L'ORIGINE DEL NOME - Adegliacco - Dedeà

Il nome del luogo deriva dal toponimo prediale Atilius +acu e rientra nei suffissi -ICCO -ACCO di derivazione celtica.

Infatti diffusi sono in Friuli i toponimi prediali formati da un patronimico latino e dal suffisso aggettivale di proprietà celtica, per esempio: Adegliacco, Cavalicco, Tavagnacco; per rimanere in ambito comunale.

Per quanto riguarda Adegliacco, nella pronuncia friulana il vocabolo perde la vocale iniziale -A-; si rinforza in maniera ripetitiva nelle due lettere seguenti: De-de, consonante vocale; mancando in lingua friulana la liquida prepalatale italiana -GLI- (esempio Davaglio- Davài; Campeglio- Cjampéi; Fauglis- Favuîs; Gagliano - Gaián; Togliano - Toán; Vendoglio - Vendói; Zegliacco - Zeá; ecc.. eccetera) chiude con la vocale tonica -á-. 
Quindi il nome: De-de-á - Dedeá.

La località viene ricordata per la prima volta in un codice diplomatico longobardo datato: 3 Maggio dell'anno 762; "casas in Adegliacco".
Altre citazioni nel 1072, "ad Adelarium; ad Adolaticum"; anno 1084 "ad Adelarium, ecc.".

La STORIA

Già 2000 anni fa la località era abitata da una popolazione indigena che viveva di caccia, pesca, allevamento, ed anche agricoltura, praticata sui terreni non invasi dalle acque del Torre che minaccioso scorreva su una vasta area.

Queste propensioni vengono avvalorate dai numerosi reperti archeologici rinvenuti anche recentemente e, soprattutto, dal passaggio in loco della Via Julia Augusta, strada romana diretta al Norico, costruita tra il 153 e il 128 avanti Cristo.

Il primo documento scritto in cui si ha notizia di Adegliacco è un atto di donazione che cita: "Cosa in Adeliaco" a favore del Monastero femminile di Salt (Povoletto) e di quello maschile di Sesto al Regena, fatto dai fratelli longobardi Erfo, Anto e Marco, a Nonantola (località dell'Appennino modenese), il 3 Maggio dell'anno 762.

Tale lascito, fatto dai nobili fratelli di stirpe longobarda ma, nati in Friuli, i quali dopo aver reso la libertà a tutti i loro schiavi e lasciato la madre Piltrude assieme ad altre monache in quel piccolo castelletto sul Torre da essi fondato, comprendeva: La metà di un monte di Carnia, la Metà di un molino a Palazzolo, case e terreni coltivati ad Adegliacco, Magredis e Siecco (queste due ultime località in Comune di Povoletto).

Da successivi documenti si ha notizia che, dopo l'anno Mille, Emma di Zeltschac, fondatrice del Vescovado di Gurk in Carintia, donava il possesso della Villa di Adegliacco alla Chiesa di Salisburgo.

Beni passati di sua proprietà durante la fortunosa ascesa dei Casati degli Eppenstein.

Il primo Luglio dell'anno 1212, ad Avosacco in Carnia, Eberardo II, Arcivescovo di Salisburgo, incontrandosi con il patriarca di Aquileia Wolfgero, giela cedeva in cambio d'altri beni posseduti da quest'ultimo oltr'alpe.

Dal 1382 al 1567 la zona figurava nella Gastaldia di Trigesimo e, successivamente, venne venduta per sessanta Marche di denari veneti, con tutta la giurisdizione civile e criminale.

Nel 1595 Adegliacco contava 186 abitanti, sparsi anche nella borgata di Sitins, che si trovava sulla strada vecchia per Ribis.

Nel 1667, per ristorare le esauste finanze provate dalla lunga guerra contro i Turchi, la Repubblica Veneziana iniziava la vendita di alcuni Feudi e Gastaldie, tra queste venne ceduta la Villa di Adegliacco con il titolo di conte, a Dante Villabruna di Feltre.

Dopo l'evento napoleonico che aboliva i titoli e i privilegi nobiliari incamerando parte dei beni, Adegliacco fece la parte del nuovo ordinamento amministrativo con Tavagnacco.

Dell'attuale Chiesa Parrocchiale dedicata al patrocinio di San Clemente, si ha notizia del 1615; ed era edificata in proporzioni assai modeste. Lo spiazzo che ora funge da piazzetta-sagrato, servì fin al principio del secolo scorso da cimitero per defunti locali; dopo che l'attuale Campo Santo venne costruito ed attivato solo nel 1891.
Durante i secoli scorsi la chiesetta fu restaurata e portata alle proporzioni attuali; in tale periodo di lavori venne pure collocata, nella nicchia della parete frontale esterna, la statua di S. Sebastiano martire.

L'interno della chiesa è assai modesto, oltre all'altar maggiore vi sono altri due laterali.
S. Antonio a destra e la Vergine a sinistra.

Ai lati sono ricavate alcune nicchie per il Sacro Cuore, la Madonna, S. Luigi Gonzaga, ed il Battistero; più recentemente si è fatto altrettanto per la sistemazione di due confessionali.

