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A Bologna in "Vestire gli ignudi" con la regia di Giancarlo Sepe

LA STRANA STORIA DI ERSILIA DREI PER IL RITORNO DELLA MELATO 

di UGO VOLLI

BOLOGNA - Ersilia Drei, avendo tentato il suicidio in un giardino di Roma, ha poi raccontato al cronista una storia di promesse matrimoniali infrante, di una bambina affidatale caduta da una terrazza, della crudeltà dei padroni che l' hanno licenziata innocente. Uno scrittore si commuove e l' accoglie in casa sua, con qualche vaga idea d' amore. Ma, gradualmente, la verità si complica; il fidanzato traditore accorre abbandonando la sua nuova promessa sposa, ma Ersilia non vuole la riparazione. Anche le confidenze dello scrittore sono accolte a fatica, e c' è la confessione di un episodio di adescamento. Il padrone crudele smentisce il giornale e poi appare di persona, facendoci sapere di una tresca fra lui e Ersilia, che viene scoperta anche dagli altri. La pietà si volge in accusa. Ersilia non appare più vittima ma civetta intrigante. La sola strada per lei è un secondo suicidio, con la pubblica confessione di aver mentito sì, ma non per interesse: solo per figurarsi una mediocre felicità in vista della propria morte. Vestire, gli ignudi, oltre alla solita tematica pirandelliana delle maschere e del teatro nel teatro (lo scrittore parla molto della commedia che trarrà dal caso), contiene un' analisi profonda e devastante della condizione femminile, che oggi ci appare più radicale di quanto Pirandello stesso non potesse pensare. Vittima o avventuriera, comunque Ersilia è stretta nelle maglie della seduzione e della dipendenza che imprigionano il suo ruolo sociale, e non può uscirne se non con la morte. In tempi non troppo lontani, ma maggiormente disposti, anche a teatro, alla riflessione sull' oppressione delle classi e dei sessi, Massimo Castri creò una bellissima versione di questo dramma, in cui crudeli e ripetitivi come corvi, gli uomini (anzi i Signori) si accanivano contro la passività di Ersilia. Ora Giancarlo Sepe ne ha dato un' allestimento completamente diverso, che non ha la pretesa di lottare contro il testo per vederne le ragioni nascoste, ma cerca solo di renderlo plausibile e interessante. Ecco dunque gli abiti moderni e la bellissima scena di Paolo Tommasi: le facciate di una strada, con finestre semiaperte, televisioni azzurrastre, luci che si accendono e si spengono, il tutto intravisto al di là dei finestroni di una sorta di studio. Ecco la colonna sonora "psicologica" da film, la recitazione che aspira (spesso senza riuscirci) a una naturalezza altrettanto cinematografica, ecco il ritmo accelerato dello svolgimento, coi colpi di scena che si succedono. A questa impostazione si oppone la scrittura di Pirandello, che si sforza sì di sembrare quotidiana, ma in una lingua che ormai è storia; e anche la sostanza psicologica della vicenda, molto legata a valori come la verginità obbligatoria e a istituzioni come il fidanzamento formale, che sono usciti da tempo dal costume. E resiste anche lo strumento del teatro, molto inadeguato oggi a far commuovere con una trama che con le opportune modifiche funzionerebbe meravigliosamente da telenovela in tv. In realtà questo allestimento funziona soprattutto come contesto intelligente e suggestivo per una grande prestazione d' attrice, che va apprezzata come tale, e cioè il lavoro di Mariangela Melato. Con questo spettacolo non "torna alle scene" la Melato come si è detto, perché le ha sempre frequentate a intervalli, ma certo si conferma la sola attrice italiana. A frequentare con la stessa bravura cinema e teatro, secondo un modello diffuso in Germania e in Inghilterra, e affronta questa volta una prova particolarmente impegnativa. Anche la Ersilia della Melato non cerca di uscire dalla tradizione del personaggio, ma solo di modernizzarla: i suoi accenni di rivolta, o lo sfruttamento cui essa è evidentemente sottoposta non sono qui utilizzati per esempio in senso pre-femminista, come sarebbe facile; non c' è lotta col copione per dire qualcosa di nuovo, o giudicarlo. Solo questa Ersilia è più nervosa, più vibrante, più inquieta di quel che non sarebbe stata in altri tempi. Ma per il resto, l' interpretazione della Melato è convincentemente tradizionale: svenimenti e confessioni, dolore e  stanchezza, sono resi con impeto e fragilità fisica, una certa rigorosa durezza e molta abilità scenica e riempiono bene il contenitore di Sepe, provocando nel pubblico emozione e ammirazione. Degli altri attori, importa segnalare il Console di Luigi Diberti, compassato un po' rigido ma più credibile degli altri come ingranaggio in questa macchina di morte.

la Repubblica - Giovedì, 28 marzo 1985

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