Sanniti - Note sulle fortificazioni in territorio aufidenate.
 

 
Note sulle fortificazioni sannitiche
in territorio aufidenate.

Ezio Mattiocco

 

La scoperta della vasta necropoli di Campo Consolino e dell'insediamento sannitico della valle del Curino presso Alfedena (AQ), parzialmente esplorati a partire dal 1877 prima da Antonio De Nino e poi da Lucio Mariani (1), ebbe subito larga risonanza al di fuori degli stretti confini regionali, una notorietà rinverdita in epoca recente dalla mostra delle Antiche Civiltà d'Abruzzo del 1969 e dalla successiva del 1980 sui Sanniti Pentri e Frentani: buone occasioni per una rilettura aggiornata e per molti aspetti chiarificatrice anche di questo estremo lembo settentrionale del Sannio (2). I nuovi scavi nella necropoli e sull'abitato del Curino, ripresi dalla Soprintendenza Archeologica per l'Abruzzo a partire dal 1974 (3), nonché i progetti per la ricostruzione del locale museo, hanno contribuito a dare ulteriore rilevanza a questo complesso archeologico che da oltre un secolo rappresenta uno dei capisaldi per la conoscenza del Sannio antico, circostanza responsabile forse di una certa disattenzione verso il restante territorio ove la ricerca sul terreno non ha fatto registrare altrettanti progressi.


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Il territorio di Castel Di Sangro.

Determinanti per la definizione etnica ed una più consona collocazione geografica delle popolazioni osco-sabelliche dell'area in questione sono risultati gli studi di Adriano La Regina (4) che, in accordo col testo pliniano (5), hanno giustamente restituito l'ager aufidenate al Sannio Pentro, dopo che per secoli un palese errore tolemaico l'aveva incongruamente relegato tra i Carricini, rendendo incomprensibile quella contiguità territoriale tra Pentri e Peligni, contraddittoriamente registrata dallo stesso Tolomeo (6).
Stimolanti, del La Regina, anche i rapidi ma pregnanti cenni alla vexata quaestio dell'ubicazione di Aufidena (7), ormai vecchia di due secoli ma che, specie in sede locale, trova ancora motivazioni sufficienti per rinfocolare con cadenze generazionali dibattiti ed accese polemiche campanilistiche. Né vanno sottaciuti i suoi contributi alla migliore conoscenza delle fortificazioni preromane della zona, tra le quali i due oppida di Selva del Monaco e di Castel di Sangro strettamente
pertinenti all'area presa in esame. Di questi, con la collaborazione di Benito Di Marco della Soprintendenza Archeolo-gica dell'Abruzzo, ha curato il rilevamento e le planimetrie (8), strumenti essenziali per una loro più comprensibile lettura, essendo noti in precedenza solo attraverso le scarne segnalazioni del De Nino (9) e le descrizioni del Balzano (10). Difatti, la mappa della cinta poligonale di Castel di Sangro allegata alla monografia del Mariani (11) ha solo valore indicativo, essendo stata sicuramente disegnata senza il supporto di rilevazioni strumentali, eseguite più tardi dall'ing. Cesare Gargano, ma di cui pare non si ebbe alcuna trasposizione grafica (12).
 
