Racconti e Favole                                                                                                                                                                                

 

                                          RACCONTI BREVI

 

                                            PROCESSO A GIOVANNI

Aprile 2003. Apro la porta piano piano, non sarebbe ancora orario d’ufficio ma entro lo stesso, per meglio dire mi affaccio a mezza porta sapendo di essere in colpa. Ed essere in colpa da queste parti non è una buona idea.

 

“Mi scusi..”

 

Mi sono così rivolto a un signore dall’aria austera, sobriamente vestito di grigio e con cravatta rossa a righe bianche. Per un attimo mi viene il sospetto che sia il giudice, il Gup Angelini come è scritto sulla porta. Vista la sua aria austera ma non malvagia sono tentato di istinto di perorare la mia causa. Sa signor giudice, so che lei non ci crederà, ma sarei innocente. Aria Austera non è il giudice, è un impiegato arrivato in anticipo, spinto chissà da quali dolori e angosce insopportabili fuori di casa. Aria Austera accetta le mie scuse, mi fa cenno di entrare, mi rammenta che sono in anticipo sull’orario di apertura degli uffici e purtuttavia egli è disposto a favorirmi.

 

“Mi scusi Aria Austera, vorrei fare una copia del mio fascicolo.”

 

Bokassa City.

 

Non è stato mica facile arrivare fino all’ufficio del Gup Angelini, settimo piano stanza 228 Edificio C. Forse quinto piano, non è essenziale. Ho fatto tutto il corridoio dell’Edificio C, ho chiesto, ho minacciato, ho guardato i cartelli. Mi hanno mandato prima all’Edificio A, con il che durante il tragitto credo di aver preso nota di cosa c’è nell’Edificio A , non si sa mai. Spinto da falsi amici e dall’intuizione, che è sempre una bella cosa però.., dopo taluni rigiri sono tornato all’ Edificio C, nel quale dopo salite e discese sono pervenuto all’ufficio del mio Gup. Volete sapere la strada nel caso fosse anche il vostro Gup? Primo non ve lo dico, siete imputati dovete soffrire. Secondo ogni notte cambiano i cartelli.

 

Torniamo da Aria Austera.

 

Aria Austera è un impiegato malvagio, come ora si vedrà. Precisamente è diventato malvagio dopo che gli è venuto un colpo, come si dice, in ufficio. Dal colpo fortunatamente si è riavuto, ma non è mai stato più lui. Ha preso a odiare tutti quelli che gli capitano in ufficio, in quanto colpevoli nella sua mente frastornata di avergli fatto venire un colpo. Questa malvagità di Aria Austera non è poi tanto riprovevole, a pensarci bene, in quanto la maggior parte di quelli che gli entrano in ufficio sono avvocati.

 

Ricordiamoci che sono qui per vedere il mio fascicolo, fornisco nome cognome, numero di questo e numero di quello. Aria Austera non ci pensa neppure a guardare nei computer, lui ha il librone del preside con le righe nere.

 

Trovato il mio nome sul librone rilegato mi esprime tutto il suo disappunto.

 

“Qui il fascicolo non c’è, non ci può essere perché risulta il rinvio a giudizio, il fascicolo è stato portato dal giudice monocratico Ambrosia.”

 

Chiaro.

 

Il giudice monocratico Ambrosia sta qui di sotto, quinto piano stesso edificio, esci a destra riprendi l’ascensore.

 

Aria Austera mente, il mio fascicolo è qui da lui.

 

Il giudice monocratico.

 

Il giudice monocratico è il giudice unico che per risparmiare finalmente tempo e soldi fa tutto da solo, come in America, niente giudici a latere, uno a destra e uno a sinistra, insomma.  Dici monocratico e respiri l’aria del Conte di Montecristo, fortezze cupe, pene malvage ai tristi. Il giudice monocratico è una figura nuova è questo ovviamente comporterà alcuni problemi. Un problema serio è quello della sigla abbreviata di denominazione. Abbiamo per esempio il Gip giudice per le indagini preliminari. Poi abbiamo il Gup giudice dell’udienza preliminare. Per il monocratico ancora nulla, suggerisco Gim oppure Guru giudice unico rinvio udienza, ma non ne faccio una malattia. La sigla del pubblico ministero è Pm, facile. Il mio pubblico ministero si chiama Cipolla, quando ci penso mi viene da piangere, ma per altri motivi. Forse il Pm e il Gip sono la stessa cosa oppure no, oppure nel senso che si uniscono in una entità ideale come il Padre e lo Spirito santo. Vi terrò informati.

