L'ISPANICO
di Ilaria
La prima volta che lo vidi era seduto a terra, incatenato ad un palo, uno dei
tanti schiavi in vendita nel mercato. Notai subito il tatuaggio delle legioni
sulla sua spalla sinistra, appena sotto una brutta ferita slabbrata e purulenta.
Quello che mi colpii in lui e che mi convinse a comprarlo nonostante le sue
condizioni, fu che quando premetti sulla ferita - facendogli sicuramente molto
male - lui non emise un gemito né cercò di scostarsi. Mi lanciò solo una breve
occhiata quando gli chiesi se era un disertore e poi tornò a guardare davanti a
se, come se né io né l'intero mercato esistessimo.
Lo rividi la mattina seguente mentre con l'aiuto di Haken, il mio gigante
germanico, mi dedicavo alla selezione delle nuove reclute.Come quella sanguisuga
di mercante mi aveva ricordato, alcuni uomini andavano bene per combattere e
altri per morire e io avevo bisogno di entrambi. Di conseguenza i nuovi arrivi
erano divisi in due gruppi: i rossi erano quelli che promettevano di essere dei
buoni combattenti mentre i gialli.....beh, diciamo che ben difficilmente
sarebbero usciti vivi dal loro primo scontro nell'arena.
Quando sentì Haken chiamare l'Ispanico il mio interesse si risvegliò un poco:
fino a quel momento, con l'eccezione del Nubiano, i nuovi acquisti si erano
rivelati un branco d’incapaci e speravo che l'ex legionario si dimostrasse un
buon combattente.
Lo vidi camminare fino a Haken, prendere in mano la spada di legno in una
maniera che faceva chiaramente intendere che sapeva bene come maneggiare
quell'arma e poi scagliarla a terra con disprezzo.
Haken si voltò verso di me con aria interrogativa e io annui. Era necessario
dargli subito una lezione, non potevo tollerare atti d’insubordinazione.
Il gigante germanico colpì l'Ispanico allo stomaco con la spada. L'ex soldato
barcollò e poi si risollevò, guardando Haken dritto negli occhi, senza paura.
Un'altra occhiata, un altro colpo, questa volta sulla spalla ferita e di nuovo
lo stesso risultato.
Haken era furibondo e avrebbe colpito di nuovo se non l'avessi fermato. "Basta
così per ora, il suo momento verrà."
Non so perché lo feci. Forse perché rimasi dalla forza d'animo dell'Ispanico,
forse dalla sua mancanza di timore....non lo so.
Quello stesso pomeriggio andai a trovarlo nella sua cella. Lo trovai seduto a
terra, le gambe incrociate e lo sguardo perso nel vuoto. Mi accorsi subito che
la sua spalla ferita perdeva sangue...colpa della spada di Haken? Scacciai via
le mosche che già vi si erano posate e guardai meglio. Si trattava di un'altra
ferita, localizzata poco al di sotto dell'altra già in via di guarigione, sul
tratto di pelle dove il giorno prima avevo notato i resti del tatuaggio SPQR.
Ora quelle quattro lettere non c'erano più.
"Perché l’ hai fatto?" gli domandai curioso, ma lui non mi rispose né si degnò
di guardarmi.
Avevo già capito che non avrei ottenuto nulla da lui urlando, insultandolo o
minacciando di farlo frustare, ero certo che avrebbe accettato gli insulti e le
botte e sarebbe rimasto in silenzio, perciò tentai nuovamente con le buone
maniere.
"So che sei in grado di combattere" continuai "L' ho visto dal modo in cui hai
impugnato la spada stamattina. Ma se non mi dai una dimostrazione di quello che
sai fare, sarò costretto a marcarti con il giallo....Non posso certo ingannare
gli spettatori mandando nell'arena un atleta non testato. Lo sai cosa vuol dire
essere marcati di giallo?" Ancora silenzio. "Vuol dire che sei carne da macello
e che nell'arena li avrai subito tutti addosso, pronti a farti a pezzi. Vuoi
davvero morire senza lottare?"
E fu allora che lui si voltò a guardarmi e io mi ritrovai a fissare due occhi
privi di vita, gli occhi di un uomo che non desiderava altro che morire e farla
finita con il mondo.
"Ho capito." Mormorai, "Ho capito."
Mi allontanai imprecando sottovoce e ordinai ad uno dei miei servi di marcarlo
di giallo.
*** *** ***
Venne il giorno del combattimento contro le andabatae. Prima dello scontro, come
mia abitudine, feci un discorsetto d'incoraggiamento e v’infilai il riferimento
a coloro "che pensavano di non voler combattere" proprio con l'Ispanico in
mente, perché se c'è una cosa che detesto è vedere un uomo morire senza lottare.
