VITE AD UN BIVIO di Laus (minamiasakura@virgilio.it) (N.B.: in questa fic troverete, in alcune scene, un linguaggio scabroso ed esplicito. Il motivo lo capirete facilmente conoscendo i personaggi e considerando dove sono nati e cresciuti. Non scandalizzatevi, su ^^. Tanto se conoscete Cyborg 009 siete di sicuro tutti maggiorenni ^^) PROLOGO <> Il ragazzo continuò a correre a tutta velocità, senza preoccuparsi della gente che lo guardava, né tanto meno dell’uomo che gli inveiva contro urlando a più non posso. Nessuno cercò di fermarlo e per lui fu facile nascondersi nel labirinto di vicoli maleodoranti e pieni di spazzatura del quartiere. Vicoli che ormai conosceva come le sue tasche. Svoltò per l’ennesima volta in un’altra strada, rallentando il passo. Ormai era quasi vicino a casa e quel commerciante grasso e puzzolente di fumo poteva fare quel che voleva. Non l’avrebbe ripreso più. Scoprì la bocca, che aveva coperto con la sciarpa, e respirò un po’ dell’aria non proprio salutare del vicolo. <> Il ragazzo si voltò verso l’uomo che lo aveva chiamato, che se ne stava, come al solito, seduto su un gradino sporco di una rampa di scale traballante, bevendo avidamente da una bottiglia di bourbon di bassa qualità, nonostante fossero neanche le dieci di mattina. L’uomo gli sorrise, mostrando i denti che avrebbero avuto bisogno di una bella lavata e di un controllo da un buon dentista. <>, lo salutò il ragazzo con un cenno della mano, tirando dritto. Stan continuò a camminare fino a una scalinata di un vecchio palazzo i cui muri erano completamente ricoperti da graffiti e scritte varie. Salì sul primo gradino ma si bloccò non appena vide un uomo uscire dal portone. L’uomo si fermò sulla soglia, chiudendo ancora di più il suo cappotto nero, evidentemente sentendo il freddo dell’esterno. Portava gli occhiali da sole, nonostante di sole non si vedesse nemmeno l’illusione. Si abbassò ancora di più il cappello a tesa sugli occhi e fu allora che vide Stan. La sua bocca si curvò in una specie di ghigno: <>, gli disse mettendosi le mani in tasca <> Stan non rispose, limitandosi a guardarlo in modo piuttosto torvo. L’uomo sembrò non curarsene. Cominciò a scendere le scale, lentamente, fino a passare accanto a Stan e a continuare nella direzione da cui il ragazzo era arrivato. <>, disse quando si fu allontanato di qualche metro da Stan, alzando una mano coperta da un guanto nero, ma senza voltarsi. Stan lo seguì con lo sguardo colmo di disprezzo fino a che non fu scomparso dalla sua vista. Quindi salì di corsa le scale che lo portarono al portone. Si involò verso le scale che portavano ai piani di sopra, senza neanche guardare l’ascensore, sulla porta del quale c’era, ormai nessuno ricordava nemmeno più da quanto, un cartello che avvertiva che era “Fuori servizio”. <> Stan si fermò, arrivato ormai al primo pianerottolo, e si voltò verso l’uomo, sapendo già fin troppo bene cosa aveva da dirgli. Non gli rispose nemmeno. Aspettò che fosse lui a parlare. <>, gli disse l’uomo, che ogni giorno sembrava sempre più grasso, aspirando fumo dalla sua sigaretta <> Stan strinse le labbra e il pugno. Avrebbe voluto stamparglielo in faccia, su quella sua grossa faccia stupida e madida di sudore. Ma non poteva. <>, gli disse Stan cercando di mantenere una voce calma. L’uomo fece una smorfia di disappunto: <> Stan avrebbe voluto dirgli che neanche lui ricordava quante volte gli fosse stato chiesto di far aggiustare lo scalino che c’era poco prima del loro piano. Prima o poi qualcuno ci si sarebbe fatto male. <>, disse Stan abbassando la testa. L’uomo tornò sui suoi passi: <>, e si richiuse nel suo stanzino. Stan ricominciò a salire le scale di corsa. Doveva fare quattro piani a piedi per arrivare. Fece attenzione allo scalino pericolante, saltandolo di netto e arrivò fino alla loro porta. <> Stan stava per aprire la porta con la chiave, ma si bloccò al suono dell’ennesimo litigio dei suoi vicini. Quell’ubriacone di Jad stava di nuovo dando di matto. Perché Valerie continuava a stare con quell’essere abominevole, che non faceva altro che bere, picchiarla e chissà che altro. Restò in ascolto e sentì qualcosa frantumarsi. Forse l’ennesima bottiglia vuota. Subito dopo Clark, il loro bambino, scoppiò a piangere. Stan strinse le labbra e si decise ad aprire la porta di casa sua. <> La ragazza, seduta sul piccolo divano dalla stoffa ormai logora e sgualcita, si bloccò quando notò l’arrivo di Stan. Nick era seduto sulla poltrona, il cui stile e colore non avevano niente a che fare con quelli del divano, ma era altrettanto logora. Si tolse la testa dalle mani e alzò a sua volta lo sguardo sul ragazzo. <>, chiese Nick visibilmente sorpreso <> Stan li guardò entrambi, uno per volta: <>, rispose. In realtà era una menzogna. A scuola non ci era andato. La riteneva una perdita di tempo. La ragazza si alzò dal divano. Nick e Stan la seguirono con lo sguardo fino al frigo, da dove prese una bottiglia d’acqua per poi versarsene un bicchiere. <>, chiese Stan rivolto un po’ a tutti e due. La ragazza rimase col bicchiere a mezz’aria, per poi posarlo nuovamente sul tavolo. Nick abbassò lo sguardo, cominciando a sfregarsi lentamente le mani l’una contro l’altra. Stan spostava gli occhi da uno all’altra, studiando le loro reazioni. Fuori si sentì l’ennesima sirena spiegata della polizia, quasi la colonna sonora di quel quartiere, avvicinarsi sempre di più, fino a fermarsi. Doveva essere a non più di trecento metri da lì. <>, disse Stan dopo un bel po’ di silenzio <> Nick alzò gli occhi verso il ragazzo, visibilmente teso. Si grattò la testa: <> <>, intervenne la ragazza, quasi urlando <> <> urlò Nick alzandosi di scatto dalla poltrona dove era stato seduto fino ad allora <> Nick era rimasto in piedi, ansimante, con le mani appoggiate sui fianchi, guardando la sorella che non riusciva a fare altro che tenere lo sguardo basso, perché non aveva risposte a quelle domande <> <> <>, gli urlò Nick a muso duro <> <> <>, disse Iris guardando la bambina che era uscita dalla porta dell’unica camera da letto di quella topaia. Kerry si stava stropicciando gli occhi. Evidentemente stava dormendo e loro l’avevano svegliata. Stan si avvicinò a lei e le si inginocchiò davanti. Si mise la mano nella tasca della giacca e la porse alla bambina, a cui di colpo si illuminarono gli occhi: <> La piccola si rigirò fra le manine la barretta di cioccolata che Stan le aveva appena regalato e annuì, senza togliere gli occhi dal regalo appena ricevuto, quasi avesse paura che volasse via. Stan la prese in braccio e la riportò in camera, chiudendo la porta dietro di sé. Nick e Iris, rimasti soli nella cucina, cioè l’unica altra stanza della casa, rimasero in silenzio alcuni istanti, guardando la porta dietro la quale i due erano spariti. Poi Nick volse nuovamente lo sguardo alla sorella. I suoi occhi erano tristi e disperati, ormai quasi come se quella fosse una maschera impossibile da togliere. Era molto tempo che non la vedeva sorridere. Per lei, per loro, l’inverno era cominciato molto prima. Quel freddo gelido e pungente che adesso ghiacciava le strade di New York, loro lo sentivano ormai da tantissimo tempo. Non ricordava nemmeno più da quanto. Nick non si accorse che la sua mano si era stretta in un pugno e cominciò a parlare:<>, disse <> Iris scosse la testa: <>, disse guardandolo con occhi umidi <> Stan era rimasto con le spalle attaccate alla porta. Strinse le labbra alle parole di Iris. Quindi, sempre con Kerry in braccio che era tutta intenta a divorare la cioccolata, si avvicinò al piccolo letto della piccola e ve la mise sopra. <>, le disse rimboccandole le coperte e ripensando al coro di ubriachi che li aveva tenuti tutti quanti svegli fino alle quattro e mezzo <> <>, disse lei. Ma i suoi occhi stanchi e uno sbadiglio la tradivano. Stan le sorrise: <>, disse prendendole dalle mani la carta ormai vuota. La piccola sorrise fiduciosa e chiuse gli occhi. Stan restò a guardarla per pochi minuti, quanto le bastò per addormentarsi. Poi si sporse su di lei e la baciò dolcemente sulla fronte. Quindi si allontanò dal letto. <> La voce debole di sua madre, stesa nel letto matrimoniale in mezzo alla stanza, richiamò la sua attenzione. Stan si avvicinò a lei, e si inginocchiò accanto al letto, appoggiando le braccia sopra le coperte: <> La donna sorrise. Il suo volto mostrava tutta la sofferenza e il dolore causati dalla lunga malattia: <> Il ragazzo sorrise. Quello era un modo come un altro per non ammettere che la situazione peggiorava lentamente ogni giorno. <> <>, le disse Stan precedendola <> La donna sorrise nuovamente: <> <> La donna sorrise di nuovo, volgendo gli occhi al soffitto: <> Una smorfia di dolore le contorse il volto. <> <>, lo rassicurò lei con gli occhi chiusi <> Stan annuì, alzandosi: <> La baciò sulla guancia, rubandole un nuovo sorriso. Quindi si avviò a piccoli passi verso la porta. Prima di aprirla si portò una mano agli occhi. Non voleva che Nick e Iris lo vedessero piangere. <> da “Through the barricades”, Spandau Ballet [1] PARTE I Il yellow cab [2] si fermò a lato di un marciapiede. Il passeggero pagò la corsa e scese. Il tassista non passò un secondo di più in quel quartiere e pigiò forte sul gas, facendo fischiare le gomme e scomparendo nel giro di pochi secondi. <> Jet respirò a pieni polmoni l’aria gelida del primo inverno di New York, intrecciando le mani dietro la nuca e guardandosi intorno, come se vedesse quelle strade maleodoranti per la prima volta. Al buio della sera quelle strade sembravano ancora peggio. Non c’era nessuno in giro. E per quei pochi che c’erano, voleva dire che era meglio starne alla larga. Quel periodo di vacanza ci voleva proprio. Una macchina della polizia gli passò accanto a sirene spiegate e a tutta velocità. Jet la seguì con lo sguardo, lasciando che il colore delle luci girevoli gli illuminasse il viso e gli entrasse negli occhi. La vide scomparire come un lampo dietro un vicolo. <>, disse a voce alta scuotendo la testa <> Riprese a camminare, mettendosi le mani in tasca e guardando ogni minimo angolo della strada per imprimerselo ancora meglio in mente. Si sentì strattonare, e quasi cadde per terra. Il ragazzo che gli aveva causato la perdita dell’equilibrio si voltò appena, continuando ad allontanarsi: <> Jet scosse la testa: <> Il ragazzo non gli diede retta e si mise a correre. “Illuso”, pensò Jet, cominciando a rincorrerlo. La fuga del ragazzo durò poco. Jet lo raggiunse in pochi secondi, afferrandolo per un braccio e costringendolo a guardarlo