ROSTER
è il termine anglosassone per indicare quella che in Italia
indichiamo come "rosa della squadra", il roster è
infatti l'elenco dei giocatori sotto contratto con una determinata
società sportiva in un determinato campionato. In questa
pagina potrete venire a scoprire tutti i segreti che si celano dietro
ogni superstar che anima questo fantasmagorico show. Schede dettagliate,
approfondimenti, collegamenti a pagine mirate di dettaglio. Proprio
tutto per non perdersi nemmeno uno shoot sui protagonisti del circuito.
E’ proprio per tale motivazione che vi invitiamo a controllare
di tanto in tanto questo piccolo segmento di D.League, in quanto
cercheremo di aggiornarlo in tempo reale con tutti i nuovi prospetti
aderenti al progetto.
a cura di TheCoach
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KINGDOME COME |
Quando
pronunciate il termine OneWay, non fate solo riferimento ad un collettivo
di calcetto amatorialmente scenico. Dietro ci sta molto di più.
Ci sta quel concetto di vittoria assoluta come unico ideale –
un piccolo forziere da difendere coi denti sotto ogni tipo di avversità,
contro ogni tipo di avversario. E questo scrigno sta all’interno
di un castello, una struttura metal-medioevale la cui autorità
è regolata indistintamente da tre Re… i cugini Scotti.
Per anzianità Flavio, Sco e Roby; tre personalità
a tratti diverse, ma consapevoli di quello che hanno tra le mani.
Un regno da campioni valevole fortuna e gloria. “…Vedete
ragazzi, la nostra squadra è un po’ come questa via,
votata ed costretta ad essere percorsa in un unico senso. Noi, vedendo
ciò che riusciamo ad imporre sul campo, siamo allo stesso
tempo adoratori di un unico ipotetico risultato, la Vittoria. Non
esistono due facce nella medaglia, non esiste nessuna gloria per
lo sconfitto. Vincere significa stare sempre un gradino sopra tutti
gli altri. E quindi, o fai parte della soluzione, o sei parte del
problema!”. Ed è proprio con questa intro partorita
dalla mente diabolica di Flavio che nacque il concetto primordiale
di OneWay. In una sera come tante, in un pub cult per la stessa
ossatura forte del gruppo. Un cocktail e un’idea. Nulla di
più magistralmente perfetto. Il "Senso Unico" citato
appunto nel nick è dunque svelato. Pochi sotterfugi, pura
realtà di fatto. Per questo quando guardate la OneWay potrete
analizzarne l’orgoglio messo in campo, la voglia di primeggiare
ad ogni costo; non fatevi ingannare dalle serate out – quelle
capitano a tutti. Sono i re-up da leader, inscenati la settimana
dopo il crash, che specificano i campioni.
In
contrapposizione al mitologico mondo che avvolge la OneWay, eccovi
presentata la parte più urbana e underground della D.League,
l’altra metà della mela. Klosed Squad – also
knows as K.Squad – nasce proprio cosi, sui km di un’autostrada
diretta in principio verso l’ignoto. Che poi dopo sboccherà
in quel di Gardaland, è un dettaglio irrilevante ai fini
di questa prefazione. Un collettivo che agglomerava in se personaggi
dalle più svariate etnie e religioni, non poteva non fare
affidamento all’unico comune denominatore di entrambi, ovvero
l’umiltà del luogo di provenienza, la strada. Quando
si parla di K.Squad riaffiorano gli anni passati sui campetti di
periferia, all’interno dei cortili ghiaiosi, sulle gradinate
degli oratori. Tutti già allora coltivatori di una passione
probabilmente inattesa, ma che con l’avvento della D.League,
ha saputo prendere piede e diventare cosi realtà. Il nome
del collettivo, poi, è tutto un programma, a causa delle
multipli possibilità di affermazione. C’è chi
è più rilegato al titolo di un quotidiano sportivo
– Juve riecco Klose - comprato per spezzare la monotonia del
viaggio. C’è chi invece è più propenso
ad affidarsi alla cabala di frasi quali Objects in the mirror are
closer than they appear. Aggiungerci poi la formula Squad, deriva
ma un mix di vezzosità e unità di squadra : tutti
uniti per quello che deve e sarà sempre il progetto D.League.
