SANTA FOSCA - Santefóscje

Il toponimo che dà il nome a questa modesta borgata, situata a nord-est di Adegliacco, nei pressi della Roggia detta di Udine, prende fama da un'antica Cappella fatta erigere dai Signori di Fontanabona fin dal tempo antico e dedicato a questa santa.

La località viene ricordata ancora nell'anno 1338 nel testamento di Simone di Cuccagna, come: "…Il Monastero di Santa Fosca presso Modoleto (S.Bernardo)…".

In data 21 Aprile 1447 vi è poi notizia che il Capitolo di Udine nominò cappellano un certo Giovanni Battista, ed il 9 Settembre dello stesso anno, per elezione dei patroni, la chiesetta venne consegnata ad un tale padre Francesco Galassio di Aviano, priore dei Domenicani del convento di S.Pietro Martire di Udine.

Dopo le vicende napoleoniche la chiesetta fu venduta come altri beni demaniali, cadendo in mani poco zelanti; infatti nella visita pastorale dell'anno 1856, l'arcivescovo Trevisanato, avendola trovata in uno stato indecente vi sospese l'esercizio del culto che non venne mai più restituito.

In un documento religioso dell'anno seguente si legge che l'oratorio pubblico, sotto il titolo di Santa Fosca, sito nei pressi di Adegliacco, era di proprietà del sig. Tami Giovanni di Antonio di Udine, il quale si rifiutava di por mano a qualsiasi lavoro di riatto e sistemazione del fabbricato, che si trovava in situazioni indecorose.

Malgrado la soppressione del culto il nome rimase sempre Santa Fosca - in friulano Santefóscje.

LA STORIA

Prima del Concilio di Trento (1545-1563) la condotta di molti religiosi era aspramente criticata, a torto o a ragione, nella moralità; talvolta questo avveniva con esagerazione, come lo fu per esempio a Udine, nel XV secolo, con la cacciata a furor di popolo dei frati Celestini.
Questo durò anche dopo il Concilio di Trento, per dire che nel 1570 furono anche alcune sinistre chiacchiere a carico delle monache del convento di S.ta Chiara.

In un vecchio fascicolo riguardante un processo verbale istituito dal Tribunale della Sacra Inquisizione, datato 12 Agosto 1599, esistente presso l'Archivio della Curia Arcivescovile di Udine, è verbalizzato l'interrogatorio di alcune persone per accertare se nel giorno di S.ta Fosca, il 13 Febbraio 1599, in Santa Fosca presso Adegliacco, ed il giorno seguente, 14 S. Valentino, in Reana, dei frati "in abito bianco" avessero ballato con donne giovani.

L'abito bianco viene riferito alla tonaca dei Domenicani che a Santa Fosca avevano un loro convento ed una propria chiesetta donata ai religiosi dai Signori di Fontanabona.

La curiosità attuale del fatto sta nella lontana origine locale di festeggiare nei paesi il santo Patrono con preghiere e balli in una strana mescolanza di sacro e profano.

In questi balli, fatti dai religiosi dei conventi rurali, talvolta con maschera, potrebbe essere ricercato, non il facile movente di scandalo, ma la profonda origine istintiva di un certo folclore propiziatorio popolare.

Ma ecco il processo: 

"Costituitosi il reverendo curato di Reana, don Francesco Pontello e, sotto giuramento, interrogato se egli avesse partecipato alla festa svolta nella Chiesa di Santa Fosca sulla roggia, egli rispose di essere stato laggiù ma non alla festa, bensì alla messa ed all'acquisto delle indulgenze e di aver fatto colazione sul posto e di essere poi ritornato a Reana per celebrarvi le funzioni del Vespero.

Interrogato se egli vide la festa dove si ballava rispose di si.

Interrogato se in quel ballo intervenne anche qualche religioso rispose che ballarono due padri dell'ordine di San Pietro Martire, e un convertito allo stesso ordine.

Interrogato come si chiamassero questi Padri rispose che uno di loro veniva chiamato Stefano ed era un giovane di circa 28 anni, ma che non sapeva né il cognome né di dove fosse.

- L'altro lo chiamavano Padre Sacrestano, e credo anche Fra Paolo, ma non sono certo; il convertito non lo sentii mai che fosse chiamato per nome - .

Interrogato disse: "Io non so se ballarono molto perché dovetti partire verso casa per officiare il Vespero e non so neanche dire se ballarono nel loro abito bianco".

Interrogato disse: "Io non usai memoria per ricordare con quali giovani i Padri ballarono. Era con me il reverendissimo Micoli, allora Cappellano di Reana ed era ancora molta altra gente che ora non saprei ricordare nessuno in maniera particolare.

