Abbazia di San Vincenzo al Volturno - Davide Monaco - Isernia 1997
 
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La vicenda storica.

Nascita e declino dell'Abbazia.

 
 
Paldo,Tato e Taso lasciano Benevento.
 

Le prime vicende del monastero di San Vincenzo al Volturno sono raccontate nel codice miniato Chronicon Vulturnense conservato nella Biblioteca Apostolica Vaticana. L'edizione a stampa di questo manoscritto fu curata da V. Federici, ed è stata pubblicata presso l'Istituto Storico Italiano per il Medioevo fra il 1925 ed il 1938. Il cronista che all'epoca ha redatto l'opera era un monaco di nome Giovanni, che potrebbe essere stato l'abate del monastero verso il 1130 circa. E' probabile che ciò che scrive lo abbia attinto da una fonte letteraria dell'VIII secolo e che si sia inoltre servito di una documentazione miscellanea dei secoli IX-XI. Anche ammettendo ciò, il Chronicon deve essere letto con una certa precauzione, poichè appare chiaro che lo scopo principale dell'autore era quello di dimostrare quanto l'Abbazia di San Vincenzo fosse stata importante nel passato, quasi a nascondere il declino che essa attraversava quando il Chronicon stesso fu scritto.

 
I tre principi beneventani si separano dai loro servi.
 

La storia delle origini del cenobio di San Vincenzo al Volturno narra che tre nobili beneventani, Paldo, Tato e Taso, alla ricerca di un luogo dove vivere nella pace e nella preghiera, furono consigliati dall'Abate Tommaso di Farfa di recarsi presso le sorgenti del fiume Volturno dove esisteva un oratorio diroccato. Secondo il cronista, l'edificio risaliva all'epoca di Costantino ed i frati trovarono un territorio abbandonato ma fertile e boscoso. Il Duca di Benevento prese a cuore l'intento dei tre giovani donandogli quelle terre incolte dove, tra la fine del VII e gli inizi dell'VIII secolo, Paldo, Tato e Taso costruirono una nuova chiesa. Anche se di modeste dimenzioni, questo primo edificio sacro costituì la rinascita di quei luoghi tanto da richiamare col tempo la gente che era duvuta andare via. Con l'aiuto dei coloni, i monaci bonificarono gran parte del territorio, rendendo produttiva quella terra una volta incolta. Poco tempo dopo, i tre fondatori si adoperarono per la ricostruzione della vicina Abbazia di Montecassino, la culla del monachesimo benedettino, che era stata saccheggiata dai Longobardi nel VI secolo. Quello che il Chronicon non dice è che il monastero di San Vincenzo fu creato dal duca di Benevento, Gisulfo I, immediatamente dopo la vittoriosa conclusione di una campagna militare che fruttò ampliamenti territoriali verso il Lazio e l'Abruzzo.
Come anche per altri monasteri fondati da re e duchi longobardi nello stesso periodo (Bobbio, Farfa, Nonantola), la nascita di San Vincenzo al Volturno fu la manifestazione del potere detenuto dal suo patrono secolare su di una importante zona di confine. La dedica del monastero a San Vincenzo resta sostanzialmente un mistero. Il Chronicon tace sull'argomento: può darsi che le reliquie del santo di tale nome ricordate in una descrizione del X secolo, appartenessero ad un oscuro martire tardoromano dell'Italia centrale, piuttosto che al famoso chierico spagnolo con questo nome.

 
Tommaso di Morienna riceve  i tre pellegrini.
 

Durante la prima metà dell'VIII secolo, viene ricordata la fondazione di tre chiese: San Vincenzo Minore, al tempo del primo abate Paldo (703-720), Santa Maria Maggiore, sotto l'abbaziato del co-fondatore Taso (729-739) e San Pietro sotto Ato (739-760). Nel cinquantennio successivo l'Abbazia si ampliò costantemente. Tra il 730 e il 775 i duchi di Benevento continuarono a concedere a San Vincenzo al Volturno proprietà distribuite tra il Molise, il Lazio meridionale e la Campania.
Negli anni 777-778 l'Abbazia fu posta sotto la guida dell'illustre teologo Ambrogio Autperto, un franco originario della Provenza, che compose un commentario sull'Apocalisse e omelìe di oggetto mariologico. Al suo tempo, comunque, in seguito alla vittoriosa discesa di Carlo Magno in Italia, il monastero fu teatro di una lotta fra i monaci longobardi fedeli al Duca di Benevento e quelli franchi favorevoli ai nuovi dominatori d'oltralpe. I Franchi carolingi si interessarono ben presto agli affari del monastero.

 
Tommaso ed i tre principi si recano sulla tomba di San Pietro.
 