Planimetria della fortificazione di Castel di
Sangro (da Coarelli - La Regina).
Con la planimetria realizzata dai succitati autori con mezzi tecnici adeguati trovano sostanziali concordanze i dati emergenti dai nuovi rilievi condotti nell'ambito di una nostra indagine ancora in corso, allargata alle varie fasi insediative dell'emergenza rocciosa di Castel di Sangro e delle immediate adiacenze, parte integrante di un più ampio programma di ricognizioni e rilevamenti estesi a tutto il territorio dell'Alto Sangro. Purtroppo, le vicende sismiche e gli eventi bellici susseguitisi nel corso dei secoli nonché l'opera modificatrice dell'uomo, che ha occupato stabilmente il sito fino all'inizio dell'Ottocento (13), hanno cancellato buona parte della cinta poligonale, oggi ricostruibile nella sua interezza solo con una certa approssimazione, mentre risulta assolutamente impossibile provare con sicurezza l'esistenza di eventuali duplicature o triplicature del perimetro difensivo cui accennano gli scrittori del primo Ottocento (14). Il Balzano, che ugualmente parla di tre cinte, credette di riconoscerne sicure tracce in quelle strutture poligonali presenti nel sito denorninato "Le scale del lupo", oggi profondamente modificato per dare spazio ad una strada panoramica, e poi, ancora, in brevi segmenti a grossi blocchi visti alla fine del secolo scorso in occasione di scavi fortuiti nella parte alta del paese (15). Indizi quanto mai labili ed insicuri, quindi, a cui non dette credito il Mariani (16) e non convinsero neppure il De Nino il quale, in merito al muro visto durante la costruzione del serbatoio dell'acqua nel rione della Civita "che si vorrebbe tenere parte di cinta ciclopica", forse per non far torto al Balzano al quale era legato da sincera amicizia, se la cavò con un diplomatico "io non nego e non affermo", adducendo a scusante del suo agnosticismo "la esplorazione incompleta del muro stesso" (17).




Castel Di Sangro. Mura poligonali alle "Scale del Lupo".

Sempre sul problema delle mura poligonali di Castel di Sangro, indipendentemente da una dubbia duplicatura e da una ancora più improbabile terza cerchia, potrebbe affacciarsi anche l'ipotesi, comunque neppure in questo caso suffragata da alcuna prova obiettiva, di un prolungamento verso il basso del perimetro murario destinato, a somiglianza di quanto è documentato altrove (Bovianum, Lucus Angitiae), a racchiudere l'abitato vicano sottostante che, in epoca romana, assumendo decise connotazioni di tipo urbano, ebbe sicuramente un suo proprio apparato difensivo (18).
L'empirica ricostruzione della cinta megalitica di Castel di Sangro fornita dal Mariani non poteva non indurre a diffidare anche della pianta delle mura localizzate sull'altura di Civitalta, che con i suoi 1190 metri di altitudine sovrasta da settentrione l'insediamento fortificato del Curino (19). I versanti di NW-N-NE di questa emergenza montuosa si presentano marcatamente verticalizzati dalle profonde erosioni operate in epoche remote dal deflusso delle acque del fiume Sangro che, in quel tratto, scorre incassato in una profonda gola dalle pareti inaccessibili; sugli altri lati, invece, i pendii sono più praticabili e pertanto, quando il rilievo fu prescelto a difesa delle popolazioni vicane circostanti, vennero fortificati con una linea di mura poligonali, il cui tracciato è ancora oggi ben individuabile nonostante gli immancabili crolli ed interramenti.




Particolare della cinta fortificata di Civitalta.

