ARMAMENTARIO SANNITA

 

LE ARMI DA DIFESA ED OFFESA
DELLE GENTI DI STIRPE SABELLA
Prima Parte

 

Spada da Alfedena

Spada con lama a foglia di salice da Alfedena (VI secolo a.C.)

 

Le descrizioni delle armi da difesa e da offesa adottate dalle popolazioni sabelliche ed in particolare dai Sanniti, ci provengono dalle poche fonti letterarie di annalisti come Tito Livio, oppure da narratori come Plinio il Vecchio e pochi altri, ma anche dagli affreschi ritrovati nelle aree caudine ed irpine, nonchè dalle raffigurazioni parietali pervenuteci delle tombe a cassa della Lucania settentrionale. Notevoli sono anche i ritrovamenti di corredi funebri provenienti da necropoli come "Campo Consolino" ad Alfedena oppure le "Traccole" a Pietrabbondante. Importante è quello che ci racconta il "Guerriero di Capestrano", oppure i rari bronzi custoditi nei musei di mezza europa.
Con queste testimonianze possiomo descrivere, senza scendere nei particolari ma anche senza tralasciare ciò che è importante, qual'è stato l'evolversi dell'armamentario tipico dei Sanniti e delle popolazioni a loro attinenti sia per stirpe che per usi e costumi (nonché per le alleanze belliche) dalla tarda Età del Bronzo fino al periodo delle guerre sociali (I secolo a.C.).
Il testo che segue è tratto dall'opera di Cianfarani, Franchi Dell'Orto e La Regina "Culture adriatiche antiche di Abruzzo e di Molise" dove si descrive in maniera soddisfacente l'armamentario del nostro popolo.

 


I TEMPI FRA I DUE MILLENNI

... Fra gli arnesi per tagliare o per colpire di punta, i pugnali per lo più avevano la lama a forma di triangolo isoscele molto allungato; in alcuni è presente il codolo che doveva essere rivestito di legno o di altro materiale deperibile; in altri il manico, eseguito a parte, era fermato da bulloncini. L'unica daga, simile di forma ai "pugnali" dai quali differisce per le proporzioni, è attribuita alla tarda età del bronzo.
Guerriero sannita VI secolo a.C.
 
Numerosissimi sono i coltelli (ovviamente è difficile distinguere fra pugnali e coltelli, perché anche i primi potevano assolvere alla medesima funzione). Sono costituiti essenzialmente da un manico facente corpo con una lama lunga e sottile. Ne sono state riconosciute varie fogge che trovano riscontri più o meno puntuali in necropoli italiane o anche transalpine e che possono essere presi come punti di riferimento cronologico e culturale: così per un coltello avente l'estremità dell'impugnatura foggiata a testa d'uccello si parla di analogie con il tipo di "Baierdof" e se ne riporta la singolare decorazione al patrimonio della civiltà dei campi d'urne, che si sviluppa nell'Europa centrale nella seconda metà del II millennio a.C. Il coltello di tipo "Matrei", per il quale è stata proposta la datazione al XII secolo a.C., prende nome dall'antica Matrium in Austria: ha la lama ricurva, ben distinta dal codolo che doveva essere coperto di legno o di altro materiale deperibile. La marsicana Ortucchio dà il nome ad una particolare foggia di coltelli dalla lama dritta e sottile, che si data all'età del bronzo finale (XI-IX secolo a.C.). Una serie di coltelli dalla lama elegantemente sinuosa è attribuita al protovillanoviano.
Fra i bronzi esaminati sono anche sei spade. Quelle che vengono definite "con lingua da presa a margini rialzati" sono attribuibili a gruppi protovillanoviani. Il tipo più antico è riportato allo scorcio del II millennio e trova confronti con spade micenee; gli esemplari più recenti si collocano a cavallo fra i due millenni. Questo tipo di spada con "lingua da presa" dovette incontrare dovunque grande favore, infatti, oltre agli esemplari del gruppo marsicano, ve ne sono sette al Museo di Chieti. Due, d'assai probabile provenienza locale, conservano il fodero di lamina bronzea, come due provenienti da Montorio al Vomano. Gli altri esemplari, senza fodero, vengono dai dintorni di Chieti e da Campli, quasi al confine con le Marche.
Alla spada a "lingua di presa" segue nel tempo la spada ad "antenne", cosiddetta da una coppia di antenne a volute che sovrasta il manico. Il tipo è stato datato all'inizio dell'età del ferro, fra il X e l'VIII secolo a.C. Un esemplare ne è stato rinvenuto in provincia di Teramo.
Le forme della lancia - gli esemplari rinvenuti
 Spade

