La storia e le vicende dell'Abbazia di San Vincenzo Al Volturno.
 

 
SANTA MARIA IN INSULA
LA CRIPTA DELL'ABATE EPIFANIO





Pianta del primitivo nucleo abbaziale.
In giallo il luogo dove è ubicata la cripta di Epifanio.

 

La chiesa di Santa Maria in Insula, secondo le confermate notizie del Chronicon Vulturnense, fu fatta edificare (o comunque interamente ristrutturare) da quell'Epifanio che fu abate di San Vincenzo tra l'824 e l'842. Sono quindi definitivamente superate le supposizioni avanzate prima che si iniziassero gli scavi sistematici di tutta l'area monastica, quando ancora si sosteneva che il nucleo centrale di San Vincenzo fin dall'VIII secolo fosse situato nell'area dell'attuale edificio abbaziale, dall'altra parte del letto del fiume Voltumo.
Questa chiesa di Epifanio, comunque, quale che fosse la sua intitolazione, era formata da un corpo rialzato, in pianta rettangolare, che si concludeva nella parte di fondo con un alto presbiterio a forma di tricora, ove era posto l'altare. Il pavimento, di cui non rimane traccia, si sviluppava ad un livello parzialmente interrato, ed era collegato, attraverso un camminamento variamente articolato, alla zona seminterrata della contigua chiesa (che poi era l'originaria San Vincenzo) e successivamente alla zona antistante il grande refettorio.
Tale chiesa contigua, all'epoca di Epifanio, era stata demolita e trasformata in palazzo, utilizzando in parte le strutture basamentali dell'edificio preesistente ed in parte aggiungendo un serie di muri portanti trasversali.
Certamente dovette essere una parte residenziale riservata ad ospiti di riguardo ed è indubbio che la particolare vicinanza alla cripta, nonché la presenza di una serie di elementi murari che fanno pensare ad una scala di collegamento tra i piani abitativi e l'ambulacro sotterraneo, inducono a ritenere che stesse particolarmente a cuore del committente di tali articolati percorsi l'esigenza di un collegamento diretto di questo edificio con l'ambiente in cui sono posti gli affreschi. A questo si aggiunga che l'ambulacro andava a raggiungere, con un percorso in leggera pendenza, un'area riservata specificamente agli ospiti, costituita da un giardino con peristilio e fondale in muratura arricchito da una prospettiva che riproduceva, come nelle antiche case pompeiane, quell'ambiente agreste esterno che non era materialmente visibile.
Continuando ancora, il percorso (che per la parte descritta era interamente sotterraneo) diventava luminoso quando raggiungeva la zona che anticipava il grande refettorio e attraverso la quale dovevano necessariamente e quotidianamente passare tutti i religiosi dell'abbazia. Ovviamente, considerando al contrario l'itinerario appena descritto, ricaviamo che la cripta era raggiungibile con estrema facilità sia dagli ospiti illustri, sia dai religiosi, sia dagli ospiti occasionali dell'abbazia, attraverso un percorso inizialmente luminoso che, escludendo tutti gli edifici che si sviluppavano sopra di esso, progressivamente diventava più scuro fino a diventare praticamente buio all'interno della cripta, dove assumeva importanza sostanziale la fonte di luce costituita da una finestrella laterale, della quale torneremo a parlare.
L'ambulacro, insinuandosi tra altri edifici di cui ancora non viene effettuato lo scavo, dal refettorio raggiungeva la parte inferiore della grande chiesa di San Vincenzo Maggiore, che poteva essere cosi attraversata mediante un camminamento molto largo che sbucava dalla parte opposta, sulla facciata laterale meridionale, nell'area del grande chiostro e delle officine. Se dunque ci riportiamo all'epoca di Epifanio troviamo nel monastero una organizzazione complessiva che, tenendo conto delle grandi trasformazioni operate da Giosuè agli inizi del IX secolo, vedeva utilizzata per gli ospiti di riguardo e per la residenza dell'abate quella parte che originariamente era occupata dal nucleo originario di San Vincenzo (e che con larealizzazione della grande chiesa di Giosuè era praticamente divenuta poco rappresentativa per le cerimonie liturgiche ufficiali).
