ARMAMENTARIO SANNITA

 

LE ARMI DA DIFESA ED OFFESA
DELLE GENTI DI STIRPE SABELLA
Terza Parte

 

Paragnatidi in bronzo - Pietrabbondante IV secolo a.C.


I TEMPI FRA LE GUERRE SANNITICHE E LE GUERRE SOCIALI


Fonti letterarie

Contrariamente a quanto si è visto per i tempi arcaici, fonti letterarie non mancano per il costume più recente, anche se esse si riferiscono non già alla nostra regione, bensì al vasto ambito sabellico nel quale la regione è compresa. Che le notizie siano relative esclusivamente all'armamento è circostanza da porre in relazione all'interesse degli scrittori romani per queste terre suscitato soprattutto dall'elemento militare con il quale Roma venne a trovarsi alle prese.
La tradizione, riportata da Festo voleva che i Sanniti derivassero il loro nome dall'arma nazionale, una sorta di giavellotto, che i Greci assimilavano al loro saunion.
Fin dai corredi più antichi esistono nella nostra regione vari tipi di giavellotto ed è impossibile ravvisare fra essi il "saunion". Virgilio (Aen. VII, 730) ricorda invece come tipiche degli Osci le teretes aclydes, le lance munite di una appendice lungo l'asta (l'amentum) che ricorrono già nel corredo del Guerriero di Capestrano.
Polibio (VI, 23 2-3) considera lo scutum romano erede di quello sannitico, la cui forma doveva essere a volte rettangolare - i Greci lo paragonavano ad una porta chiamandolo "thyreos" - a volte trapezoidale (Liv. IX, 40, 2). Che lo "scutum" fosse caratteristico delle genti sabelliche è confermato concordemente dalla tradizione che lo riteneva introdotto a Roma, già dall'epoca di Romolo, dai Sabini o, molto più verosimilmente, dai Sanniti.
 Sannita
Guerriero sannita da
Capua (IV secolo a.C.)
Livio (IX, 40, 3) parla della spongia come della difesa del petto nell'armatura del guerriero sannita. Si è supposto che il termine designasse un tipo di corazza nel quale una spugna attutiva il contatto fra il metallo e l'epidermide; il termine non distinguerebbe pertanto una forma particolare, quanto un accorgimento tecnico. Che poi da esso venisse designata la caratteristica corazza sannitica, è probabile, ma non è dato di accertare. Livio parla anche, per altro in modo categorico, dell'unico schiniere posto a difesa della gamba sinistra, uso continuato
Elmo da Lavello
Elmo da Lavello
 
nel costume gladiatorio secondo varie testimonian-ze, e degli "elmi muniti di creste che aggiungevano imponenza alle stature". In altra occasione lo stesso autore (IX, 38, 13), dopo aver narrato che i giovani appartenenti alla Legio Linteata erano stati muniti di elmi crestati per emergere sugli altri combattenti (forse come l'elmo italico di Lavello, risalente al IV secolo a.C. con un lophos crestato tra due penne metalliche) aggiunge che il console romano Papirio Cursore
 Elmo da Lavello
Elmo da Lavello
dovette ammonire le sue truppe che le creste che sormontavano gli elmi non producevano ferite (X, 39, 12).
Lo stesso Livio (IX, 40, 3), infine, testimonia l'esistenza di gualdrappe poste sul dorso dei cavalli e di tuniche a più colori o candide sotto le corazze dei soldati.