 

Rinvio a giudizio. 

 

Il mio rinvio a giudizio non mi coglie di sorpresa. Non perché sia colpevole, non facciamo i furbi andiamoci piano. Il fatto si è che all’udienza preliminare non ci sono andato, sicuro che questa udienza non si tenesse per lo sciopero degli avvocati penalisti annunciato seriamente dai giornali. Succede sempre così, tu vai all’udienza, magari ci fai un viaggio perdi un giorno, niente, gli avvocati sono in sciopero, rinvio. Tu non vai all’udienza e sei perduto e rifritto, ti trovi contumace e rinviato a giudizio, per quante balle il pubblico ministero abbia cacciato negli atti dell’istruttoria. E poi queste udienze preliminari devono essere una noia, infatti gli accusatori, l’altra parte insomma, sono esentati dal presentarsi. E io che faccio mi difendo e mi accuso da solo? Il lupo perde il pelo ma non il vizio, l’abitudine di fare una istruttoria per dimostrare a calci e spinte che uno è colpevole, invece di cercare i fatti, sarà dura da perdere, anche perché richiede gente capace.

 

Torniamo al mio fascicolo.

 

Al piano di sotto, dal giudice monocratico dove mi ha mandato Aria Austera, il mio fascicolo non si trova. E se non si trova qui e neppure al piano disotto egli e segno che è in transito. L’incubo m’assal. Dovrò dunque fermare tutti i carrelli in ogni piano, agli edifici A  B  C? Ma via no, mi spiega Gentil Cancelliera del giudice monocratico, in transito vuol dire che sta nella Cancelleria Generale o nella Cancelleria Particolare. Forse i nomi delle cancellerie non sono proprio questi, ma non è realmente importante. Mi chiedo se anche Bismark avrà avuto tante cancellerie. Ma non c’è tempo per pensare bisogna  proseguire. Trik trak, Edificio A, Edificio B, Edificio C, no ho sbagliato, di nuovo Edificio A, almeno credo. Insomma sono alla Cancelleria Generale. Alla Cancelleria Generale l’impiegata Cuor Gentil, mi dice non sono le nove e mezza ancora  ma dai entra lo stesso. Fruga che ti rifruga il mio fascicolo non c’è. Cuor Gentil mi dice che forse dovevo andare da Aria Austera. Le parlo a lungo di Aria Austera, di come porta la sua cravatta unta e consunta senza un lamento e senza un rimprovero, ma anche del fatto che egli il mio fascicolo dice proprio di non averlo, anche se forse un giorno l’ebbe. Ma allora, conclude Cuor Gentil, se qui non c’è, da Aria Austera non c’è, dal monocratico neppure, non resta che la Cancelleria Particolare. Un, due, tre, quattro, quinto non si da avrebbe dedotto Anghingonisto filosofo e logico di Locri. Dov’è la Cancelleria Particolare? Quinto piano Edificio B. Esci, giri a destra, prendi l’ascensore, esci dall’ascensore, prendi il corridoio non da questo verso ma da quello. Quasi quasi facciamo una telefonatina laggiù, dico a Cuor Gentil. Come stanno i bambini, avete mica visto per caso un fascicolo. E qui Cuor Gentil mi guarda sorpresa e si da ad amari e alti lai, ai compagni volta. Ecco vedete, noi l’accogliamo cinque minuti prima delle nove e mezza, perdiamo tempo a cercare questo fascicolo che il mentecatto sostiene essere qui, gli spieghiamo infine dove andarsene in pace ed ora egli vuole abusare della nostra generosità. Capisco che è tempo di ritirarmi, carico dei sguardi inimici di una buona ventina tra cancellieri e apprendisti apro la porta e men vò. Ma come disse quel tale  si può anche dire me ne vado. 

 

Vi risparmio le pene dell’oscuro tragitto fino alla Cancelleria Generale, tanto ormai sapete come va questa cosa.