Quale fosse la funzione della chiesa di Santa Maria in Insula, si può intuire dalla presenza di un buon numero di sepolture recentemente ritrovate immediatamente avanti alla facciata e che sono risultate utilizzate anche da personaggi estranei alla vita monastica dell'abbazia. Attraverso l'esame archeologico non sono venuti elementi sufficienti per poter affermare che esistesse un collegamento diretto tra l'esterno dell'area sepolcrale e l'interno e neppure è ben chiaro come avvenisse il raccordo tra la parte superiore del presbiterio e quella inferiore della chiesa. Al presbiterio, notevolmente rialzato rispetto al piano dell'unica navata, probabilmente si accedeva mediante una scala rettilinea, perfettamente assiale con esso. La circostanza che la chiesa, e conseguentemente la cripta, sia l'ambiente terminale di un lungo ed articolato percorso, è sufficiente per capire che essa costituisse un punto di riferimento preciso per chiunque, qualunque fosse il motivo, risiedesse nell'abbazia e che Epifanio ne avesse voluta la realizzazione perché potesse essere frequentata da più persone, perlomeno finché egli era in vita.
La pianta della cripta si caratterizza per essere formata da un corpo trasversale in forma rettangolare che costituisce un anomalo transetto su cui, nella zona centrale, da una parte si innesta una pronunziata cavità absidale e dall'altra una rientranza rettangolare di modestissima profondità che contiene la finestrella attraverso la quale si può osservare la parte sotterranea della chiesa esterna (n.2 nella pianta). Quale fosse la funzione di questa finestrella non è del tutto chiaro; infatti, comunque si ipotizzi la conformazione della navata della chiesa, essa non poteva portare luce abbondante all'ambiente sotterraneo, specialmente se si ritiene che essa si sarebbe trovata al disotto della scalinata del soprastante presbiterio. Tuttavia, attualmente, in qualsiasi momento della giornata, sebbene siano cambiate le condizioni complessive esterne per la scomparsa dell'involucro murario della chiesa, la luce che penetra attraverso la piccola apertura, costituisce un vero e proprio asse luminoso diretto verso la parte più interna dell'abside, a colpire direttamente l'angelo che è al centro di essa e nello stesso tempo a creare una fascia radente che illumina in particolare il Cristo centrale. Quindi è chiaro che svolga una funzione importante, sebbene apparentemente secondaria rispetto alla più potente illuminazione della finestrella laterale (n.1 nella pianta), nell'ambito dell'architettura della luce che è elemento determinante per la comprensione del ciclo di pitture. Potrebbe anche trattarsi di una "fenestella confessionis", pur essendo molto alto il dislivello tra il piano della cripta e quello esterno e sembrando impossibile, o comunque difficoltosa, una sua pratica utilizzazione. Intanto rimane da capire quale fosse la funzione dell'arco murato che si legge con evidenza sulla faccia esterna dell'ambiente, in corrispondenza della finestrella centrale appena descritta. La circostanza che la fascia interna non presenti segni di intonaco lascia intendere che esso non abbia mai avuto la funzione di collegamento con l'aula della chiesa. Potrebbe trattarsi di un arco dalle funzioni prevalentemente strutturali, benché intimamente collegato al setto murario, ma in questo caso la sua realizzazione sarebbe dovuta avvenire contestualmente alla muratura di tompagnamento. Potrebbe, invece, essere più plausibile l'ipotesi che tale arco sia stato realizzato in funzione della successiva, prevista, esecuzione degli affreschi, nel senso che, essendo necessaria una buona illuminazione per eseguire la maggior parte delle pitture, si sia mantenuta una larga apertura per ottenere il massimo di luce durante i lavori e che poi quella parte sia stata murata solo al momento in cui si sarebbe dipinta la scena dell'Annunciazione e si sarebbe realizzata la scala.
L'unica fonte di luce definitiva (o comunque prevalente), sarebbe stata, come in effetti è avvenuto, un'altra finestrella, posta sul fondo del braccio lungo opposto all'ingresso, nella cui arcata superiore è raffigurata una mano distesa ed orientata verso l'interno.
Due piccole nicchie si fronteggiano sulle pareti lunghe, sempre dalla parte opposta all'entrata. Sull'impianto absidale si imposta una pseudocupola che si raccorda alla parte inferiore senza soluzione di continuità.
(Questo testo è tratto da: Franco Valente - San Vincenzo al Volturno. Architettura ed arte. Edizioni Abbazia di Montecassino 1995).