 


Testimonianze figurate

Le statuine bronzee di guerrieri da Roccaspinalveti non offrono l'immagine stereotipa di Marte quale, con poche varianti, si ritrova nelle stipi votive, bensì riproducono costumi assai chiaramente caratterizzati; per il luogo del ritrovamento saranno da ravvisarvi guerrieri Frentani o appartenenti alla tribù dei Carricini.
Nella statuina di minori dimensioni (in basso a sinistra) la descrizione dell'armatura è condotta in modo che, pur senza indulgere a particolari, è espresso con notevole fedeltà ogni elemento.
L'elmo è a calotta conica, munito di paranuca e di paragnatidi. Sulla calotta sono due fori che ne affiancano un terzo chiuso, dal quale sporge il modesto residuo di un elemento inseritovi.
Non sembra arbitrario ravvisarvi l'attacco del cimiero e ritenere che nei fori laterali dovessero essere inserite le penne, come si vede negli affreschi tombali di Paestum e dei territori circostanti.
 Paestum
Affresco da Paestum
Il corpo è coperto da un indumento che scende fin sopra le ginocchia; incerto è se ravvisarvi una tunica o una corazza liscia di cuoio. L'indumento è stretto alla vita da una larga cintura, le gambe sono coperte da schinieri, i piedi sono nudi.


Bronzetto da Roccaspinalveti
 
Bronzetto da Roccaspinalveti

L'altra statuina (quella a destra) è di esecuzione meno sommaria. L'elmo, tendenzialmente a calotta emisferica, si arrotonda al bordo in una leggera falda e si rialza anteriormente in un frontale. E' munito di paragnatidi e presenta i tre fori già osservati nell'altro. Sono tuttavia da osservare, attorno al foro centrale, quattro forellini minori e una impronta che denotano una diversa complessità del cimiero. La corazza è liscia con un gonnellino frangiato, di un tipo piuttosto comune a partire dal IV secolo a.C., che si è supposto fosse di cuoio.
Sono presenti gli schinieri; i piedi sono nudi.
Della stipe votiva di Carsoli fanno parte figurine di guerrieri che per alcuni particolari si diversificano da quelle di Roccaspinalveti: hanno elmo ad apice, corazza con spallacci con sotto una tunica dalla scollatura triangolare e corte maniche; i piedi sono privi di calzari.
A Carsoli compare anche un altro tipo di guerriero (figura a destra). Una statuina presenta un elmo a calotta semisferica con paranuca a paragnatidi, ma sormontato da un grosso apice a bottone, che esclude la presenza di un vero e proprio cimiero; una corta tunichetta stretta alla vita da una cintura; scudo ovale imbracciato con la sinistra, gambe e piedi apparentemente ignudi. Questo bronzetto trova un singolare riscontro in altro già del Museo Kireriano e ritenuto raffigurare un guerriero gallo.
 Carsoli
Guerriero di Carsoli
La presenza a Carsoli di armature che maggiormente corrispondono a quelle sabelliche delle figurazioni pittoriche sembra confermare l'ipotesi, già altrove proposta, che al santuario carseolano giungessero fedeli dal litorale tirrenico, a cominciare dal Lazio.
Le notizie sugli armamenti fornite dalle fonti letterarie trovano invece più puntuali corrispondenze in monumenti di epoca più tarda con raffigurazioni di gladiatori. Lo scutum rettangolare compare nel rilievo gladiatorio del Museo dell'Aquila e scudi trapezoidali nel grande rilievo del mausoleo di Lusius Storax a Chieti.

Amiternum
Rilievo con gladiatori da Amiternum.


 