in faccia. <>, lo supplicò il ragazzo che non poteva avere più di 14 anni <> Jet alzò gli occhi al cielo. Ma non erano riusciti a inventare qualcosa di nuovo in tutto quel tempo: <> Il ragazzo storse la bocca, rivelando tutta la sua colpevolezza nell’espressione accigliata che assunse il suo volto. Sospirò profondamente e si mise una mano nella tasca del giubbotto, tirandone fuori il portafoglio di Jet e rendendoglielo. Jet glielo strappò di mano e fece per rimetterselo nella tasca della giacca, squadrando il ragazzo, che teneva gli occhi bassi. Doveva essere portoricano, o comunque di origini ispaniche. Era magro finito. Lo sentiva chiaramente dal suo braccio, che teneva ancora fra le mani. E i suoi vestiti erano troppo grandi per lui. Magari erano riciclati dal vecchio guardaroba di qualche suo fratello maggiore. Jet sospirò: <> Il ragazzo alzò gli occhi, colmi di paura: <> <>, disse Jet ritirando fuori il portafoglio e lasciando andare il braccio del ragazzo. Tirò fuori un biglietto da 50 dollari e lo porse al ragazzo: <> Il ragazzo guardò prima Jet e poi il biglietto verde, con gli occhi improvvisamente illuminati. <>, disse Jet agitando il biglietto <> <>, rispose il ragazzo, quasi sconsolato. Jet storse la bocca: <>, gli disse in tono di rimprovero. Ma il ragazzo ancora non li prese. Jet sospirò profondamente: <> L’espressione del ragazzo cambiò di colpo: <> <> Il ragazzo prese finalmente il biglietto da 50 con la mano tremante. <> Non se lo fece ripetere due volte. Ringraziò Jet e scomparve dalla sua vista dopo pochi secondi. Jet restò fermo, guardando nella direzione in cui il ragazzo era sparito per qualche istante. Poi riprese a camminare, scuotendo la testa: <> Non era cambiato proprio niente. Era come se non se ne fosse mai andato. Anche quel buco di locale era sempre lì, al suo posto. Jet rimase fermo a guardare l’insegna di cui non andavano almeno la metà delle luci per un bel po’. Era tornato in quei luoghi, ma c’erano ferite troppo fresche nella sua anima per correre il rischio di riaprirle rincontrando chi le aveva provocate [3]. Si fece coraggio e cominciò a coprire lentamente la distanza che lo separava dal locale. Ad ogni passo che faceva sentiva il cuore aumentare il suo battito. Sulla soglia del locale si sentiva già il brusio proveniente dal piano di sotto, dove stava il locale vero e proprio. Esitò un attimo, ma finalmente si decise a scendere le scale. Il locale era pieno, come al solito. L’attenzione di quasi tutta la clientela, per la maggior parte di sesso maschile, era calamitata dalla vecchia e malfunzionante tv in bianco e nero in un angolo in alte del locale, dietro il bancone. C’era una partita dei Knickerbockers [4] trasmessa in diretta. Giocavano al Madison Square Garden. Mancavano 4 secondi di gioco effettivi alla fine del quarto quarto, l’ultimo, e i Knicks stavano perdendo di due contro i Boston Celtics. Un giocatore della squadra di casa stava per beneficiare di due tiri liberi concessigli per aver subito fallo su tiro. Se li avesse segnati tutti e due sarebbe stato l’agognato pareggio [5]. Nel bar scese un insolito silenzio, quasi avessero paura anche loro di poter deconcentrare il giocatore con ogni più piccolo rumore proveniente da lì. Il giocatore palleggiò un paio di volte a terra, guardò verso il canestro e tirò. Fuori! Un coro di invettive e “fuck” vari accompagnò l’errore e la faccia sconsolata del giocatore inquadrata impietosamente dalla telecamera. L’arbitro rese la palla al giocatore, per l’ultimo tiro libero. Stavolta fece canestro. I Celtics fecero la rimessa da fondo campo. Il tempo ricominciò a correre. A Boston bastò fare il gioco dei quattro cantoni e far passare i secondi rimasti. La sirena decretò la fine del match. I Knicks avevano perso di uno. Un coro di voci deluse e commenti acidi su “quell’idiota” si alzò nel locale. Jet sospirò. Per un attimo era ritornato a essere un tifoso. Si guardò intorno sentendosi sollevato nel vedere che non c’era nessuno di sua conoscenza. Si avvicinò al bancone, ringraziando il cielo che tanta gente era così incavolata per l’esito della partita da alzarsi e andarsene a sbollire la rabbia da un’altra parte. Si sedette e non appena la barista lo vide alzò una mano: <>, la parola gli si bloccò in gola quando riconobbe la ragazza aldilà del bancone. <>, lo precedette lei. Jet chiuse la bocca, rimasta semiaperta con l’ultima sillaba della sua birra ancora dentro: <>, disse annuendo. <>, gli chiese prendendo una birra da sotto il bancone e aprendola, per poi mettergliela davanti. Jet prese la bottiglia e ne bevve un sorso: <> Iris sorrise senza denti: <> <>, rispose lui bevendo un altro sorso di birra e guardandosi intorno. Il locale si era svuotato. Evidentemente tanta gente era venuta lì solo perché era l’unico posto nell’isolato dove potevi bere birra e guardare la partita. <>, sentì la voce di Iris dirgli dietro l’orecchio <> Jet si voltò verso di lei. Si sentì sollevato nel soppesare le parole di Iris a una a una: <>, chiese aggrottando la fronte <> Iris smise di asciugare un bicchiere, rimanendo ferma con lo straccio dentro il vetro e guardando Jet incuriosita: <> Jet strinse le labbra, annuendo: <> Iris alzò le ciglia come se fosse sorpresa: <>, disse tornando ad asciugare il bicchiere. Notò una nota di irritazione nella sua voce: <>, disse Jet distogliendo gli occhi. Iris mise il bicchiere ormai più che asciutto a posto: <>, disse <> “Cioè, dimenticatela definitivamente, caro il mio Jet.”, tradusse lui sorseggiando la birra “Non ti preoccupare Iris. L’ho già fatto non sai nemmeno da quanto.” <>, chiese lui sperando di riuscire a cambiare discorso <> Iris si mise a pulire il bancone con uno straccio: <>, disse lasciando lo straccio sul bancone e asciugandosi la fronte con l’avambraccio. Jet aggrottò la fronte: <> Iris fermò lo straccio che aveva ricominciato a strofinare sul bancone e guardò il locale. Non c’era molta gente. Phil non gli avrebbe detto niente se si fosse fermata un attimo. Sollevò lo straccio e lo buttò in malo modo sul bancone, davanti a Jet. Quindi appoggiò i gomiti sul tavolo e si mise la testa fra le mani, passandosene poi una fra i capelli, mentre l’altra andò a fare da base di appoggio al mento: <>, disse guardandolo in faccia <> Jet stava elucubrando tutta la vita degli ultimi sei mesi della ragazza che gli stava davanti e che lei stessa gli aveva raccontato in meno di 30 secondi. Sospirò profondamente: <>, disse abbassando gli occhi <> <>, disse Phil, il grasso e vecchio proprietario del locale, passando dietro a Iris con un paio di bottiglie di birra in mano. Iris si portò la mano da sotto il mento alla faccia, mentre Jet seguiva Phil con lo sguardo fino ai clienti a cui aveva preso le birre. <>, chiese poi Jet tornando a volgersi a Iris, che si teneva ancora la faccia in una mano. Lei liberò il suo volto dal palmo e annuì: <>, disse come se dovesse confessare qualcosa. <>, disse Jet sempre più incuriosito <> <>, annuì Iris a labbra strette <> Jet non capì immediatamente il significato delle ultime parole, e gli ci volle un po’ per assimilarle del tutto: <> Iris annuì e dette uno sguardo distratto all’orologio. Era quasi mezzanotte. <>, disse cominciando già a slacciarsi il grembiule nero dietro la schiena. Jet rimase stordito per un attimo: <> Iris stava già entrando nello stanzino che fungeva da spogliatoio: <> <>, le chiese Jet alzandosi in piedi. Iris alzò le spalle: <> Jet annuì e si rimise a sedere, mente Iris scomparve nello stanzino. Si tolse il grembiule nero e aprì un armadietto nel quale era riposta la sua roba. Si dette un’occhiata al piccolo specchio che era appeso all’anta. Aveva gli occhi stanchi e un aspetto orribile. Avrebbe dovuto curarsene? Non aveva forse altri problemi ben più gravi di quale fosse il suo aspetto fisico in quel momento? Che effetto le aveva fatto rivederlo? Afferrò il suo maglione di lana e se lo infilò, richiudendo l’armadietto dopo aver tirato fuori il resto delle sue cose. Si infilò la sciarpa e il cappotto che un tempo era appartenuto a sua madre, e uscì dallo stanzino. Venne fuori da dietro il bancone salutando Phil con una mano e facendo un cenno a Jet. Lui pagò il conto e la raggiunse. Uscirono dal locale e Iris rabbrividì e si strinse nel cappotto per cercare di proteggersi dal freddo pungente. Cominciarono a camminare uno a fianco all’altro, restando in silenzio per qualche istante. Gli unici rumori che si sentivano erano quelli di sottofondo della metropoli. <>, esordì Jet improvvisamente <> Iris annuì, tenendo gli occhi bassi: <> Jet annuì, respirando a fondo. <>, continuò lei alzando gli occhi verso un cielo di cui non si riuscivano a vedere le stelle. Jet non disse niente, limitandosi a continuare a camminare tenendo gli occhi bassi. Non sapeva cosa dire. Qualunque parola gli sembrava assolutamente inutile e superflua. <>, gli chiese Iris dopo qualche istante di silenzio. Jet storse la bocca in una smorfia, pensando a una storia convincente da raccontarle. Non gli venne in mente niente, ma si sentì sollevato nel capire che quella domanda significava che lei non sapeva niente: <> Iris si lasciò sfuggire una leggera risata. <>, chiese Jet senza riuscire a trovare un solo motivo valido di quell’ilarità improvvisa. Iris smise di ridere: <> <>, chiese Jet <> Iris respirò profondamente, riempiendosi i polmoni di aria gelida: <>, gli rivelò <> Jet contorse il viso in una specie di smorfia sorpresa: <> <>, disse lei sorridendo <> Jet scosse la testa e alzò gli occhi al cielo, mettendosi a ridere: <>, disse. Iris sorrise. Ma era un sorriso amaro e Jet se ne accorse, smettendo immediatamente di ridere e schiarendosi la gola. <>, disse Iris cominciando a cercare le chiavi dentro la tasca del cappotto e facendole poi uscire, lasciando che tintinnassero nella sua mano <> Jet non si era nemmeno accorto di aver salito le scale che portavano al portone insieme a lei. <>, gli chiese Iris vedendo che l’aveva seguita sulle scale. Jet sembrava perplesso: <> <>, lo rassicurò lei indovinando i suoi pensieri <> Jet strinse le labbra in una specie di sorriso: <> Seguì Iris lungo le scale: <> <>, disse Jet ironico. <>, rispose Iris <> Jet saltò lo scalino pericolante, esattamente come aveva fatto Iris. Poi quasi si scontrò contro la sua schiena, perché non si era accorto che lei si era fermata. <> Jet alzò gli occhi sopra la spalla di Iris, e vide un uomo vestito con un cappotto nero e un cappello a tesa larga sulla testa. L’uomo buttò a terra la sigaretta, spegnendola con la suola della