 

Voglio solo  fermarmi un attimo a creare un posto di lavoro effettivo. Disoccupato napoletano pieno di fantasia dove sei? Vieni qui, offriti da guida. Dove volete andare, alla Sezione  Quinta? Un euro e vi porto io, vi servono anche le marche da bollo?

 

La Cancelleria Particolare.

 

E siamo alla Cancelleria Particolare, speranza ultima dea. Alla Cancelleria Paricolare c’è la signorina Aria Seccata, dietro un vetro. Francamente nessuno avrebbe un’aria divertita a starsene tutto il giorno dietro a un vetro, senza che mai un’anima allegra venga a chiederti qualcosa davvero interessante.

 

Aria Seccata compulsa il suo computerino e dice qui il fascicolo non c’è, provi…Una mano imperiosa le spegne le ultime parole sulle labbra, la mano è la mia. Qui alla Cancelleria Particolare sono alla frutta. Inutilmente Aria Seccata cerca di mandarmi via, che ella mi chiami il capo le dico, su questo chiodo mi impicco. Aria Seccata mi dice va bene e passi da quella porta. Dietro a quella porta ci sono i tubi dell’acqua calda, ma alla fine il capo lo trovo. Il capo è un buon ragazzo e, stranamente per questi luoghi, è un essere umano efficiente. Mentre stavo a chiedermi perché qui i tubi del riscaldamento li mettono dietro le porte, il bravo capo con una telefonata ha risolto. Il fascicol mio sta da Aria Austera, ovvero dal mio Gup Angelini, colà talune brave donne m’attendono. E poiché  gli gnomi perfidi non hanno fatto a tempo a spostare quell’ufficio, non ho ormai difficoltà a ritrovarlo. Entro di nuovo nella Stanza 228 da cui mi partii, ma stavolta senza timori e timidezze. Come se gli spiriti dei corridoi, suoi antichi amici, lo avessero avvisato del mio ritorno, Aria Austera m’accoglie a braccia aperte. Parmi cogliere un impercettibile lampo sardonico nei suoi occhi. So cosa sta per dirmi. Dai giochiamo ancora a trova-fascicolo, ti mando al bar, ti dico che il fascicolo è sotto le brioches. Il cuore mi direbbe di contentarlo, ma la ragione ha motivi che il cuore non comprende. Qui chiudono all’una e ho anche un treno da prendere. Hai fatto abbastanza per me fratello. Mi dirigo verso le brave donne che m’ hanno bello e messo il fascicolo su una scrivania, con tanto di sedia. Il fascicolo è smilzo. Donde sono le prove adulterate che devono inchiodarmi, i testimoni compiacenti dell’inquisitore, le calunnie di chi m’accusa.

 

“Saranno nel fascicolo del Pm, bisogna andare a vedere lì.”  Sono state le brave donne a parlare.

 

E così ci sono due fascicoli, uno giallo e uno rosa. Ma io ne ho le tasche piene, per questa volta almeno basta.”

 

Ehi, un momento, dove state andando, adesso devo avere una copia di questo fascicolo.

 

Tre copie già ci sono.

 

In realtà nel fascicolo ci sono già tre copie di tutto e quindi io sogno che una copia sia per me. Molto gentili. Ma non è così.

 

“Non ci sono copie per l’imputato.” Dicono Brave Donne. E il tono pare aggiungere adesso ci mettiamo anche a preparare copie per ogni pezzente che viene qui.

 

La regola dice che dovrei chiedere il permesso di fare le copie, andare, aspettare taluni giorni, provare a tornare. Ma Brave Donne mi vogliono favorire, per cui le cose vanno molto più semplicemente come segue. Compilo modulo richiesta. Do modulo a Brave Donne che se ne fanno una copia. Vado all’ufficio Non-So-Cosa (NSC) prendo il numeretto e mi metto in coda allo sportello. Quando sono il primo da servire, l’impiegato mi fa il conto di quando devo pagare. Eccoti i soldi. No ci vogliono le marche. Dammi le marche. No, le marche devi andarle a comprare al Sale e Tabacchi. Scendo. Mi perdo tre volte. Risalgo con le marche all’ufficio NSC. Riprendo in numeretto, rifaccio la coda. Sono di nuovo primo allo sportello, davanti all’impiegato. Fare vedere il numeretto. Eccolo. No, non va bene, devi dare il numeretto di prima. L’ ho buttato via. Ah, ma forse la domanda era questa. Si, la domanda era quella, la fortuna aiuta gli audaci che buttano i numeretti di prima. Mi si applicano le marche e mi si rimanda da Brave Donne, in uno stato di ansietà. Brave donne hanno già fatte le fotocopie per me. Dio le benedica.

