GUERRE SANNITICHE

 

LA SECONDA GUERRA SANNITICA - dal 326 al 304 a.C. (Prima Parte)

Quella che viene citata come seconda Guerra Sannitica fu un periodo d'armi non del tutto chiaro e descritto confusamente dagli storici romani, ma quel che è sicuro è che ambedue i popoli erano coscienti all'epoca di rivaleggiare per l'egemonia sull'Italia peninsulare. Dopo gli accordi siglati nel 341 a.C., sia i Sanniti che i Romani attraversarono un periodo di pace ed unione d'intenti, portandoli finanche a combattere insieme contro le popolazioni latine ribelli (Guerra Latina 340-338 a.C.) al nuovo stato delle cose che i due popoli predominanti avevano discusso e convenuto nell'accordo siglato. Anche se avevano combattuto insieme, Romani e Sanniti si temevano vicendevolmente, conoscendo l'uno la forza ed il potere di scontro dimostrato in guerra

dall'altro. Per questo motivo i Romani, consapevoli che l'obiettivo da raggiungere era identico a quello dei Sanniti, cioè la crescita del proprio popolo e l'annessione di nuovi territori, cercarono nuove alleanze da stringere in caso di ulteriori conflitti spingendosi nel sud della Campania fino alle falde del Vesuvio. Per neutralizzare la predominanza della colonia sannitica di Teanum nella pianura campana, fondarono poco distante, nel 334 a.C., la colonia latina di Cales e per rafforzare il controllo sui Sanniti, strinsero all'estremo sud della penisola accordi con Alessandro il Molosso di Taranto, succeduto ad Archidamo di Sparta.

 La valle caudina - Cliccare per ingrandire
Antica mappa della valle caudina (1)

I Sanniti si sentirono accerchiati sempre più da una morsa così ben congegnata tanto che nel 328 a.C. dovettero subire l'onta della fondazione della colonia della nuova Fregellae (la città volsca era stata conquistata e distrutta dai Sanniti - Fregellae era situata vicino l'odierna Ceprano), sulla sponda sinistra del fiume Liri, cioè la sponda che secondo il trattato di pace stipulato tra i due popoli doveva essere di pertinenza esclusiva dei Sanniti. Tentarono più volte, per via diplomatica, di fermare le attività per siglare nuove alleanze che Roma andava imbastendo per parare eventuali loro minacce ma, visti tanti tentativi andati a vuoto, iniziarono anch'essi a tessere una rete di alleanze per contrastare gl'intenti romani. In quel periodo strinsero alleanze con alcune città della Campania, per lo più di lingua osca, come Nuceria, Nola e Napoli. Quest'ultima oltre che osca era principalmente greca ed è quindi da supporre che solo le fazioni osche furono alleate dei Sanniti.


La valle caudina

Prospetto della Valle Caudina dalla parte del Sannio (2).

Nel 327 a.C. la situazione precipitò con la morte in battaglia di Alessandro il Molosso contro i Lucani. I Sanniti, liberatisi da una minaccia che manteneva costantemente in allerta i loro eserciti nel sud della penisola, si scrollarono di dosso anche la morsa a cui i Romani li avevano stretti trasferendo parte dell'esercito in area caudina ed iniziando così ad inoltrarsi sempre più frequentemente nel territorio campano.

A Napoli intanto la fazione sannita aveva preso il potere ed un esercito di 6000 guerrieri aveva occupato la città. Ben presto però, la fazione greca del governo partenopeo entrò in contrasto con gli elementi sanniti, tanto da iniziare ad intrecciare contatti segreti con i Romani. Il senato dell'Urbe, dietro richiesta proprio della fazione greca, inviò a sud di Roma tutte le truppe che ancora disponeva, comandate dai consoli Lucio Cornelio Lentulo e da Quinto Publilio Filone. Quest'ultimo si attestò nei pressi dell'ager napoletano attendendo il momento propizio per entrare in azione. Infatti, i demarchi napoletani Carilao e Ninfio, i Principes Civitati, con uno stratagemma riuscirono a far allontanare la guarnigione sannita dalla città aprendo così le porte ai Romani. L'altro console Cornelio Lentulo, con un'azione di copertura, si schierò nella valle del Volturno arginando così ogni possibile aiuto che poteva arrivare dal territorio del Sannio. La guarnigione sannita, accortasi dell'inganno, non potè fare altro che ripiegare, essendo in forte svantaggio numerico.


