Racconti e Favole                                                                                                                                                                                

       RACCONTI          

                                  

Le ruote girano

                                              Dietro la curva il mostro in agguato - Estate 2003

Dietro la curva il mostro è in agguato. Una vista orribile, un edificio di una ventina di piani, il gusto sbagliato nel posto sbagliato. Le facciate di color marroncino economico. Questa dunque è la dolce Francia? Come mai i francesi hanno permesso questo scempio sulla Costa Azzurra. Il piacere di avere attraversato una frontiera inesistente a Ventimiglia ci viene guastato da questo maledetto grattacielo nano. Tutto è vuoto alla frontiera, i caselli della dogana, i posti di blocco, i cambiavalute. Qui ci farei un bel monumento, una biblioteca di storia, e darei un nome allo spiazzo, Piazza Cose Impossibili. L’unico rammarico è che i francesi insistono a parlare la loro lingua, altrimenti potremmo diventare davvero un unico paese. Si, l’Europa manca di una lingua comune. Inglese? Latino? Entrambi direi, quale per certi argomenti, quale per altri. Ma insomma affrontiamo questo problema della lingua comune, ne abbiamo le tasche piene di quote-latte e armonizzazione delle imposte. Ma torniamo al mostro. I colpevoli non sono i francesi, il mostro edilizio è dentro Montecarlo. Come Montecarlo? Si, proprio quel Montecarlo con le signore in piume di struzzo e i gentlemen in frac. Si, proprio quei gentlemen che escono all’alba dal casinò, entrano nel bel giardino di fronte e si sparano, rovinati dal gioco. Ma a proposito di giardino sentite questa. Arriviamo in bici da corsa a Montecarlo, io, Pistilli e Cecconi, in un caldo torrido. Da uno che ha girato il mondo, e sopratutto le case dei parenti, ho l’immediata e impalpabile sensazione che non siamo graditi, ma non dico nulla ai ragazzi. Il Pistilli a metà discesa verso la spiaggia punta verso un magnifico giardino con tanto di panchine e fontanella. Ma la fontanella butta acqua tiepida e di cattivo sapore, altro segno che qui gli stranieri sono amati solo se vanno al bar La gente seduta sulle panchine è silenziosa e ovviamente ben vestita. Sembrano stare tutti come immobili in posa per la foto e sembrano dire ‘Non vedete quanto siamo ricchi e ben educati?’. Pistilli e Cecconi ancora non hanno capito, ma io si, e me rimango all’ingresso del giardino vicino alla fontanella, mentre i due si inoltrano felici e ignari verso le panchine. Non passano infatti che pochi secondi e arriva Furbo Guardiano, egli si ferma a un dieci metri da me, mi punta, sorride. Ricambio il sorriso e tiro fuori una busta che potrebbe contenere un panino, ma con calma, lentamente. Alle mie mosse Furbo Guardiano sorride beato, parmi sentire il suo pensiero, - Dai bello, tira fuori il panino, butta in terra le briciole e la carta oleata.- Ma dalla busta esce fuori il mio telefonino, me lo accosto all’orecchio e sorrido ancora di più a Furbo Guardiano. Accortosi il malvagio che trattasi non di panino ma di telefonino, il sorriso gli si smorza sulle labbra e gli si tramuta in ghigno amaro, nella notte avrà un attacco d’ulcera e sua moglie lo lascerà. Perso l’attacco contro di me, Furbo Guardiano ha uno scatto da cavallo sciancato e trotta alla volta di Pistilli e Cecconi, purtroppo nascosti a me dagli alberi. Mi perdo dunque la scena in diretta. Dal successivo indiretto racconto dei due vengo a sapere che Furbo Guardiano li ha scacciati gentilmente dal giardino dell’Eden con la scusa ufficiale che non sono ammesse le bici. Fossimo entrati con l’orologio avrebbe detto che è proibito guardare l’ora nel giardino. Sempre dal racconto dei due so che Pistilli ha masticato amaro assai, mentre il lecconi ha tentato un sarcasmo da quattro soldi, come segue.
Cecconi (indicando a Furbo Guardiano alcuni mostruosi palazzi nuovi) – Quelle sono le case popolari, vero?
Furbo Guardiano – Si, sono le case per i poveri.
A proposito di poveri, mi chiedo che gusto ci sia a essere ricchi a Montecarlo dove non ci sono poveri. Di cosa si compiace il ricco, se non ha poveri vicino a se? Mi ripropongo di mandargliene, ben pagati si intende.
Di palazzoni osceni il principe di Montecarlo ne ha fatti tirar su una dozzina almeno, non pochi considerato che Montecarlo sono quattro case. E a questo proposito ora io, se permettete, mi domando e dico. Mi domando e dico se questo principe di Montecarlo aveva tanto bisogno di quattrinelli da doversi dare alle speculazioni edilizie; se poi dovendosi dare alle speculazioni edilizie non poteva almeno assumere un architetto decente; se da ultimo si deve lasciar scempiare la più bella costa d’Europa in nome della proprietà privata e dello Stato di diritto. Il mondo alla fin fine è anche mio.
E per chiudere torniamo alle cose impossibili, come quella di avere sulle coste d’Italia la spiaggia libera, pulita, abbondante e attrezzata. Nella Costa Azzurra, in Francia, la spiaggia è tutta libera (no, a Montecarlo no); niente cabine, niente stabilimenti, recinti, steccati. La spiaggia francese è libera, pulita, con docce e servizi. Ma guarda tu dove vado a trovare il comunismo ben applicato in pratica, sulle spiagge della Costa Azzurra. O forse sarà una conseguenza della Rivoluzione Francese? _