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Ruderi di Santa Maria in Insula con la cripta di Epifanio. A destra come apparivano
nel 1970, a sinistra come possiamo oggi vederli, nel pieno dei lavori di scavo.





Gli scavi archeologici di Santa Maria in Insula.

 

 

Gli affreschi della Cripta

Questa descrizione degli affreschi della cripta dell'abate Epifanio è puramente analitica, tende cioè ad illustrare il ciclo figurato senza entrarne nell'interpretazione. Mirevole è infatti la descrizione che ne fa Franco Valente interpretando il ciclo degli affreschi sul tema dell'Apocalisse, con la figura del Cristo assiso che consegna a San Giovanni la Verità simboleggiata da un libro chiuso il cui contenuto potrà essere conosciuto solo entrando e proseguendo verso la Luce della Rivelazione, dove il libro si aprirà (F. Valente - San Vincenzo al Volturno. Architettura ed arte. Edizioni Abbazia di Montecassino 1995. Pag. 89 - 138). Rimandiamo quindi alla lettura di questo libro per una approfondita e nuova interpretazione degli affreschi.


Pianta

Pianta della cripta di Epifanio.

La cripta deve la sua conservazione all'essere rimasta interrata per molti secoli fino a che casualmente, per lavori agricoli, venne alla luce nei primi decenni del XIX secolo. Dopo essere stata illustrata dapprima dal monaco cassinese don Oderisio Piscicelli-Taeggi, è stata oggetto di numerosi e notevoli studi, data la sua eccezionale importanza.
E' un ciclo pittorico che "supera i tipi iconografici bizantini in una nuova elaborazione dei caratteri stilistici improntati a grande libertà di disegno e scioltezza di forme, ma soprattutto in una maniera tutta particolare di colorire e di graduare i passaggi dalle ombre alle luci che dona specialmente ai visi sfumature coloristiche assai simili alla serie dei mosaici romani" (Penco).
La pianta della cripta è composta da due bracci di diversa lunghezza che si intersecano a forma di croce. Il lato più lungo misura circa sette metri ed è largo un metro e mezzo, il minore misura circa cinque metri ed è alquanto più largo. L'altezza media del tutto è di circa tre metri. Le volte sono a botte e formano una crociera nell'intersecarsi.
Gli affreschi occupano per due terzi l'altezza delle pareti, mentre per un terzo, la parte più bassa, sono ornate con dipinti a motivi geometrici, floreali e di tessuti preziosi. Altre figure ornano le volte. Vi si accede discendendo una breve gradinata posta sul lato sinistro.


Primo braccio.

Sul muro di fronte all'ingresso si scorgono le figure ben conservate di quattro personaggi femminili (vergini o martiri), ma la parziale caduta dell'intonaco ha rovinato il panneggio inferiore degli abiti. Altre due simili figure sono visibili nella parte sinistra (A) di chi scende la scala di ingresso, quindi il totale di questi personaggi è sei.
Il basamento inferiore della parete è decorato a similitudine di tessuti dipinti. Il fondo delle stoffe è bianco ed è diviso, mediante linee gialle, a quadrati sagomati in rosso. In mezzo a questa decorazione, al centro del secondo braccio, spiccano due aquile con ali spiegate (D).
Le sante vergini posano i piedi su di un piano, che dà il senso della profondità alla raffigura-zione e, dove è ancora possibile vedere, dipinto con colori gialli e terra di Siena, disseminato da fiori a petali rossi. Le suddette figure appaiono snelle e quasi
 
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Le quattro vergini ed il motivo geometrico (B).
tutte simili nell'atteggiamento: occhi piccoli, visi delicati e assorti sotto chiome bionde coronate da tre variopinti apici. Indossano vesti preziose
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Particolare delle vergini.
 
