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Rifletteva, nel suo bagno di sudore, in un dormiveglia opaco,
nell'agitata immobilità dell'aria calda della prima
sera.
Era andata a letto presto, sperando di addormentarsi
presto, per offuscare presto i bagliori lancinanti, le
scene al rallentatore, silenziose, roventi, che si
ripetevano nella mente senza mantenere un ordine preciso o comunque mai
lo stesso ordine. Scene di vita ordinaria, rotta di tanto in tanto
da una fugace emozione, da un picco di gioia, o un'onda di dolore.
Quanta alternanza di bianco, rosso, nero, grigio, nella sua vita!
Il bianco dei fogli in cui scriveva le storie che avrebbe voluto
vivere, il rosso delle passioni che la consumavano in
silenzio, il nero delle tenebre in cui si sentiva avvolta,
il grigio di un cielo sotto il quale camminava a testa
bassa, tra gente infagottata e distratta che si sfregava le
mani infilate in guanti di lana d'angora.
Non c'era il
rosa, nella sua vita, il rosa
di un sorriso di bimbo che sboccia, né il celeste, compatto, di
un calmo lago di tranquillità. Né c'era il sole, tranne qualche
piccolo raggio che le scaldava un cuore
palpitante che troppo spesso costringeva
a rallentare in preda all'ennesima delusione.
Liberando i piedi
bollenti dai calzettoni che aveva
indossato per semplice abitudine, rigustava quelle
scene con il loro sapore ora dolce ora amaro, soffermandosi
su quelle che più le pungevano gli occhi, come a sperare in un
processo di abituazione, illudendosi che la visione ripetuta più
e più volte alla fine le facesse meno male, o cercando
particolari che le facessero interpretare le
vicende in maniera diversa, particolari
che non aveva ancora scorto... e che non scorgeva.
Particolari che non c'erano.
Gesti indelebili, labbra che si
muovevano in ghigni canzonatori, balli ipnotici.
Lei, la spettatrice di sempre, c'era
ma non c'era, fuori dal campo,
all'ombra delle luci della ribalta, osservava,
ascoltava parole inudibili, e sentiva
dentro se un crescendo di domande sul
suo ruolo, sulla storia del suo personaggio, ma
al momento di uscire fuori si rifiutava di recitare, ricordandosi di
essere, in fondo, soltanto una comparsa.
Il ticchettio di un piccolo
orologio posato sul comodino sussurrava
una ninna nanna, ma nessuno la cullava come quando era
bambina, perché bambina non era più.
Ora aveva le sue responsabilità.
Era responsabile delle sue non-azioni, non-parole,
non-partecipazioni.
Ma salire sul palco costava sempre più fatica, un piede dietro
l'altro, su quelle scale di legno un po' dissestate rosicate dai
tarli, con le scarpe dai tacchi alti, scomode, che fanno
venire i calli sotto l'alluce.
Le scene si ripetevano nella mente
come nella vita. Cosa cercava era solo un po' di balsamo per il suo
cuore, ma non era in vendita al supermercato della
profumeria, né al mercatino delle pulci; i
grossisti non sapevano neanche cosa
fosse, e ricorrere direttamente al
produttore era arduo: chissà in quale arcana nazione ce ne fossero
fabbriche?
Non ne trovava, allora cercava di produrne artigianalmente, una sorta di
magico farmaco per cuori doloranti come il
suo. Così dalle sue mani scaturiva
una energia impalpabile ma densa; stendeva le
dita affusolate e la faceva sgorgare, rimanendone tutta
scombussolata. La disperdeva a fasci ma non a caso,
mirava un bersaglio preciso, un'anima da riscaldare, e la
ricopriva delicatamente di tale energia.
Ma essa non si scaldava, o almeno lei non lo sapeva, nessuno
gliene rendeva grazie, ma a lei non importava,
apparentemente.
Desiderava dare ad altri ciò che lei non
trovava, ma ogni volta ne usciva più stremata, più
desolata, più sola che mai. Perché la solitudine, ahimè, da tempo,
ormai, le pesava.
Il sudore le si era gelato
sulla fronte e sulla schiena, le dita dei piedi e delle mani
si erano intirizzite; "Chissà se le
unghie e le labbra sono viola?"
si trovò a chiedersi, e quasi sorrideva
mentre lo pensava: una tinta di colore nella notte buia sarebbe
stato un diversivo, un puntino nello scuro trasparente della sua anima.
Il calorifero si era spento; tutto taceva, tranne il ticchettio
dell'orologio, tranne i singulti di un cane vecchio e
malandato che dormiva rattrappito su uno scendiletto vecchio e
malandato come lui.
Un cuore, che una volta era
espanso ad abbracciare il mondo, ad un tratto si contrae,
triste per abbracci non ricevuti, ora si è richiuso in se stesso,
collassato piano piano.
Lacrime fuggitive sono ferme sulle ciglia, non scendono, cristallizzate,
scintillanti alla luce di un lumicino. Un sospiro profondo e il cuore si
è fermato. Il cane, svegliato in un sussulto, ha cominciato
ad abbaiare.
Una giovane straniera è entrata lentamente nella stanza, ha
poggiato una mano sulla fronte gelata, ha toccato appena un polso
esangue. Ha accarezzato il cane: "Poverino, sei rimasto senza
padrona".
Ora apre la porta, e mentre il cane ulula, si rivolge a qualcuno, nel
corridoio:
"La vecchia è morta."
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