 

 Le ruote girano

 

                                                                             SU, PER LA MADONNA


Siamo saliti alla madonna della Guardia, io, Cecconi e Pistilli. Io e Cecconi rigorosi in bici da corsa, Pistilli ha fatto il furbo e viene su con un catorcino con rapporti da triciclo. Abbiamo traversato Genova in un giorno di lavoro, in un’ora di punta, tra gli incoraggiamenti assai benevoli degli automobilisti. Ma prima di salire, Cecconi ha voluto fare il solito tentativo di andare a mangiare un pezzo di focaccia semplice, dove la fanno ancora buona dice lui.

Ditegli sempre di si.
In cima alla Guardia si arriva a un piccola semplice chiesetta, purtroppo chiusa. Qualche monsignore dalla testa vuota ha permesso che venisse aggiunta una orribile statuotta, che rappresenta un pretozzo dorato. Il pretozzo, inginocchiato sui gradini davanti a un cancelletto con le mani giunte, pare un piccione posatosi a implorare la Madonna che gli conceda qualche grassa briciola.
La visione dall’alto è stupenda. All’ombra della chiesetta vediamo una piccola lastra di ghiaccio che ci pare sacrilegio intaccare. Il posto è davvero bello e ispira grandi e buoni sentimenti. Salite quassù e vi verrà di chiamare col telefonino anche i parenti serpenti che non vedete da anni. Poco più alto c’è un gigantesco edificio religioso, di forma allungata, che ci rifiutiamo di andare a vedere, si sa la Chiesa ha il terribile mal della pietra, l’ossessione della presenza fisica incombente. Peccato.
A lato della chiesetta di Apparizione alla Guardia c’è la statua del pastorello falciaerba, cui apparve la Madonna. Dio solo sa, è proprio il caso di dire, perché tutte queste apparizioni ci furono per lo più nell’Ottocento e dintorni, ci si dovrebbe indagare.
Il pastorello ha l’aria incazzata, sembra che voglia minacciare col falcetto. Suggerisco che sia un rivoluzionario comunista al quale abbiano rubato il martello. Questo suggerimento viene accolto con compiacimento da Cecconi e Pistilli. E siamo al ritorno, è fine gennaio, viene sempre più freddo, temiamo una vendetta della gerarchia ecclesiastica per l’ipotesi politica fatta da me sul pastorello. Ma il castigo viene quando meno te lo aspetti, come è giusto. Alla fine della discesa, subito dopo i passaggi a livello, Cecconi vede una borsa in mezzo alla strada, scarta e frena di botto l’avido Cecconi, per poco non gli vado addosso. Quindi l’avido Cecconi torna indietro per impadronirsi del bottino, ma sopravviene una automobile, che scarta a sua volta e frena per scansare il Cecconi. Ma Cecconi salvato ancora non si arrende,  preso dall'avidità non capisce che la borsa è stregata,  si china finalmente a afferrare la borsa con rapace artiglio, ma la borsa si muove, la strega la sfila da sotto la mano del Cecconi. Cosa succede dunque?  Ancora non ci credo, alla borsa è legato una spago e all’altro capo dello spago c’è un burlone che la tira via. Era ancora lui, l’antico burlone con lo spago attaccato al biglietto da diecimila lire, o il suo fantasma? E dove sarà nato questo scherzo millenario? In Scozia? a Genova?  Dicci chi eri, fantasma burlone._

 

Le ruote girano

                                                                       AVANTI UN ALTRO

 -Avanti un altro,- dice Pietro all'usciere con un cenno del capo.-

  -Don Clemente di Codiponte-, gli fa subito eco l'usciere ossequioso e un poco annoiato.