e piene di perle, portano grandi orecchini aurei pendenti e bianchi veli cadenti dal capo sulle spalle. Con la mano sinistra, coperta da un lieve mantello che scende dalla spalla sinistra, reggono delle grandi corone d'oro ingemmate di perle; con la destra stringono al petto una piccola croce. I colori sono delicatissimi: molto leggeri quelli delle mani e del viso, mentre i veli che scendono dal capo sono cerulei e le pieghe segnate con linee più intense. A destra della vergine, che è all'angolo, una elegante ed alta anfora con doppia ansa, tinta di grigio argenteo.
Di fronte alle quattro sante, su un trono gemmato, entro una grande "mandorla" (*) di color rosso, siede la Vergine col Bambino benedicente e racchiuso in una piccola aureola. La colorazione è molto rovinata, però si scorge dagli elementi rimasti la medesima mano dell'artista che ritrasse le precedenti figure. Presso la pedana del trono, sulla destra, si prostra in ginocchio una figura devota (forse San Giovanni), con le mani tese in supplice preghiera presso il piede destro della Madonna. In epoca posteriore furono aggiunte, sotto la figura della Vergine, tre mezze figure di santi, di cui una sola è ben conservata.
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Madonna in trono
con bambino (C).


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A destra, una delle aquile con le ali spiegate (D), al centro la decorazione e
sulla destra, il viso di uno dei tre santi dipinti forse posteriormente (C).




Secondo braccio.

In questo lato, a destra ed a sinistra sono affrescate quattro figure di angeli, due per parte, ancora ben conservate, specialmente quelle di sinistra. Poggiano con i piedi calzati di porpora sopra un piano di color
giallo ocra dal quale si elevano steli con fiori rossi. Vestono corte toniche e una clamide che scende dall'omero destro dove è fissata con una fibula: reggono con la sinistra globi stellati o Agnus Dei, poggiano la destra sul petto. Presso uno degli angeli, a destra di chi guarda, è ben visibile l'iscrizione SCS RAPHAEL. Tutti e quattro tengono le ali aperte in una posizione di quiete e lasciano ammirare i vari colori delle molte piume: fanno corona al loro Principe racchiuso nella grande "mandorla" centrale.
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L'angelo nel fondo del II braccio.
I colori utilizzati nell'affrescare le ali sono quelli dell'iride. Questo braccio della cripta termina con quello che sembra una nicchia dove, sempre racchiuso in una "mandorla", viene raffigurato un quinto angelo con vicino una scritta, forse un'invocazione: (MISER)ERE. Al di sotto di questa nicchia si trovano raffigurate le due aquile con le ali spiegate e con la testa riversa ambedue verso il I braccio della cripta.

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I due angeli della parte destra (E) ed i due angeli della parte sinistra (F).




Terzo braccio.

Nel braccio opposto a quello dell'ingresso, non più angeli e beati, ma scene di martiri. Sulla parete di sinistra sono raffigurati il martirio di San Lorenzo e il martirio di Santo Stefano. Le due scene sono contigue, ma ben distinte. Nella prima, sempre su piano colorato di giallo ocra con fiori, una grossa grata centrale, sotto cui arde una intensa massa rossa (la brace), regge il corpo del Levita romano ed ancora è possibile leggere la scritta SCS LAURENTIUS. Da un lato, a sinistra, siede un personaggio su di un cuscino di velluto di un ricco trono adorno di perle e pietre preziose che si curva profondamente in basso e indica col dito il Santo Martire che due carnefici, uno giovane e l'altro anziano, si sforzano di mantenere con lunghe forcine sulla graticola rovente. Accanto al primo dei due si legge verticalmente la scritta CARNIFICES. Un terzo carnefice, tirando la fune che lega le mani del Santo Martire, si volta forse per l'intenso calore sprigionato dai carboni ardenti.
Al centro un angelo scende precipitosamente a testa in giù in soccorso

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Il martirio dei santi Lorenzo e Stefano e, a sinistra, un particolare dell'affresco (G).



del martire che è disteso nudo sulla graticola e gli rivolge il viso in atteggiamento sereno. La raffigurazione è delimitata da elementi architettonici che si riducono ad una terna di parastre dalle quali si staccano architravi poggianti su capitelli, vagamente ionici, di colonne circolari. Il tutto in una visione prospettica che da profondità alla scena.
Accanto a questa raffigurazione e sulla stessa parete segue il martirio di Santo Stefano, rappresentato esso pure fra archi con colonne che racchiudono meglio tutto il soggetto. Il Santo (SCS STEPHANUS) è caduto per terra ed alza le mani ad implorare perdono dal cielo per i lapidatori, che qui sono due giovani vestiti con tuniche e clamidi:
hanno in grembo le pietre che in parte sono state già scagliate contro il Martire. La parte inferiore della scena ha subito il distacco dell'intonaco.
Fra le due scene è incavata nella parete una piccola nicchia, dentro la quale sopra un fondo azzurro si vede la figura di un personaggio orante. Gli pende dalle spalle una lunga stola che copre le bianche vesti; ha intorno al capo un nimbo rettangolare che lo denota ancora vivente. Sulla parte terminale di questo braccio, ove è situata una piccola finestra (n.1 nella pianta), si scorge una mano dalle dita lunghe ed affusolate proprio sopra l'apertura: pare che dall'esterno voglia introdurre qualcosa all'interno della cripta.
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La nicchia.
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La mano.
 