Spade a "lingua da presa".
Tarda Età del Bronzo.
(A) da Montorio dei Frentani;
(B) da Campobasso;
(C) da S. Felice del Molise.
sono numerosi - non differiscono gran che fra loro e resteranno canoniche anche in seguito. Si hanno lance con la punta triangolare, altre a foglia; tutte presentano il cosiddetto innesto a cannone per l'inserzione dell'asta. Si è pensato che esse facessero parte dell'armamento a coppie di grandezza ineguale, uso ben noto in ambiente egeo fin dal XIII secolo e che, almeno in parte, trova conferma nella nostra regione in monumenti più tardi. Si datano fra la fine dell'età del bronzo e l'inizio dell'età del ferro.

Cuspide di lancia

Cuspide di lancia con punta a foglia.

Rarissime sono le frecce, testimoniate dalle cuspidi. La rarità dei reperti è stata spiegata con la scarsa importanza che l'arco doveva avere nell'armamento.
Come arma, infine, è stata catalogata un'ascia ad "occhio" di provenienza imprecisata, nella quale il manico si inserisce in un apposito foro, e diversa pertanto dalle molte altre asce fucenti ad aletta, aventi funzione di utensili, nelle quali il manico piegato ad angolo si incastra nelle alette alzate lateralmente al tallone o alla stessa penna. L'ascia da combattimento è ritenuta eccezionalissima nell'età del bronzo finale, alla quale è ascritto il nostro esemplare.




Manufatti metallici dell'Età del Bronzo.
(A)e(B) Asce utensili, (C) ad "occhio". (D) Coltello a lama ricurva.


 


I TEMPI DELL'ARCAISMO

Testimonianze figurate

La statua del Guerriero di Capestrano (VI secolo a.C.) costituisce un tale documento d'armi da offesa e da difesa che ha ben pochi riscontri nella statuaria antica. Tuttavia, se molti elementi hanno trovato corrispondenza nei corredi delle necropoli, altri ve ne sono tuttora assai problematici; nonostante la cura puntigliosa che caratterizza la descrizione. L'elemento più appariscente è certamente il copricapo.
Guerriero di Capestrano - Fronte
 
Esso consiste in una calotta emisferica, una tesa circolare assai ampia ed una cresta innestata sulla calotta e sulla tesa che, ricadendo posterior-mente, dà luogo ad una coda.
E' ancora in discussione la possibilità che i tratti del volto siano da considerare pertinenti ad una maschera protettiva, piuttosto che ad una stilizzata descrizione anatomica; altrettanto si dica per le orecchie, al posto delle quali sono stati supposti elementi di protezione connessi con la maschera.
Gira intorno al collo una fascetta costolata che lascia interamente libera tutta la zona sottoposta alla nuca e
 Guerriero di Capestrano - Retro
dalla quale pende anteriormente un elemento che è stato inteso come ornamentale piuttosto che difensivo, anche se l'una funzione non esclude di necessità l'altra.
La difesa del corpo del Guerriero è affidata ad una coppia di dischi, il "kardiophylax" e ad un elemento di protezione dell'addome. I dischi, orlati da un bordo arrotondato e lisci nel campo, sono posti a coprire anteriormente e posteriormente la regione cardiaca.
La difesa dell'addome è costituita da una grossa piastra sagomata, limitata da una fascia ornata da un meandro, che dalla vita scende a punta all'inforcatura delle gambe; le corrisponde posteriormente un elemento più piccolo, anch'esso terminante a punta sulla regione del coccige e bordato da una fascia con decorazione a zig-zag. Nella difesa dell'addome si è voluta riconoscere la "mitria", citata da testimonianze letterarie. Dischi e presunta mitria sono sorretti da un complesso siste-
Guerriero

Il Guerriero di Capestrano.
Ricostruzione delle difese
del torace e dell'addome.
 