scarpa, e alzò i suoi occhiali da sole verso di loro: <>, le disse <> <>, sibilò Iris <> L’uomo ghignò beffardo: <>, disse avvicinandosi a lei <>, si fermò e si guardò intorno come se dovesse cercare la parola più adatta <> <>, disse nuovamente Iris con voce tremante <> <>, insisté l’uomo <> Jet avrebbe voluto mollargli un pugno e spaccargli quelle lenti scure sul naso: <>, disse minaccioso. L’uomo in nero sembrò accorgersi solo allora di lui: <>, disse sprezzante <> Passò loro accanto e cominciò a scendere le scale, facendole scricchiolare ad ogni passo. Passarono alcuni secondi, dopo i quali si sentì il portone del palazzo sbattere. Iris emise un profondo respiro, come se l’avesse trattenuto fino ad allora. Jet le si parò davanti, con un’espressione interrogativa: <> Iris alzò gli occhi verso di lui, stringendosi le labbra. Poi scosse violentemente la testa: <>, disse coprendo a lunghe falcate la distanza che la separava dalla porta. Jet la fermò prima che aprisse la porta, posandole una mano sulla spalla: <> <> Iris aprì la porta e Jet la seguì dentro casa: <> <>, disse lei togliendosi il cappotto e buttandolo sul divano, per poi lasciarcisi andare sopra e massaggiarsi le tempie. Lui prese il cappotto e lo spostò sulla poltrona, per sedersi accanto a lei: <> <> <>, ripeté lui scandendo ogni minima sillaba. Iris alzò gli occhi sull’orlo delle lacrime verso di lui. Incrociò le braccia sul petto, in un ultimo inutile, tentativo di barricata. Guardò gli occhi di Jet, chiedendosi cosa c’era dentro, chiedendosi se quell’uomo davanti a lei avrebbe potuto aiutarla, in che modo. Se sarebbe servito fare quello che le sue labbra stavano cominciando a fare da sole… <> Gli occhi di tutti e due si spostarono su Nick, che era rimasto fermo sulla soglia di casa, con uno sguardo visibilmente sorpreso nel vedere l’inattesi ospite. Jet si alzò in piedi: <>, disse porgendogli la mano <> Nick guardò la mano tesa di Jet e poi guardò lui. Chiuse la porta dietro di sé e passò accanto a Jet senza stringergli la mano: <>, disse togliendosi la giacca e abbandonandola su una sedia <> Nick andò a prendersi una birra in frigo e la stappò con un gesto nervoso, bevendone poi un sorso. Jet lo guardò perplesso: un tempo erano stati grandi amici. Ma gli sembrava che qualcosa si fosse incrinato. Aveva visto un qualcosa di simile alla rabbia, all’odio, negli occhi di Nick e un tono di accusa velata nei suoi confronti. Accusa di cosa? Di non essere stato presente mentre la loro vita andava lentamente a pezzi? Come poteva sapere lui? Come poteva sapere Nick? <>, disse Jet sentendo nell’aria di non essere più il benvenuto. Si avviò verso la porta e Iris si alzò: <> <>, disse Jet notando lo sguardo severo con cui Nick guardò la sorella. <>, disse lei aprendogli la porta e uscendo prima di lui. Scesero silenziosamente le scale, fino al portone che dava sull’esterno. Iris lo aprì e uscì fuori, seguita da Jet. <>, disse Iris fermandosi sul pianerottolo tra il portone e le scale. <> Iris alzò le spalle, stringendosi nel suo maglione di lana. Era uscita senza giacca e fuori faceva veramente freddo: <> Jet annuì, non molto convinto: <>, poi mosse le labbra in una piccola smorfia, come se stesse riflettendo su qualcosa <> Iris annuì: <> <>, disse Jet cominciando a scendere le scale. <> Iris lo guardò fino a quando non fu scomparso dalla sua vista, per poi rimanere ancora lì ferma per qualche istante. Avrebbe dovuto dirgli la verità? Tutta? Fino in fondo? Ne avrebbe avuto il coraggio se Nick non fosse entrato interrompendola. Una folata di vento gelido le ricordò che era fuori. Sospirò profondamente e rientrò nel portone. Non aveva affatto voglia di affrontare Nick e tutto quello che le avrebbe detto su Jet. Ma non poteva nemmeno restare lì fuori a morire dal freddo. <>, da “I still do”, Cranberries [6] PARTE II <> Jet fece un’espressione sorpresa. Aveva cercato di nascondere quella strana sensazione che sentiva dentro. Era preoccupato. Non aveva parlato a Françoise dell’uomo in nero, di Iris, di Nick e di tutti i loro casini. Aveva cercato di farsi sentire a posto, come se tutto andasse bene. Eppure lui si era accorto che qualcosa non andava. O non era un buon attore oppure Joe lo conosceva meglio di quanto lui stesso pensasse. <>, disse Jet cercando di essere convincente e voltando lo sguardo verso le mille luci di New York <> Joe, dall’altro capo del filo, esitò un attimo. Probabilmente aveva capito che Jet aveva voluto cambiare discorso. Tuttavia rispose: <> <>, disse Jet pregustandosi la battuta <> <>, rispose Joe <> <>, chiese Jet sorpreso. Joe restò in silenzio qualche secondo: <> Jet annuì, comprendendo. Aveva voluto dire che lì in casa era impossibile starsene tranquilli. O forse non aveva voluto ammettere che non riusciva a stare senza di lei. Comunque… Bussarono alla porta. <> <> <>, disse Jet alla cornetta <> Jet appoggiò il telefono sul letto e andò alla porta: <>, chiese prima di aprire. <> Jet trasalì. Che ci faceva lì a… guardò l’orologio… erano quasi le 3 di notte. Aprì la porta e si ritrovò proprio Iris davanti. Aveva gli occhi lucidi e gonfi, quelli di una persona che aveva appena pianto. Anche una guancia era rossa e gonfia, come se qualcuno le avesse mollato un ceffone. <>, gli chiese. <>, rispose Jet togliendosi dalla soglia e facendola entrare. Quando fu dentro, richiuse la porta <> Iris si sedette sul letto, con gli occhi bassi, contorcendosi le mani l’una dentro l’altra. Vedendo che non rispondeva, Jet si inginocchiò davanti a lei e le mise le mani sulle spalle, inducendola a guardarlo in faccia: <> <> Tutti e due si voltarono verso la cornetta che era rimasta sul letto dove Jet l’aveva lasciata: <>, Jet si sdraiò sul letto per raggiungere la cornetta <> <> Jet esitò: <>, e riattaccò il telefono. Poi ci pensò su un attimo e lo staccò dalla sua base. Così nessuno l’avrebbe disturbato. Poi si ricompose a sedere sul bordo del letto, accanto ad Iris <> Iris restò in silenzio. Jet poteva sentire il suo respiro regolare, ma profondo: <>, le chiese sperando di riuscire a cavarle almeno un sì o un no. Ma lei si limitò ad annuire. Jet sospirò profondamente e si alzò per andare al frigo. Prese un grosso e capiente bicchiere di carta da sopra l’elettrodomestico, da cui estrasse una bottiglia d’acqua, versandone il contenuto nel bicchiere, fino a riempirlo. Rimettendo l’acqua nel frigo, notò l’area freezer. La aprì e ne estrasse un contenitore per ghiaccio. Andò un attimo in bagno a prendere un asciugamano e, tornato al frigo, vi mise il ghiaccio dentro, chiudendo poi l’asciugamano attorno ai cubetti. Tornò a sedersi sul letto, accanto ad Iris, porgendole il bicchiere d’acqua e quella specie di borsa del ghiaccio di fortuna. Lei prese l’una e l’altra: <>, disse bevendo un lungo sorso d’acqua e portandosi l’asciugamano alla guancia gonfia. Adesso, almeno, aveva smesso di singhiozzare. Jet restò in silenzio a guardarla ancora per qualche secondo, fino a quando Iris non ebbe staccato le sue labbra dal bicchiere: <>, le chiese. Iris sospirò: <> Jet annuì. Avrebbe dovuto immaginarlo: <> Lei rimase zitta qualche secondo, stringendo le labbra: <> <>, ripeté Jet a bassa voce <>, le chiese <> Iris si morse il labbro inferiore: <>, disse <> <> <>, lo supplicò voltandosi con gli occhi verso di lui <> Jet richiuse la bocca, rinunciando a continuare su quell’argomento. Rimase in silenzio alcuni secondi, raccogliendo le idee: <> <> <>, chiese lui tirando a indovinare <> Iris lo guardò di nuovo con gli occhi che lo pregavano di non costringerla a parlare. Ma stavolta Jet non desistette: <> <>, disse Iris abbassando gli occhi e stringendo l’asciugamano pieno di ghiaccio tra le mani. Jet rimase ancora una volta con la bocca semiaperta per la sorpresa: <> Iris alzò la testa, ma senza guardare Jet. Restò silenziosa qualche istante. Poi, lentamente, cominciò a parlare: <>, disse <>, Iris deglutì, come se stesse per ammettere qualcosa di terribile. Raccolse un profondo respiro e quando ricominciò a parlare la voce le tremava un po’ <> Jet sgranò gli occhi, ma Iris non aveva finito: <> Jet si alzò in piedi, passandosi le mani fra i capelli e cominciando a camminare nervosamente per la stanza. Arrivò davanti alla finestra, senza vedere ciò che c’era aldilà del vetro. Poi si girò nuovamente verso Iris, che adesso le dava le spalle: <> Iris annuì, anche se Jet non poteva capirlo bene: <>, disse lei <> si prese la testa fra le mani, ricominciando a singhiozzare sommessamente <> Jet la guardò qualche istante, stringendo il pugno così forte che le nocche erano diventate bianche. Aveva la sensazione di sapere fin troppo bene chi poteva aver così bisogno di corpi giovani e forti da giocare sulla disperazione della gente, pur di ottenerli. Solo loro potevano avere mezzi finanziari così ingenti da potersi permettere di pagare quelle cifre. Potevano essere soltanto loro. Quei maledetti Fantasmi Neri. Avevano bisogno di corpi per trasformarli in cyborgs come avevano fatto a lui e ai suoi compagni. Non poteva permetterglielo. Li doveva fermare. Li dovevano fermare. Si portò di nuovo davanti a lei, inginocchiandosi, davanti a lei e mettendole le mani sulle spalle. Iris lo guardò negli occhi, mettendogli istintivamente una mano sopra una di quelle che Jet aveva posato sulle sue spalle: <>, le disse <> Lei annuì: <>, gli disse cercando di sorridere <> Jet scosse la testa: <>, disse alzandosi <> strinse le labbra mettendosi le mani nelle tasche e scrollando le spalle <> <>, Iris era sorpresa, ma in pochi secondi realizzò che effettivamente non aveva nessuna voglia di tornare a casa e rischiare di litigare nuovamente con Nick. Accennò un sorriso e annuì: <> <> <>, rispose lei <> Jet si limitò a sorridere. Poi andò a prendere le chiavi lasciate sul tavolo della stanza accanto al frigo e uscì, avendo già bene in mente le prime cose da fare. Doveva contattare Gilmore e 009, per prendere accordi e preparare le prime contromisure. 