In realtà, la planimetria risultante dai rilievi strumentali, eseguiti con la collaborazione di Franco Falocco, rivela un impianto assai diverso da quello proposto dal Mariani, certamente più comprensibile nella sua articolazione funzionale, che prevede una cortina muraria disposta a protezione dei versanti più accessibili duplicata nella parte alta in quanto, essendo separata dall'altura prospiciente da una depressione valliva di più agevole accesso, veniva a configurarsi come il settore più vulnerabile (20). Questa cinta avanzata, che presenta uno spessore di 4 metri ed una tipica fascia anulare retrostante, distaccandosi dall'orlo del dirupo e mantenendosi costantemente sulla quota di 1155 metri, si porta con un'ampia curva verso il muro che scende quasi in linea retta lungo il fianco della collina. Questo tratto discendente si allunga per poco meno di 200 metri in direzione NW-SE per poi deviare decisamente verso NE, allungandosi per circa 160 metri ed esaurirsi a ridosso della ripida scarpata che si affaccia sul precipizio. Lungo questo segmento disposto trasversalmente alle pendici dell'altura si apre quello che sembra essere l'unico accesso all'area recintata; la porta, con un vano di circa 3 metri di larghezza, risulta dallo sdoppiamento della linea del muro, così che tipologicamente può ascriversi al gruppo delle porte ad innesto laterale (21).
La tecnica costruttiva delle opere murarie di Civitalta non si discosta dai canoni consueti in rozze strutture del genere, convenzionalmente ascrivibili alla prima maniera del Lugli (22), con grossi blocchi sovrapposti appena sbozzati sulla facciavista, col risultato di una statica piuttosto precaria che giustifica le frequenti ed estese situazioni di crollo riscontrabili lungo il perimetro murario, ormai, salvo brevi tratti, quasi ovunque ridotto ai soli filari di base o ad ammassi informi di pietrame. La vicinanza dei due siti fortificati di Civitalta e del Curino non manca di destare qualche perplessità, ma non trova riscontri nella reale situazione del terreno e nell'andamento delle rispettive
 Civitalta
Planimetria della fortificazione di Civitalta.
cinte murarie l'eventuale accorpamento dei due siti in un'unica arca protetta, all'interno della quale la sommità di Civitalta verrebbe a configurarsi come una sorta di acropoli. Meno azzardata, semmai, potrebbe risultare l'ipotesi di una differenziazione cronologica tra i due insediamenti, nel senso di accreditare Civitalta di una maggiore arcaicità rispetto al Curino: in altri termini, Civitalta potrebbe essere stata la primitiva altura fortificata predisposta in funzione delle popolazioni sparse nei dintorni e in particolare del nucleo vicano del Curino il quale, probabilmente in virtù delle favorevoli condizioni ambientali, dovette ad un certo momento registrare una sensibile concentrazione demografica e quindi una precoce ed autonoma evoluzione in senso urbano. L'impianto della cinta poligonale del Curino, pur con i suoi caratteri di empirica strutturazione, risponde infatti con sufficiente aderenza ad uno schema di tipo urbano definito ed evoluto rispetto alla categoria dei recinti più semplici a cui va ascritta Civitalta: un luogo, questo, certamente meno idoneo ad ospitare insediamenti a carattere stabile e quindi destinato alla frequentazione sporadica o all'abbandono definitivo. Comunque, lo stesso insediamento del Curino, che almeno allo stato attuale della ricerca viene generalmente identificato con l'Aufidena sannitica, ebbe relativa fortuna e, pur sopravvivendo fin in epoca imperiale, con la romanizzazione del territorio perse di importanza e fu relegato ad un ruolo del tutto secondario.
Situazione analoga a quella di Civitalta si riscontra a Selva del Monaco di Roccacinquemiglia; anche qui il centro fortificato sannitico, nonostante le sue non trascurabili dimensioni e la strategica posizione rispetto alla via fluviale ed ai percorsi pastorali, non fa registrare una fase insediativa con parvenze di urbanizzazione, processo che si concretizza attorno al non lontano oppidum di Castel di Sangro, ove il nucleo vicano evolve in epoca romana verso decise forme urbanizzate fino alla municipalizzazione.
Le fortificazioni di Civitalta e del Curino ad un estremo, ed il binomio Selva del Monaco - Castel di Sangro all'altro capo dell'ampio bacino pianeggiante che affianca il corso del Sangro si integrano e si completano, dunque, nella articolazione del sistema difensivo di età preromana dell'area aufidenate in senso stretto e ne segnano i momenti essenziali del processo insediativo; altre segnalazioni registrate in passato come in epoche recenti generalmente non hanno avuto riscontri positivi. Difatti, le muraglie viste dal De Nino alla base del Castellazzo di Pietransieri non risultano del tipo poligonale, né l'altura sembra essere stata frequentata con una certa assiduità in antico (23). Lo stesso dicasi per la contrada Corno in tenimento di Roccaraso, ove gli scarsi indizi raccolti in superficie non sembrano sufficienti a convalidare l'ipotesi di un centro fortificato, mai esistito neppure nella vicina Monna, erroneamente menzionata dal Balzano tra i luoghi fortificati con mura poligonali (24), ma non annoverata tra questi dal De Nino che ne fece una semplice menzione topografica (25). Anche in epoca recente questo toponimo è stato collegato con presunti sistemi fortificati, facendo spesso confusione con gli omonimi rilievi posti a NW del Curino di Alfedena e in territorio di Scontrone (26), entrambi privi di qualsiasi rilevanza archeologica.