ma di fasce e cinghie. Tre tracolle costolate scendono dalle spalle; di esse due, rispettivamente a destra e a sinistra, possono ritenersi di flessibile lamina metallica; l'altra, che sormonta la spalla destra, era formata forse da tre cordoncini di cuoio tenuti insieme da placchette metalliche: ad essa mediante piastrine sono rigidamente assicurati i due dischi. Le altre due tracolle terminano posteriormente con puntali a pelta, anteriormente accoglie entrambe le estremità un unico elemento lobato, al quale è assicurata la spada.
Il puntale della tracolla sinistra è agganciato al disco posteriore; ad esso sembra anche collegata una fascetta che, originata dal puntale della tracolla esterna destra, si bipartisce quasi all'origine in due liste che passano sotto il braccio sinistro donde l'una risale ad agganciarsi al disco anteriore, mentre l'altra discende verso la vita.
Circonda la vita un'ampia cintura divisa in cinque zone, nelle quali potrebbero ravvisarsi gli avvolgimenti della lista, che, passata sotto il braccio destro, risale poi verso il disco posteriore dietro il quale viene a situarsi con esito poco chiaro. Sia la difesa anteriore che quella posteriore dell'addome sono sorrette dalla cintura zonata, sotto la quale vanno ad inserirsi.
Come si è detto, la spada è assicurata mediante un cinturino alla placca lobata che costituisce il puntale comune alle bandoliere sinistra e destra esterna. Le varie parti dell'arma sono descritte con notevole precisione. La lama, per quanto può dedursene dal fodero, è a "foglia di salice" allungata con ingrossamento a un terzo della punta. Il codolo attraversa il manico ornato da due figure umane, espresse su due ordini secondo gli schemi del geometrico maturo, ed è sormontato da un pomo che nella resa scultorea appare trapezoidale, ma nella realtà era forse troncoconico. L'elsa, assai sottile, è a crociera.
L'imboccatura della guaina è costituita da una ghiera espansa in guisa da ricevere tutta l'elsa; reca la figura di una coppia di quadrupedi (cavalli?) volti a sinistra; il puntale, costituito da una
 Armi del Guerriero
Armi del Guerriero di Capestrano.
VI secolo a.C.
placca munita superiormente di due appendici laterali, ha tracce di una figurazione zoomorfa, nella quale è stato convincentemente identificato il noto tema del leone che addenta una gamba umana.
Alla spada è sovrapposto un coltello munito anch'esso di fodero, ma privo di elsa; nel manico sono rappresentati due quadrupedi analoghi a quelli osservati sulla ghiera della spada. Il Guerriero stringe contro il
Lance
Le lance ai lati del Guerriero.
 
lato sinistro del petto un'ascia dal manico assai lungo e dalla penna sottile, arma che è stata interpretata come un simbolo di comando, ma che potrebbe anche essere un'arma effettiva.
Lateralmente alla figura, nei due pilastrini che la inquadrano, sono scolpite due lance, lunghe rispettivamente m 1,36 e m 1,29, con ferro a "foglia di salice" e innesto a cannone.
Entrambe sono munite nell'asta di un'appendice nella quale si deve riconoscere il fermo per l'amentum, la correggia di cuoio usata per rafforzare l'impeto del lancio, come accadrà poi nell'aclys romana.
La netta spigolatura avvertita lungo le tibie ha fatto supporre l'esistenza di schinieri.
I piedi della statua sono protetti da calzari costituiti da una suola assai sottile dalla quale si stacca una serie di corregge: all'altezza del calcagno e dall'arco plantare partono i capi di due corregge che si incrociano al di sotto dei malleoli; di esse, l'anteriore gira sopra il calcagno su cui scende una nappina triangolare, e la posteriore risale sul collo del piede. Una traccia assai tenue sul piede sinistro mostra un'altra cinghia, la "giuggia", corrente alla base delle dita.
Oltre al collare, sono da ricordare come ornamenti le armille che circondano le braccia, due sul sinistro e una sul destro, costituite da una semplice fascetta; dall'armilla inferiore sinistra scendono cinque pendagli a piramide tronca.
Come il Guerriero di Capestrano anche il guerriero schematizzato nella stele antropomorfa di Guardiagrele aveva il torace protetto da due dischi assicurati da un balteo che scende dall'omero destro e, dopo l'interruzione del disco pettorale, gira sul fianco sinistro per risalire sulla spalla passando sotto il disco dorsale.
Il balteo è ornato da un motivo a meandro elaborato con tecnica notevolmente raffinata.
Anteriormente, sotto il volto, gira una collana costituita da una sorta di cordone tubolare dal quale scendono dieci pendagli a batocchio, "il più diffuso e numeroso dei pendagli piceni". Nello spessore del fianco destro della stele è rappresentata una lancia con ferro a foglia di salice.
 Stele di Guardiagrele
La stele di Guardiagrele

 