005 doveva essere in Arizona. Avrebbe potuto raggiungerlo facilmente lì a New York il giorno dopo. <>, da “Hold on”, Jamie Walters [8] PARTE III Joe guardò la cornetta del telefono come se volesse mangiarla dalla rabbia. Gli aveva sbattuto il telefono in faccia! Razza di idiota. Aveva anche detto “buonanotte”! Non lo sapeva che lì in Giappone erano le 5 del pomeriggio? [9] Riattaccò il telefono sbattendolo praticamente sopra la base: <> Come fece per allontanarsi il telefono squillò nuovamente. <>, disse Joe riavvicinandosi. Riprese la cornetta in mano, con uno sguardo che a vederlo faceva paura: <> Dall’altro lato della cornetta ci furono alcuni istanti di silenzio: <> Lo sguardo di Joe cambiò radicalmente: <>, disse lui grattandosi la testa. Avrebbe voluto avere il fuoco di Chang per sprofondare sotto terra. <>, rispose lei ironica dall’altro capo del filo <> <>, rispose Joe cadendo pesantemente a sedere sul divano accanto al telefono. <> <>, tagliò corto Joe. Avrebbe dovuto dirle che aveva chiaramente sentito che qualcuno, anzi, “qualcuna” era entrata in camera sua e lui non aveva voluto dirgli chi era? <>, disse lei nuovamente ironica. <>, rispose Joe quasi stizzito. <>, gli fece notare lei. Joe sospirò profondamente, portandosi una mano alla fronte: <> <>, disse lei quasi ridendo <> Joe sorrise nel sentire il tono scherzoso con cui l’aveva detto: <>, rispose Joe ben contento di cambiare argomento <> <> Joe rimase un po’ interdetto: <> <> Lui rise: <> <> <>, le chiese Joe sdraiandosi sul divano e mettendosi comodo. Gilmore lo stava osservando da un po’, senza che Joe si fosse accorto di niente. Un vago sorriso gli si disegnò sulle labbra e decise di andare oltre. Si sentiva un po’ indiscreto. E inoltre aveva un sacco di cose da fare nel suo laboratorio. I risultati degli ultimi tests che aveva fatto su Joe erano ottimi. Sembrava che il suo fisico e il suo cervello non si fossero nemmeno accorti di essere stati in coma per qualche giorno. La porta scorrevole del laboratorio si aprì davanti a lui. Gilmore camminò nella stanza, dirigendosi verso la sua scrivania. Qualcosa, però, attirò la sua attenzione. La luce rossa lampeggiava. Era il sistema che sfruttava i satelliti in orbita intorno alla terra. Gilmore spinse un bottone e la faccia di Jet apparve su un enorme schermo: <>, disse il ragazzo con un’espressione un po’ sorpresa, guardando il minuscolo apparecchio che sembrava una specie di orologio, di quelli da portarsi nei panciotti <> Il professore sembrò piuttosto offeso: <> <>, si difese Jet. <> Jet cambiò espressione, diventando piuttosto serio: <>, disse <> Gilmore aggrottò la fronte: <> Jet si grattò la testa: <> <> <>, continuò Jet <> Gilmore si lisciò il mento con una mano, chiudendo gli occhi, come per esaminare meglio le parole di Jet: <>, chiese dopo un po’. <>, disse il ragazzo <> Gilmore sospirò: <>, disse quasi a bassa voce. Poi si rivolse nuovamente a Jet <> 002 annuì: <>, disse <> Gilmore aggrottò la fronte: <> <>, Jet si grattò la testa <> Gilmore non sembrava convinto, tuttavia annuì: <>, si raccomandò. <> La comunicazione si chiuse. La faccia del dottor Gilmore sparì dal piccolo display del microricevitore satellitare. Jet se lo rimise nella tasca dei pantaloni. Non era più grande di una bussola. Riprese la strada verso l’ascensore. Già… avrebbe trovato Iris in camera… Le aveva detto che poteva rimanere a dormire lì quella notte. Ma era veramente stata una buona idea. Un tempo lei era stata innamorata di lui. Lo sapeva. Lo aveva sempre saputo. A quei tempi Jet era un ragazzo che voleva solo vivere la vita fino in fondo, giorno per giorno. Senza preoccuparsi troppo di quello che faceva. Con un unico pensiero: vivere al massimo. Naturalmente secondo la concezione di vita che aveva allora. Mentre l’ascensore saliva, Jet si sentiva uno stupido nel pensare a come aveva passato quegli anni. Gli sembravano stupide tutte quelle cose a cui un tempo aveva dato chissà quale valore. Lui era il duro del quartiere, un capobanda. Di ragazze che si inginocchiavano ai suoi piedi ce n’erano a bizzeffe. Facevano parte del divertimento. E Iris era stata una di loro. Ma se allora non gliene era fregato assolutamente niente, adesso… si sentiva in colpa. Per lui non aveva voluto dire niente. Per lei… Cristo Santo… e pensare che aveva quasi fatto ammazzare Joe per averlo accusato ingiustamente di aver fatto la stessa cosa [11]. Un tempo gli avrebbe dato una pacca sulla spalla dicendo “così si fa”. E invece gli aveva dato un pugno, colmo di rabbia e disprezzo. Era cambiato così tanto? L’ascensore si fermò. Jet coprì a lunghe falcate la distanza che lo portò davanti alla sua camera. Stava per aprire la porta, ma prima si ricordò di bussare. <> Jet aprì lentamente la porta: <> <>, disse lei. Era seduta su un lato del letto, con le gambe raccolte contro il petto, abbracciandosele. I suoi capelli erano ancora umidi. <>, chiese a Jet quando lui ebbe richiuso la porta. Jet la guardò… imbarazzato? Nervoso? Si rese conto che quei pochi centimetri di pelle scoperta delle sue gambe che si intravedevano calamitavano i suoi occhi senza che lui riuscisse a far cambiar loro direzione. Ora che ci pensava, era la prima volta che si trovava da solo in camera con una donna da quando… <>, rispose Jet imponendosi di muoversi e dirigendosi verso l’armadio, deglutendo. Aprì l’anta e guardò dentro <> Jet prese una maglietta e un paio di shorts, a caso, e si girò per lanciarli sul letto a sua portata di mano. Ma se la ritrovò davanti. Non si era neppure accorto che si fosse mossa, tanto era stata silenziosa. O forse era lui che era troppo su di giri? Era così vicina che riusciva a sentire distintamente il profumo dello shampo. Cercò di riprendersi: <>, disse porgendole gli indumenti. Iris fece per prenderli, ma Jet mollò la presa non appena la sua mano venne sfiorata da quella di lei e la roba cadde a terra. <>, disse Jet <> <>, disse Iris chinandosi a raccogliere le cose e rialzandosi subito <> Jet era perplesso: <> <>, disse lei <> Jet capì perfettamente a cosa stesse alludendo: <> Iris sorrise: <>, disse <> <>, chiese lui aggrottando la fronte. Iris esitò qualche istante, poi scosse la testa: <>, disse allontanandosi di qualche passo da lui e dandogli le spalle. Jet la guardò allontanarsi da sé e provò quasi un senso di sollievo. Ma dopo appena un paio di passi, lei si voltò di scatto e Jet si ritrovò le sue braccia intorno al torace. L’aveva quasi fatto cadere per terra tanto l’aveva colto assolutamente di sorpresa. <> Lei alzò appena il viso: <> Jet sgranò gli occhi. Poi scosse la testa e la guardò diritto in faccia: <> Ma l’incontro con i suoi occhi fu quasi fatale. Qualunque cosa gli suggerisse la sua ragione fu sovrastata dal veemente risveglio del suo istinto. Si sentiva già pentito quando appoggiò le sue labbra su quelle di lei. Ma non bastò a fermarlo. Una voce sempre più flebile in un angolo della sua coscienza continuava a ripetergli che non doveva farlo. Ma ormai avvertiva già le mani di lei che cominciavano ad armeggiare coi suoi vestiti. La voce non si arrese e continuò a urlare. Ma Jet la sentiva appena. E smise di sentirla completamente quando l’accappatoio di Iris scivolò definitivamente a terra. Non avrebbe più sentito quella voce fino al mattino dopo. << I know it's late, I know you're weary. I know your plans don't include me. Still here we are, both of us lonely, longing for shelter from all that we see. Why should we worry? No one will care. Look at the stars so far away. We've got tonight, who needs tomorrow?>> da “We’ve got tonight”, di Kenny Rogers [12] PARTE IV <> Stan si voltò, riconoscendo al volo la voce: <>, disse continuando a camminare. Brad era un ragazzo di non più di 18 anni. Si sentiva forte nel suo giubbotto di pelle borchiato. Sogghignò in modo per niente rassicurante: <>, disse ai suoi cinque scagnozzi <> Stan cercò di non fermarsi, anche se aveva una gran voglia di tirargli un pugno su quella sua faccia da schiaffi. Ma sapeva benissimo che cosa intendeva Brad per “divertimento”. Ovvero, picchiarlo tanto per passare il tempo, torturarlo con le sigarette sulla pelle. Non voleva certo essere oggetto di quel genere di divertimento e loro erano in troppi per sperare di cavarsela con la violenza. Ma Brad si accorse del tentativo di fuga: <>, disse ai suoi. Stan si mise a correre immediatamente a tutta velocità. Dopo pochi metri si guardò indietro. Gli erano già alle costole. Improvvisamente si scontrò contro qualcosa, non appena svoltò a un angolo, e fu scaraventato a terra dall’impatto. <> Stan alzò gli occhi verso la voce che presumibilmente si rivolgeva a lui. Vide solo un enorme uomo dalla pelle rossa che lo guardava e gli tendeva una mano per aiutarlo a rialzarsi. Ma non ebbe nemmeno il tempo di rispondere, perché gli scagnozzi di Brad lo raggiunsero e lo “aiutarono” ad alzarsi in modo non proprio gentile. <>, gemette il ragazzo cercando inutilmente di liberarsi. <> Gli scagnozzi, che già se ne stavano andando trascinando con loro Stan, guardarono l’uomo. <>, disse uno di loro brandendo un coltello e sbattendone ritmicamente la lama sul palmo di una mano in modo minaccioso <> L’uomo guardò il ragazzo che aveva appena parlato e poi la lama del suo coltello: <>, chiese in tono pacato. Il ragazzo col coltello aggrottò la fronte: <> Si lanciò con il coltello in mano contro l’uomo, pronto a ficcarglielo da qualche parte. Però l’uomo gli bloccò il braccio e cominciò a stringere, facendogli cadere il coltello a terra, e facendo poi volare per terra il ragazzo. <>, gli urlò un altro lanciandosi contro di lui. Anche questo finì a terra con un solo colpo. I due che tenevano Stan lo mollarono e si lanciarono insieme contro l’uomo, ma senza migliori risultati dei loro compagni. Ne era rimasto solo uno. L’uomo lo guardò, sempre con quella sua espressione impassibile. Non era nemmeno sudato. Il ragazzo scappò via terrorizzato. E i suoi compagni lo seguirono non appena si furono rialzati. L’uomo e Stan li guardarono allontanarsi tra le strade sporche. <>, chiese allora l’uomo a Stan. Stan lo guardò. Aveva uno sguardo che incuteva tranquillità, nonostante l’aspetto. Se quella mano avesse strinto una delle sue, l’avrebbe potuta rompere. Ma a Stan non incuteva paura. Si sentiva al sicuro. Riuscì perfino ad accennare un sorriso: <> L’uomo sorrise vagamente, senza mostrare i denti. <<0… Geronimo!