Altra stazione antica a più riprese descritta dal Balzano, anche sulla fede di testimonianze dirette e di notizie tratte da un manoscritto della prima metà dell'Ottocento (27), è il Colle delle Forche presso il cimitero di Castel di Sangro, dove lo studioso credette di ravvisare indizi di mura poligonali in qualche blocco ancora in sito. Il modesto rilievo collinare non presenta caratteristiche morfologiche particolarmente favorevoli all'impianto di un tipico recinto fortificato, né se ne ravvedono tracce sicure lungo i pendii; il luogo, comunque, non è del tutto privo di interesse ma il materiale raccolto in superficie e le strutture murarie ancora in vista sulla sommità della collina sono riferibili ad epoche posteriori (28). Irrilevanti, invece, i generici riferimenti a presunte fortificazioni sannitiche apparsi in recenti pubblicazioni a carattere divulgativo, secondo i quali mura megalitiche sarebbero state individuate oltre che nella citata località di Monna, anche a Colle Ferrari, a Valle Cupa e alle Pietre Mariane nei pressi di Scontrone; la ricognizione diretta dei luoghi, però, non ha consentito di identificare nella concerie di muriccioli esistenti su questi rilievi tipiche strutture in opera poligonale.
Le conoscenze relative alle alture che, fronteggiando Civitalta ed il Curino sull'altro lato della valle del Sangro, preludono al territorio vulturnense, sono ancora incomplete forse anche perché la zona è stata poco esplorata, ma non sembra comunque potervi localizzare grossi insediamenti fortificati, segnalati solo sull'altro versante e quindi già nell'alta valle del Volturno, estranea all'area di cui andiamo occupandoci (29). Territorialmente più pertinente,
invece, è il centro fortificato da noi rilevato sull'altura denomi-nata Castello, presso Montalto, un piccolo insediamento rurale a carattere sparso posto sul tratturo Pescasseroli-Candela, attualmente frazione di Rionero Sannitico, ma in passato parte integrante della circoscrizione di Castel di Sangro.
Qui l'oronimo indizia realmente un sito fortificato, anche se l'indicazione della carta dell'I.G.M. (30), segnalando più propriamente l'altura sovrastante al tratturo e all'abitato di Montalto, non coincide esatta-mente con l'ubicazione della cinta, dislocata invece sulla cima più settentrionale del gruppo collinare e quindi non visibile dal villaggio sottostante, sebbene
 Montalto
Planimetria del recinto fortificato in
località Castello presso Montalto.
con i suoi 1199 metri di quota domini i cocuzzoli adiacenti. Il manto boscoso copre gran parte della zona rendendo in tal modo poco agevole le misurazioni e le altre operazioni di rilevamento del circuito murario che, comunque, si evidenzia assai bene nonostante la vegetazione ed i crolli ne abbiano trasformato buona parte in cumuli di pietrame e ridotto l'altezza a pochi filari quando non addirittura ai soli blocchi di base. Appaiono evidenti anche rimaneggiamenti posteriori, operati forse in epoca medievale o in tempi assai più vicini che, se hanno intaccato l'omogeneità strutturale della muraglia, non hanno però alterato l'andamento perimetrale del tracciato. Il muro corre per circa 400 metri tutt'intorno alla sommità dell'altura seguendone la morfologia piuttosto irregolare, rasentando la cresta lungo il versante di NW, per poi piegare verso settentrione, flettere a gomito per discendere con una curva ad ampio raggio lungo il pendio orientale e risalire in quota verso occidente fino a chiudere un'area di circa 8500 mq. Ne risulta un circuito dalla forma schiacciata ed incavata lungo il lato nord-occidentale, con un unico accesso di circa 4 metri di larghezza aperto nel punto più declive del tratto meridionale, risultante da uno sdoppiamento a baionetta dell'allineamento del muro, così da realizzare lo stesso tipo di porta ad innesto laterale presente nel recinto di Civitalta. Le strutture in elevato sono del tutto scomparse e le opere murarie adiacenti scomposte e diroccate; va comunque notato un elemento di estremo interesse, consistente in un blocco alquanto irregolare posizionato sulla destra entrando del vano della porta che presenta sulla faccia superiore un incavo levigato circolare di circa 10 cm. di diametro e profondo poco meno, la cui funzione potrebbe essere probabilmente connessa col dispositivo di chiusura della porta. Difatti, l'incavo sembra espressamente predisposto a contenere il cardine inferiore di un portone e a consentirne la ruotazione durante la chiusura e l'apertura secondo un meccanismo che ebbe larga diffusione in epoche più tarde. A meno di non voler ipotizzare un riutilizzo del sito in epoca medioevale assai più consistente e duraturo della semplice frequentazione occasionale - in verità evenienza piuttosto remota poiché, salvo rari frammenti ceramici, non esistono tracce materiali di una più recente occupazione - questo elemento verrebbe a costituire un prezioso indizio che documenta uno dei metodi in uso per chiudere i varchi di accesso dei recinti italici. All'interno del recinto è presente ceramica ad impasto, ma sono stati raccolti anche frammenti lavorati al tornio e sporadica terracotta invetriata: notata una sepoltura a semplice fossa terragna violata da clandestini in epoca relativamente recente.