Corredi tombali

Accanto alle testimonianze figurate, la conoscenza dell'armamento è affidata ai corredi tombali di Alfedena, di Atri, dei numerosi ritrovamenti sporadici e soprattutto ora a quelli della necropoli di Campovalano. Ad alcuni tipi di armi caratteristici di quei corredi sono qui attribuiti nomi di armi greche e romane in base ad evidenti corrispondenze e, in alcuni casi, ad una probabile discendenza delle romane da quelle sannite.
Alla spada, la "spatha" (Isid. Orig. XVIII, 6), del Guerriero di Capestrano corrispondono numerosi esemplari rinvenuti nei corredi tombali della nostra regione. Le spade abruzzesi, presenti sia a Campovalano che ad Alfedena, hanno la lama lanceolata forgiata unitamente al codolo; questo si inserisce nel manico che ha l'anima lignea come, d'altra parte, la guardia a sottile crociera e il pomo emisferico o cilindrico. Tutta l'elsa è coperta da piastrine di ferro.




Spade a lama lanceolata forgiata unitamente al codolo - da Campovalano.



La guaina è in legno; l'imboccatura ne è rafforzata da una robusta ghiera di ferro, che in alcuni esemplari, come nel Guerriero, si espande in larghezza oltre la crociera ed è munita di due sporgenze a cornetto volte in alto. Anche il grosso puntale è formato da una lastra di ferro, che dopo aver fasciato la base della guaina, si espande in forma semicircolare. Il pomo dell'elsa, l'imboccatura e il puntale della guaina sono frequentemente decorati mediante una singolare tecnica che, a quanto ci risulta, viene qui rilevata per la prima volta: le lastrine di ferro dei due elementi sono traforate secondo motivi ornamentali e anche figurati - animali, esseri fantastici - i quali vengono messi in risalto da una sottoposta lamella ossea. La spada del Guerriero di Capestrano riproduce sicuramente questo genere di decorazione.
Alla spada stretta fra le braccia dal Guerriero era sovrapposto, come vedemmo, un coltello. La stessa associazione - e con gli elementi in situazione identica - si è rinvenuta in tombe della necropoli di Campovalano.
I coltelli di Campovalano hanno la lama a punta, costolata da un lato, che in uno degli esemplari, lungo cm 35, è rettilineo, mentre il lato opposto è leggermente falcato; in altro esemplare la curvatura, assai più accentuata, interessa invece il lato costolato. E' plausibile che in quest'arma vada riconosciuta la "máchaira", tanti e così puntuali sono i confronti che possono istituirsi fra le testimonianze letterarie da una parte e i reperti dall'altra. Nelle "máchairai" di Campovalano il codolo è serrato fra due piastrine di ferro, ornate con la tecnica riscontrata nella spada; nella decorazione di uno di essi sembra potersi ravvisare un quadrupede. Numerosissime "máchairai" sono state rinvenute nelle necropoli marchigiane: a Numana, ad Ancona, a Novilara, a Verrucchio; fuori delle Marche sono state rinvenute a Vulci e a Chiusi. Né mancano ritrovamenti sull'altra sponda adriatica.
Un singolare coltello, rinvenuto a Campovalano,
 Machaira e Secespita
Una Machaira (A) e
una Secespita (B)
da Campovalano.
ricorda la "secespita", usata a Roma in età augustea esclusivamente nei sacrifici: ad un sol taglio, ha la lama di ferro trapezoidale con il lato tagliente curvilineo e il codolo, che doveva essere inserito in un manico d'altra materia, in prosecuzione del lato opposto. Sembra difficile pensare che la "secespita" di Campovalano fosse strumento cultuale; e viceversa probabile che sia passata a quell'uso dopo essere stata una vera e propria arma.
Numerosi sono a Campovalano e ad Alfedena gli esemplari di una daga a due taglienti con lati paralleli e punta aguzza. Caratteristico dell'arma è il manico; il codolo a sezione quadrata, forse già rivestito di legno o di cuoio, termina nel pomo costituito da quattro steli desinenti in globetti che ne circondano un quinto. Non sembra che tra lama e manico esistesse una guardia sporgente lateralmente. La guardia di ferro consta essenzialmente di due lamine sovrapposte aventi forma di triangolo isoscele della stessa altezza ma con base diversa. La lamina maggiore, che presso la base si chiude lateralmente in una fascetta, ripiega i suoi lati sulla minore, formando in tal modo l'alloggiamento per la lama. Nella fascetta è assicurata mediante uno o due anelli la catena per fermare l'arma alla cintura.
La punta della guaina si inserisce in un puntale a bottone. A questo tipo, di cui nella nostra regione sono stati rinvenuti esemplari ad Atri, il Mariani assegna origine orientale, affermando che se ne può seguire lo svolgimento da Micene fino in Italia.
 
