un violento pugno nel muro, provocando un cratere attorno alla sua mano <>   PARTE XVI   <> Françoise posò le sue dita sulla mano inerte di Joe. Era notte. Ci aveva messo un bel po’ per trovare il coraggio di entrare in quella stanza. Il rumore ritmico e cadenzato delle apparecchiature le risultava insopportabile, ma in fondo, pensava, finché quel suono fosse stato regolare e non continuo voleva dire che Joe era vivo. Per quanto sottile e fragile potesse essere quel filo che lo legava alla vita. <> Guardò il volto di Joe, che rimaneva impassibile, e strinse leggermente la sua mano. <> Françoise sospirò, facendo una smorfia. Non riusciva a mettere insieme due parole sensate… o almeno così le sembrava. <>, silenzio di pochi secondi <> Prese la mano di lui fra entrambe le sue: <> Françoise sbuffò in una specie di risatina: <> Alzò gli occhi al soffitto, raccogliendo un ultimo barlume di forza: <> Françoise restò ferma qualche istante… momento… minuto… sperando di vedere un filo di luce in quel tunnel oscuro nel quale gli sembrava di vagare a tastoni da… non sapeva nemmeno quanto ormai. Ma la luce non venne. Joe continuava a restare immobile. Il tunnel continuava a restare buio. Françoise si portò l’indice e il pollice di un mano agli occhi. Le facevano male… aveva pianto troppo in quei giorni. Sospirò profondamente. Non ce la faceva più a stare lì dentro. Si alzò dalla sedia, andando verso la porta. Ma la sua mano restò attaccata a quella di Joe… nonostante lei non la stringesse più.   PARTE XVII   007 aveva seguito Alfred e Cook, seppur di malavoglia. Arrivarono davanti a una porta. Cook digitò un codice, 1946feb9, sull’ennesimo tastierino. Entrarono in un’altra stanza poco illuminata. Ma stavolta Cook azionò un interruttore che accese una serie di lampade al neon. 007 si vide davanti una specie di enorme armadio di metallo. Ce n’erano altri dietro. Quella stanza sembrava non finire mai. Cook fece qualche passo avanti e indietro davanti all’armadio, la cui superficie che era divisa in quadrati. Sopra ogni quadrato c’era un adesivo con delle scritte. 007 ne lesse uno a caso: M… 23… B… 17 sep 19XX. Realizzò con orrore cosa dovesse contenere quell’armadio. <>, disse Cook indicando un quadrato. 007 lesse “l’etichetta”: M… 25… Y… 16 sep 19XX. Cook tirò il quadrato per una maniglia a scomparsa. Dentro quel loculo c’era il corpo di un uomo. Si trattava evidentemente di celle criogeniche. L’uomo era un asiatico. Forse un coreano. Aveva passato abbastanza tempo in Giappone da capire che non era giapponese. A quel punto capì che cosa voleva dire quella “Y” sull’”etichetta”. Stava per yellow, giallo. Cioè il colore della pelle. “M” era il sesso, “25” l’età, “16 sep 19XX” la data in cui era presumibilmente stato criogenizzato. Idem per la prima etichetta che aveva letto, dove “B” stava presumibilmente per black, nero. <>, disse Cook come se avesse dato disposizioni per la lista della spesa. <> “Finalmente!”, esultò 007 in cuor suo, vedendo 004, 008 e 002 e riprendendo le sue sembianze. <>, urlò Cook agli intrusi. <>, disse 004 puntando la mano destra contro Cook. <>, ordinò Cook ad Alfred. <>, disse 008 prima che Alfred raggiungesse una specie di telefono posto in un angolo della stanza. <>, sibilò Cook rosso in volto dalla rabbia. <>, rispose 004 senza abbassare la mano. Cook sogghignò: <>, poi la sua espressione diventò furiosa <> disse indicando con un braccio dietro di sé gli armadi criogenici <> <> <>, tuonò Cook <> <>, disse 002 <> <> Tutti quanti guardarono l’uomo che era appena entrato nella stanza. Aveva una pistola in mano e la puntava contro Cook. <>, disse 004 riconoscendolo. <>, chiese Cook. Russell guardò l’uomo con gli occhi colmi di odio: <>, disse indicando gli armadi criogenici. <>, disse Alfred <> <>, rispose Russell <> <>, sibilò Cook. <>, continuò Russell ignorandolo <> <>, chiese Punma con gli occhi sbarrati. Russell alzò l’altra mano e ne mostrò il contenuto: un piccolo cilindro con un solo pulsante su un’estremità. Un filo partiva dall’altra estremità del cilindro e andava a finire sotto la giacca di Russell. <>, cercò di dire Jet. <>, lo precedette Russell con un tono di voce incredibilmente calmo <> <>, urlò Punma. Russell sorrise appena: <>, i suoi occhi diventarono lucidi <> <>, cercò di dire Jet, ma Albert lo bloccò, alzando un braccio. <> <>, protestò Punma incredulo. <>, ripeté Albert. Qualcosa, nel modo in cui lo disse, spense qualsiasi replica nelle gole dei suoi compagni. I quattro si incamminarono verso la stanza. <>, disse Russell fermandoli e frugandosi in una tasca <> Russell buttò loro qualcosa e Jet lo acchiappò al volo. Gli dette appena un’occhiata, annuendo. Poi uscì dalla stanza insieme agli altri. <>, chiese 007 mentre correvano verso l’uscita. <>, rispose 002. Poi puntò il naso verso il soffitto <> <>, disse 004 puntando un ginocchio verso il soffitto. Partì un missile e dal buco che si formò era visibile il cielo. 