La valle caudina (1875)

Veduta della Valle Caudina presa dal vero (1875)(3).

Così nel 326 a.C. Napoli entrò saldamente a far parte della sfera d'influenza romana, siglando con loro un favorevole trattato di alleanza. Quest'azione, insieme alla fondazione di Fregellae ed allo stanziamento di un esercito romano nella valle del Volturno, cioè in pieno territorio sannita, costituirono le cause della rottura dell'antico trattato del 354 a.C. tra i due popoli, lo stesso confermato e riveduto nel 341 a.C., ed il conseguente inizio di una nuova fase di ostilità.
I primi anni di guerra, tra il 326 ed il 322 a.C., passarono tra violente scaramucce e piccoli scontri per attestare le rispettive posizioni, sicuramente nel territorio della Campania settentrionale tra il medio Liri ed il medio Volturno. Nessuno dei due eserciti prevalse nettamente sull'altro. Degno di nota fu il tentativo effettuato dai Sanniti per bloccare l'unico accesso che i Romani avevano per entrare in Campania dal nord, cioè dalla zona di Fondi e Gaeta. Riuscirono a sbaragliare il presidio romano e ad attestarsi per breve tempo nella zona. Purtroppo senza un adeguato appoggio tattico dovettero cedere ben presto la postazione conquistata.



LE FORCHE CAUDINE

Per porre fine a questo periodo di stallo e per cercare una possente vittoria sui Sanniti in modo da piegarli alla resa, anche perché esausti dalle tattiche di guerra sannite basate sulle incursioni rapide e violente che non davano la possibilità di difendersi adeguatamente, nel 321 a.C. Roma inviò i consoli Tito Veturio Calvino e Spurio Postumio Albino, a capo di un esercito forte di 20.000 uomini, nella zona dei Sanniti caudini in modo da tagliare fuori dal conflitto le aree a ridosso della Campania per poi proseguire contro Malies (Benevento) e quindi gli Irpini, così da infliggere una pesante sconfitta ai Sanniti tanto da indurli a chiedere la pace. Di conseguenza, ciascun console guidò la propria legione verso Calatia da dove sarebbero dovuti avanzare insieme verso i Caudini, aggirando il versante meridionale del Monte Taburno.


Pianta delle Forche Caudine

Pianta delle Forche Caudine (3).

Intanto i Sanniti, osservando le mosse delle legioni romane dall'alto delle loro fortificazioni, riuscirono ad intuire quali fossero le intenzioni dei due consoli romani. A capo della Lega Sannitica vi era in quel periodo un "meddix tuticus" di grande arguzia militare, Gavio Ponzio, che subito collocò l'esercito sannita nei pressi di una gola posta lungo l'asse di spostamento dei Romani, bloccandone l'uscita verso Caudium con massi ad alberi divelti. Quando entrambe le legioni vi furono entrate, Ponzio ne ostruì anche lo stretto ingresso dalla parte di Calatia. I Romani si accorsero della trappola solo quando videro tutte le alture circostanti presidiate dai Sanniti.


La valle caudina

Il percorso attraverso la valle di Caudio (4).

L'avanguardia e la retroguardia romana si accorsero in ritardo che le uscite dalla gola erano state ostruite. Lo sgomento fu grande quando, calata la notte, i Romani si videro circondati dai fuochi contigui degli accampamenti nemici, formati dalle "ndocce", una sorta di grandi torce che i Sanniti usavano in caso sia di spostamenti notturni che per illuminare gli accampamenti (5). Per alcuni giorni tentarono di aprirsi la strada combattendo, ma vennero sistematicamente rigettati nella valle dalle schiere nemiche. Così i due consoli costatarono che non rimaneva loro altro che la resa.
Questa fu la disfatta delle Forche Caudine, una delle più famose ed al tempo stesso delle più elusive negli annali della Repubblica romana. Gavio Ponzio era dell'idea di

