Anno VIII (2007)-Vol.8-Pag. 1

archivio

Dermatopatologia Forum
Copertina -indici
Dermatopatologia Forum
Vol. 1, pag. 1
Dermatopatologia Forum
Vol. 1, pag. 2
Dermatopatologia Forum
Vol 1 pag. 3
Dermatopatologia Forum
Vol. 2, pag. 1
Dermatopatologia Forum
Vol. 2, pag. 2
Dermatopatologia Forum
Vol. 3, pagina 1
Dermatopatologia Forum
Vol. 3 pagina 2
Dermatopatologia Forum
Vol. 3, pag. 3
Dermatopatologia Forum
Vol. 4, pag. 1
Dermatopatologia Forum
Vol. 4, pag. 2
Dermatopatologia Forum
Vol. 5, pag. 1
Dermatopatologia Forum
Vol. 5, pag. 2
Dermatopatologia Forum
Vol. 6, pag. 1
Dermatopatologia Forum
Vol. 6, pag. 2
Dermatopatologia Forum
Vol. 7, pag. 1
Dermatopatologia Forum
Vol. 8, pag. 1
Dermatopatologia Forum
Vol. 8, pag. 2
Dermatopatologia Forum
Vol. 9, pag. 1
Dermatopatologia Forum
Vol. 9, pag. 2

Home Page
Dermatopatologia -
Dr. C. Urso

IN QUESTA PAGINA:

PAROLE E COSE NELLA DIAGNOSI DERMATOPATOLOGICA


PAROLE E COSE NELLA DIAGNOSI DERMATOPATOLOGICA,
OVVERO,
BEATA LA DERMATOPATOLOGIA CHE NON HA BISOGNO DI EROI

Un recente articolo di J. M. Mones e A. B. Ackerman è volto a dimostrare l’erroneità e la inadeguatezza dei termini nevo blu maligno e nevo blu atipico, al fine di stroncarne l’uso [1]. Nella prima parte, gli autori scorrono per 18 pagine la pertinente letteratura e, mettendo sotto accusa l’impiego del termine nevo blu maligno, affermano che un nevo blu maligno non esiste, perché il nevo blu, essendo un nevo, è una lesione benigna, e che, se alla parola nevo si applicano aggettivi come “maligno” o “metastatizzante”, si ottiene un ossimoro, un termine contraddittorio e privo di senso; che un nevo non può essere maligno e infine che le lesioni etichettate come nevi blu maligni sono melanomi, piuttosto che nevi. La conclusione è che il termine nevo blu maligno non deve essere usato e che deve essere rimpiazzato dal termine melanoma. In sintesi, gli autori respingono fermamente la terminologia usata, ma accettano certamente la realtà clinica e istologica del tumore a cui quella terminologia si riferisce. Insomma, non condividono le parole, ma condividono ciò che quelle parole indicano. Tutto questo invita ad una riflessione sulla terminologia in dermatopatologia e in medicina in generale. Prima di tutto, è da notare che, pur trovando legittimità nelle ragioni addotte contro il termine di nevo blu maligno, il termine di melanoma, proposto in alternativa appare “povero” e carente di informazioni. Melanoma infatti è un termine generico, usato per indicare vari tipi di lesioni, molto diverse tra loro, tanto che, per qualificare la parola melanoma (che, presa in sé e intendendo il melanoma maligno, indica solo che la lesione così etichettata è un tumore maligno del sistema melanocitario) si ricorre all’aggiunta di espressioni o aggettivi qualificativi, come a diffusione superficiale, nodulare, su lentigo maligna, desmoplastico e molti altri, per dare completezza all’informazione diagnostica. Pertanto, a paragone del semplice termine di melanoma, il termine di nevo blu maligno, sbagliato quanto si vuole, è molto più ricco di informazioni, perché non indica solo che la lesione è melanocitica e maligna, ma anche che non è uno dei consueti istotipi di melanoma cutaneo (melanoma a diffusione superficiale, melanoma nodulare, melanoma su lentigo maligna e melanoma acrale lentigginoso) e che più precisamente è la controparte maligna del nevo blu, permettendo di ascrivere il tumore a quel particolare gruppo di lesioni dermiche a cellule fusate e dendritiche, spesso molto pigmentate, che vengono anche raggruppate sotto il termine di melanocitosi dermiche. In secondo luogo, non si può non ricordare che i termini hanno un valore storico, che persiste anche quando, per lo sviluppo delle conoscenze, quelli possono apparire desueti o sbagliati. Alcuni termini storici della dermatopatologia possono, sotto certi punti di vista, apparire arcaici e certamente si potrebbe pensare di sostituirli con altri, più aderenti alle conoscenze attuali. Ad esempio, i termini eritroplasia di Queyrat, morbo di Bowen e cheratosi solare si riferiscono a lesioni che istologicamente sono tutti dei carcinomi in situ, il primo delle mucose, gli altri due della cute, e che così dunque potrebbero essere direttamente etichettate; il termine lentigo maligna si riferisce ad un melanoma in situ, che quindi in tal modo potrebbe essere senz’altro indicato; angiocheratoma si riferisce ad una lesione vascolare sub e intraepidermica, che quindi potrebbe chiamarsi semplicemente “angioma”. Ma non vi è dubbio che questi eventuali termini, pur puntuali ed esatti, risulterebbero nella pratica più poveri di informazioni rispetto ai vecchi. Infatti, eritroplasia di Queyrat indica una particolare forma di carcinoma in situ delle mucose, che si presenta come una chiazza rossastra e vellutata, ben definita, della regione genitale; morbo di Bowen indica un carcinoma in situ cutaneo, che clinicamente di presenta come una chiazza eritemato-squamosa; cheratosi solare indica sempre un carcinoma in situ cutaneo, ma si riferisce a lesioni cheratosiche o atrofiche, a morfologia diversa dalle forme precedenti; lentigo maligna indica una forma speciale di melanoma, morfologicamente e clinicamente molto diversa da altri melanomi in situ; infine angiocheratoma indica un angioma papulo-nodulare cheratosico di colore rosso scuro, piuttosto che una lesione piana rossa o di altro aspetto. Oltre a ciò, i termini storici, che, se riguardati in astratto, possono apparire impropri, hanno il pregio che per il continuato uso sono pienamente e immediatamente compresi da tutti, senza possibilità di equivoco, potenzialmente in agguato invece quando si cambiano le parole. Il tricoadenoma (di Nikolowski), per esempio, è un tumore pilare, che non è affatto un adenoma, perché non deriva da una ghiandola e non si differenzia affatto verso alcuna struttura ghiandolare, ma è un termine immediatamente compreso da dermatologi e medici. Se ne cambiassimo il nome, non ottenendo alcun vantaggio, aumenteremmo il rischio di errori di comunicazione tra gli operatori. Qualche anno fa Ackerman, Reddy e Soyer hanno proposto di ridenominare il carcinoma basocellulare come tricoblastoma maligno, perché più aderente alla sua natura di tumore maligno della linea pilare, ma nessuno ha seguito tale indicazione, non perché fosse sbagliata, ma perché inopportuna, per i problemi di comunicazione che si porterebbe dietro (non si fa fatica a immaginare lo sconcerto di medici e pazienti posti di fronte ad una diagnosi di tricoblastoma maligno al posto di basalioma). E se oggi si continua a chiamare tale tumore carcinoma basocellulare (basalioma), ciò avviene senza nocumento e con la sicurezza che tale termine non è soggetto ad equivoci. In definitiva, un termine può anche essere sbagliato, ma non bisogna dimenticare che un termine è solo una parola o un nome: spetta a noi dargli un contenuto, collegarlo all’esatto e aggiornato significato clinico e istologico e utilizzarlo correttamente nella comunicazione tra medici e tra medici e pazienti.

