[an error occurred while processing this directive]  
   
1975-1989
1990-2001
1975-1989
1990-2001
Ultime Produzioni
 
Indietro
S.A.T.S. 2000 di Daniele Cupini
Studio Allestimenti Tecnici per lo Spettacolo
Progettazione-Produzione Eventi Live
 

SPETTACOLI

Ieri sera al Sociale l’opera diretta da Rinaldo Rosa De Scalzo

"Bohème" a passo di corsa

La seconda opera della stagione lirica, "La Bohème" di Giacomo Puccini, è andata ieri sera in scena al teatro Sociale. Ha diretto lo spettacolo il maestro Rinaldo Rosa De Scalzo; l'orchestra era la Nova Aidem di Firenze. Regia di Giuseppe Giuliano. Il coro Ist. Co. (Istituzione Corale Romana) era diretto dal maestro Luciano Pelosi. Interpreti (e personaggi): Gabriela Cegolea (Mimi); Annabella Rossi (Musetta); Doro Antonioli (Rodolfo); Giorgio Lormi (Marcello); Tino Nava (Schaunard); Gabriele Monici (Colline); Luigi Baruffi (Parpignol); Luigi Risani (Benoit; Alcidoro); Luciano Brizzi (il sergente dei doganieri).

II teatro era affollato in ogni ordine di posti: un altro "tutto esaurito". Applausi vivissimi a scena aperta nei punti salienti e obbligati (le arie, le "romanze" che il pubblico aspetta) e alla fine degli atti; lunghi applausi e numerose chiamate al proscenio. Oltre agli applausi si è pero udita qualche espressione di dissenso. 

"La Bohème" sarà replicata dopodomani, domenica, alle ore 15,30 ("mattinata") e martedì prossimo alle ore 21 precise. 

Nel primo atto, quando Marcello, Shaunard e Colline lasciano Rodolfo per andare al caffè Momus (e di lì a poco nella soffitta entrerà Mimì), cantano: -Andiam-Andiam-. Errore. Nell’edizione di ieri sera della -Bohème- avrebbero dovuto cantare: -Corriam! Corriam!-, e uscire a passo di corsa, perché appunto a passo di corsa è stata eseguita gran parte dell’opera. Se a questo criterio di stringere i tempi si aggiunge quello del diapason alto e della sonorità eccessiva dell’orchestra, si comprenderà come siano scomparsi i delicati effetti vocali e strumentali che sono la caratteristica, l’anima di questa partitura pucciniana. E se a tutto questo si aggiunge una regia che spesso non esisteva, e che quando esisteva generava stranezze, ci si dovrà senza dubbio stupire del fatto che una serie di fatti incomprensibili abbia rovinato uno spettacolo che si preannunciava (e noi stessi l’avevamo annunciato) di sicuro successo, perché La musica di Puccini e amata da un vasto pubblico, e la compagnia di canto sembrava una sicura garanzia. Che gli interpreti abbiano avuto pregi e abbiano ricevuto applausi, e indubbio; ma che fra orchestra e cantanti non ci fosse sempre l’accordo, e che qualche volta abbiano tentato di divorziare, e altrettanto indubbio. 

Chi Ha cominciato, chi ha dato l’avvio a questo scollamento fra palcoscenico e orchestra? Non vorremmo sbagliare nel ricordo, poiché le impressioni si sono sovrapposte l’una all’altra: ma sicuramente nell’aria di Rodolfo "Che gelida manina il tenore Antonioli (che avevamo apprezzato nel -Don Carlo-) stringeva i tempi rispetto all'orchestra; andava più veloce. Nel secondo atto l’orchestra ha preso il sopravvento (in velocità e in clangore) e nel terzo atto c’è stato il "divorzio" fra orchestra e palcoscenico, perché maestro e cantanti non avevano regolato insieme gli orologi. Il risultato e che nello stupendo terzo atto c’era ben poco di pucciniano; si avvertivano assai poco nel canto, e per nulla negli strumenti, quei valori alti e delicati che si vedono nella partitura (e che sono stati realizzati altre volte in quest’opera). Perché e avvenuto questo fatto? Non sapremmo dare una risposta: ci limitiamo a riportare ciò che abbiamo udito e visto (e diremo fra poco della regia). Il maestro Rinaldo Rosa De Scalzo, che non conoscevamo prima di ieri sera, è giovanissimo: e le critiche che facciamo in questa nota non ci impediscono certo di dire che potrebbe diventare un direttore d’orchestra di notevole o grande valore, per la precisione che ci è sembrato di notare nel dare gli attacchi, per il gesto energico ed essenziale, perfino per certi effetti orchestrali, buoni per altre opere: ma forse la sua giovinezza gli impedisce di comprendere Puccini, e forse il suo temperamento lo induce a prediligere gli stacchi sempre netti, i toni forti, la rinuncia alla dolcezza dei violini. -Noi canteremo-, scrisse F. T. Marinetti nel 1909, nel primo manifesto futurista "il passo di corsa, lo schiaffo e il pugno": che avesse visto questa "prima" di "Bohème"? Ma non si capisce perché si debba dare un pugno a Giacomo Puccini... 