Corredi tombali

Se le notizie sull'armamento forniteci dalle fonti e anche dai monumenti figurati sono assai più numerose di quelle che possediamo per i tempi precedenti, non si può affermare altrettanto per quel che concerne la documentazione diretta rappresentata dai corredi tombali.
La maggior messe di informazioni ci viene dalla necropoli di Alfedena, che con le sue tombe più recenti giunge al III secolo a.C.; dalle tombe rinvenute a Chieti in contrada Sant'Anna, che possono essere assegnate ad epoca compresa fra il III ed il II secolo a.C.; dalle tombe italiche di Villafonsina e Villamagna, in provincia di Chieti; da quelle di Pretoro, alle falde della Maiella, e dal notevole complesso di armamenti di bronzo e di ferro riportati alla luce negli scavi del santuario di Pietrabbondante.
Scarso è invece l'apporto della necropoli di Corfinio e purtroppo to-
 Elmo sud italico
Elmo sud italico
calcidese - IV secolo a.C.
talmente scomparso da tempo il materiale di una vasta necropoli scoperta, all'inizio del secolo, presso Guardiagrele in contrada Comino. Diversamente da quanto fu notato nel periodo precedente, l'elmo appare con una certa frequenza nei comprensori delle tribù sabelliche. Esemplari se ne hanno in area frentana (Comino di Guardiagrele, Orsogna), in area marrucina (Chieti, Pretoro, Villamagna) e nell'area dei Sanniti Pentri (Pietrabbondante - vedi pagine dedicate).

Elmo con Tetide offerente.
Pietrabbondante - IV secolo a.C.
 
I tipi per lo più sono quali si rinvengono anche in altre regioni, sicché ad essi non può essere attribuito carattere locale nè relativamente alla nostra regione, né, tantomeno, ai singoli comprensori tribali. Qualche elemento ornamentale riferibile, a quanto sappiamo dalle fonti letterarie e figurate, al costume del guerriero sannita, è da ritenere aggiunto in loco.
Il tipo di elmo cosiddetto gallico, ma non necessariamente da collegare alle tribù celtiche dell'Italia centrale e settentrionale data la sua vastissima diffusione anche in aree in cui non si ha notizia di Galli, è un elmo a calotta emisferica nel quale l'orlo discende posteriormente a formare una breve difesa della nuca. Un bellissimo esemplare proviene dalla necropoli di Porta Sant'Anna a Chieti e per esso
restano documentate in una vecchia fotografia paragnatidi, ora scomparse, di forma trilobata singolarmente analoga alla forma della corazza sannitica. Altri esempi sono nella Collezione Leopardi di Penne e due vengono dagli scavi di Pietrabbondante con conservate le paragnatidi che definiremmo a pelta, simili a quelle degli elmi attici. In uno dei due esemplari esse sono decorate da una figura femminile vestita di chitone, seduta, e sollevante nella destra un elmo di tipo attico; ai suoi piedi è un delfino. Possiamo in essa ravvisare Tetide con le armi di Achille.


Tetide con le armi di Achille
Paragnatide sinistra.
 Tetide con le armi di Achille
Paragnatide destra.

Di non facile definizione è un elmo a calotta, tendenzialmente conica proveniente da Orsogna, cioè da area frentana (IV secolo a.C.). Così come si presenta questo elmo appare una fusione di elementi pertinenti a vari tipi: l'elmo a calotta conica, l'elmo con paranuca e l'elmo attico. La sua singolarità impedisce di accertarne la genesi, così come impedisce di comprendere pienamente il significato di tutte le sue parti. L'esecuzione assai accurata ne postula la produzione in un centro di notevole tradizione artigianale.




Elmo gallo-italico.
 
Elmo da Orsogna.

Elmi di tipo attico provengono infine da Pretoro e da Pietrabbondante.
La corazza definita sannitica per antonomasia, riprodotta in numerose figurazioni vascolari e tombali dell'Italia meridionale, è nota in originale attraverso numerosi esemplari, di forma più o meno elaborata, più o meno arricchiti di ornamenti e perfino di figurazioni, ma riconducibili essenzialmente ad un unico tipo.

Corazza trilobata

Corazza trilobata da Spoltore (IV secolo a.C.)