>> l’uomo si voltò verso la voce che evidentemente lo aveva chiamato <>, concluse l’uomo a cui apparteneva la voce raggiungendoli. <>, disse Geronimo al nuovo arrivato. <>, poi si voltò verso il ragazzo, che lo stava guardando in uno strano modo <> Il ragazzo mosse la bocca senza dire niente. Poi finalmente uscirono delle parole dalle sue labbra: <> Jet aggrottò la fronte, squadrando il ragazzo da cima a fondo. Improvvisamente i suoi occhi si illuminarono: <> Il ragazzo annuì. Gli occhi gli brillavano manco si fosse trovato al cospetto del suo giocatore di baseball preferito. <>, disse Jet <> Stan annuì. Sembrava che avesse perso il dono della parola. <>, chiese Jet. Il ragazzo strinse le labbra: <> Jet aggrottò la fronte: <> <>, si difese Stan <> Jet sospirò. Effettivamente non era lui la persona migliore per fare ramanzine del genere: <>, disse con un gesto della mano. <> Il ragazzo si voltò verso la ragazza che li stava raggiungendo a grandi falcate con un sacchetto della spesa in mano. <> <>, gli disse Iris quando li raggiunse. Stan abbassò gli occhi, senza rispondere. <>, lo rimproverò. <>, le chiese Stan <> Iris accusò il colpo. Guardò Jet, che teneva gli occhi puntati da un’altra parte, proprio per evitare di incrociare il suo sguardo. <>, mentì Iris <> <>, disse Stan in un tono quasi d’accusa. Iris sospirò: <> <>, disse Stan guardandola con uno sguardo di fuoco. <>, lo pregò lei. Stan prese il sacchetto in mano e si avviò verso casa senza dire una parola. Geronimo guardò l’uno e l’altra rimasti con lui: <> Si mise a seguire Stan da lontano, lasciando Jet e Iris da soli. <> <> Avevano cominciato a parlare nello stesso momento, e questo non fece che aumentare l’imbarazzo. Passarono alcuni pesantissimi secondi di silenzio, sul sottofondo dei rumori metropolitani. In lontananza si sentì l’ennesima sirena della polizia. <>, cominciò Jet facendosi forza <> <>, disse lei <> Jet la guardò con le labbra strette. La faceva facile lei: <>, disse <> <>, lo interruppe lei <> Jet sospirò: <> Iris lo guardò perplessa: <> disse abbassando gli occhi <<è meglio vivere riuscendo a fregarsene.>> <>, disse Jet in un tono deciso che quasi sorprese Iris. La ragazza respirò profondamente: <> Jet aggrottò la fronte: <> Iris scosse la testa: <> Jet annuì. Eccome se gli capitava. <>, continuò lei <>, disse cominciando a camminare. Lui la seguì. Camminarono in silenzio per alcun minuti. <>, chiese Jet a un certo punto. Iris si limitò ad annuire. <> Iris sospirò, rimanendo silenziosa per alcuni istanti: <> <>, chiese Jet cercando di smorzare l’audacia della domanda con un sorriso. Iris fece una specie di risata: <> <>, chiese Jet. Iris ci pensò un attimo: <>, disse infine scuotendo la testa <> Jet alzò le ciglia: <> Lei scosse la testa: <> Ormai erano arrivati a casa di Iris. Geronimo si era seduto sulle scale del condominio e si alzò non appena li vide arrivare. <>, disse Jet fermandosi sull’altro marciapiede <> <>, disse lei <> Jet annuì, ma avrebbe voluto dirle che non era così facile. Per un circa duecento motivi. Ma Iris aveva già attraversato la strada, allontanandosi da lui. Sentì un suono familiare e prese il microricevitore satellitare dalla tasca. Ne aprì il coperchio che copriva il display: <>, gli disse 009 dal display <> <>, rispose 002. <>, chiese 009. 002 si guardò intorno, mentre 005 l’aveva ormai raggiunto: <>, disse. <>, chiese Joe. Jet trasalì: <> <> Jet deglutì: <>, tagliò corto. <>, rispose Joe <> <>, sbuffò. <> Jet fece una faccia perplessa: <> <> <>, da “Human touch”, di Bruce Springsteen [13] PARTE V <> <>, sbottò Jet dando un colpo al braccio di Bretagna che gli sventolava davanti. <>, disse Bretagna incrociando le braccia sul petto <> Jet sbuffò: <>, sibilò Jet. Il suo sguardo si incrociò con quello di Joe, che non sembrava molto convinto. Jet cercò di guardare dall’altra parte. <>, chiese Gilmore riportando la conversazione al suo argomento principale. Jet annuì: <> <>, disse 004 appoggiando la testa sulle braccia posate sullo schienale della sedia sulla quale sedeva al contrario. <>, chiese 002 <> 004 alzò la testa perplesso: <> <> intervenne 009 guardando Jet con uno sguardo strano <> 002 si grattò la testa: <> <>, disse 003. Gli occhi di tutti si voltarono verso di lei, invitandola a chiarire cosa aveva voluto dire: <> continuò <> <> <>, disse Gilmore visibilmente preoccupato. <>, continuò 004 <>, concluse alzandosi di scatto e facendo sobbalzare la sedia. Nella sala di controllo del Dolphin, dove si erano riuniti tutti, cadde un silenzio assordante. <>, disse 009 <> L’anziano scienziato chiuse gli occhi, per far lavorare meglio il cervello: <>, disse <> <>, disse 009 alzandosi dal suo posto. <>, esplose 002. 009 lo guardò: <>, disse <> <>, disse Jet lanciandosi su di lui e prendendolo per il bavero <> <>, disse 009 stringendo il polso di Jet fino al punto da costringerlo a mollare la presa <> Jet sbuffò peggio di una locomotiva, tenendosi il polso che gli faceva piuttosto male. Joe gli aveva voluto ricordare chi era il più forte e chi aveva il comando. Tante volte se lo fosse dimenticato. <>, gli disse 004 dandogli una pacca sulla spalla <> <>, disse 002 ancora risentito, ma più calmo <> Jet uscì come una furia dalla stanza. <>, chiese Françoise avvicinandosi e rivolgendosi a Joe. Joe la guardò, sospirando: <> <>, lo corresse lei <> Lui respirò a fondo: <>, disse <> <>, intervenne Albert <> Françoise annuì: <>, disse alzando gli occhi. Jet, intanto, era uscito di sopra, e si era seduto lì dove il Dolphin presentava, all’esterno, l’unico punto su cui si potesse stare in piedi e camminare. Il velivolo era ammarato al largo della baia di New York. Da laggiù, nel buio profondo del largo mare, la sua città sembrava solo un enorme agglomerato di puntini luminosi. <> Jet non si voltò nemmeno: <> <>, disse lei sedendosi accanto a lui. <> <>, gli disse <> Jet strinse le labbra in una smorfia rabbiosa: <> Françoise sospirò: <> Lui non disse niente, guardando le luci della città malinconico. L’unico rumore che si sentiva era quello dell’acqua che sbatteva contro le pareti del Dolphin. Da lì si vedeva New York, ma non arrivava il suo fracasso. <> <> <> Jet annuì, ricordando: <> <>, disse lei accennando un sorriso <> Jet sospirò, soppesando quelle parole: <>, disse <>, disse alzando gli occhi al cielo. <> <> Le parole gli erano uscite di bocca come pallottole da una mitragliatrice, come se tutto d’un colpo avesse trovato le parole e il coraggio per dirlo. <> <>, disse Jet scuotendo la testa <> Françoise cominciava a capire cosa c’era scritto tra le righe di quel monologo confuso e scoordinato: <> <>, esplose lui sottolineando il tutto con le mani <> <> I due si voltarono indietro. Joe era lì in piedi, dietro di loro: <> Jet sospirò ritornando a guardare verso le luci della città: <> Joe si sedette accanto a Françoise: <> <>, gli chiese a muso duro. <>, gli chiese Joe. <> <> Jet rimase perplesso, guardando Joe. Non riusciva a capire dove volesse arrivare a parare. <>, gli tradusse Françoise <> Jet rifletté alcuni istanti su quello che gli aveva detto Françoise, sorprendendosi a porsi quella domanda. <>, rispose Jet più a se stesso che agli altri due <> <>, chiese Joe <> Jet scosse la testa: <> <> <>, disse Jet respirando a fondo <> <>, lo fermò Joe <> Jet era rimasto ad ascoltare quel lungo monologo in silenzio. Inizialmente aveva scosso la testa. Ma piano piano le parole di Joe avevano cominciato a sembrargli descrivere perfettamente come si sentiva. <>, disse accennando un sorriso. Joe sorrise: <> <> <>, chiese Françoise <> <>, disse Jet alzandosi <> <>, disse Joe scuotendo la testa. <>, disse Jet allontanandosi <> <> da “Limelight”, Alan Parsons Project [15] PARTE VI <>, chiese 007 guardando da un paio di centinaia di metri, nascosto insieme a 003 e 009 dietro un vicolo, il portone di un palazzo così fatiscente da chiedersi come facesse a restare in piedi. Ma la cosa che più gli sembrava incredibile era che la gente ci vivesse dentro. Erano le 10 del mattino e faceva un freddo indecente. <>, rispose 009 <> <> <> <>, disse 003. <>, disse 007 annoiato. Uscirono tre persone, o meglio, una ragazzo, una ragazza e una bambina. I due avevano più o meno l’età di Joe e Françoise. La bambina poteva avere al massimo due o tre anni. <>, si lamentò 007 intirizzito <> <>, lo rimproverò 003 <> <>, chiese 007 a voce bassa. <>, rispose 009, con un volume di voce minimo. 007 fece una faccia sorpresa. Avrebbe voluto chiedere perché loro lo sapevano e lui no. Ma preferì starsene zitto. <>, stava dicendo Nick ad Iris. La ragazza guardò amorevolmente la bambina che scalpitava nella sua mano: <> Nick sorrise e si inginocchiò davanti alla bambina, arruffandogli i capelli con la mano: <> La bambina annuì, ridendo: <> <>, si lasciò sfuggire Françoise dal suo punto d’ascolto. <>, le chiese il ragazzo. La bambina sorrise con l’innocenza e la naturalezza che solo una piccola di quell’età può mostrare e lasciò la mano della madre per abbracciare lo zio e dargli un bacetto su una guancia. Nick la abbracciò, a sua volta. Poi si alzò in piedi portandosela in braccio e la fece andare sopra la sua testa, tenendola ben salda e facendole vedere il mondo dall’alto: <>, le diceva ogni volta che la tirava su. La bambina sembrava divertirsi un mondo e sembrò altrettanto delusa quando Nick la rimise a terra: <>, disse a entrambe. <>, disse Iris. Nick annuì: <> La ragazza, che aveva già fatto qualche passo si voltò e inaspettatamente si trovò nell’abbraccio del fratello. <>, gli chiese quando si fu staccato da lei. <>, disse Nick sorridendo. Iris sorrise vagamente: <> <>, disse Nick annuendo <> Iris si allontanò, portando Kerry con sé e facendo ben attenzione che non lasciasse mai la sua mano. Nick restò a guardarle mentre si allontanavano lungo la strada. Le sue labbra composero un’ultima parola, prima che lui rientrasse nel portone. <>, chiese 009 <> 003 era rimasta come sorpresa da qualcosa. Stavolta 009 le mise una mano sulla spalla, scuotendola dalla specie di torpore nella quale sembrava caduta: <> <<007… cosa vuol dire so long?>>, chiese lei risvegliandosi improvvisamente. <>, rispose 007 come se fosse la domanda più scema del mondo. 003 sospirò profondamente: <>, disse <> 009 aggrottò la fronte: <> Lei si limitò a volgere lo sguardo verso di lui e ad annuire, lentamente. <>, disse 007 <> <>, disse 003 <> 007 e 009 si guardarono come storditi. Poi tutti e due guardarono nuovamente 003. <>, disse 009 <> 007 puntò il gomito a un muro, per poi appoggiare la testa sulla mano, alzando gli occhi al cielo: <> <>, disse 009. <>, chiese 007 volgendo appena le pupille verso di lui. 009 e 003 lo stavano fissando attentamente, e solo allora 007 se ne accorse. Guardò prima l’uno e poi l’altra. Quindi sospirò e incrociò le braccia sul petto, abbassando la testa e chiudendo gli occhi: <> 009 e 003 si guardarono per un breve sguardo di intesa. <>, disse 003. <>, chiese 007 sgranando gli occhi. <>, chiarì 009. <> 007 fu per dire qualcosa, ma proprio in quel momento una macchina nera si fermò davanti al palazzo. Tutti e tre si voltarono a guardarla. Ne scese un uomo vestito completamente di nero. <>, disse 009. <>, disse 003 stringendo le labbra. 009 si rivolse a 007: <> <> <>, disse 003. 