Vediamo gli interpreti. Gabriela Cegolea, affascinante Mimi, ha cantato con slancio lirico quella parte dell’aria "Mi chiamano Mimi" (la seconda parte, "Ma quando vien lo sgelo"), nella cui musica c’è l’anima del personaggio, l’impeto della giovinezza e dell’amore, e ha recitato e si e mossa nello spazio scenico con la grazia squisita e l’eleganza che altre volte abbiamo rilevato. Doro Antonioli ha avuto buoni momenti, ma anche, come si è detto, tempi stretti, che nella "Bohème" sono rovinosi: in qualche momento del duetto con Marcello (terzo atto) ha ritrovato vigore drammatico e sonorità vocale. Annabella Rossi e stata un’ottima scintillante Musetta, sia nel canto, sia per le doti sceniche. Giorgio Lormi ha interpretato uno dei suoi ruoli migliori, confermando le sue doti e i suoi successi. Sempre mettendo in luce le qualità individuali, perché l’insieme (e non per colpa dell’uno o dell’altro, singolarmente presi) era un po’ traballante in molte parti dell’opera, dobbiamo dir bene degli altri interpreti: e dir bene della recitazione di tutti, e delle gustose caratterizzazioni, anche di Baruffi e di Risani. Il regista, come si è detto, spesso non c’era. Nel primo atto, per esempio: con quel vetrone del lucernario senza effetti luminosi; quelle strane manovre di Mimì e di Rodolfo per spegnere i lumi; quello scialle scuro di Mimi, così poco adatto al costume e al personaggio. Ma il -clou- del regista è stato nel secondo atto: non perché le case fossero così buie, un paesaggio amorfo; non per il drappello di soldati che fa il giretto intorno al tavolino; ma per l’invenzione di quel tizio in abito da sera, con il quale Musetta parla confidenzialmente senza che Alcindoro geloso si adonti; un personaggio che non si sa chi sia e perché sia li; poiché nel libretto Musetta tiene sempre d’occhio Marcello, canta per lui, lo eccita, lo fa irritare, lo sfida: e poi si ricongiunge a lui. Noi non abbiamo capito 1’arcano simbolo del giovane in abito da sera: e neanche abbiamo capito perché si muovesse con indolenza, mentre l’opera correva... 

Una catastrofe, dunque? Ma no, a tutto si può rimediare: solo che si voglia, naturalmente. Il maestro e gli interpreti hanno doti ineguagliabili e potrebbero, se regolassero insieme i loro orologi, fare di questa edizione brutta una bella edizione di Bohème. Perché i cantanti, nel complesso, ci sono: si dirà che la voce di Gabriela Cegolea non è quella ideale per "La Bohème", ma la sua interpretazione, se curata, se distesa nel tempo necessario, con le doti che ella ha, può risultare abissalmente diversa da quella di ieri sera. Attendevamo tanto il suo duetto con Rodolfo nel terzo atto, per la gamma di sfumature psicologiche e vocali che doveva dispiegare: abbiamo udito una veloce fugo di sillabe. Abbiamo fatto un esempio, citando la protagonista; ma dovremmo dire così di altri interpreti. 

Pensiamo che alla seconda e alla terza recita (che forse sarebbe stato bene cominciare alle 20,30, per evitare il nervosismo e la fretta di non oltrepassare un certo orario. nervosismo e fretta pericolo- si, quando salgono sul podio e in palcoscenico) alla seconda o terza recita, dicevamo, tutto potrebbe andare meglio, e si udrebbero voci, strumenti, effetti, sfumature, i -piano- e i -pianissimo-. Come merita il pubblico, e come merita anche il complesso di questi interpreti.

Ubaldo Serbo

Da "La Provincia" del 12 novembre 1982 (Mantova)

Indietro