Delle opere d'arte possedute dalla Chiesa attraverso il tempo non rimane alcuna traccia; assenti figurano gli oggetti sacri, d'oro e d'argento, elencati nelle descrizioni delle visite pastorali attuate, mancanti risultano pure gli oggetti ed i paramenti religiosi, i dipinti ed altro trasportati un tempo dalla chiesa di S. Martino, che si trovava ubicata a nord del paese tra l'incrocio con le strade Mussarie e Bariglerie.

Ci pare interessante dire di questa chiesetta e della borgata di Sitins, scomparsa e devastata dai Turchi nella loro invasione attuata tra l'ottobre ed il novembre del 1477; poi lasciata cadere in rovina e quindi definitivamente demolita nel 1542 da Domenico Vincenzo di Cavalicco.

La chiesa parrocchiale possedeva vari dipinti tra i quali una tavola per altare eseguita nel 1527 dal pittore udinese Giacomo de Martinis, raffigurante San Martino con ai lati San Giovanni Battista e San Clemente, poi ancora ancora altri lavori dell'artista di Udine Giacomo Secante detto Trombòn ed anche Segato.

Spariti pure risultano alcuni oggetti d'oro e d'argento, dipinti del XVI secolo provenienti, nella primavera del 1928, dal demolito oratorio di Santa Fosca, tra cui alcune statue lignee, alte 80 cm circa raffiguranti la Vergine e Santa Fosca, quest'ultima opera acquistata da un antiquario goriziano.

Dispersi tra le case locali vi sono pure altri oggetti e monili, rinvenuti tra le rovine e gli scavi eseguiti nelle pertinenze della campagna ancora oggi chiamata Località di San Martino; come una Madonna con Bambino in terracotta di circa 40 cm di altezza, un secchiello in rame lavorato, ed altro materiale di cui oggi non si conosce la destinazione presa.

Nella Parrocchiale di Adegliacco, sotto l'altare di Volfango (volgarmente detto di s. Bulfone) - ora Sacro Cuore - si trovano le spoglie mortali di Don Antonio Bulfonino, deceduto ad Adegliacco in 29 Giugno 1733, alla veneranda età di 85 anni e cinque mesi.

Don Antonio Bullonino era arrivato, come cappellano nel 1679 servendo il paese con zelo e carità per cinquantaquattro anni e meritandosi fama di santità.

La chiesa di Adegliacco era, nel passato, proprietaria di numerosi beni, come case e campi acquisiti attraverso donazioni e lasciti fatti dai fedeli in cambio di preghiere alla loro memoria.

Cause varie concorsero negativamente nel tempo a privarla di quasi tutto, non ultima la costruzione dell'attuale casa canonica per la quale il parroco di allora, Don Mattia Michelizza, vendette 15 campi sulla statale e le due vecchie case canoniche andando successivamente in Argentina dove morì nel 1930.

L'archivio parrocchiale di Adegliacco fino a qualche anno fa, era ridotto a poche cose tra le quali 3 registri: Il primo andava dal 1594 al 1710; il secondo dal 2 maggio 1710 al 27 ottobre 1785; il terzo dal 1796 al 1895.

In cento anni, cioè dal 1629 al 1728, sono segnati 479 battesimi e 441 decessi.

CURIOSITA' SPICCIOLE
Domenico Tion detto "Il Rosso" figlio di Pietro e di Maria Tion, detta "Mione", di anni 20 compiuti, celibe, non possidente e agricoltore, nato e domiciliato ad Adegliacco; Domenico Bulfon detto "Pascùt" ed anche "Acuto", figlio di Francesco e di Domenica Bertone, di anni 23, celibe, non possidente, già oste ed ultimante agricoltore, nato e domiciliato a Feletto, vennero giustiziati in "Giardino Grande" a Udine, mediante ghigliottina, in 25 Febbraio 1811.

Riconosciuti come capi di una feroce banda di Briganti, che contava oltre una ventina di associati, vennero condannati dalla Corte Civile e Criminale e Dipartimento di Passariano al taglio della testa.

Tra i vari componenti della banda, processati e condannati a sola pena detentiva, più o meno lunga, furono anche: Giuseppe Tion, detto "Gubba", del fu Adamo, nativo di Cavalicco, ma domiciliato a Adegliacco, di anni quarantuno, agricoltore e fabbricante di coperti di paglia, non possidente; Maria moglie del vivente Piero Tion (genitori del condannato a morta) di anni 57, villica, domiciliata in Adegliacco.

Oltre all'aggressioni e rapine a mano armata nella villa di Castions di Smurghin (delle Mura) erano organizzatori ed esecutori di misfatti locali più noti come i briganti del Moraràt presso Feletto.

Una leggenda diffusa nella zona narra che le urla della Mione si siano fermate al "Puìnt dal Moraràt" (vedi: "Messaggero Veneto 7 Maggio 1962 pag. 3" ).

Questi testi sono stati tratti dal libro
TAVAGNACCO di W.CESCHIA edito da DESIGNGRAF (1985)
a cui vanno i meriti della documentazione e lo sforzo per la realizzazione.