Sulla parete opposta e a destra di chi guarda, sono raffigurati due episodi della passione di Cristo. Di fronte al martirio di San Lorenzo vi è raffigurata la Crocifissione di Nostro Signore. Su di un terreno color giallo ocra è posta una massiccia croce con un cartello infisso alla sommità dove si legge IHESUS CHRISTUS REX IUDEORUM. Il Cristo ha il viso inclinato verso il braccio destro e sembra poggiare i piedi su un sostegno quasi a livello del terreno. Il viso presenta un aspetto giovanile e imberbe, con i lunghi capelli sulle spalle.
Attorno ai fianchi pende un drappo legato sul lato sinistro del corpo. Le braccia sembrano ormai non più succubi dell'atroce agonia e le mani sono fissate alla traversa lignea con chiodi. L'espressione del volto è serena, non sofferente: col capo chino verso destra, dov'è la Madre, l'artista dell'affresco scrive: MULIER ECCE FILIUS TUUS, in modo da rendere queste parole come pronunciate da Gesù. Gli occhi chiusi sembrano sottolineare l'ultimo attimo della vita terrena.


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La Crocifissione ed alcuni particolari dell'affresco (I).

La Madonna, avvolta in un mantello rosso, alza verso il Figlio il volto dove viene ben rappresentata l'espressione di dolore e le mani coperte da un drappo (forse la Sacra Sindone ?). A sinistra è la figura di Giovanni Evangelista, che si ritrae indietro portando la mano destra alla faccia per lo sgomento e stringendo al petto il vangelo con la sinistra.
In alto e sopra i due lati trasversi sono raffigurati il sole e la luna (ma il colore è sbiadito). In disparte e in alto sta una figura solitaria di donna con una corona turrita in testa e seduta per terra, benché vestita riccamente. Poggia la guancia sulla mano e guarda il Cristo prostrando la mano destra, mentre il vento le sconvolge il velo e le vesti: è la città di Gerusalemme (IERUSALE) che si rende conto della sciagura che la rende suo malgrado partecipe.


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A destra la città di Gerusalemme ed a sinistra il monaco ai piedi della croce di Gesù.

In questa Crocifissione l'artista sviluppa molto bene il senso dello spazio e della profondità. In primo piano la figura di un monaco inginocchiato è posta davanti alla Croce con le mani tese verso il Cristo (l'abate Epifanio ?). Un nimbo quadrato cinge la testa del venerando personaggio, che dovette esser dipinto mentre era ancor vivente. Sotto tutta la Crocifissione si legge: T DOM. EPHYPHANIUS ABB.: iscrizione preziosa, che ci offre con esattezza gli anni entro i quali fu composta tutta la decorazione della cripta vulturnese: sotto l'abbaziato di Epifanio (824-842).
A sinistra della Crocifissione e di fronte al martirio di Santo Stefano sono raffigurate le pie donne che si recano al sepolcro: SEPULCRU DNI è scritto sopra la facciata di uno snello edificio con due torri ai lati. Nell'interno del sepolcro aperto si vede il sudario abbandonato: un angelo dalle grandi ali vieta l'ingresso al sepolcro e tende la mano sinistra alle due Marie, che portano gli aromi indossando ampie vesti e con il capo coperto.
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Le pie donne al sepolcro (H).
Anche su questo lato, tra i due episodi, si apre una piccola nicchia affrescata. Sul fondo azzurro campeggia la figura di Cristo, giovane e senza barba, in piedi sopra una predella che è ormai quasi del tutto scomparsa. Benedice con la destra e regge nella sinistra un libro su cui è scritto EGO SUM DS ABRAHA. Le folte e belle chiome sono racchiuse in un'aureola crucigera con i segni dell'alpha e omega. Ai fianchi del Cristo sono i due diaconi ritratti nella parete di fronte: a destra San Lorenzo e a sinistra Santo Stefano.