L'occasione che ad essi si offerse di esserne direttamente coinvolti si presentò nel 783, quando un monaco della fazione franca accusò l'abate, il longobardo Poto (780-783), di aver rifiutato di associarsi al resto della comunità nel consueto canto delle salmodie augurali in onore del re franco.
Quando Carlo Magno venne a conoscenza di ciò, ordinò che Poto fosse sospeso dalla sua carica, condotto a Roma e tratto di fronte ad una commissione papale di inchiesta, che verificasse la consistenza delle accuse. Nella circostanza, Poto fu prosciolto dall'accusa, ma gli fu richiesto di pronunciare un giuramento di fedeltà al re. Nel contempo, a dieci monaci scelti all'interno di ambedue le fazioni formatesi nella comunità, fu altrettanto richiesto di attestare, sotto giuramento, l'innocenza dell'abate. I monaci in questione si recarono per questo da Carlo Magno in persona. Se essi abbiano effettivamente giurato, e quali siano state le conseguenze di tutto ciò, non è noto.

 
Tommaso di Morienna manda i tre principi a fondare un nuovo monastero alle sorgenti del Volturno.
 

Tuttavia, la questione nel suo complesso mostra da un lato che Carlo Magno si preoccupava non poco che il suo nome fosse adeguatamente onorato a San Vincenzo al Volturno, e dall'altro che interessi franchi e longobardi erano vivamente rappresentati presso l'Abbazia e che la loro coesistenza non era sempre armoniosa. Poco dopo nel 787, su richiesta del successore di Poto, l'abate Paolo (783-792), Carlo Magno rilasciò al monastero un diploma con il quale, nel confermargli i suoi possessi, concedeva altresì ad esso il privilegio di poter eleggere il proprio abate e di godere delle immunità fiscale e giudiziaria, che comportavano grandi vantaggi politici ed economici. E' in questo periodo che lo storico Paolo Diacono scriveva, vivendo a Montecassino, che "il monastero del benedetto martire Vincenzo, che si trova presso le sorgenti del Volturno... è oggi celebre per la sua grande comunità di monaci".
Comunque, stando a quanto ci dice il Chronicon, fu nel successore di Paolo, Giosuè (792-817), che San Vincenzo al Volturno ebbe il suo più grande abate.
Nell'autunno dell'800 i territori dell'abbazia furono percorsi dalle schiere di Carlo Magno che, di passaggio verso Roma, si fermò ospite dell'abate Giosuè.
Carlo Magno andava a Roma per essere incoronato imperatore del Sacro Romano Impero da Papa Leone III nella notte di Natale dell'800.

 
I tre beneventani si incamminano verso le sorgenti del Volturno.
 

Il cronista ci dice che Giosuè era di sangue reale ed era stato educato alla corte carolingia. Aggiunge inoltre che sua sorella era nientemeno che la moglie del figlio e successore di Carlo, Ludovico il Pio. Così che per ben due volte l'imperatore e sua moglie avrebbero visitato l'abbazia, nella seconda occasione per presenziare alla consacrazione della nuova chiesa di San Vincenzo Maggiore, che avvenne nell' 808. E' piuttosto improbabile, in realtà, che Ludovico abbia mai messo piede a San Vincenzo al Volturno, ma siamo abbastanza sicuri invece del fatto che Giosuè abbia costruito la chiesa riutilizzando materiali antichi, che sarebbero giunti da Capua, tra cui grandi colonne di un tempio che sorgeva nella cittadina campana. Queste grandi colonne di granito furono impiegate per le navate della nuova chiesa. Sulla facciata della basilica maggiore, Giosuè fece collocare una scritta visibile da grande distanza: "QUAEQUE VIDES HOSPES PENDECIA CELSA VEL IMA VIR DOMINI IOSUE STRUXIT CUM FRATRIBUS UNA" - Tutto ciò che vedi, o ospite, dalle strutture che torreggiano alte a quelle rinserrate nelle profondità, è stato costruito dall'uomo di Dio Giosuè e dai suoi fratelli monaci. Inoltre, sebbene non vadano esagerati i legami di Giosuè con la corte, non c'è dubbio che sotto di lui l'Abbazia acquisì grande prestigio, proprio in quanto struttura ecclesiale protetta dagli imperatori. Questa sua notorietà attrasse grandi flussi di donazioni soprattutto da parte di aristocratici del ducato (dal 775 principato) di Benevento.

 
Un angelo porta cibo ai tre monaci.
 

Intorno all' 830, l'Abbazia di San Vincenzo al Volturno possedeva beni in Abruzzo, nel Lazio Meridionale, nel Molise, in tutta la Campania ad eccezione del Cilento, in Puglia e in Basilicata. Con gli abati Talarico (817-823) ed Epifanio (824-842), proseguì l'ascesa di San Vincenzo al Volturno. Vennero costruite altre quattro chiese, cosicché nel secondo quarto del IX secolo vi erano in tutto otto chiese all'interno del cenobio monastico.
Dopo la morte di Epifanio, le fortune dell'Abbazia cominciarono a vacillare.
Nell' 839, a seguito dell'assassinio del principe Sicardo, il territorio beneventano fu dilaniato da una guerra civile che lo divise in tre tronconi, con capitali in Benevento, Salerno e Capua.

 
Paldo diviene il primo abate di San Vincenzo.
 