sterminare le legioni bloccate nella gola, in modo da provocare una pesante perdita a Roma in termini di uomini ed armamento e costituire così i presupposti di un periodo di pace, dato che dopo una batosta simile l'Urbe sarebbe sicuramente scesa a più miti consigli.
Ma sia al Meddix sannita che ai suoi uomini più vicini era noto che, una volta sterminato il grosso delle forze militari romane, si sarebbero sicuramente ridestati focolai di insurrezione di quelle genti latine soggiogate da ambedue i popoli solo pochi anni addietro e con molta difficoltà.
Alla storia è passato che sia a Gavio Ponzio che ai suoi uomini ripugnava il fatto di dover dare una morte così ignominosa a tanti guerrieri. Chiesero così il parere ad un "grande" del Sannio, Erennio Ponzio, padre di Gavio e figlio del capostipite Gavio, famoso e stimato "meddix tuticus", amico di Platone e del matematico Archita di Taranto. Ormai anziano, venne condotto sul luogo e, dopo aver visto tale disfatta dei Romani, consigliò al figlio di lasciarli andare poichè tale mortificazione avrebbe lasciato un grande segno nell'animo di quelle genti.

 Il giogo sannita.

Le Forche Caudine secondo la descrizione
fattane da Appiano (3)

L'onta del rilascio ignominioso di due consoli con le proprie legioni sarebbe stata per Roma una sconfitta maggiore dell'uccisione di tanti guerrieri. Gavio Ponzio, esortato anche dai suoi uomini, seguì i consigli del padre e rilasciò i soldati romani dopo averli fatti passare sotto un giogo di lance spogli delle armi e vestiti della sola tunica (6). A corredo di questo fatto fu stilato tra il meddix sannita ed i consoli a nome di Roma, un nuovo trattato di pace che reiterava quello di vent'anni prima infranto dagli stessi Romani. A garanzia della firma e quindi della ratifica del trattato da parte del Senato romano, 600 cavalieri, il fiore della nobile gioventù romana, sarebbero stati trattenuti fino al buon esito della vicenda.


I Sanniti ed il giogo

I Sanniti osservano i Romani mentre passano sotto il giogo (7).

I consoli con le loro legioni ripararono subito in territorio amico, tornando con grande clamore a Roma. Che il trattato sia stato firmato e che gli ostaggi tornarono sani e salvi a Roma si evince dai cinque anni di pace che seguirono le vicende delle Forche Caudine. Il bottino di guerra dei Sanniti fu enorme: oltre l'armamentario di due intere legioni romane con cavalli e carri, anche un trattato di pace molto favorevole. Dovette essere abbastanza arduo per Roma risalire subito la china che tale vicenda impresse, specialmente nell'animo più che nella sostanza.

Ma i Romani fecero tesoro di tale sconfitta migliorando l'armamento e le tattiche di guerra dei propri eserciti. Adottarono subito il "pilum", cioè la "saunia" dei Sanniti, la corta lancia utilizzata in guerra e lo scudo ovale rastremato nella parte superiore, lo "scutum". Adottarono le loro tecniche di guerriglia e le contromisure ad esse, sfruttando in modo migliore la cavalleria. Studiarono la loro tattica di scontro in campo aperto e la migliorarono, snellendo le legioni e rendendole più veloci ed incisive. Dalla parte politica, molte furono le alleanze ed i contatti diplomatici intercorsi tra i Romani e le popolazioni delle Puglie ed altri piccoli popoli limitrofi al Sannio.
Dopo cinque anni i Romani, questa volta più agguerriti che mai, si ripresentarono di nuovo al cospetto dei Sanniti.

Anche i Sanniti, dal canto loro, durante la pace caudina si preoccuparono di rafforzare le proprie posizioni. Consolidarono il loro controllo sulla riva sinistra del fiume Liri, quella di loro pertinenza, e prestarono il loro appoggio ai movimenti antiromani che fermentavano nella regione alla destra del fiume. Migliorarono la situazione nella Campania centrale e meridionale controllando Nola, Nuceria Alfaterna, Stabie, Pompei ed Herculaneum. Inoltre ebbero contatti diplomatici con gli Etruschi e con le popolazioni limitrofe ai territori nord di Roma.