Don Clemente si avanza infilandosi un dito nel colletto rigido per alleviare il fastidio che gli procurava. Si è messo la tonaca, la palandrana, alla quale per disgrazia è stato attaccato male un bottone, che ora gli penzolava irridente, come se non volesse partecipare agli sforzi di don Clemente di presentarsi al meglio. Per quanto non avesse alcun dubbio circa il successo del colloquio, dati i precedenti, egli non aveva voluto trascurare alcun dettaglio, e così si era messo la palandrana, la tonaca tradizionale, e non il clergyman, al maglione blue jeans neanche a pensarci, li aveva sempre considerati disdicevoli e i suoi parrocchiani non li avrebbero certo tollerati.

-Don Clemente vero?- dice Pietro.- Prego. Accomodatevi.-  Poi cominciò a sfogliare un fascicolo.- Bene, bene, tutto in regola direi, niente lodi eccezionali, ma neanche note di biasimo.-

Don Clemente siede rigido e ora cerca di nascondere la sua irritazione. Ci mancava solo che pretendessero i miracoli.

-Però, però,- riprese Pietro come parlando con se stesso.- Cosa c’è in questo foglietto? Un appunto.-

Don Clemente allunga il  collo per scavare con l’indice della mano destra tra collo e colletto, per cercare sollievo a prurito e irritazione, ma tenta nel contempo di sbirciare il foglietto. Questa storia del foglietto che salta fuori inatteso appare subito sospetta a una persona della sua esperienza, come una commedia preparata ad arte.

Pietro finge indifferenza di fronte ai sentimenti che Don Clemente non riesce più a nascondere e che cominciano a trapelare suo malgrado.

-Come sarebbe questa storia delle mattonelle in cotto rosso, don Clemente?- fa Pietro sornione al povero parroco.

Don Clemente si deve aggrappare alla sedia per non saltare in piedi. Il vescovo, era stato il suo vescovo, quel maledetto monsignore dei miei stivali gli aveva fatto la spia. Che fosse un ruffianello lo sapevano in tutte le parrocchie, se fosse stato solo per i suoi meriti se la scordava la curia. Don Clemente era stato preso alla sprovvista, doveva imbastire alla svelta una difesa, dare un risposta, e poi come doveva rivolgersi al suo interlocutore? Signore? C’era il rischio di sembrare un leccapiedi. Fratello? Poteva apparire presuntuoso. Compagno? Di male in  peggio, potevano sospettarlo un comunista. Apostolo? Rischioso, non è mai una buona idea ricordare a qualcuno gli inizi tormentati e difficili della sua carriera. Pietro, Pietro prima che canti il gallo tu mi rinnegherai tre volte, ed eccolo qui  Pietro a fargli le pulci per quattro piastrelle di cotto rosso. Maledizione, avrebbe dovuto chiedere all’usciere come rivolgersi a Pietro, Don Clemente decide di saltare i titoli e passare subito in argomento.

-Ma si tratta solo di pochi metri quadri di pavimento. E poi danno luce all’ambiente, lo disse anche il geometra a suo tempo.-

Don Clemente vuole ammorbidire ma invece Pietro si irrigidisce.

-Non è questione di quantità don Pietro ma di qualità, avete alterato il pavimento originale di una pieve millenaria , l’originale capite, avete sostituito le pietre dove si inginocchiarono per secoli i pellegrini da tutta l’Europa, al loro posto avete messo piastrelle di cotto rosso. Vi rendete conto Don Clemente? Vi voglio aiutare, aiuto sempre tutti, ma voi non mostrate pentimento.-

Ma guarda tu per quattro piastrelle cosa mi tocca sopportare, si dice don Clemente rigirando il bottone della tonaca mal cucito. Dopo che hanno distrutto tutte le ville Romane per farci sopra abbazie e chiesette mi vengono a parlare di originale. Quelle pietre originali del diavolo saranno andate bene per i pellegrini scalzi, ma non per noialtri che ci camminiamo sopra con le scarpe bagnate d’inverno. Don Clemente non è prete da lasciarsi intimidire, decide di passare all’attacco.