Nel frattempo gli Arabi, impegnati nella conquista della Sicilia, approfittarono di questo stato di anarchia per insediarsi in alcune città del meridione (Taranto, 840-880 e Bari 847-871) con l'intento di espandersi nella Penisola. Frequentemente essi combattevano anche come mercenari con le varie parti in lotta.
Nell' 847 un forte terremoto, con epicentro presso Isernia, danneggiò numerosi edifici della cittadella monastica.
Nell' 860 una banda di Saraceni, guidata dall'Emiro di Bari Sawdan, minacciò di saccheggiare il monastero a meno che non gli venisse versato un tributo di 3.000 aurei. L'abate, pur di veder risparmiato il sacro cenobio, accettò di pagare salvando così la vita a centinaia di frati senza contare tutta la gente che viveva attorno al monastero e che aveva trovato rifugio tra le antiche mura. Più di vent'anni dopo, il 10 Ottobre 881, gli Arabi alleati del vescovo-duca di Napoli, tornarono a San Vincenzo al Volturno con l'intento di saccheggiarlo. Nulla potettero le suppliche dei monaci per risparmiare il monastero e quella volta dovettero combattere e resistere armi alla mano ai Saraceni che, tramite la cattura di alcuni servi che lavoravano al monastero, ebbero informazioni di come accedere all'interno della cittadella, segnando così le sorti dello scontro. Pochi monaci riuscirono a scampare al massacro, dapprima rifugiandosi in un vicino castrum (forse l'attuale Castel San Vincenzo), e quindi riuscendo a riparare a Capua dove, come altre comunità benedettine europee in quel tempo funestate da Saraceni e Vichinghi, ricrearono il monastero "in esilio".

 
I monaci nelle loro sepolture.
 

Dopo la definitiva estromissione dei Saraceni dalla Campania nel 916, un piccolo gruppo di monaci fece ritorno a San Vincenzo al Volturno. L'abbazia del X secolo è descritta come una pallida immagine di quella dei tempi andati. In questo periodo, gli abati Rambaldo (920-944), Leone (944-957), Paolo II (957-981), Giovanni III (981-984) e Roffredo (984-998) si succedettero alla guida dell'Abbazia dedicandosi maggiormente alla riorganizzazione dell'area territoriale di propria competenza, nell'alta valle del Volturno. Furono emanate carte di fondazione per numerosi insediamenti (contratti livellari), alcuni dei quali erano completamente nuovi ed altri, in vario modo, riconfermavano quelli già stipulati in passato.

 
La morte di Paldo
 

Una volta completato questo progetto, l'attenzione degli abati tornò ad incentrarsi sull'Abbazia vera e propria. L'abate Giovanni IV (998-1007) restaurò la chiesa principale (il San Vincenzo Maggiore), che era stata a suo tempo severamente danneggiata dai Saraceni. Successivamente è attribuita all'abate Ilario la costruzione di un nuovo campanile e la ridecorazione pittorica della chiesa stessa. Quindi, secondo quanto ci dice il Chronicon, l'abate Giovanni V nel 1055 ricostruì la chiesa abbaziale insieme ad un nuovo chiostro. Ma già prima di Giovanni V, l'Abbazia si era trovata a dover fronteggiare pericoli provenienti da un'altra direzione. Una famiglia locale, i Borrelli, nel 1042 attaccò e depredò San Vincenzo al Volturno. I suoi esponenti, veri e propri ladroni, rappresentavano un continuo pericolo per l'Abbazia fino a quando non fu eletto abbate un monaco cassinese, Gerardo. Per sottrarsi alle continue angherie dei Borrelli, il nuovo abbate trasferì il monastero su una nuova posizione più difendibile, che è poi quella dove si trova l'attuale monastero.

 
L'abate Taso a colloquio con i suoi monaci.
 

Fu qui che il monaco Giovanni compose la sua storia. Le successive vicende di San Vincenzo al Volturno sono piuttosto incolori. Fu distrutto da un terremoto nel 1349. Nel tardo XVII secolo, l'Abbazia e la sua terra furono acquisite da Montecassino. Nell'Ottocento le leggi emanate da Gioacchino Murat (1808 - 1815), portarono alla demanializzazione del monastero. Quando un viaggiatore inglese, Lord Keppel Craven, visitò l'Abbazia, essa si presentava in piena decadenza. La chiesa era ridotta ad un edificio tozzo e piuttosto anonimo, con una tipica facciata di gusto napoletano provinciale. Attraverso varie vicende, nel corso del XX secolo, l'abbazia di San Vincenzo al Volturno è tornata ad essere proprietà di Montecassino.
Durante la seconda guerra mondiale la chiesa superstite, che nel frattempo era diventata un misero simulacro dell'edificio di Gerardo, fu bombardata e ridotta in un cumulo di macerie. Nel dopoguerra l'Abbazia fu oggetto di nuove attenzioni da parte dei monaci di Montecassino e, nel 1965, la replica dell'edificio gerardiano era di nuovo completata e pronta a tornare all'uso cattolico.
La sua ricostruzione fu curata da Don Angelo Pantoni, monaco di Montecassino. Dal 1989 è nuovamente attiva una comunità di benedettini, formata da religiose dell'Ordine, provenienti dal monastero di "Regina Laudis", che ha la sede principale nel Connecticut (USA).






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