Frammenti ceramici a vernice nera e terrecotte
votive da Montalto di Rionero Sannitico.

Ma l'interesse per l'area di Montalto non si esaurisce con le fortificazioni del Castello; difatti, la ricognizione di superficie nella parte alta del paese lungo il tracciato di uno scavo per la posa di un acquedotto e sui tagli operati per la sistemazione della strada principale all'interno dell'abitato, ha consentito di reperire un buon numero di frammenti di ceramica ad impasto e prese a lingua di varie dimensioni. Comunque, la scoperta più rilevante, purtroppo passata sotto silenzio con conseguenze intuibili, fu fatta anni addietro presso la vecchia fontana posta nel mezzo del paese, ove lo scavo per la captazione delle acque sorgive portò alla luce numerose terrecotte votive, raccolte ed accumulate gelosamente dalla gente del luogo. I pochi pezzi che mi sono stati mostrati, tutti in mediocre stato di conservazione, assieme a frammenti non identificabili e ceramica a vernice nera comprendono una diecina di testine muliebri, una figurina acefala, rappresentazioni di parti anatomiche con due esemplari raffiguranti arti inferiori e altri due raffiguranti genitali maschili, nonchè un frammento di volto umano visto quasi di profilo. Sempre presso il fontanile, secondo notizie non controllabili, sarebbe stata rinvenuta e quindi subito trafugata e dispersa anche una pietra con una iscrizione risultante, a detta della gente del luogo, illeggibile, perfino al vecchio parroco del paese.
Il materiale fittile proviene indubbiamente da una stipe votiva relativa ad un luogo di culto èlegato con ogni probabilità alle acque della vicina sorgente, di cui va sottolineata anche la stretta correlazione con il percorso tratturale. Da ricordare che non lungi da Montalto, in località Fonte Maiure che si affaccia sulla valle del Sangro, sempre a seguito di lavori per la captazione di acque sorgive eseguiti alla fine del secolo scorso, si recuperarono materiali archeologici di vario genere, messi giustamente in relazione con un delubro esistente nei pressi della polla d'acqua che, anche in antico, alimentò un acquedotto di cui si sono scoperte le tracce in direzione dell'odierno abitato di Castel di Sangro (31). Assieme a balsamari, anforette a vernice nera ed altri reperti ceramici si raccolsero otto terrecotte votive, depositate poi nel museo di Castel di Sangro e disperse durante l'ultimo conflitto bellico (32). Da segnalare, infine, i significativi indizi di un altro luogo di culto documentato da cornici modanate ed altri elementi architettonici, sicuramente provenienti da un podio di tempio italico, riutilizzati nelle strutture murarie di un edificio monoabsidato scavato abusivamente due o tre anni or sono a nord del centro fortificato di Monte Miglio in tenimento di San Pietro Avellana, in località San Benedetto, nei pressi del Poggio del Diavolo, ove è tradizione sorgesse una cella benedettina.