-Vostra eccellenza, santità, dopo tutto anche la basilica che porta il vostro nome è stata costruita su una chiesa precedente, come la mettiamo con l’originale? -

Questa volta Pietro la prese proprio male, serrò le sante labbra e picchiò con l’indice su una riga del foglietto delatore.

-Trecentomila lire don Clemente, avete preso una mazzetta dall’impresa che fece i lavori, nella vostra Pieve di Codimonte. E’ tutto scritto qui. Vi dovrei mandare giù nel girone dei corrotti, dei barattieri. –

 Il bottone incerto della tonaca non regge allo strappo di don Clemente, che ribolle al suo interno. ‘Ho mangiato pane, cipolla e brodaglia di ceci in seminario, anni di camminate a piedi d’inverno nei posti più scomodi, il tormento dei pettegolezzi e delle confessioni delle beghine, e adesso mi si viene a dare del ladro, mi si vuole mandare all’inferno per quattro piastrelle di cotto e tre lire che neanche avrò speso per me.’

-Ma santità, la sovrintendenza e la curia non impedirono che si mettesse il cotto. E poi quelle trecentomila lirette furono spese per il decoro del pievano e le opere di bene-, cerca di giustificarsi don Clemente, che riprende fiato e continua.- Molti fedeli dissero che le piastrelle di cotto al posto delle pietre grige ci stavano bene.

Ma Pietro non ci sta.

-E che potevano fare il sovrintendente e il buon vescovo? Dovevano farvi la guardia lassù  in mezzo alle vallate?  Vi dissero bene di rifar tutto come era prima. E di quelle due statue di santi che avete aggiunto a lato dell’altare, che paion due ceffi, che mi dite? E con quel quadraccio della madonna col bambino appesa al muro con una cornicina di latta dorata, come la mettiamo?-

Don Clemente capisce che non è il momento di far storie.

-Cosa volete da me santità, sono un povero parroco ignorante di campagna, credevo di far bene.  –

Pietro si liscia la barba, poi si volge verso l’interno dietro al cancello e indica qualcosa a don Clemente.

-Don Clemente, vedete quelle porte laggiù in fondo la viale alberato? Entrate dove c’è scritto Cucine-Enoteca, vi aspettano.-

Don Clemente sospira profondo, si sente lieve come la piuma di un arcangelo.

-Oh santità, vi siete burlato di me, avete voluto mettermi paura. Ma avevo capito subito che sono la persona giusta al posto giusto, come si dice, sapete valorizzare al meglio le risorse.-

Don Clemente si ricorda di aver sentito quest’ ultima frase in curia a una riunione di parroci, quel dannato monsignore gli torna buono per una volta. Poi sentendosi incoraggiato dal silenzio di Pietro riprende con più enfasi.

-Vi serve qualcuno che sappia scegliere i vini, vero santità? Eh, il vino è un dono divino. Lasciate fare a me, vi assicuro che non vi pentirete.

-Lavapiatti, don Clemente, lavapiatti per i primi trecent’anni, poi valuteremo in base al comportamento. Avanti un altro. _  

 

Le ruote girano

 

                                                                                 Uomini in bici

Si va in bici per se stessi, come un tempo si andava a caccia. Si esce di casa alle prime luci, anche se il tempo è incerto, vestiti in modo davvero insolito, anche se non privo di una vistosa eleganza. La bici è stata pulita e preparata, con lo stesso amore e cura e cura che un tempo il cacciatore dedicava al suo fucile. Ecco siamo fuori in strada, ripassiamo mentalmente l’elenco delle scuse da offrire a noi stessi nel caso un altro ciclista ci dovesse affiancare e superare. Ho forzato troppo il mese scorso, o viceversa non mi sono allenato abbastanza, dovrei mettermi a dieta e perdere peso, deve essere per il raffreddore che ho preso la settimana scorsa ma adesso recupero. Tutte buone scuse,.

Il  ciclista di buon cuore è pietoso con se,  e i suoi compagni.

 Le migliori amicizie si fanno andando in bicicletta su è giù per le colline. Sono amicizie che durano un’ora, difficilmente  ci si ritrova una seconda volta. Come si fa amicizia in bicicletta? Capita che uno ti superi, ma capisci che avrebbe di scambiare due parole, è un intuito che si sviluppa col tempo, una sorta di evoluzione del ciclista. Allora cerchi di riprenderlo, si metti a ruota per un tratto poi lo affianchi. Se non ha voglia di mettersi a parlare, ho scatta e ti stacca o rallenta e si lascia staccare. Un’altra tecnica di chi non vuole parlarti è simile a quella della ragazza che non vuole dare confidenza, guarda dritto