Ad un certo punto lo vidi compiere uno strano gesto: si chinò a terra e raccolse
una manciata di sabbia, strofinandosela lentamente tra le mani. Lo guardai
curioso, chiedendomi perché lo avesse fatto, e quando lui risollevò la testa e i
nostri sguardi s’incrociarono, mi accorsi immediatamente del cambiamento
avvenuto in lui. Quegli occhi un tempo privi di vita erano ora freddi e
determinati e nel guardarli io ebbi la certezza che quell'uomo sarebbe uscito
vivo dall'arena.
Lo scontro mi diede ragione.
L'Ispanico e il Nubiano combatterono fianco a fianco con grande coordinazione ma
era evidente anche all'occhio meno esperto quale dei due uomini fosse il miglior
combattente. Uscii dall'arena sorridendo: solo tre dei miei uomini erano
sopravvissuti, ma quei tre mi avrebbero reso ricco.
*** *** ***
I mesi passarono veloci e io mi ritrovai a possedere il miglior gladiatore che
il nord Africa avesse mai visto. Oh, avevo anche altri ottimi atleti come Juba e
Haken ma nessuno di loro era paragonabile all'Ispanico. Tuttavia, nonostante i
suoi successi e i soldi che mi stava facendo guadagnare, c'era qualcosa in lui
che non andava. Lui non combatteva come un gladiatore ma come un soldato:
uccideva velocemente, senza spreco d’energie o movimenti superflui ma anche
senza la minima concessione allo spettacolo.
Dopo l'ennesima carneficina, dopo che aveva ucciso sei uomini in meno di un
minuto e aveva poi tentato di eliminare anche me, scagliando una spada verso il
palco dove ero seduto, decisi di parlargli, anche perché i miei uomini mi
avevano appena recato importanti notizie da Roma.
Lo feci chiamare e lui arrivò scortato da due guardie.
Rimasi a fissarlo per alcuni minuti, mentre sorseggiavo il mio vino. Mi sono
sempre considerato un buon giudice d’uomini ma quell'ex legionario era un
enigma. Non riuscivo a capire quali ruote dovevo girare per fargli fare quello
che volevo.
Provai a fare un po' di conversazione con lui ma fu tutto inutile. Gli offrii
una donna, un ragazzo ma niente, non riuscii a scuoterlo dalla sua apatia, che
sembrava sparire solo durante i combattimenti.
Rimase lì a fissarmi con sufficienza, come se lo stessi distogliendo da ben più
importanti compiti...
Io, il suo padrone!
Poi gli parlai di Roma, della maestosità del Colosseo, del mio passato da
gladiatore e di come avevo ottenuto la mia libertà e per la prima volta mi
accorsi d’avere tutta la sua attenzione e il suo interesse.
"Mi chiedi che cosa voglio?" mi domandò "Voglio stare in piedi davanti
all'imperatore, come hai fatto tu."
"Bene", pensai, "finalmente so cosa vuoi: la libertà...." Voi penserete
probabilmente che non fosse una cosa poi così difficile da capire, in fondo
quale schiavo non desidera essere libero?
E invece no! Non avevo capito niente!
Guardandolo distogliere lo sguardo quando gli dissi che avrebbe potuto ottenere
la libertà dopo aver ucciso molti uomini, ebbi la netta sensazione che lui non
fosse davvero interessato al tornare libero...
Ad ogni modo mi promise di conquistare la folla e questo, in fondo, era quello
che volevo sentirmi dire.
*** *** ***
Il ritorno a Roma si rivelò dolce- amaro.
La vista dei templi, delle basiliche e del Colosseo mi riportarono alla mente i
più bei momenti della mia vita di gladiatore, quando ancora forte e scattante,
ero conteso dalle più belle matrone della città.
Però avvertii subito che l'Urbe era diversa da come me la
ricordavo......l'atmosfera era diversa, avvelenata dal malcontento e dalla
paura. Il giovane Cesare voleva conquistare l'amore del popolo attraverso i
giochi, ma i problemi dell'impero non erano così facili da risolvere.
Il soggiorno cominciò nel peggiore dei modi quando quel debosciato di Cassio mi
annunciò che i miei uomini avrebbero dovuto prendere parte alla rievocazione
della battaglia di Zama e per di più nella parte dei Cartaginesi che,
notoriamente, persero quella battaglia. Il disastro era imminente, ero certo che
i miei uomini sarebbero stati massacrati.