002 spiccò il volo, portando 004 con sé. 007, trasformatosi in aquila, prese in consegna 008. In un attimo furono a distanza di sicurezza dal Centro di Ricerche. <>, disse 008, indicando il velivolo che veniva loro incontro. Quando furono abbastanza vicini, si aprì un portello che li lasciò entrare all’interno. I quattro si portarono subito nella cabina di comando. <>, ordinò 004 a 006 che stava guidando. <>, rispose 006 voltando il muso e dando gas ai reattori. Jet guardò il suo orologio: <<350… 351… 352…>> Gli sguardi di Albert, Punma e Bretagna si posarono su di lui, malinconici. Jet sembrò non badarvi: <<… 355… 356… 357… 358… 359… 360.>> Il fragore dell’esplosione fu impressionante. Perfino il Dolphin risentì lievemente dello spostamento d’aria. Albert spinse un bottone e sullo schermo principale apparve l’immagine del Centro di Ricerche completamente avvolto dalle fiamme. Bretagna si fece il Segno della Croce. Anche Albert e Jet si trovarono ad imitarlo, quasi istintivamente. <>, sospirò Bretagna abbassando gli occhi. <>, chiese Chang, che ancora non ci aveva capito niente. Albert sospirò: <> <>, gli chiese Jet. Albert alzò le spalle e chiuse gli occhi: <> Geronimo guardava in silenzio la scena. Si chiese se era il caso di rivelare il contenuto della comunicazione che gli era appena giunta in cuffia direttamente dal professor Gilmour. Ci pensò su qualche secondo, chiudendo gli occhi. Poi decise. <>     EPILOGO    <>, disse Julia sorseggiando il suo tè freddo. Jet girò lo zucchero nel caffè e ne bevve un sorso: <>, rispose <> Julia alzò le spalle, come per dire che non aveva molta importanza: <> <> <>, rispose lei mettendosi una mano sotto il mento <> Jet restò con la tazza a mezz’aria, guardandola perplesso: <> <> <> Julia sospirò, girando la cannuccia nel suo tè: <> Jet posò la tazza sul tavolo: <> <> <> <> <>, Jet raccolse le parole <> <>, disse lei abbozzando un sorriso. Un altoparlante invitò i passeggeri del volo di Julia a presentarsi al check-in. I due si alzarono dal tavolo e Jet prese le due valigie di Julia, prima che lei potesse dirgli qualcosa. <> <>, rispose lui ironico. Uscirono dalla caffetteria dell’aeroporto e si diressero all’area check-in. <>, disse Julia una volta giunti a destinazione <> <>, disse Jet posando le valigie a terra <> Jet si mise una mano in tasca e ne estrasse una catenina, alla quale era attaccata una di quelle lastre metalliche con su incisi i dati dei militari. <> Julia prese l’oggetto tra le dita, sfiorandolo con i polpastrelli: <> Jet aggrottò la fronte: <<360 secondi?>> <>, disse Julia continuando a passarsi la lastra metallica tra le dita <> continuò Julia alzando gli occhi verso Jet <> <>, disse Jet sorridendo. <>, disse porgendogli la mano. Jet la strinse: <> Guardò Julia allontanarsi fino all’area check-in vera e propria. Sospirò profondamente e si allontanò a sua volta, verso il parcheggio. Guidò fino a casa in maniera regolare, con la testa sintonizzata su altre frequenze. Uscito dalla macchina, incrociò Joe e Françoise che uscivano dalla porta di casa. <>, chiese Jet rivolgendosi all’amico. <> ribatté lui con un eloquente gesto della mano <> <>, rivelò Françoise. <>, chiese Joe. <>, chiese Jet sorridendo ironicamente <> <>, disse Joe riprendendo a camminare <> Jet guardò Françoise: <> Lei allargò le braccia: <> <>, disse Joe <>, concluse Joe porgendo la mano alla ragazza. <>, disse Françoise raggiungendo Joe. Jet li guardò allontanarsi verso la scalinata che dava sulla spiaggia. Per un attimo fu tentato di seguirli, ma si rese conto che sarebbe stato decisamente di troppo. Però… <>, disse <> Joe e Françoise si voltarono. <>, disse Joe. <>, li congedò Jet. I due ripresero il loro cammino e Jet si diresse verso casa. <> Jet alzò gli occhi: <> <> rispose lui <> Jet lo guardò prima perplesso, poi sul suo volto si disegnò un sorriso: <>, convenne. <>, chiese Punma perplesso. <>, alzò le spalle Jet. <> <>, rivelò Jet entrando in casa <> Intanto Joe e Françoise stavano scendendo le scale che portavano giù in spiaggia. <>, si premurò lei. <>, rispose lui <> <> <>, disse Joe fermandosi su uno scalino. <>, chiese Françoise aggrottando la fronte. <> <>, disse lei <> <>, disse Joe ricominciando a scendere le scale e mettendo un braccio attorno alle spalle di Françoise <> Françoise rise: <> <> <>, chiarì lei. <> (Colpita e affondata ^^;)   F I N E     1[1] La ragazza usa come metro la misura statunitense. Ovvero, il 14 corrisponde al nostro 50. 1[2] Sinceramente non so se la Torre di Tokyo abbia un parcheggio sotterraneo. Facciamo che è così ^^;.