007 la guardò perplesso: <> <>, gli ordinò 009 indicandola con un braccio. Ed era il tono “non ammetto repliche!” che fece deglutire 007. <>, disse 007 trasformandosi in uccello <> 007 si allontanò velocemente e in pochi secondi fu arrivato alla finestra. <>, disse 009 sbuffando e scuotendo la testa. Intanto 007 picchiettò sul vetro della finestra. <>, Nick si voltò e quando vide l’uccello fermo sul davanzale si avvicinò e aprì il vetro <> L’uccello si infilò in casa, nonostante Nick avesse cercato di coprire tutta la finestra col suo corpo. <>, Nick si voltò fulmineamente. <>, disse 007 tornato al suo aspetto normale <> <> Nick si piegò in due, colpito in pieno dal pugno allo stomaco di 007. Proprio in quel momento bussarono alla porta. “Accidenti… potevi metterci qualche secondo in più. Ora dove lo metto questo?!”, pensò 007 guardandosi nervosamente intorno. Vide una porta. Prese Nick su una spalla e lo trasportò fino a lì. Bussarono nuovamente, e stavolta così forte che 007 temette che la porta cadesse giù. <> La porta portava a uno stanzino pieno di scope. “Mi dispiace, amico, ma ti devo lasciare qui dentro.”, disse lasciando il corpo inerme di Nick dietro la porta. Bussarono una terza volta. E ancora più forte. <>, disse 007 trasformandosi in Nick. Aprì la porta e l’uomo in nero lo guardò da dietro le sue lenti scure. <>, disse l’uomo sogghignando. 007/Nick sorrise appena: <> <>, disse alzando la valigetta in modo che Nick potesse vederla. <>, disse 007/Nick senza togliersi dalla porta. L’espressione dell’uomo si rabbuiò: <> <>, disse 007/Nick <> <>, chiese l’uomo <> 007/Nick deglutì, fingendosi esitante. Un po’ di scena ci voleva: <> <> Le voci venivano da fuori. 007/Nick si voltò indietro, più perché le trovava familiari che perché interessato dal litigio in sé. <>, urlò 009 rimanendo in equilibrio precario nonostante lo spintone di 003. Gli altri due occupanti della macchina guardarono la scena divertiti. <>, urlò 003 spintonandolo nuovamente. <>, disse 009 entrando nel portone con un pass partout che funzionò al primo colpo. <>, urlò uno degli occupanti dell’auto nero <> <>, gli disse 003 stizzita <> 003 entrò e tirò quasi un sospiro di sollievo. Poi notò che 009 si era seduto a terra, con la schiena appoggiata alla porta, e stava ridendo come un matto. <>, gli chiese spazientita. Joe cercò di calmarsi per poter rispondere: <> <>, gli sibilò Françoise con uno sguardo che avrebbe potuto incenerire un bue <> Joe continuò a ridere: <> 003 restò a guardarlo scuotendo la testa per qualche secondo: <>, disse avviandosi. 009 riuscì a riprendere a fatica il controllo e la seguì lungo le scale. <> L’uomo in nero lo chiese per la quarta volta a quello che pensava essere Nick. < L’uomo sogghignò: <> 007/Nick aggrottò la fronte: <> L’uomo in nero si lasciò sfuggire un sussulto impercettibile. Ma a 007 non passò inosservato: “Bingo.”, pensò. L’uomo respirò profondamente: <>, disse <> <>, chiese 007. L’uomo sogghignò nuovamente: <> <> L’uomo sembrava cominciava a perdere la pazienza: <>, disse con voce tremante <> <>, chiese 007. <>, sibilò l’uomo <> Stavolta fu 007/Nick a sogghignare. L’uomo non ebbe nemmeno il tempo di chiedere il perché di quello strano sorriso che un colpo in testa da dietro lo fece stramazzare a terra privo di sensi. <>, disse 007 guardando l’uomo inerte a terra. Poi si rivolse ai suoi due compagni che avevano sentito tutta la parte più importante della conversazione <> 009 guardò ancora qualche secondo il corpo dell’uomo che aveva steso a terra. Poi alzò gli occhi: <> <>, chiese 007 seguendo la direzione degli occhi di 009. La valigetta con i soldi giaceva riversa a terra accanto all’uomo <> 009 raccolse la valigetta e ne andò a svuotare il contenuto sul tavolo. Prese qualcosa dalla sua tasca e ve la infilò dentro. Quindi porse nuovamente la valigetta a 007. <>, disse. 007 prese la valigetta in mano: <> <> <>, disse 007 trasformandosi nell’uomo in nero <> 009 storse la bocca. Non ci aveva pensato: <> <> <> 007 non sembrava del tutto convinto: <>, disse uscendo dalla porta. 003 e 009 rimasero soli insieme al corpo dell’uomo. <>, chiese 003 indicandolo. <>, rispose 009 prendendo di peso l’uomo sulla spalla. 003 ebbe un sussulto: <> <> <>disse lei intimandogli di fare silenzio con un gesto della mano <> 009 la guardò andare verso la porta indicatagli poco prima: <> Lei non sembrò ascoltarlo e si portò fino alla porta, aprendola lentamente. Intanto, però, un paio di colpi dall’altra parte della stanza attirarono l’attenzione di entrambi. <>, chiese 009. 003, a cui era venuto quasi un colpo, tirò un sospiro di sollievo: <>, disse <> <>, si sentì dire da dietro la porta in questione, insieme a un altro paio di colpi <> 009 posò il corpo dell’uomo a terra e andò ad aprire la porta, che 007 aveva chiuso a chiave. Quasi gli sbatté contro il naso tanta fu la veemenza con cui Nick uscì fuori. Era stata tanto furiosa la sua uscita che gli ci volle qualche passo per riuscire a fermarsi e non cadere a terra. Guardò i due estranei che si trovavano in casa sua: <>, chiese. Poi vide cha la ragazza aveva la mano sopra la maniglia della porta di camera e quest’ultima era aperta <> La ragazza lo guardò con un’espressione neutra sul volto: <>, disse. <>, disse Nick incredulo <> <>, disse lei. <> Nick si lanciò verso la porta e l’aprì. Françoise fece appena in tempo a scostarsi per non essere travolta. Vide Nick portarsi verso il letto matrimoniale al centro della stanza, dove giaceva una donna. Si portò appena sulla soglia, guardando la scena. <> Françoise restò qualche secondo in attesa. Poi scosse la testa. Avrebbe dovuto dirglielo? <> Joe si avvicinò a Françoise e si fermò accanto a lei, sulla soglia. <>, il volto di lei lo fece trasalire <> <>, rispose lei sussurrando appena, in modo che Nick non sentisse <> <> da “Tears n heaven”, Eric Clapton [16] PARTE VII Jet salì di corsa le scale, a due a due. Sull’ultimo scalino, quello del piano dell’appartamento di Iris e della sua famiglia, trovò Françoise, seduta, con il mento appoggiato sulle ginocchia. Quando si accorse dell’arrivo di Jet, che si fermò qualche scalino più giù, mosse appena gli occhi. <> Françoise chiuse gli occhi: <> Jet annuì. Aveva fatto una domanda stupida. Avrebbe voluto muoversi. Ma sarebbe stata gradita la sua presenza? Iris avrebbe voluto vederlo? O sarebbe stato meglio girare sui tacchi e tornarsene da dove era venuto? Scomparire per sempre. Mentre era assorto in questi pensieri, la sua attenzione fu catturata dalla figura piccola e delicata che uscì dalla porta dell’appartamento di Iris. Kerry aveva un orsacchiotto spelacchiato in una mano, mentre l’altra mano era alla bocca, in un gesto molto infantile. Anche Françoise notò la piccola. Kerry si sedette proprio accanto alla ragazza: <>, le chiese. Françoise sorrise: <> <>, chiese Kerry prendendo l’orsacchiotto con due mani e guardandolo negli occhi di plastica. Françoise strinse le labbra. Kerry sembrava non essersi accorta di niente. O semplicemente non aveva capito. Cercò aiuto nello sguardo di Jet. Che cosa poteva dire a quella bambina. Non voleva mentirgli. Ma anche dire la totale verità non le sembrava il caso. Jet incrociò gli occhi di Françoise e capì il suo disagio. Si sedette sullo scalino sotto il loro e sorrise a Kerry: <> Kerry annuì, accarezzando l’orsacchiotto: <> Jet sorrise: <> <> Jet annuì: <> Kerry guardò Jet con un’espressione perplessa: <> <>, disse Jet <> Kerry annuì: <>, disse > Jet scosse la testa: <> Kerry accennò un sorriso. Poi la sua attenzione fu attirata da qualcosa dietro di lei. Jet seguì la direzione del suo sguardo, incontrando la figura di Iris. C’era un qualcosa di simile al sorriso sulle sue labbra. Il contrasto con gli occhi gonfi di lacrime era evidente. <>, disse Kerry rialzandosi in piedi. Iris annuì e si inginocchiò davanti alla figlioletta che le era venuta incontro: <> Kerry annuì, quindi si rivolse a Jet: <> Jet sembrò piuttosto sorpreso: <>, chiese indicandosi. <>, disse Iris <> Jet non sembrava molto convinto, ma dopo pochi secondi annuì e si alzò: <>, disse a Kerry. <>, le chiese la bambina con un sorriso a cui era impossibile dire di no. <>, disse Jet prendendola in collo e facendola virare un po’ nell’aria tenendola nelle braccia, mentre andava verso la porta. Iris e Françoise li guardarono finché non furono scomparsi dentro l’appartamento. Dopodiché il silenzio ricadde sul piano. Quando in posti del genere succedono fatti del genere, anche chi urla sempre riprende la parola rispetto dalle parole accantonate in qualche remoto angolo della mente. Nessun urlo, litigio. Niente di niente. Perfino Hughes era venuto a fare le sue condoglianze e aveva detto a Nick e ad Iris che non solo avrebbe chiuso un occhio per un altro po’ di tempo, ma anche che se avevano bisogni di liquidi per il funerale, lui era disposto a prestare qualcosa. Glieli avrebbero ridati, aveva detto. Magari avrebbe fatto fare a Nick dei lavoretti al palazzo, facendosi ripagare a quel modo. <>, disse Iris <> <> <>, chiese Iris non tanto a Françoise, quanto a se stessa. <>, disse Françoise. <>, disse Iris <> <>, disse Françoise. Iris annuì: <>, disse mettendosi la faccia in una mano <> Françoise guardò Iris troncandole la domanda in gola: <>, disse <>, disse Iris sorridendo appena <> <<… ma non opposizione continua. O qualcosa del genere. Lo ha detto Jet.