E' composta di due semicorazze, Humerale e Pectorale, di lamina di bronzo di eguale forma e dimensione, su ciascuna delle quali sono rilevati tre dischi a formare un trilobo, con il disco singolo posto in basso. La lamina, per così dire, di fondo è tagliata superiormente in linea retta, mentre sui lati, fra la coppia di dischi e il disco inferiore, si incurva a semicerchio. Due spallacci, costituiti ciascuno da una coppia di lastrine rettangolari curve e incernierate, e due fiancali consistenti in una sola lastra anche essa curva, congiungono le semicorazze mediante un sistema di ganci.
Dal territorio meridionale dell'Abruzzo provengono un paio di esemplari assai semplici dalla necropoli di Alfedena e da una tomba isolata rinvenuta a Spoltore, in provincia di Pescara (sulle corazze vedi anche le pagine dedicate alla Legio Linteata).
Fu già supposta la derivazione della corazza sannitica dal disco "kardiophylax" attraverso un momento mediano rappresentato da una difesa composta da due dischi accoppiati, documentata sia in figurazioni che da originali. In realtà il "kardiophylax" sia come funzione che come concezione sembra scarsamente collegabile alla corazza trilobata. E' più probabile, se si voglia trovare un'origine a questa difesa, che essa sia una semplifi-cazione stilizzata della corazza anatomica, il "thorax".
 Corazza sannitica
Corazza trilobata da Alfedena.
IV secolo a.C.
La cintura metallica che serra alla vita la tunichetta dei guerrieri nei vasi campani, negli affreschi pestani e della Campania e che vedemmo riprodotta in un bronzetto di Roccaspinalveti, è presente in originale in gran numero nelle tombe di Alfedena e in altre sporadiche o raggruppate in necropoli soprattutto dell'Abruzzo citeriore. Questo elemento è costituito da una fascia di lamina di bronzo estremamente flessibile ed elastica. Ad una estremità, mediante chiodini di ferro, è fissata una coppia di fermagli a gancio, ma in qualche esemplare i fermagli sono ottenuti dalla stessa lamina lasciata di maggiore spessore, mentre all'altra sono due o tre coppie di asole per il graduale inserimento dei ganci. Lungo tutto l'orlo della fascia una serie continua di forellini testimonia l'esistenza di una fodera di stoffa o di cuoio, cucita o fermata mediante bulloncini.

Cinturone sannita
Cinturone sannita da Pietrabbondante - IV secolo a.C.


Cinturone sannita
Cinturone sannita da Pietrabbondante - IV secolo a.C.