Nella seconda parte dello stesso articolo Mones e Ackerman dedicano le restanti 6 pagine finali al tentativo di demolire il concetto e il termine di nevo blu atipico. Nevo blu atipico, spiegano, è un termine confuso che non chiarisce se la lesione in studio sia un nevo o un melanoma e perciò ne va stigmatizzato l’uso. Gli autori spiegano che nella diagnosi delle lesioni melanocitiche esistono solo tre possibilità, e cioè nevo, melanoma e melanoma su nevo: altri termini eventualmente usati sono sbagliati, confusi o di comodo, perché usati di fronte ad una lesione di difficile interpretazione. Sicuramente, se i reperti istologici di una lesione permettono di raggiungere con ragionevole certezza una delle tre diagnosi di cui sopra, non c’è alcuna ragione di usare termini differenti. Ma rimane il problema, che purtroppo rimane, delle lesioni melanocitiche i cui caratteri non consentono un giudizio diagnostico sicuro. Su questi casi Mones e Ackerman, stigmatizzando l’uso di termini come nevo blu atipico o nevo di Spitz atipico, scrivono che è più onorevole dire “non lo so”. Ora, prima di tutto, non si capisce, veramente, cosa c’entri l’onore. Il dermatopatologo e il patologo, come il clinico e come ogni medico, sono chiamati a svolgere il proprio lavoro mettendo tutto il loro impegno, applicando con rigore i criteri diagnostici elaborati da studi controllati e affidabili, aggiungendo la loro cultura, il loro intuito e la loro esperienza, al fine di offrire una diagnosi accurata e di minimizzare la sempre presente possibilità di errore. Ma a tutto questo i concetti di onore, di onorabilità e simili sono estranei. I dermatopatologi (e i medici) non devono essere eroi e la dermatopatologia (e la medicina) non deve aver bisogno di eroi. Una concezione eroica o titanica del lavoro diagnostico è incredibilmente anacronistica. Inoltre, andando nello specifico, ancora una volta, l’alternativa offerta sembra di gran lunga meno conveniente. Perché, se si etichetta una lesione come nevo/tumore blu atipico o come nevo/tumore di Spitz atipico si trasmette ai clinici che siamo di fronte ad una lesione melanocitica, rispettivamente, a cellule dendritiche e fusate del gruppo dei nevi/tumori blu o a grandi cellule fusate ed epitelioidi del gruppo dei nevi/tumori di Spitz, i cui caratteri non permettono un inquadramento come lesione benigna, ma non consentono con sicurezza nemmeno di affermarne la natura maligna; di conseguenza tali lesioni indeterminate, pur con riserva, possono essere trattate come maligne con ampia escissione locale e follow-up [2]. Non si riesce a vedere in che cosa sostituire i termini di cui sopra con generico “non so” sia una scelta più utile o più vantaggiosa, in quanto tale espressione non trasmette alcuna informazione, se non che il patologo non sa interpretare la lesione che ha di fronte. E’ possibile, conoscendo il Dr. Ackerman, che la sua sia una provocazione e che “non so” detto da lui, abbia un senso particolare, indicando la eccezionale difficoltà del caso; tuttavia, è difficile negare che, quando si sente ripetere la stessa espressione da suoi epigoni, che per forza di cose non hanno l'eccezionale talento e la vasta cultura del maestro, la cosa assume contorni involontariamente umoristici. In conclusione, se si ha la capacità di fornire criteri validi, efficaci e precisi per giungere alla corretta diagnosi in tutti i casi, allora gli autori hanno ragione a dire che le categorie diagnostiche possibili nel campo delle lesioni melanocitiche sono solo 3 (nevo, melanoma e melanoma su nevo) e ogni altra categoria grigia deve essere bandita dall’armamentario diagnostico. Ma, se non siamo in grado di eliminare le zone grigie, perché comunque si deve ammettere che esiste un “non so”, tralasciamo argomenti come onore e coraggio, perché non si può nascondere la mancanza di efficacia dei nostri criteri, evidente in certi casi, dietro un preteso rigore, che non potendo scalfire le cose, pensi allora di cambiare le parole (22/03/2007).

Bibliografia
1. Mones JM, Ackerman AB. “Atypical” blue nevus, “malignant” blue nevus, and “metastasizing” blue nevus: a critique in historical perspective of three concepts flawed fatally. Am J Dermatopathol 2004; 26: 407–430
2. Wick MR. Melanocytic lesions with features of Spitz nevus. Hum Pathol 2006; 37, 779-780.