 

Tirati a lucido.

 

Sono belli eleganti, tirati a lucido dai capelli alle scarpe. Come i ballerini dell’Opera di Vienna a Capodanno. Sono i marescialli che lavorano alla Caserma di Burgo alla Basilica. Quel che è notevole è che sanno fanno fare di tutto dal dirigere il traffico al Giro D’Italia alle indagini giudiziarie. Meglio, diciamo che gli fanno fare di tutto. Ora non è che in una indagine giudiziaria da quattro soldi uno possa pretendere Sherlock Holmes o Hercule Poirot, purtuttavia almeno un detective con le bretelle e il cappello all’indietro, come nei film americani, sarebbe desiderabile. Il maresciallo incaricato delle indagini nel processo a Giovanni, che sarei io, si chiama Darmato. Ora non è che Darmato sia in cattivo ragazzo, solo che è permaloso, nervoso, secondo me è anche insicuro però non sono affari miei. Io faccio l’imputato, che ci badino gli altri. L’ultima volta che mi telefona a Darmato ho dovuto dirgli di no. Voleva ancora giocare a Dichiarazione-di-domicilio, un gioco abbastanza stupido, che dopo una volta viene a noia. A malincuore ho dovuto dirgli di no, sapevo che gli sarebbe dispiaciuto, ma proprio non ero in condizione di poterlo accontentare, altri impegni altrove. E difatti Darmato si è dispiaciuto, peggio di un bambino tradito dai compagni di gioco, molto peggio direi. Sentite cosa mi dice.

 

“Ti mando a prendere dalla squadra catturandi, ti faccio legare al paraurti e ti trasciniamo qui.”

 

Ma via, sono cose da dirsi a un imputato.

 

In un processo non sei sicuro di niente fino alla sentenza, ma la mia intuizione è che Darmato non abbia cavato un ragno dal buco nelle sue indagini, anche perché ha guardato nel buco sbagliato, e queste minacce non sono altro in fondo che un modo di chiedermi aiuto. Oppure devo pensare che sia nervoso per i fatti suoi. Sia come sia, ve lo dico ancora una volta e poi basta, questa abitudine che sia l’imputato a dover risolvere i vostri problemi ve la dovete togliere.  

L’armadio chiuso

Giugno 2004. Da quando trovarono un giudice spaurito dentro un grosso armadio metallico le cose vanno meglio al Palazzo Giudiziario di Bokassa City, un poco meglio non molto. Come avvenne l’incidente? Sulle porte dell’armadio c’era incollata una freccia di cartone dipinta il pennarello rosso e una scritta che diceva ‘Sezione 17 Edificio B’.  Il giudice distratto aveva pensato che l’armadio conducesse al suo ufficio, quindi s’era dato da fare per sollevare il pesante maniglione e si era tuffato dentro. L’armadio si era richiuso da se e il maniglione gli si era scattato dietro, un numero imprecisato di fascicoli gli era piombato addosso e aveva messo in luce un buio cunicolo cosparso di altri fascicoli. Per il cunicolo il giudice si era avventurato consumando un fiammifero dietro l’altro, arrivato in fondo era tornato indietro nell’armadio e s’era messo a studiare i fascicoli, rilevando alla fioca luce non pochi errori formali e di sostanza. Questi benedetti  colleghi, per non parlare degli avvocati.  Per tutto il giorno lo si era cercato, alla fine avevano fatto fiutare le sue sentenze ai cani e rotta una parete del cunicolo a colpi di piccone lo avevano infine salvato.

Da quel giorno è stata data una sistemata ai cartelli e cartellini indicatori, perdere ci perde sempre ma almeno ci si ritrova in un tempo ragionevole.

vignetta di max capa