Avrei voluto tirarmi indietro ma mi fu fatto chiaramente intendere che
all'imperatore la cosa non sarebbe affatto piaciuta.
Fu con tristezza e rabbia che andai ad assistere alla battaglia, formulando una
preghiera a Marte, dio della guerra, affinché aiutasse i miei uomini.
Marte ascoltò le mie preghiere e il mio Ispanico fece un miracolo. Attingendo al
suo addestramento militare, fece lavorare tutti i gladiatori insieme e,
guidandoli con la confidenza e l'esperienza di un vero capo, li portò al
trionfo. Le tribune tremarono per l'eccitazione della folla: mai nella lunga
storia del Colosseo si era vista una cosa del genere. L’Ispanico aveva davvero
dato agli spettatori qualcosa che non avevano mai visto prima.
Ma il meglio - o il peggio, a seconda dei punti di vista - doveva ancora
arrivare.
Vidi l'imperatore scendere nell'arena scortato dai sui pretoriani e confesso che
per un attimo pensai che, incantato dal mio gladiatore, avesse deciso di
concedergli subito la libertà e la cosa non mi rendeva particolarmente felice.
Stavo già pensando a come avrei potuto convincere l'Ispanico a continuare a
lavorare per me, magari in cambio di parte dei guadagni, quando mi accorsi che
nell'arena le cose si stavano mettendo male per il mio atleta.
L'imperatore gli aveva chiesto il nome e quel pazzo, invece di rispondere, gli
aveva voltato le spalle!
"Cosa stai combinando?!" esclamai furioso. "Vuoi forse farti uccidere?"
Poi lo vidi togliersi l'elmo, voltarsi lentamente verso Commodo e scandire con
voce ferma, orgogliosa e priva di paura, il suo nome, i suoi gradi e la sua
promessa di vendetta.
Rimasi sbalordito, come tutti i presenti nell'arena.
L'Ispanico non era altri che il Generale Massimo Decimo Meridio, l'eco delle cui
vittorie in Germania era arrivato fino all'Africa!
E all'improvviso tutti i pezzi del mosaico andarono al loro posto: la sua apatia
e la sua disperazione, il suo portamento fiero e il suo carisma, il suo modo di
combattere così efficiente, il suo volere essere davanti
all'imperatore.......Compresi in quel momento che lui non desiderava la libertà,
voleva solo uccidere l'uomo che gli aveva distrutto la vita.
*** **** ***
Tutto questo accadeva pochi giorni fa ma è come se fossero passati anni dal quel
fatidico pomeriggio.
Massimo è diventato l'idolo del popolo romano, specialmente dopo il suo atto di
clemenza nei confronti di quel bestione di Tigris, e ora è anche al centro di un
complotto contro Commodo...Non so esattamente che cosa stiano tramando lui, la
sorella dell'imperatore e il Senatore Gracco, ma so che stamattina avrei dovuto
ricevere da un servo del senatore il denaro pattuito per la libertà del
Generale, ma accortomi del fatto che il giovane era seguito da quella che
sospetto essere una spia di Commodo, ho preferito defilarmi e non presentarmi
all'incontro.
Quando ho riferito l'episodio a Massimo, lui mi ha promesso che sarei stato
pagato al suo ritorno ....e io ho praticamente deriso il suo senso dell'onore,
dicendogli che la politica e la salvezza di Roma non mi interessano più di tanto
e che in fondo io sono solo un uomo di spettacolo. L' ho visto allontanarsi, il
portamento fiero e rigido e poi voltarsi ancora verso di me, pronunciando quelle
dieci parole che da ore mi stanno martoriando il cuore e la mente...."Ha ucciso
l'uomo che ti ha dato la libertà."
Sento dei rumori nel cortile; mi affaccio alla finestra e scorgo la figura
incappucciata di una donna scortata da due servitori. Non c'è bisogno di fare
domande, so già di chi si tratta.....Sospetto che tra l'Augusta Lucilla e
Massimo ci sia ben più di una semplice conoscenza, l' ho visto dal modo in cui
si guardano.
Che cosa vorrà?
Mentre mi appresto a scendere le scale, mi rendo conto che non mi importa di
conoscere le richieste dell'Augusta....Ho già preso la mia decisione.
Ti aiuterò, Generale.
Ti aiuterò perché lo meriti, essendo stato capace di risvegliare la mia
coscienza da tanti, troppi anni addormentata, e ti aiuterò in ricordo di Marco
Aurelio ma...OH! Generale, quanto vorrei che tu fossi rimasto semplicemente il
mio Ispanico!
Fine
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