Credo, se ben ricordo, che fossero di Udine quelli che suonavano; uno la lira e l'altro il violino, ma io non li conosco né so chi siano.

Alcuni di essi Padri l'indomani furono a dir Messa qui e stettero a desinare con me, che era la devozione a S. Valentino".

Interrogato disse: "Si, in quel giorno fu fatta in villa grande festa".

Interrogato disse che non vide detti Padri ballare qui perché: "Io non fui sulla festa, sentii delle chiacchiere che dicevano che anche qui avevano ballato. A suonare non erano quelli di Udine ma altri con pifferi ed altro".

Costituitosi con giuramento anche il reverendo don Micoli, curato di Povoletto, fu interrogato se anche egli il giorno di Santa Fosca fu in detta chiesa sulla roggia, egli rispose di sì e che in quel posto fece anche colazione.

Interrogato se vide la festa che si fece dopo il desinare disse di sì e interrogato sui suonatori, rispose che erano due; "Uno suonava il violino e l'altro la Lira", ma non li conosceva.

Interrogato se nel ballo intervenne anche qualche religioso, rispose che ballarono due frati, di S. Pietro Martire ed un convertito, nel loro bianco abito religioso.

Interrogato sul nome di questi frati rispose che uno di loro si chiamava Fra' Giovan-Paolo, giovane circa 30 anni e l'altro Fra Stefano Scarabozzi, veneziano, il convertito Biasio, ma altro non sapeva. Però erano di questa patria.

Interrogato disse che quando ballarono era pochissima gente sul luogo e, tra loro, altri frati dello stesso ordine e anche il reverendissimo don Francesco Pontello.

Altri particolari non sapeva nominare.

Interrogato disse di non ricordare i volti, né di conoscere le donne con le quali ballarono i frati.

Interrogato se l'indomani, giorno di S. Valentino, questi frati fossero venuti a Reana rispose di sì e che lì anche desinarono.

Interrogato disse che anche nella villa si fece, quel giorno, festa sotto un'aia.

Interrogato se questi Padri ballarono anche in questa villa, rispose di non aver egli partecipato alla festa e perciò non vide, però fu chi disse che sulla festa vi fossero certe maschere che avevano somiglianza di frati.

Interrogato su chi erano i suonatori rispose che erano due contadini che suonavano i pifferi; un certo Nicolò Fabbro di Tricesimo e l'altro di Adorgnano, chiamato Giuseppe, però c'erano anche altri.

Interrogato disse che i Padri rimasero tutto il giorno a Reana, poi furono a Tricesimo in compagnia, e che cenarono a casa sua ed uno di loro dormì insieme con lui e con altri a casa del Pievano.

Sentito anche il teste Leonardi Augusto di Reana, il quale interrogato se nel passato carnevale fu alla festa di Reana, rispose di sì, che era con Simone di Pietro Mauro.

Interrogato se il giorno di San Valentino fu anche qualche persona religiosa che ballasse, rispose che fu un frate di San Pietro Martire che ballò otto balli uno dietro l'altro, e che altri due frati stavano a vedere.

Disse che detto frate che ballò non aveva l'abito ordinario di frate, ma un abito bianco con una maschera in faccia.

E disse ancora che in abito da frate ballò pubblicamente.

Interrogato disse che detto frate si chiamava Fra' Stefano, di non sapere di qual luogo fosse e che gli altri, uno Fra' Giovan-Paolo e l'altro un convertito di nome sconosciuto.

Il detto Fra' Stefano pagò con un denaro da otto e un altro da otto mi diede per il reverendissimo don Micoli a suo nome, dicendo che la notte che fu fatta festa in casa di Maddalena esso, Fra' Stefano, ballò pubblicamente un ballo.

Interrogato disse che a quella festa il frate ballò con sua moglie Franceschina e con una donna moglie di Elaro Mansìn, che era molta gente a vedere e che fu di grande scandalo a tutti".

A questo punto seguono altri verbali con gli interrogatori di alcune donne segnalate nelle deposizioni precedenti le quali, confermarono di aver ballato nelle suddette feste, dissero di non sapere se erano frati perché avevano un abito bianco ed una maschera nera al viso. Dissero anche di non averli mai visti e di non sapere chi fossero e da dove venissero.

CURIOSITA' SPICCIOLE

Don G. Marcuzzi scrive nel luglio 1907 che l'antica chiesuola di Santa Fosca, che è un parallelogramma di metri 5 per 10 all'incirca, è ancora oggi ben visibile qual'era, però nei soli muri. 

