RICORDI

 

 

Credo di avere un certo talento nell’inventare delle storie, ma mi rendo sempre più conto che quelle che mi rimangono veramente impresse segnandomi a fondo sono le storie vere che vivo ogni giorno.

Fatti quotidiani od avvenimenti inconsueti che porto con me senza neanche accorgermene. Solo quando alcuni particolari, a prima vista insignificanti, fanno riemergere certe esperienze, capisco l’ importanza di alcuni momenti, di alcuni gesti, di alcune parole e sento la necessità di trasmettere queste mie sensazioni.

Così è successo anche questa volta, quando ho letto di un concorso di scrittura che aveva come tema il riso. Tanti ricordi mi sono tornati in mente ed emozioni nascoste, ma mai dimenticate sono riemerse per far sentire il loro richiamo. E’ per questo che voglio raccontarvi questo piccolo episodio, una vicenda vera di cui ho cambiato solo alcuni nomi, per rispetto di quelle persone che mi piace pensare di poter chiamare amici, ma che altri preferiscono credere che neanche esistano...

Tutto iniziò quando mi accorsi che, forse, svolgere il servizio militare non era l’unico modo che avevo per servire la mia patria. Mi informai e decisi di optare per un anno di servizio civile. All’epoca le considerazioni che mi portarono ad una scelta del genere furono molte e, certamente, non tutte di carattere altruistico, ma niente di tutto quello che potevo pensare mi avrebbe preparato a ciò che incontrai in seguito. Avevo parlato col mio parroco e si era deciso di prendere contatti con la Caritas in modo tale da poter prestare servizio nella mia parrocchia, in aiuto ai minori in difficoltà. Ed in effetti per tutto l’anno precedente alla mia chiamata di leva, svolsi il mio tirocinio di preparazione accanto ai bambini.

Evidentemente però, Dio, o chi per lui, aveva deciso che le cose dovevano andare ben diversamente. Così, quando giunse il momento della partenza, mi ritrovai in un mondo che non conoscevo se non per sentito dire e che avevo sempre cercato di evitare. Assieme ad altri due ragazzi che come me avevano fatto quella scelta di servizio, Flaviano e Roberto, vissi accanto ad alcune persone che, rifiutate da tutti e da tutto, erano state raccolte dalla strada nel tentativo di dar loro quello che nessun altro gli aveva mai dato: l’amore.

Noi vivevamo con queste persone, li aiutavamo nei piccoli problemi di ogni giorno, cucinavamo per loro, mangiavamo con loro, discutevamo con loro...

Molte volte mi sono sentito come un naufrago perso nell'infinito e avrei voluto fuggire via se avessi potuto, ma solo ora mi rendo conto di come in realtà loro fossero divenuti per me una famiglia e di quanto mi manchino.

Ognuno di loro aveva problemi molto seri, chi con l’alcool, chi con la propria testa, ma la cosa che mi stupiva di più, turbandomi, era che tutti avevano qualcuno: un padre, una madre, un fratello... eppure nessuno li voleva. Devo ammettere che alle volte non era facile evitare di lasciarsi andare e credo che se non fosse stato per le lunghe chiacchierate con Roberto e Flaviano e l’aiuto di alcuni volontari non so se ce l’avrei fatta.

Le liti e le tensioni in quella casa non erano infrequenti, ma ripensandoci adesso mi accorgo che molto spesso non lo sono neanche nelle nostre famiglie. Allora perchè stupirsi se accadevano là, dove ciascuno aveva dei problemi molto seri, ma diversi dagli altri?

Le differenze e le difficoltà erano tante, ma c’era un momento, un attimo particolare in cui questo spariva e si ritrovava il sorriso e l’unità, dimenticando per un attimo tutto.

Flaviano aveva una particolarità, veniva da Isola della Scala ed era tremendamente bravo a preparare i risotti, ma in particolare quello col "tastasal", un vero capolavoro. Quando aveva intenzione di cucinarlo, cominciava ad avvertirci alcuni giorni prima, ed allora si iniziava già a pregustarne il sapore, gli occhi brillavano ed i sorrisi accendevano gli animi. Io e Roberto cercavamo di liberarci da altri impegni per quella sera e molto spesso anche alcuni dei volontari prenotavano il loro posto a tavola.

Arrivava poi il momento del giorno fatidico e Flaviano si metteva in movimento sin dal mattino, per lui era come un rito. Nel pomeriggio si chiudeva in cucina e non c’era verso di distrarlo dai fornelli. Tutto doveva essere perfetto, soprattutto il riso che portava direttamente da Isola.

Spesso si faceva aiutare da qualcuno dei nostri ragazzi e non credo che esistano parole per descrivere la gioia di quei volti, contenti di sentirsi utili. Quella sera era una gara per apparecchiare e tutti rincasavano molto prima del loro orario abituale.

Si creava un’ atmosfera d’attesa quasi magica, sembrava che i problemi quotidiani fossero scomparsi, sepolti in qualche angolo remoto di quella grande casa.

Finalmente Flaviano annunciava di mettersi a tavola e mentre l’odore del "tastasal" ci preannunciava la prelibatezza di quel riso che da lì a poco avrebbe riempito i nostri piatti, guardavo gli occhi dei miei amici e mi rendevo conto che per quella sera, per quella cena, finchè fosse durato l’incantesimo di quei magici sapori non ci sarebbero state liti, urla o tensioni, ma solo una grande famiglia dove ogni problema può essere superato con un po' di amore.

Questi sono i ricordi che suscita in me il pensiero del riso, ho voluto trasmetterli anche a voi che leggete queste righe, perchè non si perdano col passare del tempo, ma rimangano a testimonianza che molte volte le cose piccole, semplici sono alla base dei momenti più grandi, più belli.

 


  Se ti è piaciuto, oppure no, non dimenticare di farmelo sapere. Questor Erendyl

 

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