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La nicchia affrescata con Cristo ed i martiri Lorenzo e Stefano (H)(I).
In basso, particolare di Gesù e di San Lorenzo.


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Parte degli affreschi tra il III e IV braccio (I)(L)(M).




Quarto braccio

Il quarto braccio doveva essere il più importante: forse originariamente ospitava l'altare ma, durante i lavori di restauro, quello che si riteneva essere il basamento dell'altare votivo si è rivelato essere una sepoltura (forse dell'abate Epifanio ?). Sulla parete terminale di questo IV braccio si apre una finestra (n.2 nella pianta) tra l'effige di due colonne. Ai lati di questa è raffigurata l'Annunciazione: a sinistra l'angelo discende veloce dal cielo, posa i suoi piedi sul terreno sempre colorato in giallo ocra, le vesti svolazzano ancora. Gabriele, vestito riccamente e adorno di colori chiari (forse oro), reca nella sinistra il bacolo. A destra della finestra è la Madonna che sorpresa si è alzata dal ricco sedile; stringe nella sinistra gli strumenti del suo lavoro di filatura e con la destra quasi si ritrae davanti all'angelo con il candore verecondo di una santa fanciulla.


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L'affresco dell'Annunciazione (M).


Nelle due pareti laterali e contigue all'Annunciazione è rappresentata, divisa in due parti, la Natività. A sinistra, sul fondo azzurro, appare la Vergine (HAGHIA MARIA) con i piedi nudi e, in atto di riposo, giace su un disteso drappo ricamato: accanto a Lei sta una composta figura di uomo seduto (forse San Giuseppe o il profeta Isaia), che poggia la guancia sul palmo della mano destra e tende in avanti l'indice sinistro. Sulla parete di fronte è ritratta una caratteristica scena. A prima vista sembrerebbero due donne intente a lavare il Bambino (IHS XPS), ignudo, in una grande vasca lavorata e dotata di manici (il calice ?). A sinistra una donna, seduta e con cuffia in testa, tiene alzate le mani per lavarlo, mentre a destra l'altra donna versa dell'acqua con una piccola brocca. Il Bambino poggia leggiadramente la manina sinistra sull'orlo del vaso e con la destra benedice.

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A destra la Natività (L) ed a sinistra Gesù bambino nel calice (N).




Le volte.

La volta della cripta è, in verità, affrescata da poche figure, in due delle quali viene rappresentata la Madonna (II braccio e crociera). All'entrata, nel I braccio, è dipinta una figura sicuramente maschile ma difficile da riconoscere, data la cattiva conservazione dell'intonaco vicino alla zona che consente l'ingresso alla cripta dall'esterno.
La volta sopra il II braccio è la meglio conservata. Un alone formato da circoli variopinti e molteplici, racchiude la Vergine (SCA MARIA) seduta su di uno splendido trono, al di sopra degli angeli. La figura è molto bella e slanciata. Le cinge il capo una corona tricuspidata, un leggero velo le scende dal capo sulle spalle. Tondi orecchini con perle, vesti sontuose e calzari purpurei la adornano. Presenta la mano destra aperta al seno e con la sinistra sorregge in grembo un libro su cui è scritto: BEATA ME DICENT.
La volta del III braccio è caratterizzata da quella mano dipinta proprio sopra la finestrella che confina con l'esterno (n.1 nella pianta), in modo che la poca luce solare che entra direttamente nella cripta venga associata alla mano stessa.

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La Madonna Regina assisa in cielo e gli angeli. A destra il particolare dell'affresco (K).

 

NOTE

(1) Per "mandorla" si vuole identificare una figura geometrica non meglio evidenziabile, ma per rendere meglio l'idea si è voluto associare questo segno iconografico con il guscio di una mandorla, un qualcosa di protettivo che ingloba al suo interno figure di volta in volta diverse.

 

 

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Storia e vicende dell'Abbazia di San Vincenzo al Volturno - Davide Monaco - Isernia 1997

Copyright © 1997 Arch. Davide Monaco