"La chiesuola risulta assai trascurata e il sottano vi deposita all'interno attrezzi di lavoro, foraggi, ecc. A metà delle pareti laterali vi è una non grande nicchia con poco ornato di stucco l'una di fronte all'altra, e sotto a ciascuna una incavatura nel muro, forse per collocarvi i confessionali.

La parete a mezzodì ha due finestre oblunghe, forse in origine ad arco acuto; e di fronte ad esse due finte finestre con le lastre dipinte a vetri esagonali. La porta è un semplice riquadro di pietra.

Nell'interno, sopra la porta, si vede lo stemma domenicano scrostato".

Dopo la prima guerra mondiale la Chiesetta venne venduta ai Variola da un certo Severino.
Durante alcune fasi di scavo venne notato all'interno un coperchio sepolcrale di marmo. 
Lungamente trascurata e ridotta malamente la chiesetta crollò durante il rigido inverno del 1928.

Questi testi sono stati tratti dal libro
TAVAGNACCO di W.CESCHIA edito da DESIGNGRAF (1985)
a cui vanno i meriti della documentazione e lo sforzo per la realizzazione.



NOTIZIE STORICHE RACCOLTE DA ATTI INEDITI D'ARCHIVIO
A CURA DEL SAC. PIETRO DELL'OSTE 

L'iniqua legge che venne a sopprimere le corporazioni religiose e ad indemaniare i beni della Chiesa, fece sentire le sue disastrose conseguenze, anche alle povere e sperdute cappelle di campagna, riducendole alla completa spogliazione.

Dobbiamo segnalare tra queste , l'oratorio di S. Fosca in Parrocchia di Reana del Rojale, perché rientra nel ciclo storico della nostra narrazione.

Nel 1426 il Papa Martino V ordinò ai vescovi di allora, d'unire al Cernobio di S. Gottardo di Udine l'oratorio di S. Fosca di Adiliaco (Adegliacco) e che le rendite di esso andassero a vantaggio dei religiosi, i quali avevano da ospitare, nel Convento di S. Gottardo, i molti poveri e pellegrini che vi affluivano.

Non deve confondersi questa, con S. Fosca di Borgnano presso Medea di Iudrio, ma si veramente conviene individuarla nel triangolo che si stende fra Adegliacco, S. Bernardo e Godia.

Quello studioso di cose nostre ed erudito raccoglitore di memorie patrie che fu il can. Mons. Giacomo Marcuzzi scrisse:

"Santa Fosca è un piccolo gruppo di case, staccato da Adegliacco ma facente parte di Adegliacco.
Aveva la sua cappella intitolata a questa santa, di fondazione dei signori di Fontanabona fin dal tempo assai antico, e vi si faceva la festa clamorosa.

In data 21 Aprile 1447 il Capitolo di Udine vi istituisce cappellano un tal prete Giovanni Battista.

Un Documento del 9 settembre 1477 ci avverte che per elezione dei patroni, i conti consorti di Fontanabona, essa cappella viene consegnata a ufficiare a un tal Padre Francesco Galassio priore dei domenicani di Udine, che accettò in nome del convento.

E il pievano di Tricesimo lì presente lo investì tosto e gli diede il possesso.

Eravi presente anche P. Antimio officiante di Reana.

I Domenicani fabbricarono meglio la casa annessa che esiste ancora, per abitazione di quel padre che vi veniva destinato e del frate laico inserviente, e tennero di conto la chiesetta, che sarebbe bellina.

Ma venuta la soppressione Napoleonica, come lasciarono il convento, così dovettero lasciare anche la loro piccola stazione di Santa Fosca, che venduta, come tanti altri beni indemaniati, andò in mani poco zelanti di mantenere il decoro della chiesa; così che l'arcivescovo Trevisanato nella visita che fece nell'anno 1856, avendola trovata trascurata e ridotta in istato indecente, vi sospese l'esercizio del culto che non fu poi mai restituito: anzi tolta ogni cosa, e portato ad Adegliacco ciò che vi poteva usarsi, ora serve per ripostiglio di foraggi e di attrezzi rurali".


Oggi della poco conosciuta minuscola, ma storica località di S. Fosca, non rimane che molto poco di concreto, e prima che l'ingiuria dei tempi o l'opera demolitrice del piccone, ne sopprimano ogni traccia, reputammo prezzo dell'opera, fissare almeno per la storia quel poco che resta.

E' uno stanzone di m. 10x5 ridotto al massimo degrado; in un angolo stamaglia, nell'altro frascami e rifiuti; quà rottami ammonticchiati, la pelli di ovini e di caprini squojati, appese co' tendini ad asciugare; così lo vedemmo il 17 aprile 1914; e ci diè impressione di lurido mattatoio. 