>>, disse Françoise <> Iris sorrise: <> Françoise sorrise: <>, disse <> Iris quasi rise: <> <>, rispose Françoise <> Jet e Kerry uscirono dalla porta. Kerry era letteralmente abbrancata al braccio di Jet. <>, stava supplicando Kerry saltellando come un grillo. <>, chiese Jet <> <>, mimò la bambina alzando entrambe le braccia e saltando. Jet sorrise: <>, disse prendendola con entrambe le braccia e sollevandola <> Kerry sembrava entusiasta mentre Jet la faceva girare come una trottola per aria. <>, disse Iris guardando i due divertita <> Françoise non rispose e, non sentendo niente, Iris si voltò verso di lei: <> Françoise smise di fissare Jet e Kerry e si riebbe: <> <>, disse Iris sorridendo <> Françoise sorrise: <> Iris aggrottò la fronte: <> Françoise scosse la testa: <> <>, chiese Iris sempre più sorpresa. Non tanto del fatto in sé, quanto di scoprire l’ennesima rivoluzione nella vita di un uomo che pensava di conoscere <> Françoise strinse le labbra: <> Le due tornarono a guardare Jet e Kerry che stavano ancora giocherellando. <>, disse Françoise. Iris annuì: <>, il volto di Iris si rabbuiò <>, Iris scosse la testa, facendo volare via il pensiero dalla sua mente <> Françoise la guardò perplessa: <>, chiese. Iris restò in silenzio qualche secondo: <> Non aveva risposto esattamente alla domanda, ma Françoise non ebbe il tempo di farglielo notare. “003, 002.” Entrambi i cyborgs ebbero un sussulto come sentirono la voce di 008 nelle loro radio, dentro la loro testa. “Raggiungeteci subito. Abbiamo scoperto il nascondiglio del Fantasma Nero.” <>, disse Françoise. <>, disse Jet <> La bambina, pur a malincuore, lasciò la presa. <>, disse avviandosi giù per le scale. Françoise dette un ultimo cenno di saluto ad Iris e a Kerry e lo seguì giù per le scale e fuori dal portone. Gli si affiancò sulla strada, seguendolo. <>, gli chiese quando si accorse che stavano girando quasi a caso. <> La ragazza si bloccò. E Jet si fermò appena qualche passo dopo di lei, guardandola perplesso: <> <>, sibilò lei. Jet sembrava sempre più perplesso. Alzò le spalle: <>, disse allargando le braccia <> Françoise sembrava come stordita: <> Lui fece una smorfia, come se non riuscisse a comprendere: <>, fece qualche secondo di silenzio. Poi improvvisamente scoppiò a ridere <> Lei incrociò le braccia sul petto, con un’espressione piuttosto seccata. Ne aveva abbastanza di gente che rideva di lei quel giorno: <> Jet si fermò, o almeno ci provò: <>, disse <> <>, disse stizzita lei <> Jet ebbe un ultimo sussulto di ilarità: <>, disse <> <>, disse Françoise sospirando e chiudendo gli occhi in uno slancio di esasperazione. Lui smise finalmente di ridere e annuì: <>, disse grattandosi la testa <> <>, tagliò corto Françoise <> Jet annuì e ricominciò a camminare, con lei al fianco. <> <>, rispose lui <> Jet si massaggiò lì dove Françoise aveva mollato la gomitata, sorridendo divertito. <>, gli disse lei <> <> Jet era stato diretto e conciso. Françoise aveva visto la sua espressione passare dal divertito al contratto nel giro delle sue poche parole. Si chiese se dovesse andare avanti, ma la sua bocca fu più veloce di ogni eventuale risposta a quella domanda: <> Lui contrasse ancora di più il volto, stringendosi nella sua giacca: <> Françoise trasalì. Restò silenziosa, cercando una risposta che aggirasse quell’idea che gli frullava in testa. Non la trovò. Anzi, capì che non era stata una buona idea introdurre quel discorso prima di una missione. Bastava una minima distrazione per ritrovarsi all’altro mondo. <>, disse stringendo le labbra in un sorriso tirato <> Jet la guardò perplesso. Era sicuro che gli nascondesse qualcosa… ma magari era veramente solo una sua stupida curiosità. <>, disse. Françoise si guardò intorno. Erano in mezzo a dei magazzini abbandonati. In giro non c’era nessuno. <>, disse Jet ritrovando quell’espressione divertita di poco prima. <> Jet rise: <> Anche lei rise: <> <>, disse Jet mostrando i denti <> Françoise annuì e gli salì sulle spalle: <> Jet si alzò in volo, sfrecciando veloce verso il cielo, fino oltre la coltre di smog e nuvole che copriva la città. <>, da “Song for guy”, di Elton John [18] PARTE VIII <> Gilmore guardava severamente l’uomo legato a una poltrona speciale davanti a lui. Conosceva quell’uomo. Un’intelligenza scientifica assolutamente magnifica. Adoperata e vissuta nel modo sbagliato. <>, disse l’uomo sprezzante, con lo sguardo carico di una lucida pazzia <> Gilmore lo guardò con uno sguardo carico di sdegno: <>, gli disse <> Krueger non rispose, limitandosi a guardare da un’altra parte, come se le parole del professore non l’avessero nemmeno sfiorato. La porta della stanza si aprì. <>, disse 003 entrando. Gilmore annuì: <>, disse. 003 annuì e uscì di nuovo dalla stanza, lasciando i due scienziati nuovamente soli, se si eccettuava la presenza di 001 che però dormiva profondamente sulla scrivania del dottor Gilmore. La ragazza si riavviò lungo il corridoio dal quale era venuta. Per quanto ci provasse a lasciare i pensieri da parte, la sua testolina continuava a fare congetture e a cercare vie d’uscita a quello che le sembrava evidente. A tutto si mischiava il senso di colpa per non aver detto la verità a Jet. O almeno quella che lei pensava essere la verità. “Non ho prove.”, continuava a pensare, mentendo a se stessa. <> La voce di Albert la ricatapultò nel mondo reale. Era arrivata meccanicamente nella stanza di controllo. Tutti gli occhi dei suoi compagni erano puntati su di lei. <>, le chiese nuovamente Punma <> <>, chiese Joe spazientito. >, intervenne Chang <> Joe guardò Françoise con uno sguardo che la supplicava di scagionarlo. Lei non poté fare a meno di ridere: <>, disse <> Joe sospirò: <>, poi fu come se un flash gli fosse passato per la testa <> Françoise andò a sedersi al suo posto, che era proprio accanto a lui: <>, disse armeggiando con qualche comando, mentre gli altri ridevano di gusto e Joe la guardava sconsolato. Françoise sorrise, ma il suo sorriso si spense quando, per un attimo, incontrò lo sguardo perplesso che Jet teneva su di lei. Lei distolse immediatamente gli occhi, guardando i dati forniti dal computer <> L’ilarità si spense. Adesso era ora di lavorare. Il Dolphin si fermò a distanza di sicurezza. Tutti guardarono sullo schermo principale. Erano davanti a una base sottomarina, situata a qualche decina di chilometri dalle rive di New York. <>, considerò 004 lisciandosi il mento <> <<003, riesci a vedere di quali sistemi di difesa è dotata quella base?>>, chiese 009 fissando sempre lo schermo. <>, disse lei <> <>, disse 009 riflettendo <> <>, disse 008 lavorando su alcuni tasti <> <>, disse 009 avviando il contatto radio con 007 <<007… 007, mi senti?>> Nessuna risposta. <>, disse 004 spazientito. <>, aggiunse 006. 009 tamburellava nervosamente le dita sulla console: <> <>, si sentì la voce di 007 <> <> <> <>, gli suggerì 004 sogghignando. <> 009 si prese la testa fra le mani, scuotendola, respirando profondamente nel tentativo di calmarsi: <> <> <>, gli ordinò 009. <> La comunicazione si chiuse. 007 sospirò profondamente, seduto alla scrivania di Krueger: <> Si alzò ed uscì dalla stanza, ritrovandosi in un lungo corridoio di luci al neon. Ormai conosceva bene la base e si diresse sicuro verso la sala controlli, che non era molto lontana da lì. Quando vi entrò dentro, tutti i suoi occupanti si alzarono in piedi, facendo il saluto militari. <>, disse 007/Krueger, con una voce scorbutica. Non era difficile imitare gli ufficiali dei Fantasmi Neri. Parlavano tutti allo stesso modo <> <>, disse uno dei subalterni. <>, chiese nuovamente 007/Krueger. <>, gli disse sempre lo stesso. “Bene, è lui che controlla il sistema.”, pensò 007. <>, disse 007/Krueger <> <> L’addetto al sistema di allarme si alzò e uscì dalla stanza. 007 si avvicinò alla console e la studiò, facendo attenzione che gli altri due che erano presenti in stanza non badassero a lui. Era decisamente la console che regolava il sistema di allarme. L’aveva studiata attentamente il giorno prima. I suoi compagni avrebbero fatto bene a ricredersi sul suo conto. Lui era efficientissimo. Cercò una levetta rossa, in alto, sulla sinistra. Eccola. Tramite quella leva poteva facilmente disattivare il sistema di allarme per il tempo sufficiente affinché il Dolphin entrasse nella base indisturbato. Era quella che serviva per far entrare i veicoli dei Fantasmi Neri. Apriva anche il portello di entrata sul davanti. Guardò nuovamente che nessuno badasse a lui, e spinse la leva. <>, disse 003 all’interno del Dolphin. <>, disse 009 avviando nuovamente i motori. Il Dolphin si mosse veloce. <>, disse 003. <> Il Dolphin entrò nella fessura: <>, avvisò 009 <<003, 006 vi lascio il comando del Dolphin. Gli altri si preparino a uscire.>> <>, disse 002 alzandosi e avviandosi con gli altri verso l’uscita. <>, gli intimò 009. Il Dolphin emerse dalla superficie d’acqua. <>, chiese uno degli uomini di guardia <> La guardia fu presa in pieno da una folata di proiettili sparati da 004: <> 004 cominciò a sparare sulle altre guardie, facendole fuori ad una ad una <> <>, disse 009 <> I cyborgs si divisero in due gruppi. 002, 004 e 005 presero il corridoio che sulla destra. 008 e 009 quello sulla sinistra. <>, urlò uno degli uomini nella sala controlli. <> <>, le parole del subalterno si bloccarono in gola quando vide il professore, o colui che credeva essere il professore, con una pistola in mano. <>, disse 007 sparando a entrambi. Quindi cominciò a sparare all’impazzata sui comandi della sala, mandandoli in tilt. <> 007 sparò anche all’uomo di ritorno col suo caffè: <> 009 alzò gli occhi verso le luci che cominciavano a fare le bizze, perché tutto il sistema era andato in tilt: <> <>, disse 008 fermandosi davanti a una porta <> <>, sogghignò 009 prendendo la sua pistola e cominciando ad aprire un’apertura con il laser <> I due cyborgs entrarono nella stanza, illuminata ora dal sistema elettrico di emergenza. <>, chiese 008 guardandosi intorno. <>, disse 009 indicando una specie di capsula verticale. 008 annuì: <> 009 restò a guardare, mentre 008 saliva fino alla capsula e vi attaccava la bomba. <>, disse 008 premendo un bottone sull’ordigno che fece accendere un led rosso. <> I due uscirono dal laboratorio e tornarono sui loro passi, dirigendosi verso il Dolphin, facendo facilmente fuori tutti quelli che si paravano sulla loro strada. <> 007 si unì a loro, provenendo da un altro corridoio. <>, lo salutò 009 continuando a correre <> <> <> <>, disse 007 alzando gli occhi al cielo <> <>, disse 008. Il Dolphin aveva già acceso i motori, pronto ad andare via. I tre si fiondarono dentro e il portone si richiuse dietro 009, che era entrato per ultimo. <>, disse 002 già ai comandi del Dolphin <> Il Dolphin si reimmerse sott’acqua. Con un missile distrusse il portellone che si era richiuso e uscì nel mare aperto, allontanandosi velocemente. <>, ordinò 009 quando furono a distanza di sicurezza. <> 008 premette un pulsante sulla sua console. I led rossi posti sopra i due ordigni piazzati dai cyborgs nella base dei Fantasmi Neri diventarono verdi. L’esplosione fu fortissima e causò uno spostamento d’acqua che fu avvertito chiaramente anche dal Dolphin, nonostante fosse già abbastanza lontano. Tanto che 009 e 007, che erano in piedi all’interno della sala di controllo, persero l’equilibrio e si ritrovarono per terra. <<007, ti toglieresti dal mio stomaco? Pesi.