 

NOTE

(1) La Valle Caudina e Sant'Agata dei Goti in un particolare della "Carta delle Reali Cacce di Terra di Lavoro e loro adjacenze" disegnata da Giovanni Antonio Rizzi Zannoni nell'anno 1784. Disegno ad inchiostro nero, acquerello, conservato nella Biblioteca Nazionale di Napoli.

(2) Tavola con il "Prospetto della Valle Caudina dalla parte del Sannio", disegnata da D. de Laurentiis, incisa da C. Pignatari e contenuta nel volume di Francesco Daniele "Le Forche Caudine illustrate" edito a Caserta nel 1778 e conservato nella Biblioteca Nazionale di Napoli.

(3) Incisione tratta dal libro di Pasquale Albino "Ricordi storici e monumentali del Sannio Pentro e della Frentania" - Campobasso Tip. De Nigris 1879

(4) Le frecce rosse indicano il tragitto che i due consoli romani avevano pensato di effettuare per arrivare a Malies (Benevento) e che in parte hanno percorso. Le linee gialle indicano le posizioni che i Sanniti occuparono sulle alture prospicienti lo stretto passaggio di Caudio, aspettando che ambedue gli eserciti consolari si inoltrassero nella vallata.

(5) Le "NDOCCE" erano delle grandi fiaccole, alcune lunghe anche più di tre metri, formate da un fascio (di forma conica) di grossa legna con, all'interno, arbusti secchi di ginestra misti a rami e foglie secche, amalgamati con resina d'albero, compressi per bene in modo da bruciare lentamente. Il loro fuoco era potente e la luce era visibile da molto lontano.
Ancora oggi, nel paese di Agnone (IS), alla vigilia di Natale e, da qualche tempo a questa parte, anche l'8 Dicembre (Immacolata Concezione) di ogni anno, viene celebrata la "NDOCCIATA", la festa della luce di chiara derivazione sannitica, dove una processione di cento e più uomini che indossano il tradizionale mantello nero, con una serie di "ndocce" sistemate a ventaglio e portate a spalla, sfilano per il centro storico della città. Le attuali 'ndocce sono composte da un'intelaiatura di legno di abete bianco con all'interno ginestre secche che bruciano sprigionando una forte luce.
La cerimonia è molto suggestiva e culmina con un grande falò dove vengono bruciate tutte le "ndocce" che hanno sfilato. Questa cerimonia è stata presentata in Vaticano e celebrata davanti al Papa in piazza San Pietro l'8 Dicembre 1996.

(6) Sul mensile FOCUS di Maggio 2001, nella rubbrica "Domande e Risposte" viene pubblicata la risposta alla domanda "Perchè si dice passare sotto le forche caudine?".
La redazione del mensile così risponde: "La frase significa subire una grave umiliazione o una prova mortificante. Il modo di dire risale all'antica Roma e precisamente alla seconda Guerra Sannitica. Nel 321 a.C. gli uomini dell'esercito romano, sconfitti nella gola di Caudio vicina all'odierna Benevento, subirono la mortificazione di dover passare disarmati sotto un giogo di lance, davanti ai vincitori... ... Oltrechè morale, la pena fu pure fisica: infatti i Romani, consoli in testa, vennero sodomizzati. L'episodio sembra essere l'origine del modo di dire che associa la fortuna alle dimensioni del sedere: chi aveva un grosso ano soffriva meno la violenza dei Sanniti ed era perciò più fortunato degli altri".
Quest'ultima parte non è confortata da fonti storiche ma si basa sulla frase riportata da Tito Livio affermante che i Romani furono mortificati sia nel fisico che nello spirito.

(7) L'illustrazione è tratta da: "Enzo Biagi - Storia di Roma a fumetti" - Edizioni Mondadori De Agostini - Novara 1988


La seconda Guerra Sannitica (Seconda Parte)

 

 

 

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Storia dei Sanniti e del Sannio - Le guerre sannitiche - Davide Monaco - Isernia 2002

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