Da sempre pronta a ricoprire diversi ruoli all’interno dello
show, la K.Squad ha da sempre avuto il pregio di mandare over chiunque
ne avesse fatto parte, o chiunque ne fosse stato avversario. Almeno
per un giorno. Una continua evoluzione di characters e stili di
gioco che ha permesso al circo della D.League di arricchirsi in
quantità e qualità. I più affezionati la definirebbero
come una sorta di benedizione. I più maligni come un centro
sociale. Noi ci amiamo definire antieroi. Per eccellenza.
JPA,
un roster che più che per amor proprio, deve la sua fama
all’intelligenza maniacale di John nel vederla proiettata
verso vertici commerciali e sportivi mai raggiunti prima. Lo scossone
mediatico che tanto – in separate sedi – si acclamava,
è in un certo senso sviluppato nei minimi dettagli dal suo
creatore, John, tesserato K.Squad fino al midollo. Nata da una costola
effettiva della stessa K.Squad, la John’s Playes Association,
sfrutta l’ampio raggio di reclutamento giocatori acquisito
per tentare la scalata del Friday Nights Lights Show. E ci teniamo
a sottolinearlo, la D.League non occupa la sola collocazione gestionale
del tutto : altri roster, più o meno rilevanti nel loro settore,
attingono da questo bacino di utenze. Un insieme di controversie
che la porteranno a proporsi alla luce dei più puritani del
genere, come Nuovo Roster Dominante del venerdì sera –
un autentico spauracchio per OneWay e K.Squad, bisognose –
a detta di John – di un serio terzo incomodo che le lanciasse
di livello. Gli ascolti necessariamente danno credito a John a al
suo gruppo; rare uscite, ma irriducibili nei dettagli. Non più
quindi ferme al precario concetto di lotta a due, ma spinte ad un’evoluzione
a tre, dove se la parte del cattivo rimaneva scoperta per esigenze
di immagine dalla rivali, la JPA era pronta ad adottarne le sembianze.
Definirla la The Dark Side of K.Squad ci sembra tutt’ora troppo.
E’ comprovato il fatto che entrambi i roster collaborino settimanalmente
per lo scambio di giocatori, come è anche ribadito il fatto
che la JPA si muova da brand indipendente. Non c’è
bisogno di vederla in campo tutte le settimane per valorizzarne
la tesi – la JPA ha dalla sua il merito dell’essere
artista del proprio nome, del proprio entourage. Il Friday Nights
Lights Show viene si posto come prima valvola di sfogo, ma certamente
non come prima priorità.
Un
roster nato per caso, forse voluto dal destino stesso. Noi ci abbiamo
visto qualcosa di più, soprattutto in termini di byrates,
di ascolti. Fare di un terzo brand la shoot di punta della stagione
in corso? Non solo. Se vi piace di più il termine, vedetela
un po’ come una sorta di rappresentativa. Definirla "Nazionale",
ci va ancora un po’ troppo larga, soprattutto per il livello
ancora non del tutto elevato dello show. Ma vi racconterò
di più. Anno 2004, fine Ottobre. Compleanno di Flavio festeggiato
al compianto Charro di Cornate d’Adda. Dopo una succulenta
mangiata messico / brasiliana viene il momento del degenero con
conseguente apertura dei regali. Tra le perle futili un cd, regalato
dal cugino Sco. Ma non un cd qualunque – bensi un album di
quelli che trovi nei cestelli dei vari ipermercati, il cui prezzo
vari tra i 2 ai 5 €. Infili la mano e ci puoi trovare di tutto,
dai canti gregoriani della mongolia orientale al country arrangiato
da un gruppo maniscalchi indios locali. Il fato volle però
porgerci il meglio. JIM CROCE – The Collection.
Album inizialmente ignorato tra risate e sguardi persi nel vuoto,
ma che nel dopo serata - soprattutto per curiosità –
costrinse il parcheggio intero ad inchinarsi a quello che parecchie
recensioni definiscono un autentico "masterpiece" del
genere. Lucrare su qualcosa di già rimasterizzato e uscito
nelle più disparte salse? Noi ci siamo riusciti, facendoci
addirittura sponsorizzare da una major!