Gladio a stami.
Da quell'autore l'arma con altri tipi viene compresa sotto il nome di "gladio corto", mentre precedentemente si era preferito denominarla da Novilara. Mantenendo il nome di gladio, per l'evidente analogia con la nota arma romana, si potrebbe suggerire la definizione "a stami" dalla già descritta caratteristica forma del pomo.
Gladi

Gladi a stami
Chieti - Museo Nazionale.
 
Soprattutto a Campovalano, ma anche altrove - ad esempio, ad Alfedena e a Loreto Aprutino - sono numerosi i ritrovamenti dei cosiddetti spiedi a quadrello di ferro. Forniti ad una estremità di un occhiello, si presentano per solito in fasci di più esemplari uniti da un filo metallico munito di appiccagnolo. Un fascio rinvenuto a Campovalano comprende cinque esemplari, il maggiore dei quali è lungo cm 73. Nelle vicine Marche spiedi analoghi sono stati rinvenuti ad Ascoli, a Fermo, a Novilara, a Tolentino.
Incerto è il significato da attribuire a questo oggetto, se debba ritenersi arma vera e propria o utensile domestico, oppure un oggetto di scambio in fase premonetale, sulla base di una notizia desunta da Erodoto. Tanto più che in alcuni casi fasci di spiedi sono stati rinvenuti in associazione ad alari.
Spiedi e alari, inoltre, si accompagnano costantemente, almeno nelle tombe maschili di Campovalano, al vasellame metallico "nobile", destinato alla mensa, a differenza di quello comune destinato alla cucina rinvenuto nelle tombe femminili. Questa circostanza permette forse di avanzare un'ipotesi: la mensa con i nobili arnesi che le erano propri potrebbe indicare una partecipazione esclusivamente maschile al banchetto; il vasellame destinato al focolare individuerebbe in questo centro della vita domestica il dominio femminile. Inoltre, assumendo per gli spiedi il medesimo uso che essi hanno attualmente, deriverebbe da ciò la probabilità che fossero gli stessi banchettanti ad adoperarli nel corso e sul luogo del banchetto per cuocere le carni.
Pugnale potremmo definire - né sapremmo quale nome farvi corris-pondere nell'armamento d'età classica - un'arma rinvenuta in una tomba isolata a Torricella Peligna, in associazioni che permettono di datarla ad epoca non posteriore al VI secolo a.C.



Pugnale da Torricella Peligna (CH).


L'arma, eseguita in un sol pezzo di ferro, è lunga cm 32, di cui 18 pertinenti alla lama. Questa è a due taglienti che, pressoché paralleli per poco più di due terzi, convergono quindi in una punta assai acuminata. L'elsa si compone di un manico a fuseruole sovrapposte e desinenti in un bottone - assai adatto pertanto alla presa - sotto il quale una piastra rettangolare serviva di arresto al fodero di cui è stato recuperato il puntale a rocchetto. Notevoli tracce di agemina in rame permangono sia su un lato della piastra sia sulle fuseruole. Armi dello stesso genere, seppure di forma dissimile, provengono da Loreto Aprutino.
E' da notare comunque che, stando ai ritrovamenti intervenuti fino ad ora, non sembra che il pugnale fosse comune nell'armamento del VI secolo a.C.
Per i Romani come per i Greci la clava era un'arma barbarica. Erodoto (VII, 63) l'attribuisce agli Sciti e la dice "di legno coperto di ferro". Analoghe alle clave scitiche dovevano essere le mazze dei guerrieri sepolti a Campovalano; di esse si sono rinvenute le teste di ferro, forate da parte a parte, di forma sferica od ovoidale, misuranti cm 3-4 di diametro, in cui si inseriva il manico di legno fermato o mediante una piccola zeppa di ferro o un chiodo. Teste di mazza sono da riconoscere anche in due cilindri di bronzo, press'a poco delle stesse dimensioni, rinvenuti rispettivamente a monte Pallano e ad Alfedena. Essi si distinguono dagli esemplari di Campovalano per avere la superficie munita di punte. Altre teste di mazza di ferro vengono da Atri e nelle finitime Marche si trovano ad Ascoli, Belmonte Piceno e Cupra Marittima.

Armamentarium Seconda Parte

 

 

 

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Storia dei Sanniti e del Sannio - Davide Monaco - Isernia 2002

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