Di sacro si scorge che un avanzo di piccola croce in ferro, corrosa dalla ruggine, sulla sommità dello sconnesso tetto. Ci si avvicinò un arzillo vecchietto sulla settantina, Severino Ellero, per darci qualche notizia sul passato, ereditata per tradizione da bocca a bocca; ma nulla di più di quanto già si sapeva.

Facemmo con lui qualche passo per accostarci al vicinissimo canale dell'antica roja (roggia) che dall'imbocco di Zompitta, porta con lieve sussurro le limpide acque le quali all'umile, povero e muto caseggiato si S. Fosca, danno un'impronta piacevole di vita campestre, tanto più che accanto scivola ad intervalli, veloce e fumigante la vaporiera sulla ferrovia Pontebbana. 

Sostammo alquanto meditabondi in quel luogo solitario, richiamando col pensiero le bianche figure dei padri Domenicani che, per secoli, nella sacra quiete di S. Fosca, trovarono qualche ora di meritato sollievo sui margini di quell'acqua, tra il verde di quei prati, dopo le diuturne scolastiche elucubrazioni nel convento di S. Pietro Martire in Udine.

Il compiacente vecchietto, c'invitò poi a salire, per una scricchiolante scala cappuccina ad un granaio di casa sua, per farci vedere un autentico documento del passato. "Mentre tutto ciò che di sacro appartenne alla nostra cappella di S. Fosca - è lui che parla - venne trasportato nella vicina filiale di Adegliacco, ove si può tutt'ora vedere, noi abitanti di S. Fosca abbiamo l'onore di conservare l'antica statua della santa; e questo privilegio fu riserbato alla mia famiglia.

Ero ancora fanciullo e ricordo che mio padre la portò sul granaio, e di là più non venne tolta.

Solo in rarissime occasioni, come ad esempio, per riparare le tegole smosse dall'uragano, o al tempo di riporre la mietitura - di qualche annata abbondante - l'abbiamo spostata da lì - (e indicava ad un buio angolo) per riportarla poi; ma fuori dal granaio, mai.

- E non sarebbe più decoroso collocarla in chiesa, tra le altre antiche memorie?
- Signor no! E' roba dei nostri vecchi; nessuno la devo toccare.
- Ma in chiesa vi ripeto, oltre che venerata, sarebbe anche meglio conservata, quale cimelio antico, anche se rozzo e goffo.
- Ah! Signor no! Signor No!
- Ma pensate; qui in questa opprimente oscurità; I topi, I pipistrelli, gli insetti nidificanti, il tarlo, l'acqua spiovente, finiranno per….
- Signor No, Signor no; qui non si consuma, qui è, e qui deve rimanere. (il vecchietto si allarma).
- Ma non son mica venuto a portarvela via, la statua, vi davo un consiglio; ora vediamola; almeno.
- Vederla si ma di più no.

Con la poca discomoda fatica di tribolò parecchio in tre persone, a rimuovere un fitto affastellato di canne, stuoie, manipoli diseccati, assi spezzate, telai fuor d'uso e ferravecchi, prima di giungere alla sospirata santa, senza vederla però, poiché in tale sconquassata soffitta, solo un languido spiraglio di luce indiretta penetrava dal lato opposto.

- Ma tutta questa fatica, caro vecchio, non basta anzi è affatto senza scopo, se non ci permettete di portare in luce la statua, di vederla, esaminarla, riprodurla.
E ci volle del buono, ma molto, a persuaderlo che dalla statua nulla si sarebbe tolto.
La si portò dunque nel cortile e con l'aiuto delle donne che apprestarono un copertoio da letto per fondale, si poté finalmente fissare all'obbiettivo, per riportarla tosto con tutte le cautele e con rinnovata fatica, nell'oscuro e dimenticato ripostiglio di prima.

Questo simulacro sculto in legno e dipinto, in stato di pessima conservazione, com'è facile arguire dalle premesse, misura cm 90 di altezza, nonostante la sua goffa modellatura, grazie all'aureola d'antichità che lo riveste e a qualche linea devota che lo rese sacro, desta in chi lo riguarda un senso di recondita religiosità.

Calcolammo ben ripagati, tempo e fatica, per disseppellirlo dall'obblio e ridarlo alla storia, vincendo tutta la riluttanza del simpatico e tradizionalista vecchietto.
 

Questi testi sono stati tratti dall'opusco
SANTA FOSCA in Territorio di Udine
Edizioni Ribis (1995)
a cui vanno i meriti della documentazione e lo sforzo per la realizzazione.