La decorazione delle cinture si riduce quasi solo ai fermagli; rarissimi sono infatti gli esemplari che hanno qualche motivo ornamentale o qualche figura incisi o a sbalzo lungo la fascia. I fermagli hanno dato luogo ad un repertorio decorativo abbastanza vario tanto nelle parti da far aderire alla lamina quanto nei ganci: quelle hanno rappresentazioni di arieti affrontati,
decorazioni a palmette, a foglie, a figurine umane (Ercole, Vittoria ecc.); i ganci sono a lancia e a testa di lupo.
Varie ipotesi sono state fatte in merito all'origine ed anche ai luoghi di produzione delle cinture e si è supposto che venissero dalla Grecia, dal Veneto, dall'Etruria. In realtà i rinvenimenti intervenuti quasi esclusivamente nei territori delle tribù sabelliche o di tribù ad esse legate economicamente o politicamente portano a ritenere che, come questo elemento era loro peculiare, anche la sua elaborazione e probabilmente la produzione debba ricercarsi in area dell'Italia centro-meridionale lungo la fascia tirrenica dove esperienze etrusche possono essere state incentivo alla formazione di una metallotecnica locale.
L'associazione dei corredi tombali con materiale databile permette di collocare questi elementi nel corso del IV - III secolo a.C., cronologia che, d'altra parte, concorda con quella degli affreschi citati.
 Fermagli
Pietrabbondante - Fermagli
di cinturoni del IV secolo
Ma fu notato che nelle figurazioni pittoriche di questo tipo la cintura non è esclusiva dei guerrieri, trovandosi riprodotta anche nel costume virile, in quello dei gladiatori e degli aurighi partecipi ai giochi funerari e, in un affresco pestano, perfino del costume femminile. La circostanza merita di essere approfondita anche mediante un attento esame dei corredi di Alfedena e delle altre necropoli; ma se dovesse risultare esatta, la cintura verrebbe a perdere almeno in parte il suo ruolo nel costume militare dell'Italia centrale e meridionale, perderebbe quel valore di simbolo della libertà attribuitole in base alla presenza nei trofei di guerra.
Nei corredi tombali non mancano neppure gli schinieri, così frequenti nelle figurazioni: una coppia fu rinvenuta a Pietrabbondante, altra viene dalla necropoli di Villamagna. Tutti gli esemplari mancano sia della robustezza che osservammo nell'arcaico schiniere di Campovalano, che della sua possente volumetria. Il muscolo gemello interno è anche in essi sottolineato dal rilievo, ma in modo meno evidente che nel più antico esemplare. Uno schiniere analogo, rinvenuto nella necropoli di San Martino in Gattara, è ascritto al tipo etrusco.
Singolare è che la notizia data dalle fonti sull'esistenza del solo schiniere sinistro dell'armatura del guerriero ita-lico sembri contraddetta dai ritrova-menti, mentre potrebbe essere confer-
 Schinieri
Coppia di schinieri
da Pietrabbondante.
mata riferendola a tempi più remoti. Le testimonianze letterarie e figurate assegnano concordemente ai guerrieri sanniti, come loro caratteristiche, "armi d'asta". Avarissime sono invece nel citare le cosiddette armi bianche, abbondantemente esemplificate per epoche più antiche.
I reperti sembrano convalidare queste testimonianze, infatti, accanto ad una serie numerosissima di "ferri di lancia", ben pochi sono i ritrovamenti di spade, daghe, pugnali. La stessa necropoli di Alfedena, la sola fino ad ora in cui siano state sistematicamente esplorate anche tombe del periodo sabellico, ha restituito pochissimi
 da Venafro
Cuspidi di lancia da Venafro
esemplari di armi bianche, che per la forma possono essere datate a questo periodo. D'altro canto, sembra assai dubbio che il prevalere delle armi d'asta sia da mettere in rapporto con la preponderanza della cavalleria negli eserciti sabellici.
Le armi d'asta non mostrano sostanziali differenze da quelle che le genti sabelliche avevano ricevuto dalle più antiche tribù abitatrici della regione. Unico tipo che presenta una indubbia originalità è una sorta di ferro di lancia falcato, con inserto a cannone e tagliente nella sola parte concava; è stato rinvenuto esclusivamente a Pietrabbondante in due esemplari. Quanto allo scudo sannitico ricordato dalla tradizione, dobbiamo riconoscere che sul territorio non ne è stato rinvenuto alcun esemplare, né sono stati accertati elementi, quali il rinforzo dell'orlo e
l'umbone, che necessariamente avrebbero dovuto essere metallici, anche se gli scudi fossero stati di materia deperibile.
Al termine di questa disamina dell'armamento sabellico sembra opportuno accennare ad un singolare oggetto rinvenuto anch'esso a Pietrabbondante e che, almeno stando alle nostre cognizioni, non trova riscontro nell'ambiente italico.
E' la figura acefala di un gallo con la coda composta di varie lamine metalliche lavorate a martello e congiunte mediante bulloncini secon-
 Gallo
Gallo in bronzo, lamina martellata.
do la tecnica dello "sphyrélaton". Nell'oggetto è stata riconosciuta un'insegna militare sannitica, ipotesi quant'altro mai attendibile se si ponga mente alle insegne militari romane, anche di non molto posteriori, con rappresentazioni di animali.

 


Tratto da V. Cianfarani, L. Franchi Dell'Orto, A. La Regina
Culture adriatiche antiche di Abruzzo e di Molise
De Luca Editore - Roma 1978

 

 

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Storia dei Sanniti e del Sannio - Davide Monaco - Isernia 2002

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