Racconti e Favole                                                                                                                                                                                

    RACCONTI 

Gabriella Bianchi                       Rosella

Rosella.  Foto di Mario Villani

 

Rosella, un’età indefinibile, una vita di cent’anni fa, o un’ombra che viene fuori dal “Cristo si è fermato ad Eboli”. Certo non una storia di oggi. Quattro mura, quattro sassi di tufo mischiati a casaccio con travi di legno marce. E’ una casa. E’ la casa dove Rosella vive da sempre. La sala da pranzo è un terrazzo. Lei seduta, un tavolaccio accostato al parapetto, un piatto e una vista che mozza il fiato. C’è la montagna, c’è la vallata spezzata dal fiume. Rosella vive in via Belvedere. La sua casa sgarrupata è proprio sotto l’insegna della strada. E la sua casa non è un belvedere. E’ un rudere che il Comune di Grottolella ha espropriato per ricostruire tutto il centro storico. Dal terrazzo Rosella vede il castello Carafa. E appena fuori quei quattro mattoni di tufo, i vicoletti lastricati in pietra, ancora bianchi per la calce appena posata. E’ tutto nuovo intorno. E’ un centro storico come tutti quelli riesumati dalle macerie, vere o posticce del terremoto. Una storia più reinventata, secondo il gusto dell’architetto di fiducia. Quattro mura sgarrupate, vista indecente per chi si addentra nel dedalo rifatto. Ma Rosella vive lì e non vuole andar via. E’ la sua casa da decenni. Nessuno può strapparla dal suo mondo. Non è riuscito neppure il sindaco che qualche anno fa le aveva assegnato un appartamento nei prefabbricati pesanti. Ma il cartongesso finto e freddo non faceva per Rosella. Cosa aveva a che spartire con l’energia elettrica, l’acqua che esce da un rubinetto, con il gas che serve a cucinare, a riscaldarsi, ad avere l’acqua calda. La sua vita è tutta lì. Un passo fuori casa e c’è la campagna, l’orticello. Rosella in casa ci sta poco. E’ rimasta “sepolta” per giorni sotto la neve che ha buttato giù qualche tegola. Nel bel mezzo della stanza, dove il pavimento è rotto Rosella sistema un po’ di legna e si riscalda così. Inutile parlarle di gas e di luce. “Che ne faccio. Ho il cirogeno”. Una candela basta per illuminare le pareti grigie. E l’acqua: c’è una fontana, c’è un pozzo. Età indefinibile, storia d’altri tempi. C’è però la traccia del presente. Un vizio o un vezzo. Rosella beve solo Coca Cola. Sul terrazzo dove pranza, sul tavolaccio recuperato chissà dove il piatto di plastica, il cartoccio con un’improbabile pasta al forno e una bottiglia in plastica di Coca Cola. Rosella guarda corrucciata il fotografo indiscreto. “Ma vedete voi! perché vi prendete i fatti miei. Andate via, devo mangiare. Volete favorire?!”. E’ così, gelosa del suo privato, generosa e pronta a dividere tutto solo come chi non ha nulla. E Rosella siede a tavola, congiunge le mani e ringrazia per un altro pasto racimolato in giro. E’ sola, di quella solitudine voluta più che capitata. E’ stata sposata, anni fa, non tanti da poter avere figli. E il marito se n’è andato già da tempo. In giro c’è qualche nipote. Ma Rosella non vuole compagnia. C’è un gatto che gira intorno a quelle quattro mura. Anche in una casa come quella ci sono avanzi. Anche il gatto, si sa, si affeziona alla casa, senza vetri, con le finestre riparate dal cartone e con un letto fatto di stracci raccolti in giro. In paese la conoscono tutti. “Non sta ferma, forse non la trovate”. Davanti al bar della piazza è facile raccogliere i frammenti di una storia che conoscono tutti e che passa quasi inosservata. “Sapete come sono fatti gli zingari: dategli una casa e loro non ci stanno. Rosella? Se la portate in un ristorante dove c’è il cameriere che accompagna la sedia, mica mangia! La torturate. E’ fatta così: è una brava donna, ma una casa vera non la vuole”. Una brava donna, ma non fa parte della regola. In questi casi si piantona l’ingresso del municipio, ci si ferma davanti alla porta del sindaco e si protesta per la casa che non si ha più, per quella che spetta di diritto, per la pensione che è misera, per le bollette da pagare, per i soldi che mancano sempre. Lei invece il municipio ce l’ha di fronte mentre pranza. Un orribile palazzotto moderno che macchia il panorama della vallata e prende a pugni il castello. Ce l’ha di fronte e non lo vede, non ci bada, non ci va. Rosella passeggia tranquilla a testa alta per quel dedalo. Si spinge anche fuori dal centro storico. Si imbatte nei ragazzini che escono da scuola. Ogni volta la cantilena: Rosella puzza, Rosella è pazza, Rosella è la scema del paese. Ci prendono gusto, perché lei risponde, a tono, e si arrabbia. Difficile capire che si può vivere anche così, con una bottiglia di Coca Cola a pranzo, tanto per stare al passo. Però qualche altro vezzo c’è: uno scialle rosso fuoco. Un colore forte che illumina quelle quattro mura sgarrupate. E’ rosso, è vivo, portato sulle spalle e sulla testa per proteggersi dal freddo e dall’umidità, ma anche per una civetteria tutta femminile. Rosso, elegante. Vezzo che non ha perso, né con gli anni, né con la miseria. Ogni tanto capita qualcuno che passa e lascia qualche cencio smesso. Lei raccoglie e controlla: casomai non le stesse a pennello, di certo non lo tiene. Al massimo ci cambia il “letto”. Alle scarpe, no, non ci tiene. Quelle devono essere comode e soprattutto calde, perché quando c’è la neve è difficile uscire di casa. E anche andare a spasso in campagna. In fondo il giorno come passerebbe, se non ci fosse la libertà di camminare in lungo e in largo per il paese.

Rosella             Rosella.  Foto di Mario Villani