Foto e testo sono stati gentilmente forniti dall'autore.
Le planimetrie delle fortificazioni sono state tratte da
COARELLI F. e LA REGINA A.
Abruzzo e Molise - Guide Archeo
Laterza - Bari 1984
.

 

NOTE

1) DE NINO A., NSc 1877, pp. 115, 276-80; 1879, pp. 32024; 1882, pp. 68-82; 1885, pp. 345-92; MARIANI L., Aufflena, Mori. Ant. Lincei, X (1901), coll. 225-638; IDEM, "NSc" 1901, pp. 442-462; 1902, pp. 516-27; e in Atti del Convegno Storico di Roma, 1904, pp. 243.53.

2) CIANFARANI V. (a cura di), Antiche Civiltà d'Abruzzo, Roma 1969; AA. VV., Sannio. Pentri e Frentani dal VI al I sec. a. C., Roma 1980.

3) AA.VV. Alfedena (L'Aquila). Scavi del 1974 nella necropoli, NSc 1975, pp. 409-81; PARISE BADONI F., RUGGIERI GIOVE M., Alfedena. La necropoli di Campo Consolino, Chieti 1980; PARISE BADONI P., in Sannio cit., pp. 84-92.

4) LA REGINA A., Cluviae e il territorio Carricino, RAL, XXII (1967), pp. 87-99; IDEM, Cluvienses Carricini, ArcCl, XXV/XXVI (1973/74), pp. 331-340; IDEM, in Sannio cit., pp. 29-42; ed anche in CIANFARANI V., FRANCHI DELL'ORTO L., LA REGINA A., Culture Adriatiche Antiche di Abruzzo e di Molise, Roma 1978, pp. 573-74; COARELLI F., LA REGINA A., Abruzzo Molise, Bari 1984, pp. 161.

5) PLINIO, N. H., 111, 63.

6) TOLOMEO, Geogr., 111, 1, 57-58.

7) LA REGINA A., Note sulla formazione dei centri urbani in area sabellica, Atti del Convegno di Studi sulla Città etrusca e italica preromana. Imola 1970, pp. 200-202; IDEM, Il Sannio, Hellenismus in Mittelitalien, 1976, pp. 219-223; IDEM, in Abruzzo Molise cit., pp. 260)67. Non è il caso di riproporre in questa sede la nutrita bibliografia sull'argomento per la quale si rimanda alle opere già citate; in particolare per quella ante 1923 ai lavori del Mariani e del Balzano.

8) CIANFARANI V., FRANCHI DELL'ORTO L., LA REGINA A., Culture Adriatiche cit., Tavv. 248 e 251.

9) DE NINO A., NSc 1886, pp. 170-71.

10) BALZANO V., Comunicazione su antiche sedi nella Valle del Sangro, Boll. Soc. di Storia Patria A. L. Antinori negli Abruzzi, XVII (1905), pp. 274-290; IDEM, Avanzi della città pelasgicasannitica in Castel di Sangro, ivi, XIX (1909); IDEM, La Valle dei Ciclopi, Roma. Rassegna Illustrata, a. 111 (1912), pp. 67/71; IDEM, Anfidena Caracenorum, Roma 1923. Delle fortificazioni preromane della valle del Sangro si è occupato di recente anche PELLEGRINO A. nel Primo Seminario Nazionale di Studi di Alatri sulle Mura Poligonali (atti in corso di stampa).

11) MARIANI L., Aufidena cit., Tav. X.

12) Di questi rilievi il Balzano riferisce i dati essenziali in Aufidena Caracenorum cit., p. 15. Un sommario schizzo con le annotazioni delle misurazioni è conservato nel Fondo Balzano della Biblioteca Comunale di Castel di Sangro, messo a mia disposizione grazie alla cortesia del direttore Terzio Di Carlo e del bibliotecario Raffaele Buzzelli, che qui ringrazio sentitamente per la preziosa collaborazione.