>> <>, si lamentò Bretagna alzandosi a fatica <> <>, disse 008 <> <>, suggerì Gilmore entrando. <>, ammise 008 <> <>, gli fece notare 009. Gilmore annuì: <>, disse <> 009 annuì. Il professore aveva ragione. Il Dolphin riemerse in superficie. Non appena l’operazione di emersione fu conclusa, Jet si alzò come un fulmine e prese Françoise per un braccio, costringendola ad alzarsi: <> <> <>, intervenne Joe stringendogli una spalla con una mano <> Jet si voltò verso di lui con uno sguardo di ghiaccio: <> <>, lo supplicò Françoise <> <>, urlò Jet <> <>, cercò di ribattere lei, sentendosi come un pugile alle corde. <>, gridò Jet <> Françoise rimase come se quelle parole fossero state una freccia che l’avesse colpita in pieno. <>, disse Jet spazientito strattonandola per un braccio. Lei fece una smorfia di dolore a quella mossa di Jet e questo fece saltare definitivamente i nervi a Joe, che lo prese per il bavero costringendolo a mollare la presa: <> <>, gli disse Jet stizzito <> <>, sibilò Joe lasciandolo andare con uno spintone <> <> si aggiunse Albert <> <> <>, disse Bretagna <> <>, urlò Jet. Poi fu come se un lampo gli attraversasse la mente. Rivolse lo sguardo a Françoise, che si stava ancora massaggiando il braccio e lo stava guardando sconvolta <> Lei distolse lo sguardo, serrando le labbra. Jet, che era ancora mezzo sbilenco per lo spintone di Joe, si rimise in equilibrio e si riavvicinò a lei, incurante dello sguardo inceneritore di Joe che lo avvertiva di starsene ad almeno due metri di distanza da lei. Jet la prese per le spalle e la costrinse a guardarlo: <> Joe aveva già preso Jet per una spalla pronto a mollargli un pugno non appena si fosse voltato… <>, disse lei improvvisamente, tutto d’un fiato <> La faccia di Jet si pietrificò in un’espressione a metà tra l’incredulo e l’irreale. Il suo cervello rielaborò la parole di Françoise per un numero infinito di volte, fino a quando non le ebbe metabolizzate, fino a quando non fu sicuro, certo al 100% di cosa volessero dire. <>, disse Jet senza abbandonare quella sua espressione. Ma il suo cervello si era già imbarcato a fare quei conti. Quando era successo, l’età di Kerry, il suo volto, l’atteggiamento di Iris, il risentimento inspiegabile di Nick nei suoi confronti… tutto quanto sembrava portare a lui. Solo e unicamente a lui. <>, Françoise guardava Jet che adesso aveva mollato la presa su di lei senza nemmeno accorgersene. Sentiva il dovere di spiegarle come le fosse venuta in mente quell’idea, gli indizi, tutto quanto. Soprattutto voleva dirgli che non era sicura di niente. Che era solo un’idea <> Jet aveva appoggiato i palme delle mani su una console e adesso stava dando le spalle a tutti: <>, la sua voce era bassa e calma <> I tre chiamati in causa si guardarono l’uno con l’altro. Françoise aveva già notato la somiglianza tra Jet e la bambina. Era quello che l’aveva colpita, su quel pianerottolo, mentre Iris le parlava di quanto fosse fantastica sua figlia e di come fosse felice di aver deciso di tenerla. <>, disse Joe abbassando gli occhi <> <>, aggiunse Bretagna <> Jet si limitò ad annuire, ma le sue mani si chiusero in due pugni stretti e una di loro sbatté violentemente sulla console: <>, urlò. Il pugno di Jet sulla console fece trasalire Françoise, che si sentiva in qualche modo in colpa per non avergli rivelato prima i suoi dubbi: <> <>, disse Jet sbattendo nuovamente il pugno <> Ripetendo quelle parole, lentamente, Jet si inginocchiò davanti alla console, continuando a sbattere il pugno sempre più debolmente. Lentamente le parole lasciarono spazio a un pianto sommesso, che Jet aveva inutilmente cercato di tenere dentro di sé. Gli altri si limitarono a guardarlo, senza voler in nessun modo interferire o intromettersi nel suo dolore personale. Far sentire silenziosamente il proprio appoggio era il modo migliore in cui potessero far capire a Jet che non era solo. <>, da “The space between”, di Dave Matthews Band [19] EPILOGO <> Jet si voltò verso la voce che lo aveva chiamato: <> Il ragazzo sorrise: <>, disse mostrando una borsa che portava a tracolla. Jet sorrise: <>, disse alzando gli occhi verso la finestra della casa di Stan. <>, disse Stan <>Jet trasalì nel sentire il nome della bambina: <>Stan sorrise scuotendo la testa: <> Iris apparve sul portone di casa: <> Da dietro di lei, Kerry gli passò accanto correndo felice verso Jet, saltellando come un grillo dalla gioia: <><>, disse Jet quando Kerry gli si avvinghiò a una gamba. Poi si rivolse ad Iris <>Iris lo guardò perplessa: <>, disse annuendo <><>, disse Jet sorridendo <> Iris strinse le labbra, nervosamente. Non c’era nessun motivo valido per cui dovesse dire di no: <>, disse sforzandosi di sorridere.<>, disse Jet portandosi Kerry sulle spalle <> <>, chiese Iris perplessa. <>, rispose Jet sorridendo. Iris trasalì. <>, la rassicurò lui. Stan li stava guardando senza capire bene. Jet si voltò verso di lui: <> Stan annuì: <> Jet fece un cenno ad Iris, e lei scese finalmente le scale, seguendolo. Camminarono lungo la stessa strada fatta tre anni prima, silenziosamente, almeno per un bel pezzo di strada. <>, chiese Jet improvvisamente.<>, chiese Iris facendo finta di non aver capito. <<23 mazzo.>>, rispose Kerry per lei <> <>, disse Jet <> Jet posò delicatamente Kerry a terra. Iris si stava guardando intorno: <> Jet sorrise: <>, poi si rivolse a Kerry, tenendola in braccio <> Iris stava chiedendogli cosa stesse per fare, ma le parole le si bloccarono in gola quando vide Jet alzarsi da terra e decollare lentamente verso il cielo. <>, disse Iris senza nemmeno accorgersene. Jet stava volando sopra la sua testa e Kerry sembrava felice come non lo era mai stata, ma non mollava la presa, come le aveva detto Jet. Li vide salire ancora e ancora, volare sopra la sua testa, e poi scendere per atterrare definitivamente a terra. <> <>, disse Jet. Iris annuì, perplessa. O meglio, ancora incredula. Rifecero la strada al contrario. In silenzio. Solo Kerry lo rompeva canticchiando: <> e mimando il volo con le braccia allargate. Finalmente arrivarono al portone. Iris si rivolse dolcemente alla figlioletta: <> Kerry annuì: <> Iris le sorrise come solo una madre sa fare: <> La piccola non se lo fece dire due volte corse verso Jet e alzò le braccia come a dirgli “prendimi in braccio”.Jet la prese e la portò su e lasciò che lo baciasse sulla guancia e l’abbracciasse forte: <>, gli disse la bambina nel suo personalissimo inglese.<>, rispose Jet sorridendo e dandole un bacetto sulla guancia. Quindi la rimise a terra <> Kerry annuì e corse verso il portone, scomparendovi dentro. Entrambi gli adulti restarono a guardare il portone richiudersi, rimanendo in silenzio per qualche istante. Iris si voltò verso di lui: <><>Lei era rimasta con la bocca semiaperta, la domanda bloccata sulla lingua. Le sue labbra lentamente si richiusero e la sua testa si mosse in un cenno di assenso: <><>, disse Jet zittendola con un gesto della mano <>, poi strinse le labbra e abbassò gli occhi <> Iris era troppo sorpresa per dire qualunque cosa. Restò in silenzio, distogliendo gli occhi e ripetendo mentalmente le parole di Jet, nella sua testa, metabolizzandole. Quando rialzò gli occhi per dire qualcosa si ritrovò sola in mezzo alla strada. Jet era scomparso, senza che lei se ne fosse accorta. Jet era sparito un’altra volta e questa volta aveva tutta l'aria di essere veramente un addio. Qualcosa comparve in fondo allo stomaco. Una strana emozione, un misto di rimpianto e rimorso e un qualcos'altro che non sapeva ben definire. <> La ragazza si voltò. Nick la stava guardando dal portone, con le mani in tasca. Si avvicinò a lei e le porse un fazzoletto, con cui asciugarsi le lacrime. <>, disse Iris prendendo il fazzoletto e asciugandosi gli occhi. Nick annuì: <>, disse guardando il posto dive Jet si trovava fino a pochi istanti fa <> <>, chiese Iris. Lui annuì: <>, disse <> <>, chiese lei con la voce incerta. Nick la guardò un attimo, rimanendo in silenzio: <> Il ricevitore satellitare squillò nella sua tasca, vibrando. Jet si chiese se avesse veramente voglia di rispondere, o se non fosse meglio rimanere nella sua solitudine. Se avesse lasciato squillare per un po’, chiunque fosse dall’altra parte avrebbe capito. Ma poi lo prese e lo aprì: <>, disse al compagno apparso sul piccolo lcd dell’apparecchio.<> <>, rispose Jet guardando la baia di New York immersa nella notte <> <>, scherzò Joe. Poi il suo volto tornò immediatamente serio <> Jet sospirò: <> Joe strinse le labbra, annuendo e comprendendo perfettamente cosa volesse dire Jet: <> Jet annuì: <>, disse. Poi raccolse un profondo respiro <><> <>, Jet sorrise <>Joe sorrise malinconico: <> Jet ci pensò su qualche istante, cercando un motivo valido che lo facesse tornare sui suoi passi. Un pro che superasse tutti i contro. Ma poi scosse la testa: <> Joe restò silenzioso per qualche secondo: <> Jet strinse le labbra. A quello non aveva pensato: <> <>, ammise Joe. <>, disse Jet sorridendo. <> <>, disse Jet con una punta di ilarità nella voce. <>, chiese Joe perplesso. <>, esclamò Jet alzandosi in piedi e girando su se stesso per vedere tutto il panorama, tutta la sua New York e le sue mille luci. Joe era sempre più curioso: <>Jet sorrise: <> <>, da “Iris”, Goo Goo Dolls [21] F I N E NOTE [1] Trad: <> [2] Tipico taxi newyorchese. [3] Vedi episodio #16 della Seconda Serie Televisiva [4] New York Knickerbockers, conosciuti anche più semplicemente con l’abbreviazione Knicks: è una delle squadre della NBA, il campionato professionistico americano di pallacanestro. Nelle partite in casa, giocano al Madison Square Garden. Naturalmente anche i Celtics, citata poco dopo, sono una squadra NBA. [5] Per chi non conosce il basket: le partite NBA (ora anche le nostre) si suddividono in quattro quarti da 12’ l’uno (da noi sono 10); ogni azione d’attacco può durare al massimo 24” (il che vuol dire che nella situazione descritta qui sopra resta minimo un azione di gioco); alla scadenza dei 24” la palla passa in mano all’altra squadra, che ha diritto a cominciare l’azione d’attacco (in parole povere: nel basket non puoi fare catenaccio all’infinito ^^); i tiri liberi sono, in genere, dati in seguito a fallo su tiro (ma non solo); ogni tiro libero realizzato vale 1 punto. [6] Trad: <> [7] Vedi Risvegli [8] Trad.: <> [9] Tra New York e il Giappone ci sono 14 ore di differenza. Naturalmente, il secondo è più avanti. [10] In giapponese non ci sono genere maschile e femminile come li intendiamo noi. Gli aggettivi non hanno genere. [11] Vedi Rivelazioni [12] Trad: <> [13] Trad.: <> [14] Arivedi Risvegli [15] Trad.: <> [16] Trad.: <> [17] Iris pensa che Françoise, visto il nome, provenga da una città del Québec, la regione francofona del Canada. [18] Trad.: <> [19] Trad.: <> [20] Arivedi Risvegli [21] Trad.: <>