13) Il Castello Superiore fu definitivamente abbandonato nei primi decenni dell'Ottocento: cfr. CATULLO F., Tesori ignorati, Gavignano 1937, pp. 45 e 57.

14) Ad una terza cerchia di mura accennano il Fox, in Annali dell'Istituto di Corrispondenza Archeologica, 1829, pp. 39 e 186, e MANCINI C. in Giornale degli scavi di Pompei, 1878, p.44.

15) BALZANO V., Anfidena Caracenorum cit., p. 15.

16) MARIANI L., Aufidena cit., col. 254.

17) DE NINO A., NSc 1898, p. 425.

18) Per la situazione di Bovianum e Lucus Angitiae, cfr. LA REGINA A., Note sulla formazione dei centri urbani cit., p. 200 DE BENEDITTIS G., Bovianum ed il suo territorio, Salemo 1977; GROSSI G., La città di "Angitia", il "lucus Angitiae" e le origini di Luco dei Marsi, Avezzano 1981; COARELLI F., LA REGINA A., Abruzzo Molise cit., pp. 103/105, 193/201.

19) MARIANI L., Aufidena cit., Tav. II. Con la ripresa dell'esplorazione archeologica dell'abitato del Curino è stato aggiornato anche il rilievo della cinta muraria; la nuova pianimetria non è stata ancora pubblicata.

20) Sulla pianta è riportata anche un'altra esile traccia di una struttura muraria di più modeste dimensioni, appena affiorante nei pressi della sommità dell'altura, la cui funzione non risulta ben chiara (sostruzione?).

21) Questa, allo stesso modo di quella di Montalto che sarà descritta più avanti, non corrisponde al tipo di porta scea, spesso data come tipica dei recinti italici e conforme a canoni castruttivi ben precisi. I due esempi qui citati (tutt'altro che unici) dimostrano come non venissero rispettate regole costanti: il tipo e la disposizione delle porte erano evidentemente condizionati da altri fattori tra cui, di certo, la natura del terreno e la viabilità.

22) LUGLI G., La tecnica edilizia romana, Roma 1957.

23) DE NINO A., NSc 1887, p. 420.

24) BALZANO V., Aufidena Caracenorum cit., p. 33. 25) DE NINO A., NSc 1887, p. 421.

26) Della collina di La Monna presso il Curino di Alfedena accenna il Mariani, negando la presenza di mura poligonali (Aufidena cit., col. 237); per la Monna di Scontrone cfr. I.G.M., F. 153, III N.O.

27) DE COLA G., Breve cenno sugli antichi Aufidenati, manoscritto del 1830, pervenuto alla Biblioteca Comunale di Castel di Sangro col Fondo Balzano.

28) BALZANO V., Aufidena Caracenorum cit., p. 34 ss.

29) Una cinta poligonale è stata localizzata sul Monte Santa Croce, presso Cerro al Volturno: cfr. DI IORIO A. Sulla recente scoperta a Cerro al Volturno di una fortificazione sannitica, Roma 1981. Una seconda cinta sarebbe stata individuata poco più a NW, sul Monte Castellano: cfr. DI IORIO A., Un'altra fortificazione sannitica scoperta nella valle del Volturno, in Antiqua, a. VIII, n.1, 1983, pp. 20/24. Comunque, i terrazzamenti di incerta epoca e non riferibili a strutture di tipo poligonale descritte su questa altura non sembrano identificabili con un recinto fortificato di epoca italica.

30) I.G.M., F. 153, III S.E.

31) BALZANO V., Aufidena Caracenorum cit., p. 55.

32) DE NINO A., NSc 1898, p. 425.; BALZANO V., Aufidena Caracenortan cit., p. 55 e fig. 15. Le raccolte archeologiche del Museo di Castel di Sangro andarono quasi interamente disperse nel 1943; per l'inventario redatto da Balzano cfr. SPLENDORE E., Le antichità di Castel di Sangro, Pescara 1983, p. 79 ss.

 

 

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Storia dei Sanniti e del Sannio - Davide Monaco - Isernia 2003

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